Action Poetry in Italia, pubblicato in “Territori”, n° 12, settembre 2001. ISSN 2284-0540

Giovanni Fontana ACTION POETRY Il corpo in azione nello spazio della ricerca poetica performativa

1. Parole sui muri e corpi d’artista Grazie all'iniziativa di un artista, Claudio Parmiggiani, e alla complicità di un Sindaco amante del nuovo, Mario Molinari, nel mese di agosto del 1967 viene scritta una interessante pagina d'arte. Si trattava di "Parole sui muri", un festival che vede un piccolo centro dell'Appennino modenese, Fiumalbo, letteralmente occupato da un centinaio di artisti italiani e stranieri che ne impegna gli spazi con installazioni, sculture, grandi poster di poesia, slogan sulle case, parole sugli alberi, nuova segnaletica urbana (un cartello di Ketty La Rocca indica il "senso di responsabilità"); ma lo spazio è presidiato anche con voci, suoni e azioni poeticamente sottolineate da lanci di mongolfiere. Sarenco (al secolo Isaia Mabellini, allora giovane leva della “poesia visiva”) ricorda che le performance di Fiumalbo "divennero vere e proprie prove pre-rivoluzionarie. Il clima era incandescente e altamente provocatorio".1 Trasformato per l’occasione in uomo-sandwich, egli si ribattezza "body poem" e, analogamente, F. Tiziano (alias Tiziano Spatola, fratello di Adriano) porta sul petto la scritta "Io sono una poesia". In quei giorni, tutti gli artisti presenti alla manifestazione decidono di rendere omaggio alla figura di Piero Manzoni, scomparso prematuramente quattro anni prima, riprendendo un suo gioco-esperimento: chi entra in un cerchio dipinto nella piazza principale del paese è dichiarato opera d'arte permanente, con un attestato numerato e firmato dal sindaco. Manzoni [1933- 1963] aveva progettato nel 1961 i suoi "Certificati di autenticità", così concepiti: "Si certifica che [nome della persona] è stato firmato per mano mia e pertanto considerato, a partire dalla data sotto riportata, opera d'arte vera e autentica. Firmato: Piero Manzoni". Con Manzoni, quindi, si entra in una dimensione concettuale; sulla scorta della lezione delle avanguardie storiche, l'ampiezza dei confini dell'arte si estende molto al di là di quelli convenzionali; nello stesso tempo, si pone attenzione ai valori del corpo, che è proclamato opera d'arte non in quanto corpo-che-vive-e-che-agisce, ma solo in quanto oggetto; nella fattispecie oggetto della considerazione dell'artista, oggetto cui l'artista riferisce il suo gesto elettivo: più o meno lo stesso tipo di considerazione che Manzoni riserva ai propri escrementi inscatolati con l’etichetta "Merda d'artista".

2. Il corpo in azione L'attenzione da parte degli artisti nei confronti del corpo ha sempre goduto di ampio rilievo, fin dall'antichità; ma un atteggiamento nuovo che intende il corpo come matrice, come luogo, come struttura linguistica, come significante e cassa di risonanza dei significati, coniugandolo a uno spazio non solamente geometrico, né solamente deputato all'azione, ma riferito anche alla vita, si affaccia agli inizi del XX secolo: basti pensare ai futuristi e ai dadaisti, ad Artaud e a Duchamp. In Italia Balla e Depero parlano di "arte-azione" nella loro ipotesi di ricostruzione dell'universo,2 Marinetti allarga i domini dell'arte a ogni aspetto della vita e introduce indicazioni tecniche sull'uso del corpo nel manifesto della "declamazione dinamica e sinottica";3 perfino nel circoscritto campo della pittura si vuole che l'artista diventi "un vortice di sensazioni": Carrà parla di "pittura totale", di "cooperazione attiva di tutti i sensi" e conclude il suo manifesto del '13 dicendo che "bisogna dipingere, come gli ubbriachi (sic) cantano e vomitano, suoni, rumori e odori!".4

1 La provocazione e lo scandalo suscitano spesso forti reazioni del pubblico, che non di rado è coinvolto in improvvise azioni svincolate da qualsiasi programma precostituito. Basta un input dissacratore per dare il via a serate che dire movimentate è di gran lunga riduttivo. I futuristi, in particolare, teorizzano la voluttà di essere fischiati e contestati. E le contestazioni, appunto, costituiscono l'alimento principale di quegli happenings ante litteram. Ma non solo allora! Ricordo, per esempio, il poeta sonoro Arrigo Lora Totino, abile interprete del progetto futurista, che, preso di mira da un gruppo di contestatori con lanci di cocomeri, riesce, con calibrati rilanci, a trasformare l'evento in una godibilissima pantomima che finisce per rappresentare, con tagliente ironia, una denuncia dell'intolleranza,5 oppure Adriano Spatola, che tratta con il pubblico, gli si rivolge direttamente, accetta il colloquio e la sfida. Emblematico è lo scambio di battute, anche pesanti e violente della sua ultima performance romana:6 un clima teso, di grottesca irruenza verbale che rimanda alla “poesia come aggressione”, alla “poesia come scandalo”, alla “poesia come rapporto feroce col mondo” di cui egli stesso aveva parlato introducendo un’antologia di poesia italiana sul n° 20 della rivista fiumana “La Battana” nel 1969.7 Come è noto, eventi artistici basati sulla presenza del corpo in azione (ma ben al di là dei confini canonici della danza o del teatro) hanno grande successo e massima diffusione negli anni Sessanta, grazie ad artisti come John Cage [1912-1992], Jean Jacques Lebel [1936], Wolf Vostell [1932-1998], il gruppo in generale e, soprattutto, grazie ad Allan Kaprow [1927-2006], al quale si deve la spinta che condizionerà in maniera determinante le successive ricerche in ambito performativo. Kaprow rivolge tutta la sua attenzione alla vita "che è tanto straordinaria purché si riesca a lasciare che agisca come vuole". L'artista dà pieno e libero corso al flusso degli avvenimenti, ai dati materiali della realtà spazio-temporale, al di là della finzione, al di là della rappresentazione, ricercando un impatto forte con gli oggetti che riempiono la dimensione del quotidiano, con il prodotto di consumo, con l'universo mercificato dai condizionamenti industriali e dalle logiche politiche ed economiche. In quegli anni, grazie anche alla convinzione che il fenomeno dell'intermedialità debba rappresentare un momento centrale del linguaggio artistico, si assiste alla trasformazione in chiave spettacolare di tutte le arti, dove il corpo, nel senso di Leib, assume il ruolo di vero e proprio centro di gravitazione.

3. Sotto il segno della Body Art In Italia, nel decennio che va dal 1967 al 1977, si diffonde, destando la curiosità della critica ma raccogliendo un pubblico esiguo e perplesso, il fenomeno della Body Art, dove il training del corpo è il denominatore comune del lavoro di molti. La schiera dei pittori e degli scultori attirati, anche occasionalmente, dalle valenze corporee si fa molto fitta a partire dal 1968, anche sulla scia dei movimenti di contestazione: si è contro il prodotto corrente, l'oggetto istituzionale, la merce, la convenzionalità repressiva, a favore del gesto eversivo, dell'azione demistificante, dell'atteggiamento politico-filosofico di stampo marcusiano, che si pone a favore di una liberazione dell'Es, fonte di energia psichica ed espressione di forze pulsionali, contro una psicoanalisi intesa come strumento di normalizzazione. Alcuni agiscono in diretta, altri preferiscono la mediazione della fotografia, del film, del videotape. In una rapida carrellata si possono ricordare le esperienze di Cioni Carpi [1932], Giovanni Anselmo [1934], Claudio Cintoli [1935-1978], Jannis Kounellis [1936], Fabrizio Plessi [1940], Pier Paolo Calzolari [1943], Emilio Prini [1943], Giuseppe Penone [1947] e ancora quelle di chi preferisce agire sull'altrui corpo, come Gino De Dominicis [1947-1998], più interessato alla definizione della situazione che all'azione, Fabio Mauri [1926-2009], che predilige temi storici e socio-politici agendo in una dimensione parateatrale, Vettor Pisani [1934-2011], ossessionato da pulsioni autopunitive, il napoletano Giuseppe Desiato [1935], che agisce in situazioni tra il mistico e il folklorico, Elmerindo Fiore [1947], fin dal ’70 alla continua ricerca di anime improbabili, tra travestimenti, proiezioni e sparizioni, in un processo automitologico equamente distribuito tra parola, immagine e gesto; e ancora si può ricordare Luca Maria Patella [1938], coinvolto a pieno titolo nell'Arte Concettuale, il quale agisce analizzando ironicamente il linguaggio e attivando il meccanismo del motto di spirito, oppure giocando con segni ed oggetti in un rapporto molto stretto

2 con il pubblico, finalizzato alla liberazione di energie positive in una sorta di psicodramma. Ma principalmente vanno indicate Gina Pane [1939-1990], di nazionalità francese, ma di padre italiano, e Ketty La Rocca [1938-1976]. La prima, con un taglio sado-masochista, costruisce performance estremamente calibrate e poetiche, talvolta addirittura raffinate, nonostante siano pervase da sconcertanti azioni, durante le quali l'artista si trafigge con spine, si ferisce con lamette affilate, si fa attraversare il volto da vermi, mangia cibo avariato, addirittura si impegna in lunghissimi gargarismi fino a provocare la fuoriuscita del sangue. Ma, sudore, lacrime e sangue, tutto, tra lucidità e allucinazione, è dominato da una spiccata componente estetica che trae tensione e ragione in una forte carica libidica e nella convinzione che la complessità della struttura corporea disponga di inesauribili valenze espressive. Dice Gina Pane: "Il corpo è una creazione permanente, una continua costruzione".8 Ketty La Rocca, invece, partendo dallo studio di linguaggi pre-verbali, fin dai primi anni settanta, utilizza il corpo come supporto per le sue scritture e le fa interagire con il gesto, fondendo i due sistemi espressivi o riversandone uno nell'altro e viceversa; pone particolare attenzione alla gestualità delle mani,9 ma utilizza anche la voce come dato corporeo, in particolare giocando sul silenzio come interruzione del flusso sonoro e sull'accumulazione del flusso stesso, che attraverso sovrapposizioni sfasate arriva quasi al "rumore bianco", ad una superconcentrazione babelica e autodistruttiva dei singoli messaggi. Lea Vergine, la prima studiosa italiana a dedicare un volume alla Body Art,10 traccia in questi termini il repertorio del body artista: "Le testimonianze di sé, della propria vita, gli stimoli che riguardano la sfera del ‘privato’ vengono impiegati come materiale da repertorio. Tutto diventa elaborabile: una qualunque azione di un qualsiasi momento di una qualsiasi giornata; le proprie foto; le radiografie del cranio o del torace; la propria voce; tutti i possibili rapporti dell'uomo con gli escrementi e con i genitali; il proprio travestimento; riti, cerimoniali e affabulazioni psicopatologiche; ricostruzioni del proprio passato o messe in scena di un ipotetico futuro; l'inventario degli accidenti personali; la mimica, la ginnastica, le acrobazie; le percosse e le ferite. Competitività, distruzione, avidità e relativi sensi di colpa sono esasperati dalla civiltà dell'automazione". Il travestitismo, il narcisismo, l'erotismo, il sado-masochismo dell'artista dapprima si coniugano al voyerismo del pubblico, poi diventano pretesti catartici. Non c'è più il tradizionale distacco tra opera e punto di vista, perché non c'è più cesura tra luogo e tempo dell'azione e dell'osservazione, così come accade in quegli anni nell'ambito della sperimentazione teatrale (Jerzy Grotowski [1933-1999], Eugenio Barba [1936], Bob Wilson [1941], il Living Theater di Julian Beck [1925-1985] e Judith Malina [1926], ecc.). Ma, principalmente, non c'è più copia del reale, non c'è più finzione: si tratta di azioni che entrano di forza nella vita del singolo spettatore, chiamato a partecipare a pieno titolo o, comunque, a farsi testimone dell'irripetibilità dell'evento. Sia pure in chiave totalmente differente, con uno sguardo allo spettacolo mediatico e con uno spiccato gusto coreografico che rinvia al concetto bragagliano di “scultura vivente”, si inseriscono in questo filone le performance di Vanessa Beecroft [1969], artista che gode attualmente di uno straordinario successo di critica e di pubblico.

