Sebastiano Franchella Andrea Franchella Andrea Franchella Sebastiano Franchella

Chirurgia Plastica Pediatrica Chirurgia Plastica Pediatrica

Le malformazioni congenite della faccia e del collo

ISBN 978-88-944190-5-4

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Chirurgia Plastica Pediatrica STAMPA cover.indd 1 17/12/19 19:39 CHIRURGIA PLASTICA PEDIATRICA Le malformazioni congenite della faccia e del collo a Tommaso Franchella Andrea Franchella già Direttore Unità Operativa di Chirurgia Pediatrica, Azienda Ospedaliero Universitaria di Ferrara

Sebastiano Franchella Ricercatore Unità Operativa di Otorinolaringoiatria Azienda Ospedaliera Università di Padova Chirurgia Plastica Pediatrica

Le malformazioni congenite della faccia e del collo OdV

Associazione Ferrarese per lo sviluppo della Chirurgia Pediatrica http://chirurgoebambino.org/

I Edizione 2019 © Edizioni STC Tipografico ISBN 978-88-944190-5-4

È assolutamente vietata la riproduzione totale o parziale di questo libro, così come l’inserimento in circuiti informatici, la trasmissione sotto qualsiasi forma e con qualunque mezzo elettronico, meccanico, attraverso fotocopie, registrazioni o altri metodi, senza il permesso scritto dei titolari del copyright. Hanno collaborato:

Roberto Bovo Manlio Galliè Professore Associato di Audiologia Direttore Unità Operativa di Chirurgia e Foniatria, Unità Operativa Maxillo-Facciale, Azienda Ospedaliero di Otorinolaringoiatria, Azienda Universitaria di Ferrara Ospedaliera Università di Padova (capitolo 3) (capitolo 3) Maria Elena Michelini Alessandra Cazzuffi Direttore f. f. Unità Operativa Dirigente Medico Unità Operativa di Chirurgia Pediatrica, Azienda di Chirurgia Pediatrica, Azienda Ospedaliero Universitaria di Ferrara Ospedaliero Universitaria di Ferrara (capitoli 2, 3, 8) (capitoli 2, 3) Cristian Succi Eleonora Cesca Dirigente Medico Unità Operativa Dirigente Medico Unità Operativa di Chirurgia Pediatrica, Azienda di Chirurgia Pediatrica, Azienda Ospedaliero Universitaria di Ferrara Ospedaliero Universitaria di Ferrara (capitolo 5) (capitolo 8) Claudio Vella Doretta Chendi Dirigente Medico Struttura Complessa già Dirigente Medico Unità Operativa di Chirurgia Pediatrica, Ospedale di Chirurgia Pediatrica, Azienda dei Bambini “V. Buzzi” Milano Ospedaliero Universitaria di Ferrara (capitolo 7) (capitoli 1, 4, 6)

Illustrazioni a cura di: Nicoletta Bertolotti, Doretta Chendi, Sara Marchetto, Valentina Regano, Paola Gonzalez Ruiz, Cristian Succi.

Prefazione

La chirurgia plastica pediatrica ha cominciato ad acquisire una sua autonomia attorno agli anni sessanta del secolo scorso, sviluppandosi in particolare negli ospedali pediatrici dell’Europa e della America del Nord. Nel 1971 è stato pubbli- cato il primo libro consacrato esclusivamente a questa specialità, Plastic Surgery in Infancy and Childhood di John Clark Mustardè. Nel gennaio 2007 ho curato la pubblicazione del Manuale di chirurgia plastica pediatrica a conclusione di un percorso clinico e di ricerca che la chirurgia pedia- trica ferrarese aveva realizzato nel corso di quarant’anni. Questo volume rappresenta una revisione ed un approfondimento in partico- lare della parte dedicata alle malformazioni congenite della faccia e del collo, che costituiscono la maggioranza delle lesioni che alterano l’aspetto del bambino. Sono patologie che richiedono oggi un approccio dedicato come sta avvenendo nel mondo anglosassone dove emergono figure di chirurghi dedicati esclusiva- mente al trattamento delle schisi labio-maxillo-palatine o di medici che si occu- pano quasi esclusivamente di anomalie vascolari. Va quindi sottolineata l’importanza di un approccio multidisciplinare, dove i diversi specialisti danno il loro contributo per il raggiungimento del pieno recu- pero estetico e funzionale del bambino in un distretto, quello cervico facciale, fondamentale per la vita di relazione. Questa esigenza ha reso necessaria l’acquisizione di competenze specifiche in ambito otorinolaringoiatrico, specialità che ha sempre dimostrato rilevanti affini- tà con la chirurgia pediatrica, ed ha avuto, grazie alla disponibilità del Professor Alessandro Martini e dei suoi collaboratori dell’Università di Padova, una rispo- sta competente e precisa. Un sentito ringraziamento a tutti coloro che hanno collaborato alla stesura di questo volume. Ferrara, 29 settembre 2019.

Andrea Franchella

Introduzione

Il libro affronta le problematiche diagnostiche e terapeutiche che la chirurgia pla- stica deve affrontare nel trattamento delle malformazioni congenite della faccia e del collo. Una parte del volume, piuttosto corposa, è dedicata alle labiopalatoschisi, le- sioni in assoluto di più frequente riscontro, dove viene riaffermata la necessità di un approccio multidisciplinare che veda coinvolti diversi specialisti così da poter garantire un percorso ricostruttivo e riabilitativo dalla nascita all’adolescenza. Ampio spazio viene dedicato anche agli emangiomi ed alle anomalie vascolari, anch’essi frequenti, in cui il corretto inquadramento è essenziale ai fini di una te- rapia appropriata. I capitoli relativi ai linfangiomi ed alle lesioni pigmentate, dopo un’introduzione di carattere generale, sono dedicati all’approfondimento delle le- sioni del distretto cervico-facciale. Un capitolo è stato riservato alle orecchie prominenti, mentre i rimanenti af- frontano le tematiche malformative della faccia e del collo nel bambino, descri- vendo le patologie più comuni, ma anche quelle che, seppur rare, vanno ricordate nella diagnostica differenziale. Il volume ha un carattere eminentemente pratico e vuole fornire uno strumen- to di facile consultazione a tutti coloro che si trovano ad affrontare queste mal- formazioni. Ferrara, 29 settembre 2019.

