Centro Militare di Studi Strategici

Rapporto di Ricerca 2011 - AE-SA-12 - S.T.E.P.I.

I PROCESSI DI AMMODERNAMENTO

DEGLI ESERCITI DEI PRINCIPALI PAESI ALLEATI E AMICI A CONFRONTO

di Dott. Pietro Batacchi

data di chiusura della ricerca: Ottobre 2011

Confr_Amm__20111117 2 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango

INDICE

I PROCESSI DI AMMODERNAMENTO DEGLI ESERCITI DEI PRINCIPALI PAESI ALLEATI E AMICI A CONFRONTO

I processi di ammodernamento degli eserciti dei principali paesi SOMMARIO alleati e amici a confronto pag. 1

 Modernizzazione e trasformazione

Capitolo 1 - La modernizzazione negli Stati Uniti pag. 6

Capitolo 2 - Il processo di modernizzazione nei principali paesi europei pag. 34

 L’ammodernamento della Difesa italiana ed il ribilanciamento in Europa e USA

Capitolo 3 - Il processo di modernizzazione della Difesa italiana pag. 64

Capitolo 4.- Dalla trasformazione al bilanciamento pag.107

Capitolo 5.- Conclusioni e valutazioni pag.124

Bibliografia pag.128

NOTA SUL Ce.Mi.S.S. e NOTA SULL' AUTORE pag.134

Confr_Amm__20111117 i Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango

Confr_Amm__20111117 ii Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango SOMMARIO

I PROCESSI DI AMMODERNAMENTO DEGLI ESERCITI DEI PRINCIPALI PAESI ALLEATI E AMICI A CONFRONTO

Le Forze Armate e gli eserciti di oggi sono completamente diversi da quelli di solo 20 anni fa. Dottrina, equipaggiamenti e organizzazione. Tutto è cambiato. Ed è cambiato a ritmi vertiginosi per tenere testa a cambiamenti negli scenari altrettanto rapidissimi. La fine dell’Unione Sovietica e l’11 settembre, due eventi straordinari accaduti praticamente nell’arco di un decennio, hanno cambiato tutto. E quando, ad un certo punto, nel pieno degli anni Novanta, sembrava che al sistema bipolare si fosse sostituita senza grandi scossoni la nuova egemonia americana, celebrata dalla vittoria finale del liberalismo sul comunismo, ecco improvvisamente che 10 anni di guerre ininterrotte hanno messo in crisi la nuova architettura delle relazioni internazionali centrata sullo strapotere strategico americano. Nel 2011, gli americani, scossi dalla crisi economica, stanno mostrando la corda ed il sistema internazionale sembra progressivamente ripiegare su una configurazione basata sull’equilibrio tra spazi geostrategici in competizione tra di loro.

Le Forze Armate dei maggiori paesi occidentali hanno seguito passo-passo questa evoluzione. Dopo la fine della Guerra Fredda, la struttura degli strumenti basata sulla leva, sulla quantità e su grandi formazioni stanziali e permanenti, doveva lasciare il posto ad una struttura più agile, flessibile e, soprattutto spendibile. I continui impegni fuori area, accompagnati dalla necessità di dispiegamenti di contingenti “tailored” in tempi brevi, hanno fatto emergere tutta una serie di requisiti nuovi, la cui soddisfazione era per tutti, pena la marginalizzazione nelle grandi organizzazioni internazionali, imprescindibile. Dal trasporto strategico, all’ingaggio di precisione, alle capacità ISTAR, e così via, sono tutte capacità che, a partire dagli anni Novanta, soprattutto i paesi europei, hanno dovuto cercare di ottenere nei tempi più rapidi possibili per far fronte agli impegni. E’ quella rivoluzione capacitativa che, in pochi anni, ha cambiato il volto anche a quegli eserciti più restii ai cambiamenti per tradizione e mentalità. E’ il caso dell’Esercito Italiano, oggi un esercito dall’alto profilo qualitativo e tecnologico in grado di operare al meglio in contesti ad alto rischio come quello afgano. O, più ancora, è il caso dell’Esercito tedesco che,

Confr_Amm__20111117 1 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango anche a causa della crisi, ha accettato la radicale trasformazione segnata dal passaggio da struttura “mista”, basata su leva e professionisti, a struttura interamente professionale. Venendo più da vicino al presente lavoro, il suo obiettivo era comparare i processi di ammodernamento degli eserciti dei quattro maggiori paesi europei e degli Stati Uniti. Nel primo capitolo è stato, dunque, passato in rassegna il processo di ammodernamento negli Stati Uniti. Una “precedenza” dovuta al fatto che il processo di trasformazione è nato proprio negli Stati Uniti. E’ qui, infatti, che 20 anni prima di quanto accaduto in Europa, si è iniziato a parlare di Rivoluzione negli Affari Militari e di un nuovo modo di combattere destinato a segnare l’epoca dell’informazione. Una trasformazione contraddistinta dall’innovazione tecnologica, certamente, ma anche dall’elemento dottrinale e organizzativo, e sostenuta da volumi di finanziamenti incomparabili e insostenibili per i singoli paesi europei. In generale , nel cap.1, vengono affrontati prima i concetti trainanti della trasformazione, poi i cambiamenti organizzativi e, infine, le innovazioni tecnologiche e i programmi di modernizzazione, almeno quelli principali.

Nel capitolo successivo è, invece, la volta di Germania, Francia e Regno Unito. Anche in questo caso si parte con l’esame degli aspetti dottrinari e teorici, con una particolare attenzione a concetti come quello della Netwrok Enabled Capability, figlio, appunto, di un approccio tipicamente europeo, per poi proseguire con le trasformazioni organizzative e strutturali. Questa sezione è ovviamente assorbita soprattutto dall’esame dei processi di professionalizzazione degli strumenti militari che così vasta conseguenza hanno avuto soprattutto sulle forze terrestri. Infine, la sezione finale del capitolo è dedicata internamente ai maggiori programmi europei di ammodernamento, analizzati per singolo paese. Si parla così dei nuovi sistemi di comando e controllo, dei nuovi mezzi e dei nuovi equipaggiamenti. L’elemento fondamentale è che, nonostante la comune appartenenza di questi paesi alla NATO, ognuno ha scelto strade diverse per raggiungere l’obiettivo della modernizzazione, condizionato dalla propria tradizione e dai propri costringimenti e condizionamenti politici. Così nel Regno Unito, dove per tradizione si è sempre optato per un esercito piccolo basato sull’elemento professionale, ci si è potuti concentrare esclusivamente sulla modernizzazione, cercando di tenere il passo degli USA, almeno fino ad un certo punto, soprattutto per quei programmi, come il FRES (Futire Rapid Effect System), più avveniristici. In Francia e Germania non è stato ovviamente così. Addirittura in Germania, il processo organizzativo si è compiuto solo nell’ultimo anno con la scelta di passare in modo definitivo a Forze Armate interamente professionali.

Confr_Amm__20111117 2 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango Il terzo capitolo è stato dedicato interamente all’Italia. Lo schema, anche in questo caso, ha ricalcato quello già adottato per gli altri capitoli. Per cui, la prima parte è stata assorbita dall’esame dei concetti trainanti del processo di trasformazione adottato per le FA del nostro Paese e dall’analisi delle riforme organizzative. La peculiarità italiana, in particolare, è stata segnata dal repentino passaggio dall’impostazione “tradizionale”, a quella “futura”, caratterizzata dalla Network Enabled Capability e dall’annesso concetto delle Effect Based Operations. Curiosamente, in Italia non si è mai parlato apertamente di RMA e, quando lo si è fatto, si è semplicemente declinato il concetto come acquisizione di nuove capacità. Per cui, a livello dottrinale, il processo di trasformazione in Italia è stato contraddistinto da una semplice Rivoluzione Tecnico Militare dopo la quale si è passati definitivamente alla “NEC-war”. In particolare, al concetto di “NEC-war” è dedicata l’ultima sezione del capitolo con l’esame del maggiore programma di acquisizione dell’Esercito Italiano, ovvero Forza NEC, e del complessivo sforzo di digitalizzazione attualmente in corso nella Forza Armata.

Infine, l’ultimo capitolo prende in considerazione i cambiamenti più recenti, quelli, cioè, caratterizzati dal riflusso dovuto alla crisi economica ed alle conseguenze dei 10 anni di impegni nella guerra globale al terrorismo. Negli Stati Uniti, probabilmente, il binomio GWOT e crisi economica ha lasciato un segno profondo le cui conseguenze sono tuttora imprevedibili. Qualcosa, però si sta già intravedendo. Il processo di ammodernamento/trasformazione non si è certo interrotto, ma questo sicuramente ha subito un appannamento, dovuto soprattutto ai bisogni imposti dalle guerre in Iraq ed Afghanistan. Queste hanno macinato fondi e risorse che, in ultima analisi, sono mancati alla modernizzazione, soprattutto per come questa era stata intesa fino, e soprattutto durante, la cosiddetta era Rumsfeld.

Il bilanciamento teorizzato dall’amministrazione Obama e dall’ex Segretario alla Difesa Gates nient’altro è, allora, se non una riallocazione dei fondi della Difesa statunitense dal medio-lungo periodo al breve periodo ed al contingente. In termini di programmi, il simbolo del ribilanciamento è stata la chiusura del programma FCS, e l’esplodere del programma MRAP che, alla fine dei conti, è costato all’amministrazione americana oltre 30 miliardi di dollari. Lo stesso si potrebbe dire per il nuovo e rivoluzionario veicolo da proiezione dei marines, l’EFV, alla fine cancellato a favore di soluzioni più realistiche e, soprattutto, meno costose. Altrettanto grandi sono stati i cambiamenti avvenuti in Gran Bretagna e

Confr_Amm__20111117 3 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango Germania, mentre in Italia l’impatto della crisi economica e degli impegni fuori area è alla fine stato tutto sommato limitato, ma solo perché lo strumento militare del nostro Paese già da tempo aveva intrapreso la strada del ridimensionamento.

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MODERNIZZAZIONE E TRASFORMAZIONE

Confr_Amm__20111117 5 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango

1 La modernizzazione negli Stati Uniti

1.1 La Trasformazione e i concetti trainanti.

Il concetto di trasformazione è nato ormai quasi 40 anni fa. E’ nel cuore degli anni Settanta, infatti, che negli Stati Uniti si inizia a pensare, e a teorizzare apertamente, un nuovo modo di combattere. Sono gli albori di quella che, di lì a poco, diventerà la RMA (Rivoluzione negli Affari Militari), l’archetipo stesso che uniformerà il successivo ammodernamento e la successiva trasformazione delle forze USA e, a seguire, delle forze dei principali paesi europei.

Il primo passo è stato l’elaborazione delle due dottrine della Active Defense e della Air Land Battle, figlie del pensiero di un pungo di generali “rivoluzionari” americani nell’ambito del TRADOC (Training Doctrine and Command). Il loro punto di partenza era la situazione strategica del fronte centrale della NATO in Germania, determinata dalla percepita inferiorità convenzionale delle forze alleate rispetto a quelle del Patto di Varsavia. Un’inferiorità dovuta all’enorme squilibrio nel numero dei mezzi corazzati a favore delle truppe del Patto ed alla rigidità imposta dalla scelta politica di impostare una difesa avanzata piuttosto che una difesa scaglionata in profondità (scelta dovuta al fatto che una democrazia non poteva permettersi di militarizzare la società tedesca). Fino ad allora, per ovviare a questa inferiorità, la NATO aveva puntato tutto sul “first use” e sull’uso delle armi nucleari tattiche. Un scelta obbligata, ma che, di fatto, potendo innescare il processo di escalation verso lo scambio termonucleare tra USA e URSS, rischiava di diventare inutilizzabile e, dunque, non credibile.

E’ a questo punto che inizia a circolare, ripetiamo, in seno al TRADOC, l’idea di fermare le ondate corazzate del Patto di Varsavia attraverso l’uso di sistemi convenzionali che nel frattempo stavano iniziando a beneficiare delle prime grandi innovazioni tecnologiche Confr_Amm__20111117 6 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango dell’epoca. In particolare, le nuove armi a guida laser, che avevano fatto il loro “esordio” sui campi di battaglia durante l’operazione Linebacher del 1972 in Vietnam, e i nuovi sistemi di ricognizione, sorveglianza e intelligence.

Con queste premesse è nata la teoria dell’Air Land Battle, l’anticamera della RMA e della trasformazione. L’Air Land Battle prevedeva, in altri termini, l’estensione del campo di battaglia e la capacità di condurre attacchi di precisione su tutto il teatro di operazioni. In quest’ottica, lo scontro si sarebbe svolto in profondità, dove attacchi combinati aria- terra, simultanei e sincronizzati, sui centri di comando e controllo e le linee di comunicazione, dovevano spezzare e arrestare l’arrivo delle ondate corazzate nemiche, soprattutto quelle di rinforzo. In questo modo si sarebbe impedito al nemico di sfruttare la propria soverchiante superiorità in una battaglia ravvicinata di contatto e di creare i presupposti della penetrazione strategica.

Il tutto, appunto, era reso possibile dall’armamento di precisione, dall’uso dei sistemi ISTAR e dall’introduzione di sistemi di artiglieria più precisi. Da un punto di vista operativo, lo scenario prevedeva la rilevazione in profondità dei movimenti delle colonne corazzate attraverso sistemi quali il J-STARS (Joint Surveillance Target Attack Radar System) e la loro successiva interdizione da parte degli aerei di attacco al suolo, equipaggiati con armamento a guida laser, e di elicotteri d’attacco come gli AH-64 Apache. Il fuoco dal cielo, sarebbe poi stata accompagnato dal tiro dell’artiglieria in profondità, garantito, anche in questo caso, da un nuovo sistema, ovvero l’MLRS (ufficialmente entrato in servizio con l’US Army nel 1983). A questo sarebbe stato affidato soprattutto il fuoco di saturazione contro le unità di supporto e le truppe a seguito delle unità corazzate, grazie alla sua capacità di “saturare”, attraverso le sub munizioni dei razzi, un’area di oltre 300 metri a 30 km di distanza, e contro i Posti Comando avanzati e le equivalenti unità missilistiche superficie-superficie nemiche.

Le operazioni sarebbero state inoltre condotte in simultanea e in modo sincronizzato grazie all’utilizzo di sistemi di comando e controllo basati su calcolatori e computer più potenti in grado di processare e distribuire una mole maggiore di dati.

In una prospettiva storica, l’Air Land Battle ha rappresentato il primo stadio di quella Rivoluzione negli Affari Militari che adesso sta evolvendo verso la NCW. Dunque,

Confr_Amm__20111117 7 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango ricapitolando, gli elementi “nuovi” messi a sistema dall’Air Land Battle, prima e dalla RMA, poi, erano, e sono, sostanzialmente tre:

1. Sistemi d’arma di precisione e guidati. Ovvero sistemi in grado di colpire con un alto grado di discriminazione e confidenza un obiettivo, anche puntuale, sfruttando i più svariati sistemi di guida. guida laser, filo-guida, guida satellitare/GPS, guida IR o radar.

2. Sistemi di osservazione, ricognizione e intelligence. Ovvero sistemi per la corretta e accurata mappatura del campo di battaglia e per la designazione dei bersagli. Sistemi aeroportati, come il J-STARS, sistemi di osservazione satellitare, e sistemi TV/IR con capacità e risoluzione sempre maggiori.

3. Sistemi di comando e controllo. Ovvero sistemi di comando e controllo basati su calcolatori sempre più potenti in grado di processare un volume sempre maggiore di informazioni e distribuirlo agli “utenti”, effettori sul campo, altri nodi di comando ecc., in tempi sempre più brevi.

Il punto fondamentale della RMA è pertanto la teorizzazione della messa a sistema di più innovazioni tecnologiche per l’implementazione, attraverso strutture organizzative / operative nuove, di un nuovo modo di combattere. Il quarto elemento fondamentale, era, tuttavia, all’epoca, ancora mancante. Ovvero la struttura organizzativa/operativa in grado di ottimizzare i tre elementi innovatori e di rendere possibile la teorizzazione del nuovo modo di combattere. In realtà, di lì a qualche anno, anche grazie al mutamento dovuto al crollo del Muro di Berlino e alla fine del sistema bipolare, sarebbe venuta anche quella. Stiamo parlando della Joint Task Force. La JTF (poi diventata anche combined, multinazionale ecc.) rappresenta al meglio la struttura organizzativa in grado di ottimizzare i nuovi elementi tecnologici e dottrinali. Una forza calibrata sulla missione, rigorosamente interforze, per sfruttare le sinergie inter-arma, ed ottenere così dei maggiori effetti sul campo di battaglia, rapidamente dispiegabile, e dunque anche leggera.

Da un punto di vista operativo, una forza centrata su un’unità di manovra meccanizzata di livello battaglione, con associati una serie di “augmentees” specialistici, artiglieria, genio, ecc..

Confr_Amm__20111117 8 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango Con l’ulteriore evoluzione del concetto di RMA in NCW, infine, la struttura organizzativo/operativa di ottimizzazione è cambiata ancora una volta per approdare alla nuova frontiera della brigata modulare. Il MBCT (Modular Brigade Combat Team) non è altro che un’unità altamente standardizzata con moduli capacitativi organici e intercambiabili, in grado di auto sostenersi, ed in cui ogni utente, dal singolo soldato, al Posto Comando, è tenuto assieme dalla rete secondo la logica network-centrica “plug- and-play”. Si tratta di una struttura, pertanto, orizzontale, schiacciata verso il basso, in cui le singole componenti godono di un’autonomia senza precedenti, resa possibile da un altrettanto unica situational awareness.

Il primo concetto, quella della JTF, è stato adottato alla Forze Armate americane a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta, e poi fatto proprio ufficialmente anche dalla NATO nel 1994. Il suo recepimento, come accennato, è stato favorito dai mutamenti del sistema internazionale. L’affermazione dei nuovi scenari, con il relativo, ed esponenziale, incremento del bisogno di “polizia internazionale”, ha posto difatti l’accento sulle missioni internazionali, diventate la regola e non più l’eccezione (come, per esempio, lo fu “Libano 1982”), e sull’utilizzo di forze in grado di essere proiettate a sostenute anche a grandi distanze dal territorio nazionale.

Il secondo concetto, quella dell’unità modulare, è invece maturato negli anni 2000 e, in particolare, a seguito della straordinaria accelerazione agli eventi internazionali impressa dall’11 settembre. Da un punto di vista empirico, pertanto, l’ammodernamento delle forze USA, in particolare dell’US Army, ha seguito sostanzialmente due direttrici. Da un parte quella organizzativa, lungo il binario dell’approntamento di forze expeditionary, sempre più leggere e, poi, modulari, dall’altro, quella tecnologica, con l’acquisizione e introduzione di sistemi d’arma, ispirati ai concetti della RMA, prima, e della NCW, dopo.

A proposito di NCW, un ultimo accenno anche a quest’ultimo concetto. Di NCW, anche in Italia, se ne parla da anni. Qui giova soltanto ribadire che la NCW può essere considerata come l’ultimo stadio della Rivoluzione negli Affari Militari, reso possibile dal pieno sfruttamento delle tecnologie dell’informazione. Per cui, con la NCW il centro di tutto diventa l’infrastruttura informativa, senza la quale il dispiegamento di tutte le potenzialità della RMA, nel frattempo divenuta NCW, può avere luogo. L’approccio Network Centric

Confr_Amm__20111117 9 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango Warfare, come dice il nome stesso, pone al centro di tutto la rete. Le piattaforme, i sistemi e perfino i concetti operativi devono essere pensati e realizzati in funzione della rete e della qualità e quantità di informazione che essa mette a disposizione di tutti gli operatori e gli utilizzatori.

Negli Stati Uniti, dove la dottrina della Network Centric Warfare è stata concepita, sin dall’inizio ci si è posti l’obiettivo di sviluppare un’architettura di riferimento nella quale tutti i tipi di informazione potessero essere integrati grazie alla definizione e all’utilizzo di standard comuni. Questo approccio radicale, come vedremo diverso da quello poi adottato in Europa ed in Italia, che presuppone in linea di principio il rinnovamento completo delle piattaforme, in un arco temporale ridotto, in senso network-centrico, si è rivelato troppo ambizioso e problemi di bilancio hanno alla fine costretto ad un ridimensionamento. Ciò detto, la NCW resta tutt’oggi negli USA qualcosa di avveniristico, se non altro a livello dottrinale e persino culturale.

1.2 Le implicazioni organizzative: il nuovo US Army modulare

L’US Army, a differenza degli altri eserciti europei, se si esclude, in parte, il Britsh Army, a partire dalla fine della Guerra Fredda non ha dovuto fare i conti con il problema della professionalizzazione, considerato che il servizio militare obbligatorio era già stato abolito negli USA negli anni Settanta. Questo ha permesso, di fatto, ai pianificatori americani di concentrarsi soprattutto sulla trasformazione organizzativa e strutturale. Questo processo ha iniziato a delinearsi a metà anni Novanta, quando, terminata da poco la Guerra Fredda, e incassato il successo nella Guerra del Golfo, iniziava a farsi strada l’idea che la struttura dell’US Army fosse troppo pesante e scarsamente flessibile per adattarsi ai nuovi scenari. C’era il rischio, come peraltro dimostrato nei Balcani a tutto vantaggio del potere aereo, che l’US Army diventasse meno rilevante, rispetto a USAF e US Navy, a causa della sua incapacità di dispiegare le proprie forze rapidamente ed efficacemente. In molti, pertanto, iniziarono a pensare ad una ristrutturazione dell’US Army che avesse al centro, come unità base, una brigata ad alta mobilità e dispiegabilità.

Il dibattito è andato avanti per qualche anno fino al 2001, quando, a novembre, l’allora Capo di Stato Maggiore dell’US Army, lanciò la strategia della trasformazione per

Confr_Amm__20111117 10 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango convertire la struttura divisionale dell’Esercito americano, la “Legacy Force”, in una futuristica “Objective Force”. Contestualmente, l’US Army lanciò il programma FCS (Future Combat System), la cui famiglia di sistemi avrebbe equipaggiato, appunto, la “Objective Force”. Questa trasformazione, estremamente ambiziosa e rischiosa, con dei costi già all’epoca stimati in quasi 100 miliardi di dollari, sarebbe stata portata avanti in tre decenni. Una prima unità equipaggiata con i sistemi dell’FCS sarebbe stata infatti dispiegata nel 2011, e tutta la forza riconvertita entro il 2032. Per mitigare tutti i rischi del processo, sarebbero state di lì a poco costituite sei Interim Brigade Combat Team, ridenominate poi SBCT ( Brigade Combat Team), organizzate attorno a un battaglione di fanteria motorizzata ed uno squadrone RSTA (Reconnaissance, Surveillance and Target Acquisition).

Questa prima versione della strategia futura dell’US Army è stata poi rivista nel 2003 dal nuovo capo di stato maggiore Peter Schoomaker. La “Objective Force” diventava così la Future Force e veniva delineata una nova struttura ad interim su sole tre tipologie di unità. La trasformazione avrebbe poi dovuto accordarsi con il temporaneo aumento di 30.000 uomini, decretato per far fronte alle necessità della guerra al terrorismo. Da un punto di vista tecnico, le tecnologie mature dell’FCS sarebbero state introdotte direttamente nelle unità impegnate sul campo senza aspettare che queste potessero essere integrate sulle piattaforme della famiglia FCS. Allo stesso tempo, il generale Schoomaker decise di dare un’enfasi maggiore più che alle piattaforme, al network che le avrebbe tenute assieme in’architettura coerente, ovvero al sistema dei sistemi.

Dopo le teorizzazioni, il primo grande momento di trasformazione si è avuto nel 2005, quando la più significativa ristrutturazione dell’US Army in 50 anni è entrata nel vivo. A quell’epoca, l’US Army aveva ancora una struttura basata su quattro comandi di Corpo e 10 Divisioni, di sette tipologie differenti: corazzate, meccanizzate, cavalleria, fanteria leggera, fanteria aeroportata, fanteria d’assalto aereo e divisioni medie (composte dalle prime brigate Stryker ed altre brigate). In totale, 34 brigate.

Confr_Amm__20111117 11 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango Pertanto, se vogliamo ricapitolare, alla base della trasformazione avviata nel 2005, c’erano due fattori:

1. la necessità di un aumento temporaneo, che sarebbe poi dovuto terminare nel 2009, di 30.000 uomini dell’organico dell’US Army per far fronte agli impegni nei teatri iracheno e afghano;

2. la volontà di passare dalla struttura vigente fino ad allora, sostanzialmente ereditata dalla Guerra Fredda ed incentrata sulla divisione, ad una struttura basata su brigate, denominate Unity of Action, più flessibili, dispiegabili e proiettabili.

I comandi di divisione sarebbero stati pertanto rimodulati e portati ad uno standard comune denominato Unit of Employment, in grado di gestire fino a sei Unit of Action e di operare anche come Joint Headquarter. In questo modo, l’US Army voleva evitare ridondanze e rendere disponibile personale da assegnare ad altri compiti. Per le funzioni a livello di comando di teatro o strategico i comandi di corpo sarebbero stati trasformati in Unit of Employment. Le Unit of Action sarebbero state più piccole, ma più letali delle brigate in quel momento in linea con l’US Army, beneficiando peraltro, organicamente, di assetti di artiglieria o ricognizione, per esempio, che fino a quel momento rientravano nel livello divisionale. L’obiettivo era quello di portare la configurazione dell’US Army da una forza organica di 34 brigate ad una di 43 entro il 2006. La nuova strutturazione avrebbe poi dovuto, come già ricordato, fare da ponte verso la Future Force.

Entro il 2007, l’US Army contava di schierare 10 Unit of Action di fanteria, 20 Unit of Action pesanti e 5 Unit of Action Stryker (SBCT, Stryker Brigade Combat Team). Dunque, tre tipologie diverse di unità. Le Unit of Action di fanteria prevedevano un organico di 3.000 uomini e un’organizzazione base su: un elemento comando rafforzato da un plotone di polizia militare, una compagnia signal, una compagnia intelligence, una compagnia del genio ed una cellula per il coordinamento proveniente da fonti non organiche ed un battaglione RSTA. Accanto a questi elementi, un battaglione “strike”, ovvero un battaglione, di fatto, di CSS, con un plotone acquisizione obbiettivi, un’unità per le operazioni con UAV, due batterie di artiglieria e una compagnia di supporto avanzata. Le pedine di manovra sarebbero state due battaglioni, ognuno composto da tre compagnie fucilieri ed una compagnia di supporto.

Confr_Amm__20111117 12 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango Le Unit of Action pesanti avrebbero avuto un organico più sostanzioso, 3.800 uomini, ed un’organizzazione base su: un elemento di comando, un battaglione RSTA con la stessa composizione dell’analoga pedina delle Unit of Action di fanteria, un battaglione per il supporto di fuoco formato da un’unità per l’acquisizione obbiettivi, due batterie di obici semoventi ed una compagnia di supporto. La componente di manovra sarebbe stata composta da due battaglioni con due compagnie carri e due compagnie meccanizzate, più una compagnia di supporto, ciascuno. Infine, un battaglione per il supporto logistico.

Le Stryker Brigade Combat Team avrebbero avuto una struttura organizzata su: un elemento comando, con una compagnia signal ed una compagnia di intelligence militare, e una componente di manovra su tre battaglioni motorizzati, con tre compagnie Stryker ciascuno. A queste unità vanno poi aggiunte un battaglione RSTA, un battaglione di artiglieria, una compagnia del genio, una compagnia anticarro ed il classico battaglione di supporto. Infine, tutti gli elementi componenti le varie Unit of Action, sarebbero stati collegati ad un sistema di commando e controllo, spinto fino ai più bassi livelli operativi, per lo scambio di informazioni, ordini e dati, in grado di permettere alla UA di operare come un’unità indipendente e auto sostenibile.

Nella realtà, il processo di trasformazione appena delineato, di lì a poco sarebbe andato incontro ad un’ulteriore evoluzione causata dalle esigenze ancora una volta imposte dall’impegno militare in Afghanistan e Iraq. Nel 2007, infatti, l’amministrazione americana decise di incrementare di altri 75.000 soldati i livelli organici dell’US Army, 65.000 nella componente attiva, 8.200 nella Guardia Nazionale e 1.000 nella Riserva.

Un altro passaggio significativo che, inoltre, avrebbe comportato la creazione di un nuovo sistema di generazione delle forze e di rotazione delle stesse per fronteggiare in modo migliore gli impegni della GWOT (Global War on Terrorism). Il nuovo modello, denominato Army Force Generation (ARFORGEN), fintanto che le esigenze dei teatri lo avessero richiesto, prevedeva la possibilità di arrivare a rischierare fino ad un comando di copro, cinque comandi divisionali, 20 BCT e 90.000 soldati di supporto e combat service support. Poi, una volta che la domanda di più uomini fosse diminuita, tramite ARFORGEN, l’US Army avrebbe mantenuto la capacità di dispiegare un comando di corpo, tre comandi divisionali, 10 BCT e 40.000 soldati di supporto e CSS.

Confr_Amm__20111117 13 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango In questo modo, nel 2013 l’US Army avrebbe avuto una forza organica di 547.000 uomini, per un totale di 45 brigate nella componente attiva e 28 brigate di supporto.

Parallelamente al processo di crescita organica, è andata avanti anche la modularizzazione. Le Unit of Action sono state definitivamente ridenominate BCT (Brigade Combat Team), ma è stata mantenuta la tipologia “trinaria” standardizzata: BCT pesanti, BCT di fanteria e BCT Stryker. La configurazione è stata mantenuta grosso modo la stessa, con una grande enfasi posta sull’aumento degli elementi RISTA (Reconnaissance Intelligence Surveillance Target Acquisition), ritenuti fondamentali nei nuovi scenari, e sulla diminuzione degli elementi di artiglieria, in considerazione del fatto che le BCT avrebbero potuto contare sul supporto in chiave joint fornito da assetti di USAF e US Navy.

Riassumendo, di seguito ecco l’organizzazione delle varie unità.

BCT pesanti:

 Un BSTB (Brigade Special Troops Battalion) comprendente il comando brigata, una compagnia signal, una compagnia di intelligence militare, con un plotone TUAV (Tactical UAV), un plotone di force protection ed un plotone di polizia militare.  Uno squadrone corazzato da ricognizione su tre unità equipaggiate con 10 Bradley ciascuna  Due battaglioni di manovra su due compagnie carri con 14 Abrams ciascuna, due compagnie meccanizzate su 14 Bradley ciascuna, una compagnia del genio ed un elemento di comando comprendente anche un nucleo Scout equipaggiato con LRAS (Long-Range Advance Scout Surveillance System), un plotone mortai da 120 mm ed una sezione sniper.  Un battaglione di fuoco comprendente due batterie con otto semoventi da 155 mm M109 A6 Paladin, un plotone per l’acquisizione obbiettivi ed una cellula per il coordinamento del fuoco delle fonti non-organiche e joint.  Un battaglione di supporto.

Confr_Amm__20111117 14 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango

BCT di fanteria

 Un BSTB, (Brigade Special Troops Battalion) simile a quello delle BCT pesanti.  Uno squadrone RSTA (Reconnaissance Surveillance Target Acquisition) con due unità motorizzate su Humvee, e in futuro, forse, su Joint Light Tactical Vehicle), con capacità LRAS (Long-Range Advance Scout Surveillance System) ed un’unità RECON (Reconnaissance) appiedata.  Due battaglioni di manovra, ciascuno con tre compagnie di fanteria, una compagnia armi con quattro plotoni motorizzati d’assalto con capacità anticarro.  Un battaglione di fuoco su due batterie con otto semoventi a traino meccanico da 105 mm, un plotone per l’acquisizione obbiettivi ed una cellula per il coordinamento delle fonti di fuoco non-organiche e joint.  Un battaglione di supporto.

BCT Stryker

 Una compagnia comando con elementi signal, intelligence, genio e UAV.  Uno squadrone RSTA con tre unità motorizzate, ciascuna su 14 veicoli e due mortai da 120 mm, un nucleo UAV e NBC.  Tre battaglioni di manovra su tre compagnie con 12 Stryker in versione APC, tre in versione MG (Mobile Gun) e due in versione porta-mortaio (120 mm), più un plotone scout e una sezione sniper.  Una compagnia anticarro con nove Stryker in versione anticarro con missili Tow.  Un battaglione di fuoco comprendente tre batterie su sei obici a traino meccanico da 155 mm, un plotone per l’acquisizione obbiettivi ed una cellula per il coordinamento del fuoco.  Un battaglione di supporto.

Oltre alle unità della componente attiva, anche le unità di supporto sono state riorganizzate secondo il concetto della modularità e della standardizzazione (MSB, Modular Support Brigade). Cinque le tipologie di MSB: Aviazione, Fuoco, Sorveglianza del Campo di Battaglia, Sostegno e Supporto alla Manovra. Anche in questo caso, si è trattato Confr_Amm__20111117 15 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango di una rivoluzione perché fino ad allora artiglieria, combat support e supporto logistico rientravano nel livello divisionale e i relativi elementi venivano assegnati alle brigate di combattimento solo su base temporanea Nel 2011, il processo di modularizzazione dell’US Army è stato completato e tutte le unità trasformate.

1.3 Dall’FCS alla BCT modernization strategy

La modularizzazione dell’US Army, come si accennava, avrebbe dovuto rappresentare una sorta di soluzione ad interim in vista dell’avvento della Future Force, basata sul rivoluzionario programma Future Combat System. Nel 2009, però, con una decisione epocale, l’amministrazione Obama ha deciso di cancellare il programma FCS, a causa dell’esponenziale aumento dei costi, divenuti insostenibili anche per le casse del Pentagono, impegnate a dare ossigeno alle contingenze della guerra globale al terrorismo. Fino ad allora, il programma FCS era stato il programma di punta dell’US Army. Il programma che avrebbe garantito, finalmente, l’implementazione concreta del concetto di NCW, con tutti i suoi risvolti operativi. Al posto dell’FCS, l’amministrazione Obama, ispirata dal Segretario alla Difesa Gates, ha deciso di lanciare una più pragmatica strategia di modernizzazione, denomina Brigade Combat Team Modernization Straetgy, basata sull’introduzione progressiva, programmata ogni due anni, di pacchetti di nuove capacità e di “network set” (“pezzi di network”), via-via che questi maturavano tecnologicamente, nelle BCT. Una Task Force del TRADOC, denominata Task Force 120, avrebbe determinato i requisiti dell’US Army. In altri termini anche negli USA, patria della NCW, si virava sul più pragmatico e realistico concetto di Network Enabled Capability, dando priorità all’infrastruttura net-centrica e, dunque, mettendo in secondo piano la realizzazione di piattaforme net-centriche. L’infrastruttura avrebbe poi dovuto legare assieme mezzi e sistemi tradizionali, già sul campo, e mezzi di futura introduzione. Questa avrebbe, pertanto, ricevuto la precedenza nel programma di modernizzazione e si sarebbe basata sull’infrastruttura già sviluppata per l’FCS. Del Future Combat System, infatti, proprio l’infrastruttura network-centrica, il cui sviluppo andava avanti da anni, è stata l’unica, vera, sopravvissuta.

Confr_Amm__20111117 16 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango L’obiettivo della BCT Modernization Strategy è pertanto bilanciare le esigenze dei teatri con quella di modernizzazione dello strumento (e sul bilanciamento torneremo poi nell’ultimo capitolo della presente ricerca), mitigandone i rischi, soprattutto sul versante della situational awareness, identificata come il vero moltiplicatore di forze del futuro. In questo modo anche il soldato o il mezzo tradizionale sarebbero stati “plug-and-play” nell’infrastruttura network-centrica via-via che questa si rafforzava e si adeguava ai nuovi sviluppi tecnologici e ogni formazioni e unità sul campo avrebbe ricevuto il beneficio di una situational awarness senza precedenti.

Al centro di tutto c’è il network, o meglio il WIN-T (Warfighter Information Network Tactical), ovvero la porzione dell’US Army del network delle FA americane basato sulla Global Information Grid. Il WIN-T è una rete di comunicazioni digitale tattica, mobile e sicura, dotata di elevate doti di sopravvivenza e in grado di supportare un sistema informativo multimediale, che si avvale anche di tecnologie commerciali per mettere a disposizione dei soldati un’elevata capacità di scambio di informazioni. Il sistema, sviluppato originariamente, come si diceva, nell’ambito del programma FCS, rappresenta l’evoluzione finale di una serie di sistemi, in parte già sperimentati sul campo da alcune grandi unità. Una volta a regime, il WIN-T permetterà a tutte le pedine sul campo e nei comandi di avere la medesima Common Operational Picture e di scambiare grandi volumi di informazioni – video, messaggi, dati – in tempo reale, utilizzando tutti i tipi di canali di comunicazioni possibili: militari e commerciali, satellitari, radio ecc..

In pratica, il WIN-T rappresenta una vera e propria bolla informativa, estesa per la prima volta a tutto il campo di battaglia e accessibile a tutte le unità, a prescindere dal loro grado di dispersione e dalla loro localizzazione. In termini pratici questo significa che ogni soldato potrà scambiare e ricevere in tempo reale dati anche molto “pesanti”, video e immagini, potrà avere accesso in qualsiasi momento a servizi internet (IP) e di messaggistica web (VoIP), potrà fare e assistere a conference call e accedere a banche dati e informazioni della Difesa, compresi dati biometrici e biografici di potenziali avversari. Il tutto senza soluzione di continuità ed a prescindere dalla sua localizzazione e dalla sua distanza dai centri di comando.