4. Poesia e no: new media e sinestesia Una seconda strada verso l'esaltazione dell'azione, del gesto, del corpo, dei valori sinestetici è quella indicata dai poeti della sperimentazione verbovisiva e sonora; seconda strada che, con ramificazioni, si prolunga proficuamente fino ad oggi. ricorda a proposito della formazione del "Gruppo 70", sorto a Firenze nel 1963 ad opera dello stesso Pignotti [1926], di Eugenio Miccini [1925-2007], di Giuseppe Chiari [1926-2007], di Lucia Marcucci [1933] e di altri, che la volontà di rompere con l’ossequiente tradizione borghese in favore di un'interdisciplinarità anticonvenzionale aveva condotto gli artisti a lavorare tra suono e immagine, tra cinema e teatro, tanto da poter

3 affermare che gli antecedenti delle performance (così diffuse negli anni successivi) dovevano essere rintracciati negli spettacoli intitolati "Poesia e no". Su "Poesia e no" Eugenio Miccini scrive: "È una specie di poesia-spettacolo che contiene, appunto, poesie e altro materiale di provenienza extra- letteraria: notizie giornalistiche, poesie visive, canzoni di largo consumo, azioni quotidiane, gesti comuni, partiture registrate su nastro, suoni concreti, ecc. [...] Tutti questi materiali [...] sono montati mediante varie tecniche: sovrapposizioni, dissolvenze, sequenze, riprese. Ne risulta una costante simultaneità di azione, tale da sollecitare lo spettatore a più livelli, disponendolo ad assorbire e a reagire con una omologa simultaneità di registri sensibili e psicologici".11 Miccini arriverà alla "Poesia a perdere", lanciata con razzi verso il cielo, alle "Parole di fuoco", scritte con polvere da sparo e zolfo, che sono incendiate mentre una ballerina esegue la "Danza rituale del fuoco" di De Falla o al "Concerto per piano ed automobili a coda", dove il performer apre il gran coperchio del piano ed esegue suoni e gesti sulla tastiera mentre i piloti di dieci automobili, aperto il cofano delle loro macchine, intervengono sull'acceleratore e sul clacson. La poesia visiva caratterizza la sperimentazione artistica di quegli anni; essa, scrive Pignotti, "ponendosi come scuola di guerriglia semiologica, prospetta potenzialmente – nell’ambito di una civiltà dei segni, nell'ambito di una società di massa – un’autentica rivoluzione culturale".12 In realtà l'area di quella che sarà poi promiscuamente chiamata "scrittura" (poesia visuale, poesia visiva, concretismo, scittura simbiotica, poesia materica, ecc.) si aprirà presto alle più disparate contaminazioni linguistiche, tecniche e mediatiche e segnerà sorprendenti traguardi performativi all'insegna della sinestesia. In un’intervista del 1987, Miccini ricorda: “… ho preparato uno spettacolo in cui uso simultaneamente immagini (quattro schermi in cui compaiono rispettivamente: consonanti su fiori, strumenti musicali, fumetti, schermi colorati), suoni (musiche e parole), profumi (cinque aromi) e bon-bon (cinque sapori corrispondenti ai cinque aromi) e invito il pubblico a toccarsi con le mani o con la testa in determinati momenti. È uno spettacolo totale dal punto di vista della sinestesia, ma non da quello dei media. Ma quello che più mi interessa è tendere non solo alla totalità delle sensazioni, ma anche alla molteplicità e complessità dei concetti e delle emozioni”.13 Pignotti da anni teorizza il fenomeno della percezione multipla, dell'intersezione percettiva, dello scambio di sensi, e approfitta dei suoi studi per mettere a punto performance che non coinvolgano solo la vista e l'udito, come più generalmente succede, ma anche il tatto, l'olfatto ed il gusto, che, molto raramente svolgono ruoli in ambito artistico. Pignotti usa l'ironia della parola e del gesto e, provocatoriamente, può offrire un drink-poem, così che ognuno possa assimilare per via orale un cocktail di versi; può offrire un chewing-poem, così che tutti possano masticare senza sforzo un po' di poesia; ma può anche distribuire poesie in forma di ostia, numerate e firmate: il poeta gioca ad offrire se stesso al pubblico, con il quale potrà ritrovarsi in comunione per via breve, senza passare per i troppo complicati meandri del cervello. Quello dell'arte edule è un tema che ha affascinato e continua ad affascinare molti artisti del corpo proprio per i suoi aspetti materici. Nel 1960, durante due manifestazioni a Copenhagen e a Milano, Piero Manzoni aveva consacrato alcune uova sode imponendovi la sua impronta digitale; ricordando quelle occasioni l'artista affermava: "Il pubblico ha potuto prendere contatto direttamente con queste opere, inghiottendo una intera esposizione in settanta minuti".14 Ma vale la pena ricordare, a questo proposito, anche le cene futuriste, cui si ispirano i "pappapoemi" di Arrigo Lora Totino e le sue cene- performance apparecchiate con Sergio Cena ("L'ora di Cena da Totino") o le pagine d'artista in forma – e sostanza – di poemi commestibili offerte al pubblico da Carlo Belloli [1922-2003]. Per fare ancora qualche esempio in tema di sensi poco praticati in arte, ricordiamo che il poeta Luciano Caruso [1944-2002] nel 1974 presenta una sua "Poesia olfattiva", riproposta in altra chiave a Parigi al Centre George Pompidou, e nel 1981 un "Concerto tattile" con E.M. Paraito, sulla scia del Tattilismo marinettiano; mentre artisti come Angela Ricci Lucchi [1942] e Yervant Gianikian [1942] bruciano essenze profumate e aspergono lo spazio di sostanze balsamiche per definire l’area del proprio intervento in termini olfattivi alla "Prima Settimana Internazionale della Performance" a nel 1978.15

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5. La presenza della voce Nel 1916 Marinetti con "La declamazione dinamica e sinottica", specifica che il declamatore deve essere “un inventore e un creatore instancabile”. La declamazione deve esplodere in tutta la sua fisicità: protagonista il gesto, la presenza scenica, la forza dell'impatto con il pubblico, la dinamica del movimento, la presenza della voce come affermazione del corpo, l'esplosione dei suoni fondati in prevalenza sulla materia linguistica frantumata e aspra nella quale devono svolgere un ruolo di primo piano le consonanti in evoluzioni fonetico-rumoristiche. Ma solo quando, nella seconda metà del XX secolo, le ricerche fonetiche incontrano le nascenti tecnologie magnetofoniche, è possibile indagare nuovi universi sonori. La “poesia sonora” della fine degli anni cinquanta sostituisce alla scrittura (o, comunque, alle forme di notazione che fino ad allora avevano tenuto il campo) la registrazione diretta su nastro, impegnando tecniche compositive mai prima utilizzate in ambito poetico. Il “poeta sonoro” può finalmente individuare nuovi spazi acustici utilizzando le tecniche di montaggio in analogia con quanto avveniva nelle arti visive (collage e décollage) e può contare su una vasta gamma di effetti. Negli anni sessanta, poi, le implicazioni teoriche dei concetti di intermedium, intercodice, interlinguaggio moltiplicano i percorsi di ricerca, sia relativamente alle tecniche che alle poetiche. Per settori di sperimentazione che già applicavano sul piano tecnico principi di taglio intermediale, pur non possedendone una chiara coscienza sul piano teorico, è occasione di apertura di nuove ed insospettate prospettive di sviluppo: all'idea di categoria è sostituita quella di continuità, non trascurando le esperienze storiche dell'avanguardia e, nello stesso tempo, considerando attentamente la lezione di chi, come John Cage, ha integrato fin dai primi anni cinquanta il proprio lavoro con alcuni aspetti della tradizione futur-dada. In Italia, i poeti Adriano Spatola16 e Arrigo Lora Totino sono tra i primi a registrare criticamente i sintomi di questa situazione concentrando le loro riflessioni nell'area della poesia sonora e della poesia concreta. Sul fronte "visivo" Eugenio Miccini e Lamberto Pignotti17 fanno altrettanto. In altri settori, dalla musica al teatro, queste nuove indicazioni segneranno in maniera sempre più evidente la frattura con gli ambienti artistici conservatori e sosterranno una rinnovata attenzione verso gli "ismi" storici, sia sul piano interpretativo che creativo. La performance poetica orientata verso l'intermedialità ingloba i codici propri delle arti del movimento e dell'immagine, per approdare a forme fortemente strutturate in cui tutti i mezzi di espressione artistica intervengono in reciproco sostegno. "In questa prospettiva la voce è da considerare, insieme alla gestualità, come una funzione di base del testo, inteso nella sua più ampia accezione", nota Matteo D'Ambrosio. "La voce sembra un oggetto dimenticato e misterioso, un universo complesso e fin qui del tutto inesplorato; essa non si lascia considerare isolata, ed esprime la più vera corporeità del linguaggio; infatti interrogarsi sulla voce esprime, per l'arte contemporanea (teatro, musica, poesia), la necessità di lasciar parlare il corpo". Sull'argomento concorda Renato Barilli: "[...] non basta parlare di una performance orale- sonora; l'emissione dei suoni non può non essere accompagnata da una gesticolazione del corpo, da una mimica facciale, da un comportamento globale". D'altronde è nelle tesi di Walter Ong che il recupero dell'oralità implichi inevitabilmente la componente gestuale, nelle tesi di Paul Zumthor che la voce si avvalga proficuamente della presenza scenica e in quelle di Claude Lévi-Strauss che la creatività orale sia comunque totalizzante.18 Lo spazio acustico investito dal flusso orale, articolato sulla vasta gamma dei valori della vocalità, è quello privilegiato dai poeti-performer. Le modalità tecniche principalmente praticate sono due: la prima utilizza la ricchezza della vocalità a servizio del linguaggio; la seconda fa della vocalità un mezzo per esaltare i valori del corpo. Arrigo Lora Totino [1928], fin dagli anni sessanta, è impegnato in ricerche sulle interrelazioni tra poesia visuale e fonica, tra linguaggi plastico-figurali e gesto; egli concepisce la poesia come

5 spettacolo; in effetti molte delle sue ricerche sulla vocalità e sulle potenzialità sonore della scrittura si esprimono al meglio se coniugate alla presenza del corpo, al gesto che interviene in maniera determinante nella composizione poetica. Lora Totino parla di "mimodeclamazioni" e di "poesia ginnica". Osserva Eugenio Miccini che nel suo lavoro "tutto è ritmato dalle cadenze delle mani, dagli andamenti del corpo, morbidi, saltellanti, vibranti".19 Egli appare in calzamaglia nera o bianca e spesso reca in scena curiosissimi strumenti finalizzati alla performance di poesia sonora, particolarmente funzionali alle atmosfere cabarettistiche, come quelli realizzati appositamente per lui da Piero Fogliati: il liquimofono, l'idromegafono, il fleximofono, il mozzaparole, tutti congegni strumentali da utilizzare per plasmare, modellare, deformare il materiale linguistico attraverso forzature vocali condizionate dal movimento del corpo e dalle esigenze dello spazio d’azione. Per esempio, le parole vengono sezionate in fonemi ed arricchite da riverberazioni metalliche oppure passano attraverso l'acqua caricandosi di umori gorgoglianti. Questi strumenti possiedono una valenza plastica notevole, tanto da far sentire tutto il peso della loro presenza sul pubblico. Il loro ruolo è, in realtà, oggi, legato più al valore scenico che alla possibilità di trasformazione dei suoni vocali, specialmente se consideriamo la vastità delle possibili manipolazioni in ambito elettronico. Ma in effetti, Lora Totino usa materiali e oggetti acustici principalmente per provocare il pubblico o per ottenerne il coinvolgimento, come nella performance della "balena", dove con l'idromegafono lancia spruzzi d'acqua sulla platea, o nei concerti per fogli di carta stropicciata, strappata, gualcita dove chiede l'intervento diretto degli spettatori.