Andrea Franchella, Sebastiano Franchella

Indice

1. Orecchie prominenti...... 15 Introduzione...... 15 Definizione...... 16 Embriologia...... 16 Anatomia chirurgica e semeiotica...... 17 Classificazione delle malformazioni del padiglione...... 21 Criteri terapeutici...... 21 Alternative alla correzione chirurgica...... 22 Correzione chirurgica delle orecchie prominenti...... 23 Bibliografia...... 43

2. Schisi labio-maxillo-palatine...... 47 Definizione...... 47 Epidemiologia...... 47 Eziopatogenesi...... 48 Embriologia...... 51 Classificazione delle schisi oro-facciali...... 54 Caratteristiche morfologiche delle schisi oro-facciali...... 56 Gestione multidisciplinare del bambino affetto da labiopalatoschisi...... 60 Timing chirurgico...... 66 Correzione della schisi unilaterale del labbro...... 67 Tecniche chirurgiche...... 68 Correzione della schisi bilaterale del labbro...... 77 Tecniche chirurgiche...... 78 Correzione chirurgica della schisi del palato...... 82 Tecniche chirurgiche...... 84 Correzione della schisi alveolare...... 94 Sequenza di Pierre Robin...... 98 Bibliografia...... 103

3. Labiopalatoschisi, chirurgia secondaria...... 105 Introduzione...... 105 Deformità secondarie del labbro...... 106 Fistole oro-nasali...... 111 Insufficienza velo-faringea...... 113 Iposviluppo del mascellare e chirurgia ortognatica...... 119 Disturbi della funzione uditiva...... 122 Chirurgia secondaria delle deformità nasali...... 127 Bibliografia...... 132

4. Malformazioni del cavo orale...... 133 Frenulo linguale corto...... 133 Frenulo labiale superiore breve...... 135 Frenuli laterali del labbro superiore...... 137 Mucocele e ranula...... 138 Epulide...... 139 Coristomi...... 140 Bibliografia...... 142

5. Cisti, seni e fistole del collo e della faccia...... 145 Cisti del dotto tireoglosso...... 145 Cisti, seni e fistole branchiali...... 150 Residui cartilaginei...... 160 Cisti dermoidi ed epidermoidi...... 160 Teratomi...... 163 Cisti, fistole, seni preauricolari...... 163 Appendici auricolari...... 166 Bibliografia...... 167

6. Emangiomi ed anomalie vascolari cervico-facciali...... 169 Introduzione...... 169 Tumori vascolari...... 171 Malformazioni vascolari semplici...... 190 Sindromi malformative complesse...... 205 Bibliografia...... 210 7. Linfangiomi del capo e del collo...... 213 Definizione...... 213 Classificazione...... 213 Presentazione clinica...... 215 Diagnosi...... 216 Istopatologia...... 218 Trattamento...... 218 Bibliografia...... 223

8. Lesioni pigmentate della faccia e del collo...... 225 Introduzione...... 225 Nevi melanocitici...... 225 Nevi sebacei...... 230 Tecniche chirurgiche nel trattamento delle lesioni pigmentate...... 233 Bibliografia...... 236

1. Orecchie prominenti

Introduzione

Nella razza caucasica l’incidenza di orecchie prominenti come patologia isolata è calcolata pari al 5% e prevalentemente ha espressione bilaterale. La condizione di “normalità” del padiglione auricolare deve essere considerata in rapporto non solo alla rimanente architettura del volto e del cranio ma anche alla “personalità” del piccolo o giovane paziente e alle caratteristiche morfolo- giche e antropometriche del gentilizio, nell’età infantile e nell’età adulta. Molte sono infatti le modificazioni strutturali che il passaggio all’età puberale e adulta determina e alcune di queste possono produrre un effetto davvero mitigante su padiglioni di dimensioni o prominenza al limite del normale. Citazione di antichissime esecuzioni di plastiche auricolari risalgono al X secolo in India e presso l’università di Bologna nel XVI sec. ma la chirurgia ricostrutti- va del padiglione auricolare prese avvio nella metà del XIX secolo (Dieffenbach, Ely) sia come approccio riparativo post-traumatico che di elezione. Oggi, la richiesta di una correzione del difetto giunge da più fronti; genitori in ansia, preoccupati di possibili comportamenti denigratori verso i propri figli, comportamenti che soprattutto emergono in ambito scolastico o di attività col- lettive, bambini vittime della derisione dei compagni per la “sindrome Dumbo”, adolescenti introversi frustrati per una sgradevole immagine di sé. Non ultime le necessità ricostruttive dopo traumatismi quali morsicature di animali nei più piccoli o violenze, come colpi di coltello, nelle età successive. Al chirurgo dell’età evolutiva spetta il non facile compito di chiarire, consiglia- re, rassicurare e infine correggere nell’ambito di una ricostruzione “estetica” che garantisca non tanto la perfezione ma una nuova gradevole e confortevole armo- nia, come equilibrio tra funzione, recuperata “bellezza” e benessere psichico. 16 | Orecchie prominenti

Definizione

Da un secolo (Luckett) si è dimostrato che sono le insufficienti piegatura e salienza dell’antelice le deformità responsabili del padiglione prominente, a cui possono anche associarsi eccessiva profondità e una rotazione anterolaterale della conca. Altre componenti riconoscibili del difetto sono rappresentate dalla eccessiva prominenza del trago e/o del lobulo. Questi fattori, singolarmente o combinati, determinano la nota prominenza dei padiglioni: il risultato è un “allontanamento” dalla superficie laterale del cranio. Infine, va considerato che le due orecchie possono presentare asimmetrie este- tiche, non proprie del padiglione, ma determinate da un asimmetrico sviluppo laterale del cranio dai due lati.

Embriologia

È nota da oltre mezzo secolo la trasmissione mendeliana di tipo dominante a penetranza variabile. Lo sviluppo embriologico dell’orecchio inizia alla 6° settimana di gestazione. Sono coinvolti bottoni di tessuto ectodermico e mesenchimale dei primi archi branchiali: dal mesenchima del primo arco derivano il trago e la radice delle cru- ra; dal mesenchima del secondo arco branchiale deriva invece il restante 85% dell’orecchio esterno. Inoltre occorre tenere presente che l’orecchio origina all’altezza del collo e solo più tardi migra in direzione craniale: ciò spiega perché molte delle anomalie con- genite dell’orecchio interessano la porzione inferiore di esse. Dalla 8° alla 12° settimana di gestazione è fisiologico che l’orecchio sia sporgen- te perché l’elice sta crescendo rapidamente; dalla 12° alla 16° settimana, invece, l’elice si dovrà ripiegare su di sé e correggere così la sporgenza precedente; se ciò non accade, l’orecchio continua a crescere aperto, sporgente e piatto. All’età di 3 anni la conformazione e la dimensione del padiglione auricolare hanno raggiunto l’85% del loro sviluppo. Piccoli cambiamenti interessano, fino ai 10 anni di età, soltanto la distanza dalla superficie dello scalpo. Il ciclo di crescita dell’orecchio esterno si può considerare concluso all’età di 6 anni. Nell’adulto di ambo i sessi il padiglione misura 6 cm di lunghezza x 3 cm di larghezza. Questa affermazione ha importanti risvolti nella condotta pratica, potendo suggerire appropriate tempistiche di intervento. Orecchie prominenti | 17