Confr_Amm__20111117 17 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango

Riassumendo, le principali caratteristiche del WIN-T sono le seguenti:

 Trasferimento di grandi volumi di dati in tempo reale  Multimedialità. Video, conference call, Internet, VoIP  Multicanale. Satellitare, line-of-sight radio e aereo  Apertura e interoperabilità con sistemi di generazione precedente, . joint e sistemi futuri

Il WIN-T verrà dispiegato in tre incrementi. L’Incremento 1 prevede l’introduzione di una capacità di network base e l’apertura del sistema ai satellite militari in banda Ka (Wideband Global Satellite, WGS), oltre ai tradizionali satelliti commerciali in banda Ku. Con questo primo incremento, il network è ottimizzato per operare con posti di comando e unità statiche ("networking at-the-halt"), fino a livello battaglione. Tecnicamente, il primo incremento prevede l’introduzione di apparati di routing e comunicazione ospitati in shelter e di analoghi sistemi trasportati sui veicoli. Terminali satellitari – STT (Satellite Transportable Terminal) - e terminali radio line-of-sight trasportabili, con i relativi hub (anch’essi trasportabili, su autocarri).

Accanto a queste capacità, è prevista l’introduzione di crittografia “colorless”, per la sicurezza di tutta l’infrastruttura, e dei primi apparati radio JTRS (Joint Tatcical Radio Systems), ovvero apparati radio programmabili via software in grado di operare contemporaneamente sia con i tradizionali canali radio – VHF, UHF e HF – e satellitari sia con i nuovi canali a forme d’onda (WNW, Wideband Networking Waveform, e HBWF, Highband Networking Waveform). In pratica stiamo parlando di un singolo apparato con più canali di comunicazione.

Questi sistemi sono in grado di allargare enormemente, fino al 140%, la banda per comunicazioni e scambio dati e di garantire il supporto di reti mobili e ad hoc (WAN, Wide Area Network). Il tutto messo a sistema e ottimizzato da un software di gestione in grado di priorizzare il traffico e allocare la larghezza di banda più opportuna e garantire una picture operativa comune.

Confr_Amm__20111117 18 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango L’Increment 1 è in via di completamento.

L’Increment 2 prevede l’estensione del network anche alle unità in movimento, capacità di network OTM (On-The-Move), fino a livello compagnia, mediante l’aggiornamento del software, il rafforzamento della componente a forma d’onda e l’introduzione della capacità di passare da un canale all’altro in modo automatico. Quest’ultimo aspetto è molto importante perché permetterà all’unità che, improvvisamente, perde il canale radio in line- of-sight, di passare automaticamente al canale satellitare (commerciale o militare).

In pratica i ponti radio e satellitari saranno in grado di riconfigurare se stessi in modo del tutto automatico. Un’altra particolarità è che le antenne satellitari sono in grado di rimanere puntate sui satelliti anche quando un veicolo attraversa un terreno accidentato, mentre le antenne radio, anziché irradiare il tradizionale fascio omnidirezionale, possono emettere un segnale direzionale, più stretto e quindi più difficile da intercettare.

Infine, il terzo incremento del WIN-T prevederà l’introduzione di un terzo canale, quello aereo, mediante la disponibilità di UAV in grado di operare come nodi e ponti di trasferimento dati e informazioni aeroportati, e renderà definitivo il completamento dinamico del network. In particolare, in questa fase è prevista l’installazione su UAV Skywarrior - MQ-1C Extended Range/Multi-purpose (ER/MP) – di un payload comprendente un’antenna direzionale Highband Networking Waveform (HNW) che opererà come ripetitore radio line-of-sight.

Ad oggi, è in corso la produzione a basso rateo dei sistemi del secondo incremento nell’ambito di un contratto triennale concesso all’azienda General Dynamics, capocommessa del programma alla testa di un team che comprende anche Lockheed Martin, BAE Systems, Harris e L3, nel marzo 2010. Questi sistemi equipaggeranno otto brigate e ed un comando di divisione. Un primo test con i sistemi e gli equipaggiamenti dell’Increment 2 è previsto per i primi del 2012 a Fort Bliss, con l’AET (Army Evaluation Task Force), ovvero la 2ª Brigata della 1ª Divisione Corazzata. Quest’ultima, di fatto, rappresenta il test bed della BCT Modernization Strategy che servirà per testare e valutare tutte le nuove tecnologie e le nuove applicazioni prima della loro introduzione con le unità sul terreno.

Confr_Amm__20111117 19 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango

1.4 I filoni della modernizzazione

Nell’ambito della BCT Modernization Strategy, l’US Army ha lanciato una serie di programmi che si basano, da una parte, sull’esperienza acquisita nei programmi precedenti, dall’altra, sulle indicazioni provenienti dai soldati impegnati in teatro.

Tali programmi abbracciano pressoché ogni settore. In questa sede ci limiteremo ad una panoramica su alcuni programmi rientranti in quattro settori: comando e controllo, mobilità, robotica e “soldato del futuro”.

Nel primo grande filone, l’US Army da diversi anni impiega sui propri mezzi sul terreno l’FBCB2 (Force XXI Battle Command Brigade-and-Below). L’ FBCB2, che ha fatto il suo esordio sui veicoli Stryker ed è stato poi via-via installato anche su Abrams e Bradley, è un terminale tattico veicolare di comando e controllo in grado di svolgere contemporaneamente le funzioni di BMS (Battle Managemetn System), di localizzazione – come un “semplice” sistema di navigazione – e di controllo e di monitoraggio dello status logistico. Il sistema garantisce la distribuzione di ogni tipo di informazioni, posizione delle unità (amiche e nemiche) sul campo, attraverso il canale satellitare (commerciale in banda L) o radio (VHF e UHF), ordini provenienti dai livelli di comando superiori, dati di allerta (presenza di campi minati, minacce dirette ad un veicolo ecc..) e logistici (status sulla condizione operativa di un velivolo, carburante, munizionamento ecc..).

La distribuzione avviene mediante l’invio di dati preformattati in automatico o, attraverso un servizio di messaggistica IP, in modalità manuale e a testo libero. La situazione sul terreno viene raffigurata, e aggiornata in tempo reale, su display multi-funzione dotati di cartografia digitale. La produzione a basso rateo del sistema è iniziata nel 2001, comprensiva della consegna di 9.000 componenti, tra display, processori e databus, mentre nel 2004 è iniziata la produzione pieno rateo. Ad oggi sono state consegnati e installati sui veicoli oltre 95.000 componenti dell’ FBCB2.

Nell’ambito della BCT Modernization Strategy, l’FBCB2 potrebbe essere presto affiancato e poi sostituito dal Joint Battle Command-Platform (JBC-P), la futura applicazione di comando e controllo tattico terminale. Il JBC-P è già in corso di sperimentazione presso la

Confr_Amm__20111117 20 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango AET-F a Fort Lewis nella sua versione portatile prototipica. Questa, al momento, è costituita da un semplice “smart phone”, basato sul sistema operativo Android, in grado di svolgere le classiche funzioni, al peso di sole due libbre, di comando, controllo e gestione del combattimento quali tracking, mappatura, trasmissione e ricezione di ordini e messaggi ecc.. Il sistema è in grado di ricercare fino a sei diverse frequenze sulle quali trasmettere informazioni e, in caso di perdita del segnale, di passare automaticamente sulla frequenza più indicata, grazie alla sua capacità di interfacciarsi sia con apparati radio della famiglia JTRS che con normali apparati VHF. Il JBC-P è un programma congiunto tra US Army e Marines.

Nel campo della mobilità, il primo tassello della modernizzazione dell’US Army è stato lo Stryker. Lo Stryker è nato in base all’esigenza di disporre di un veicolo leggero ruotato in grado di adattarsi ai nuovi scenari expeditionary ed è stato il primo veicolo militare ad entrare in servizio per l’Esercito americano dopo l’introduzione, nella seconda metà degli anni Settanta, del carro armato Abrams. Lo Stryker è un blindato polivalente 8x8 costruito dall'americana General Dynamics basato sullo scafo del Lav III che, a sua volta, costituisce un'evoluzione del Piranha III, prodotto dalla svizzera Mowag, ora integrata nella divisione europea della società statunitense General Dynamics. Il veicolo ha un peso base sulle 18 tonnellate ed è dotato di capacità anfibie. Ha un telaio su tre assi sterzanti, con trazione integrale disinseribile – di fatto si trasforma in un 8x4 sui terreni meno difficili – ed è capace di raggiungere la velocità massima di 105 km/ora. L'autonomia operativa tocca i 530 km, grazie a un serbatoio di gasolio di circa 200 litri.

Lo Stryker è mosso da un motore Caterpillar a sei cilindri in linea di 7,42 litri di cilindrata, in grado di erogare una potenza di picco di 350 Cv a 2.800 giri/min. Il propulsore è abbinato al cambio automatico Allison Md 3560P a sei rapporti. Per assicurare la mobilità su tutti i terreni, è stato installato un sistema centralizzato CTIS (Central Tire Inflation System) di gonfiaggio e sgonfiaggio dei pneumatici (che sono di tipo run-flat). Il dispositivo consente di aumentare l'impronta delle coperture sui fondi cedevoli, diminuendo così la pressione specifica esercitata sul terreno. Il CTIS a controllo elettronico lavora insieme alle sospensioni idropneumatiche indipendenti per assicurare condizioni di confort soddisfacenti anche durante la marcia del veicolo a elevate velocità sui fondi accidentati.

Confr_Amm__20111117 21 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango Nella versione trasporto truppe, lo Stryker è in grado movimentare una squadra di 9 fanti completamente equipaggiati, oltre al conducente e al comandante. Questa versione è equipaggiata con una torretta a controllo remoto dotata di mitragliatrice da 7,62 mm o lanciagranate. Esistono, però, numerose altre varianti, adibite a carro comando, ad ambulanza per l'evacuazione dei feriti, a veicolo da ricognizione o da laboratorio per la guerra chimico-batteriologica-nucleare (Nbc). A ciò si aggiungono i veicoli anticarro, portamortaio o da supporto di fuoco ravvicinato. Quest'ultima versione è equipaggiata con una torretta dotata di cannone da 105 mm (con una riserva di munizioni di 18 colpi) ed è denominata MGS (Mobile Gun System).

Lo Stryker, poi, è stato il primo veicolo dell’US Army, come già accennato, a ricevere il terminale tattico di comando e controllo FBC2B. Dopo le problematiche evidenziate nei primi dispiegamenti in Iraq, relative soprattutto al livello di protezione, inadeguato rispetto al tipo di minaccia, il veicolo sembra aver ottenuto buoni risultati e l’apprezzamento dei soldati, in particolare, grazie alla sua mobilità e alla sua rudimentale capacità network- centrica. Il problema della protezione, poi, è stato risolto adottando griglie esterne con le quali far detonare la carica cava contenuta negli RPG a sufficiente distanza dallo scafo per evitare che il getto di gas ionizzato a elevata temperatura, generato dalla carica stessa, penetri nella blindatura e sistemi di dispositivi di disturbo elettronici (jamming) per precludere agli "insurgents" l'utilizzo dei cellulari o dei comandi all'infrarosso dei cancelli automatici, impiegati per attivare gli ordigni stradali durante il passaggio dei veicoli della coalizione.

Lo Stryker, come ampiamente accennato nei paragrafi precedenti, avrebbe dovuto fare da “apripista” alla famiglia di veicoli sviluppati nell’ambito del programma FCS. Il programma, lanciato dall’US Army ufficialmente nel 2003, prevedeva lo sviluppo di una serie di piattaforme, pilotate e non, collegate assieme da un’architettura net-centrica in una sorta di “sistema-dei-sistemi” tattico. La componente ““manned”” prevedeva al tal proposito la realizzazione di otto veicoli cingolati, con un peso compreso tra le 16 e le 20 tonnellate, basati su un telaio comune. Ogni veicolo avrebbe dovuto avere un modulo di missione specifico e sarebbe stato trasportabile su C-130. I veicoli dovevano essere otto. Una versione da ricognizione sorveglianza armata con cannone da 30 mm e sensori di varie tipologie, e capace anche di lanciare UAV e UGV, una versione MBT equipaggiata con cannone da 120 mm in grado di colpire obbiettivi in modalità BLOS (Beyond Line of Sight),

Confr_Amm__20111117 22 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango una versione obice semovente da 155 mm sempre con capacità di ingaggio stand-off, recuperando tra l’altro alcune componenti sviluppate sulla base dell’esperienza maturata con il programma Crusader (l’obice che avrebbe dovuto isostiuire il Paladin), una versione porta-mortaio (da 120 mm), capace di utilizzare diverse tipologie di munizionamento guidato, una versione recupero e manutenzione, una versione ICV (Infantry Carrier Vehicle), in grado di trasportare due uomini di equipaggio e nove fucilieri e armata con un cannone da 30 mm, una versione ambulanza e, infine, una versione Posto Comando, per operare come nodo di comando e controllo avanzato.

I nuovi veicoli avrebbero dovuto garantire le stesse prestazioni di un Abrams o di un Bradley in termini di sopravvivenza, pur essendo di dimensioni molto più contenute. E questo per una serie di ragioni:

 sarebbero stati molto più mobili, grazie all’adozione di sistemi di propulsione “ibridi”,  avrebbero avuto la capacità di colpire al di là della linea dell’orizzonte, riducendo pertanto i rischi e la probabilità di subire perdite legate al combattimento di contatto,  avrebbero potuto contare sui nuovi sistemi di protezione allo studio, attivi e passivi.  avrebbero avuto una superiore situational awarness grazie all’inserimento nella rete network-centrica

Nel 2009, come noto e ampiamente riportato, l’amministrazione Obama ha deciso però di cancellare il programma FCS, sacrificando tutte le componenti “manned” e salvandone solo il network e alcune componenti “unmanned”. Al posto della componente “manned” dell’FCS è stato poi lanciato un altro programma, denominato GCV (Ground Combat Vehicle) per lo sviluppo di un nuovo blindato da combattimento per l’US Army con il quale sostituire progressivamente M113 e Bradley. Nel febbraio 2010 è stata rilasciata una RFP (Request for Proposal) per avviare la fase di sviluppo tecnologico del veicolo.

La RFP è stata da prima cancellata e poi definitivamente riemessa nel novembre dello stesso anno. In questa fase è stata condotta l’elaborazione dei requisiti e studiate le tecnologie migliori per soddisfarli. I relativi contratti sono stati assegnati a tre consorzi aziendali. Questa fase terminerà nel 2013 e culminerà con una Critical Design Review.

Confr_Amm__20111117 23 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango I tre team industriali che attualmente stanno partecipando alla fase di sviluppo sono quello guidato da SAIC, che comprende Boeing e Krauss Maffei, il team BAE Systems/Northrop Grumman ed il team guidato da General Dynamics con MTU Detroit Diesel, Lockheed Martin e Raytheon.

La fase successiva riguarderà l’ingegnerizzazione e vedrà l’eliminazione di uno dei tre consorzi concorrenti. In questa fase verranno realizzati i primi prototipi, con consegna prevista alla fine del 2014, e condotti i relativi test, compresi i test balistici di scafo e torretta e i test di mobilità.

Ai primi del 2016 verrà poi selezionato il prime contractor ed avviata la fase di produzione a basso rateo. La capacità operativa iniziale del primo battaglione equipaggiato con i veicoli di preserie è prevista per la metà del 2018 ed in totale in questa fase verranno prodotti 62 veicoli. La produzione a pieno rateo inizierà nel 2019.

Nel campo dei veicoli tattici, lo sforzo di modernizzazione dell’US Army è tutto concentrato sul programma JLTV (Joint Tactical Vehicle), un’iniziativa congiunta tra US Army e Marines per lo sviluppo di un veicolo caratterizzato da una mobilità simile a quella degli Humvee e da una protezione paragonabile a quella dei MRAP. Per anni, l’Humvee è stato uno dei simboli dell'impegno militare americano in Iraq e Afghanistan, dove si è però trovato ad operare in uno scenario per il quale non era stato progettato. Come per la Jeep, l'impiego principale dell'Humvee avrebbe dovuto svolgersi nelle retrovie, come veicolo di collegamento o per il presidio di aree già "pacificate". Il problema è che nei conflitti asimmetrici non esiste un fronte ben definito e, pertanto, non esiste neanche una vera e propria retrovia.

La prima e più logica risposta delle Forze Armate americane è stata quella di dotare gli Humvee di corazzature aggiuntive (up-armour) poiché neanche la versione blindata M1114, sviluppata dopo l'esperienza in Somalia, era in grado di offrire un livello di protezione sufficiente nel nuovo contesto operativo. Anche questa soluzione si è però rivelata inadeguata nei confronti della minaccia più comune, ovvero quella portata dagli IED (Improvised Explosive Devices).

Confr_Amm__20111117 24 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango Il passo successivo per far fronte al problema è stato l'acquisto d'urgenza a partire dal 2006 di migliaia di veicoli MRAP (Mine Resistant Ambush Protected), che con il loro scafo a V offrono una protezione molto più elevata e giudicata più in linea con i requsiti tipici degli scenari asimmetrici.

L'introduzione dei MRAP ha consentito di rispondere all'esigenza di una maggiore sicurezza nel trasporto truppe lungo le principali vie di comunicazione, ma questi pesanti veicoli non sono certo in grado di coprire i ruoli inizialmente assegnati agli Humvee. I MRAP, infatti, sono mezzi di dimensioni spesso troppo ingombranti per manovrare agilmente in ambiente urbano e il loro baricentro è troppo elevato per un impiego su terreni molto accidentati, tanto che la maggiore causa di incidenti tra i MRAP è dovuta al ribaltamento del veicolo. Per questo si è alla fine lanciato il nuovo programma JLTV. L'obiettivo è lo sviluppo di un veicolo con scafo a V di peso compreso tra le sette e le dieci tonnellate, di dimensioni sufficientemente ridotte da poter essere trasportabile sui velivoli C-130 e, tramite gancio baricentrico, dagli elicotteri CH-47 e CH-53.

Dal veicolo base è previsto lo sviluppo di tre diverse varianti, ottimizzate per altrettante tipologie d'impiego. La prima variante, denominata Payload Category A, dovrebbe assolvere al ruolo "Battlespace Awareness" (essenzialmente compiti di sorveglianza e pattugliamento) e dovrebbe ospitare fino a cinque persone ed essere armata con una mitragliatrice in ralla o in torretta remotizzata. Questa variante dovrebbe avere anche una configurazione "General Purpose" a quattro posti, eventualmente priva di armi e in grado di offrire un maggiore spazio per il carico. La Payload Category A dovrà essere in grado di trasportare fino a 1.600 kg di carico utile.

La seconda variante, Payload Category B, dovrebbe essere impiegata nel ruolo "Force Application" e garantire una capacità di carico compresa tra i 1.800 e i 2.000 kg. Per i JLTV di categoria B sono previste otto configurazioni. La principale dovrebbe essere la Infantry Carrier, capace di ospitare sei persone e ottimizzata per il trasporto di un team di Marines o dell'US Army. Questa configurazione potrebbe presentare delle differenze tra le due Forze Armate. Sono rpeviste, inoltre: la "Command and Control on the Move" (da quattro posti); la "Heavy Guns Carrier" (quattro posti, più l'operatore dell'arma) per compiti di scorta convogli, polizia militare e pattugliamento; la "Close Combat Weapons Carrier"

Confr_Amm__20111117 25 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango (quattro posti) e la "Ambulance" (tre posti e due lettighe). A queste varianti comuni per le due Forze Armate, dovebbero aggiungersi anche la "Utility" (due posti), voluta dai Marines, e la "Reconnaissance" (sei posti), prevista per l'US Army in due diverse sottovarianti (Scout e Knight).

Infine è prevista una terza variante, Payload Category C, in grado di trasportare fino a 5.100 kg, per le "Focused Logistics", ovvero per le esigenze logistiche specifiche. In questa categoria sono per il momento previste due configurazioni: la "Shelter Carrier/Utility/Prime Mover", a due posti tipo "pik-up" e predisposta per il trasporto di shelter, e la "Higher Capacity Ambulance", con tre posti e quattro lettighe.

Nell'intenzione dell'US Army e dei Marines, tutti i veicoli JLTV dovrebbero essere dotati di una elettronica di base che ne consenta l'integrazione nella rete informativa delle Forze Armate americane, inclusi sistemi radio, computer per la gestione delle informazioni, schermi per la visualizzazione di mappe digitali ed eventualmente delle immagini raccolte da sensori esterni e sistema di posizionamento satellitare. Inoltre i JLTV dovranno assolvere anche al compito di punto di ricarica per le batterie dei sistemi in dotazione alle truppe di fanteria, garantendo la possibilità di generare almeno 10 kilowatt di energia elettrica esportabile senza compromettere le funzioni del mezzo.

Per sviluppare al meglio il requisito finale, il Pentagono ha lanciato un processo di acquisizione che ha coinvolto diversi team industriali, nell’ambito del quale si è cercato di far tesoro delle lezioni apprese con il programma MRAP, dove l'urgenza di dotare le truppe in teatro di un veicolo sicuro ha portato ad acquistare diversi modelli (Cougar, RG-31, RG- 33, MaxxPro, Guardian e Alpha) da chiunque riuscisse a produrli nei tempi richiesti. Un parco mezzi così eterogeneo ha però creato diverse difficoltà logistiche che si sono, almeno in parte, riflesse anche sulla condotta delle operazioni. Con il JLTV si è dunque inteso selezionare un solo modello, con il massimo grado di comunalità nelle sue diverse versioni e prodotto da un massimo di due aziende. Al momento sono stati selezionati tre team industriali – Bae Systems/Navistar, BAE Systmes/Lockheed Martin e AM General/General Dynamics - ciascuno dei quali ha presentato la propria proposta.

Con questi prototipi sono stati condotti i primi test che, però, sembrano non aver dato i risultati sperati in termini, soprattutto, di pesi e mobilità. Tanto è vero che la fase di

Confr_Amm__20111117 26 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango dimostrazione tecnologica è andati avanti più del previsto ed è stata completata solo a maggio 2011 ed il Congresso ha mostrato più di un dubbio sul programma, come peraltro accaduto anche di recente, in sede di revisione della richiesta dell’amministrazione Obama per il bilancio della Difesa per l’anno fiscale 2012, quando la Sottocommissione Appropriazioni del Senato ha raccomandato la chiusura del programma. A luglio 2011, l’US Army aveva tuttavia ancora una volta ribadito la priorità del programma e l’intenzione di andare avanti e adesso, nel momento in cui scriviamo, è comunque atteso l’avvio della fase di ingengnerizzazione e sviluppo vera e propria e l’eliminazione di uno dei tre consorzi concorrenti. Secondo le più recenti informazioni, il JLTV dovrebbe raggiungere la capacità operativa iniziale nel 2015 e la prima unità dell’US Army equipaggiata con il veicolo dovrebbe essere operativa l’anno successivo.

A livello concettuale i tre modelli che hanno per ora affrontato i test della fase di dimostrazione tecnologica presentano delle caratteristiche abbastanza simili. BAE Systems Land & Armaments (prime contractor) e Navistar hanno presentato il Valanx, un veicolo concepito con il focus su payload, protezione e prestazioni. Il veicolo incorpora il frutto dei più recenti sviluppi nell'ambito delle corazzature leggere, tanto da presentare un livello di protezione superiore alla maggior parte dei MRAP attualmente in servizio, ed ha caratterizzato da un design molto spinto in senso modulare per consentire di massimizzare la comunalità tra le varie versioni e semplificare l'introduzione di future tecnologie. Il primo prototipo del Valanx è stato presentato a febbraio 2008.

Lockheed Martin (prime contractor) e BAE Systems Mobility & Protection Systems (ex Armor Holdings) hanno puntato su una soluzione più matura rispetto alle altre. Non a caso il primo prototipo del JLTV di Lockheed Martin è stato presentato già a ottobre 2007 e da allora ha condotto decine di migliaia di chilometri nell'ambito di diversi tipi di test. Al primo prototipo, nella versione "Infantry Carrier" (Payload Category B), caratterizzato dalla presenza di ben sei porte d'accesso laterali, più una posteriore opzionale, per facilitare al massimo la salita e la discesa dei sette occupanti, se ne sono aggiunti altri tre: uno "Utility" (Payload Category C), presentato a febbraio 2008; uno in configurazione "General Purpose" (Payload Category A), a ottobre 2008, e uno "Infantry Carrier" (Payload Category B), presentato nel 2009.

Confr_Amm__20111117 27 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango Particolare attenzione è stata posta nella riduzione del peso, con l'impiego dell'alluminio per diverse componenti strutturali e di corazzature in ceramiche composite per ottenere una soluzione balistica particolarmente leggera. Per conferire al mezzo una stabilità particolarmente elevata anche su terreni accidentati sono state selezionate delle sospensioni ad altezza variabile sviluppate che possono essere gestite tramite un apposito “keypad” posizionato vicino al volante e collegato a un computer incaricato di regolare automaticamente le sospensioni e la pressione dei pneumatici per far fronte alle diverse condizioni della strada, come ghiaccio, sabbia e fuori strada.

Punto forte di questo veicolo è l'elettronica integrata, derivata dai sistemi sviluppati per il programma Future Combat System dell'US Army e comprendente un sistema di networking wireless sicuro a supporto di una suite C4 integrata sul cruscotto. In pratica, a giudicare dai dati disponibili, l’abitacolo del veicolo appare in una configurazione simile a quella del cockpit di un aereo. Inoltre, sopra il posto del guidatore, è posizionato uno schermo TV abbassabile per permettere la visione notturna della strada tramite un apposito sensore e offrire, in caso di necessità, la possibilità di guidare di notte a fari spenti senza l'impiego di NVG (Night Vision Goggles).

Riguardo all'armamento, con il primo e il terzo prototipo sono state sperimentate soluzioni con arma in ralla e protezioni balistiche per il mitragliere, mentre con la versione Utility, si è optato per una torretta remotizzata con una mitragliatrice leggera.

Il terzo ed ultimo modello, quello del consorzio tra General Dynamics e AM General, deriva dal dimostratore di tecnologie Advanced Ground Mobility Vehicle (AGMV) che il gruppo ha presentato a marzo 2007 e presenta un sistema di sospensioni parallele semi- attive la cui altezza può essere variata, principalmente allo scopo di abbassare il veicolo per consentirne l'ingresso all'interno di un C-130. Anche in questo caso il cruscotto incorpora un sistema C4 per la massimizzazione della situational awareness dell'equipaggio. Il vero punto di forza di questo modello sembra però essere il design altamente modulare che, oltre a conferire una elevata comunalità (oltre il 95%) tra le varie versioni, è concepito per integrare nel veicolo, non solo le future corazze, ma anche tutti gli altri sistemi che via-via si renderanno disponibili, incluso un eventuale motore diesel- elettrico, ipotesi già avanzata anche dai più sfortunati team Northrop Grumman - Oshkosh e Boeing-Textron.

Confr_Amm__20111117 28 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango Nel campo dei “soldati del futuro” e della robotica, gli Stati Uniti vantano una lunga tradizione e per anni hanno di fatto goduto di una leadership incontrastata rispetto all’Europa. Per quanto riguarda la tecnologia del soldato del futuro, il cui concetto riguarda l’applicazione, a livello del singolo soldato, del “sistema-dei-sistemi”, l’US Army per anni ha concentrato i suoi sforzi sul Land Warrior, le cui radici affondano sin dalla seconda metà degli anni Ottanta. Nonostante questa precocità, il Land Warrior è andato incontro ad una serie infinita di vicissitudini, dovute soprattutto alla concorrenza del Future Force Warrior, il fante del futuro che avrebbe dovuto operare nell’architettura FCS, che ne hanno più volte messo in discussione l’esistenza. Un percorso travagliato che alla fine è culminato nel febbraio 2007, con la decisione dell’US Army di cancellare il programma e sospenderne i fondi. A quel punto, però, al Land Wrrior è venuto in soccorso il campo di battaglia.

A programma “morto”, infatti, 200 sistemi Land Warrior sono stati spediti comunque in Iraq con il 4° battaglione del 4° Stryker Brigade Combat Team. Un modo molto anglosassone per mettere alla prova un sistema sul campo e per capire se, nella fattispecie, valeva davvero la pena cestinare tutto e impattare così direttamente sull’FCS. I risultati però sono stati contraddittori tanto che il programma si è trascinato avanti senza mai concretamente entrare nella fase di produzione. In discussione sono sempre rimasti i pesi e l’autonomia del sistema, giudicati dai soldati eccessivi i primi ed insufficiente la seconda.

Questa incertezza continua ancora oggi.

Nel 2010, il programma è stato ristrutturato ed è stato ridenominato Nett Warrior, ma nessuno dei tre concorrenti che hanno presentato delle proposte – Rockwell Collins, General Dynamics e Raytheon – è stato selezionato. Anzi, a luglio 2011 l’US Army ha annunciato un ulteriore revisione del programma ed una pausa, anche se non la sua cancellazione. In particolare, l’Esercito americano, come abbiamo discusso nei paragrafi precedenti, si sta concentrando su soluzioni commerciali per dotare i soldati di semplici “smart phone” con i quali assolvere le funzioni di comando, controllo e comunicazione. In tal senso, l’enfasi viene sempre più posta non tanto sul soldato quale sistema dei sistemi, ma sul soldato quale terminale ultimo di una rete di comando, controllo, comunicazione ed intelligence estesa a tutto il campo di battaglia. La vecchia architettura del Land Warrior, infatti, era molto più complessa (cosa che si traduceva in quell’incremento dei pesi che abbiamo visto).

Confr_Amm__20111117 29 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango

Al centro di tutto c’era il PC indossabile. Il sistema, basato sul processore Strong ARM da 500Mhz, era collegato ad un hub a 10 porte per permettere l’integrazione della componente C2 con i sistemi di comunicazione e la sensoristica. Il sistema di navigazione comprendeva un GPS a cinque canali satellitari, con margine di errore attorno ai 10 metri, ed un contapassi tipo “dead reckoning” con il quale il soldato poteva tracciare i propri spostamenti e individuare la posizione anche quando il GPS non è attivo (ad esempio all'interno di edifici). Per quanto riguarda le comunicazioni era disponibile una rete wireless locale, con una copertura di 1.000 m, garantita da una Multi-band Intra-/Inter-Team Radio (MBITR) la cui antenna era installata sull’elmetto. La radio standard era la Raytheon MicroLight (la stessa del soldato futuro del British Army) con capacità di trasferimento dati e voice. Per le comunicazioni con i livelli superiori veniva invece impiegata la Land Warrior Squad Radio, una radio ad otto canali operante tra i 30MHz e gli 88MHz e compatibile con lo standard SINCGARS, disponibile però solo per i comandanti. Questi ultimi disponevano anche del CAD, un terminale di comando e controllo tattico con cinque canali GPS, per la localizzazione ed il tracciamento dellla posizione della squadra e la comunicazione di ordini e messaggi grazie alle info provenienti dai livelli superiori.

L'arma del Land Warrior era la carabina M4, abbinata al Daylight Video Scope (DVS), una videocamera digitale dotata di zoom compreso tra 1,5X e 6X, e al Thermal Weapon Sight II (TWS II), un sensore IR. Sull'arma era integrato anche un telemetro laser con bussola digitale. I sensori potevano trasmettere le immagini direttamente sul display del computer e sull'Head-Mounted Display (HMD). Quest’ultimo, posizionato sopra un occhio del soldato, era un Rockwell Collins ProView S035, con display da 1,6”, con una resa simile a quella di un comune monitor da 17”. Oltre alle immagini ed ai dati ripresi dai sensori, sul display venivano visualizzati anche mappe con la posizione delle forze amiche aggiornate ogni 10/30 secondi e mappe satellitari generate sulla base di immagini ricevute da livelli superiori. Sempre sull'arma erano installati anche tre tasti programmabili che possono essere impiegati per le funzioni di push-to-talk, per la selezione delle finestre visualizzate sullo schermo e la cattura di immagini dai sensori.

Una delle migliorie introdotte grazie all’esperienza condotta in Iraq è stata il sistema anti- sniper Boomerang. Il sistema era in grado di individuare la distanza e la direzione di provenienza di un proiettile esaminando il suono dello sparo e del proiettile stesso. La

Confr_Amm__20111117 30 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango posizione del cecchino veniva mostrata direttamente sul monocolo tanto che ciascun soldato poteva dunque sapere, quasi istantaneamente, la provenienza della minaccia rispetto alla propria posizione.

Infine, un accenno anche alla robotica. Le Forze Armate americane sono state le prime ad utilizzare sistemi robotizzati sul campo di battaglia. Entro il 2015 il Congresso ha chiesto al Pentagono che almeno il 15% dei veicoli delle Forze Armate sia robotizzato. Già oggi gli UAV e i robot impiegati in Iraq e Afghanistan sono oltre 5.000. Macchine che svolgono diversi compiti: dalla ricognizione e sorveglianza, alla ricerca e rimozione di mine e ordigni esplosivi. Si stanno rivelando un prezioso ausilio per i soldati che ne chiedono sempre di più e sempre di nuovi.

Sono persino diventati compagni di armi. Vivono con i soldati, partecipano a tutte le attività. E quando capita una missione delicata, tocca a loro. I robot obbediscono ed eseguono. Senza paura. Senza rischi. E così si salvano vite umane.

Già qualche anno fa l’azienda del Massachusetts Foster Miller ha realizzato lo Swords, il primo veicolo robotico da combattimento della storia. I primi tre prototipi sono stati schierati in Iraq nel 2007, ma dopo un breve periodo di sperimentazione l’US Army ha deciso di tagliare i fondi al programma. Il veicolo non aveva mostrato le garanzie richieste in termini di sicurezza. E per il timore di incorrere in casi di fuoco fratricida o danni collaterali, non ha mai sparato.

L’azienda non è si è data per vinta e dopo di allora ha iniziato lo sviluppo del MAARS, un nuovo robot da combattimento del peso di meno di 160 kg, più veloce del predecessore ed equipaggiato con una mitragliatrice o un lanciagranate o anche con armamento non letale come granate “flash-bang” e laser abbaglianti. Per superare i problemi già incontrati con lo Swords, sono state adottate alcune modifiche che impediscono all’arma di puntare verso l’area ritenuta “amica” dal computer di bordo del mezzo. Un primo prototipo è stato già messo a punto e pare che sia stato spedito in Iraq lo scorso autunno. Sviluppi come questo hanno contribuito a attenuare le legittime preoccupazioni riguardanti la sicurezza ed il Pentagono, sempre più allettato dalla prospettiva della guerra soft, “a zero morti”, ha continuato finanziare i programmi per lo sviluppo di robot combat.

Confr_Amm__20111117 31 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango Tra i progetti più avanzati c’è stato il Gladiator, un robot terrestre del peso di oltre una tonnellata sviluppato dalla Carnagie Mellon University in cooperazione con l’azienda BAE Systems. Il Gladiator ha rappresentato un grande passo in avanti rispetto a tutti i suoi predecessori, compreso il MAARS. Per il momento sono stati realizzati sei prototipi, ad un costo di 300/400.000 dollari l’uno, impiegati in gran segreto dai Marines in Afghanistan. Al momento però non è chiaro se il robot sia entrato nella faese di produzione di serie e le voce al riguardo non sono concordi.

Il Gladiator è un veicolo altamente flessibile in grado di svolgere diversi tipi di operazione. Per questa ragione può essere equipaggiato con le più disparate apparecchiature: megafono, laser abbaglianti, tubi per l’emissione di gas stordenti o per il lancio di granate lacrimogene e, per le operazioni di combattimento vere e proprie, mitragliatrice da 7,62 mm o lanciagranate. Il sistema con il quale l’operatore controlla il robot è molto familiare. Stiamo infatti parlando di una semplice consolle, molto simile a quella di una play station, con la quale vengono comandati i movimenti del Gladiator e l’eventuale azione di fuoco. Tutte le immagini riprese dal robot possono essere visualizzate direttamente su un monocolo fissato su un casco speciale indossato dall’operatore. Entrambi potranno così vedere le stesse immagini, in una simbiosi perfetta.

Il Gladiator avrebbe dovuto rappresentare un primo ponte verso i robot di nuova generazione che gli Stati Uniti stavano sviluppando nell’ambito del programma da 250 miliardi di dollari Future Combat Systems.

La cancellazione del programma ha poi messo termine anche a questi programmi robotici, non ultimo il MULE (Multifunction Utility/Logistics and Equipment).

Il MULE era un robot a sei ruote con un peso di oltre tre tonnellate concepito per supportare in tutto e per tutto la squadra di fanteria. Un vero e proprio mulo in grado di seguire gli uomini ovunque, su tutti i tipi di terreno, e di eseguire gli ordini grazie ad un sistema di comandi verbali e gestuali. Il veicolo poteva essere controllato da un operatore od operare in modo del tutto autonomo, senza nessun tipo d’intervento da parte dell’uomo. Una rivoluzione, resa possibile dallo studio di algoritmi sempre più complessi e dall’utilizzo di un computer di bordo di guida e da una serie di sensori per consentire al veicolo di orientarsi.