6. Il corpo come polo di energie Nelle performance di Adriano Spatola [1941-1988] la grana della voce è più evidente, la vocalità si esprime con una maggiore matericità; il corpo diventa il centro di un campo di forze magnetiche collegate al mondo; ogni battito, ogni pulsazione è un modo di permettere la comunicazione, di favorire collegamenti iper-estetici. Il corpo è un tam tam che dissipa energie, che attua un processo di ionizzazione. Ma il corpo non è solamente un organismo che emana: è anche recettore degli stimoli provenienti dal pubblico che immediatamente inscrive in se stesso. L'avvenimento performativo è collegato al contesto più di quanto non appaia. Ogni situazione esterna, ogni avvenimento casuale, tutto l'ambiente, che pure è influenzato dalla performance, influisce su di essa; ed essa, a sua volta, riflette e rilancia provocando modificazioni istantanee. È un gioco di specchi operato contemporaneamente dal poeta e dal pubblico, il quale si esprime con piccoli segni, gesti di reazione anche minima, tratti espressivi, mormorii, silenzi, sospiri, respiri, colpi di tosse, applausi, fischi o macromovimenti.20 "Il poeta – dichiara Spatola – si sente il dovere di assumere su di sé a tutti i costi (clown, pseudosciamano, scemo del villaggio, folle di Dio, ecc.) il ruolo di manipolatore del fantasma". Tale fantasma – che identificherei con l'essenza libera della poesia – "in apparenza così innocuo, così fragile, così idiota, è l'unico spaventapasseri che possa ridicolizzare il ribrezzo (borghese) per ogni negazione sostanziale dei valori". Ma "bisogna anche avere il buon senso di capire" – aggiunge Spatola – "che il poeta è diventato un animale asociale per puro amore verso la società".21 La voce ha spessore materiale e sostanza corporea nel lavoro di numerosi altri poeti, tra i quali si devono ricordare Patrizia Vicinelli [1943-1991], sempre protagonista di intense e pregnanti performance condizionate dal suo carattere inquieto e connesse alla sua vita tormentata; Luciana Arbizzani [195?-1991], immersa in visioni deflagranti dove la catastrofe assume il colore d'una festa tragica e le forme meravigliose di una improbabile inquietante farfalla sonora; Luigi Pasotelli [1926- 1993], che impasta lingue, dialetti, neologismi, funambolismi fonetici, ecolalie e rende il tutto in un continuum sonoro tra l'interpretazione del reale e il sogno, tra l'incubo e la proiezione fantastica, tra grottesco e satira esistenziale; nella sua scrittura fonetica Pasotelli gioca sulla coscienza del peso della sua presenza scenica e delle sue qualità vocali, sull'intensità e il timbro cupo della sua voce, che finiscono per costituire i caratteri salienti e più coinvolgenti nelle sue performance. Una collocazione particolare merita Demetrio Stratos [1945-1979], musicista e cantante, nato ad Alessandria d’Egitto

6 da genitori greci e vissuto in Italia fino alla sua morte, noto al grande pubblico per aver fatto parte di formazioni rock; dedito anche alla poesia sonora, Stratos dimostra una qualità timbrica, una potenza vocale ed una padronanza della voce di livello eccezionale; interessato alla sperimentazione musicale, interpreta tra l'altro opere di Cage, utilizza spesso la difonia e riesce ad articolare con sorprendente rapidità aggregati fonematici complessi.

7. Laboratori A partire dal 1979 si formano in Italia alcuni gruppi di ricerca poetico-sonora che dedicano ampio spazio alla performatività intesa come componente fondamentale dell'elaborazione testuale. Per la maggior parte degli autori appartenenti a queste compagini, la performance si appoggia su un progetto di scrittura soggetto ad espansioni spazio-temporali in chiave spettacolare. Il primo gruppo, costituito a Fiuggi nel 1979 in occasione della rassegna internazionale "Oggi Poesia Domani"22 e denominato Il Dolce Stil Suono, è composto da Adriano e Tiziano Spatola, Arrigo Lora Totino, Milli Graffi, Agostino Contò, Sergio Cena, Giovanni Fontana e Giulia Niccolai. Della Niccolai [1934] si deve ricordare la grande ironia nell'uso delle intonazioni, particolarmente funzionali ai testi fondati sul nonsense. Nel 1987, a seguito della pubblicazione dell'antologia “Post Poesia”,23 si costituisce il gruppo Fuoritesto, con Vitaldo Conte, Tomaso Binga, Pino Blasone, Vanni De Simone, Enzo Minarelli, ecc.. Successivamente, intorno alla testata di poesia sonora Baobab, fondata da Adriano Spatola e Ivano Burani, si forma nel 1994 il gruppo omonimo, al quale aderiscono, tra gli altri, Antonio Amendola, Enzo Berardi, Carla Bertola, Tomaso Binga, Corrado Cicciarelli, Arrigo Lora Totino, Enzo Minarelli, Massimo Mori, Nicola Paniccia, Gian Paolo Roffi, Luisa Sax, Alberto Vitacchio, Giuliano Zosi, ecc.. Il sottoscritto, che fa parte di tutte le compagini, ha modo di elaborare, nell'arco di tempo dell'attività dei gruppi, un progetto teorico intorno alla pre-testualità della scrittura performativa, oggi fulcro di nuovi rapporti tra vocalità e progetto poetico. L'interazione tra oralità e scrittura offre al poeta-performer significative aree d'intervento. Il progetto poetico amplia il suo universo tecnico e si arricchisce del contributo strutturale della presenza corporea, recuperando, del resto, un patrimonio che era insostituibile nella poesia delle origini. La cosiddetta “nuova oralità” fondata sulle memorie artificiali della scrittura, da una parte, e dell'elettronica, dall'altra, stabilisce un rapporto privilegiato con i nuovi media, esaltando le risorse della vocalità. Al di fuori della pagina scritta o stampata, perseguendo obiettivi poetici attraverso nuovi percorsi significanti, il poeta-performer supera la tradizionale concezione del testo, che diventa testo integrato, politesto che prelude a tessiture dinamiche complesse e articolate nella dimensione dello spazio-tempo. Il testo scritto si pone come pre-testo, in quanto progetto. È un’anticipazione, un’occasione, un luogo da trasfigurare, dove agisce il corpo, dove interviene il suono, dove si profilano gli oggetti e le architetture, dove le tecnologie offrono strumenti creativi sorprendenti, dove è possibile stabilire inconsueti rapporti con l’ambiente e con l’audience.24 Tra i performer attivi in ambito poetico-sonoro a cavallo tra XX e il XXI secolo, ricordiamo quelli con spiccate inclinazioni verso le forme che Spatola definisce "totali", pur sottolineando la validità generale della ricerca in corso di quei poeti che amano orchestrare vocalmente il linguaggio scritto, talvolta anche appoggiandosi a basi musicali. Tomaso Binga [alias Bianca Pucciarelli Menna, 1931], animatrice del romano “Lavatoio Contumaciale”, vero e proprio laboratorio pluridisciplinare, pone la pratica dell'arte come scrittura al centro dei suoi interessi fin dai primi anni settanta. Si tratta di una scrittura materiale, talvolta illeggibile, strettamente legata al gesto che la compie e al corpo che alimenta tale gesto impegnando visivamente l'ambiente. L'ironia e la dissacrazione si affidano a una vocalità basata sul recupero di modalità comunicative ed espressive attinte al patrimonio dell'oralità popolare: dalle filastrocche alle nenie, dal grido degli strilloni di piazza e dei venditori ambulanti all'intonazione dei cantastorie,

7 tanto da farle preferire al termine "performance" la locuzione di "sceneggiata poetica", che segna decisamente la volontà di sottolineare le proprie radici campane. Scrive Paolo Guzzi che "Binga è passata a performance in cui il grottesco, le sonorità più logore del mondo tecnologico, il ridicolizzare i nostri classici, il nonsense, il gioco di parole, sono ingredienti di una poesia che vuole arricchire il proprio testo di tutta l'energia necessaria a stabilire un rapporto stretto con il pubblico".25 Massimo Mori [1944] è animatore di azioni poetiche internazionali a Firenze, prima nel festival “Ottovolante”, poi nelle serate dello storico caffè “Le Giubbe Rosse”. Le sue performance si organizzano puntando su una rigorosa delimitazione del territorio performativo e su un uso del corpo che combatte con se stesso tra rito e consuetudine, tra reale e immaginario, tra quotidianità ed evento, trasformandosi in un vero e proprio nucleo intertestuale, irradiante energie sul piano visivo, sonoro, verbale, gestuale. Ma il corpo dell'artista non è quello di un "io multiplo", bensì "l'integrazione olistica di un io unico" che pratica una creatività a tutto campo. L'attività performativa di Mori, che ha cominciato ad assumere particolare rilevanza negli anni ottanta, costituisce il naturale punto di arrivo di ricerche sul piano della poesia sonora, della gestualità, dello psicodramma, praticate a partire dalla fine degli anni sessanta. Attualmente egli crede nella capacità di proporre, attraverso la performance, modelli di comportamento costruttivi, ma lontani dalla positività banale. Maestro di T'ai Chi Chuan, pensa che si debba "performare il Budda" in tutte le sue forme, pur sapendo che l'incomunicabilità, l'angoscia, la solitudine sono tutti contrassegni dei nostri anni; si tratta allora di rendere tutto ciò in una dimensione ludica pur sapendo che non potrà essere eliminato. La pratica T'ai Chi, che integra gli aspetti fisici e psichici del corpo, lo ha condotto a stabilire un rigoroso rapporto tra le geometrie del corpo e dello spazio, attraverso il controllo del movimento che si fa, così, architettura dinamica. Il gesto è elemento significante in sé, ma è anche fattore organizzativo. Nelle sue performance coinvolge spesso gli oggetti, che di volta in volta assumono valore simbolico che rinvia a dimensioni socio-antropologiche o impegnano ruoli interpretativi, oppure segnano momenti rituali o squisitamente linguistici, come le maschere-calco che incarnano il doppio dell’artista. Tra le sue azioni, molto significativo è il "Combattimento con l'ombra", che, al momento, si pone tra le opere più emblematiche della filosofia di Mori. “Area N.O.” è il nome dello spazio olistico diretto attualmente dall’artista.