Anatomia chirurgica e semeiotica

Per individuare appieno la caratteristica del difetto e per progettare un intervento ricostruttivo di sicuro successo occorre avere ben presenti le peculiarità anato- miche topografiche non solo del padiglione ma anche della regione mastoidea – quanto meno della sua porzione anteriore cosiddetta “chirurgica” – oltre che la rete vascolare e nervosa del distretto. Il padiglione si colloca fra due linee orizzontali, di cui la superiore è il prolun- gamento del sopracciglio e la seconda della base della columella. La forma è ovale, con asse maggiore quasi verticale e parallelo all’asse del ramo mandibolare. L’estremità maggiore è in alto. È fissato alla testa con il solo terzo anteriore e forma con la testa un angolo che varia, di norma, dai 25 ai 45° ma può essere acutissimo o superare i 90°. L’apice del padiglione corrisponde all’unione del tratto orizzontale del margine con il tratto discendente; tale punto di unione identifica il tubercolo di Darwin. Le prominenze e le depressioni di cui occuparsi sono (figura 1): • Conca, l’incavo profondo posto nella parte media, suddiviso in una porzione superiore (cymbum) e in una inferiore (cavità della conca) dalla salienza del- la radice dell’elice ad andamento quasi trasversale. • Elice, la piega curvilinea che rappresenta il contorno esterno, che nasce (ra- dice) nella cavità della conca, sale verticale e termina posteriormente con la “coda”, suddivisa in una branca superiore e in una inferiore. • Antelice, anatomicamente definito come un rilievo curvilineo che delimita la conca e si biforca in avanti, in branca superiore e branca inferiore, per circo- scrivere la Fossa Triangolare. • Trago, un opercolo piuttosto mobile al davanti del meato uditivo esterno. • Antitrago, una salienza che limita la conca verso il basso, si erge di fronte al trago e si continua nel Lobulo, che è una piega cutanea, senza scheletro cartilagineo, contenente solo tessuto adiposo, nato dal fondersi della cute an- teriore e posteriore del padiglione. • Tubercolo di Darwin, vera punta o apice dell’orecchio, ove si osserva la con- vergenza dei sottili peli del padiglione (ben riconoscibile il ciuffetto di peluria presente nei neonati).

Varianti morfologiche più frequentemente descritte, che non necessariamente ri- chiedono approccio chirurgico, sono: • Orecchio a macaco: dal tubercolo di Darwin verso il basso sparisce l’aspetto arrotolato dell’elice; 18 | Orecchie prominenti

• Orecchio a cercopiteco: il tubercolo di Darwin è più lateralizzato e la curva superiore dell’elice non è dolce ma a mo’ di gomito nel punto più alto e l’elice 78 78 inferiormente78 non è arrotolata ma anzi rivolta in fuori; • Orecchio a satiro: l’elice descrive un gomito, come sopradescritto, particolar- • Elice• Elice• Elice mente accentuato; • Crus• Crus •superior Crussuperior superior • Orecchio di Wildermuth: l’antelice risulta molto prominente, superando il pia- • Otobasion• Otobasion• Otobasion superiore superiore superiore no dell’elice e del trago. • Fossa• Fossa• triangolare Fossa triangolare triangolare 78 • Scapha• Scapha• Scapha • Crus• Crus •inferiore Crusinferiore inferiore

• Cymbum• CymbumElice• Cymbum conche conche conche • Radice• CrusRadice• dell’Elice Radicesuperior dell’Elice dell’Elice • Antelice• Antelice• Antelice • Trago• OtobasionTrago• Trago superiore • Cavum• CavumFossa• conchae Cavum triangolare conchae conchae • Scapha • Antitrago• CrusAntitrago• Antitragoinferiore • Cavo• Cavo• intertragico Cavo intertragico intertragico • Cymbum conche • Lobulo• RadiceLobulo• Lobulo dell’Elice • Antelice • Otobasion• OtobasionTrago• Otobasion inferiore inferiore inferiore • Cavum conchae

Fig.Fig. 1a. Fig.1a. Anatomia Anatomia1a. Anatomia del• delpadiglioneAntitrago padiglionedel padiglione auricolare auricolare auricolare • Cavo intertragico • Lobulo

• Otobasion inferiore

Fig. 1a. Anatomia del padiglione auricolare Figura 1 Anatomia del Padiglione.

La cartilagine che compone il padiglione risulta di due porzioni: la principale, del padiglione in senso stretto, e una secondaria del trago fino al meato uditivo esterno. Le due parti sono collegate dall’istmo, che corrisponde alla parte più de- clive della conca. La Fig.cartilagine Fig. 1 b. Fig.1 Orecchiob. 1Orecchio èb. di Orecchio prominentetipo prominente elastico, prominente “piatto” “piatto” particolarmente “piatto” Fig. Fig. 1 c. Fig.1 Orecchioc. resistente 1Orecchio c. Orecchio normale normale tanto normale da non frattu- rarsi bensì da lacerarsi, rivestita da pericondrio molto grosso, ricchissimo di fibre elastiche. Una massa continua di tessuto fibroso denso unisce il padiglione al cranio e rappresenta i legamenti estrinseci anteriori (che uniscono la cartilagine del padi- Fig. 1 b. Orecchio prominente “piatto” Fig. 1 c. Orecchio normale glione all’aponevrosi temporale e al tubercolo zigomatico) e posteriori (che invece la uniscono alla base della mastoide e alla parete posteriore del meato acustico esterno). Legamenti intrinseci, invece, particolarmente importanti per mantenere la for- Orecchie prominenti | 19 ma del padiglione, sono quelli che si estendono dalla fossa triangolare alla conca e dalla fossa triangolare alla fossa scafoidea. La galea aponevrotica discende sulla regione mastoidea facendo riconoscere una sua faccia interna – che si unisce al periostio mediante connettivo lasso – e una fac- cia esterna che funge da inserzione dei muscoli estrinseci del padiglione (figura 2): • muscolo auricolare anterosuperiore: la porzione superiore si fissa alla eminen- za della fossa triangolare e alla convessità della cymba fin quasi al margine anteriore dell’elice; la porzione anteriore si fissa alla parte laterale e mediale dell’elice e alla eminenza della conca • muscolo auricolare posteriore: si fissa alla conca, al di sopra della radice dell’elice.