Confr_Amm__20111117 32 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango

Il MULE era stato inizialmente sviluppato in due configurazioni: logistica e d’assalto. La versione logistica permetteva al veicolo di trasportare fino ad oltre 900 kg di equipaggiamenti e rifornimenti, sufficienti per il supporto di ben due squadre di fanteria. Il MULE, come accennato, non è però sopravvissuto alla chiusura del programma FCS ed anche la versione armata del robot è stata definitivamente cancellata a luglio 2011.

Sulla base dell’esperienza del MULE, Lockheed Martin ha sviluppato anche una soluzione più economica e leggera: lo Squad Mission Support System (SMSS). Nei compiti, lo SMSS si presenta come un ideale complemento del MULE e si basa sui medesimi principi di autonomia. Lo sviluppo dell’SMSS è stato molto rapido e le prove effettuate sul campo hanno lasciato tutti soddisfatti, tanto che quattro esemplari sono stati inviati in Afghanistan per l’avvio di un programma sperimentale.

In corso di valutazione dall’US Army Evaluation Task Force c’è anche l'XM1216 Small Un”manned” Ground Vehicle (SUGV). Quest’ultimo è un UGV portatile in grado di eseguire una serie di compiti ad ampio spettro: dall’ISR, alle rilevazioni di agenti chimici o tossici, all’identificazione di IED. Il SUGV ha un peso di 14,5 kg ed un design altamente modulare per l’adozione di diversi payload, per un peso massimo di quasi tre chilogrammi, ed è integrabile, plug-and-paly, nell’architettura informativa dell’US Army.

Confr_Amm__20111117 33 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango

2 Il processo di modernizzazione

nei principali paesi europei

2.1. La via europea alla modernizzazione

In Europa, il processo di trasformazione degli strumenti militari ha seguito un percorso simile a quello degli Stati Uniti, anche se lo squilibrio delle risorse ne ha determinato esiti diversi. Nel Vecchio Continente fu autentica la sorpresa dello straordinario trionfo della coalizione a guida USA, di cui, comunque, facevano parte anche loro, nella prima guerra del Golfo. La rapidità e i risultati delle operazioni, imputabili per la gran parte alla superiorità tecnologica, ma anche dottrinale, americana, dimostrarono ai paesi europei quanto i loro strumenti militari fossero arretrati rispetto a quello americano. Ancor più importante, per gli europei, e la loro cultura strategica, furono i costi umani, pari sostanzialmente a zero, sostenuti per raggiungere quel risultato, impensabile fino a poche ore prima dell’operazione Desert Storm dopo che per mesi la macchina bellica irachena, anche in Occidente, era stata decantata come la “quarta del mondo”.

Da quel momento in poi, dunque, anche per l’Europa è iniziato un processo di riflessione sugli strumenti militari e su come questi avrebbero dovuto essere configurati e quali capacità avrebbero dovuto esprimere. Rispetto agli USA, però, come già accennato, tutto questo processo è stato condizionato dal problema delle risorse, incomparabilmente inferiori rispetto a quelle americane, e da altre priorità, come, lo vedremo meglio nei prossimi paragrafi, quella della professionalizzazione e della progressiva abolizione della leva obbligatoria. Un processo parallelo, quest’ultimo, che ha assorbito attenzione, risorse e tempi, a discapito, appunto, dell’elemento capacitativo.

Confr_Amm__20111117 34 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango Dopo la Guerra del Golfo, la sostanziale arretratezza dell’Europa è poi emersa definitivamente nel 1999 con l’operazione Allied Force, quando, per la risoluzione di una crisi europea, fu determinante l’apporto degli assetti americani. Su questi gravò per l’80% il peso della campagna aerea e da questi, in ultima analisi, dipese l’esito della crisi. In particolare, l’Europa con l’operazione Allied Force, fu messa di fronte alla cruda realtà della pochezza delle proprie risorse militari in termini, soprattutto, di assetti da ricognizione/sorveglianza, bombe e missili intelligenti.

A quel punto, anche per l’Europa il problema delle capacità militari e del gap con gli Stati Uniti non era più eludibile. E’ così che, dopo la “debacle” del Kosovo, in ambito NATO e UE partirono tutta una serie di iniziative il cui obiettivo era premere sugli stati membri affinchè sviluppassero delle capacità ritenute necessarie per un efficace condotta di operazioni multinazionali a carattere interforze. La spinta, appunto, era quella degli impegni fuori area e delle operazioni a conduzione multinazionale. In questo contesto non era possibile, anche per gli europei, sottrarsi a determinante responsabilità. Tecnicamente, questo significava che, per operare assieme in maniera “combined”, non erano accettabili squilibri e standard qualitativi troppo dissimili, pena l’inefficacia di un’operazione.

Presero così il via di lì a poco iniziative quali la Prague Capabilities Committment (dal vertice NATO di Praga del 2002), per dotare anche i paesi europei di una serie di capacità in alcuni settori considerati determinanti - dal trasporto strategico, alla guerra NBC, all’armamento di precisione – o gli Helsinki Headline Goal in ambito Unione Europea. Tuttavia, tali impegni sono rimasti per la gran parte sulla carta e ogni singolo paese europeo ha seguito la propria strada per modernizzare gli strumenti, indipendentemente dalle esigenze condivise nell’ambito dell’Alleanza Atlantica.

Così come sul fronte tecnologico, anche sul fronte dottrinale, e questo forse è il punto più grave, l’Europa ha scontato un ritardo enorme rispetto agli Stati Uniti. Nel vecchio Continente si è iniziato a parlare di RMA solo nel pieno degli anni Novanta, appunto, dopo la Guerra del Golfo, e, quando lo si è fatto, molto spesso si è registrata la tendenza a ridurre una RMA ad una mera RTM (Rivoluzione Tecnico Militare). Un gap anche dottrinale che ha avuto una significativa conseguenza anche in termini operativi.

Confr_Amm__20111117 35 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango Solo con gli anni Duemila, e solo dopo la Seconda Guerra del Golfo, infatti, anche in Europa si è cominciato finalmente, pur tra mille ritrosie, a parlare di RMA e di un nuovo modo di combattere. Ma anche in questo caso c’è sempre stata la tendenza a pensare a tutti gli elementi del “new way of war” in modo separato e non nell’ambito di una dottrina unitaria. Per cui, il processo di ammodernamento è stato pensato ed implementato in maniera a sé stante rispetto al processo di ottimizzazione organizzativa e di rivoluzione dottrinale.

A parziale scusante dei paesi europei, c’è il fatto che gli impegni militari per loro più frequenti sarebbero stati in scenari di stabilizzazione/bassa intensità e non in scenari convenzionali ad alta intensità. Difatti, la RMA è nata per fronteggiare, ed ha trovato applicazione, in scenari convenzionali in cui a contrapporsi erano e sono due nemici simmetrici, dotati di strumenti militari tradizionali, che basano le loro strategie sui classici principi di superiorità numerica e attrito. Negli scenari asimmetrici, dove il più delle volte non esiste neanche un nemico ben definito, la dimensione, quantitativa e qualitativa, viene meno rispetto a quella politica, sociale e psicologica e l’obiettivo non tanto neutralizzare un avversario, quanto piuttosto gestire un contesto per consentirne la stabilizzazione.

In questi casi, l’uso della forza è ancillare, anche perché il nemico molto spesso combatte con mezzi e sistemi rudimentali, rispetto alla capacità di chi la usa di adattarla ed inserirla in una strategia di più ampio respiro.

Questa breve riflessione, allora, spiega anche perché, se il concetto di RMA non ha trovato molta fortuna in Europa, altrettanto non si può dire per quello di NCW. La NCW, con la sua enfasi sulla rete, e, dunque, sulla dimensione orizzontale, almeno a livello concettuale, meglio si adatta della RMA pura agli scenari asimmetrici e di stabilizzazione. A livello pratico, inoltre, l’uso del network e di un’organizzazione in cui i terminali hanno maggiore autonomia e, di conseguenza, capacità di adattamento al contesto può, almeno in parte, riequilibrare l’asimmetria con un nemico che della dimensione orizzontale e dall’architettura distribuita fa la sua stesa ragion d’essere.

Ripetiamo, questa può essere una spiegazione, e magari ce ne sono altre, ma tant’è in Europa la letteratura sulla NCW è invero molto più ampia rispetto a quella, assai scarna, sulla RMA.

Confr_Amm__20111117 36 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango

Come noto, rispetto agli Stati Uniti, l’approccio europeo alla NCW ha assunto le sembianze della Network Enabled Capability, una versione più pragmatica e realistica della prima. Nella NEC, c’è uno spostamento dell’enfasi dalle piattaforme alla rete, vale a dire alla struttura che le interconnette. Le piattaforme esistenti, se prive della capacità di operare in rete, sono e saranno sempre meno utili e necessarie: potranno avere ancora (specie se adeguabili ad operare in un contesto NCW) un’utilità transitoria in determinate attività, ma per i futuri sistemi oggi in fase di sviluppo il requisito di una piena compatibilità NET-centrica è determinante e irrinunciabile.

Il concetto di NEC si è affermato inizialmente in Gran Bretagna e man mano si è esteso a tutti gli altri paesi europei, Italia inclusa. In linea generale, una Network Enabled Capability prevede l’acquisizione, in tre fasi successive, della capacità di raccogliere informazioni, fonderle, analizzarle, condividerle con gli Alleati, distribuirle in tempo quasi reale ai decisori e agli operatori sul campo di battaglia.

Nell’ambito di questo processo è previsto lo sviluppo di un certo numero di funzioni, le più importanti delle quali prevedono di:

1. abilitare tutti gli utenti (nodi) alla ricerca, manipolazione e scambio di informazioni caratterizzate da vari livelli di classifica, da inserire o già residenti all’interno dello spazio di manovra; 2. favorire la conoscenza condivisa della situazione e dell’evoluzione degli eventi nello spazio di manovra; 3. consentire una rapida riconfigurazione e/o un’aggregazione delle forze in mission groups/task group, in vista di interventi sinergici fra elementi anche geograficamente non contigui; 4. conseguire un effetto cumulativo nelle operazioni attraverso una pianificazione dinamica e il coordinamento di tutti gli assetti disponibili.

Se dalla dottrina e dai concetti passiamo alla pratica, l’evoluzione degli strumenti europei ha seguito assai più da vicino quella in corso negli Stati Uniti ed è stata anch’essa modellata ed ispirata ai concetti di task force e modularizzazione.

Confr_Amm__20111117 37 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango Certo, in Europa non c’è stata la vera e propria spinta verso la modularizzazione seguita negli USA, ed anche in questo caso si è cercato una via più pragmatica ispirata alla standardizzazione multiruolo. La comunanza più evidente, invece, si è avuta rispetto al concetto di task force che in Europa, a cominciare, al solito, dal Regno Unito, è stato declinato come battle group. Un battle group è in altri termini la pedina operativa base di un esercito nell’ambito di una determinata missione d’impiego. L’unità è costituita attorno ad un battaglione di fanteria, vera pedina di manovra, o un reggimento carri che fornisce anche il framework e l’ossatura di comando del battle group, più un appropriato mix, “mission tailored”, di elementi specializzati: RISTA, carri, supporto di fuoco ecc.. Il battle group rimane però una struttura flessibile capace di essere ristrutturata a seconda delle evoluzione della situazione sul campo.

Tipicamente, un battle group “offensivo” può essere strutturato su un reggimento corazzato, con due squadroni carri, supportato da una compagnia di fanteria. Allo stesso tempo una configurazione più difensiva, diciamo da operazione di stabilizzazione, può comprendere un battaglione di fanteria, con due compagnie ed uno squadrone carri di supporto. In entrambi i casi, poi, ci sarebbero unità di supporto quali un nucleo SHORAD (Short Range Air Deefnce) antiaereo, una sezione anticarro, un distaccamento del genio ed un nucleo di artiglieria.

Questo per quanto riguarda l’unità operativa di base. A livello di comando, in Europa così come abbiamo visto negli USA, la struttura di riferimento base è diventata, a partire dalla seconda metà degli anni Novanta, la brigata. Tutti gli eserciti europei, e lo vedremo meglio nel prossimo paragrafo, si sono infatti avviati sulla strada della riforma organizzativa passando da una configurazione pesante, basata su grandi unità statiche di livello divisionale, ad una struttura più flessibile e dinamica basata su brigate dispiegabili.

Attorno a questo nucleo concettuale si è avviata poi un’ulteriore evoluzione volta alla standardizzazione delle specialità – un processo, quest’ultimo, in diversi fasi di sviluppo in Europa – attorno a tre tipologie, ovvero brigate leggere, medie e pesanti, con una maggiore enfasi sulle seconde. Nei nuovi scenari contraddistinti dalle operazioni di risposta alle crisi all’estero, queste ultime sono infatti considerate più idonee per fronteggiare il caratteristico pendolo, da situazione di “pace” a situazioni di guerra, che le caratterizza, in considerazione del fatto che esse possono unire le doti di mobilità e

Confr_Amm__20111117 38 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango proiettabilità delle forze leggere, alla letalità delle forze pesanti ( il tutto reso possibile dalle innovazioni tecnologiche). In generale, pertanto, nel filone delle unità leggere sono così rientrate le unità paracadutiste, da montagna e aeromobili; nel filone delle unità medie, le unità meccanizzate, esploranti e di cavalleria; infine, nel filone delle unità pesanti le unità corazzate. Con l’incidenza percentuale delle unità medie sulle altre aumentata a dismisura.

2.2. Le riforme organizzative in Francia, Regno Unito e Germania

A differenza che negli Stati Uniti, nei principali paesi europei, Regno Unito escluso, il processo di ammodernamento delle Forze Armate è andato di pari passo con il processo di professionalizzazione ed emancipazione dalla leva obbligatoria. Anzi, si può senz’altro ritenere che, in Europa, professionalizzazione e ammodernamento siano stati, a partire dalla prima metà degli anni Novanta, due facce della stessa medaglia. Per cui – ripetiamo, se si eccettua il caso del Regno Unito – Francia, Germania e Italia hanno dovuto fare i conti nell’arco di 20 anni con una trasformazione da eserciti, e forze armate, stanziali, basate/i su grandi numeri, a eserciti e forze armate più snelle e flessibili.

In Francia, già con il Libro Bianco 1994 si era iniziato a riflettere sulla trasformazione militare ponendo l’accento su due elementi: l’acquisizione di armi tecnologicamente avanzate e la riconversione dalla leva di massa alla professionalizzazione. Per quanto riguarda questo secondo aspetto, di lì a due anni, nel 1996, la Francia decise ufficialmente di abolire la coscrizione obbligatoria ponendo fine a una tradizione le cui origini risalivano alla storica leva in massa del 1792. Una decisione epocale, dunque, accompagnata dalla trasformazione organizzativa che, ricalcando quella statunitense, avrebbe dovuto portare alla revisione, per quanto riguarda l’Esercito, della struttura divisionale in struttura basata su brigate proiettabili. I due processi, professionalizzazione e adeguamento organizzativo, sono andati in parallelo.

Per quanto riguarda la dimensione organizzativa, ancora nel 1998, le FA francesi avevano 358.800 effettivi, esclusa la Gendarmeria. Di questi, il 36% erano coscritti che prestavano servizio per 10 mesi, con possibilità di estensione da un minimo di 12 mesi ad un massimo di 24. L’Esercito contava 203.200 soldati. L’organizzazione comprendeva un Corpo, con

Confr_Amm__20111117 39 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango due divisioni corazzate ed una divisione da montagna, l’Eurocorpo, con una divisione corazzata, ed una Forza di Reazione Rapida con: una divisione aeroportata, una divisione aeromobile, una divisione corazzata leggera e una divisione di marines. A queste unità bisognava poi aggiungere la brigata franco-tedesca e le forze di difesa territoriale.

La ristrutturazione ha portato all’abolizione del livello divisionale e di corpo ed alla creazione di nove brigate (in grado di essere organizzate in modo flessibile in quattro gruppi di combattimento). Di queste: due brigate corazzate – con due battaglioni corazzati e due battaglioni meccanizzati ciascuna – due brigate meccanizzate – su un battaglione corazzato e due meccanizzati – due brigate corazzate leggere – con due battaglioni corazzati leggeri e due battaglioni meccanizzati leggeri – due brigate di fanteria – con un battaglione corazzato leggero e tre battaglioni motorizzati – e una brigata aero- meccanizzata – su tre battaglioni elicotteri attacco/utility ed un battaglione elicotteri per la ricognizione. Al supporto, avrebbero provveduto 15 battaglioni specialistici e 19 di CSS (Combat Service Support). In totale, i battaglioni di combattimento sarebbero diminuiti da 129 a 85, e la componente attiva organica sarebbe scesa a 136.000 uomini.

La revisione organizzativa è andata avanti anche negli anni Duemila. Nel 2009, è diventato operativo il Comando Forze Terrestri, erede del Comando Forze di Azione Terrestre, sotto la cui responsabilità sono stati posti quattro comandi di reazione rapida, tra cui il Comando NATO di Reazione Rapida di Lilla (NRDC-Fr). Questi comandi non hanno forze assegnate in modo permanente, ma possono riceverle, e comandarle, in operazioni (fino ad un massimo di quattro brigate) e sono, inoltre, o in grado di assicurare la costituzione di un comando multinazionale NATO di livello divisionale o un comando interforze di teatro per operazioni a carattere nazionale. Le forze operative sono state, invece, ridotte a otto brigate di manovra – due brigate blindate, la 2ª e la 7ª, due brigate meccanizzate, la 1ª e la 3ª, una brigata leggera di marines, la 9ª, una brigata di paracadutisti, la 11ª, e una brigata da montagna, la 27ª. In totale, 35 reggimenti di manovra per una forza organica di 128.000 uomini. A queste unità vanno poi aggiunte tre brigate specialistiche, la brigata logistica, la brigata trasmissioni e la brigata comunicazioni. La brigata forze speciali dipende invece dal Comando Forze Speciali. Fuori dalla responsabilità del Comando Forze Terrestri resta anche la Brigata franco-tedesca.

Confr_Amm__20111117 40 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango Parallelamente, come si diceva, è andato avanti anche il processo di professionalizzazione che alla fine è stato completato nel 2002 ed ha consentito di incrementare la componente operativa proiettabile da 10/15.000 uomini a 30/40.000 uomini.

In Germania, il processo di ammodernamento e trasformazione organizzativa è stato senz’altro più complesso e articolato. Anche perché la priorità del Bundeswehr, finita la Guerra Fredda, è stata la riunificazione con le FA della Germania dell’Est. Una sfida enorme, in considerazione delle diversità di standard e di mentalità tra le due forze armate. In più, essendo la Germania il paese NATO più esposto alla minaccia delle forze del Patto di Varsavia, il suo Esercito era strutturato di conseguenza: una grande forza stanziale, basata sui grandi numeri, il cui compito era garantire il presidio dello strategico fronte centrale. Ancora fino alla fine del 1989, l’Esercito tedesco, comprendeva, pertanto, quasi 350.000 soldati.

Con la fine della Guerra fredda, e la scomparsa della minaccia di aggressione da parte delle forze del Patto di Varsavia, è iniziata la riduzione numerica ed il processo di adeguamento alle obbligazioni previste dal Trattato sulla riduzione delle Forze Convenzionali in Europa.

Ai primi del 1995, l’Esercito tedesco aveva già ridotto la sua consistenza organica a 255.000 uomini, compresi 123.000 militari di leva. Da un punto di vista organizzativo, la struttura era articolata su tre corpi d’armata, con sede a Münster, Ulm e Potsdam, e otto divisioni (a fine Guerra Freadda erano 12): quattro corazzate, tre meccanizzate e una divisione da montagna.

L’Esercito dunque poteva contare su 24 brigate di manovra – 16 meccanizzate, tre aeroportate e una da montagna. Di queste, solo sei erano a pieno organico (tre brigate meccanizzate e la brigata da montagna), oltre alla componente tedesca della Brigata franco-tedesca. Le restanti unità avevano invece organici completi al 60% ed erano composte quasi interamente da personale di leva. In ciascuna brigata, inoltre, un battaglione corazzato ed uno di fanteria erano in posizione quadro ed i loro carri e blindati, così come il 25% dei carri e dei blindati delle unità attive, erano in riserva.

Confr_Amm__20111117 41 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango Oltre agli uomini, l’Esercito tedesco avrebbe dovuto ridurre in maniera significativa anche i mezzi. Per effetto della fusione con l’Esercito della DDR, infatti, nel 1990, l’Esercito tedesco si ritrovò ad avere più di 7.000 carri, 11.000 APC ed oltre 3.000 veicoli blindati da combattimento. Dopo di allora, molti mezzi sono stati cannibalizzati, per ricavarne pezzi di ricambio, o venduti di seconda mano ad altri Paesi. In questo modo, nel 1995, i carri da battaglia erano stati ridotti a 2.850 e gli IFV a 2.443.

I livelli organici sono stati ulteriormente ridotti negli anni successivi e nel 1998 sono state raggiunte 230.000 unità, dei quali 37.000 assegnate alle forze di reazione rapida.

Ancora nel 1998, la struttura dell’Esercito tedesco era fortemente ancorata alla difesa territoriale, basata sul modello misto professionisti/coscritti. Accanto alle forze assegnate alle unità di reazione/risposta alle crisi, erano difatti presenti le forze stanziali assegnate alle unità principali di difesa (Main Defence Force, MDF). Le forze di reazione comprendevano due brigate meccanizzate, una brigata aeromobile, una brigata meccanizzata leggera, la componente della Brigata franco/tedesca e una componente forze speciali.

Tutte queste unità erano composte da militari professionisti.

Le MDF comprendevano invece quattro brigate core, in grado di sostituire le forze di reazione rapida e composte principalmente da personale professionista, e per la precisione due brigate meccanizzate, una brigata da montagna e una brigata aeromobile. C’erano poi 12 brigate a organici ridotti con personale interamente di leva. Le forze di reazione potevano contare su equipaggiamenti più moderni. Per esempio, nel settore carri, disponevano delle ultime versioni dei Leopard 2, mentre le forze stanziali dei Leopard 1 o delle prime versioni del Leopard 2.

Di fatto, l’Esercito tedesco ha mantenuto questa postura fino al biennio 2001/2003, quando, dopo gli avvenimenti dell’11 settembre, anche in Germania è iniziata una più approfondita riflessione sulla trasformazione dello strumento miliare.

Confr_Amm__20111117 42 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango Questi spunti sono stati condensati in due documenti di riferimento, ovvero le Linee Guida sulla Politica di Difesa del maggio 2003 e il Concetto del Bundeswehr dell’agosto 2004.

In questi due documenti, per le prima volta, la Difesa tedesca ha affrontato apertamente e concretamente il problema delle operazioni di risposta alle crisi, accanto alla tradizionale missione delle FA della difesa del territorio. In base ai nuovi scenari, i due documenti hanno poi identificato una nuova suddivisone per le FA in tre tipologie di forze: forza di stabilizzazione, forze di risposta e forze di supporto.

Questa riorganizzazione è stata poi definitivamente precisata dalla direttiva ministeriale del gennaio 2005 e nel Libro Bianco 2006. Innanzitutto la struttura di comando e controllo veniva rivista. Al vertice dell’organizzazione militare, gerarchicamente sovraordinato rispetto agli altri capi di stato maggiore, è stato posto il capo di stato maggiore della Difesa, responsabile delle questioni militari di fronte al Governo ed al Ministro della Difesa, dei quali è diventato da allora il primo consigliere.

Nella implementazione dei suoi compiti, il Capo di Stato Maggiore si poteva poi consultare con il Consiglio di Stato Maggiore, il Consiglio delle Operazioni e il Consiglio degli Armamenti. Veniva poi inoltre creato un Comando Operativo del Bundeswehr, per la pianificazione e la condotta delle operazioni (in sostanza il nostro COI), ed un Comando per le Operazioni delle Forze Speciali. A questi bisognava poi aggiungere il Comando per le Operazioni delle Forze di Risposta, responsabile del comando e controllo delle forze tedesche schierate nell’ambito multinazionale (NATO, UE e ONU).

Per quanto riguarda le forze operative, come si diceva, queste sono state suddivise in Risposta, Stabilizzazione e Supporto con degli organici, rispettivamente, di 35.000, 75.000 e 147.500 soldati. Le forze di Risposta hanno il compito di condurre operazioni “joint and combined” ad alta intensità in un contesto NEC-centrico. In generale, operazioni di peace- enforcement contro un avversario con una struttura convenzionale.

Le forze di risposta hanno brevi tempi di preavviso e sono dotate degli equipaggiamenti migliori e comprendono anche le forze speciali. Da loro, dipende il contributo tedesco alle operazioni multinazionali in ambito NATO, UE e ONU.

Confr_Amm__20111117 43 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango Le forze di Risposta sono composte largamente da professionisti o militari di leva che hanno deciso di estendere il loro servizio nelle forze armate. Infine, le Forze di Risposta in alcuni casi possono operare contemporaneamente con le forze di stabilizzazione.

Le forze di Stabilizzazione operano sempre nei contesti multinazionali e joint , ma nel quadro di conflitti a bassa intensità e di operazioni a lunga durata per la stabilizzazione di un’area o un Paese. Le Forze di Stabilizzazione sono calibrate per affrontare sia un nemico convenzionale, seppur di tipo tradizionale, sia un nemico asimmetrico e devono pertanto mantenere adeguate capacità. In tal senso, le forze di Stabilizzazione possono essere considerate comunque forze robuste, ovvero dispongono di unità corazzate e di capacità di intelligence e ricognizione, ma a queste aggiungono anche la forte competenza sociale e culturale per interfacciarsi al meglio con il contesto locale. In generale, tali forze devo essere in grado di mantenere il controllo del processo di scala per fronteggiare ogni possibile evoluzione sul campo.

Le forze di Risposta sono formate da personale di professione e militari di leva che volontariamente richiedono di partecipare alla missione.

Infine, le forze di Supporto, sono le forze dalle quali dipende il sostegno delle Forze di Risposta e di Stabilizzazione ed operano sia sul territorio nazionale che nei teatri di operazione. I loro compiti abbracciano il comando e controllo, la raccolta d’intelligence e la ricognizione, la logistica, il supporto medico, le specialità EOD e C-IED.

Per effetto di questa trasformazione, l’Esercito ha subito una ristrutturazione organizzativa fino alla configurazione attuale. Al vertice della piramide gerarchica c’è il Comando Forze Terrestri di stanza a Coblenza. Da questo dipendono poi la 1ª Divisione corazzata, la 10ª Divisione corazzata, la 13ª Divisione meccanizzata, la Divisione Operazioni Speciali e la Divisione per le Operazioni Aeromobili.

A queste unità bisogna poi aggiungere l’Eurocorpo, il Corpo tedesco-olandese, il Corpo multinazionale Nord-Est e gli elementi nazionali della Brigata franco-tedesca. Per quanto riguarda la configurazione organica, la 1 ª Divisione corazzata dispone di due brigate corazzate, la 10 ª Divisione corazzata di una brigata corazzata ed una brigata da montagna, la 13 ª Divisone meccanizzata dispone di due brigate meccanizzate, la

Confr_Amm__20111117 44 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango Divisione Operazioni Speciali comprende due brigate aeroportate più i commandos dei KSK e, infine, la Divisione per Operazioni Aeromobili è organizzata su una brigata aeromobile e un brigata di supporto.

Venendo al Regno Unito, il processo di trasformazione del British Army ha presentato un’ulteriore forma evolutiva rispetto a quanto accaduto in Francia e Germania. Il Regno Unito, difatti, è stato l’unico Paese di Europa ad avere, in pratica da sempre, uno strumento professionale. Come tradizione, l’Esercito inglese è sempre stato abituato a combattere fuori area ed è sempre stato pertanto, per mentalità e cultura, uno strumento expeditionary. Tra gli eserciti europei del periodo della Guerra Fredda, il British Army è sempre stato quello numericamente più piccolo e contenuto e questo ha significato un processo di riduzione ed adeguamento numerico ai nuovi scenari molto meno significativo rispetto a quello condotto negli altri grandi paesi europei.

A partire dal 1990, pertanto, la trasformazione del British Army ha assunto le vesti di un adeguamento organizzativo più che, appunto, di una trasformazione vera e propria, intesa come cambiamento radicale. Nella seconda metà degli anni Novanta, il British Army contava su un organico di 114.000 uomini, organizzati su una divisione corazzata, con tre brigate corazzate, una divisione meccanizzata, con due brigate meccanizzate (una leggera su mezzi ruotati ed una pesante su mezzi cingolati) e una brigata aeroportata, una brigata aeroportata indipendente (in riserva) e tre brigate indipendenti di fanteria. In tutto, solo 10 brigate. A queste unità andavano poi aggiunti i 36 battaglioni dell’Esercito Territoriale (uno corazzato, quattro Recce e 31 di fanteria).

Tra i cambiamenti che, all’epoca, si pensava di introdurre, quelli più importanti riguardavano la creazione di una nuova brigata meccanizzata e di una nuova brigata di “manovra aerea”, più una riduzione degli organici del Territorial Army da 57.000 a 40.000 unità.

Questa ristrutturazione così delineata è stata, di fatto, accelerata e poi implementata, con alcune modifiche, dopo gli avvenimenti dell’11 settembre. Tutti i passaggi più significativi sono stati consolidati nel Nuovo Capitolo della Strategic Defence Review del 1998 e con il nuovo Libro Bianco 2003.

Confr_Amm__20111117 45 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango In particolare, i due documenti prevedevano uno scenario in cui il British Army sarebbe stato chiamato a fronteggiare tre conflitti di diversa intensità e tipologia intensità (quasi) simultaneamente: un’operazione di peacekeeping a lunga durata, con brevi tempi di preavviso e, con preavviso e tempi di approntamento più lungo, uno scenario ad alta intensità e un’operazione a bassa intensità contemporaneamente.

In base a questi ipotetici scenari, i provvedimenti più significativi sono stati il taglio degli organici di 1.000 unità (quattro battaglioni), la riduzione delle forze corazzate di 80 carri Challenger 2, la conversione della 4ª Brigata corazzata in unità meccanizzata e la conversione della 19ª Brigata meccanizzata in una brigata leggera. Un altro provvedimento riguardava poi la riorganizzazione dell’Esercito Territoriale in 14 nuovi battaglioni “attached” ai battaglioni regolari del British Army.

Nel 2007, la struttura del British Amry è stata definitivamente rivista e completata. In particolare, sono stati mantenuti due comandi divisionali di proiezione, e ne è stato creato uno nuovo, e completata tutta la ristrutturazione delle brigate. A quel punto, la struttura delle unità di manovra comprendeva sette brigate omogenee, con un mix di capacità pesanti, medie e eleggere, più la 16ª Brigata d’Assalto Aereo, come unità ad alta prontezza di reazione rapida.

L’attuale struttura del British Army comprende pertanto la 1ª e la 3ª Divisione, più la neocostituenda 6ª, come strutture dispiegabili e proiettabili in grado di comandare 4/5 brigate in un’operazione a carattere nazionale o multinazionale, e le otto brigate di manovra: tre meccanizzate, la 1ª, la 12ª e la 4ª, due brigate corazzate, la 7ª e la 20ª, una brigata leggera, la 19ª, una brigata di fanteria, la 52ª e la 16ª Brigata d’Assalto Aereo.

Alla struttura operative va affiancata la struttura territoriale a amministrativa, basata su tre divisioni e il Distretto di Londra. Le prime fungono da comandi regionali sul territorio nazionale e centri di addestramento, in grado di formare e addestrare le forze in caso di guerra generale. Il Distretto di Londra è invece responsabile per la difesa della Capitale e per tutti gli aspetti legati al cerimoniale.

Confr_Amm__20111117 46 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango

2.3 I maggiori programmi europei di modernizzazione

Negli ultimi 15 anni, i maggiori eserciti europei hanno avviato una serie di programmi di ammodernamento senza precedenti. L’obiettivo comune a questi programmi è stato l’acquiszione di nuove capacità – in particolare nel settore dei sistemi di comando e controllo e della mobilità – per affrontare le nuove sfide. I requisiti generali, se così si può dire, sono stati ispirati sin da subito ai criteri della RMA (precisione degli armamenti, grandi capacità di ricognizione e acquisizione obbiettivi, capacità di comando e controllo ecc.) e, piano, piano, a partire, dagli anni Duemila, ai criteri della Network Enabled Capability, secondo i pilastri di quell’approccio europeo che abbiamo visto.

Pur dovendo far fronte al problema delle ristrettezze di bilancio, relativamente alle disponibilità degli USA, pertanto, anche i principali paesi europei hanno cercato di acquisire nuove capacità e di metterle successivamente “in rete” avviando tutta una serie di programmi di digitalizzazione. Tuttavia, lungi dall’adottate un approccio comune - e nel settore delle capacità militari, soprattutto nel settore terrestre, il fallimento europeo è stato completo - ognuno dei grandi paesi europei ha adottato la sua strategia di acquisizione. Per cui c’è chi ha puntato di più sul concetto di flessibilità, e quindi sul ruotato, i francesi con il VBCI, e chi ha enfatizzato di più la protezione, i tedeschi con il Boxer e il Puma, e chi, invece, ha puntato su grandi programmi, modellati sull’esperienza americana, quali il britannico FRES, per poi essere però costretto a fare marcia indietro per motivi finanziari e di bilancio.

In Francia, la questione delle capacità è stata avvertita in tutta la sua urgenza fin dalla prima metà degli anni Novanta, quando, grazie all’esperienza dell’operazione Desert Storm, fu chiaro quale fosse il gap capacitativo tra i paesi europei e gli Stati Uniti. Questo problema è stato poi definitivamente messo a nudo con l’Operazione Allied Force del 1999 che dimostrò palesemente l’incapacità degli europei di condurre, senza gli Stati Uniti, una campagna aerea ad alta intensità capace di portare a risultati politici concreti.

Confr_Amm__20111117 47 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango Probabilmente, lo spartiacque è stato proprio il 1999. Dopo di allora, anche gli europei, impegnati comunque nel processo di professionalizzazione, non avevano altra scelta se non quella di puntare alla qualità ed alle capacità. In Francia ci si è, pertanto, dopo di allora, sempre più mossi verso l’acquisizione di capacità tecnologicamente avanzate in grado di fare la differenza sul campo.

A livello di sistemi di comando e controllo, l’Esercito francese si è dotato del sistema SIR (Regimental Information System), per implementare le funzioni di comando fino a livello reggimento/battle group, e del SIT V1, per i livelli più bassi. Per quanto riguarda il SIT V1, il concetto, ancora una volta, è quello di terminale C2 tattico, simile all’FB2C2B americano (o al nostro SICCONA), in grado di rendere digitali e “intelligenti” anche i veicoli. Il sistema utilizza display con cartografia digitale, sui quali viene raffigurata la posizione di tutte le pedine sul campo, e calcolatori per svolgere le funzioni di gestione del combattimento, dalla pianificazione, alla navigazione all’assegnazione di ordini. Il sistema è integrato con una suite di comunicazione con apparati radio di diverso tipo (HF, VHF e UHF) ed ha inoltre applicazioni specifiche a seconda della tipologia di veicolo su cui è installato: carro, veicolo del genio, unità logistica ecc..

Il SIR è installato in shelter e sulle versioni posto comando dei veicoli da combattimento, mentre il SIT V1 è un sistema solo veicolare installato sui carri Leclerc, blindati da combattimento AMX-10 e veicoli leggeri VBL. Sui carri Leclerc, il SIT V1 è integrato con il sistema di condotta del tiro. Ad oggi, i sistemi sono già stati installati su centinaia di mezzi dell’Esercito francese e utilizzati nelle operazioni all’estero: dalla Costa D’Avorio, all’Afghanistan.

I due sistemi appena menzionati, sono solo una parte dell’intero e complesso processo di digitalizzazione dell’Esercito francese. Un processo che, a partire dal 2008, è stato condensato in un unico grande programma di ammodernamento denominato Scorpion, una sorta di versione francese dell’FCS (o dell’italiano Forza Nec). Il programma prevede il rinnovamento del parco veicoli blindati dell’Esercito francese e la creazione di un network di comunicazione, comando e controllo omogeneo, destinato a superare anche i sistemi di comando e controllo attualmente in servizio come, appunto, il SIR ed il SIT.

Confr_Amm__20111117 48 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango Per quanto riguarda il primo aspetto, Scorpion prevede lo sviluppo e la realizzazione di due nuove veicoli da combattimento e l’aggiornamento dei carri Leclerc. Sul fronte comando e comunicazione, invece, verrà sviluppato un unico network di scambio informazioni e gestione del combattimento, denominato SIC-S (Système D'information et de Combat Scorpion) che avrà le sue applicazioni terminali che in futuro sostituiranno SIR e SIT. In pratica, lo Scorpion dovrebbe costituire un vero e proprio sistema dei sistemi integrato ed interoperabile.