8. La tradizione della Poesia sonora Gian Paolo Roffi [1943] si colloca nella migliore tradizione della poesia sonora italiana. Redattore di "Baobab", collabora con Adriano Spatola, esibendosi con lui in alcune famose performance. Eugenio Miccini scrive di lui: "Nella sua ricerca sulle possibilità che la parola poetica raggiunge attraverso l'esaltazione dei suoi valori fonici, Gian Paolo Roffi opera con un metodo che si può definire allo stesso tempo sottrattivo e additivo".26 Convinto che la poesia possa svelare insospettate caratteristiche formali e strutturali attraverso l'ascolto, piuttosto che attraverso la lettura, soprattutto in rapporto ai tempi di percezione, Roffi sceglie per l'esecuzione testi minimali, senza tuttavia scendere mai sotto la soglia del monema. "Tali testi vengono quindi sottoposti ad un procedimento iterativo che si spinge senza alcuna cautela fino ai limiti dell'ossessione, o, per meglio dire, della saturazione uditiva. L'enunciazione della parola si pone inizialmente come affermazione del suo significato, ma poi la ripetizione determina un effetto di sottrazione del ‘senso’, e di esaltazione della natura fonica della parola stessa. Se la recitazione si interrompesse a questo punto, il testo avrebbe raggiunto il cosiddetto ‘grado zero’, sarebbe stato annullato in pura sonorità. Al contrario, il perdurare della ripetizione produce il pieno recupero del significato, accresciuto dall'addizione degli elementi sensibili, materiali – se così si può dire – della parola. L'uso di effetti sonori, anch'essi minimali, tende di regola a sottolineare la durata temporale della ripetizione, il suo protrarsi in un tempo uniforme, pressoché indefinito. L'esito di questo procedimento è la fusione, l'integrazione totale degli elementi fonici e di quelli significativi, vale a dire quella che si può riconoscere come specificità dell'uso poetico del linguaggio".27

8 In performance adotta testi scarni dove, generalmente, assume un ruolo principale la ripetizione ossessiva; utilizza spesso una vocalità asettica tesa a provocare reazioni ipnotiche. Il rapporto con il testo, caratterizzato dall’assenza di partecipazione, produce andamenti sinusoidali determinati dal graduale svuotamento dei significati della parola e dalla successiva riconquista del senso, in ragione dell’esasperato processo iterativo e dei conseguenti effetti magnetizzanti sull’ascoltatore. Enzo Minarelli [1951], al quale si devono le edizioni "3Vitre" di poesia sonora, teorizza la "polipoesia" come "prodotto complesso, fusione e risucchio di diverse componenti: attorno al perno di una sperimentazione sonora, che ha i tratti tipici della poesia fonetica, si alternano, ma non necessariamente in forma simultanea, elementi di musica-rumore, danza, mimica e immagine".28 Carla Bertola [1935] e Alberto Vitacchio [1942] praticano l'intermedialità occupandosi di scrittura, di visualità, di libri-oggetto e libri d'artista, pubblicano la rivista "Offerta Speciale", che si propone come una sorta di osservatorio internazionale, e le edizioni sonore "Paté de Voix". Tutta la loro esperienza confluisce nelle operazioni gestuali e sonore che propongono autonomamente o in coppia. In genere le loro performance si presentano come labirinti sonori che impegnano il corpo in azioni ossessivamente intrecciate, in percorsi trepidanti e ansiosi; altre volte propongono atmosfere magmatiche nelle quali le voci si sovrappongono secondo tracciati iterati con insistenza; spesso l'impasto sonoro fa perdere completamente le tracce dei testi di base per privilegiare i valori della pura vocalità. Federica Manfredini [1949-1997], a partire dagli anni '80 è impegnata in una ricerca di "aggregazione-disgregazione" della parola, tra scrittura visuale, poesia lineare e poesia sonora, aperta a performance trasparenti e raffinate. Sulla scorta delle esperienze delle avanguardie storiche e delle mediazioni dell'happening, di fluxus e della body art, Mauro Dal Fior [1955] concepisce il suo lavoro come una forma di poesia d'azione che predilige il suono e la vocalità, anche se, all'immagine non è poi assegnato un ruolo secondario. Si tratta, insomma, di poesia da ascoltare e da vedere: giochi verbali, corpo, oggetti, apparecchiature elettroniche e rapporto con il pubblico costituiscono i cardini della sua proposta. Dedito anche alla rilettura di materiali futuristi e dadaisti, ma anche al repertorio fluxus, ha realizzato numerose performance. In "Ritagli" (1990), i testi, realizzati con ritagli di giornale, sono proiettati su corpi nudi maschili e femminili e letti secondo le loro sensazioni immediate (caldo, freddo, prurito, piacere, fastidio, ecc). "Eventi" (1992) è, invece, una performance dedicata a John Cage (che Dal Fior considera uno dei suoi padri spirituali) e ideata per il suo ottantesimo compleanno: compleanno che il musicista americano non ha mai potuto festeggiare. All'azione intervengono una decina di performer che leggono frammenti di testi pubblicati sulla stampa italiana in occasione della morte del musicista e che utilizzano i materiali più disparati: giocattoli sonori, elettrodomestici, palline da ping pong, trenini, carillon e strumentini diversi, torta con candeline, nastro magnetico, pianoforte verticale, sega, ecc. ecc. Al culmine della prima esecuzione della performance, il pianoforte verticale è segato in due; l'azione costituisce una pièce dans la pièce che è ironicamente intitolata "Concerto per pianoforte se ... parato". Musicista, compositore, Giuliano Zosi [1940] si affaccia alla poesia sonora alla fine degli anni settanta. Nel 1976, durante un suo concerto al Teatro "Out Off" di Milano, incontra Arrigo Lora Totino, ormai da anni noto performer. Da quel momento il suo lavoro subisce una svolta fondamentale. Zosi, infatti, vede nella poesia sonora un fertile territorio per ampliare i confini della musica e per creare più dinamici rapporti tra musica e poesia tout court. Nel 1980 scrive il suo "Phonos 1". In seguito propone composizioni, basate su scioglilingua, filastrocche, formule magiche paramisticheggianti, ma anche giocando su conflitti di lingue, in particolare sul contrasto tra la lingua popolare e quella latina medioevale, utilizzando al meglio le proprie qualità vocali. Si tratta di "Phonos 2", "Phonos 3", "Phonos 4" e "Phonos 5". In alcuni momenti, come in "Phonos 5", elabora in chiave alchemica, temi relativi alle regioni dell'inconscio, rivisitando a suo modo Freud e Jung e navigando liberamente oltre quei confini, come in un viaggio fantastico all'interno della parte segreta, non rivelata, dell'essere umano. "A fondamento del 'Phonos

9 5' - dice Zosi - vi è l'idea di un viaggio dal mondo della parola al mondo del fonema, sino alla pura lettera: vi vengono descritte l'ingresso alla porta dell'inconscio, l'origine arcaica della divinità, le paure e i sensi di colpa freudiani, i simboli magici del male e del bene, gli errori di linguaggio e infine, con il congiungimento all'inconscio collettivo atomico, l'interiezione".29 Anche per Vittorino Curci [1952] e Antonio Amendola [1957] l’esperienza poetica si colloca sui versanti della musica: sassofonista il primo, polistrumentista il secondo, entrambi sostengono la materialità sonora del significante linguistico e plurilinguistico con una voce ben esercitata. D’altra parte, l’esercizio della vocalità impegna sempre con maggiore evidenza la stessa poesia lineare che alla pronuncia diretta del verso affida ragioni di sopravvivenza, anche se in diversi autori si profilano nettamente intenzioni finalizzate alla dilatazione del senso come, per esempio, in Franco Beltrametti [1937-1995], Giacomo Bergamini [1945-2004], Ginestra Calzolari [1945], Paolo Gentiluomo [1964], Gianpaolo Guerini [1958], Nicola Paniccia [1932], Claudio Pozzani [1961], Sandro Sproccati [1954], Antonello Ricci [1961], ecc. Occorre citare ancora l’humour di Paolo Albani [1946], cultore di scienze anomale, di giochi verbali e sagaci nonsense, l’atteggiamento dissacratorio di Sergio Cena [1948], la teatralità di Massimo Arrigoni [1955], le storiche atomizzazioni di Maurizio Nannucci [1939], le atmosfere ipnotiche di Luca Gentilini [1956-…]. Sul fronte bruitista sono impegnati Gabriele-Aldo Bertozzi [1939], “gran mestro” dell’Inismo, autore di montaggi audio fonetici, e Angelo Merante, teorico dell’ “Inika Sonorika”.

9. Musica per azione La musica, come territorio di intervento intermediale, come spazio di contaminazione che attrae a sé fattori gestuali e visivi ed elementi di matrice letteraria e poetica, offre a partire dalle fasi sperimentali degli anni '60, un panorama di interesse straordinario che gode in modo significativo dell'attenzione internazionale, come nel caso di Giuseppe Chiari. Già legato al ricordato Gruppo 70 (di cui faceva parte anche Sylvano Bussotti, poi, tra i maggiori esponenti della cosiddetta "nuova musica"), egli collega la sua esperienza artistica al movimento "Fluxus", così come faranno Gianni Emilio Simonetti e Daniele Lombardi. La sua opera rappresenta in maniera molto chiara il superamento dei confini tra le differenti discipline artistiche. Se non fosse perché nelle sue performance ancora appare il pianoforte a coda, si potrebbe rinunciare a riferire il suo lavoro ad un ambito musicale per situarlo, invece, in una più articolata e complessa area intermediale che, pur mantenendo legami con il mondo dei suoni, si apre ad universi nei quali la pratica dello scambio comporta la perdita dello specifico. Il gesto si fa suono, il suono si fa parola, la parola assume valore di notazione, la scrittura dichiara tutta la sua materialità, lo spartito musicale diventa immagine: Chiari, infatti, utilizza, il gesto, l'immagine, la parola, al pari del suono; ma nello stesso tempo attiva una serie di strategie che espandono l'intreccio dei segni nello spazio fisico della performance ed in quello di relazione, facendo leva sul pubblico al quale invia messaggi, suggerisce indicazioni, dà prescrizioni con l'intento preciso di realizzare una politica della musica all'insegna della più ampia libertà, al di fuori di canoni e prescrizioni istituzionali, inibizioni e tradizioni consumate. Dice Chiari "La musica è facile". E per questo desidera che tutti la pratichino senza timori. "Suonate quel che volete, quel che vi piace", suggeriva nel 1964, e spingeva la sua curiosità fino ad indagare la cosiddetta "musica da strada", così definita sia in chiave tecnica che semantica: una musica tessuta per lo più dal caso che sovrappone rumori, parole e gesti anonimi. Ma il taglio fortemente coinvolgente delle sue performance produceva quella che Vittorio Gelmetti chiamava "musica verità", che non piaceva assolutamente agli adepti dell'avanguardia ufficiale. Quella di Chiari è una contromusica, se riferita alla musica paludata, ma è musica e basta, se riferita al suo accadere, perché lo spessore dell'evento (anche in chiave esistenziale) antepone gli aspetti quantitativi a quelli qualitativi. La musica non rappresenta regole, ma si costituisce come materia, dove la forma è la sostanza stessa e viceversa: cosicché la musica non è altro che la pratica della musica, così come la vita è la pratica della vita. È in questa