Muscoli intrinseci del padiglione, di carattere rudimentale nella razza umana, si fissano tra vari punti del padiglione; sono generalmente sei e, posti fra cartilagine e pelle, sono sottili e pallidi. Due appartengono all’elice, uno al trago, uno all’anti- trago, uno decorre trasverso nel padiglione e uno obliquo.

Figura 2 Muscoli estrinseci (sin) ed intrinseci (dx).

La vascolarizzazione del padiglione è particolarmente ricca, giustificando sia la facilità di attecchimento, con sutura, di porzioni distaccate in seguito a trauma- tismo, sia la frequenza di disturbi circolatori del padiglione nelle perfrigerazioni, nell’ipertensione e nella vasolabilità. Si riconoscono, provenienti dalla carotide esterna, sia le arterie auricolari ante- riori che i rami della arteria auricolare posteriore; questi ultimi perforano in 3-4 punti la cartilagine per irrorare la faccia esterna del padiglione (figura 3). 20 | Orecchie prominenti

Figura 3 Vascolarizzazione arteriosa: faccia anteriore (sin) e faccia posteriore (dx).

Il settore venoso comprende le vene auricolari anteriori che, attraverso la vena temporale supeficiale, affluiscono alla vena giugulare esterna, come fanno diret- tamente le vene auricolari posteriori oltre che nel seno laterale. I linfatici anteriori si scaricano nel linfonodo preauricolare; i linfatici posteriori invece nei linfonodi mastoidei L’ innervazione motoria per i muscoli intrinseci ed estrinseci deriva dal nervo faciale; la sensitiva, invece, è distribuita dal nervo mandibolare e dal plesso cer- vicale.

I rapporti antropometriche utili ai fini ricostruttivi plastici ci ricordano che (fi- gura 4): • la maggior larghezza corrisponde al 55% della lunghezza; • 1/3 dell’orecchio giace al di sotto della crus inferiore dell’antelice; • l’ampiezza dell’angolo tra apice dell’elice e perpendicolare verticale alla radice del trago è compresa fra 15 e 30 gradi (ideale 22°); • l’asse dell’orecchio, genericamente definito parallelo al ponte nasale o al ramo mandibolare, è inclinato di circa 20° rispetto alla perpendicolare tracciata dall’otobasion inferiore; • la distanza dell’orecchio rispetto al piano della mastoide è calcolata misu- rando, in mm, la distanza tra il piano della mastoide ed il punto più esterno dell’elice: il valore “ideale” medio, per non definire l’orecchio come promi- nente, è pari a 15 mm (con range massimo fino a 20 mm, figura 5); • la conca, quando non presenta una normale inserzione di radice dell’elice, tollera esteticamente una larghezza massima di 15 mm. Orecchie prominenti | 21

Figura 4 Rapporti antropometrici. Figura 5 Distanza da Mastoide.

Classificazione delle malformazioni del padiglione

Basandosi su un criterio patogenetico con finalità chirurgiche, si identificano 5 categorie di gravità e complessità a carico del padiglione auricolare: solo delle prime tre si tratterà, perché più frequenti, mentre per le rimanenti, più rare, la correzione è affrontata in sede specialistica dedicata.

Involuzione antelice Orecchie PROMINENTI Gruppo 1 e/o ipertrofia della conca (“Sindrome Dumbo”)

Gruppo 2 Solo involuzione antelice Orecchie ad ANSA

Gruppo 3 Involuzione antelice e scapha Orecchie a COPPA

Gravi malformazioni; stenosi Gruppo 4 MICROTIA e CRIPTOTIA Condotto Uditivo e Sordità

Gravissima ipoplasia/atrofia Gruppo 5 ANOTIA del padiglione

Criteri terapeutici

Preliminarmente, nelle malformazioni minori dell’orecchio esterno, oltre alla condizione psicologica di disagio, occorre valutare il grado di sviluppo raggiunto dall’organo, in base alle tappe evolutive precedentemente ricordate. 22 | Orecchie prominenti

Spesso ci si trova dinanzi ad un contrasto tra i genitori ed il bambino: i primi, preoccupati dell’immagine del figlio, tendono a richiedere una correzione preco- ce prima dell’inserimento nella scuola elementare (5-6 anni); i secondi, invece, sono poco sensibili al problema. D’altra parte, accade anche che l’adolescente, al momento dell’inserimento in nuovi cicli scolastici o in nuovi gruppi sociali o sportivi, sia improvvisamente vittima di scherno, derisione, bullismo, con conse- guenti comprensibili stati di angoscia: si verifica in tali casi un attacco verso la fa- miglia accusata di aver trascurato-sottovalutato-nascosto il problema; ciò accade indistintamente per ragazzi e ragazze: tagli di capelli e nuove pettinature, moda, abitudini, mutano con estrema rapidità e ogni nuovo “look” può capovolgere o modificare radicalmente l’immagine di sé, portando alla luce difetti fino allora camuffati o camuffabili.

Alternative alla correzione chirurgica

Come citato in letteratura, il riconoscimento delle orecchie prominenti avviene nel 68% alla nascita. La reazione emotiva dei neogenitori, che dalle prime setti- mane osservano o sentono citare dai parenti o da personale sanitario il persistente inestetismo di una o entrambe le orecchie prominenti, ha dato impulso alla ricer- ca di soluzioni non invasive, ben tollerate nel lungo periodo anche dal bambino molto piccolo, facilmente utilizzabili in ambito domestico ed economicamente vantaggiose. Questi metodi o presidi, applicati dall’inizio degli anni novanta, hanno ricevu- to l’approvazione scientifica o sono incoraggiati da grandi centri internazionali e soprattutto di scuola anglosassone; meritano di essere conosciuti perché, nelle prime consulenze che si effettuano nel postpartum o comunque nei primi mesi di vita, offrono allo specialista la possibilità “costruttiva” di porre freno all’ansia genitoriale, che si oppone spesso in maniera decisa al suggerimento di attendere e vigilare per mesi o anni per verificare una spontanea riduzione del fenomeno (figura 6 e figura 7). In particolare, se la cartilagine non è francamente ipoplasica, il risultato tera- peutico è evidente. Il termine tecnico di “splintage” a forma di virgola, in diverse misure da adat- tare all’età del piccolo, ed il nome commerciale di “ear buddies®” intendono un sistema di rimodellamento progressivo del padiglione auricolare mediante un tutore morbido ma non deformabile, che viene tenuto in sede con strips di carta di piccole e medie dimensioni, per settimane o mesi, fino a raggiungere lo scopo. Orecchie prominenti | 23

Figura 6 Tutore non invasivo. Figura 7 Fascia premodellata.