Venendo ai dettagli, il programma prevede l’introduzione di due nuovi veicoli, il Véhicule Blindé Multi Role (VBMR), per la sostituzione dei VAB, e l’Engin Blindé de Reconnaissance et Combat (EBRC), per la sostituzione dei cacciacarri ERC-90 Sagaie e AMX-10RC. Nel febbraio 2010 è stato lanciata la fase di studio del programma che nel 2012 culminerà con la selezione del contraente industriale responsabile per l’architettura di sistema e con il lancio definitivo di Scorpion. Il programma prevede di dotare con i succitati veicoli, e di mettere in rete tutti gli utenti, 18 nuovi gruppi tattici interarma (GTIAT), entro il 2020, che sostituiranno le attuali otto brigate di manovra (i GTIAT dovrebbero poi passare a 30 entro il 2026). I GTIAT sono unità ad hoc, create per una missione specifica ed ottimizzate a seconda della natura delle operazioni e costruite intorno ad nucleo di fanteria o corazzato, con elementi integrati di supporto diretto (genio, artiglieria ecc.). Dei gruppi tattici interarma ne dovrebbero essere disponibili due tipologie: “decisivi”, ovvero unità pesanti su carri Leclerc e blindati da combattimento VBCI, e “multiruolo” sui nuovi mezzi VBMR e EBRC.

In tutto, l’Esercito francese prevede di acquisire oltre 2.000 VBMR, in due versioni, leggera e pesante, 300 EBRC e di modernizzare 250 carri Leclerc. Il primo ordine per 200 VBMR dovrebbe essere emesso nel 2013, con le consegne dei primi vicoli previste nel 2015, mentre la consegna dei primi Leclercr aggiornati è prevista nel 2016 e quella degli EBCR nel 2018. Il dispiegamento del network è invece previsto a partire dal 2017, con l’implementazione di una piena capacità a banda larga nel 2020.

Nel frattempo, la fisionomia del programma si va già delineando, con alcune aziende che hanno presentato le loro proposte per i nuovi veicoli VBMR e EBCR. La ha lanciato l’Armored Multirole Carrier (AMC) come candidato per il VBMR e, dunque, per la sostituzione dei venerabili VAB. L’AMC, al momento, presenta un peso di 22 tonnellate e

Confr_Amm__20111117 49 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango può trasportare fino a 11 uomini, più l’equipaggio. Il veicolo è configurato sia con telaio 6x6 che 8x8 in modo tale da poter supportare più esigenze e versioni: APC, ambulanza, portamortaio, anticarro ecc.. Tra l’altro, l’azienda ne ha presentato anche una versione 6x6 scout con cannone telescopico da 90 mm. Sempre per la sostituzione dei VAB, un’altra azienda francese, la Nexter, ha presentato una piattaforma sperimentale, su telaio 6x6, denominata XP2. Al momento, il vicolo viene proposto in tre versioni.

La Nexter concorre anche per l’ERBC per quale ha presentato un veicolo, derivato da un vecchio dimostratore di IFV, il Vextra, lanciato dall’azienda nella prima metà degli anni Novanta. Il veicolo viene proposto sia con una torretta equipaggiata con cannone a basso rinculo da 120 mm, in grado di sparare sia proiettili che missili guidati, sia con una torretta armata di cannone telescopico da 40 mm con abbinati tubi per il lancio di missili anticarro. Un’altra azienda già impegnata nel programma Scorpion è la che ha presentato un dimostratore di ERBC denominato Sphinx. Il veicolo rappresenta un’evoluzione della tradizionale famiglia di blindo leggere realizzate negli ultimi 40 anni dall’azienda, dalla 8x8 EBR, alla 6x6 ERC-90 alla 4x4 AML-90. Il veicolo ha un telaio 6x6 ed uno scafo a forma di V per la deflessione delle esplosioni di mine o IED. L’armamento dovrebbe comprendere una torretta con cannone da 40 mm.

Accanto a questi nuovi veicoli, altri due pilastri dei futuri gruppi integrati interarma saranno il VBCI ed il sistema soldato futuro Felin. Il VBCI costituisce l’ultimo stadio dello sviluppo in un settore, quello dei ruotati da combattimento, in cui l’Esercito francese è stato storicamente forte. Dai VAB, agli AMX-10P, l’Esercito francese ha impiegato quasi 5.000 blindati ruotati fidando soprattutto sulle loro doti di mobilità e dispiegabilità. Non c’è da stupirsi, dunque, se sin dalla fine degli anni Ottanta la Francia abbia pensato ad un nuovo mezzo ruotato per le proprie truppe di fanteria. Un primo passo in questa direzione è stato fatto nel 1990, con il lancio del programma VBM (Veicolo Blindato Modulare), al quale presto si sono aggiunte anche Germania e Regno Unito.

Nell’ambito di questo programma, a partire dal 1994, le aziende francesi, la Renault e l’allora Giat, hanno lanciato un primo prototipo di veicolo 8x8, il già citato Vextra, con sistema di trasmissioni ad H, sul modello della blindo Centauro. Dopo questi primi sviluppi, la Francia poi si è ritirata dal programma trinazionale per proseguire da sola.

Confr_Amm__20111117 50 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango A tal proposito, nel 1999 è stata lanciata una gara d'appalto con la partecipazione di 7 aziende europee invitate alle presentazioni delle proprie proposte. Dalla competizione è uscita vincitrice la Giat, oggi Nexter, con il VBCI. Lo sviluppo e la dimostrazione del veicolo sono andati avanti per qualche anno e, tra il 2004 ed il 2005, sono stati realizzati i primi cinque prototipi con i quali è stata condotta una campagna di prove e test reali biennale. Al termine di questo periodo, è stata avviata la fase di produzione di serie e ad oggi sono stati consegnati oltre 200 esemplari all’Esercito francese, a fronte dei 630 complessivamente ordinati.

Il compito del VBCI è quello di supportare la squadra di fanteria di nove uomini dotata di kit Felin. Con un peso a vuoto di 18 t, ma 26 in marcia, e 28 come massimo, il VBCI ha lo scafo del Vextra e la meccanica semplicifata del X8A Renault (un altro dimostratore di 8x8 sviluppato dalla Renault negli anni Novanta). La sospensione è del tipo a I con asse centrale e la torretta è monoposto. Lo scafo misura 7,8x 2,98 m e porta il motore su di un lato, al solito quello destro, e pilota più capocarro in tandem, come sul BMP-1 per esempio, o sull'M113. I fanti sono ospitati nel vano posteriore, nel comparto di combattimento che peraltro non ha feritoie di tiro, mentre il guidatore ha tre episcopi e anche una camera termica. Il vano di combattimento e guida in tutto dispone di ben 14 m3 di spazio. La sagoma del mezzo è alta ben 2,26 m, circa 25 cm in più del VBM Freccia, ma l'esigenza di ospitare soldati sempre più alti e con equipaggiamenti sempre più ingombranti (specie gli zaini) ha reso il mezzo decisamente più grosso di quanto non fosse lo standard della Guerra Fredda. Il guscio dello scafo è costituito da piastre in alluminio su cui poi sono fissate corazze in acciaio, per resistere a proiettili in calibro 14,5 mm. Sono anche disponibili corazze in titanio. L’interno del mezzo ha un “rivestimento” in kevlar per la protezione dalle schegge, mentre, per quanto riguarda la protezione anti-mina, speciali moduli rimovibili a deformazione controllata garantiscono la resistenza a mine fino a 7 kg sotto lo scafo. Per attutire lo shock delle esplosioni, infine, sedili sono individualmente fissati alle pareti e non al tetto dello scafo.

La torretta, come si diceva monoposto, è della Nexter, con un peso a seconda del livello di corazze tra 2,5 e 3,7 t, dotata di una struttura in alluminio, predisposizione per corazze aggiuntive, e un cannone da 25 mm, anziché i più potenti pezzi da 30 o 40 mm, spesso usati attualmente. Del resto il suo scopo non è tanto distruggere grossi mezzi corazzati ma di appoggiare le truppe e garantirne il supporto soprattutto in ambienti urbani.

Confr_Amm__20111117 51 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango

Oltre alla mitragliera c'è un'arma da 7,62 mm con 200 colpi pronti al fuoco in una struttura praticamente esterna alla torre e protetta da una scatola d'acciaio. La torretta ha un sistema di osservazione, con camera termica di tipo non raffreddato, sistemato al di sopra di essa come una specie di periscopio dalla forma sferica. Il capocarro può anche usare le armi e puntare tramite il suo display multifunzione il cannone del cannoniere. La situational awareness è incrementata inoltre da un periscopio solo diurno installato sullo scafo e dagli iposcopi laterali per la squadra di fanteria.

Il power pack comprende un motore diesel della Volvo associato ad un sistema di trasmissioni con 7 marce più 2 e un sistema di regolazione della presisone dei pneumatici centralizzato. In generale, il motore garantisce fino a 100 kmh di velocità, 750 km di autonomia, e permette di superare gradini di 70 cm e trincee di 2 m e guadare senza preparazione 1,2 m.

Venendo al Felin, terminale ultimo della catena di digitalizzazione, si tratta di un sistema di “soldato futuro”, se vogliamo, meno ambizioso, per esempio, del “nostro” Soldato Futuro. Ed è per questa ragione che il Felin è più avanti e, a fine 2010, erano già stati equipaggiati con il sistema ben sei reggimenti. Nel complesso è prevista la realizzazione di 31.445 sistemi di cui: 22.588 per la fanteria; 2.801 per il personale della cavalleria corazzata; 3.571 per il genio e 2.480 per l’artiglieria.

Il cuore del sistema è costituito dal PEP (Plate-forme Electronique Portable), un dispositivo che comprende un PC con display touch screen ed un data bus ad alta velocità con interfaccia USB 2.0. Il PEP è integrato nella tenuta da combattimento ed è collegato tramite cavi elettrici alle batterie e attraverso cavi per il trasferimento dati al sistema di comunicazione e navigazione ed ai sensori posti sull’elmetto. Per la comunicazione con i sistemi di osservazione e puntamento abbinati all’arma, invece, è disponibile un collegamento senza fili bluetooth. Il PC del PEP permette la gestione di tutti i sistemi, l’invio e la ricezione di messaggi e la visualizzazione di mappature digitalizzate.

Il Felin è collegato ad una rete, denominata RIF (Infantryman Information Network), che offre capacità di scambio dati, immagini, video e posizionamento GPS a corto raggio.

Confr_Amm__20111117 52 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango La rete, a standard commerciale, collega il singolo membro con gli altri componenti della squadra e al proprio comandante. Quest’ultimo è dotato di un terminal portatile del sistema tattico SIT EL (l’equivalente del nostro SICCONA), denominato SIT COMDE, che gli consente di scambiare informazioni e dati anche a notevoli distanze con i veicoli.

Il SIT COMDE è, di fatto, l’anello di collegamento con il sistema di comando e controllo di livello reggimentale, SIR (Système d’Information Régimentaire). Tecnicamente, il SIT COMDE è caratterizzato da un PC estremamente compatto con un peso di 900 g, display da 150 mm e delle dimensioni di 186 mm x 144 mm x 45 mm. Ad oggi è prevista l’installazione di apparati SIT EL su 4.500 veicoli dell’Esercito francese. Per comunicare direttamente con i veicoli a lunga distanza, invece, i singoli soldati possono usare la radio PR4G VS4: un apparato di quarta generazione a salto di frequenza che offre anche comunicazioni IP e operatività autonoma in caso di rottura del PEP.

Per quanto riguarda l’arma, il Felin è equipaggiato con una versione modificata del Famas già in servizio con l’Esercito francese. In particolare è stata sviluppata una nuova impugnatura sulla quale sono stati installati il PTT (Push To Talk) della radio, il comando per trasmettere le immagini ed i dati alla rete e i comandi del sistema d’osservazione. Come dotazione standard è previsto un mirino ottico ad intensificazione di luce ed una videocamera. I dati ripresi, oltre che alla rete RIF, possono essere trasmessi sul display del PEP o sul display monoculare installato sull’elmetto (dove è presente anche un sensore diurno/notturno ad ampio angolo di visuale, 50°). La camera termica è prevista solo per l’arma del comandante che, inoltre, può contare anche sull’apparato di osservazione elettro-ottico Jim. Nel complesso la suite elettro-ottica del Felin è inferiore a quella del Soldato futuro senza contare il fatto che l’arma non dispone del lanciagranate.

Un’altra importante differenza con il Soldato Futuro è l’osteofono, al posto del tradizionale microfono. L’osteofono, installato su una cuffia leggera e confortevole, è un particolare tipo di microfono, attivato dalle vibrazioni delle ossa del cranio, dall’aria o direttamente dalle vibrazioni delle corde vocali, che consente pertanto di comunicare anche nel più assoluto silenzio muovendo solo la bocca.

Confr_Amm__20111117 53 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango A differenza della Francia, la Germania non ha al momento un programma unitario di dgitalizzazione, ma una serie di programmi separati. Il primo, e più importante, è il FüInfosys Heer, ovvero il sistema di comando e controllo digitale dell’Esercito tedesco.

Il sistema presenta le medesime caratteristiche di analoghi sistemi – presentazione grafica della situazione sul campo, servizio di messaggistica ecc. – ed è appositamente configurato per supportare specifiche applicazioni, attraverso l’utilizzo di diversi moduli, a seconda delle varie specialità. Il sistema è integrato anche con il terminale tattico, installato su carri e veicoli blindati, ed utilizzato dal soldato futuro tedesco IdZ (Integriertes Führungs-und Waffeneinsatzsystem der Kampftruppen), IFIS, e con il sistema di comando e controllo delle Forze Armate (FüInfoSys SK). Nel dicembre 2006, l’Esercito tedesco ha firmato un ordine per la fornitura di un primo lotto di FüInfosys H per equipaggiare 1.500 veicoli e shelter. Le consegne dovrebbero terminare nel 2012.

L’altro pilastro della digitalizzazione dell’Esercito tedesco è l’IdZ (Infanterist der Zukunft), ovvero il soldato futuro tedesco. Come gli altri programmi di fanteria net-centrica, l’IdZ realizza l’integrazione dei singoli strumenti di acquisizione delle informazioni (sensori, sistemi di posizionamento, di telemetria, di controllo dello stato di salute del soldato ecc.) in dotazione al soldato in un unico sistema in grado di gestire, inviare e ricevere le suddette informazioni, siano esse immagini, filmati, tracce audio, testo o voce.

Il soldato è inoltre dotato della sua componente di comando e controllo grazie alla quale può gestire armi, sensori ed informazioni. Da un punto di vista tecnico, l’IdZ è caratterizzato da almeno due elementi che, grosso modo, caratterizzano un po’ tutti gli altri soldati futuri. Il primo dei quali è il PC “indossabile” che rappresenta il sistema di comando e controllo del soldato e costituisce pertanto il cuore di tutta l’architettura. Il secondo elemento è il nodo, o l’hub, che consente l’integrazione tra la componente C2 e tutte le periferiche (terzo elemento), sensori, armi ed apparati di comunicazione, ed il collegamento tra il soldato e la rete. Il nodo, generalmente un PC con caratteristiche del tutto simili a quelle del PC di comando e controllo, funge inoltre da selettore ed è in grado di decidere quale sistema di trasmissione usare, tra quelli disponibili, per far passare il messaggio in base al tipo, la sua dimensione o alla natura del destinatario. Dell’IdZ, nella sua versione base, è già stata completata la produzione, pari a 1.600 esemplari, ed il sistema è già stato ampiamente utilizzato dai soldati tedeschi in Afghanistan e nei Balcani.

Confr_Amm__20111117 54 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango Dell’IdZ ne è stato poi sviluppato una seconda versione, denominata Infanterist der Zukunft Enhanced System (IdZ-ES), i cui primi esemplari stanno attualmente entrando in servizio, che presenta una serie di migliorie. Tra queste, una più spiccata modularità, che consente, tra l’altro, di incrementare la protezione per il soldato, una maggiore integrazione tra tutti i sensori e gli apparati e la possibilità di comunicare in tempo reale anche con gli aeromobili. Il tutto con pesi e dimensioni più ridotte e decisamente più contenute e con un’autonomia superiore ottenuta grazie all’adozione di nuove batterie.

Nel campo dei veicoli, il principale sforzo di modernizzazione dell’Esercito tedesco negli ultimi anni è stato rappresentato dal Puma. Il Puma è un cingolato da combattimento, realizzato per la sostituzione del predecessore Marder. Quest’ultimo, sviluppato in gran numero dall’Esercito tedesco a partire dagli anni Sessanta, era, finita la Guerra Fredda, diventato ormai obsoleto nelle concezioni e nelle architetture di fondo. In più la sua torretta con cannone da 20 mm era giudicata sempre meno efficace contro le corazzature dei moderni blindati ma, più ancora, contro i bersagli “duri” tipici degli scenari asimmetrici. Ragion per cui, sin dalla seconda metà degli anni Novanta, l’Esercito tedesco ha iniziato a pensare ad un sostituto per il Marder in grado di adattarsi al contesto post-bipolare. Nel 2000, il programma è entrato ufficialmente nel vivo e nel 2002 sono stati emessi e definitivamente consolidati i requisiti.

Il peso del veicolo doveva essere di tra le 32 e le 45 t, variabile a seconda delle necessità (corazza modulare). Nondimeno, doveva essere trasportabile dagli A-400M, grazie allo smontaggio delle corazze pesanti; doveva essere ben protetto contro RPG, cannoni automatici e mine, e possedere un sistema ECM contro i missili, dato che sarebbe stato troppo difficile resistere a questi ultimi con la sola protezione. In pratica il mezzo avrebbe dovuto essere vulnerabile solo ai cannoni dei carri armati. Poi avrebbe dovuto essere equipaggiato in maniera rilevante di apparati eletronici e con un nuovo motore di tipo diesel-elettrico. In sostanza, si trattava di un mezzo ibrido che al massimo livello di protezione avrebbe dovuto unire, un altrettanto elevato standard in termini di comprensione dello spazio di battaglia.

Il problema è che i costi per lo sviluppo di un veicolo del genere si presentarono da subito alti, tanto che il Ministero della Difesa tedesco è stato più volte sul punto di rinunciare la programma virando su un mezzo straniero (allora si parlava del Warrior o del CV90). Alla

Confr_Amm__20111117 55 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango fine però il programma ha superato le difficoltà e nel 2002 quasi tutte le caratteristiche finali del mezzo erano state decise. Entro la fine del 2004 sono stati prodotti i primi cinque prototipi e nel novembre 2007 è stato firmato con l’industria, Krauss Maffei Wegman e Rheinmetall, il contratto per la produzione di serie di 405 veicoli e nel dicembre 2010 sono stati consegnati i primi due esemplari di serie.

Progettato al computer (CAD) con il lavoro di oltre 200 ingegneri, il Puma è un mezzo apparentemente tradizionale, ma in realtà è un concentrato di tecnologie di alto valore, nato per essere compatibile con l'A-400M. Nondimeno, per operare con tutti i sistemi previsti si è dovuto ridurre il peso con l'uso di leghe leggere e corazze modulari, mentre la torretta è diventata di tipo remotizzato.

Il mezzo ha dimensioni rilevanti, 7,33x3,71x3,05 m, con un volume interno di 10 m3 in grado di accogliere 3+6 uomini. La torretta, come si diceva, è remotizzata, dunque non ha il cesto, che ingombra moltissimo dentro il vano di combattimento, e presenta una sagomatura/profilatura molto bassa. Il conduttore è a sinistra del motore e puntatore e capocarro dietro affiancati, più i sei fanti nella parte posteriore del mezzo.

Dato che la protezione del mezzo è stata raccordata alle necessità del dopo-Guerra Fredda, quindi priorità alla sopravvivenza degli occupanti anche a costo dell’incremento di pesi e costi, il Puma è in grado di resistere a proiettili da 14,5 mm sui 360° e al 30 mm sull’arco frontale, ma con la possibilità di aumentare ulteriormente la protezione grazie alla possibilità di adottare fino a 8 t di corazze laterali ed alla predisposizione di un cielo dello scafo resistente alle sub-munizioni. Inoltre, cosa che ben difficilmente può essere fatta persino sui carri armati modificati appositamente come IFV, fin da subito è stata particolarmente curata la protezione anti-mina e conferita al veicolo la capacità di resistere all’esplosione di mine da 10 kg sotto lo scafo e di tipo autoforgiante. I sedili sono ergonomici e l'impostazione degli interni aeronautica. Sul veicolo è inoltre presente un sistema di allarme laser (con sensibilità fino a 1,65 micron di lunghezza d'onda) e un altro sistema per il campo ultra-violetto, entrambi controllati da un computer, unitamente ad un apparato di disturbo IR, con capacità di ruotare su 360°, e otto lanciagranate fumogeni, anche questi rotanti, capaci di fornire una barriera nel settore laser-IR-visibile.

Confr_Amm__20111117 56 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango Il power pack si basa su di un motore MTU a quattro tempi, raffreddato a liquido, in grado di erogare fino a 1500 hp di potenza. Il motore è associato ad un sistema di trasmissione Renck. Vi è poi un generatore elettrico da 170 kW integrato, utilizzabile anche per fornire energia all'esterno. Infine, le sospensioni sono idropneumatiche e integrate esternamente al vano di combattimento in una struttura che comprende anche i serbatoi, per evitare incendi interni.

L'armamento comprende un cannone da 30 mm con un rateo di 200 colpi al minuto e munizionamento di tipo Air Burst, ed una mitragliatrice coassiale da 5,56 mm. Sulla parte destra della torretta è possibile installare anche un complesso binato per il lancio di missili anticarro Spike. Otto lanciagranate sono inoltre sistemati nella parte posteriore della torretta, nel posto meno esposto a danneggiamenti dal fuoco nemico. Per il tiro ravvicinato, vi sono anche un lanciagranate da 76 mm a sei colpi, gittata 25-75 m con munizioni HE-FRAG per evitare assalti ravvicinati: anche perché il nuovo mezzo non consente ai fanti di sparare da dentro il veicolo né di vedere agevolmente tutt'attorno. Da questo punto di vista il vecchio Marder era migliore, ma l'esigenza di protezione ha annullato gli “slot” per vedere e sparare. Solo il portellone posteriore, parzialmente aperto, consente di tenere sotto controllo la situazione ed eventualmente di combattere, ma si tratta di un ripiego.

I sistemi di controllo del tiro sono modernissimi e tali da porre il PUMA in una categoria a sé, almeno per il momento, rispetto agli altri IFV occidentali. Al suo interno vi è persino un sistema a fibra ottica che consente di vedere in vari schermi quello che riportano i sensori, più un databus per il dialogo tra i sottosistemi e per l’eventuale integrazione di nuovi apparati senza bisogno di modifiche strutturali. Il capocarro ha cinque iposcopi e schermi touch-screen su cui vengono visualizzate le immagini del periscopio panoramico, che ruota indipendentemente osservando i 360° con copertura -15/+45°. Il sistema è stabilizzato, con tre ingrandimenti, campo visivo tra 22,2x16,7° e 2,8°x2,1°, sei Mpx di risoluzione diurna, camera termica notturna di terza generazione da 384x288 pixel e due camere CCD. Il tutto ospitato nella struttura corazzata sopra la torre, a sinistra del cannone. I tedeschi erano stati antesignani con i periscopi Peri di sistemi di visione in posizione nettamente dominante sulla torretta, ma questo è un sistema di nuova generazione, più simile ad un sistema aereo o navale che uno per mezzi terrestri.

Confr_Amm__20111117 57 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango Quanto al puntatore, ha un sistema stabilizzato sempre entro 40 mrad, e ingrandimenti fino a 8x. Il guidatore ha tre iposcopi e uno schermo per la marcia indietro; i fanti hanno quattro telecamere, due iposcopi, un sistema periscopico rotante e due LLTV, più due display per la visione su cui possono essere proiettate le immagini termiche dei sensori principali.

Chiudiamo questa sezione con il Regno Unito. Il Regno Unito è stato l’unico dei paesi europei a seguire sin da subito gli Stati Uniti lungo la strada della NCW, lanciando la propria variante di FCS, ovvero il FRES (Future Rapid Effect System). Paradossalmente, nella patria dell’approccio NEC, si è optato per l’approccio network-centrico. Ma tant’è, il programma, al momento del suo lancio nel 2003, prevedeva lo sviluppo di una serie di nuovi veicoli e la loro integrazione in un’architettura net-centrica comune.

Le piattaforme previste, in particolare, erano cinque: utility, ricognizione, media, supporto e base. Ciascuna di queste piattaforme avrebbe dovuto presentare una serie di caratteristiche innovative: dalle protezioni balistiche basate sull’adozione di nuovi materiali, alla maggiore letalità ecc. Insomma, come accennato, un FCS ridotto.

Nell’ottobre 2007, il Ministero della Difesa britannico ha selezionato, in qualità di SOSI ("System of Systems Integrator”), un consorzio tra le aziende Boeing, che già era impegnata nel programma FCS, e Thales. Il compito del consorzio era quello di progettare e realizzare il network elettronico e di comunicazione per legare tutti i veicoli in un unico sistema dei sistemi. In realtà, a causa dell’incremento dei costi e delle lezioni apprese con i dispiegamento delle forze britanniche in teatro, tutto il programma ha subito nel corso degli ultimi anni una profonda ristrutturazione e così l’architettura netwrok-centrica prevista è stata, di fatto, cancellata ed il consorzio Thales/Boeing sciolto, mentre sono rimasti in piedi i programmi di acquisizione dei singoli veicoli.

La prima versione dei veicoli della famiglia FRES a dover entrare in servizio, nel 2010, era quella utility, con la quale il British Army contava di sostituire i Saxon e gli FV432. Nel giugno 2007, il Ministro della Difesa annunciò che tre veicoli erano stati prescelti per una serie di valutazioni, al termine delle quali sarebbe stata scelta la piattaforma vincente. I tre veicoli erano il tedesco Boxer (ironia della sorte, il Regno Unito aveva inizialmente partecipato allo sviluppo del Boxer con la Germania…), il Piranha V, promosso dalla

Confr_Amm__20111117 58 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango General Dynamics UK, ed il francese VBCI. In realtà anche questa scelta dimostrava la confusione che regnava nell’ambito del programma perché venivano, in pratica, selezionati il super-pesante e protetto Boxer, il leggero Piranha V, che come tutta la famiglia Piranha nasceva come veicolo anfibio, e il VBCI che costituiva una sorta di intermezzo tra i due veicoli. Allo stesso tempo, il Ministero della Difesa britannico diceva di voler selezionare un’altra azienda per personalizzare il veicolo in base alle specifiche esigenze del Britsih Army.

A maggio, 2008 fu comunicato che il design prescelto era quello del Piranha V, ma qualche mese dopo, a dicembre, il processo di selezione del veicolo di General Dynamics UK fu interrotto.

Nel frattempo, lo ripetiamo, erano intervenuti i tagli al bilancio e, soprattutto, le esperienze maturate in teatro. In particolare, era chiaro anche al MoD britannico che il principale requisito per un veicolo, nei futuri scenari, sarebbe stato quello della protezione più che quello della mobilità. A quel punto, il Ministero della Difesa britannico decise di ristrutturare interamente il programma modificando priorità e cambiando la calendarizzazione. L’acquisizione della piattaforma utility è stata definitivamente posticipata, e la stessa Strategic and Security Review del 2010 non ha dato indicazioni temporali in tal senso, assegnando, invece, la priorità alla variante scout (SV, Specialised Vehicle) cingolata.

L’acquisizione della variante scout è stata inoltre collegata ad un altro programma già in corso, ovvero il Warrior Capability Sustainment Programme (WCSP), per sfruttare così i relativi benefici logistici. In particolare i due veicoli condivideranno lo stesso cannone da 40 mm, sviluppato da una joint venture tra BAE Systems e Nexter, in grado di sparare munizionamento telescopico. Per coordinare le due iniziative è stato poi creato un nuovo team industriale, denominato MATT (Medium Armoured Tracks Team).

Il programma FRES è stato così trasformato da programma rivoluzionario network-centrico a “semplice” programma di ammodernamento/acquisizione. Nel marzo 2010, il MoD ha alla fine selezionato l’Ascod di General Dynamics come piattaforma base per la versione FRES SV e nel luglio dello stesso anno ha concesso all’azienda un contratto per l’ingegnerizzazione e la realizzazione dei primi sette prototipi. Questi ultimi dovrebbero essere testati a partire dal 2013. L’Ascod è un veicolo sviluppato in collaborazione tra

Confr_Amm__20111117 59 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango l’austriaca Steyr e la spagnola Santa Barbara, adesso controllate dalla General Dynamics, ed in servizio con l’Esercito austriaco e spagnolo da fine anni 90 con le denominazioni di Ulan e Pizarro. Rispetto alla versione base del veicolo, l’Ascod SV avrà maggiori capacità in termine di protezione, elettronica e, come ampiamente discusso, letalità adottando la nuova torretta con cannone da 40 mm e munizionamento telescopico. Il veicolo avrà inoltre un nuovo motore e dovrebbe presentare un peso in ordine di combattimento da 42 mm.

Morto, nei fatti, il programma FRES l’ammodernamento del British Army resta allora legato ad uno sforzo per singoli segmenti piuttosto che ad uno sforzo unitario complessivo. Guardando solo al campo dei sistemi di comando e controllo, questo vale soprattutto per il programma Bowman. Quest’ultimo costituisce un sistema di comando, controllo e comunicazione tattico, installato su shelter e veicoli. A differenza di sistemi analoghi, con il Bowman, sin da subito, gli inglesi hanno voluto mettere l’accento sulla componente comunicazioni, piuttosto che su quella BMS (Battle Management System). Di fatto, il Bowman è pertanto un sistema di comunicazioni digitale integrato, associato ad una componente di blue force tracking e localizzazione. Il sistema è stato dispiegato con il British Amry sin dal 2005 in Iraq ed è stato installato in migliaia tra shelter e veicoli di diverse tipologie. Per quanto riguarda le comunicazioni, il Bowman è integrato con i tradizionali canali VHF, HF e UHF e con radio High Capacity Data Radio (HCDR), queste ultime in corso d’istallazione anche sul “nostro” Freccia, e dispone di un canale IP locale (LAS, Local Area System).

Fondamentale, nel Bowman, è il modulo ABC (Apache - Bowman Connectivity), ovvero il modulo che garantisce la possibilità per le unità a terra, attraverso il Bowman, di comunicare direttamente in tempo reale, in modalità voice e data, con gli elicotteri d’attacco. Una capacità che il Britsih Army ha voluto implementare sin da subito. Il Bowman è inoltre interfacciabile con un altro sistema di recente sviluppo, ovvero il Falcon. Il Falcon è un sistema di comunicazione interamente digitale (all-IP) voice, data, fax e video che consiste di reti locali in fibra ed è in grado di supportare una vasta gamma di utenti, legati insieme in un Wide Area System (WAS). In pratica, il Falcon permette di aumentare l’estensione e la copertura della rete locale e la larghezza di banda e, dunque, la dimensione e l’ampiezza dei dati scambiati e comunicati. Il sistema dovrebbe essere già operativo nel suo Increment 1.

Confr_Amm__20111117 60 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango Come si diceva in precedenza, il Bowman nasce come sistema di comunicazione e localizzazione puro, senza una vera e propria componente di battle management. Questa è stata introdotta solo successivamente mediante la realizzazione di una serie di applicazioni specifiche, denominate Battlefield Information System Applications (BISAs), finanziate individualmente ed a se stanti rispetto allo sviluppo del Bowman in quanto tale.

Tra queste, la più importante è quella per i carri Challeger 2 denominata CR2 Platform BISA. Questa comprende il software (ComBat), una “crew station” per il capocarro e il conduttore, in pratica due display, un’unità di processamento e digitalizzazione, un “black box” senza display e un data bus per il trasferimento e l’integrazione dei dati.

Nel dettaglio, l’applicazione ha permesso di integrare il Bowman con il “sistema carro” e, dunque, con il suo sistema di condotta del tiro e con il suo status logistico (livello munizionamento, carburante, eventuali avarie ecc..), ed al conduttore di pianificare e seguire la rotta in modo autonomo rispetto alle indicazioni del capocarro. Per quanto riguarda l’integrazione con il sistema di condotta del tiro, per esempio, se il capocarro utilizza il telemetro laser per localizzare e fissare un bersaglio, immediatamente questa informazione è resa disponibile ed è visualizzata sui display dei capicarro degli altri Challeger 2. Di fatto, con il CR2 Platform BISA, i Chalegener 2 sono diventati carri digitali a tutti gli effetti.

Confr_Amm__20111117 61 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango Confr_Amm__20111117 62 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango

L’ammodernamento della Difesa italiana

ed il ribilanciamento in Europa e USA

Confr_Amm__20111117 63 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango

Il processo di modernizzazione

3 della Difesa italiana

3.1 L’Italia e la trasformazione

Analogamente a quanto accaduto negli altri paesi europei, anche l’Italia ha intrapreso la strada della riforma e dell’ammodernamento dello strumento militare negli ultimi 20 anni. Per un Paese “allergico” ai mutamenti, di qualunque natura essi siano, è stata una vera e propria rivoluzione.

Tuttavia, se diamo un’occhiata solo agli scenari internazionali delineatisi dopo la fine della Guerra Fredda, non c’era alternativa se non quella della modernizzazione per uno strumento che, ancora nella prima metà degli anni Novanta, era culturalmente ed organizzativamente vecchio. In particolare, la partecipazione a missioni internazionali e la necessità di operare fianco a fianco con altre forze armate, ha richiesto anche all’Italia di adeguare i propri standard e le proprie capacità a quelle degli altri Paesi europei e NATO.

Era in gioco la sua credibilità internazionale e le sue ambizioni di “media potenza”.

E’ in questo contesto che, soprattutto a partire da metà anni Novanta, è partito un processo di trasformazione che ha interessato il piano qualitativo sì, ma anche quello organizzativo e quantitativo.

Per quanto riguarda il primo aspetto, su cui torneremo in modo maggiormente approfondito più avanti, le FA e l’Esercito italiano si sono concentrati soprattutto sull’acquisizione di nuove capacità. In particolare, tra queste capacità, quelle ad assumere maggiore rilevanza sarebbero state le capacità ritenute “fondamentali” e prioritarie per

Confr_Amm__20111117 64 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango l’assolvimento dell’intero spettro delle missioni affidate allo strumento militare e per garantirne, nel contempo, la più ampia flessibilità d’impiego. Ovvero: il C4-ISTAR, lo schieramento e la mobilità, intesa quale rapidità di intervento e di azione, la precisione e l’efficacia d’ingaggio, la sopravvivenza e la protezione delle forze, la sostenibilità logistica ed il supporto generale.

Esse avrebbero rappresentato le vere e proprie capacità abilitanti di riferimento per lo sviluppo dello strumento militare ed il conseguimento degli obiettivi del processo di trasformazione avviato. Inoltre, tali capacità avrebbero dovuto garantire il raggiungimento dei seguenti effetti strategici: la superiorità decisionale, intesa quale condizione nella quale le decisioni sono prese, sulla base di migliori informazioni; l’efficace capacità di operare, ovvero la condizione nella quale tutte le componenti sono in grado di integrare, a livello nazionale e multinazionale, le loro peculiari capacità per il conseguimento coerente dei risultati operativi desiderati; il dispiegamento ed il sostegno, ovvero la condizione nella quale lo strumento militare è in grado di schierare, impiegare e sostenere in un teatro, nei tempi e nei modi richiesti ed in un contesto joint e combined, forze della giusta qualità adeguate all’assolvimento della missione assegnata.

In termini operativi, possiamo fare l’esempio degli UAV e dei moderni sistemi computerizzati di comando e controllo. Per quanto riguarda il primo aspetto, durante l’operazione Antica Babilonia, in Iraq, le FA italiane hanno usato ampiamente gli UAV Predator che hanno dato un impulso decisivo alle capacità ISTAR del contingente nazionale, consentendo di controllare in maniera continuativa ed efficace l'area di responsabilità (provincia del Dhi Qar) con un dispendio limitato di risorse. Laddove in passato, per disporre di una situational awareness comparabile, sarebbe stato necessario schierare sul terreno centinaia di uomini impegnati in una continua attività di pattuglia.

Per quanto riguarda, invece, il secondo aspetto, qui basti considerare le capacità di "reach back" consentite dagli attuali assetti C4ISTAR, che permettono ad esempio - a parità di efficacia dell'azione svolta - di proiettare in teatro terrestre o marittimo solo un'aliquota di un comando complesso, mantenendo la parte rimanente nella sede stanziale in Italia.

Il vantaggio che deriva dal dover schierare, mantenere, proteggere e alimentare fuori area solo una frazione del personale che compone il Quartier Generale (mentre il resto ne

Confr_Amm__20111117 65 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango supporta l'azione dalla madrepatria grazie alle possibilità offerte dall'IT e dai collegamenti satellitari) rappresenta un'altra prova evidente dei molteplici benefici offerti dall’acquisizione di capacità tecnologicamente avanzate.

Questa rivoluzione capacitativa ha fatto da battistrada, poi, allo sbarco anche in Italia della Network Centric Warfare. Come gli altri paesi del mondo occidentale, infatti, anche l’Italia ormai da anni ha abbracciato il concetto di Network Centric Warfare. Del resto non c’è operazione militare moderna che possa prescindere da una piena capacità d’integrazione in un contesto net-centrico: è un’affermazione che si applica tanto alle operazioni ad alta intensità, di tipo combat, che a quelle di PSO (Peace Support Operations) e di assistenza umanitaria, per le quali la possibilità di gestione net-centrica rappresenta ugualmente un fattore in grado di incrementare la tempestività, la precisione, la sicurezza e l’efficacia.

In Italia, il concetto di NCW è stato declinato dottrinariamente attraverso i seguenti elementi cardine:

• Culturale.