10 chiave che può essere letta la performance in cui il pianoforte, come oggetto carico di senso, come simbolo dell'autorità della tradizione colta, ricco di connotazioni supreme, viene dissacrato tramite l'aggressione violenta dell'artista profanatore. Il rifiuto del pianoforte come presenza inibitrice e ostile, come espressione della misura, e, al contrario, l'accettazione dello strumento come oggetto tra gli oggetti del mondo, gli consentono da una parte di spingersi dentro i confini del concettuale, dall'altra di promuovere occasioni sonore liberatorie. Cosicché, se da una parte offre con grande tensione lo spessore dei suoi silenzi (o meglio delle sue atmosfere di rarefazione sonora, nelle quali il pubblico ascolta se stesso, il proprio respiro, il pulsare del proprio cuore, nella migliore tradizione cageana), come in "Gesti sul piano", dall'altra ricerca occasioni di coralità intorno ad una presunta "democraticità" dell'arte. È del '90 la sua "Improvvisazione libera" al Centro Pecci di Prato, nella quale oltre cento persone tra musicisti invitati e pubblico si sono impegnati in circa quattro ore di musica senza dover far riferimento ad alcun vincolo di partitura: "unica condizione quella di suonare, solo suonare". D'altra parte, negli anni del suo maggior impegno politico, Chiari progettava di suonare la città, nel senso di coinvolgere in una gestualità anarchica un'intera comunità, libera da convenzioni, prescrizioni, abitudini vuote, imposizioni di ritmi di vita scanditi secondo l'orologio e il calendario dei potenti. La musica per azione impegna in Italia un’attiva schiera di musicisti tra i quali vorrei ricordare Francesco Michi [1953], Paolo Tramannoni e Luca Miti [1957], artista che in più occasioni sottolinea il fascino del percorso come evento spazio-temporale cui affidare apparizioni sonore in base a scelte aleatorie; talvolta è sollecitato da dimensioni mitiche e popolari; ma l’interesse per le sonorità del contesto e per le caratteristiche dell'ambiente, lo spazio dedicato all'improvvisazione e la flessibilità dei confini dei suoi territori spazio-temporali ne tracciano senza dubbio l'immagine di un musicista votato al nomadismo. Ma bisogna ricordare ancora Albert Mayr [1943], che vive e lavora a Firenze da molti anni. Corpo e gesto nella sua opera si coniugano all'iconicità delle situazioni, che assumono valore di evento misurato, in cui tutta la massima attenzione è rivolta al tempo. La dimensione temporale può essere misurata considerando l'intervallo come spazio determinato da due eventi consecutivi che lo caratterizzano o come flusso in cui gli eventi si innestano. Da ricordare, per esempio, "Time-Aspects" (del 1976, credo), dove veniva misurato il rimbalzo di palline da ping- pong o la periodicità di apparizione e della durata della luce gialla di un semaforo; ma dove si misurava anche il tempo durante il quale un passante poteva essere scorto da una finestra o quello impiegato nell'attesa di un mezzo di trasporto pubblico o la durata di un suono percussivo, ecc.. L'intervallo tra due eventi consecutivi era l'equivalente del silenzio. Lo scorrimento lento, ostinato e tenace di un tempo sacrale e venerabile è, invece, l'oggetto della performance "1001 colpi di gong" di Roberto Barbanti, dove l'azione consiste nel suonare 1001 volte il gong, dando 1001 colpi di intensità differente ed aleatoria, notando ad ogni colpo dato il numero corrispondente su un foglio.30 Barbanti lavora da anni alla definizione di un'attitudine "PoEtica" nell'ambito di una nuova "EstEtica". Un caso a parte è costituito da Giorgio Battistelli [1953], noto per il suo "Experimentum mundi", che, pur non rientrando nella categoria della performance, deve essere ricordato per la qualità sui generis della gestualità impegnata nel contesto di un’opera musicale: l'autore, infatti, coinvolge diciassette maestri artigiani (fabbri, scalpellini, muratori, bottai, arrotini, falegnami, pasticceri, ecc.), con i loro attrezzi e i loro materiali, per intervenire dal vivo nella realizzazione di oggetti, con produzione di suoni solo come effetto secondario.

10. Altri versanti Su altri versanti agiscono poeti come Sarenco [alias Isaia Mabellini, 1945], portato negli anni '60 ad intendere la vita come gesto creativo (come performance, quindi) e arrivato a realizzare allestimenti sofisticati ed articolati, pur senza mai perdere lo spessore oppositivo e l'ironia anti-istituzionale, che talvolta gli hanno procurato grane con la polizia e con i procuratori della repubblica. Nel 1969 "la

11 violenza era pura e semplice creatività. Oggi - egli scrive - siamo qui a fare i conticini della serva, con funzionari mezzeseghe, già corrotti all'atto della nascita. Oggi nessuno possiede più un padre operaio come l'avevo io. I genitori attuali sono tutti direttori di supermercati, agenti immobiliari, programmatori di computer".31 Sarenco pratica l’invettiva, predilige l’arte conflittuale, per le sue poesie visuali utilizza penna, pennello e scudiscio. Non solo metaforicamente. Si vedano a tal proposito le opere della serie “Sadik”, frutto di performance nelle quali le scudisciate tormentano la tela e impastano il colore. Le sue performance possono prevedere musicisti, cantanti, danzatori e perfino la schiera dei "Trombini di San Bartolomeo delle montagne", che con i loro curiosi ordigni, usati un tempo per sparare colpi di avvertimento a favore dei contrabbandieri alpini al passaggio delle ronde di finanzieri e doganieri, durante la rassegna "Poesia Totale" di Mantova, hanno esploso micidiali cariche a salve che hanno procurato denunce per la lesione di un fabbricato e l'accidente di un infartuato. Cose che, d'altra parte, hanno sempre mandato in sollucchero Sarenco. Interessato ai risvolti artistici della comunicazione vibrazionale e della terapia olistica, Vitaldo Conte [1949] inquadra la sua ricerca testuale in ambiti complessi, oltre i limiti della parola scritta e detta. Studioso del Futurismo, ne subisce il fascino per quanto riguarda la climax di intransigenza, di sfida, di volontà di sconfinamento, di lussuriosa pulsionalità creativa, di eroica fisicità; ma nello stesso tempo guarda al mito dionisiaco e all’oscurità rituale che ne deriva. Predilige le atmosfere tese ed ossessive, evidenziando le segrete spinte del corpo. Le sonorità viscerali delle sue performance esaltano la valenza significante della materia corporea. L’incalzare dei tempi, l’intensità delle scansioni fonetiche e la densità delle masse timbriche rendono l’impatto con i suoi poemi sonori tanto duro quanto efficace a rimuovere nell’ascoltatore ogni scoria inibitoria e pregiudizievole ad una ricezione profonda. Da qualche anno ha assunto un avatar: una figurazione fantastico-virtuale denominata Vitaldix. Sotto queste spoglie (per molti versi un vero e proprio doppio), Conte ha celebrato il solstizio d’estate del 2009 con un “Volo/poema”, paracadutandosi da oltre 4000 metri con una rosa tra i denti. L’evento siglava l’atto di nascita di questa maschera artistica e segnava un omaggio all’Aeropoesia futurista in occasione del centenario del movimento. Alberto Masala [1950], invece, è poeta della dispersione dell'energia del corpo a favore della concentrazione interiore: "lo spirito acquista peso e leggerezza". Egli è convinto che "la visionarietà sia sovversiva e l'arte la renda credibile socialmente".32 Masala è fondatore di "minores", movimento poetico per la dignità delle minoranze, "dedicato a chi non ha voce o visibilità, a chi ancora oggi vede messa in discussione anche la possibilità di permanenza pacifica ed autonoma sulla propria terra, a tutti quelli cui viene impedito di parlare liberamente la propria lingua". Con una formazione ed un’esperienza coreutica, invece, Toti M. O'Brien articola il suo lavoro su partiture di gesti e azioni contrappuntate da frammenti di testo spesso musicati o cantati; lo spazio dell'azione, considerato elemento fondamentale, che viene modificato dal taglio dell'evento o che impone modificazioni ad esso, è variamente popolato di oggetti, luci, suoni, che interloquiscono dinamicamente. Toti M. O'Brien (il suo nome italiano è Mercadante) lavora nell'ambito del gruppo O'Brien/Roden, con suo marito John O'Brien e Steve Roden. La struttura delle performance del gruppo è estremamente elastica e segmentata, poiché presupposto fondamentale degli artisti è quello di adattare il più possibile i loro interventi alle situazioni spazio/temporali e alle molteplici situazioni offerte dai contesti in cui intervengono. Corrado Cicciarelli [1947], poeta lineare e sonoro, videoartista e performer, concepisce la performance come momento sinergico e sinestetico, ma nello stesso tempo quasi come azione rituale o come sacrificio simbolico, dove il corpo costituisce la superficie vissuta e vivente contrapposta a quella della pagina, della tela, dello spartito. L'artista coincide esistenzialmente con l'opera e non ideologicamente; egli non fa né interpreta, ma è, in un tempo e in uno spazio determinato, mezzo di comunicazione artistica. Tuttavia la necessità di rendere il corpo quale mezzo artistico non è subordinato al bisogno, bensì alla volontà di tradurre in linguaggio il senso della propria esistenza. In quest’ottica la performance sarebbe un'operazione barocca, che, animata e condizionata dall'horror vacui dell'artista di fronte alla nudità dello spazio e alla scansione costante di un tempo asettico che

12 scorre sempre uguale a se stesso, assolve al desiderio di accumulare, riempire e articolare facendo sì che il totale sia, sovvertendo ogni regola matematica, sempre maggiore della somma dei singoli elementi. Cicciarelli, che riconduce ad una dimensione poetica il discorso religioso, alimenta il suo universo espressivo di elementi mistici e messianici.

11. Azioni e intermediazioni William Xerra [1937] vive le sue esperienze di artista tra arti figurative e poesia, invadendo spesso lo spazio dell'azione, dove il corpo ricerca rapporti con echi lontani di voci e di gesti semplici, che sembrano riemergere grazie ai procedimenti di composizione (grafici e scritturali) che rappresentano il pretesto fondamentale delle performance, le quali, invece, sono tutte giocate sulla costruzione di atmosfere emozionali alimentate dal silenzio della concentrazione dell'artista a lavoro. Da registrare il primo fondamentale intervento di Xerra: "La verifica del miracolo" (1973), a San Damiano Piacentino, con il contributo di Pierre Restany, tutto giocato intorno alla presunta apparizione della Madonna delle Rose, che attira nel paesino centinaia di fedeli. Su un versante meno concettuale, "Ginnosofia", con la danzatrice Valeria Magli e Giuliano Zosi (Pavia, 1980). "Ellera, errare, strale", proposta in diverse occasioni, tra cui il XIII festival di Santarcangelo di Romagna (1983), "I percorsi della memoria" a Frosinone (1984), la rassegna "Osservatorio singolare" a Città della Pieve (1994), è articolata sull'impossibilità di comunicare e sul suo superamento. L'artista sposta l'attenzione del pubblico dai versi sussurrati sulle pagine di un libro- oggetto di marmo, freddo come una pietra tombale, alle sonorità piacevolmente malinconiche di un valzerino che investe lo spazio della performance e finisce per coinvolgere tutto il pubblico in un gran ballo in piazza. Nel 1979 Xerra aveva realizzato il suo "Percorso rituale nei Sassi di Matera", dove solcava mille sentieri ed infrangeva mille specchi, partendo dalla necessità di ricercare un rapporto con un contesto urbano unico al mondo per le sue caratteristiche spaziali e realizzandone un altro con le valenze simboliche delle "concrezioni" che il tempo in esso aveva depositato. Denominatore comune nelle performance di Xerra è il segno che si insinua tra l'artista che lo traccia e lo spazio che lo accoglie e che, come la memoria, finisce per funzionare da filtro tra corpo e misura, tra pieno e vuoto, tra realtà e immaginazione. Osserva Xerra che il corpo, attraverso le proprie sensazioni ed emozioni elementari, deve arrivare a conoscere intuitivamente le infinite "stanze" della misura, che in effetti rappresentano la gamma infinita e dinamica degli aspetti della realtà, sempre provvisoria, perché la provvisorietà è l'autentica misura dei nostri tempi. In quest'ambito si possono leggere i suoi "telai interinali" e anche le sue scritture, nelle quali, attraverso la parola "vive" (tratta dal gergo del tipografo che riafferma tutto il valore di una precedente cancellatura), egli recupera, da un mondo che scarta con estrema facilità i suoi prodotti (e che, per coerenza con le leggi della produzione e del consumo, non ha interesse a salvare nulla), i segni materiali di un fare pregresso: un fare che determina l'affioramento di memorie come mattoni per ricomporre, sia pure transitoriamente, corpi e misure del nostro tempo (queste ultime non più concepite come dato inequivocabile), dove sia gli uni, sia gli altri attraversano l'indecifrabilità di una realtà che continua a conservare misteri nel flusso del suo divenire. Scrive Xerra che l'uomo "costruisce apparizioni, immagini e momenti iconografici dell'improbabilità estetica. Lo spettatore-attore del processo universale non può e non ha la possibilità di fermare un frammento perché si trova nello stato reale del continuo presente di metamorfosi, distruzione e rivoluzione".33 Mirella Bentivoglio [1922] pratica la performance sempre in rapporto ad un oggetto estetico (realizzato o da realizzare); perciò, da una parte, essa si pone come processo che conduce alla realizzazione dell'oggetto, dall'altra si pone come evento focalizzato dalla presenza di un oggetto o come azione, meglio esecuzione, presupposta e definita da un oggetto con funzione di pre-testo.