Questo sistema rappresenta un perfezionamento tecnico rispetto all’utilizzo ini- ziale di sondini da alimentazione 6Fr in silastic, appositamente armati. La produ- zione su larga scala ha associato eleganti e colorate cuffiette o bandane ulterior- mente protettive al momento del primo gesticolare dei lattanti; nei bambini di età prescolare l’impiego di bandane premodellate regolabili è particolarmente diffuso e disinvolto perché è dello stesso tipo che protegge l’orecchio durante l’attività sportiva in piscina. Un altro sistema (metodo AURI) non invasivo, biomeccanico, incruento, mes- so a punto da specialisti otorinolaringoiatri danesi, utilizza, già in bambini di po- che settimane e non oltre i 5 anni di età, originali clips in plastica che schiacciano e stirano i padiglioni; applicato per 3-6 mesi nelle ore notturne, e associato, di giorno, ad un cerotto biadesivo fra mastoide e superficie posteriore del padiglio- ne, fa ottenere risultati pienamente soddisfacenti. Per entrambe le soluzioni la motivazione di genitori e dei bambini più gran- dicelli, comunque, deve essere molto forte, dato il prolungato impegno che ri- chiede.

Correzione chirurgica delle orecchie prominenti

Scopi della correzione chirurgica sono (Mc Dowell): • correggere definitivamente la protrusione, soprattutto del terzo superiore dell’orecchio; 24 | Orecchie prominenti

• rendere visibili ed armonici sia elice che antelice; • creare un rilievo dolce ed arcuato per l’antelice; • ricercare la massima simmetria fra i due lati; • creare un solco retroauricolare confortevole con una distanza dalla mastoide di 15-20 mm; • evitare l’ipercorrezione della prominenza poiché la letteratura ne ha dimo- strato l’inutilità.

La decisione di affrontare un intervento chirurgico di elezione, non necessario per scopi di salute fisica o per sopravvivenza funzionale e anatomica di un orga- no o di un apparato, in un paziente minorenne, costituisce un delicato esempio di come impostare correttamente il rapporto medico-paziente per ottenere non solo la fiducia nell’operatore ma anche per aumentare la potenzialità di globale risultato positivo delle cure. Oltre alla raccolta in cartella clinica della documentazione fotografica preo- peratoria può essere utile tracciare un profilo numerico del disagio psicologico del paziente e del genitore, preoperatorio e postoperatorio, per esempio utiliz- zando una scala di cinque parametri, da “pessimo” a “eccellente”. Raccogliere questi dati nella casistica clinica individuale di ogni operatore è importante per comprendere e per documentare l’efficacia e la soddisfazione delle cure che si offrono. Recenti studi (Papsin) hanno esaminato l’importanza di rinforzare l’informa- zione chirurgica mediante discussione articolata e consegna di materiale infor- mativo scritto, che indichi esplicitamente tutti i rischi possibili e le complicanze attese. L’esperienza di cura di pazienti minorenni insegna quotidianamente che nessun opuscolo può sostituire un sereno, approfondito e aperto colloquio fra paziente, genitore o caregiver in senso lato, ma anche che sostenere la memorizzazione di alcune situazioni da tenere monitorate (es. dolore, intorpidimento, indurimen- to o visibilità della cicatrice) con comprensibile e chiaro materiale informativo possibilmente illustrato (principi della health literacy) determina una più stretta fidelizzazione del paziente anche in caso di eventi non favorevoli.

Tecniche chirurgiche Due sono le priorità chirurgiche più frequenti da affrontare (figura 8 e figura 9): A. creare il ripiegamento dell’antelice; B. ridurre la dimensione della conca. Orecchie prominenti | 25

Figura 8 Padiglione aperto e liscio.

Figura 9 Conca molto ampia.

Tecniche di ripiegamento dell’antelice Nella maggior parte dei casi è la procedura per creare il ripiegamento dell’ante- lice, in un padiglione altrimenti aperto e liscio, quella che si rende necessaria e che fornisce la soluzione del problema delle orecchie prominenti fino all’età ado- lescenziale.

Otoplastica secondo Mustardé La tecnica chirurgica più seguita fu introdotta da Mustardé nel 1963. La com- prensione dei suoi principi esecutivi aiuta a selezionare e ad apprezzare tecniche sviluppate e diffuse nei decenni a seguire. Alcune particolarità tecniche aiutano, nella pratica corrente, a rispondere alle più frequenti domande del paziente e della famiglia: • il filo di sutura è del tipo permanente, non riassorbibile, e poiché richiede un nodo chirurgico complesso, per qualche tempo può residuare una sensazione granulosa sotto la sutura; • il filo utilizzato è bianco o incolore e non lascia trasparire colori innaturali sotto la cute; • per “marcare” la sede dei punti di sutura, al fine di creare una piega di aspetto 26 | Orecchie prominenti

il più possibile naturale, il chirurgo deve tracciare alcuni “riferimenti” con blu di Metilene: un minimo tatuaggio (al di sotto del mm) può residuare sulla cute della faccia anteriore del padiglione nei primi giorni post-operatori; • la ferita chirurgica (e la cicatrice conseguente) rimane nascosta sulla superfi- cie posteriore dell’orecchio; • nel primo periodo postoperatorio la stanghetta di un occhiale può produrre sensazioni fastidiose.

A seconda dell’età del paziente l’intervento può essere condotto in anestesia gene- rale o locale; la degenza può essere limitata ad un solo giorno di ricovero. Si effettua una profilassi antibiotica intra-operatoria (rischio di pericondrite) e, a seconda dei casi, può essere continuata con dosaggio terapeutico per alcuni giorni. Si pratica un’accurata detersione del padiglione e del condotto uditivo esterno con iodio-povidone; si lascia un batuffolo di garza a protezione del condotto udi- tivo esterno (figura 10).

Figura 10 Preparazione del campo operatorio.

Con le dita si ripiega il padiglione in modo da creare una salienza dell’ante- lice di altezza e forma adeguate; con penna dermografica si tratteggia tutta la lunghezza della sommità del rilievo, seguendo l’andamento curvilineo che si è prodotto “ad arte” (figura 11). Si marcano 3-4 punti di riferimento mediante infissione perpendicolare di un ago per iniezione sottocutanea; appena la punta dell’ago giunge nel solco retro- auricolare, viene intinta in blu di Metilene e l’ago viene retratto con movimento rapido: in tal modo si marchia sul solco retroauricolare l’estensione in lunghezza della losanga di cute da asportare, in genere circa 2,5-3 cm. 83

Con le dita si ripiega il padiglione in modo da creare una salienza del- salienza una creare da modo in padiglione il ripiega si dita le Con 83 ca si tratteg- si ca dermografi penna con adeguata; forma e altezza di l’antelice gia tutta la lunghezza della sommità del rilievo, seguendo l’andamento Con lel’andamento dita si ripiegaseguendo il padiglionerilievo, del in modosommità dadella creare unalunghezza salienzala tutta del-gia l’antelice di altezza e forma3. adeguata;Fig. arte”, con penna“ad dermografiprodotto è si cache si tratteg-curvilineo gia tutta la lunghezza dellaOrecchie sommità prominenti del rilievo,| 27 seguendo l’andamento curvilineo che si è prodotto “ad arte”, Fig. 3.