L’acquisizione e la maturazione, da parte del personale, di una nuova mentalità. In altri termini, l’elemento umano è quello maggiormente caratterizzante la versione italiana della NCW. Molto più che negli altri paesi dove questa ha trovato applicazione. Ognuno deve, infatti, essere consapevole che, in un ambiente NET- centrico, è collegato e interagisce con altri attuatori e decisori, quale parte di una rete in cui ciascun elemento influenza ed è al tempo stesso influenzato dagli altri, per effetto di una condivisione sempre più spinta delle informazioni, della consapevolezza e della responsabilità.

L’implementazione dell’NCW riguarda prima di ogni altro fattore l’elemento umano, e per chiarirlo è sufficiente una semplice considerazione: La tecnologia, e in particolare l’Information Technology (IT), è essenziale per creare il sistema, la rete: ma operare in rete implica l’intervento coordinato e sinergico di persone e di elementi organizzativi (comandi, reparti, strutture di supporto) che, sotto la guida di una nuova dottrina e avvalendosi delle più appropriate procedure, riescono a relazionarsi in un modo nuovo, sfruttando le capacità della rete per la raccolta, analisi, trattazione e

Confr_Amm__20111117 66 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango distribuzione delle informazioni, trasformandole in un vantaggio decisivo nella condotta delle operazioni. L’uomo – non la tecnologia – è al centro della rete, perché l’ha concepita, l’ha progettata, la usa e ne è parte integrante e, per di più, interattiva.

• Dottrinale.

Lo spostamento dell’enfasi dalle piattaforme alla rete, vale a dire alla struttura che le interconnette. Le piattaforme esistenti, se prive della capacità di operare in rete, sono e saranno sempre meno utili e necessarie: potranno avere ancora (specie se adeguabili ad operare in un contesto NCW) un’utilità transitoria in determinate attività, ma per i futuri sistemi oggi in fase di sviluppo il requisito di una piena compatibilità NET-centrica è determinante e irrinunciabile;

• Tecnologico.

La conseguente necessità di indirizzare in via prioritaria le risorse verso sistemi e piattaforme “network enabled”, privilegiando le capacità rispetto alla quantità. Per questo, da qui al prossimo futuro ogni assetto che le Forze Armate italiane porteranno ad operare in teatro dovrà essere pienamente integrabile in un contesto NEC, sia a livello interforze che nei confronti degli assetti delle alleanze e delle possibili coalizioni. Si tratta di una scelta che non solo risulta indispensabile per consentire allo strumento militare italiano di continuare ad essere componente efficace ed utilizzabile di ogni più ampio dispositivo alleato e multinazionale, ma che presenta anche significativi vantaggi sul piano dell’economia delle forze e delle risorse, come prova l’esperienza sin qui maturata nelle operazioni reali.

Prima, però, di affrontare e descrivere nel dettaglio la rivoluzione capacitativa che ha interessato le FA italiane, è necessario approfondire le grandi riforme organizzative e strutturali che hanno interessato soprattutto l’Esercito dopo il 1990.

Confr_Amm__20111117 67 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango

3.2 Trasformazioni organizzative ed ordinative: un Esercito per la proiezione

Nel contesto del mutamento degli scenari, l’Esercito Italiano è stato in misura sempre maggiore chiamato ad assolvere ad impegni internazionali. Tanto che, oggi, a 20 anni dalla caduta del Muro di Berlino, la dimensione internazionale dell’Esercito Italiano può dirsi un dato ormai acquisito. Negli ultimi dieci/quindici anni l’Esercito Italiano ha avuto una media di 8/10.000 soldati schierati all’estero. Per numeri, dunque, l’EI si colloca ai primi posti per presenza all’estero tra tutti gli eserciti dei maggiori paesi occidentali. Una situazione impensabile fino ai primi anni Novanta quando l’EI, assieme alle altre FFAA, stava ancora vivendo in una dimensione radicalmente diversa.

Per anni, gli anni del confronto bipolare, appunto, l’EI è stato una realtà organizzativa ed operativa statica, sostanziata dal reclutamento di leva, volta esclusivamente alla difesa dei confini nazionali dall’eventualità di un’invasione su larga scala. Uno strumento militare pertanto basato sul concetto di massa e disposto “a guarnigione” a difesa del territorio nazionale. La gran parte delle forze, soprattutto quelle pesanti e corazzate, erano dislocate lungo il confine nord-orientale, dove avrebbero dovuto concentrasi le direttrici principali di un’iniziativa offensiva nemica, mentre tutte le altre unità distribuite lungo il territorio nazionale avrebbero dovuto assicurare la difesa da eventuali azioni anfibie o aeroportate avversarie. Era, quello di allora, un Esercito ancorato al territorio, caratterizzato da grandi numeri, materiali ed equipaggiamenti pesanti e composto da unità destinate a difendere pochi chilometri di fronte con un’elevata densità operativa di uomini e mezzi. Nel 1975 i suoi organici erano basati su 25 brigate operative più i relativi supporti.

Crollato il Muro di Berlino, e scomparsa la minaccia di una possibile invasione su larga scala del territorio nazionale, questo tipo di organizzazione non ha avuto più ragion d’essere. Ma allo stesso tempo l’illusione di poter finalmente godere dei dividendi della pace – liberi dall’incubo della distruzione nucleare – è durata lo spazio di un mattino.

Appena in tempo per accorgersi che un mondo nuovo si stava già affermando con nuove e più virulente problematiche strategiche e con nuovi tipi di conflittualità.

Confr_Amm__20111117 68 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango Già con l’operazione Desert Storm si è avuta una prima dimostrazione che il nuovo profilo operativo che sarebbero state chiamate ad assolvere le Forze Armate nel futuro sarebbe stato radicalmente diverso, all’insegna di una serie di concetti quali: 1) proiettabilità 2) interoperabilità in chiave multinazionale 3) flessibilità.

Già nel Nuovo Modello di Difesa, presentato al Parlamento dal ministro della Difesa Rognoni nel novembre 1991, si è avuta la prima manifestazione dei cambiamenti portati anche nella pianificazione militare dall’affermarsi dei nuovi scenari e si sono affrontati per la prima volta in maniera organica e dettagliata i temi del riassetto e delle nuove funzioni delle Forze Armate, degli obiettivi di medio e lungo periodo dell’intera politica di difesa e delle relazioni con NATO ed Unione Europea. In particolare il Nuovo Modello di Difesa ha voluto trattare l’identificazione tra la sicurezza nazionale e la salvaguardia degli interessi politici ed economici all’estero, attraverso lo sviluppo di una nuova capacità di power projection dello strumento militare, elemento cardine della politica estera del Paese. Questo significa che nel sistema internazionale post-bipolare, anche per l’Italia, l’uso controllato, modulato e legittimo della forza, è diventato ben preso uno strumento nelle mani del Governo, all’interno del più ampio scenario delle alleanze e delle organizzazioni multilaterali, per la garanzia di condizioni di stabilità e sicurezza all’esterno del territorio nazionale.

Tra i compiti delle Forze Armate italiane, così come essi sono andati delineandosi per effetto di queste trasformazioni, la gestione delle crisi internazionali ha allora assunto un posto prioritario. E, dunque, anche per l’EI, la partecipazione a missioni internazionali, al fine di garantire la pace, la sicurezza, la stabilità e la legalità internazionale, nonchè l'affermazione dei diritti fondamentali dell'uomo, nello spirito della Carta delle Nazioni Unite, nell'ambito di organizzazioni internazionali e/o di accordi bi-multilaterali, con particolare riguardo alla capacità autonoma europea di gestione delle crisi, è diventato un nuovo pane quotidiano.

Questa missione è scaturita da una specifica volontà politica, costantemente confermata nel corso dell'ultimo ventennio e formalizzata, nei fatti, con la Direttiva Ministeriale del 1999 che ha riassunto la partecipazione delle Forze Armate ad azioni di prevenzione e gestione delle crisi deliberate dall'ONU, o comunque ispirate ai principi enunciati dalla Carta delle Nazioni Unite, secondo tre possibili modalità di intervento: nel ruolo di lead

Confr_Amm__20111117 69 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango nation (ad esempio, operazione Alba); come forza facente parte di una coalizione (ad hoc, come nel caso dell’operazione Antica Babilonia, o nel’ambito di organizzazione internazionali quali la NATO, l'UE e l'UEO); a seguito di accordi bi-multilaterali (un esempio è la missione Tecnico-Militare a Malta).

In questo quadro le operazioni che l’Esercito è chiamato a svolgere hanno iniziato a caratterizzarsi sempre più per maggiore complessità, multi-dimensionalità e spiccate capacità di adattamento al mutare degli scenari operativi, da quelli a più alta intensità a quelli di stabilizzazione post-conflittuale e per il mantenimento della pace. E ciò ha portato ad abbracciare un innovativo approccio ai tradizionali concetti d’impiego delle forze ispirato ai criteri “joint” e “combined”. Perché, nei nuovi scenari, non solo è richiesto un crescente coordinamento ed integrazione fra tutte le componenti dello strumento militare nazionale, ma anche una sempre maggiore interoperabilità con le forze alleate.

Tornando all’aspetto operativo, assolvere a questi nuovi compiti, di straordinaria delicatezza, ha significato passare da uno strumento militare prevalentemente statico, ad uno strumento con capacità di elevata proiettabilità e rapido schieramento in grado di inserirsi con efficacia e senza soluzione di continuità in scenari complessi, contraddistinti dal coesistere di attori, organizzazioni e realtà civili e militari multinazionali e diversificate. Uno strumento militare, ed un Esercito, dunque, in cui elevate capacità di sorveglianza, comando e controllo si sono coniugate con la pronta disponibilità di forze flessibili e sostanzialmente expeditionary, addestrate e culturalmente preparate ad operare sinergicamente secondo dottrine di impiego“effect-based”. Per questo, nel corso degli ultimi anni, l’EI è andato affermandosi sempre più come una forza agile, “joint” ed expeditionary, in grado di operare anche in contesti, come questi si sono andati affermando negli ultimi tre/quattro anni, net-centrici e lungo tutto lo spettro dei conflitti, con forze rapidamente dispiegabili e sostenibili nel tempo anche a grandi distanze dalla madrepatria.

Una forza flessibile, insomma, e caratterizzata da una forte dimensione capacitativa derivante dalla peculiarità dei presumibili scenari d’impiego.

Una rivoluzione a tutti gli effetti, contraddistinta oltretutto dal rafforzarsi di un livello tecnologico di eccellenza, con l’acquisizione di equipaggiamenti e mezzi sempre più

Confr_Amm__20111117 70 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango all’avanguardia e moderni, risultato di un significativo incremento della qualità generale dello Strumento Militare e di scelte sempre più orientate al perseguimento di nuove capacità.

L’impiego di forze in contesti multinazionali ha infatti spinto l’Esercito a sviluppare capacità in passato inesistenti o sottodimensionate, alcune delle quali, peraltro, tra le più invidiate in campo mondiale. In tale ottica negli ultimi anni si sono prese una serie di iniziative che sono andate tutte nella stessa direzione, ovvero quella del rafforzamento della spendibilità fuori area dell’Esercito e del suo personale. Si è costituito il Comando di razione rapida a guida italiana NRDC-It, già impiegato più volte come framework per la guida della missione ISAF in Afghanistan, è stato potenziato il pacchetto di forze per la condotta delle operazioni speciali, affiancando alle Forze Speciali, incentrate sul 9° reggimento d’assalto Col Moschin, due unità FOS (Forze per Operazioni Speciali) come il 185° reggimento ricognizione e acquisizione obiettivi RAO e il 4° reggimento alpini paracadutisti Ranger.

A queste iniziative bisogna poi aggiungere la partecipazione alla Forza di Proiezione dal mare, su un complesso di forze da sbarco joint (EI e MM), che per l’Esercito Italiano comprende i Lagunari più altri assetti specialistici, idonee ad operare in autonomia in aree distanti dal territorio nazionale per un prolungato periodo di tempo e la partecipazione, con tutti i relativi contributi così come questi si vanno configurando volta per volta, alla NATO Response Force, ai battle group europei, alla Multinational Land Force nonché ad EUROFOR, quale iniziativa multinazionale per la costituzione di un Comando per la gestione di operazioni sotto egida UE e NATO. E poi vale la pena ricordare la costituzione del CIMIC Group South di Motta di Livenza, altra pedina fondamentale nella struttura delle forze della NATO, che consente il pieno assolvimento dell’importantissima funzione CIMIC mediante la creazione di CIMIC Center e la conduzione di attività CIMIC sul terreno, la realizzazione ed il mantenimento di rapporti di cooperazione e collaborazione con tutti gli attori, civili (IO, ONG, popolazione ed istituzioni locali) presenti nell’area di intervento e l’elaborazione di valutazioni informative sugli aspetti civili della situazione in operazioni. Ma sempre in quest’ottica, va citata anche la costituzione del 28° reggimento Pavia, la pedina operativa specializzata nella conduzione delle attività psicologiche, le famose PSYOPS.

Confr_Amm__20111117 71 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango E’ chiaro che, laddove le missioni per l’Esercito italiano si caratterizzavano sempre più per il loro tratto fuori-area e internazionale, il modello organizzativo avrebbe dovuto trasformarsi di conseguenza. Pertanto, anche l’Esercito italiano, come gli eserciti degli altri grandi paesi europei, già nella prima metà degli anni Novanta ha iniziato ad avviarsi lungo la strada della professionalizzazione e dell’adeguamento organizzativo.

Un grande impulso per l’adozione di un nuovo modello di Forze Armate, ed Esercito, professionale è avvenuto in conseguenza degli avvenimenti accaduti durante la missione in Somalia nel 1993. I durissimi scontri al check point pasta del 2 luglio, in cui hanno perso la vita tre militari italiani, hanno mostrato una volta per tutte la necessità, per operare in missioni all’estero, di personale militare professionale, dotato di alti standard addestrativi e motivazionali ed abituato per questo a trovarsi di fronte a improvvise escalation di violenza. Alla fine dello stesso anno, allora, lo Stato Maggiore dell’Esercito ha deciso di iniziare l’alimentazione con personale unicamente volontario di una grande unità, la Brigata bersaglieri Garibaldi. A sostegno di questa decisione, e per consolidare ulteriormente il modello misto, nel 1995 sono state create due nuove figure: il volontario in ferma breve (VFB) e il volontario in servizio permanente (VSP). Mentre, a partire dal gennaio 1997, il servizio militare obbligatorio è passato da un anno a dieci mesi.

In quell’anno, in particolare, il Parlamento promulgò la Legge No. 549 del 28 dicembre, con la quale il precedente sistema di reclutamento sarebbe stato rimpiazzato da uno misto, comprendente sia i coscritti sia i volontari. In quegli anni si è andato pertanto affermando il cosiddetto modello “misto”, mediante l’introduzione di forme di alimentazione degli organici alternative alla leva ed improntate su criteri professionali, e basato su una componente professionale minoritaria, impiegabile principalmente nelle operazioni fuori area, e sul corpo maggioritario dei militari di leva.

Parallelamente al processo di professionalizzazione è andato avanti anche l’adeguamento organizzativo dello strumento militare. Il momento di svolta è arrivato nel 1997, con la legge sulla riforma dei vertici. In particolare, la legge ha assegnato al Capo di Stato Maggiore della Difesa la responsabilità per l’impiego delle forze, responsabilità esercitata tramite il Comando Operativo di vertice Interforze (COI), struttura di comando di nuova formazione. Allo stesso tempo ogni attività riguardante l’indirizzo generale, lo studio, lo sviluppo e la ricerca è stata lasciata agli stati maggiori delle singole Forze Armate, mentre

Confr_Amm__20111117 72 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango le problematiche riguardanti la gestione e la preparazione delle forze, la formazione e la logistica, assegnate a comandi subalterni di nuova costituzione, a cominciare dal Comando Forze Terrestri (COMFOTER). Le legge sui vertici ha definito il quadro, e mano a mano, attraverso provvedimenti legislativi successivi, tutta la struttura e l’organizzazione dell’Esercito si è rimodellata e consolidata fino a quella configurazione, con al vertice lo Stato Maggiore e cinque aree funzionali subordinate, ritoccata poi solo di recente, come vedremo più avanti.

Di seguito, le cinque aeree delineate dalla riforma del 1997.

 COMFOTER. Il Comando Forze Terrestri è responsabile dell’approntamento delle forze operative e dei relativi supporti, con un volume organico pari a circa il 70% dell’intera Forza Armata. In particolare, il COMFOTER ha il compito di predisporre le unità operative ad assolvere i compiti assegnati, garantendone il mantenimento in efficienza e la sostenibilità nel tempo. Inoltre, il COMFOTER conduce, per delega, operazioni militari sul territorio nazionale, oltre a fornire i concorsi eventualmente richiesti a favore della collettività, come per le pubbliche calamità e per l’ordine pubblico. Il comandante delle Forze Operative Terrestri si avvale, nell’esercizio delle sue funzioni, di Comandi Operativi Intermedi - COINT (1° Comando delle Forze di Difesa di stanza a Vittorio Veneto; 2° Comando delle Forze di Difesa di San Giorgio a Cremano; Comando delle Truppe Alpine di Bolzano) e di Comandi specialistici (Comando dei Supporti delle Forze Operative, Comando Trasmissioni e Informazioni dell’Esercito, Comando dell’Aviazione dell’Esercito). A questi si aggiunge il Comando di Reazione Rapida della NATO (NRDC- IT) a guida italiana, con sede a Solbiate Olona, a elevata prontezza, idoneo alla pianificazione e condotta di operazioni “fuori area” gestite dall’Alleanza Atlantica.

 Comando Logistico. Al Comando Logistico competono l’individuazione, il reperimento e l’assegnazione delle risorse necessarie per il sostegno logistico delle unità dell’Esercito. Esso, inoltre, emana direttive logistiche, pianifica e conduce attività di rifornimento verso gli utilizzatori, sia sul territorio nazionale sia fuori area. In particolare, il COMLOG garantisce la funzionalità della fascia logistica di sostegno, destinata al supporto sul territorio nazionale dell’intera Forza Armata, operando con organi esecutivi dislocati nella madrepatria.

Confr_Amm__20111117 73 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango

 Il Comando delle Scuole. Al Comando delle Scuole risale la responsabilità della gestione unitaria nei settori riguardanti l’istruzione del personale e l’evoluzione dottrinale della Forza Armata. In particolare, esso gestisce le attività di formazione, qualificazione, specializzazione, aggiornamento e professionalizzazione del personale e di studio e sviluppo della dottrina nei settori della normativa e delle procedure d’impiego dei mezzi e dei materiali. Inoltre, svolge attività di ricerca e sviluppo e d’impiego di sistemi dedicati nell’ambito della simulazione, un settore già da tempo oggetto di attenzione e in rapido sviluppo.

Per assolvere ai suoi compiti, il Comando delle Scuole ha alle proprie dipendenze gli istituti di formazione di base ed avanzata della Forza Armata, fra i quali vanno ricordati l’Accademia Militare di Modena, la Scuola d’Applicazione di Torino, la Scuola Sottufficiali di Viterbo, il Centro di Simulazione e Validazione dell’Esercito di Civitavecchia e il Raggruppamento Unità Addestrative di Capua. Quest’ultimo inquadra i reggimenti per l’addestramento dei volontari dell’Esercito.

Proprio nel quadro della razionalizzazione degli istituti di formazione, merita particolare menzione la soppressione dei “gloriosi” reggimenti addestramento volontari S. Giusto e Lupi di Toscana. In ambito scolastico va segnalato anche l’importante provvedimento avviato nel 2008 riguardante la costituzione del Centro per la Formazione Logistica Interforze che, inserito nella struttura di comando e controllo del Comando delle Scuole dell’Esercito, su delega del Capo di SMD, svolge un’azione di coordinamento nei confronti delle Scuole e degli Istituti in ambito Difesa preposti alla condotta della formazione e specializzazione logistica. Il Centro, inoltre, contribuisce all’elaborazione della dottrina strategico–militare nei settori logistico, logistico–infrastrutturale, ambientale, sanitario, in ambito nazionale e internazionale. Esso, infine, sviluppa e mantiene rapporti con organi di studio similari, anche esterni all’Amministrazione della Difesa, allo scopo di individuare elementi d’interesse per l’ottimizzazione della didattica nello specifico settore di competenza.

Confr_Amm__20111117 74 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango  Il Comando Militare per il Territorio dell’Esercito. Il Comando Militare per il Territorio dell’Esercito - COMTER - è responsabile del reclutamento, della selezione del personale, delle attività presidiarie e della gestione di vari enti quali musei, basi logistico-addestrative e poligoni. Tale area è stata oggetto, nel corso degli ultimi anni, di un importante processo di riorganizzazione a seguito della sospensione della leva, del superamento del concetto di “mobilitazione” e della conseguente adozione del concetto di “completamento” dei soli enti, comandi e reparti in vita, nonché della necessità di mantenere una rete periferica quale interfaccia con il mondo “non militare” per le attività territoriali, presidiarie e per tutte quelle attività riguardanti il reclutamento e la cura dei contatti con i rappresentanti dei media a livello regionale e locale,ed il supporto al collocamento nel mondo del lavoro dei volontari congedati.

Dal COMTER dipendono tre Comandi di Regione Militare, oltre al Comando Militare Autonomo della Sardegna. A sua volta, da ciascuno di essi, dipendono i Comandi Militari Esercito (CME) che inquadrano i Centri Documentali; questi ultimi responsabili del servizio documentale, dell’informazione al pubblico e delle funzioni “residuali” della leva.

 Ispettorato per le Infrastrutture. Nell’ambito dell’Ispettorato delle Infrastrutture sono accentrate le responsabilità del mantenimento e dell’ammodernamento delle infrastrutture della Forza Armata. Dall’Ispettorato dipendono, attualmente, organi intermedi di pianificazione e direzione con giurisdizione su più Regioni Amministrative ed un numero adeguato di organi tecnico-esecutivi. Questa Area funzionale è interessata a specifici studi tesi, a breve, alla riorganizzazione anche in senso interforze dell’intero settore.

Tornando alla professionalizzazione, nel 2000 si è giunti alla tanto attesa svolta definitiva, con l’approvazione della legge (n.331 2000) che ha sancito la sospensione del servizio militare obbligatorio a partire dal 1° gennaio 2007 e l’istituzione del modello professionale.

Il decreto legislativo n. 215/2001 ha reso il nuovo modello pienamente esecutivo disciplinando la ripartizione delle risorse umane sia tra le tre FFAA (Esercito, Marina ed Aeronautica) sia nelle singole categorie del personale (ufficiali, sottufficiali e militari di

Confr_Amm__20111117 75 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango truppa). In particolare, alla data del 1° gennaio 2005, le consistenze complessive del personale militare in servizio avrebbero dovuto essere ridotte a 112.000 unità per l'Esercito, 34.000 per la Marina (con esclusione del Corpo delle Capitanerie di Porto) e 44.000 per l'Aeronautica, per un totale di 190.000 militari, tetto di riferimento già definito dalla citata legge delegante.

Per ciò che attiene alla categoria dei militari di truppa, secondo lo spirito della legge, gli oltre 100.000 militari di leva in servizio nel 2001 sarebbero stati ridotti sino a scomparire del tutto contestualmente all’incremento del personale in servizio volontario. La legge del 2000 prevedeva tre categorie di personale in uniforme: Volontari in Ferma Annuale (VFA), Volontari in Ferma Breve (VFB) e Volontari in Servizio Permanente (VSP). Il primo tipo comprendeva volontari in servizio per un anno, fondamentalmente addestrati in modo non difforme rispetto alle reclute arruolate con la leva; analogamente, anche le funzioni e l’expertise non potevano dirsi particolarmente sofisticate. La differenza principale rispetto ai coscritti – a parte la maggiore durata del servizio – consisteva in un migliore salario e nella possibilità di essere impiegati all’estero per operazioni a bassa intesità. I VFB avrebbero invece prestato servizio per tre anni e sarebbero stati impiegabili in ogni tipo di missione. Infine, i VSP comprendevano i soldati di carriera, che sarebbero stati reclutati tra i VFB che avessero deciso di rendere permanente il proprio servizio nelle armi. Nel processo di riforma, quindi, la componente più critica consisteva nei VFB, poiché era da questi che si sarebbe attinto per la selezione dei futuri VSP.

Il processo ha poi subito una forte accelerazione con la legge la legge 24 agosto n.226, voluta dal ministro Martino, che ha anticipato di due anni (dal 2007 al 2005) la sospensione della leva. Nello stesso anno sono state istituite anche le categorie dei volontari in ferma prefissata di un anno e quelli in ferma prefissata quadriennale (VFP 1 e VFP 4). Due ulteriori categorie destinate ad alimentare i ranghi delle Forze Armate professionali, in particolare quelli operativi. I VFA e VFB furono pertanto rimpiazzati con i Volontari in Ferma Prefissata di un anno (VFP1) e Volontari in Ferma Prefissata di quattro anni (VFP4). In altre parole, tutti i volontari sarebbero stati arruolati inizialmente per un periodo di un anno. Questi avrebbero poi potuto prolungare la durata del servizio facendo domanda di VFP4, ovvero per un periodo di quattro anni rinnovabile fino a un massimo di nove. Dopo cinque anni di servizio come VFP4 sarebbe stata garantito un percorso di carriera o nelle Forze Armate o nella Polizia. Infine, sia i VFP1 sia I VFP4 avrebbero

Confr_Amm__20111117 76 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango goduto di salari migliori rispetto ai VFA e VFB. In breve, il senso e la struttura della riforma del 2004 risiedono nel tentativo di rendere più allettante la carriera da volontario nelle Forze Armate e migliorare il processo di selezione. Così, diversamente dal sistema concepito originariamente, in base alla nuova regolamentazione, il bacino di selezione per i soldati di professione consiste nei VFP1 (ovvero i volontari su base annuale) con migliori opportunità di carriera nelle Forze Armate

Per effetto del processo di trasformazione, negli ultimi 15 anni l’Esercito Italiano ha visto una riduzione dei suoi organici del 45%. Una riduzione del parametro quantità, dunque, a tutto vantaggio della componente qualitativa. Nelle intenzioni originarie, una volta a regime, la trasformazione avrebbe dovuto permettere all’EI di disporre di forze operative per circa 78.000 uomini, da cui trarre una componente proiettabile di circa 67.000 uomini, il 65% dell’intera Forza Armata, con il restante 30% assorbito dalla componente di supporto ed il 5% dalla componente interforze.

Questi gli obiettivi originari, come sottolineato, ma come si sa, i tagli e le ristrettezze di bilancio, dovute alle congiunture economiche negative, hanno costretto a rivedere tutto ed a ripensare il Modello a 190.000 giudicato ormai non più sostenibile con le risorse disponibili. Attualmente è in corso di studio una riforma di tutto lo strumento militare per adeguarlo alle nuove condizioni determinate da una pianificazione finanziaria che, nell’ultimo biennio, ha dovuto fare i conti con l’impatto della crisi economica e con l’esigenza di pervenire al pareggio di bilancio dello stato nel 2014. Il volume complessivo delle risorse assegnato nel 2011 al settore Difesa ha riflettuto, come del resto nel 2010, l’insieme dei tagli apportati alla professionalizzazione delle Forze Armate con livelli finanziari non in linea con le effettive esigenze della Difesa ed il conseguente ridimensionamento del Modello a 190.000 uomini.

Le tabelle organiche per il 2011 hanno disegnato una consistenza previsionale pari a 178.571, 104.000 per l’Esercito, un livello con il quale si rischia un blocco generalizzato dei reclutamenti e delle progressioni e, dunque, la “perdita di potenziali e qualificate professionalità” con forte impatto sulle capacità dello strumento operativo.

In realtà questo scenario potrebbe essere attutito ricorrendo ad un mix di provvedimenti che vanno da prepensionamenti a, in misura minore, trasferimenti all’area civile della

Confr_Amm__20111117 77 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango Difesa ed alle altre amministrazioni dello Stato o, ancora, ricorrendo a risorse aggiuntive. Già lo scorso anno, al fine di non condizionare in maniera critica le alimentazioni dei ruoli, le risorse integrative previste dall’art. 55 del decreto legge 78/2010 convertito, con modificazioni, nella legge 122/2010 (53 milioni di euro), hanno consentito di attestare le consistenze medie effettive del personale militare a 184.000 unità rispetto alle 179.155 unità prefigurate in fase di impostazione bilancio.

Negli ultimi anni, alcune modifiche hanno interessato anche l’organizzazione che, rispetto a quanto stabilito con la riforma dei vertici del 1997, ha subito una nuova riconfigurazione con la riduzione di un’area funzionale. Attualmente la cosiddetta area di vertice dell’EI comprende lo Stato Maggiore dell’Esercito e, appunto, quattro aree funzionali: il Comando delle Forze Operative Terrestri (COMFOTER), il Comando per la Formazione e Scuola di Applicazione dell’Esercito, il Comando Logistico (COMLOG) e l’Ispettorato per le Infrastrutture (ISPEINFRA). Lo Stato Maggiore fissa le linee "politiche" relative all'addestramento, all'equipaggiamento e all'impiego del personale, elabora la dottrina e formula i progetti di evoluzione futura dello strumento militare terrestre nazionale.

Nel 2010, la struttura dello Stato maggiore ha ricevuto importanti modifiche. In particolare, il CeSiVa (Centro Simulazione e Validazione) è stato posto alle dirette dipendenze del Capo di SME, nell’ambito del progetto di riorganizzazione della simulazione addestrativa, del settore Modeling & Simulation e della validazione delle Unità. In tale quadro, il CeSiVa ha visto transitare alle proprie dipendenze la Scuola di Fanteria e la Scuola di Cavalleria, nelle quali erano già inserite le principali unità dell’Esercito deputate alla simulazione. Alla fine del 2010 anche il Comando Militare della Capitale è stato collocato alle dirette dipendenze del Capo di SME. Tutto questo, mentre un anno prima, nel 2009, era stato soppresso il Comando Militare per il Territorio dell’Esercito. Questo ha fatto sì che i Comandi Regione Militare fossero temporaneamente posti alle dipendenze dei Comandi dei FOD (1° e 2°), ad eccezione del Comando della Capitale, collocato, come detto, alle dirette dipendenze del Capo di SME. Quest’ultimo coordina le attività legate al Reclutamento, alle Forze di Completamento e alla Promozione e Pubblica Informazione sul territorio nazionale.

Il Comando, che dipende direttamente dal Capo di Stato Maggiore dell'Esercito e che assolve i compiti di Comando Militare Esercito per il Lazio, dal 1 febbraio 2011 ha assunto

Confr_Amm__20111117 78 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango alle sue dipendenze tutte le Basi Logistiche della Forza Armata e dal successivo 10 maggio ha assunto compiti di "Vertice d'Area" per il settore specifico, avvalendosi in sottordine dei Comandi Regione Militare Nord e Sud, del Comando Autonomo della Sardegna e del Comando Militare Esercito "Toscana" che ha alle dipendenze i CME del Centro Italia.

Per quanto riguarda le aree funzionali, l’Ispettorato delle Infrastrutture (ISPEINFRA) è responsabile del mantenimento e dell’ammodernamento delle infrastrutture delle forze armate al fine di dare unicità di indirizzo alla gestione del patrimonio infrastrutturale dell’Esercito. Dall’Ispettorato dipendono organi intermedi (Comandi Infrastrutture) ed un numero adeguato di organi esecutivi (Reparti Infrastrutture ed il Reparto Operativo del Genio Infra-strutturale (ROGI). Da un punto di vista funzionale, gli enti dell’Ispettorato dipendono dalla Direzione Generale dei Lavori e del Demanio, noto come GENIODIFE, che fa parte del Segretariato Generale della Difesa. Il Comando per la Formazione e Scuola di Applicazione dell’Esercito coordina le attività delle Scuole dell'Esercito e si è costituito per trasformazione del preesistente Ispettorato per la Formazione e la Specializzazione, a sua volta ottenuto per fusione degli Ispettorati delle Scuole e delle Armi. L'Ente, che si occupava della formazione e specializzazione di tutto il personale militare dell'Esercito, dal 3 Agosto 2009, ha sede a Torino presso la Scuola di Applicazione e Istituto di Studi Militari da dove coordina tutti gli Istituti dedicati alla formazione del personale militare di ogni categoria. Dal 1° febbraio 2011 ha assunto la sua attuale denominazione di Comando per la Formazione e Scuola di Applicazione dell'Esercito.

Il Comando Logistico dell'Esercito conduce l'attività gestionale e sviluppa un'armonica attività di comando, coordinamento e controllo nei confronti di tutte le formazioni logistiche della F.A.. In particolare assicura il supporto logistico dei comandi e delle unità dell'esercito in Patria e fuori area essendo responsabile della cura del personale e delle attività logistiche relative ai materiali e mezzi in uso e dell'impiego delle risorse finanziarie assegnate al settore logistico. Dal Comando, in particolare, dipendono il Comando Logistico Nord (Padova), il Comando Logistico Sud (Napoli), il Centro di Amministrazione e Commissariato (Roma), il Policlinico militare del "Celio" (Roma), il Centro Studi e Ricerche di Sanità e Veterinaria dell'Esercito (RM), il Centro militare di veterinaria (Grosseto) e l’Ospedale militare veterinario (Montelibretti).

Confr_Amm__20111117 79 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango

Infine il COMFOTER alle cui dipendenze, come già ampiamente descritto, agiscono tutte le unità ed i supporti con compiti operativi. Dipendente direttamente dal Capo di Stato Maggiore dell'Esercito, il Comandante delle Forze Operative Terrestri è responsabile della preparazione, dell'addestramento e dell'impiego delle forze ed esercita la sua autorità sui reparti dipendenti attraverso dei comandi demoltiplicatori.

Diamo dunque uno sguardo ai comandi intermedi e funzionali che dipendono da COMFOTER. Il 1° FOD ha alle sue dipendenze un comando divisionale proiettabile, il Comando Divisione Mantova, e quattro brigate di manovra: Brigata di Cavalleria Pozzuolo del Friuli, Brigata Corazzata Ariete, Brigata Aeromobile Friuli e Brigata Paracadutisti Folgore. Attraverso il 1° FOD (o COMFOD) viene inoltre gestita l'attività del Comando Militare Nord, sovraordinato ai centri documentali (CeDOC), i NIP (Nuclei Informativi per il Pubblico) e i centri di selezione ubicati nel territorio settentrionale del Paese (allo stesso modo, gli enti dipendenti dal Comando Militare Sud sono sottoposti al 2° FOD, mentre gli enti dipendenti dal Comando Roma Capitale dipendono direttamente dal Sottocapo di SME). Il 2° FOD ha alle sue dipendenze il Comando proiettabile della Divisione Acqui e cinque brigate operative: Brigata Meccanizzata Granatieri di Sardegna, Brigata Meccanizzata Aosta, Brigata corazzata Pinerolo, Brigata meccanizzata Sassari e Brigata bersaglieri Garibaldi. Infine, COMALP ha alle dipendenze il comando proiettabile della Divisione Tridentina, le due brigate operative, Julia e Taurinense, il Centro Addestramento Alpino, i Rangers del 4º Reggimento Alpini Paracadutisti ed il 6º Reggimento Alpini. A queste unità operative vanno poi aggiunte il comando NATO di Solbiate Olona con il 1º Reggimento Trasmissioni ed il Reggimento di supporto tattico.

Per quanto riguarda i comandi specialistici, al Comando Trasmissioni ed Informazioni dell’Esercito, anche detto CoTIE, sono affidati il controllo e la gestione delle comunicazioni della Forza Armata. Dal Comando, che ha sede nella città di Anzio (Roma), dipendono le seguenti unità: la Brigata Trasmissioni con il 2º Reggimento Trasmissioni Alpino, il 3º Reggimento Trasmissioni, il 7º Reggimento Trasmissioni, l’11º Reggimento Trasmissioni, il 32º Reggimento Trasmissioni, il 46º Reggimento Trasmissioni ed il 232º Reggimento Trasmissioni; e la Brigata RISTA-EW, basata sul 33º Reggimento IEW Falzarego, il 41º Reggimento SoRAO Cordenons ed il 13º Battaglione Aquileia, specializzato per compiti humint.

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Il Comando Aviazione dell'Esercito, AVES, è un comando di livello divisionale che comprende sia reparti operativi che di supporto. In particolare, la struttura ha la responsabilità sue due reparti di livello brigata: il Centro addestramento Aviazione dell'Esercito e la Brigata AVES. Il centro addestramento AVES è basato sul 1º Gruppo Squadroni Auriga, equipaggiato con 40 AB 206 C-1, sul 2º Gruppo Squadroni Sestante e sul 21º Gruppo Squadroni Orsa Maggiore, equipaggiato con 12 AB205A. La Brigata AVES comprende invece il 1º Reggimento Antares, equipaggiato con 22 CH-47 C Chinook e 6 AB 412, il 2º Reggimento Sirio, equipaggiato con 12 AB 205A-1 e 12 AB 212, il 4º Reggimento Altair con 12 AB 205A e 12 AB 212, il 26º REOS (Reparto Elicotteri Operazioni Speciali) e il 28º Gruppo Squadroni Tucano, con tre Dornier DO-228 e 3 Piaggio P-180.