13 Si possono riferire alla prima tipologia azioni come quella di "Gubbio 76", a cura di Enrico Crispolti, dove un grande albero secco, uno di quelli potati a candelabro, che una volta servivano a sostenere le viti e che ora vanno scomparendo nelle campagne (perché i sostegni sono offerti dai pali di cemento), veniva posto al centro di Piazza della Signoria; lì era fatto rivivere attraverso il gesto dei passanti, i quali, sollecitati dall'artista, scrivevano le loro impressioni per l'inconsueta apparizione su foglietti bianchi, che a centinaia e centinaia andavano a sostituire le foglie. Nell'edizione del 79 della manifestazione eugubina, sotto la volta ottenuta capovolgendo l'albero, la lettura dei foglietti dava luogo ad una sorta di poema collettivo. L'azione era integrata da una sequenza gestuale nella quale le mani indicavano con mimesi iconiche il passaggio dal segno dell'albero capovolto (prima simbolo del congiungimento tra terra e cielo e verso di esso ramificato, poi rivolto a terra a costituire un grembo, una protezione fecondante) all'immagine di una volta da considerare archetipo architettonico, quindi dotato di valenze socio-culturali. L'albero è stato infine fuso in bronzo. Alla seconda tipologia sono ascrivibili le "fonopoesie" o, in generale, le letture e le azioni che muovono da testi concreti, come in "Monumento" (1980, basato su un lavoro del 1965-66). Merita una citazione particolare l'azione, tra la performance, l'arte concettuale e la land art, denominata "Operazione Orfeo", nella quale la lunghissima, profonda e accidentata caverna nelle viscere del Monte Cucco, in Umbria, è fecondata con una scultura-uovo in cemento (1982-84): l'artista scende nelle viscere della terra in una sorta di viaggio simbolico verso quello che è il luogo del concepimento, l'origine delle tensioni telluriche e dell'energia vitale, il luogo dello spazio e del tempo indeterminati che alimentano il seme e lo fanno corpo e scansione pulsante.

12. Verso una drammaturgia delle arti L'esperienza di Nicola Frangione [1953] è orientata, invece, verso quella che può essere definita una "drammaturgia delle arti". L'attenzione al corpo come elemento espressivo fondamentale segna in maniera indelebile il suo lavoro. Nelle sue performance il corpo "smette di rendersi utile": esso è; agisce di per sé; ha un rapporto di tipo rituale con lo spazio e con il silenzio che lo circonda. Gli oggetti sottolineano le valenze corporee con connotazioni simboliche: pane, olio, pietre. La parola è compressa nel corpo; essa agisce al suo interno e muore sulle sue labbra; il corpo non se ne separa, quasi fosse la sua anima, e punta sul coinvolgimento di tutti i sensi in una dimensione pre-linguistica. Lo spazio rappresenta la scena dello scontro percettivo, dello stupore sinestetico; il tempo segna la durata delle tensioni, dell'interrogazione, e determina il completo svuotamento dei ritmi quotidiani in favore di espansioni che finiscono per coincidere con i labirinti della memoria, al di fuori di qualunque dimensione storica, ma in una sorta di psicodramma. Su un altro versante si pone il lavoro verbo-sonoro di Frangione, nel quale il suono sostiene il recitativo con contrappunto di gesti e di immagini proiettate, senza cedere alla gratuità dell’effettistica e senza cadere nella trappola della maschera tecnologica, evitando accuratamente orpelli digitali e ogni inutile sovrapposizione su strutture che già mostrano una loro autonoma e spiccata fisionomia. Roberto Rossini [1950], studioso dell’universo performativo, si è spinto in varie occasioni a ricercare le radici antropologiche della performance individuandone lo spessore sociale, linguistico e psicologico. La sua ricerca espressiva si fonda su questa solida esperienza e punta su processi di comunicazione legati ad una ritualità coinvolgente, che sa ben sfruttare la simbologia degli elementi, la geometria del gesto, i caratteri dello spazio. La presenza del corpo, segnato da sintetici elementi sacrali, traccia le coordinate estetiche dell’ambiente, condizionandone la valenza. Rossini si occupa anche di “Performance Therapy” coordinando laboratori per piccoli gruppi di soggetti entro i quali è possibile sperimentare la propria creatività mirando all’autoconoscenza. Nell'autodefinizione di "poeta amodale" è espressa in nuce tutta la filosofia di Luigi Bianco: egli è "poeta amodale" nel senso che il suo essere poeta è indipendente dal fatto che scriva o no poesia, che realizzi o meno un'opera d'arte. Le sue performance migliori sono da lui stesso ritenute quelle in cui effettua improvvise incursioni tra la gente, senza alcuna programmazione preventiva, magari nelle

14 ore di punta, sollecitando interrogativi, seminando il dubbio, stimolando la riflessione su grandi e i piccoli temi esistenziali, con tecniche che riconducono al teatro di strada e ricordano l’Agitprop. Si muove a piedi nudi, con abito bianco, occhiali bianchi che impediscono la visione frontale e che lasciano soltanto spiragli alla lateralità rispetto alla direttrice del suo incedere, appesantito magari da un fardello di pietre. Il lavoro di Bianco, bianco di nome e bianco di fatto, colore della purezza e della verginità, ma anche del lutto e della morte, è in effetti un’allegoria della lateralità, dell'esistenza marginale, da vivere però pienamente, fino in fondo, dissipando tutte le energie; ma senza sprechi o concessioni al mondo delle regole, delle pianificazioni, delle volgari certezze, in una continua sfida. Il pensiero di Luigi Bianco si fonda sul libero arbitrio filosofico; "spesso - egli dice - i filosofi che mi leggono o mi vedono mi scrivono per porre qualche argine alla mia libertà". Anton Roca [1960], da anni residente in Italia, che lavora sulla critica del concetto di centralità dell'uomo, in chiave antiautoritaria, indagando ed analizzando la nozione di limen in favore di una policentricità diffusa e mutevole che tenda a qualificarsi come tessuto, fondendosi infine nel sistema naturale delle cose. Si tratta di un atteggiamento filosofico che si appoggia creativamente ad antiche simbologie alchemiche e al riconoscimento della loro validità e funzionalità come archetipi di matrice ecologica. Roca è particolarmente interessato al rapporto natura-cultura e a problematiche e tecniche connesse con l'azione di scandaglio della propria interiorità. Un particolare rapporto con l'universo musicale è ricercato da Giustina Prestento [1925-2008], che non è una performer, bensì un'artista che lavora per definire lo spazio della performance; lo caratterizza con le sue proiezioni ricavate da ipotetici spettri sonori, lo alimenta con i materiali cui quegli spettri si riferiscono e lo gestisce ritmicamente attraverso i movimenti coreografici di giovani danzatrici che costituiscono il suo alter ego plastico-dinamico. Osserva Enrico Crispolti che il lavoro della Prestento non costituisce un happening, "nel senso che l'opera è agita, è azione, è evento dinamico, ma che si realizza in sé come progettualmente prevista. Nessuna casualità, ma esecuzione di uno spartito immaginativo visivo e sonoro insieme. Non è pura e semplice 'performance', giacché l'azione è mediata, è figurata attraverso la dinamica ritmico-corporea di esecutori; e manca dunque il protagonismo corporeo individuale dell'artista, tipico della 'performance', nel senso di 'body art' performativamente configurata. Certamente è, quell'opera della Prestento, invece, un aspetto di quanto qualche anno fa ho chiamato 'teatro d'artista'".34 Nelle ultime opere della Prestento risultano particolarmente accurati gli interventi gestuali di Donatella Patino, che ha offerto al pubblico buone qualità ritmiche. Da citare ancora Ruggero Maggi, Sofia Quagiotto, Antonia Ciampi [1959]. Queste ultime due artiste operano nel gruppo "Free" la cui attività è incentrata sull'interazione artistica tra arti plastiche, danza e musica, dal jazz alla musica concreta. Il metodo di lavoro del gruppo, di cui fanno parte il fotografo Marco Lambertini e il musicista Franco Turra, prevede la messa a punto di strutture di base sulle quali innestare azioni improvvisate, per lo più riconducibili alla dimensione onirica o ai meccanismi della memoria in un continuo gioco di ironici flash, dove armonia e ritmo costituiscono il chiasmo che giustifica formalmente gli interventi. Di Anna Paci ricordiamo alcuni interventi degli anni Settanta nei quali utilizzava parola, immagine e gesto rilevando con ironia alcuni temi dominanti nella condizione femminile, come in "Iron/y", dove era protagonista un ferro da stiro, o "Writing stick", tenuta alla Biennale di Venezia nel 1978, dove il gesto della scrittura si coniugava a quello del cucire.

13. Oratura versus mise en scène Su tutt’altro versante, legata alla scrittura lineare, ma impegnata sul fronte dell'oralità, c’è la schiera dei poeti convinti che la poesia sia, o sia anche, un’arte della voce. Paul Zumthor, profondo conoscitore di letteratura medievale sia nei suoi apetti testuali che in quelli modali, dove "il testuale domina lo scritto; il modale, le arti della voce"35 chiarisce che "nel momento in cui, durante la performance, il testo composto per iscritto diventa voce, una mutazione globale lo