Tatuaggio delle nuove plicature nuove delle Tatuaggio 3. Fig

Figura 11 Disegno della correzione desiderata. Fig 3. Tatuaggio delle nuove plicature ssione perpendicolare perpendicolare ssione infi mediante riferimento di punti 3-4 marcano Si La larghezza della losanga (in media 1-1,5 cm), con disegno tendenzialmente a di un ago per iniezione s.c.; appena l’ago giunge nel solco retroauricolare, Si marcanoretroauricolare, 3-4 solco punti nel di riferimentogiunge l’ago medianteappena s.c.; infi ssione iniezione perpendicolare per ago un di clessidra, è determinata con il medesimo sistema: infissione di ago, poi intriso di oc sterile intriso di blu di Metilene e viene re- di un agoviene e per iniezioneMetilene di s.c.;blu di appenaintriso l’agosterile giunge oc fi nel solcocotton un retroauricolare,in intinto viene blu di Metilene, lungo i due avvallamenti che si producono, anteriormente e po- tratto con movimento rapido: in tal modo si marchia sul solco la estensione viene intintoestensione la in solco un sul cotton fi ocmarchia si sterilemodo intrisotal in di blurapido: di Metilenemovimento e vienecon re-tratto steriormente al rilievo della nuova antelice, mentre si flette ad arte la cartilagine in lunghezza della losanga di cute da asportare (in genere di circa 2,5 - 3 3 - tratto 2,5 concirca movimentodi genere rapido:(in in talasportare mododa sicute marchiadi sullosanga solcodella la estensionelunghezza in con le dita. cm di lunghezza), Fig. 4. La larghezza della losanga (in media 1-1,5 cm) è è in cm) lunghezza 1-1,5 dellamedia (in losanga dilosanga cutedella da asportarelarghezza La (in4. genereFig. di circalunghezza), 2,5di - cm 3 La losanga cutanea viene escissa; tutto il tessuto muscolare e fibroso viene sso lungo quei cmquei di lunghezza),lungo sso infi Fig.ago un 4. La larghezzaattraverso dellasistema, losanga (inmedesimo il mediacon 1-1,5 cm) determinata è asportato, dal bordo cefalo auricolare alla rima libera dell’elice, con forbici delica- due avvallamenti che si producono, superiormente ed inferiormente al ri- determinataal con inferiormente il medesimoed sistema,superiormente attraversoproducono, unsi agoche infi sso lungoavvallamenti queidue te ed appuntite, avendo cura di conservare il pericondrio (figura 12). due avvallamenti che si producono,essa. fl superiormentemantiene si la edmentre inferiormentedell’antelice, al ri-lievo lievo dell’antelice, mentre la si mantiene fl essa.

Figura 12 Disegno dell’incisione e visibilità delle marcature inposteriore Blu di Metilene.losanga della Incisione 4. Fig. Fig. 4. Incisione della losanga posteriore

Con ago marcato di blu di Metilene si contrassegnano i punti di repere. Ideal- mente, ogni marcatura disegna una figura trapezoidale, con base maggiore rivolta 28 | Orecchie prominenti

alla rima dell’elice e base minore rivolta verso l’angolo cefalo-auricolare: nei punti viene asportato, dal bordo cefalo auricolare alla rima libera dell’elice, con forbici delicate ed appuntite, avendo cura di conservare il pericondrio. fi Idealmente, Fig. 5, ogni marcatura disegna una base maggiore rivolta alla rima dell’elice e minore verso l’an- golo cefalo-auricolare: nei punti più critici, il rapporto fra base maggiore e base minore è pari a 1,8 -1,5:1. materassaio” orizzontale, con fi 4/0). verso la superfi pericondrio al di sotto del piano cutaneo e dermico; rientra sulla superfi posteriore dopo un tratto di alcuni mm (generalmente da 6-7 a 2-3 mm); quindi, oltrepassando l’avvallamento – che corrisponde al rilievo del- l’antelice sul versante anteriore –, ri-penetra la cartilagine, scorre ancora sopra il pericondrio sulla faccia anteriore e ri-entra posteriormente per completare la fi fi la ripiegatura desiderata dell’antelice; i pinze mosquito in quel certo grado di tensione che equivale alla correzio- fi ne che si desidera imprimere. Non annodando i 7a, 7b, 7c)) si può giudicare il risultato in corso d’opera, per modifi opportunamente se necessario. Afi correzione completata e controllata, i sono annodati ad uno ad uno, rispettando i diversi gradi di tensione di ogni punto, e sono tagliati il più radente possibile ai nodi. La catenella dell’an- 84 più critici, il rapporto fra base maggiore e base minore è pari a 1,8-1,5:1. Sulla guida delle marcature blu, si passano 3-4 punti del tipo “a materassaio” La losanga cutanea viene escissa; tutto il tessuto muscolare e fi La losanga cutanea viene escissa; tutto il tessuto muscolare e Con ago marcato con blu di Metilene si contrassegnano i punti repere. orizzontale, con filo di sutura non riassorbibile incoloreSulla guida delle marcature in blu, si passano 3-4 punti del tipo “a 3/0, L’ago (Fig. 6a, 6b) penetra la cartilagine dalla superfi 4/0 (figura 13). L’ago penetra la cartilagine dalla superficie posteriore verso la superficie an- teriore del padiglione, scorrendo sulla superficie del pericondrio al di sotto del piano cutaneo e dermico; rientra sulla superficie posteriore dopo un tratto di cie anteriore del padiglione, scorrendo sulla superfi

alcuni mm (generalmente da 6-7 mm a 2-3 mm); quindi, oltrepassando l’avvalla- gura trapezoidale del punto. Tali passaggi dell’ago creano mento – che corrisponde al rilievo dell’antelice sul versante anteriore –, ripenetra

la cartilagine, scorre ancora sopra il pericondrioFig. 5. sulla faccia anteriore e rientra posteriormente per completare la figura trapezoidale del punto (figura 14, 15). Punti a “disegno trapezoidale” lo di sutura non riassorbibile incolore (3/0, li sono inizialmente trattenuti da li immediatamente (Fig.

gura trapezoidale, con Figura 13 Il passaggio dei punti crea Figura 14 Punti da materassaio passati un disegno trapezoidale. nei punti repere. ce posteriore cie cie del cie broso carlo cie li

Figura 15 Imbastitura dei punti con tensione del filo graduata e controllata.