Infine, il Comando dei supporti e delle forze operative terrestri è il Comando responsabile per il supporto operativo in teatro alle forze terrestri. Raggruppa i comandi mono-arma impiegati principalmente per compiti operativi ed addestrativi e le scuole di specializzazione dell'Esercito. In particolare, dal Comando dipendono la Scuola di cavalleria, la Scuola delle trasmissioni, la Scuola di amministrazione e commissariato e la Scuola interforze NBC.

Per quanto riguarda, invece, i comandi monoarma, il Comando Artiglieria è stato costituito il 1° ottobre 2010 nella sede di Bracciano a seguito della soppressione del Comando Brigata Artiglieria di Portogruaro e della Scuola di Artiglieria di Bracciano. Il Comando assolve sia funzioni addestrative, attraverso il reggimento addestrativo, sia operative attraverso tre reggimenti di artiglieria, uno per la difesa NBC e il reggimento per la comunicazione operativa alle dipendenze. Nel dettaglio, le unità dipendenti sono: il Reggimento Addestrativo, il 2° Reggimento Artiglieria Terrestre Vicenbza, il 52° Reggimento Artiglieria Terrestre Torino, il 5° Reggimento Artiglieria Terrestre Superga, il 7° Reggimento NBC Cremona e il 28° Reggimento PSYOPS Pavia. Il Comando di Artiglieria Controaerei è stato costiuito l'11 settembre 2009 nella sede di Sabaudia (LT) a seguito della soppressione del Comando Brigata Artiglieria Controaerei e del Centro Addestramento Artiglieria Controaerei. Dalla struttura dipendono quattro reggimenti operativi – il 4° Reggimento Artiglieria Contraeri Peschiera, il 5° Reggimento Artiglieria Contraerei Pescara, il 17° Reggimento Artiglieria Conrtaerei Sforzesca e il 121°

Confr_Amm__20111117 81 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango Reggimento Artiglieria Contraerei Ravenna – e il Reggimento Addestrativo. Il Comando Genio è stato costituito il 10 settembre 2010, nella sede di Roma Cecchignola, a seguito della soppressione del Comando Brigata Genio di Udine e della Scuola del Genio di Roma. Il Comando assolve sia funzioni addestrative attraverso il reggimento addestrativo, sia operative attraverso i tre reggimenti di “manovra” – 6° Reggimento Genio Pionieri, Reggimento Genio Ferrovieri e il 2° Reggimento Genio Pontieri - e il Multinational CIMIC Group.

Un ultimo accenno anche al Comando Logistico di Proiezione. Questo è stato creato il 23 settembre 2010, sempre nella sede di Cecchignola, a seguito della soppressione del Comando Brigata Logistica di Proiezione di Udine e della Scuola Trasporti e Materiali di Roma. Il Comando assolve sia funzioni addestrative, attraverso il reggimento addestrativo, sia operative attraverso gli altri otto reggimenti delle due tipologie, di Manovra e Trasporti, dislocati su tutta la penisola.

In generale, le trasformazioni ordinative in atto, cui si è fatto appena cenno, rispondono ad una logica ben precisa, che si inquadra in un processo di trasformazione capacitiva a tutto spettro, che riguarda non solo il piano ordinativo ma anche quello dottrinale, organizzativo, tecnologico, culturale. Il 2010 è stato un anno di particolare “fermento intellettuale” da questo punto di vista, che ha visto l’Esercito impegnato nella teorizzazione ed elaborazione del cosiddetto “Master Plan”.

La Forza Armata, in sostanza, ha sentito l’esigenza di dotarsi di un framework concettuale di riferimento in quanto non solo gli scenari operativi attuali sono sempre più imprevedibili e complessi, ma il contesto strategico internazionale rende qualunque pianificazione che guardi al futuro, tesa cioè ad anticipare i tempi medio-lunghi dello sviluppo capacitivo di nuovi mezzi, sistemi d’arma, tecnologie, infrastrutture o dottrina, sempre più “rischiosa” o aleatoria. In particolare, le recenti analisi condotte in ambito Difesa e NATO (che nel 2010 ha sviluppato il “Nuovo Concetto Strategico” dell’Alleanza), hanno evidenziato che le sfide future continueranno ad essere imprevedibili e complesse, spaziando da tensioni internazionali derivanti, ad esempio, da mutamenti climatici, terrorismo, scarsità di risorse energetiche, a fattori d’instabilità meramente interni agli stati, generati dalla crescente immigrazione clandestina, da attività criminali transnazionali e tensioni sociali interculturali.

Confr_Amm__20111117 82 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango Il quadro geostrategico appena delineato, messo a sistema con i vari contesti operativi di riferimento (i cosiddetti “macro-scenari”), costituisce il quadro di riferimento per l’adeguamento dello strumento terrestre.

L’obiettivo che ci si è posti dunque, con il Master Plan dell’Esercito, è duplice: da un lato operare efficacemente oggi, dall’altro preparare con altrettanta efficacia il futuro. La parola d’ordine di questo processo è l’ ”adattabilità”. In sostanza, da una parte si vuole “disegnare” lo strumento che meglio si adatti alle esigenze operative attuali; dall’altra, si vuole rendere questo strumento abbastanza flessibile per potersi adattare velocemente ed efficacemente alle esigenze future.

Il processo logico che ha portato a definire il Master Plan dell’Esercito (“Processo di Pianificazione Generale dell’Esercito”) è stato scandito in cinque fasi, non necessariamente in successione strettamente sequenziale considerato che la trasformazione è un processo “in divenire”.

L’implementazione delle cinque fasi è, comunque, sempre coerente e temporalmente compatibile nel quadro di un continuum capacitivo.

In particolare:

- la prima fase prende avvio dagli input politici e strategici (i cosiddetti “macro- scenari”). In tale fase si definiscono le probabili condizioni di impiego futuro dello strumento, denominate “Planning Situations” ;

- la seconda fase stabilisce il concetto di impiego e le esigenze di forze future nell’ambito del “Concetto Operativo dell’Esercito”;

- nella terza fase viene calendarizzata l’acquisizione dei nuovi sistemi d’arma e tecnologici, in modo da poter disporre, in ogni momento, di forze equipaggiate con i sistemi più idonei ai contesti operativi ed alla probabile minaccia. Tale fase si concretizza in un “Piano di Ammodernamento”, che deve tener conto non solo delle esigenze in termini capacitivi e tecnologici, ma anche infrastrutturali, di risorse umane o addestrative;

Confr_Amm__20111117 83 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango

- la quarta fase prevede l’elaborazione delle “Esigenze Operative” discendenti dal Piano di Ammodernamento, quale formalizzazione di un processo che, partendo dai gap capacitivi individuati, definisce, nel dettaglio, le esigenze in termini di acquisizione. Tale fase, in definitiva, avvia il processo di trasformazione vero e proprio, che si concretizza nell’acquisizione di mezzi, materiali e sistemi d’arma, nella revisione degli organici e della dottrina, nell’ammodernamento e razionalizzazione del patrimonio infrastrutturale;

- la quinta fase, trasversale a tutto il processo, prevede il controllo delle risultanze delle fasi precedenti ed il riallineamento a seguito di eventuali scostamenti di situazione dovuti alla mutevolezza, complessità ed incertezza del contesto di riferimento. Tale fase garantisce il continuum della trasformazione e la coerenza delle scelte operate.

Il core del processo appena descritto è la seconda fase, quella che ha portato a definire il “Concetto Operativo”, cioè l’analisi dei processi in corso e la prefigurazione di probabili ipotesi di impiego future e delle conseguenti necessità in termini capacitivi (in primo luogo forze, sistemi d’arma e tecnologie). In particolare, le due idee centrali del Concetto Operativo sono l’”adattabilità” ed il nuovo “ciclo operativo”.

In merito all’adattabilità, essa deve permettere di sviluppare uno strumento efficace oggi ma anche in futuro, in contesti operativi che sono al momento solo ipotizzabili, e uno strumento che sia pienamente efficace in situazioni in cui non è ben chiara la tipologia di “ingaggio” che si prospetta, dove cioè si può avere allo stesso tempo una situazione di conflitto ad alta intensità assieme ad attività tipicamente contro-insurrezionali: la cosiddetta minaccia “ibrida”. L’adattabilità, inoltre, deve permettere di operare nei contesti culturali più diversi, a contatto con le popolazioni e con svariate altre tipologie di attori, nel quadro del cosiddetto “Comprehensive Approach”. Questo, in quanto la complessità degli scenari fa sì che il “successo”, oggi, ma ancor più in futuro, non si configura più come “vittoria” militare ma più problematicamente come la conclusione positiva di un processo che riguarda la società e la comunità internazionale nel suo complesso.

Confr_Amm__20111117 84 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango L’adattabilità dello strumento è sviluppata principalmente sul piano addestrativo (con particolare riferimento alla formazione dei Comandanti), ordinativo, organizzativo e tecnologico, ma anche “culturale”. Nello specifico, in termini di forze, si tenderà ad avere la disponibilità di un maggior numero di unità di fanteria e ad attribuire una capacità “dual role/use” a quelle unità dell’Esercito che oggi sono configurate per assolvere in missione compiti altamente specifici ma scarsamente occorrenti. Quindi, ad esempio, verrà ulteriormente rafforzata la capacità di condurre Peace Support Operations (PSO) anche da parte delle unità corazzate, oppure la capacità di fornire la struttura portante di unità ad hoc per la ricostruzione o l’addestramento di forze locali (ad esempio i Provincial Reconstruction Team (PRT) e gli Operational Mentoring Liaison Team (OMLT) in Afghanistan) alle unità di artiglieria. Inoltre, ed a fattor comune per tutte le unità di forza armata, sarà potenziata la capacità di operare nel contesto della Homeland Defense and Security.

Il secondo pilastro del Concetto Operativo è costituito dal “nuovo ciclo operativo”, ideato sulla base dei prolungati e logoranti impegni operativi degli ultimi decenni e che caratterizzeranno, molto probabilmente, anche il prossimo futuro. Tale ciclo è sostanzialmente differente dal precedente: nel recente passato, infatti, l’Esercito era strutturato su tre bacini di capacità, orientati uno alle operazioni di proiezione, uno ai compiti di difesa collettiva sul territorio nazionale e uno ai compiti di presenza e sorveglianza. Con l’aumento del numero e della complessità degli impegni, sia in territorio nazionale che all’estero, si è avvertita, in sostanza, l’esigenza di disporre di un ciclo operativo sostenibile nel lungo periodo, volto alla massima prontezza ed efficienza ma anche teso a tutelare l’integrità psico-fisica della componente umana, risorsa primaria e bene più prezioso della componente terrestre.

In particolare, esso è articolato su sei fasi (ciascuna della durata di circa sei mesi), funzionali all’esigenza di flessibilità ed adattabilità e caratterizzate da livelli incrementali di efficienza e prontezza: ricondizionamento, addestramento generico (con particolare attenzione ai compiti associati ad operazioni “warfighting”), approntamento specifico, disponibilità all’impiego sul territorio nazionale e stand by, approntamento specifico per l’impiego.

Confr_Amm__20111117 85 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango In questo modo sarà possibile disporre, in linea con il Livello di Ambizione Nazionale, di unità capaci di operare nell'ambito dei diversi macroscenari e delle diverse "planning situations" di riferimento, con: - 5.000 uomini per la tutela degli interessi vitali della nazione all'interno del territorio nazionale; - 10.000 uomini da impiegare in maniera continuativa in un massimo di tre teatri operativi nel quadro delle operazioni di risposta alle crisi (Crisis Response Operations) - 30.000 uomini per l'impiego in operazioni di risposta immediata o di difesa collettiva (impiego "one shot") - 5.000 uomini necessari a costituire la necessaria "flessibilità strategica" dello strumento.

Per sostenere tutto il processo di riforma organizzativa, strutturale e capacitativa, il Master Plan dell'Esercito si dovrebbe esplicitare in un investimento stimato di circa 31 miliardi di euro "spalmati" in circa 22 anni. situazione dovuti alla mutevolezza, ce la coerenza delle scelte operate. 3.3 Le attuali unità operative

Attualmente la struttura operativa dell’Esercito Italiano è inquadrata nell’ambito dei tre comandi intermedi, menzionati nel precedente paragrafo, ovvero COMALP, 1° e 2° FOD, ed è basata su 11 brigate di manovra, suddivise in corazzate, bersaglieri, paracadutisti, aeromobili, alpine, meccanizzate e cavalleria. Nel prossimo futuro, la suddivisione per specialità verrà progressivamente armonizzata in tre grandi categorie: ovvero unità pesanti, medie e leggere, con una maggiore enfasi, come già ricordato, sulla seconda categoria.

Partendo da COMALP, le brigate operative del Comando sono la Taurinense e la Julia. La Taurinense ha un organico comprendente tre reggimenti d’arma base – il 2º Reggimento Alpini, il 3º Reggimento e 9º Reggimento Alpini, ciascuno dotato a standard di 21 Bv206S e 26 Puma 6x6 – un reggimento di cavalleria – il Reggimento Nizza Cavalleria, con 40 Centauro e 36 Puma 4x4 - un reggimento di artiglieria – il 1° Reggimento Artiglieria Terrestre con 24 obici da 155 mm a traino meccanico FH-70 – ed il 32º Reggimento Genio

Confr_Amm__20111117 86 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango Guastatori Alpini. Rispetto alla Taurinense, la Julia dispone di tre reggimenti d’arma base – 5°, 7° e 8°, con la medesima configurazione dei reggimenti della Taurinense – il 3° Reggimento Artiglieria Terrestre (Tolmezzo), anche questo con 24 FH-70, ed il 2º Reggimento Genio Guastatori Alpino. Da COMALP dipendono anche le forze per operazioni speciali del 4º Reggimento Alpini Paracadutisti, ed il 6º Reggimento Alpini, per la gestione dell’”isola addestrativa della Val Pusteria”.

Il 1° FOD ha alle sue dipendenze quattro brigate: Pozzuolo del Friuli, Ariete, Friuli e Folgore. La Pozzuolo del Friuli ha tre reggimenti di cavalleria - Piemonte Cavalleria, Genova Cavalleria e Lancieri di Novara, ciascuno su 40 Centauro e 36 Puma 4x4 – il Reggimento Lagunari Serenissima, su 17 mezzi da sbarco AAV7-A1, un reggimento di artiglieria – il Reggimento artiglieria a cavallo Voloire, equipaggiato con 24 FH-70 - ed il 3º Reggimento Genio Guastatori. L’Ariete è attualmente l’unica unità corazzata dell’EI e la sua brigata più pesante. Alle sue dipendenze operano tre reggimenti carri – 4°, 32° e 132°, ciascuno dotato di 41 carri Ariete – un reggimento bersaglieri – l’11°, equipaggiato con 51 IFV Dardo – il 132º Reggimento di Artiglieria Corazzata – dotato di 18 obici semoventi da 155 mm PzH 2000 - il 10º Reggimento Genio Guastatori di Cremona ed un battaglione logistico. La Friuli, nella sua attuale configurazione, è l’unità più “giovane” dell’EI, dopo che nel 2004 è stato completato il processo di riconversione da unità meccanizzata in aeromobile, ed è concepita per esprimere un potenziale bivalente combinando elicotteri e reparti di fanteria. La combinazione di elicotteri da combattimento A129 Mangusta, elicotteri di supporto al combattimento, fanteria leggera e una componente di mezzi da combattimento ruotati e cingolati, rende questa unità unica nel suo genere. L’unità dispone di un reggimento di fanteria – il 66º Reggimento Aeromobile Trieste, con 26 Puma 6×6 - un reggimento di cavalleria – il Reggimento Savoia Cavalleria, con 40 Centauro e 36 Puma 4x4 – e di due reggimenti AVES – il 5° Rigel ed il 7° Vega, entrambi equipaggiati con 30 A129 Mangusta e 12 AB 205 A1.

Infine, la Folgore ha a disposizione tre reggimenti paracadutisti - 183º, 186º e 187º, su 26 Puma 6x6 – due pedine specialistiche, SOF e FOS, rispettivamente - 9º Col Moschin e 185° RAO – e l’8º Reggimento Genio Guastatori Paracadutisti. Dalla brigata dipende anche il CAPAR di Pisa (Centro Addestramento Paracadutismo, ex SMIPAR - Scuola MIlitare di PARacadutismo, a sua volta ex CAP).

Confr_Amm__20111117 87 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango Venendo al 2° FOD, da questo dipendono cinque brigate: Granatieri di Sardegna, Aosta, Pinerolo, Sassari e Garibaldi. La Brigata Granatieri di Sardegna è un’unità meccanizzata destinata alla presenza e sorveglianza, con particolare riguardo alla città di Roma. Da qualche anno, il suo personale è impegnato anche nelle missioni fuori area (Balcani e Libano). La Brigata comprende un reggimento granatieri – il 1º Reggimento Granatieri di Sardegna, equipaggiato con 59 veicoli trasporto truppe cingolati VCC - un reggimento di cavalleria - Reggimento Lancieri di Montebello, con la medesima configurazione dei reggimenti di cavalleria delle altre brigate – ed il 33º Reggimento Artiglieria Terrestre – equipaggiato con 32 obici semoventi da 155 mm M109L .

Le altre due unità pluri-arma destinate alla presenza e sorveglianza del territorio nazionale sono la Brigata Aosta e la Brigata Pinerolo, ma anche queste negli ultimi anni ha visto i loro reparti entrare nelle turnazioni di impiego all'estero. L’Aosta si compone di due reggimenti di fanteria – il 5º Reggimento fanteria Aosta e il 62º Reggimento fanteria Sicilia, entrambi configurati su 59 VCC – un reggimento bersaglieri – il 6º Reggimento bersaglieri Trapani, anch’esso su 59 VCC – un reggimento di cavalleria – il Reggimento Lancieri di Aosta – il 24° Reggimento artiglieria terrestre Peloritani, su 32 M109L, ed il 4º Reggimento genio guastatori.

La Pinerolo, dopo la trasformazione del 31° Reggimento Carri in “test bed” per la sperimentazione delle tecnologie rientranti nel programma Forza Nec, è diventata di fatto un’unità meccanizzata ed è, assieme alla Forza da Sbarco, la prima unità delle FA italiane, ad essere entrata nel processo di digitalizzazione. Alle sue dipendenze operano attualmente due reggimenti di fanteria – il 9º Reggimento Fanteria Bari, con 59 VCC, e l’82º Reggimento Fanteria Torino, equipaggiato invece con i nuovi VBM Freccia (sempre 59 veicoli) – un reggimento bersaglieri – il 7° Reggimento Bersaglieri con 59 VCC (in sostituzione con il VBL Freccia) – il 21° Reggimento Artiglieria Terrestre, sempre su 32 M109L, l’11° Reggimento Genio Guastatori e, appunto, il “battle lab” del 31° Carri.

La Brigata Sassari è stata riconfigurata a partire dal 2006 in meccanizzata. Oggi annovera un reggimento bersaglieri – il 3º Reggimento Bersaglieri, su 49 VCC-2, - due reggimenti di fanteria - il 151º Reggimento fanteria meccanizzata Sassari" Cagliari e il 152º Reggimento fanteria meccanizzata Sassari, entrambi sempre equipaggiati con 49 VCC-2 – ed il 5º Reggimento genio guastatori. Infine, va menzionata la Brigata Bersaglieri Garibaldi, l’unità

Confr_Amm__20111117 88 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango più pesante dell’EI dopo l’Ariete. L’unità comprende un reggimento carri – il 131º Reggimento Carri, con 41 Ariete – due reggimenti bersaglieri – 1° e 8°, entrambi configurati su 51 IFV Dardo – un reggimento cavalleria – il 19° Reggimento Cavalleggeri Guide – sempre su 40 Cantauro e 36 Puma 4x4 – l’8° Reggimento di Artiglieria Terrestre Pasubio, con 18 PzH 2000, ed il 21° Reggimento Genio Guastatori.

3.4 Modernizzazione, procurement e digitalizzazione

Sull’onda di quella rivoluzione capacitativa di cui parlavamo all’inizio di questo capitolo, anche l’Esercito italiano, a partire dalla seconda metà degli anni Novanta, si è mosso sulla strada dell’acquisizione di sistemi moderni sempre più performanti.

E’ in questo periodo che sono maturati grandi programmi di ammodernamento come il PzH200 – in cooperazione con la Germania – o ne sono entrati nel vivo altri come il Dardo e l’Ariete o il Puma. Certo, si tratta di programmi che rappresentavano eredità della Guerra Fredda ed erano pensati su requisiti maturati in scenari convenzionali e ad alta intensità, ma nonostante ciò, la loro introduzione ha fatto compiere un significativo passo in avanti all’Esercito Italiano. Basti pensare che nel 1993, il contingente italiano in Somalia metteva ancora in campo mezzi degli anni Cinquanta come i carri M60 o i cingolati M113 (peraltro privi delle adeguate protezioni). Soltanto per fare un paragone, un PzH 2000 ha un rateo di tiro al minuto più che doppio rispetto a quello di un M109, oltre che una maggiore precisione e gittata. Oppure, fino all’introduzione del Dardo, l’EI non aveva ancora un vero IFV, ma i soli VCC in configurazione APC armati con mitragliatrice da 7,62 mm o 12,7 mm.

Questo faceva sì che le squadre di fanteria non potessero godere di un’adeguata potenza di fuoco, soprattutto contro bersagli più duri come edifici o postazioni interrate e protette contro cui il cannone da 25 mm si è sempre dimostrato un’arma più efficace della “semplice” mitragliatrice.

Dopo questo primo grande ciclo di modernizzazione, con gli anni Duemila, l’Esercito ha poi iniziato a guardare alle tecnologie dell’informazione ed a quella Rivoluzione negli Affari Militari che, nel frattempo, dagli Stati Uniti aveva raggiunto anche la “periferia” rappresentata dalla cintura degli altri paesi NATO.

Confr_Amm__20111117 89 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango E’ così che l’EI inizia a pensare in termini di piattaforme non più solo tecnologicamente avanzate, ma anche di piattaforme in grado di ricevere e scambiare informazioni in tempi rapidi con i livelli più alti e di condividerle allo stesso tempo con le altre piattaforme e le altre pedine operative. E’, questa, la fase in cui si pone grande enfasi sui sistemi di comando e controllo, a cominciare dal SIACCON 1 AW, sui sistemi di comunicazione, è il caso del SICRAL (a livello Forze Armate) per ciò che concerne le comunicazioni satellitari, e sui sistemi di osservazione, ricognizione e acquisizione obbiettivi, con l’introduzione di camere termiche e apparati di visione di nuova generazione.

Non solo, a questo trittico di capacità va aggiunto anche il munizionamento “intelligente”, in grado di “vedere” un obiettivo e di neutralizzarlo con un alto grado di confidenza senza provocare danni collaterali. E’ il caso, solo per fare un esempio, del programma Vulcano – per lo sviluppo di munizionamento guidato da 155 mm per l’obice da 155 mm PzH 2000 – che proprio a partire dai primi anni Duemila prende le mosse.

Con l’introduzione di queste nuove capacità, l’EI compie pertanto un ulteriore passo in avanti lungo la strada delle capacità C3, RISTA e di precisione d’ingaggio che costituiscono i tre pilastri “tecnici” su cui si basa la RMA.

La fase successiva, quella attualmente in corso ed ancor più ambiziosa, è stata la fase della NCW, ovvero dello sviluppo del network e della messa a sistema di tutte le capacità, sia quelle tradizionali sia quelle di più recente sviluppo ed acquisizione. Per dare coerenza ed organicità a questa fase, l’Esercito Italiano, “imitato” in questo dall’Esercito francese come abbiamo visto, ha lanciato da qualche anno il programma Forza Nec. Il progetto ha come obiettivo la realizzazione di una moderna forza del livello divisionale, equipaggiata con mezzi allo stato dell’arte completamente inseriti in una rete di digitalizzazione. Una forza da completare nei prossimi anni, attraverso un frazionamento in “step” capacitativi diversi, allo scopo di ottenere il meglio delle tecnologie disponibili e di inserire progressivamente le migliorie e gli aggiornamenti che si renderanno eventualmente disponibili, in particolare nei settori ad elevato contenuto tecnologico - digitalizzazione, sensori, armamento, protezione. Il tutto per rendere meno traumatico il passaggio verso la meta finale, ovvero la FIT (Forza Intergata Terrestre).

Confr_Amm__20111117 90 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango Forza Nec sarà basata su tre brigate medie digitalizzate, in aggiunta alla Forza di Proiezione dal Mare, e sui necessari supporti e gli enablers, e dovrà essere in grado di operare in tutta la gamma di operazioni.

Quanto detto implica la creazione di una Forza NEC, “expeditionary ed effect based operations oriented”, mediante l’ammodernamento simultaneo e coordinato di tutte le componenti delle brigate in questione e dei necessari enablers, ovvero dell’organizzazione C4-ISR terrestre, integrata nel C4-ISR interforze, dei supporti operativi e logistici, nonché dell’indispensabile supporto nella terza dimensione, garantito dagli elicotteri dell’Aviazione dell’Esercito (AVES). Una forza, pertanto, ad alta connotazione joint, traguardo indispensabile, insieme con l’impostazione NEC/NCW, per garantire l’efficacia nelle attuali operazioni. Le unità NEC basate sulla digitalizzazione, e sulla famiglia di ruotati Centauro/VBM 8x8, attualmente già in acquisizione, saranno più leggere rispetto alle attuali forze meccanizzate (cingolate), dalle quali tuttavia recepiranno l’enfasi sulla protezione (diretta per la qualità dei materiali, indiretta per la situational awareness tipica delle componenti NEC), ma rispetto alle quali aggiungeranno una diversa formula di mobilità, orientata verso soluzioni tradizionalmente associate alle forze leggere, e saranno certamente più idonee all’impiego in operazioni di stabilizzazione e ricostruzione.

La Forza Nec, come si accennava, rappresenta la soluzione ponte in vista della Forza Integrata Terrestre, il fine ultimo di tutto il progetto di trasformazione, con il quale l’Esercito dovrebbe essere interamente digitalizzato e strutturato su nuove unità organiche di base, denominate BIT, Brigate Integrate Terrestri. Al momento, rispetto ai programmi originari, c’è stata una dilatazione nei tempi di tutto il processo sia per la sua complessità sia per motivi di ordine finanziario sia. Il programma è stato quindi suddiviso in tre spire: una prima da realizzarsi entro il 2018, una seconda dal 2018 al 2026 ed una terza dal 2026 al 2031 . La prima fase, attualmente in corso, prevede la digitalizzazione della Brigata Pinerolo (prima unità media digitalizzata su VBM Freccia) e della Forza Anfibia (o Landing Force, LF), attualmente in corso, più il 50% dei supporti (o enablers), cioè le“unità abilitanti” (elicotteri, reparti per le operazioni PSYOPS, cooperazio-ne civile/militare o CIMIC, difesa NBC, etc...).

Nella seconda fase sarà la volta della digitalizzazione della seconda Brigata Media (la_Aosta di Messina) e del 25% degli enablers, mentre con l’ultima fase si procederà

Confr_Amm__20111117 91 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango all’upgrade della terza Brigata Media, la Sassari. In questo modo, quindi, l’El disporrà di una forza digitalizzata a livello di divisione a partire dal 2031 (la cosiddetta Forza Media Digitalizzata, FoMeD). In parallelo, poi, è prevista la progressiva digitalizzazione delle forze leggere e di quelle pesanti per giungere, ben oltre il 2031, alla fine di questo processo ed alla digitalizzazione di tutto l’EI. A quel punto, la Forza Armata dovrebbe avere 11 Brigate di manovra (già adesso, però, si parla del taglio di un paio di brigate): quattro medie o polivalenti (Pinerolo, Aosta, Sassari e Pozzuolo del Friuli), due pesanti (Ariete e Garibaldi), e cinque leggere e/o specializzate (Folgore, Friuli, Taurinense, Julia e Granatieri di Sardegna).

Questo processo di ammodernamento dell’EI, orientato alla digitalizzazione in prima battuta delle Forze Medie, è strettamente correlato al processo di ribilanciamento qualitativo e quantitativo delle unità di manovra a livello brigata. Una dinamica che nasce dalla necessità di adeguare lo strumento militare all’evoluzione in corso nell’ambito degli scenari geostrategici, delle tipologie di minacce, dei teatri operativi e delle diverse gamme di tecnologie. Nell’ambito dei possibili impegni, l’Esercito, partendo dai tre macroscenari di riferimento individuati nell’ambito della pianificazione descritta nella Dottrina e nel Master Plan, considera la “gestione delle crisi" come il più frequente.

Non a caso a partire dagli ultimi decenni, l’Esercito è sempre più coinvolto in operazioni condotte in un quadro multinazionale - ONU, UE, NATO - e mirate a realizzare e consolidare condizioni di sicurezza, stabilità e pace in situazioni a rischio. A tal proposito, l’Esercito (costituito prevalentemente da forze pesanti e leggere) ha intrapreso quel processo di ribilanciamento della componente operativa attualmente in corso. Questo porterà, in futuro, ad avere il 46% di forze leggere, il 18% di forze pesanti ed il 36% di forze medie. Queste ultime, infatti, risultano più idonee per coprire l’intera gamma di operazioni, da quelle di ingresso nei teatri operativi a quelle decisive (in situazione di elevata conflittualità con preminente impiego di unità combat), da quelle di stabilizzazione e ricostruzione a quelle di assistenza umanitaria.

In tale quadro, le forze medie, equipaggiate con veicoli blindati di ultima generazione, a cominciare dal Freccia, sono state pensate per coniugare una letalità altamente selettiva e discriminante con un’elevata mobilità e per garantire allo stesso tempo la necessaria protezione al personale, attraverso misure di protezione attiva e passiva, diretta e indiretta.

Confr_Amm__20111117 92 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango Le forze medie/polivalenti, dunque, risultano essere maggiormente versatili ed idonee a gestire situazioni riconducibili al modello in vigore della “three block war”, secondo il quale una forza armata deve espirmere la capacità di condurre contestualmente, in una robusta cornice di sicurezza e in una limitata porzione di spazio, operazioni di warfighting, peace keeping e di assistenza umanitaria.

La prima fase del processo di digitalizzazione dell’EI dovrebbe concludersi nel 2018 e, come appena descritto, prevede l’approntamento della Brigata Media di Fanteria Digitalizzata Pinerolo e della Landing Force Anfibia. Al termine del processo, la Brigata Pinerolo dovrebbe avere una struttura basata sui seguenti reparti: tre reggimenti di fanteria (su VBM 8x8 Freccia); un reggimento di cavalleria (su Centauro MLU/Centauro 2); un reggimento di artiglieria terrestre su nuovi obici da 155 mm montati sullo scafo del Freccia i (il sistema è ancora da definire al momento in cui scriviamo); un reggimento genio guastatori (principalmente su VTMM).

In particolare, il primo reggimento della Brigata, l’82° Reggimento Torino, ha già completato la conversione in reggimento medio. Alla fine del 2010, è iniziato il medesimo processo anche per il 9° Reggimento Bari, mentre l’avvio della trasformazione del 7°_Reggimento Bersaglieri dovrebbe partire quest’anno o agli inizi del prossimo. La conversione del reparto da unità tradizionale a unità digitalizzata è stata affrontata con un approccio omnicomprensivo ed ha portato alla revisione di tutti gli aspetti organizzativi, compresa la riqualifica della caserma Sella, sede del reggimento, ed all’introduzione delle nuove tabelle organiche che, successivamente, uniformeranno la struttura dei nuovi reggimenti di fanteria media.

La nuova Landing Force (LF) digitalizzata sarà invece composta da: due reggimenti di manovra (Lagunari e San Marco); due squadroni di cavalleria; un reggimento di artiglieria terrestre sui nuobi obici ruotati di cui abbiamo dato conto in precedenza per la Pinerolo; due batterie di artiglieria contraerea V-SHORAD; due compagnie genio guastatori. Le unità di manovra della Landing Force saranno equipaggiate con un nuovo blindato 8x8 anfibio, denominato VBA (Veicolo Blindato Anfibio), ovvero il Superav della Iveco, che verrà impiegato negli sbarchi ed avrà caratteristiche similari a quelle del VBM.

Confr_Amm__20111117 93 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango Ai reparti sopracitati si aggiungeranno poi i seguenti enablers (50% del totale): un reggimento artiglieria contraerea; due reggimenti dell’Aviazione dell’Esercito; un reggimento sorveglianza ed acquisizione obiettivi; un reggimento da guerra elettronica; un reggimento trasmissioni; un battaglione NBC; assetti PSYOPS e CIMIC; un reggimento di supporto alla manovra (combat service support); un reggimento trasporti. Gli enablers saranno a fattor comune tra la Brigata Media Digitalizzata e la Landing Force Digitalizzata.

Il logico complemento del programma Forza Nec è il progetto Fanteria Futura che, in pratica, va di pari passo con il primo. Il processo di professionalizzazione ed i continui impegni fuori area, assieme alla digitalizzazione dello spazio di manovra e all’introduzione di nuove tecnologie quali il Soldato Futuro, in altri termini hanno reso necessaria anche la revisione organica, ma non solo, della struttura della fanteria. Da cui, appunto, ha preso le mosse il summenzionato progetto. In particolare, nelle fasi preliminari, attualmente in corso, sono state affrontate soprattutto le problematiche relative alla composizione dei moduli operativi ed al loro equipaggiamento.

Un primo step reso necessario dall’evidenza e dalla constatazione di quelle limitazioni riscontrabili nelle unità di fanteria italiane rispetto a quelle alleate:

1. la ridotta consistenza numerica delle squadre, dei plotoni e delle compagnie fucilieri 2. l’esiguità delle componenti destinate al combattimento appiedato dopo lo sbarco dei mezzi e, di conseguenza, anche la limitata potenza di fuoco delle squadre 3. la mancanza, nei plotoni appiedati, di un vicecomandante e di un uomo destinato esclusivamente alle comunicazioni

Inoltre, data la sempre maggiore enfasi sulle operazioni fuori area e sull’interoperabilità sempre più spinta fino ai minori livelli operativi, era necessario operare una standardizzazione delle strutture, avvicinandole a quelle dei modelli alleati di riferimento. In virtù di tutte queste considerazioni, si è deciso di razionalizzare i reggimenti della fanteria italiana, comprendenti le attuali specialità granatieri, bersaglieri, alpini, paracadutisti, lagunari e aeromobile, in sole tre differenti tipologie (cui corrispondono

Confr_Amm__20111117 94 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango

diversi livelli di mobilità e protezione e strutture organiche leggermente differenti):

- Fanteria Leggera: caratterizzata dalla massima mobilità strategica ed operativa, destinata al combattimento appiedato, in terreni difficili e negli abitati, dotata, a breve-medio termine, di mezzi di trasporto VTLM, VBL Puma e BV-206S, ammodernati per incrementarne ulteriormente la protezione rispetto alle versioni oggi in servizio.

- Fanteria Media: derivante per la gran parte dagli attuali reparti meccanizzati, le cui caratteristiche salienti dovranno coniugare esigenze di protezione e leggerezza, di mobilità tattica e strategico-operativa, con quelle di situational awaraness e letalità, facendone al contempo l’elemento più versatile ed innovativo del progetto, alla luce dell’introduzione di nuove tecnologie e sensori. Come detto, muoverà a bordo di VBM 8x8.

- Fanteria Pesante: destinata ad accompagnare strettamente l’azione dei carri armati in conflitti anche ad alta intensità. E’ dotata di cingolati Dardo e privilegia la protezione e la mobilità tattica alla facilità di proiezione.

Queste tre tipologie saranno differenziate a partire dalla loro pedina elementare, ovvero la squadra, da modellare in funzione delle caratteristiche del mezzo di trasporto. Per cui, la squadra di fanteria leggera sarà composta da 10 uomini, quella media da 11 e quella pesante da nove. La fanteria media costituisce pertanto l’elemento più versatile ed innovativo del progetto, in particolare alla luce dell’introduzione nei reparti delle tecnologie legate al programma Forza NEC.

A livello ordinativo, la struttura organizzativa che darà corpo al progetto sarà il nuovo reggimento di fanteria media.

Confr_Amm__20111117 95 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango Prima di vedere qual è la configurazione del nuovo reggimento di fanteria media, soffermiamoci per un attimo sull’attuale struttura del reggimento di fanteria meccanizzata. Attualmente, questo è composto, oltre ai supporti ed all’elemento di comando, da un battaglione di manovra su cinque compagnie: tre fucilieri, una mortai pesanti ed una controcarro. La compagnia fucilieri è su quattro plotoni, la compagnia controcarro comprende cinque plotoni, tre equipaggiati con sistemi a medio raggio MILAN, e due equipaggiati con sistemi a lunga gittata TOW (26 lanciatori), mentre la compagnia mortai pesanti su due plotoni con tre mortai da 120 mm ciascuna.