15 investe e, per tutto il tempo in cui prosegue l'audizione e in cui questa presenza dura, ne modifica la natura. Al di là degli oggetti e dei sensi a cui fa riferimento, il discorso vocale rinvia all'innominabile: la parola non è la semplice esecutrice della lingua, che non realizza mai pienamente, che infrange, con tutta la sua corporeità, per il nostro imprevedibile piacere. È così che la voce interviene nel e sul testo, come dentro e su una materia semi formalizzata, con cui plasmare un oggetto mobile, ma finito".36 Esplorando gli spazi della poesia sonora, che è essenzialmente sostanza vocale, lo stesso Zumthor scrive: "Il vocema diviene nello stesso tempo suono, parola, frase, discorso, inesauribilmente; e lo diventa nella propria continuità ritmica".37 E, soffermandosi sul mio lavoro, così prosegue: "È così che si può, con Giovanni Fontana, assicurare che la poesia non solo è con la voce e nella voce, ma dietro la voce, all'interno del proprio corpo, da dove vengono dominati il canto, i sospiri, i soffi, gli ansiti e tutto ciò che, al di qua e al di là del dire, è segnale dell'inesprimibile, coscienza primordiale dell'esistenza. Giovanni Fontana parla in questo senso di poesia dilatata". In questa prospettiva, la poesia scritta, pur nella sua stesura completa e definitiva, può essere considerata come una poesia interrotta, come un pre-testo da utilizzare per aprire un varco verso altre dimensioni. Corrado Costa [1929-1991], penna sagace e sottile, partendo da scritture terse e brillanti, con i suoi modi pacati ed il suo accento emiliano, lascia impronte sonore indelebili, passando attraverso l'ordine delle cose e distendendo veli surreali, come un fantasma giocoso, ma sicuramente inafferrabile e conturbante. Un posto particolare occupano: Elio Pagliarani [1927-2012], con la sua particolarissima grana vocale, animatore e direttore di “Videor”, video-rivista internazionale di poesia [1988-1991], Nanni Balestrini [1935], sperimentatore delle relazioni tra parola e immagine, interessato alla multimedialità, spesso autore di pièces sostenute da trame musicali (numerose le collaborazioni con Luigi Cinque), Vito Riviello [1933-2009], ironico jongleur, talora poeta a braccio, maestro dei motti di spirito, Amelia Rosselli [1930-1996], lettrice raffinata che sostiene il verso appoggiandosi alle sue competenze musicali con un timbro e un’inflessione indimenticabili, Mario Lunetta [1934], che si è costruito un’immagine del tutto personale di poeta-dicitore praticando, come suggerisce Francesco Muzzioli, “la strada difficile ma produttiva della gestualità verbale sporca e incomposta, incontenibile, e della mimica ghignante”, ma soprattutto Lello Voce [1957], indagatore di “orature”, di trasposizioni in termini di ri-scrittura orale del testo lineare [Claude Hagège, Remi Dor, Pio Zirimu], il quale, convinto che la poesia debba comunque abitare la voce, auspica il superamento di formule quali poesia performativa, spoken word o spoken music, poesia multimediale, hip hop poetry o jazz poetry. Come è giusto che sia, Voce organizza il testo prefigurandone l’esecuzione e considerando a tutti gli effetti il risultato sonoro della versione vocale come parte integrante del testo stesso. Lavora con intenzioni simili anche Marco Palladini. In Poetry Music Machine, per esempio, intende esaltare la dimensione sonora e ritmica della parola, con l’intenzione di temprarla ricercando contaminazioni in altri spazi acustici. Si rivolge al jazz, ma non trascura il rock e l’elettronica. La musica interna alla parola ne risulta galvanizzata o svisata, distesa o contratta, modulata o smontata. Le sequenze sono poste in vibrazione e modulate agendo sui livelli di tensione. Ormai da anni Marco Palladini ha improntato il suo lavoro di poeta sulla piena valorizzazione dell’energia vocale, investendo il testo di nuove funzioni significanti che ne modifichino gli spessori. Si può assistere ad amplificazioni del senso, attraverso la dilatazione delle parole nello spazio acustico, o a ribaltamenti, lacerazioni, contrazioni. Le coordinate geometriche e temporali ne accolgono il flusso: quasi un’impalpabile coreografia. Con spirito non distante, ma con diversi gradi di convinzione, differenti angolazioni e risultati più o meno convincenti, operano in quest’ambito anche Mariano Bàino [1953], Dome Bulfaro [1971], Sara Davidovics [1981], Rosaria Lo Russo [1964], “poetrice” d’eccezione, Biagio Cepollaro [1959], che in alcune occasioni si è appoggiato a complessi cameristici, Maria Grazia Calandrone [1964], Laura Cingolani, Tiziana Colusso, Gabriele Frasca [1957], Giovanna Marmo, Giuliano Mesa [1957-2011], Tommaso Ottonieri [1958], Luigi Nacci [1978], Sara Ventroni [1974], Sparajurij, ma per altri versi

16 anche Gualberto Alvino [1953] e Francesco Muzzioli [1949], come documentato nello spazio “Audio Poetry” della rivista online “Le reti di Dedalus”, edita dal Sindacato Nazionale Scrittori. Su un altro versante, l’opzione per lo spazio acustico trasferisce la parola fuori dalla pagina adottando tecniche, sia pure ampiamente rinnovate, della messa in scena teatrale. Mi sembra di poter riconoscere in quest’ambito il lavoro di Mariangela Gualtieri [1951], di Ilaria Drago [1969], della quale ricordiamo la “Giovanna d’Arco” con musiche di Stefano Scatozza, di Nèvio Gàmbula [1961], il quale scrive che “La poesia performata può essere proprio considerata una forma particolare di teatro musicale; infatti presuppone che, nella stessa unità di tempo e di spazio, alcuni individui- spettatori si incontrino per ascoltare la resa fonica della parola per come proposta da un individuo- poeta, ovvero ha alla base del suo funzionamento la stessa situazione che caratterizza il teatro propriamente detto, e presuppone il ricorso a un “repertorio” di gesti vocali o di modalità compositive, comprese quelle del montaggio e della registrazione, che appartengono alle istanze della musica contemporanea”.38 Letteralmente poeti in musica, consegnano il verso al pentagramma o si affidano addirittura al canto Massimiliano Chiamenti [1967-2011], antilirico, ironico, dissonante nel suo sound art-rock, Domenico Cipriano [1970], poeta in jazz, Ariele D’Ambrosio [1953], Michele Fianco [1968], nell’orbita del suo Swing, Canio Lo Guercio, Aldino Leoni [1949] con Mario Martinengo, Carmine Lubrano [1952], Eugenio Lucrezi [1952] con il gruppo Serpente Nero,

14. Networking culture e performance poetica Sotto il segno della libertà più piena, si muove un nutrito gruppo di artisti che praticano la "mail art" con grande assiduità. Gli artisti, per lo più di provenienza dal mondo delle arti visive, fanno frequente ricorso alla performance come occasione intermediale di collegamento e di scambio diretto tra gli operatori sotto il segno della convivialità. Primo tra tutti è da citare Guglielmo Achille Cavellini [1914-1990], che attraverso una singolare e autoironica “autostoricizzazione” in chiave internazionalista promuove operazioni di comunicazione sul sistema dell’arte, individuando memorabili occasioni di azioni autonome e collettive. Ricordiamo inoltre Vittore Baroni [1956], artista impegnato da tempo anche come teorico del network, della corrispondenza creativa, animatore e coordinatore di numerosi interessanti progetti, Giovanni Strada [1939] e Renata Strada [1943], Alfio Fiorentino [1934-2013], Ivano Vitali, Natale Cuciniello [1946], autore, tra l’altro, del “concerto per video, magnetofono e microfoni posti fuori spazio” intitolato "Il suono da lontano" e, in particolare, Emilio Morandi [1940], che dirige dal 1980 una iniziativa per la promozione dell'attività di artisti indipendenti tendente al superamento di schieramenti, scuole, tendenze, in favore della libertà di ri-pensare il proprio progetto poetico, sganciandosi da posizioni dogmatiche: "Perfomedia. Anche sul piano tecnico, Morandi è fautore della contaminazione totale, della "fusion" delle arti, alla ricerca di linguaggi alternativi che possano trovare nuovi rapporti con la società di massa, di fronte alla quale l'artista svolgerebbe una sorta di ruolo sciamanico. Morandi, sottolineando il paradosso della comunicazione ipertecnologica, che a fronte di una grande quantità di informazioni non offre la benché minima certezza, e considerando che nel villaggio globale l'uomo è sempre più solo e indifeso, auspica il rapporto diretto, lo scambio interpersonale come gesto fondamentale di un nuovo umanesimo. Il rischio c'è; ed è quello del misticismo utopico. Ruggero Maggi [1950], invece, parte da esperienze di poesia visuale e da un intenso lavoro sulle nuove tecnologie (laser, neon, olografia, computer) svolto senza perdere di vista elementi primari naturali. Attraverso il rapporto conflittuale tra questi due diversi mondi (artificio tecnologico e natura) Maggi realizza una sorta di scandaglio antropologico nel caos dei materiali e nella babele dei linguaggi, intesi come humus fertile da cui trarre indicazioni di percorso. Dall'analisi dell'opposizione ordine/disordine, Maggi trae i fondamenti di una nuova ecologia che ponga l'uomo in situazione di equilibrio con le intelligenze macchiniche da lui create, così come auspica un'arte rispettosa dei rapporti tra la linearità euclidea e la complessità della geometria frattale. L'impegno sul

17 piano di un nuovo umanesimo e di una critica sociologica dell'arte lo spingeranno, con Alessandro Benfenati, Marcello Diotallevi [1942] e Gian Paolo Roffi, a mettere in atto "Metanetworker in Spirit", un'operazione di "dispersione gratuita dell'arte" che scombina i ruoli e le funzioni canoniche del mondo dell'arte (artista, mercante, gallerista, collezionista, ecc.) attraverso una "rete di comunicazione" che si pone al di là della presenza fisica degli artisti: "L'opera parla in assenza dell'artista. L'azione parla in assenza dell'opera. L'idea parla in assenza dell'azione. / L'arte mette in circolazione valori simbolici. Il denaro è un valore simbolico. L'arte mette in circolazione il denaro. / La gratuità dell'arte è simmetrica alla gratuità della vita come il costo dell'arte è simmetrico al costo della vita. / L'arte abbatte le frontiere del consueto". Pierre Restany ha scritto che “l’opera di Ruggero Maggi è legata ad un approccio etico del linguaggio. L'universo dell'artista è l'universo della morale. Il terreno della sua attività linguistica è il mondo della filosofia dell'azione. È certo che parlare dell'artista come di un essere morale non vuol dire farne un moralista. La morale di Ruggero è la morale di un'azione umana, cioè la morale dell'essere umano in azione”.39

15. Poesia d’ambiente Alcuni casi a parte sono costituiti da Broi e Carretta. Gianni Broi, fin dagli anni Settanta, è impegnato in quelle che egli definisce "performance ambientali", che consistono in azioni di durata indefinita, da pochi minuti o poche ore, fino a mesi e addirittura anni, durante le quali, l'ambiente non ha soltanto funzione topologica, ma è anche oggetto di indagine e strumento dell'azione stessa. In pratica lo spazio non è più il teatro dell'azione, il contenitore entro il quale è articolato il gesto, ma il quadro di riferimento dal quale desumere gli elementi essenziali per la costruzione della "mappa" che racchiude il significato della performance. Broi, per esempio, ha realizzato tra il numerose azioni al cimitero Père Lachaise di Parigi, in occasioni di commemorazioni per il poeta Raymond Roussel. Scrive Broi in una lettera 199840 che "il cimitero viene utilizzato come una grande scacchiera le cui caselle sono rappresentate dalle mille e mille tombe dei grandi e piccoli personaggi, costruendo percorsi secondo temi e orditure diverse ogni anno, tenendo altresì conto della struttura topografica bipolare della necropoli, corrispondente a due stratificazioni storiche ben riconoscibili". Queste performance ambientali si sposano al concetto di viaggio, all'idea di percorso rituale, alla dimensione narrativa e allegorica. L'autore parla anche di "poesia camminata ed agita, di poesia peri-patetica", che può essere scandita in tappe rapportate alle esigenze simboliche del poeta, a prescindere dalla presenza del pubblico, il quale può addirittura mancare del tutto. La tendenza ad allargare il cerchio dei partecipanti, accettando la collaborazione di altri artisti, porta inevitabilmente ad un alleggerimento del senso, aumentando l'aspetto spettacolare e diminuendo quello rituale. La libertà indisturbata è per Broi fondamentale per il compimento delle sue azioni; egli non ha mai chiesto permessi per gestire ufficialmente gli spazi in cui interviene in privato, temendo fortemente che la burocrazia possa impedire il sereno svolgimento delle azioni; ma, comunque, egli partecipa gli avvenimenti inviando puntualmente ad artisti e poeti biglietti rituali e cartoncini d'informazione. Il raccordo tra lo spazio e l'azione è dato dal suono, che Roussel considerava elemento fondamentale per il trattamento della parola. Per Broi il suono come sostanza del mondo, come respiro originario delle cose e degli esseri, viventi e defunti, è motivo ispiratore. Nell'annuncio della performance di quest'anno scrive: "Tutta la performance, che consisterà in una promenade attraverso il cimitero punteggiata da soste ed azioni, si svolgerà nel silenzio, affinché sia possibile l'emergere dei suoni naturali: il singhiozzare delle tortore, il frullare dei merli, la nota aspra delle ghiandaie, il passo felpato dei più che trecento gatti abitanti la necropoli; e soprattutto affinché ogni tomba, come cassa di risonanza, possa far sentire il suo suono particolare ed unico, il suo respiro profondo: nel silenzio tutto il cimitero del Père Lachaise risuonerà come una grande orchestra e un grande coro". Nota per il suo lavoro sul volo degli uccelli, dei quali registra graficamente i tracciati, Luisella Carretta si dedica da numerosi anni allo studio dei rapporti uomo/ambiente, natura/cultura. Nel 1990, in occasione di un viaggio in Québec, si appassiona alla performance, che concepisce al di fuori della