Tali passaggi dell’ago creano la ripiegatura desiderata dell’antelice; i fili sono inizialmente trattenuti da pinze mosquito in quel certo grado di tensione che equivale alla correzione che si desidera imprimere. Non annodando i fili imme- Orecchie prominenti | 29 diatamente si può giudicare il risultato in corso d’opera, per modificarlo opportu- namente secondo necessità. A correzione completata e controllata, i fili sono annodati ad uno ad uno, ri- spettando i diversi gradi di tensione di ogni punto, e sono tagliati il più radente possibile ai nodi. La catenella dell’annodatura viene spinta con le pinze nell’av- vallamento, perché non disturbi la ricostruzione della cute e perché si riduca la sensazione di nodosità al tatto durante la cicatrizzazione (figura 16, 17, 18).

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nodatura viene spinta con le pinze nell’avvallamento, perchè non disturbi Figurala ricostruzione 16 Sutura completata. della cute e perchè si riduca la sensazione di nodosità al tatto durante la cicatrizzazione.

LISCIO

FiguraFoto 6 17 a. PadiglionePunto passante aperto sec. e liscio. Mustardè FotoFigura 6 b.18 Plicatura Padiglione ottenuta ricurvato con tecnica di Mustardè.

La sutura cutanea finale, a punti staccati o continui, viene realizzata con filo riassorbibile monofilamento (5/0 oppure rapid 4/0 o 5/0) ed è protetta da una sottile striscia di pellicola traforata in silicone su cui si può stendere un leggero strato di crema antibiotica (figura 19). La sutura posteriore è cicatrizzata in circa 15 giorni. Dovrà essere trattata con i principi espressi per la prevenzione del cheloide.

Fig. 7 a. Temporanea fermatura dei punti su pinze

Fig. 7 b. Orecchio Pre operatorio Fig. 7 c Orecchio Post Operatorio 30 | Orecchie prominenti

Figura 19 Sutura cutanea e aspetto a fine intervento.

La medicazione che si confeziona al termine dell’intervento prevede anche sulla superficie anteriore una sottile striscia di pellicola in silicone perché ciò fa- vorirà l’indolore rimozione della prima medicazione; quindi si collocano sottili “sigarette” di garza a riempire i nuovi solchi e a proteggere le nuove salienze; un turbante fisso in benda elasticizzata, completa la medicazione; questo, di norma, non deve essere rimosso per 5 giorni (figura 20).

Figura 20 Medicazione postoperatoria con turbante elasticizzato.

Il primo controllo postoperatorio avviene dopo 5 giorni (figura 21); in quella occasione si rinnovano le garze – diminuendone la quantità – ed il turbante che diventa meno serrato; a seconda dell’età del paziente, il turbante è sostituito a bre- ve termine (circa 10° giorno) da una fascia elastica premodellata (modello sporti- Orecchie prominenti | 31 vo, es. figura 7) adattata alla tensione necessaria; questo accessorio è ugualmente efficace e molto più accettato dal paziente.

Figura 21 Prima medicazione: rimozione della garza traforata in silicone di cui lo “stampo” è ancora visibile sulla cute anteriore e un lembo sulla faccia posteriore del padiglione.

Nel corso della settimana successiva la fascia sarà rimossa per periodi sempre più lunghi ma solo nelle ore diurne; durante la notte il suo uso è consigliabile per un mese almeno. Il padiglione rimane edematoso, e talvolta ecchimotico, per 10-20 giorni. La sutura posteriore può essere lavata con acqua corrente dopo 15 giorni. L’uso di un occhiale può essere difficoltoso nelle prime due settimane (a causa del turbante o della fascia). Al paziente è sempre richiesta una documentazione fotografica preoperatoria in 4 pose; questa abitudine aiuta il chirurgo durante l’esecuzione dell’intervento e, dopo la prima medicazione, a confortare il paziente sul risultato raggiunto (figura 22).

Figura 22 Aspetto ad inizio e a fine intervento. 32 | Orecchie prominenti

Tecnica di Otoplastica incisionless (Fritsch, Haytoglu) Anche in questo campo della chirurgia, per le forti sollecitazioni determinate dal disagio psicologico infantile, si è sviluppata la ricerca della minore invasività di approccio fino alla messa a punto di tecniche “incisionless”. Si deve a Fritsch nel 1992 l’introduzione, nell’età pediatrica, di una tecnica mi- niinvasiva transcutanea capace di ridurre il numero di complicanze (profili car- tilaginei irregolari, ematomi, pericondriti, deiscenze, granulomi, recidive) e di abbreviare il tempo tecnico di esecuzione e di recupero postoperatorio. Si esegue preliminare disegno della curva da ottenere flettendo il padiglione con le dita; si pratica iniezione di Lidocaina cloridrato 1% con epinefrina 1:200.000 sulla superficie anteriore e quella posteriore del padiglione, fino a ottenere il tipi- co pallore. Si effettuano, come nelle tecniche di liposuzione, solchi di indebolimento del piano cartilagineo mediante infissione e movimento di va e vieni in senso oriz- zontale di un ago 20 G (figura 23); quindi, come nella tecnica classica di Mu- stardé vengono applicati i punti da materassaio, ma l’approccio inizia e termina posteriormente e con tecnica transcutanea molto accurata; l’attenzione a rien- trare scrupolosamente nello stesso pertugio cutaneo prodotto con la preceden- te fuoriuscita dell’ago fa evitare introflessioni di epitelio squamoso (figura 24); sono necessari da 2 a 4 punti di sutura a materassaio, orizzontali, con filo non riassorbibile 3/0, ago a mezzo cerchio; l’annodatura avviene con controllo diretto dell’effetto ottenuto; il nodo della sutura viene spinto e “sepolto” in profondità per evitare esposizione e deiscenza.

Figura 23 Tecnica di Indebolimento della cartilagine. Creazione di solchi di indebolimento con movimento di va e vieni orizzontale di un ago 20 G. Orecchie prominenti | 33

Figura 24 Schematismo di corretta esecuzione del punto transcutaneo.

Nella variante tecnica di Haytoglu, l’ago 20G viene moderatamente piegato al suo estremo di circa 45° (figura 25) per “graffiare” con maggiore efficacia la su- perficie cartilaginea sia nel piano verticale che in quello orizzontale (secondo una griglia immaginaria predisegnata); i punti, in genere 2, vengono applicati al pun- to più alto e al punto medio dell’orecchio (figura 26), sono del tipo a materassaio verticale e sono annodati sulla superficie posteriore del padiglione, ben nascon- dendo il nodo sotto la cute mediante un uncino.