La nuova struttura del reggimento di fanteria media, già sperimentata con l’82° Torino, prevede un cambiamento radicale, con la riduzione del numero di compagnie del battaglione da quattro a cinque: tre compagnie fucilieri e la nuova compagnia di supporto alla manovra. La compagnia fucilieri sarà strutturata su tre plotoni fucilieri ed un plotone supporto alla manovra. Ogni plotone fucilieri avrà tre squadre fucilieri ed una squadra supporto alla manovra con un mortaio leggero da 60 mm. A regime, una volta cioè completate le consegne di tutti i lotti di veicoli VBM, la compagnia fucilieri avrà 14 Freccia in versione IFV, due Freccia in versione controcarro equipaggiati con sistema Spike MR (Medium Range), più sette Lince. I veicoli saranno suddivisi nel modo seguente: 12 Freccia IFV per i tre plotoni fucilieri, due Freccia IFV per il nucleo comando, e i due Freccia controcarro, assieme a sei Lince, per il plotone controcarro. La pedina base, come ampiamente accennato, sarà la squadra composta, pertanto, da 11 uomini, otto fanti più i tre membri dell’equipaggio del Freccia. In questo modo sarà possibile suddividerla in due gruppi di fuoco, con capacità di tiro di precisione e di tiro controcarro (grazie alla dotazione di lanciagranate Panzerfaust 3) ed “antibulding”/anti-postazione interrata. Il plotone fucilieri, dunque, disporrà organicamente di una capacità di supporto di fuoco indiretto data sia dai lanciarazzi Panzerfaust sia dal mortaio da 60 mm. Per un supporto di fuoco più robusto si potrà contare sul plotone di supporto alla manovra che, oltre ai missili Spike montati sui VBM, sarà dotato anche, e questa è un’altra delle grandi innovazioni introdotte dal progetta Fanteria Futura, di tre mortai medi da 81 mm, una capacità reintrodotta nei reparti dell’EI dopo 30 anni, e di una squadra di sniper. Il tutto a vantaggio dell’autonomia e della capacità di assolvere un ampio spettro di missioni da parte della compagnia fucilieri.

Confr_Amm__20111117 96 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango Il supporto di fuoco a livello superiore sarà invece assicurato dalla compagnia supporto alla manovra che, come abbiamo visto, unisce le capacità anticarro e a tiro curvo, nella precedente configurazione dei reggimenti medi separate. La compagnia supporto, in particolare sarà basata su quattro plotoni: un plotone mortai pesanti, con quattro VBM porta mortaio equipaggiati con sistemi da 120 mm, un plotone controcarri, con quattro Freccia equipaggiati con sistema Spike a lungo raggio, un plotone esploranti su Lince ed un plotone tiratori scelti. Nel complesso il nuovo reggimento medio unirà una maggiore capacità di fuoco rispetto al reggimento tradizionale, spinta fino al più basso livello ordinativo ed esaltata dalla combinazione di capacità controcarro e capacità a tiro curvo, con enfasi soprattutto su quest’ultima, alle doti di flessibilità e di “situational awareness” ottenute grazie all’introduzione in servizio del Freccia.

3.5 Veicoli, sistemi e apparati

In ottica digitalizzazione, il maggiore sforzo acquisitivo dell’EI è dato dal VBM Freccia. Il nuovo VBM Freccia costituisce la spina dorsale del reggimento medio e la sua introduzione mira a dare una risposta precisa alle esigenze operative emerse in molti anni di operazioni all’estero. Il suo concetto di fondo rappresenta la migliore sintesi possibile tra l’elevata protezione del VTLM Lince, la mobilità della blindo Centauro e la potenza di fuoco del VCC Dardo. Il VBM è allo stesso tempo in grado di costituire con i propri apparati di comando, controllo, navigazione e trasmissione, l’asse portante di un sistema complesso, che integra con interconnessioni e scambi di informazioni in tempo reale i comandi superiori con le piattaforme blindate, i singoli soldati e piattaforme robotizzate, sia terrestri che aeree.

Da un punto di vista tecnico, il VBM è un’evoluzione della blindo Centauro, con un livello maggiore di protezione balistica ed antimina. Della famiglia Centauro conserva l’impostazione tecnica generale, le doti di maneggevolezza e manovrabilità, ma introduce soluzioni tecnologiche volte ad incrementarne sia l’efficacia dell’azione che la sicurezza del personale a bordo e che si traducono in un mix unico di mobilità, protezione, potenza di fuoco e connettività. Con un peso massimo di 30 tonnellate (22 a vuoto e otto di carico utile), un volume interno di 11 metri cubi e soluzioni di armamento e protezione modulari, il VBM può soddisfare un’ampia gamma di requisiti tecnico-tattici. Il sistema di sospensioni

Confr_Amm__20111117 97 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango indipendente e la trasmissione del tipo ad H hanno consentito di mantenere l’altezza dello scafo entro valori relativamente ridotti, a tutto vantaggio della stabilità nella marcia in fuoristrada e della protezione indiretta, mentre il fondo piatto migliora l’abitabilità ed il comportamento su terreni difficili. Tutto ciò consente caratteristiche di mobilità fuoristrada assai elevate su ogni tipo di terreno, con una velocità massima su strada, garantita dal motore Iveco 8262 a 6 cilindri, di 105 km/h ed un’autonomia di 800 km. Per incrementare il livello di protezione contro ogni tipo di minaccia (fuoco diretto, mine terrestri e IED), è possibile imbullonare esternamene allo scafo di acciaio balistico delle piastre protettive addizionali, mentre all’interno sono presenti rivestimenti in compositi in grado di proteggere il personale dalle schegge derivanti da eventuali perforazioni (spall liner). La parte inferiore dello scafo dispone di un’ulteriore protezione sotto-pancia in chiave antimina, assicurata da pannelli distanziati fissati in modo elastico.

L’armamento comprende la torretta biposto HITFIST 25 Plus della Oto Melara – una versione migliorata, più bassa ma di maggior volume interno, di quella che equipaggia il cingolato Dardo – munita di piastre di corazzatura addizionale, equipaggiata con un cannoncino automatico Oerlikon KBA BO2 da 25 mm a doppia alimentazione ed una mitragliatrice da 7,62 mm coassiale. La torretta si avvale di un sistema di osservazione e puntamento di ultima generazione, il LOTHAR, che associa ad una camera termica per la visione notturna, un canale diurno televisivo a colori ed un telemetro laser con una portata di 20.000 metri. I veicoli assegnati ai comandanti di compagnia e di plotone e quelli della versione speciale controcarro dispongono inoltre di un visore panoramico stabilizzato denominato JANUS, caratterizzato da una testa sferica munita di canali diurno TV e notturno con camera termica.

Salendo a bordo di questo veicolo si ha subito la sensazione della modernità e della complessità degli apparati in dotazione, quali il SICCONA, il kit radio a banda larga per la ricezione di dati e foto, il ricevitore WiFi per la connessione d’area ad alta velocità con i soldati futuri appiedati. Tra le radio, il principale sistema di cui è dotato il VBM è l’HCDR (High Capacity Data Radio), la stessa radio del britannico Bowman già in servizio in oltre 4.000 esemplari. Si tratta di un apparato che costituisce lo stato dell’arte in termini di comunicazioni a banda larga: connesso via ethernet con l’USC (Unità Smistamento Comunicazioni) del SICCONA, può lavorare tranquillamente sui 10/12 km di distanza con una velocità massima di 500 Kbps Full Duplex e con uno spettro di frequenze 225-450

Confr_Amm__20111117 98 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango MHz (5Mhz del canale). Inoltre, per permettere le comunicazioni tra i veicoli ed il personale a terra, e gestirle al meglio, è prevista l’installazione, in aggiunta all’USC, di una Personal Wireless Link Bay Staion (PWLBS).

Tali sistemi rendono il VBM 8x8 non più un mero mezzo di trasporto per il soldato, ma il nodo di una rete che consente lo scambio dei dati in tempo reale dal singolo soldato fino al comando più elevato, se necessario, contribuendo alla definizione del quadro generale della situazione, la Common Operational Picture, e al contempo creando i presupposti per realizzare la superiorità informativa a disposizione del Comandante. In questo modo, grazie al VBM, si potranno rendere disponibili in tempo reale tutte le necessarie informazioni, operative e logistiche, ai vari livelli di comando, anch’essi digitalizzati ed in grado di gestire e processare messaggi, dati, foto, filmati archiviati o acquisiti durante l’azione, e provenienti da una moltitudine di sensori, terrestri ed aerei, manned ed unmanned.

Accanto alla versione combat di base sono disponibili ulteriori configurazioni del VBM: la controcarro, la portamortaio e la comando, l’ambulanza o la configurazione per la difesa NBC. Il VBM controcarro risulta del tutto analogo alla variante basica, ma presenta, ai lati della torretta, due lanciatori singoli per missili controcarro/polivalenti Spike di produzione israeliana. Lo Spike, infatti, può essere impiegato avvalendosi delle normali funzionalità del sistema di puntamento Lothar ad architettura modulare. I missili utilizzati possono essere sia della versione MR (portata 4.000 metri e sistema di guida “lancia e dimentica”) che i più prestanti LR, con gittata utile di 6.000 metri e modalità di tiro “lancia, osserva ed aggiorna”.

La versione controcarro dispone poi del visore panoramico stabilizzato diurno/notturno JANUS, che rende possibile effettuare ingaggi con modalità “hunter killer”, ossia di osservare in modo indipendente il terreno, acquisire l’obiettivo ed allineare automaticamente la torre con il bersaglio individuato.

La seconda versione speciale è quella portamortaio, dove la torretta HITFIST è rimpiazzata dal classico scafo a cielo aperto dal quale fuoriesce la bocca da fuoco del mortaio rigato da 120 mm Thales Defence Armament 2R2M. La variante Posto Comando del VBC, munita di torretta Hitrole con mitragliatrice pesante da 12,7 mm, dispone del

Confr_Amm__20111117 99 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango SIACCON (Sistema Integrato Automatizzato di Comando e Controllo) che gli consente di svolgere le stesse funzioni di un posto di comando reggimentale fisso, gestendo nel contempo lo scambio di dati, in fonia, messaggistica e foto, e del sistema SICCONA.

Le altre due versioni speciali sono ancora in fase di sviluppo. Attualmente sono in fase di consegna i VBM dei primi due lotti di produzione (54 + 109 esemplari). La conclusione delle consegne è prevista nel 2012, con l’introduzione in servizio anche delle versioni speciali controcarro, porta mortaio e posto comando.

Restando in tema di veicoli, un’importanza fondamentale, in ottica Forza Nec, viene rivestita dall’ammodernamento delle blindo Centauro (Centauro MLU, Mid Life Upgrade, ridenominato Centauro 2). Con i nuovi compiti che si stanno ritagliando i reparti di cavalleria era infatti necessario ammodernare i 300 esemplari attualmente in servizio con l’EI, in linea con i requisiti della digitalizzazione e dei nuovi scenari. In particolare, l’obiettivo è soprattutto quello di incrementare la protezione antimina ed anti-IED del veicolo, che attualmente non è molto elevata (in quanto si tratta di un mezzo entrato in linea oltre 20 anni, fa quando il problema IED non esisteva, mentre le mine erano considerate un pericolo minore), mediante la sostituzione dei gusci originali degli scafi con quelli derivati dai VBM di nuova produzione.

Solo questi ultimi infatti incorporano tutte le soluzioni consentite dalle ultime tecnologie in tema di protezione contro queste nuove minacce. A ciò bisogna aggiungere l’aggiornamento della componente elettronica (con l’introduzione di serie di SICCONA ed altri apparti digitali) e l’introduzione della nuova torretta HITFACT con cannone da 120 mm ad anima liscia. Come per il resto dei materiali, pure l’ammodernamento di mezza vita di questo veicolo procederà per gradi, con un lotto iniziale di 74 mezzi da aggiornare nell’ambito della prima spira del programma Forza NEC, quindi entro il 2018.

Un altro sviluppo importante è quello del VTMM (Veicolo Tattico Medio Multiruolo), precedentemente noto come VTM-X. Il veicolo, dal punto di vista delle dimensioni e dei pesi (17 t), rappresenta una via di mezzo tra il VBM 8x8 Freccia e il VTLM 4x4 Lince ed è il frutto di un accordo tra Iveco DV e Krauss Maffei Wegmann. Il VTMM verrà impiegato per i compiti di combat support in quei settori specialistici che hanno bisogno di un veicolo protetto contro mine, IED e granate alla stessa maniera del VTLM Lince (o anche

Confr_Amm__20111117 100 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango superiore), in grado tuttavia di trasportare apparecchiature, materiali e sistemi vari. In particolare il VTMM, destinato ad equipaggiare unità che operano sul terreno a fianco delle forze di manovra, sarà utilizzato nei seguenti ruoli: come veicolo da ricognizione per genio (ACRT, Advanced Combat Recce Team), come veicolo ECM/ESM nei posti di intercettazione mobile di guerra elettronica (che precedentemente utilizzavano il VM-90P), come veicolo posto comando della compagnia mortai, come veicolo per la ricognizione e la scoperta di contaminazioni nel campo nucleare, batteriologico e chimico nel plotone NBC, come ambulanza e, infine, come mezzo destinato ai reparti PSYOPS, e cioè in tutti i compiti per i quali vi è necessità di un veicolo blindato e, allo stesso tempo, spazioso. In tali ruoli il VTLM sarebbe piccolo, mentre l’ACTL sarebbe troppo grande e vulnerabile.

Cambiando settore e spostandoci sui sistemi di comando, controllo e gestione del combattimento, la principale novità introdotta negli ultimi anni, destinata a subire ulteriori e più profonde evoluzioni nel corso dei prossimi anni, man, mano che il programma Forza Nec andrà avanti, è senz’altro il SICCONA. Quest’ultimo è in grado di svolgere contemporaneamente le funzioni di BMS (Battle Managemetn System), di localizzazione – come un “semplice” sistema di navigazione – e di controllo e di monitoraggio dello status logistico. Il sistema ha un’architettura fisica e funzionale costituita da tre componenti: SIV torre (Sottosistema Integrazione Veicolo), SIV scafo, C2D (Comando, Controllo e Digitalizzazione) e USC (Unità Smistamento Comunicazioni).

Il SIV torre gestisce il payload di armi e sensori, la logistica del munizionamento e gli allarmi. Il SIV scafo monitorizza invece lo statodella propulsione con la relativa logistica, la navigazione e la rotta.

Il C2D rappresenta il vero e proprio BMS (Battle Mangament System) e garantisce l’apertura del SICCONA verso l’alto (SIACCON). Tramite il C2D è possibile avere la rappresentazione grafica della situazione sul campo di battaglia, con la posizione del veicolo, assieme a quella delle altre pedine (amiche e nemiche), l’eventuale presenza di campi minati, ostacoli, ponti ecc., ed il suo aggiornamento continuo. Il C2D riceve/fornisce i dati attraverso la USC (Unità Smistamento Comunicazioni) che gestisce tutti gli apparati radio a bordo del veicolo.

Confr_Amm__20111117 101 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango Nel complesso il SICCONA comprende tre elaboratori (SIV scafo, SIV torre e C2D) e due display, uno per il conduttore ed uno per il capocarro.

In generale, pertanto, ciò che fa del SICCONA un sistema all’avanguardia, e molto più avanzato rispetto ad altri sistemi europei della categoria, è la sua stretta correlazione con il sistema di tiro del carro e la capacità di offrire all’operatore, oltre alla rappresentazione tipica dei BMS, tre ulteriori interfacce: quella logistica, che consente di sapere qual è l’effettivo status operativo del veicolo –carburante e munizionamento residuo, eventuali avarie ecc. - in ogni momento e di condividere questa informazione con tutta la catena di comando e controllo, l’interfaccia allarmi e quella di combattimento.

L’integrazione del SICCONA con il sistema di tiro, come abbiamo visto non implementata su altri sistemi analoghi, come per esempio il britannico Bowman, consente al sistema di poter puntare automaticamente, senza l’intervento dell’operatore, e, potenzialmente, anche di fare fuoco (naturalmente, in combattimento, la suddetta sequenza è abilitata dal capocarro). Infine, l’interfaccia allarmi che, grazie all’integrazione con il laser warning receiver, permette di ricevere l’allerta laser non solo al mezzo laserato e fatto oggetto del tiro, ma anche agli altri, in modo che tutto il complesso carri sul campo possa agire di conseguenza.

Parallelamente al SICCONA, di recente è stato sviluppato dall’industria italiana il C2N- BFSA. Quest’ultimo costituisce una versione complementare del SICCONA del quale mantiene essenzialmente quattro funzionalità operative: tracking e situational awarenss – con la possibilità di visualizzare tutte le pedine sul campo su un display con mappatura digitalizzata – messaggistica e gestione allarmi. In pratica si tratta di un sistema di “gestione del combattimento” per sistemi “non-combat” quali il VTLM o i futuri VTMM.

Da questa breve panoramica sui maggiori sistemi ed equipaggiamenti acquisiti dall’EI in concomitanza con il processo di digitalizzazione non poteva mancare il Soldato Futuro. Quest’ultimo, rispetto ad altri sistemi analoghi che abbiamo già passato in rassegna, quali, per esempio, il Felin, rappresenta un progetto senz’altro più ambizioso e complesso.

Confr_Amm__20111117 102 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango Al centro del Soldato Futuro si trova il PC indossabile con un display a cristalli liquidi da quattro pollici touch screen, o un display più grande (8 pollici) per il comandante di squadra, contenuto in una tasca del kit o installabile sull’avambraccio. Sul display possono essere visualizzate, mediante una sistema wireless bluetooth, mappe digitali, messaggi e tutti i dati ripresi dai sensori e dal sistema di puntamento dell’arma o dall’UAB (Unità Acquisizione Bersagli, quest’ultimo apparato disponibile per i comandanti di squadra). Per la messaggistica è disponibile un apposito sistema basato su messaggi pre-caricati inviabili rapidamente agendo sul touch screen.

Il principale sistema di comunicazione del Soldato Futuro è costituito dalla radio IPR (Individual Pocket Radio), un apparato con una portata di 1300 m operante in una banda compresa tra gli 800 e i 900 MHz con una capacità di trasferimento dati di 40 Kbps Half Duplex. L’IPR è collegata via cavo ad un auricolare e ad un microfono, sistemati entrambi su una cuffia, una modalità che consente all’apparato di operare in modo indipendente rispetto alla rete bluetooth.

Il Soldato Futuro dispone anche, primo nel suo genere in Europa, di un sensore fisiologico, installato sempre sulla cuffia, per la raccolta dei dati relativi allo stato di salute del soldato. Questi dati non possono essere forniti in tempo reale al comandante e inseriti in un database, ma consentono al PC di suggerire al soldato alcune azioni quali, ad esempio, l’assunzione di liquidi o di cibo. Infine, il sensore fisiologico è collegato ad un sistema che in caso di morte dell’utente disattiva automaticamente ogni componente. Restando in tema comunicazioni, sono disponibili anche un sistema WiFi, che consente di comunicare tra i membri della squadra e con i veicoli fino ad una distanza di 300 metri, e le classiche VHF SINCAGARS 633-P per le comunicazioni ed il trasferimento dati a lunga distanza (in attesa di un sistema SDR, Software Defined Radio).

L’arma del Soldato Futuro è il fucile d’assalto Beretta ARX-160, già sperimentato in Afghanistan dai militari della Folgore. Il fucile ha un peso molto contenuto, notevolmente inferiore rispetto a quelle dell’AR 70/90, ed è dotato di un calcio telescopico (a differenza della soluzione bullpup adottata, per esempio, sul Famas del Felin). L’arma è dotata di un rivoluzionario sistema di puntamento, denominato ICWS (Individual Combat Weapon System) Aspis, che ricomprende in un unico dispositivo una camera termica uncooled, una canale TV (con sensore CCD in bianco e nero e a colori), un puntatore a laser per il tiro

Confr_Amm__20111117 103 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango istintivo (quest’ultimo è stato poi scorporato dal sistema per contenerne il peso) e un’ottica a punto rosso con ingrandimento 1X per il combattimento ravvicinato. Tutti i sensori possono trasmettere le immagini tramite l’interfaccia Bluetooth al display digitale del soldato, consentendo l’osservazione o il tiro defilato “dietro l’angolo” - e l’invio delle stesse tramite il sistema di comunicazione integrato a tutta la catena di comando e controllo. Non solo, ma le stesse immagini possono essere visualizzate anche sul visore monoculare montato sull’elmetto e piazzato di fronte all’occhio sinistro del soldato.

Sull’ICWS sono installati anche un pulsante PTT (Push To Talk) per azionare la radio, in modo da non dover così mai staccare le mani dall’arma, ed un pulsante per trasmettere l’immagine al visore monoculare. Attualmente sono in corso di consegna 62 sistemi del lotto di preserie. A differenza del primo lotto di preserie, da 30 esemplari, molto simile rispetto ai primi tre prototipi, il secondo lotto di sistemi presenta delle migliorie che fanno tesoro delle esperienze fin qui maturate con la sperimentazione.

In chiusura di capitolo, un accenno lo merita anche la robotica terrestre, dove l’Italia è all’avanguardia nel grazie agli sviluppi portati avanti dalle aziende del gruppo Finmeccanica. Tra le principali proposte bisogna menzionare il PRAETOR (Piattaforma Robotizzata Elettrica Tele-Operata Remotata), un veicolo ruotato 6x6 lungo 1,5 m, largo 90 cm e pesante 200 kg con un carico utile massimo di 60 kg. Il veicolo è propulso da un apparato comprendete tre motori elettrici, due nella sezione anteriore ed uno nella sezione posteriore, in grado di conferirgli una velocità massima di 50 km/h.

Il PRAETOR è controllato da una Ground Station disponibile in tre versioni: una veicolare, una portatile ed una indossabile. Le versioni proposte sono diverse a dimostrazione di un concetto ispirato ad alta flessibilità. Per cui il veicolo può essere equipaggiato per compiti RISTA, mediante l’adozione di torrette elettro-ottiche di diverso tipo, compiti combat, attraverso l’installazione di lanciagranate o mitragliatrici, compiti counter-IED, mediante l’adozione di appositi bracci meccanici per la neutralizzazione degli ordigni, e così via. Il PRAETOR è stato comunque pensato per essere pug-and-play in architetture network- centriche ampie, assieme ad altri veicoli o velivoli.

Il PRAETOR può operare anche come veicolo madre, sia con altri UGV o per piccoli droni, quasi fosse una sorta di “piccola portaerei”. In questa configurazione il veicolo è dotato di

Confr_Amm__20111117 104 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango un ampio piano di volo progettato per consentire il trasporto e le operazioni di decollo ed appianaggio di velivoli quali l’Asio e di un pod per ricaricane le batterie.

L’Asio è un drone a decollo verticale con un peso di quasi 6 kg ed un payload di 500 grammi costituito da un sensore IR ed un sensore TV. L’Asio ha una velocità massima di 25 nodi, una quota massima operativa di 2.500 metri ed è dotato di un data link con una portata di 10 km. Anche in questo caso le applicazioni tipiche rientrano nel campo dell’homeland protection: protezione di pipeline, di impianti industriali, elettrodotti, acquedotti ed infrastrutture critiche in genere. L’Ibis è invece un piccolo elicottero unmanned equipaggiato con un motore elettrico ed un sensore elettro-ottico per compiti di ricognizione e sorveglianza. Il velivolo ha un peso di 10 kg, un payload di 3 kg, una lunghezza di 1,7 metri, un diametro del rotore di 1,56 metri ed un’altezza di 76 cm. Il motore garantisce l’erogazione di una potenza di 2 kW per una velocità massima di 100 km/h. L’autonomia è di un’ora e mezza.

Un’altra famiglia di robot sviluppata sempre in ambio Finmeccanica è la TRP. Il TRP-1 è un UGV cingolato capace di svolgere missioni in modo completamente autonomo grazie all’adozione di un rivoluzionario sistema di guida. Quest’ultimo consiste in meccanismo di autolocalizzazione basato su una serie di algoritmi comportamentali che ne consentono l’operatività in modalità del tutto automatica ed un pacchetto di sensori che include un telemetro laser, un sonar e la classica IMU (Intertial Measurement Unit). L’apporto dell’operatore si limita alla semplice indicazioni di way-point successivi che il veicolo raggiungere volta, volta selezionando il percorso ritenuto più adatto ed evitando eventuali ostacoli.

In pratica il TRP-1 è dotato di una vera e propria intelligenza artificiale che gli consente di sapere in qualsiasi momento dove si trova. Il veicolo che si presenta molto compatto e robusto, con un peso massimo, compreso il carico utile, di 150 kg, può essere utilizzato in applicazioni tipiche dei contesti di calamità naturali o di homeland protection.

Gli altri due veicoli della famiglia, TRP-2/3, appartengono invece alle categorie small e light, e sono ruotati. Il TRP-3 ha un peso di soli 5,5 kg e può operare in abbinamento al PRAETOR da cui può venire rilasciato.

Confr_Amm__20111117 105 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango Il TRP 2 è invece disponibile anche in configurazione Electronic Support Measure (ESM). Quest’ultima fornisce in particolare un sensore passivo di nuova concezione, denominato Advanced Tactical CESM, comprendente l’antenna, omnidirezionale ed a banda lunga (UHF/VHF), e la “scatola” del processor group.

Le due aziende curano poi assieme l’integrazione. Si tratta di un sensore estremamente innovativo perchè può essere installato su uno sciame di UGV, dislocati in diverse posizioni a seconda delle diverse esigenze operative, e rendere disponibile, in tempo reale, l’Electronic Order of Battle (EOB) con tutte le informazioni relative alle emittenti elettromagnetiche presenti nell’area di interesse e operanti nelle bande delle telecomunicazioni: dall’identificazione degli apparati e delle unità che li utilizzano, alla posizione del trasmettitore, caratteristiche e contenuti della trasmissione. In prospettiva, attraverso l’integrazione di funzionalità “unmanned” con quella di identificazione e localizzazione di sorgenti emittenti nello spettro elettromagnetico, le Forze Armate saranno poste in grado, preventivamente e senza il diretto coinvolgimento umano, di diminuire il rischio di subire attacchi innescati attraverso dispositivi radio. Il sistema nasce da una specifica esigenza dell’Esercito recepita dalle due aziende lo scorso anno. In due anni si dovrebbe arrivare ad un primo dimostratore tecnologico.

Attualmente è allo studio anche una versione attiva, ECM, di tipo “responsive”, ovvero in grado di inibire solo la frequenza potenzialmente pericolosa.

Un’ultima versione del TRP, TRP-7, è quella per le operazioni di homeland security.

Confr_Amm__20111117 106 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango

4 Dalla trasformazione al bilanciamento.

4.1 Dalla trasformazione al bilanciamento negli U.S.A.

Con l’amministrazione Obama, il settore Difesa negli USA è entrato in una fase di profonda revisione. Dopo il decennio dell’Amministrazione Bush, e il periodo di Donald Rumsfeld alla guida del dicastero della Difesa, tutto all’insegna dell’innovazione e della trasformazione, e del concetto della Rivoluzione negli Affari Militari spinto alle massime conseguenze, con Obama, e con il Segretario alla Difesa Robert Gates (poi sostituito da Leon Panetta a partire da settembre 2011), già in carica sul finire dell’Amministrazione Bush, l’America è tornata al realismo ed la pragmatismo in materie di Difesa.

Il cambiamento aveva già iniziato a manifestarsi con il primo bilancio della Difesa dell’era Obama, per l’anno fiscale 2010, ma è stato definitivamente consolidato con la QDR (Libro Bianco) 2010 ed il bilancio per l’anno fiscale 2011.

Il bilancio 2010, 680 miliardi di dollari, compresi i fondi per il finanziamento delle operazioni in Iraq e Afghanistan, ha rappresentato una drastica frattura rispetto alla precedente amministrazione, basandosi su una diversa valutazione delle priorità strategiche degli Stati Uniti e sull’obiettivo di realizzare nel più breve tempo possibile uno strumento militare che meglio corrispondesse alle esigenze degli impegni militari in corso. Per far questo, Gates ha deciso una serie di importanti tagli a quei programmi di acquisizione e sviluppo troppo avveniristici e che non sembravano in grado di portare vantaggi concreti nel breve periodo.

In questo modo si è cercato un migliore bilanciamento tra impegni attuali e modernizzazione e un nuovo e più efficiente approccio al procurement tramite una riforma

Confr_Amm__20111117 107 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango che investisse sia le modalità di acquisizione e contrattualizzazione, sia il processo di scelta su cosa acquistare con i fondi disponibili.

Per quanto riguarda il primo aspetto, Gates ha deciso di porre termine ai programmi più travagliati e costosi, e quelli basati su tecnologie giudicate ancora immature per, appunto, raggiungere un bilanciamento migliore tra impegni attuali e possibili conflitti futuri. E’ così che nel bilancio per l’anno fiscale 2010 è stata messa la parola fine ad alcuni grandi programmi di acquisizione portati avanti negli ultimi anni dal Pentagono. Stiamo parlando dell’aereo da trasporto C-17 e del caccia di quinta generazione F-22, il primo giunto alla sua fine naturale, il secondo interrotto per via del vertiginoso aumento dei costi, il secondo motore per il cacciabombardiere JSF, il nuovo satellite TSAT (Transformational Satellite), la componente pilotata del programma FCS (Future Combat System) dell’US Army, l’elicottero per le operazioni di ricerca e recupero, l’elicottero presidenziale, l’incrociatore CGX e l’intercettore ad energia cinetica per la difesa antimissile.

Secondo le intenzioni di Gates, la chiusura di questi programmi, e la revisione di tanti altri, avrebbe dovuto portare nel prossimo futuro a dei risparmi per circa 330 miliardi dollari. Una parte di questi fondi è stata reinvestita in nuovi e più realistici programmi, come accaduto per l’elicottero presidenziale, il cui programma è ripartito su basi nuove, nell’ammodernamento e nella continuazione di quei sistemi che si erano dimostrati funzionali ed efficaci sul campo di battaglia e per sostenere l’incremento degli organici di US Army e Marines, deciso, già all’epoca dell’Amministrazione Bush, per far fronte agli impegni della guerra globale al terrorismo. In tale ambito, un altro principio cardine della rivoluzione Gates è stato poi la priorità accordata ai programmi interforze rispetto a quelli “single-service”, in modo tale da ottenere una maggiore razionalizzazione ed evitare il più possibile le duplicazioni e le sovrapposizioni.

In campo terrestre, la ”vittima” eccellente è stato, come già accennato, il programma FCS, la cui cancellazione ha garantito un risparmio di circa 87 miliardi di dollari. Secondo Gates, infatti, i veicoli del programma non sono adatti agli scenari di guerra asimmetrica, dove la principale minaccia deriva dagli IED (Improvised Explosive Device) e dalle imboscate in ambiente urbano. In effetti, la sopravvivenza dei veicoli dell'FCS avrebbe dovuto essere garantita dalla quasi totale situational awareness, dalla elevata mobilità, dall'ampia autonomia e dalla capacità del sistema nel suo complesso di colpire per primo e con

Confr_Amm__20111117 108 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango precisione. Un concetto adatto a scenari di guerra convenzionale, dove, vista la potenza delle armi impiegate, sarebbe preferibile rinunciare alla pesante corazzatura, comunque insufficiente, in cambio di una maggiore capacità di manovra. Ma la situazione negli attuali teatri d'impiego è ben diversa e, come dimostrato dal successo dei veicoli MRAP (Mine Resistant Ambush Protected), è molto meglio un mezzo lento e facilmente individuabile, ma ben protetto. Al posto dell’FCS, è stato invece lanciato, come ampiamente discusso, il programma GCV.

L’altro elemento fondamentale è stato la riforma del sistema di acquisizione militare. Negli ultimi dieci anni, difatti, il Pentagono si era lanciato in una serie di programmi basati su requisiti troppo futuristici che hanno finito per drenare una quantità enorme di risorse triplicando i costi di acquisizione. Stiamo parlando di alcuni segmenti della difesa antimissile, dell’FCS ecc.., ovvero di programmi che ad un certo punto si sono trovati a punti morti, ma continuando di fatto ad assorbire soldi e risorse.

Per risolvere questi problemi strutturali, non solo, come si è visto, si è deciso di fermare alcuni programmi, ma si è anche deciso di incrementare di ben 20.000 unità il numero del personale addetto al procurement rafforzandone la preparazione e le capacità. Un processo di trasformazione, partito nell’anno fiscale 2010, e che si concluderà nel 2015 e che porterà il totale del personale amministrativo e tecnico addetto alle acquisizioni a 147.000 unità.

Allo stesso tempo, i maggiori programmi saranno soggetti ad una rigorosa valutazione dei requisiti, e partiranno soltanto quando questi saranno definitivamente consolidati, ad un severo vaglio delle diverse alternative ed a periodiche revisioni indipendenti. Inoltre, per rafforzare le capacità di analisi di costo del Pentagono, un’altra decisione importante è stata la piena implementazione del disposto del "Weapons System Acquisition Reform Act” del 2009 che espandeva le capacità e i compiti del neocostituito ufficio per la valutazione dei costi e dei programmi (CAPE, Cost Assessment and Program Evaluation), attivato a livello dell’Office of the Secretary of Defense.

Il processo di ristrutturazione della Difesa americana è stato definitivamente consolidato con la QDR e l’ultimo bilancio, quello per l’anno fiscale 2011.

Confr_Amm__20111117 109 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango Il primo febbraio 2010, il Dipartimento della Difesa americano ha reso pubblica la Quadriennial Defense Review 2010 (QDR 2010). Il documento, come le precedenti QDR, ha rappresentato il più profondo e articolato esercizio di revisione della politica di difesa degli Stati Uniti, volto a discutere la strategia di difesa, l’aggiornamento della postura e la loro coerenza con la fetta di bilancio federale allocata al Pentagono, le principali minacce alla sicurezza (contemporanee e future) e l’approntamento delle capacità necessarie per farvi fronte. Il documento ha ribadito, in particolare, la necessità di trovare un compromesso tra la necessità di far fronte alle guerre in corso, massimizzando così l’efficacia nel breve periodo, e le riforme della difesa nel lungo periodo, e di adeguare le istituzioni e le procedure della Difesa alle esigenze strategiche del paese.

Al paradigma della “trasformazione” è subentrato così definitivamente quello della “riforma” e del “ribilanciamento”. In base a questi due nuovi principi, l’organizzazione e la struttura delle forze, così come la dottrina, e le modalità di procurement, sono state ristrutturate e riorientate, nell’ambito di un processo condotto all’insegna della flessibilità e della rapidità di adattamento e di risposta all’evoluzione delle contingenze e della massimizzazione della capacità expeditionary.

Da ciò, la necessità di predisporre uno strumento in grado di agire in maniera incisiva ed agile in conflitti cosiddetti “ibridi”, ovvero, una forza capace di operare sia negli scenari asimmetrici, ma anche in quelli convenzionali. Infatti, nella QDR, non è venuta meno l’esigenza di contrastare efficacemente anche minacce, convenzionali e non, provenienti da attori statuali.

Da un punto di vista strategico, le priorità individuate dalla QDR sono due. La prima, prevalere nei conflitti aperti garantendo la stabilizzazione dell’Afghanistan e dell’Iraq, quella del Pakistan e la continuazione della lotta contro Al Qaida. La seconda, prevenire e scoraggiare nuovi conflitti e quindi far fronte alle imminenti minacce, con riferimento ad attuali o potenziali possessori di armi di distruzione di massa, ed in particolare, a quegli attori che abbiano in corso programmi nucleari per scopi non civili. Lo strumento militare dovrebbe, quindi, essere in grado di prepararsi ad affrontare con successo un ampia tipologia di contingenze, caratterizzate da minacce, asimmetriche e multidimensionali, che richiedono risposte flessibili, nell’ambito di un approccio globale e sinergico.

Confr_Amm__20111117 110 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango Pertanto, rispetto alla postura strategica precedente, con la QDR 2010 l’attenzione non è stata più concentrata sulla capacità di condurre contemporaneamente due guerre distinte, ma sull’esigenza più pressante di far fronte all’estrema variabilità delle minacce, in un’ampia varietà di operazioni diverse (controguerriglia, stabilizzazione, controterrorismo e antiterrorismo).

Le misure per dare concreta attuazione a tale impostazione strategica sono state ricercate nel potenziamento di forze (in particolare SOF) in grado di assicurare capacità di mobilità e che possano essere facilmente proiettate nei vari teatri operativi ed operare, all’interno di questi, con grande flessibilità, in modo da poter affrontare un ampio spettro di minacce, di diversa intensità e repentinamente mutevoli, e nell’incremento della componente elicotteristica.

Allo stesso tempo non è stata accantonata la difesa antimissile e messa in risalto anche la necessità di predisporre di una first strike capability, (capacità di attacco preventivo contro una potenza nucleare), sviluppando bombe in grado di colpire obiettivi sotterranei.

Per quanto riguarda le acquisizioni e il procurement, le modalità legislative e procedurali di assegnazione delle risorse sono state riviste ed il procurement in generale, ristrutturato, in considerazione della necessità di investire e bilanciare le risorse disponibili seguendo criteri di efficacia ed effettività economica. Come già delineato nel bilancio per l’anno fiscale 2010, sono, dunque, stati predisposti diversi tagli ai programmi di acquisizione, soprattutto quelli che si sono dimostrati troppo onerosi, lunghi e di dubbia utilità nell’immediato. Tali tagli, tuttavia, hanno mirato alla riduzione degli sprechi ed alla razionalizzazione complessiva dello strumento militare con l’attenzione sui progetti e sull’acquisto di mezzi ed equipaggiamenti che, all’insegna del pragmatismo, fossero rispondenti alle doti di flessibilità ed impiegabilità richieste negli scenari asimmetrici, pur non a detrimento delle necessità di protezione del personale (con l’acquisto, ad esempio, di numerosissimi veicoli MRAP, Mine Resistant Ambush Protected).

Con il bilancio per l’anno fiscale 2011, ci si è mossi sulla stessa lunghezza d’onda.