18 dimensione spettacolare, come momento di vita, come contatto profondo con la natura, come occasione di concentrazione, di ricerca delle arie e delle orme del tempo, nel silenzio maestoso di una natura che reca sempre più visibilmente i segni della minaccia dell'uomo. Ha partecipato a progetti internazionali ed esperienze di isolamento in natura con altri artisti in Canada, in Norvegia, nel deserto di Durango in Messico. In uno dei suoi viaggi ha incontrato il violoncellista e compositore statunitense Eric Longsworth, con il quale ha realizzato performance in Italia e in Canada. Tra le altre, "Musica come scrittura", che ha preso le mosse dagli spunti offerti dalla Carretta al musicista sul lago Mitchinamecus, dove l'osservazione degli uccelli ha spinto i due artisti ad intervenire insieme nella registrazione trasfigurata del volo. La Carretta effettuava "trascrizioni" in termini di segno e di colore che venivano apprezzate dal musicista come vere e proprie partiture da utilizzare come base per le sue improvvisazioni. Gli interventi di Nello Teodori sono vere e proprie azioni poetiche che si presentano sempre in forma piuttosto articolata e complessa, legandosi in modo piuttosto stretto alle caratteristiche dello spazio architettonico in cui interviene. Facendo riferimento alle più disparate tecnologie, ama proporre in forme problematiche temi e situazioni che pongono, non senza ironia, interrogativi sulla situazione dell'arte, come, per esempio, nella mostra-evento alla Galleria NEON di Bologna nel 1992 intitolata "Opera a regola d'arte" dove prevedeva l'interazione di due video, un plotter in azione, proiezioni e suoi interventi diretti che costringevano il pubblico a prendere atto della perdita di centralità dell'arte nel nostro complesso mondo della comunicazione globale e, comunque, ad interrogarsi sulle sue regole, sulle sue funzioni, sui suoi condizionamenti, sul suo rapporto con la medialità, sul suo stato di salute. Un monitor trasmetteva una lunga intervista ad un critico, un altro proponeva immagini tratte dall'universo visivo contemporaneo associate a slogan, che, venivano nello stesso tempo stampati dal plotter: "Opera a regola d'arte. Stato termico dell'arte. Copia a regola d'arte. Supera il confine istituzionale dell'arte. Opera la virtù da potenziare, ecc. ...". Un black out improvviso lasciava al buio la galleria e permetteva la proiezione della scritta "L'opera sarà ripresa il più presto possibile" sullo sfondo di un paesaggio umbro. A conclusione dell'evento, l'autore stendeva sul pavimento un grande striscione con la scritta "L'arte non è uguale per tutti". Ma Nello Teodori non è un semplice performer, è uno di quegli artisti che gioca con la performance mediandola; egli, infatti, la presuppone per aggiornare i suoi rapporti con lo spazio o la costruisce virtualmente per consegnarla all'immagine videografica; egli è principalmente un sapiente animatore di spazi, di architetture, un artista che contempla costantemente nei suoi lavori (video, installazioni, esposizioni, ecc.) il momento del coinvolgimento diretto del pubblico, come nel progetto "Scuderie nell'arte" (Gubbio, Brescia, 1995-95) o nell'installazione "Avanti Popolo", che può considerarsi completa ed "attiva" soltanto nel momento in cui viene percorsa. "Avanti Popolo", infatti, è un'installazione sulla scala rinascimentale del Palazzo Ducale di Gubbio; lo slogan, che dà il titolo all'opera, è scritto su cinquanta tabelle metalliche nere poste sulle alzate di ciascun gradino della scala. La gente, ad ogni passo, è incitata a salire su per la scala, e a salire ancora, non si sa bene per arrivare a quale meta, a quale traguardo; si tratta, infatti, di un percorso al buio che si giustifica solo in quanto percorso, in quanto movimento, in quanto flusso in avanti; allora, da un lato, l'ascesa materializza un atteggiamento ottimistico contro l'inerzia, dall'altro si pone come inerte movimento, cieco e gratuito, con evidente ironia nei confronti dell'ideologia. L'installazione è servita come base per la realizzazione di due differenti video, nei quali svolge un ruolo significativo la sonorizzazione: nel primo è data dalla scansione dei passi di un'armata (tratta da "Sogni" di Kurosawa) che segnano, invece, il movimento di gente comune e di personaggi con caratterizzazioni assegnate (una coppia di sposi, una donna delle pulizie, ecc.) e dalla "Leggenda del Piave" (la nota canzone patriottica, a sottolineare la corsa di un bersagliere con la bandiera italiana); nel secondo, che riproduce continuamente la corsa del bersagliere, è data, con maggiore carica ironica, ma anche con una punta di amarezza, dalla "Leggenda del Piave", alla quale fa seguito l'inno "Fratelli d'Italia" (inno della Repubblica Italiana) e la canzone "Viva l'Italia" di Francesco De Gregori, dove l'Italia è assassinata

19 dai giornali e dal cemento, dove l'Italia è metà giardino e metà galera, dove l'Italia si dispera e s'innamora, un'Italia, nuda come sempre, che resiste ancora.

1 SARENCO, Alluvionare la promozione, nel catalogo Promuovere l'alluvione. Fluxus nella sua epoca. 1958-1978, Parise Editore, , 1997. 2 Giacomo BALLA e Fortunato DEPERO, Ricostruzione futurista dell'universo, Milano, 1915, in Luciano DE MARIA, Marinetti e il futurismo, Mondadori, Verona, 1973. 3 Filippo Tommaso MARINETTI, La declamazione dinamica e sinottica, 1916, in L. DE MARIA, cit.; 4 Carlo CARRÀ, La pittura dei suoni, rumori e odori, 1913, in L. De Maria, cit. 5 "Festival Internazionale dei Poeti, Piazza di Siena, Roma 1980. 6 Primo Festival di Poesia Performativa, Piazza Margana, Roma, estate 1988, a cura di Pino BLASONE, Vanni DE SIMONE e Berta FURLANI. La registrazione fu trasmessa da Radiouno in “Audiobox” il 21 novembre 1988, due giorni prima della morte del poeta. Il 12 dicembre 1988, sempre su “Audiobox”, fu messo in onda lo special “Dedicato ad Adriano Spatola”, che ripropose in versione integrale la performance. L’intero concerto è pubblicato in “Baobab” n° 20. 7 Poi con il titolo Situazione della poesia 2, in Impaginazioni, San Polo d’Enza, Ed. Tam Tam, 1984. 8 Gina PANE, Intervento nel dibattito su Il corpo come linguaggio, “NAC” n° 11/1974. 9 Tema del suo libretto In principio erat, Ed. Centro Di, Firenze, 1971. 10 Lea VERGINE, Corpo come linguaggio, Ed. Prearo, Milano, 1974. 11 Eugenio MICCINI, Poesie e no, in Théatron, vol.1, Laser Ed., Verona, 1990. 12 Lamberto PIGNOTTI, Il secondo Gruppo 70, “NAC” n° 1/1973. 13 In Eugenio Miccini nella Taverna di Auerbach, intervista a cura di S. DOCIMO, E. FIORE, G. FONTANA, R. MANICA, T. TARQUINI, in “La Taverna di Auerbach”, n° 1, 1987. 14 In Enrico BAJ, Ecologia dell'arte, Rizzoli, Milano, 1989. 15 Renato BARILLI, Informale, Oggetto, Comportamento, Feltrinelli, Milano, 1979. 16 A. SPATOLA, Verso la poesia totale, Paravia, Torino, 1978. 17 L. PIGNOTTI, Istruzioni per l'uso degli ultimi modelli di poesia, Roma 1968. 18 M. D'AMBROSIO, La battaglia contro la parola, in "Tam Tam", n° 26, 1981; R. BARILLI, Viaggio al termine della parola, Milano 1981; W. ONG, Oralità e scrittura, Bologna 1987; P. ZUMTHOR, La presenza della voce, Bologna 1984; C. LÉVI-STRAUSS, Il pensiero selvaggio, Milano 1964. 19 Eugenio MICCINI, Poesia visiva e dintorni, Ed. Meta, Firenze, 1995. 20 Cfr. Giovanni FONTANA, Adriano Spatola: il corpo, la voce: la parola totale, in Adriano Spatola poeta totale, Costa & Nolan, Genova, 1992. 21 Adriano SPATOLA, Poesia, Apoesia e Poesia Totale, in "Quindici", n° 16, 1969. 22 Oggi Poesia Domani, rassegna internazionale di poesia visuale e sonora, a cura di Adriano SPATOLA e Giovanni FONTANA, Fiuggi, 1979. 23 Post Poesia, a cura di Nando MINNELLA, Vanni DE SIMONE e Pino BLASONE, Ila Palma, Palermo, 1987. 24 Cfr. Giovanni FONTANA, Dal pre-testo all'ultratesto trasversale (Vocalità, scrittura e tecnologie per il superamento della nozione di poesia sonora), in "Resistenze 2, memorie random per il prossimo millennio", a cura di Marco PALLADINI, Edizioni Arlem, 1997; cfr. anche Appunti per una poesia pre-testuale, in "Dismisura" n° 67/73, 1984 e Per una linea intermediale, in "Gruppo 93", Piero Manni Editore, Lecce, 1992. 25 Paolo GUZZI, La performance in “Playgraphies”, catalogo della mostra di T. Binga, G. Fontana a L. Pignotti, Galerie Satellite, Paris, 1998. 26 Eugenio MICCINI, Poesia visiva e dintorni, cit. 27 Ibidem. 28 Enzo MINARELLI, Visioni, violazioni, vivisezioni, Bondeno, 1983. 29 Giuliano ZOSI, Dattiloscritto, Archivio Poiesis, Alatri, s.d. 30 R. BARBANTI, L. BOLOGNESI, A. MASALA, A. ROCA, Per Joseph Beuys, Montanari Ed. 1998. 31 Sarenco, Alluvionare la promozione, cit.. 32 R. BARBANTI, L. BOLOGNESI, A. MASALA, A. ROCA, Per Joseph Beuys, cit.. 33 William XERRA, Appunti per circoscrivere definizioni, in "Doppio", numero unico, 1979. 34 In G. PRESTENTO, Fragmenta, 1980-85, catalogo, 1985. 35 P. ZUMTHOR, La lettera e la voce, Bologna 1990. 36 Ibidem 37 P. ZUMTHOR, Poesia dello spazio, in “La Taverna di Auerbach”, n° 9/10, 1990. 38 Nevio GAMBULA, La performance della parola, in “Le Arti del Suono”, n°5, Aracne editrice, Roma 2012 39 Pierre RESTANY, Più vero di natura, in http://www.ruggeromaggi.it. 40 Archivio Poiesis, Alatri.

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