La richiesta complessiva del Segretario alla Difesa Gates è stata di 708,2 miliardi di dollari. 548,9 miliardi dollari di budget ordinario, contro i 530,7 miliardi dell’anno precedente

Confr_Amm__20111117 111 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango (+1,8% in termini reali), a cui vanno aggiunti 159,3 miliardi di dollari per il finanziamento delle operazioni di guerra. I criteri ispiratori sono stati i medesimi, ovvero quelli del bilanciamento, di una maggiore efficienza nel procurement e di un occhio più attento al personale. In tema di bilanciamento è stata incrementata l’attenzione destinata al rafforzamento delle capacità da dispiegare in supporto alle truppe impegnate negli attuali scenari bellici. Sono stati così stanziati 9,6 miliardi dollari per l’acquisto di elicotteri UH-60 Blackhawk, CH-47 Chinook, MH-60R/S SeaHawk e di altri convertiplani V-22 Osprey. Con queste nuove piattaforme verranno create due nuove Combat Aviation Brigade (CAB) da impiegare in teatro. Sono stati inoltre incrementati i 426 milioni di dollari già stanziati nel 2010 per l’addestramento e la preparazione dei piloti. A questi fondi bisogna poi aggiungere 2,6 miliardi per le capacità di intelligence e ricognizione e 6,3 miliardi di dollari per le forze speciali (il 6% in più rispetto al 2010), una parte dei quali dovrà sostenere l’espansione degli organici di 2.800 unità.

Per quanto riguarda i programmi di acquisizione, invece, nel settore aeronautico la parte del leone l’ha fatta l’F-35 che ha ricevuto 10,7 miliardi di euro, necessari per finanziarie l’acquisizione di 42 velivoli. La cancellazione del secondo motore è stata confermata. Quasi 4 miliardi di dollari sono stati stanziati per l’acquisto di altri 22 caccia multiruolo Super Hornet e 12 aerei da guerra elettronica E/A-18G Growler. Una particolare menzione meritano i 200 milioni di dollari stanziati per lo sviluppo di un futuro bombardiere strategico – in totale per il programma sono già stati allocati 1,7 miliardi di dollari nei prossimi quattro anni – che dovrà sostituire i B-52.

Si tratterà di un velivolo pilotato o non pilotato, a seconda delle missioni.

In campo navale sono stati stanziati i fondi per garantire l’acquisizione di nove navi quest’anno e sono state fatte le previsioni per acquisirne altre 40 fino all’anno fiscale 2015. In particolare, i fondi garantiscono la costruzione di due cacciatorpediniere DDG-51 Arleigh Burke, due sottomarini nucleari d’attacco classe Virginia, due LCS (Litoral Combat Ship), una nave d’assalto anfibio, due catamarani veloci per compiti logistici ed una piattaforma mobile galleggiante, sempre per compiti logistici.

Confr_Amm__20111117 112 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango In campo terrestre, sono stati stanziati 3,2 miliardi di dollari per il programma Brigade Combat Team (BCT) Modernization e i fondi necessari per iniziare lo sviluppo del GCV.

Probabilmente, questo trend all’insegna del bilanciamento e della razionalizzazione, è destinato ad accentuarsi nei prossimi anni. Anche perché, nel frattempo, per affrontare la grave crisi economica il Presidente Obama ha annunciato misure senza precedenti per arrivare alla riduzione, in 12 anni, di 4.000 miliardi di dollari del deficit federale.

A farne le spese sarà anche la Difesa, come già delineato nella richiesta dell’amministrazione per l’anno fiscale 2012. Questa prevede una spesa per il DoD di 676 miliardi di dollari (3% in più rispetto al 2011), di cui 118 miliardi per le operazioni all’estero (27% in meno rispetto al 2011), di cui 111 per l’Afghanistan e 7 per l’Iraq. L’elemento più importante è tuttavia la cosiddetta “strategia di efficienza” contenuta nella richiesta che prevede dei risparmi nel settore della Difesa, nei prossimi anni, pari a 178 miliardi di dollari. Di questi, 100 miliardi dovrebbero essere reinvestiti in programmi ad alta priorità, il resto saranno tagli netti.

C’è da aggiungere il fatto che se i risparmi per i 100 miliardi non si materializzeranno, il futuro di alcuni di quei programmi ad alta priorità di cui sopra sarà a rischio. Nel settore terrestre, uno per tutti il JLTV e, in misura minore, lo stesso GCV. Peraltro proprio nel settore terrestre, la richiesta per l’anno fiscale 2012 ha portato alla principale novità, ovvero alla cancellazione del programma dei Marines EFV (Expeditioary Fighting Vehicle).

Confr_Amm__20111117 113 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango

4.2 La faccia del realismo: i “grossi” e pesanti MRAP

Al di là della crisi economica, una delle principali cause del ribilanciamento dello strumento militare americano è stato il decennale impegno bellico all’estero. Questo, oltre alle spese per il personale e per il mantenimento in efficienza dei mezzi, ha portato a dei costi extra non preventivabili/preventivati negli anni Novanta che sono andati ad impattare sui programmi incentrati sulla trasformazione e sugli scenari a più elevato carattere convenzionale.

E’ il caso dell’FCS (Future Combat System).

Alla fine questo è stato cancellato in nome delle contingenze irachena ed afghana e del bisogno di mezzi più “rustici” e pesanti in grado di salvare le vite. Le avveniristiche piattaforme dell’FCS hanno così lasciato il posto ai MRAP (Mine Resistant Ambush Protected), più idonei ad affrontare la minaccia degli IED. Il programma MRAP è partito nel 2006, quando il Pentagono ha dato avvio all’acquisizione urgente di veicoli “super- protetti” per le Forze Armate americane con l'intento di affiancare e poi sostituire gli Humvee Up Armored nel più breve tempo possibile.

Da allora il programma MRAP si è rapidamente ampliato fino alla complessiva acquisizione di un totale di circa 22.000 esemplari per una cifra che, tutto compreso, ha alla fine superato i 30 miliardi di dollari. L'US Army ha infatti deciso di ampliare la propria flotta dai 2.300 mezzi inizialmente previsti a ben 17.700, mentre l'US Marine Corps si è “accontentato” di 3.700 veicoli.

I veicoli MRAP sono stati originariamente progettati come sistemi destinati ai reparti EOD e, come tali, concepiti per resistere ad esplosioni anche di elevata potenza. A prescindere dal modello, i sistemi MRAP sono caratterizzati da una cellula corazzata con scafo a “V” in grado di deflettere gran parte dell'energia generata dall'esplosione garantendo così l'integrità dell'abitacolo. È proprio il design della cellula a fare la differenza tra un MRAP e un qualsiasi altro veicolo corazzato. Infatti, per quanto protetti, i mezzi a scafo piatto offrono all'impatto dell’esplosione una superficie troppo ampia e tendono a spaccarsi sotto la pressione dell'onda d'urto. Inoltre, anche nel caso resistano all'esplosione e alle

Confr_Amm__20111117 114 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango schegge, l'energia trasferita all'interno dell'abitacolo è spesso tale da provocare gravi danni agli occupanti, soprattutto per quanto riguarda gli arti inferiori. Questa architettura, dunque, con i MRAP è stata radicalmente cambiata a tutto vantaggio della sicurezza, laddove le possibilità di sopravvivenza ad un IED del personale a bordo di un MRAP si sono rivelate di ben 300 volte superiori a quelle offerte da un Humvee Up Armored.

I veicoli MRAP impiegano telai di veicoli pesanti (generalmente di derivazione commerciale) e montano ruote speciali con pneumatici alti, così da aumentare quanto più possibile la distanza da terra per favorire ulteriormente il dissipamento dell'energia dell'esplosione. Inoltre, equipaggiamenti, materiali e sistemi vengono quasi tutti collocati in appositi vani posti all'esterno della cellula protetta, in modo da rimuovere dall’interno degli abitacoli un’ulteriore fonte di schegge in caso di esplosioni. A dire il vero, questa scelta sarebbe stata comunque obbligata data la necessità di risparmiare quanto più spazio possibile nell'abitacolo che, rispetto agli interni di qualsiasi veicolo di dimensioni paragonabili, è piuttosto angusto.

I veicoli MRAP sono stati suddivisi dal Pentagono in tre categorie.

- La prima (Category I) comprende i mezzi più piccoli destinati ad operazioni di pattugliamento, ricognizione e comando e controllo. Questi veicoli sono in grado di trasportare sei o più persone (conduttore incluso) e sono i più indicati per le operazioni in ambiente urbano, dove i più ingombranti mezzi di categoria superiore avrebbero difficoltà a manovrare.

- Alla seconda (Category II) appartengono i veicoli in grado di trasportare 10 o più persone destinati principalmente alla scorta dei convogli, al trasporto truppe e all'evacuazione medica.

- La terza categoria (Category III) è, infine, composta dai mezzi equipaggiati per le operazioni di bonifica delle vie di comunicazione da mine, IED e UXO (ordigni inesplosi). Ovvero i cosiddetti veicoli per il “route clearing”. Questi ultimi non costituiscono tuttavia veri e propri sistemi di sminamento, in quanto non sono in grado di bonificare rapidamente ampie aree, ma possono comunque rimuovere uno per uno gli ordigni individuati.

Confr_Amm__20111117 115 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango Dei veicoli sono stati acquistati svariati modelli. Tanto per fare alcuni nomi: il Cougar, il Maxxpro e l’RG-33.

A spingere il Pentagono ad acquistare un numero così elevato di modelli diversi è stata l'urgenza dovuta alle tante perdite subite nei teatri. Infatti, più che sulle specifiche caratteristiche offerte dai sistemi, si è puntato sulla capacità produttiva delle aziende, ed alla fine è stato necessario selezionarle quasi tutte per poter dispiegare in teatro le previste migliaia di veicoli MRAP nel più breve tempo possibile.

Questa scelta, seppure obbligata, ha però creato alcune difficoltà logistiche, legate alla disomogeneità delle parti di rispetto e alle necessariamente diverse procedure di installazione e configurazione dei sistemi di bordo (effettuata presso lo Space and Naval Warfare Systems Center di Charleston, South Carolina). A ciò bisogna aggiungere la vera e propria gara scatenatasi tra le aziende per accaparrarsi le forniture di acciaio balistico. Un problema che nel 2007 ha assunto dimensioni tali da costringere il Pentagono a sospendere la regola che imponeva ai propri fornitori di impiegare solo acciaio balistico prodotto negli Stati Uniti, anche perché il programma MRAP saturava i canali di approvvigionamento dell'acciaio mettendo in difficoltà anche altri programmi quali lo Stryker, il Bradley e il Frag Kit 6 (quest’ultimo il programma per la fornitura di corazzature aggiuntive per i veicoli Humvee).

Queste problematiche hanno fatto il paio con i costi altissimi di immissione in teatro. Mediamente, attraverso C-5 e C-17, è possibile trasportare in teatro solo 360 MRAP al mese, mentre per via navale, i veicoli sono molto spesso risultati troppo pesanti per la maggior parte delle navi della flotta da trasporto dell’US Navy. Questo ha costretto ad adottare soluzioni alternative quali il noleggio di Anononv-124 da compagnie private dell’est Europa o il noleggio di navi cargo che, però, appunto hanno fatto lievitare ulteriormente i costi.

Ecco perché alla fine, la contingenza ha imposto allo strumento americano un prezzo che poteva essere pagato solo rallentando la modernizzazione e la trasformazione.

Confr_Amm__20111117 116 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango

4.3 Bilanciamento e ridimensionamento in Europa

La crisi e gli impegni nei teatri bellici ha avuto pesanti ripercussioni anche in Europa. Nel Vecchio Continente, tutti e quattro i maggiori paesi sono stati costretti a rivedere i programmi a tagliare le spese e a ridimensionare lo strumento. Questa tendenza è stata più accentuata in alcuni paesi, Regno Unito e Germania, mentre in altri, come la Francia, si è riusciti a contenere i tagli. L’Italia, in questo quadro, merita un discorso a parte. Negli ultimi bilanci della Difesa, infatti, i tagli sono stati tutto sommato contenuti e, addirittura, grazie ai fondi del bilancio ordinario, è stato possibile anche avviare nuovi programmi. Uno per tutti, nel settore terrestre, lo sviluppo della nuova blindo Centauro II.

Le ragioni dietro queste scelte in controtendenza riguardano semplicemente il fatto che, in Italia, non era possibile oggettivamente ridurre ulteriormente le spese per la Difesa, in netto declino già dal 2000, e portarle al di sotto della mera quota sopravvivenza rappresentata dallo 0,9% del PIL.

Venendo agli altri paesi europei, come si diceva, la Francia è quella che sembra aver contenuto meglio degli altri gli effetti della crisi. Tra il 2011 ed il 2013 sono stati previsti tagli, per lo più effetto di razionalizzazioni e risparmi e della cartolarizzazione di beni immobili e frequenze telefoniche appartenenti alla Difesa, pari a 3,5 miliardi di euro. I maggiori programmi di ammodernamento non dovrebbero subire ridimensionamenti, fatta eccezione per la posticipazione dell’ammodernamento della flotta di Mirage 2000 D, l’adeguamento della componente da rifornimento in volo e, nel settore terrestre, il differimento temporale di alcune componenti del programma Scorpion.

Tolta la Francia, in Germania e nel Regno Unito, il ribilanciamento è stato più evidente assumendo i tratti di vero e proprio ridimensionamento. In Germania, addirittura, la crisi ha portato alla rivoluzionaria decisione di abolire il sistema di reclutamento misto ed al passaggio a Forze Armate interamente professionali. Un passaggio epocale, accompagnato dalla riduzione degli organici del Bundeswehr da 235.000 a 185.000 (170.000 uomini, compresi i riservisti, e 5/15.000 volontari a ferma breve) uomini e del personale civile da 75.000 a 55.000 unità (lo stesso Ministero della Difesa vedrà il proprio personale scendere da 3.500 unità a 2.000 unità).

Confr_Amm__20111117 117 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango Tagli sono stati previsti anche alle spese di procurement, anche se al momento non è chiaro quali saranno i programmi a subire le maggiori conseguenze. Si è parlato, in particolare, della diminuzione degli ordinativi dell’aereo da trasporto A400M di 13 esemplari, così come del mancato esercizio dell’opzione per la Tranche 3B dei caccia Eurofighter. In generale tra il 2011 ed il 2014, alla Difesa tedesca verranno ridotti i finanziamenti per un importo superiore agli otto miliardi di euro.

Questo processo cambierà decisamente la faccia dell’Esercito tedesco. Qualora, infatti, la riforma non subisca variazioni e sia implementata completamente, la tradizionale struttura di esercito stanziale e basato sulle difesa territoriale cederà definitivamente il passo ad una struttura più agile e flessibile e dispiegabile. A tal proposito, la riforma prevede il deciso aumento della componente impiegabile all’estero, attualmente basata su 8.000 unità, e che dovrebbe raddoppiare a 14.000, per far fronte agli impegni internazionali e la chiusura di numerose basi ed installazioni.

Tuttavia, gli organici dell’Esercito potrebbero scendere fino a 65/70.000 unità contro le 98.000 di oggi. Si cercherà pertanto di ridimensionare l’apparato burocratico delle FA, accorpando enti e strutture, di razionalizzare e liberare così delle risorse da riutilizzare in parte per far crescere e consolidare la componente operativa pura.

Da un punto di vista organizzativo, non è ancora chiaro con quale struttura l’Esercito tedesco uscirà da questo processo di ridimensionamento. Al momento in cui scriviamo, si parla della riformulazione della struttura in un’articolazione su sei brigate “multiruolo”, ciascuna dotata di un elemento d’assalto aereo, con una componente elicotteristica di supporto, un battaglione di paracadutisti ed un reggimento di fanteria leggera. Peraltro, nell’ottica di razionalizzazione appena esaminata, l’Esercito perderà la componente utility pesante, basata sugli elicotteri CH-53, a favore della Luftwaffe, mantenendo la componente d’attacco su elicotteri Tigre.

Questi ultimi verranno ridotti da 80 a 40 e basati su una sola unità. L’Esercito, però, avrà in compenso tutti gli NH90, che originariamente dovevano essere operati sia dall’Esercito che dall’Aeronautica, anche se questi passeranno da 122 a 80 esemplari, suddivisi in due componenti.

Confr_Amm__20111117 118 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango Dove gli scenari sono già molto chiari è nel Regno Unito.

Qui la SSDR (Strategic and Security Defense Review) dello scorso autunno è stata chiara nel delineare il nuovo corso della politica estera e di sicurezza britannica, così come il nuovo volto delle FA. Con questo documento, il Governo britannico ha compiuto un’autentica scommessa. Non si sa quanto davvero voluta e quanto semplicemente imposta dagli effetti della crisi e dalle restrizioni economiche.

La scommessa sta tutta nell’immaginare un’evoluzione degli scenari nei prossimi 4/20 anni, tutta segnata dalla minaccia del terrorismo e dai rischi derivanti da eventuali cyber- attacchi. Nel dettaglio, il documento ha delineato un quadro contraddistinto da una scala di priorità con al primo posto il rischio di terrorismo e di attacchi cibernetici, appunto, assieme a instabilità internazionale e disastri naturali, e, al secondo posto, scenari legati ad eventuali attacchi con WMD al territorio britannico, o al territorio dei possedimenti d’oltremare. Solo come ultima priorità si è fatto riferimento a uno scenario convenzionale classico, ovvero di conflitto su larga scala con un altro stato (theater war).

In definitiva, il Regno Unito ritiene che da qui a 20 anni, la minaccia principale sarà il terrorismo, compreso quello in forma cyber, e l’instabilità internazionale dovuta al fallimento delle compagini statuali in alcune aree del sistema internazionale. Nessun riferimento a potenze emergenti o a conflitti regionali, come quello delle Falkland nel 1982, o come la stessa prima fase della guerra in Iraq nel 2003.

E’ la prima volta, dunque, che una grande potenza come il Regno Unito abbandona l’ipotesi di un conflitto convenzionale su larga scala, condotto con le sole risorse nazionali.

Se lo scenario è questo, allora, le FA britanniche saranno chiamate ad operare nei prossimi anni esclusivamente nell’ambito di coalizioni internazionali strutturate, NATO o UE, o nell’ambito di coalizione ad hoc, a fianco del principale alleato che restano gli USA.

Lo strumento militare verrà rimodellato di conseguenza secondo criteri ispirati a maggiore flessibilità e jointness. Sarà più snello e spendibile, maggiormente proiettabile e “plug-in” nel dispositivo militare americano. Questo passaggio sarà accompagnato da una riduzione degli effettivi molto consistente.

Confr_Amm__20111117 119 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango

Nei prossimi dieci anni, le Forze Armate di Sua Maestà si ridurranno di 17 mila soldati facendo scendere il totale a 175 mila, meno di quanti ne abbia oggi l’Italia e il corpo dei Marines statunitense. La Difesa dovrà fare a meno anche di 25 mila dipendenti civili mentre per quanto riguarda le nuove acquisizioni diversi programmi subiranno ridimensionamenti o addirittura la cancellazione.

In generale, le spese per il procurement verranno ridotte del 18% nei prossimi anni.

Il British Army vedrà una consistente riduzione degli organici, pari a 7.000 unità. La sua forza complessiva verrà ridotta a 95.000 unità, con un processo calibrato in base alla rimodulazione dell’impegno in Afghanistan e che entrerà nel vivo proprio in concomitanza con l’avvio del ritiro del contingente britannico. Entro il 2020, vi potrebbe essere un’ulteriore riduzione di altre 1.000 unità. A regime, il nuovo British Army sarà strutturato su sei brigate: cinque multiruolo (una delle attuali brigate verrà a tal proposito tagliata), più la 16ª Air Assault Brigade. Per quanto riguarda le cinque nuove brigate multiruolo, una avrà un alto livello di prontezza d’intervento e sarà proiettabile e supportabile per lunghi periodi di tempo in ogni scenario del globo. Ciascuna unità avrà un organico di 6.500 uomini e sarà articolata su un elemento da ricognizione, uno di fanteria leggera e uno meccanizzato/pesante, ovvero su “task group” multi-specialità e multi-capacità. Il concetto è quello della struttura “building-block”, secondo la quale è essenziale avere ampia libertà di scelta per la composizione e la dimensione delle forze da dispiegare, senza per questo ricorrere alle componenti di altre unità dell’Esercito.

In questo, appare evidente il drastico ridimensionamento rispetto agli anni passati quando, per esempio in Iraqi Freedom, il Regno Unito era in grado di mettere in campo una forza “d’invasione” di oltre 60.000 uomini di cui oltre 20.000 operativi. Di fatto, con la nuova SDR gli inglesi hanno riconosciuto come la stessa Iraqi Freedom abbia rappresentato l’ultimo esempio di conflitto convenzionale.

La 16ª Brigata d’Assalto Aereo verrà mantenuta insieme alle sue unità di supporto e addestramento ed alle sue tre pedine di manovra: due battaglioni paracadutisti ed un battaglione d’assalto aereo. Rispetto al passato, l’elemento elicotteristico d’attacco, basato sugli Apache, verrà messo ancora di più a sistema con i Royal Marines. Un altro modo per

Confr_Amm__20111117 120 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango razionalizzare le spese ed ottimizzare l’impiego degli assetti. Delle due attuali divisioni piene, che finora gli inglesi erano in grado di dispiegare (come nel caso di Iraqi Freedom), resteranno solo due strutture di comando, uno rischiarabile ed un altro framework per fini addestrativi, ma dispiegabile all’occorrenza se necessario.

Allo stesso tempo verrà completato il ritiro delle forze ancora di stanza in Germania. L’esercito manterrà inoltre la capacità di comandare operazioni ad alto livello attraverso l’Allied Rapid Reaction Corps (ARRC) in ambito NATO.

Per quanto riguarda le forze corazzate, i carri Challenger 2 verranno tagliati del 40%, 100 unità su 350 per la precisione, e l’artiglieria pesante (gli obici AS90 da 155 mm) di circa il 35%. Da un punto di vista dottrinale, i carri verranno sempre di più usati per compiti di scorta ai convogli anti-IED e come strumento di deterrenza e sempre meno come pedine indipendenti di manovra in scenari di scontri tra grande unità corazzate, ritenuti altamente improbabili. Allo stesso tempo, si cercherà di contenere la riduzione di potenza di fuoco derivante dalla contrazione nel numero dei sistemi a tiro indiretto privilegiando l’acquisizione di munizionamento di precisione, in particolare munizionamento “persistente” di tipo flottante. Munizionamento del genere, infatti, garantisce una diminuzione del livello di danni collaterali, a tutto vantaggio della sostenibilità politica delle missioni fuori aerea.

Oltretutto, livelli di danni collaterali minori tolgono un potente argomento di consenso alle organizzazioni irregolari e di guerriglia. Un altro elemento interessante, riguardo al munizionamento flottante e persistente, è che questo è in grado di garantire la necessaria copertura e sorveglianza remotizzata del terreno, in luogo di quella minore densità operativa sul terreno che la riduzione degli organici delle FA delineata dalla SDR inevitabilmente provocherà, ed un ToT (Time on Target) pari a zero.

Oltre al munizionamento di precisione verranno incrementati i fondi per i sistemi di ricognizione, osservazione e acquisizione obbiettivi e per i sistemi robotizzati.

Analoghi e radicali cambiamenti interesseranno anche la Royal Navy e la RAF. La prima perderà, almeno per 10 anni, la componente di volo imbarcata ad ala fissa, dopo la decisione di mettere a terra tutti gli Harrier, compresi i GR9 di recente ammodernamento,

Confr_Amm__20111117 121 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango e in attesa dell’ingresso in servizio dei JSF. La HMS Ark Royal verrà allora pensionata immediatamente, con tre anni di anticipo rispetto ai programmi, così come una fra la portaelicotteri HMS Ocean o l’altra portaerei leggera HMS Illustrious.

Al termine di uno studio ad hoc verrà mantenuta quella che offrirà le migliori garanzie, ma questa verrà utilizzata esclusivamente come portaelicotteri. Le due nuove portaerei CVF, HMS Queen Elizabeth (attualmente in costruzione) e HMS Prince of Wales, saranno ambedue realizzate (annullare la costruzione di una o di entrambe sarebbe stato più costoso per le eventuali penali ed avrebbe comportato un elevato costo sociale).

La prima entrerà in servizio come portaelicotteri nel 2016 e sarà posta in riserva e disponibile per la vendita quando, nel 2020, farà il suo ingresso in servizio la HMS Prince of Wales, non però nella configurazione inizialmente prevista con ski-jump per utilizzare il caccia F-35B (versione a decollo corto e atterraggio verticale - STOVL, variante più costosa e meno prestante dell'aereo), bensì con catapulte per permettere l'utilizzo della versione da portaerei del velivolo. A tal proposito, il Regno Unito ha deciso di ridurre drasticamente gli ordini per i caccia JSF, da 150 a soli 40 esemplari. La Prince of Wales potrà comunque imbarcare velivoli statunitensi e francesi in base a una cooperazione ancora da definire con Parigi e Washington e dettata più da esigenze finanziarie che da valutazioni di opportunità strategica relative alla effettiva volontà di operare esclusivamente nell’ambito di coalizioni internazionali.

Drastici i cambiamenti anche per la RAF. Degli Harrier abbiamo già detto. Una volta completate le operazioni in Afghanistan, verranno poi radiati anche gli ultimi Tornado. Nei prossimi anni, pertanto, la RAF avrà una doppia linea su JSF, tutti in versione da portaerei (una scelta, quella della RAF, dettata da un’evidente intento di jointness dominance…), ed Eurofighter. Come abbiamo visto, gli ordini per i JSF subiranno una pesantissima contrazione, mentre quelli per gli EFA saranno di minore entità. L’Eurofighter, però, evolverà a tutti gli effetti in aereo multiruolo a differenza, invece, di quanto accadrà in Italia dove le capacità dell’Eurofighter saranno limitate alle operazioni di superiorità aerea.

La nuova SDSR rischia veramente di cambiare il volto alle FA britanniche. Per 10 anni, la Royal Navy, padrona dei mari per secoli, non avrà portaerei e quando la Prince of Wales sarà disponibile, questa sarà di fatto “condivisa” con americani e francesi.

Confr_Amm__20111117 122 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango

Si dirà che gli inglesi hanno coraggiosamente preso atto dei nuovi scenari internazionali che, difficilmente, presenteranno contingenze convenzionali maggiori e, dunque, che ogni impegno internazionale verrà preso per fronteggiare conflitti a bassa intensità militare nell’ambito di coalizioni internazionali.

In realtà, vi sono tutta una serie di problematiche da mettere in rilievo.

La prima, e la più ovvia, è che potrebbe anche non essere così, e che non è detto che nei prossimi 20 anni non debba ripresentarsi una guerra di teatro convenzionale. Ma anche se veramente gli scenari dovessero evolvere secondo quanto immaginato dalla SDSR, il Regno Unito perderebbe lo stesso una parte significativa delle proprie capacità militari, con gravi ripercussioni sullo status internazionale.

Probabilmente, il Regno Unito si appresta, esattamente come accaduto dopo la Seconda Guerra Mondiale, ad accettare un deliberato ridimensionamento del proprio ruolo sul piano globale. Londra sarà sempre di più una potenza regionale come tante altre che, per mantenere un residuo di capacità di influenza globale, potrà contare solo sul proprio seggio permanente al Consiglio di Sicurezza dell’ONU - ma in questo caso una riforma del Consiglio che, prima poi, dovrà esserci, indebolirà anche questo potere residuale - sul proprio “potenziale” di coalizione in ambito NATO o UE.

L’altra considerazione da fare riguarda invece gli effetti della partecipazione del Regno Unito alla guerra globale al terrorismo. Nove anni di impegno militare in Iraq ed Afghanistan hanno, di fatto, comportato un sacrificio economico alla lunga insostenibile. Per finanziarie e mantenere fede a questo impegno, Londra è stata costretta per anni a ricorrere a politiche di “deficit spending”, ma adesso, un rapporto deficit/PIL cresciuto ad oltre l’11%, ha costretto ad un taglio deciso delle spese che, come abbiamo visto, comporterà un rallentamento della modernizzazione, come in parte è accaduto anche per gli USA, ma anche il cambiamento delle linee guida dello strumento militare con il suo riallineamento a quello di una “qualunque” media potenza regionale.

Confr_Amm__20111117 123 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango

Conclusioni e valutazioni 5

5.1 Bilanciamento o ridimensionamento?

Alla fine il grande problema emerso da questo lavoro è se la crisi economica, e lo sforzo finanziario sostenuto per la GWOT, abbiano portato ad un vero ridimensionamento del processo di ammodernamento degli strumenti militari occidentali. Ad un primo esame la risposta sembrerebbe affermativa. Negli USA, sono stati cancellati programmi importanti come l’FCS o, nel settore aereo, altri sono stati profondamente ridimensionati, è il caso dell’F-22 o dello stesso JSF. Allo stesso tempo si è investito molto sul contingente, vedi il caso dei veicoli MRAP, e sul rafforzamento delle capacità elicotteristiche, in particolare nel settore utility.

Nella realtà, il processo di ammodernamento non si è ridimensionato. Nel settore terrestre non c’è più l’FCS, certamente, ma gli americani stanno realizzando lo stesso un’infrastruttura network-centrica senza eguali in grado di portare alla condivisione da parte di qualsiasi utente di enormi volumi di dati in tempo reale. Una vera e propria bolla informativa estesa a tutto il campo di battaglia in grado di permettere, realmente, di vedere per primi, colpire per primi e valutare per primi e che costituisce pertanto il moltiplicatore di forze vera ed effettivo dei prossimi 50 anni di conflitti bellici.

In generale, fa impressione leggere che, per l’anno fiscale 2012, gli USA spenderanno ancora 75 miliardi di dollari in ricerca sviluppo militare e ed altri 60 miliardi di dollari per programmi “black”. Un totale di 135 miliardi di dollari che costiuiscono l’intero bilancio della Difesa dei primi quattro grandi paesi europei messi assieme. Diventa, allora difficile parlare di ridimensionamento. Ad essere stata ridimensionata, semmai, è quella concezione un po’ avveniristica della trasformazione, il cui apice è stato raggiunto durante l’amministrazione Bush con Donald Rumsfeld alla Difesa, secondo la quale la guerra del Confr_Amm__20111117 124 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango futuro sarebbe stata una sorta di confronto hi-tech a bassi costi umani e in cui l’apporto della dimensione tecnologica sarebbe stato di gran lunga superiore rispetto all’apporto dei tradizionali valori umani e morali dell’arte della guerra. In quegli anni, lo schema privilegiato di confronto bellico prevedeva l’uso di contingenti di terra molto ridotti e basati su forze speciali, o comunque su forze leggere, supporto di fuoco garantito soprattutto dal potere aereo e information dominance. Ed è per l’appunto, questo, lo schema che è stato utilizzato nella prima fase dell’operazione Endurign Freedom che portò alla caduta del regime talebano in Afghanistan. Oggi, di questo schema concettuale resta solo l’estremo dell’information dominance. Gli altri due estremi, quello del potere aereo e dei contingenti light, sono stati ricondotti nel normale alveo della strategia militare, senza nessun sovrappiù avveniristico e salvifico, dopo il bagno di realismo e pragmatismo a cui ha costretto il duro impegno di stabilizzazione in Afghanistan e in Iraq.

Se spostiamo il discorso sui principali paesi europei, i discorsi da fare cambiano. Probabilmente, in Europa, dove già si spendeva per la Difesa molto meno che negli Stati Uniti, la crisi e gli impegni internazionali rischiano veramente di ridimensionare il processo di trasformazione. A tal proposito la SDSR del 2010 è stata chiara nel delineare il ridimensionamento delle ambizioni britanniche ed il conseguente ridimensionamento dello strumento militare. Allo stesso tempo, il documento ha indicato con altrettanta chiarezza la strada da percorrere, ovvero quella della specializzazione e del selettivo investimento su alcune capacità ritenute “core”. In Germania, se la riforma attualmente allo studio verrà attuata interamente, c’è il rischio che l’Esercito veda i propri organici ridursi a circa 70.000 uomini, portandosi su livelli di paesi europei di secondo rango. In Francia la situazione è migliore, almeno per ora, mentre in Italia, la Difesa, come si suol dire, “aveva già dato”.

Non c’è da stupirsi, pertanto, se ridimensionamenti e sacrifici, alla fine, porteranno veramente alla creazione di un primo, vero, embrione di Europa della Difesa. Inglesi e francesi stanno attivamente lavorando in questa direzione. L’accordo di cooperazione strategica e militare firmato nel 2010 potrebbe costituire un primo vero tassello del futuro edificio della Difesa europea e segnala la volontà di mettere a fattor comune le risorse in un’epoca in cui queste tendono a diminuire. In questa sede resta solo da auspicare che il nostro, ed altri paesi, si associno al più presto a questa iniziativa.

Confr_Amm__20111117 125 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango

5.2 Il futuro della superiorità occidentale sul Mondo

L’ultimo problema è capire se con la situazione attuale ha ancora senso parlare di superiorità occidentale sul mondo. Secondo le teorie e il pensiero che vanno oggi per la maggiore, la risposta è scontata. L’Occidente è irrimediabilmente vicino al capolinea e presto verrà superato da altri paesi. Cina, India, Brasile ecc.. Tutti paesi spinti in avanti da tassi di crescita di cinque/sei volte superiori a quelli mediamente registrati in Europa negli ultimi anni. Resta, però il fatto che questi paesi sono ancora tecnologicamente e militarmente indietro “anni luce” rispetto agli USA e ai paesi occidentali in generale. Molto spesso, questo gran parlare, per esempio, di Cina non ha alcun senso e, soprattutto, non è sostenibile empiricamente.

Il meglio che l’industria bellica cinese oggi riesce a produrre sono tutte (brutte) copie di sistemi o apparati russi o occidentali. Ad oggi, questa industria non ha ancora maturato capacità di ingegnerizzazione e progettazione autonome e continua a basarsi sul reverse engineering. In tutta una serie di settori – motoristica, nuovi materiali, elettronica – è indietro 30 anni rispetto all’Occidente. Si pensi che sui DDG di punta della futura flotta, i Type 052D Luyang III (moderni caccia stealth con sistemi “Aegis”…), la Cina è stata costretta a tornare alla propulsione a vapore considerato che ancora non è in grado di produrre turbine a gas e quelle d’importazione ucraina hanno mostrato problemi di vario tipo. In generale, ancora oggi la Cina è costretta ad importare dalla Russia, che già rispetto all’Occidente è molto indietro nell’elettronica e sistemistica, tecnologie di punta da adottare poi sulle piattaforme di produzione locali. Accade così per i motori degli aerei, per i radar ecc. Lo stesso progetto dei nuovi sottomarini nucleari, senza il decisivo apporto dell’ufficio di progettazione russa Rubin, sarebbe rimasto al palo.

Se prendiamo l’altro grande in ascesa, l’India, il discorso non cambia. In 30 anni, l’industria indiana non è stata in grado di produrre un carro da battaglia. L’Arjun si è rivelato un progetto fallimentare che alla fine ha costretto il Paese ad acquistare 2.000 T-90 che, certo, non rappresentano un’eccellenza nel settore dei carri, soprattutto se paragonati a Leopard 2 o Abrams M1A2.

Confr_Amm__20111117 126 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango Altri progetti hanno fatto più o meno la stessa fine e, in altri, è decisivo l’apporto occidentale. E’ così per il nuovo caccia leggero “nazionale” e la nuova portaerei “nazionale”, figlia quest’ultima dell’apporto ingegneristico dell’italiana Fincantieri, mentre il nuovo caccia sarà europeo. Anche in questo caso, il grande problema di fondo riguarda le capacità di progettazione e di ingegnerizzazione che ancora difettano e che impediscono all’industria “nazionale” di diventare realmente autonoma. Un paradosso enorme per un’industria comunque molto avanti in alcuni campi dell’elettronica e delle tecnologie dell’informazione.

Se questo allora è il quadro, l’Occidente, pur ridimensionato e nonostante tutte le criticità evidenziate, è destinato a giocare un ruolo di egemonia ancora per molti anni a fronte di, lo ripetiamo, potenziali avversari che mancano del semplice fondamentale tecnico: il disegno…

Confr_Amm__20111117 127 Author: Dr. Pietro Batacchi – Edit: T.Col. (A.M.) Monaci ing. Volfango

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Il Centro Militare di Studi Strategici (Ce.Mi.S.S.) e' l'Organismo che gestisce, nell'ambito e per conto del Ministero della Difesa, la ricerca su temi di carattere strategico.

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Quanto contenuto negli studi pubblicati riflette quindi esclusivamente l'opinione del Ricercatore e non quella del Ministero della Difesa.

Pietro Batacchi

Pietro Batacchi è attualmente senior analyst e responsabile del Desk Affari Militari e Sicurezza del CeSI – Centro Studi Internazionali, dopo essere stato in precedenza caporedattore della rivista Panorama Difesa. Da anni collaboratore e consulente sulle questioni politico militari per istituzioni pubbliche e private e per network televisivi, Pietro Batacchi è anche collaboratore di lunga data del CEMISS, nonché

collaboratore delle maggiori riviste di Difesa italiane – RID, Informazioni della Difesa, Rivista arittima e Rivista Militare – e opinionista di quotidiani e siti on-line.

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