Figura 25 Angolatura dell’ago ed esemplificazione della griglia di indebolimento sec. Haytoglu. 34 | Orecchie prominenti

Figura 26 Tecnica incisionless sec. Haytoglu.

Le differenze fra le due tecniche consistono nel metodo di scarificazione della cartilagine che è solo longitudinale in Fritsch mentre è longitudinale ed orizzon- tale in Haytoglu. Inoltre, il punto di Fritsch produce, per ogni loop, due lati corti che decorrono sottocutanei anteriori e due lati lunghi posteriori; Haytoglu limita ad un solo lato corto e un solo lato lungo ogni loop (figura 27).

Figura 27 Schematismo delle differenze fra le tecniche di Fritsch (a sin) e Haytoglu (a dx).

Entrambe le tecniche, nell’età pediatrica, offrono risultati efficaci; in mano esperta la procedura di Haytoglu può abbreviare un poco il tempo di esecuzione e tendenzialmente riduce il rischio di estrusione dei nodi di sutura. Orecchie prominenti | 35

Otoplastica minimamente invasiva secondo Benedickt La tecnica con cui ottenere la ripiegatura utilizza punti transcutanei a materassaio e la procedura riprende in tal senso la metodica “incisionless”; diversamente da quest’ultima viene eseguito uno scollamento della cartilagine dalla cute, sul piano anteriore, mediante uno strumento tipo scollaperiostio curvo di foggia originale, introdotto attraverso incisione di minima sul versante posteriore del padiglione auricolare.

Otoplastica mediante separazione dell’elice dall’antelice secondo Valente Come enunciato nella definizione, l’autore brasiliano, con approccio posteriore ed escissione di una losanga cutanea biellittica, (ossia più stretta al centro) “smonta” il padiglione mediante una incisione netta della cartilagine, a pieno spessore, al bordo superiore e anteriore dell’antelice, a partire dalla fossa triangolare fino alla coda dell’elice; l’incisione, a forma di virgola (figura 28), predisegnata con l’ausilio di marcature ad ago e blu di metilene, ha lo scopo di superare definitivamente la memoria elastica della cartilagine, responsabile di recidive o di irregolarità; ripiegando ad arte la nuova salienza dell’antelice, si definisce sia quanto eventuale tessuto cartilagineo eccedente si può asportare, sia dove posizionare i tre punti a materassaio riassorbibili di calibro massimo 4/0, completati da un quarto punto che ricostituisce la coda dell’elice e corregge la posizione del lobulo, se anche ciò fosse necessario.

Figura 28 Otoplastica sec. Valente. 36 | Orecchie prominenti

Otoplastica con approccio anteriore secondo Erol Osservando i risultati né ipertrofici né cheloidei di prelievi cartilaginei dall’orec- chio eseguiti per via anteriore, per le rinoplastiche secondarie, e considerando che la vascolarizzazione dell’orecchio prevale sulla faccia posteriore (figura 3), Erol ha pubblicato (2000) il risultato della sua tecnica di otoplastica con approc- cio esclusivamente anteriore. Mediante incisione chirurgica anteriore a tutto spessore (cutaneo e cartilagi- neo) lungo il bordo della conca, si separa il piano cartilagineo dal pericondrio sia sulla sperficie anteriore che su quella posteriore. Si valuta, ripiegando ad arte il padiglione, l’eccedenza di cartilagine e la si escide. Si può completare la correzio- ne del padiglione per via anteriore, se vi è associato un difetto dell’antelice, appli- cando punti da materassaio orizzontali transcutanei (figura 29), avendo cura di annodarli dal basso verso l’alto per meglio graduare la curvatura; i nodi dei punti di sutura sono affondati verso la superficie posteriore per non creare protuberan- ze visibili. La chiusura dell’incisione iniziale è realizzata con una sutura continua utilizzando un monofilamento non riassorbibile 6/0 .

Figura 29 Otoplastica per via anteriore sec. Erol.

Questa tecnica, ad ogni modo, deve considerarsi una potenzialità tecnica im- portante nel bagaglio di conoscenze del chirurgo piuttosto che la tecnica chirur- gica di scelta da adottare; infatti, l’incidenza di cicatrice visibile o peggio ancora di cheloide è giudicata pari a 0,7-11% dei casi. L’insorgenza di un cheloide anteriore rappresenta un evento drammatico, an- cora più difficile da accettare rispetto ad uno posteriore. 87

L’intervento può essere eseguito sia in anestesia locale, che in aneste- sia generale, in quei piccoli o giovani soggetti giudicati non idonei. Esercitando opportuna plicatura della conca con le dita e misurando l’eccedenza rispetto ai 5 mm medi, l’operatore disegna una ellisse corri- spondente al difetto da correggere, Fig. 8.

Orecchie prominenti | 37

Tecnica di riduzione della conca

Otoplastica secondo Skoog Come sottolineato da Sie talvolta la conca appare eccessivamente ampia a causa di un carente sviluppo della radice (crus) dell’elice: la sua salienza troppo corta non produce la corretta separazione fra cymba superiormente e cavum inferior- mente. Come nell’assenza dell’antelice, ricreando chirurgicamente la salienza della crus con suture in punti da materassaio, la conca recupera morfologica- mente la sua suddivisione in due porzioni e il padiglione si riavvicina alla super- ficie mastoidea. La proceduraFig. 8. chirurgicaRicerca sidell’eccesso avvale del medesimo di conca approccio e disegno posteriore della di oto escissione- da eseguire plastica sec. Mustardè: il modellamento necessita di una “imbastitura” provvi- soria con punti in nylon scuri per eseguire ad arte, sulla loro guida, la sutura definitiva in nylon incolore; la tecnica che così ripristina la radice dell’elice può rappresentareL’anestesia un fine dettaglio locale, di completamento a base di in Lidocaina un intervento 1%ricostruttivo con adrenalina, Fig. 9, è di padiglioneiniettata con dapprima duplice difetto, nello di antelice strato e di conca.sottocutaneo della superfi cie anteriore del- Nellala conca deformità con isolata ago della preferibilmente conca, per la semplicità del concettuale tipo da e perinsulina. l’efficacia terapeutica,Con viene ago descritta in sede dettagliatamente anteriore, la procedura si penetra sec. Skoog la87 che cartilagine prevede e si raggiunge il l’escissione in blocco sia di cartilagine sia di cute. sottile strato sottocutaneo posteriore per completare l’infi ltrazione (in ge- L’intervento puòL’intervento essere eseguito può essere sia eseguito in anestesia sia in anestesia locale, locale, che che in in aneste- anestesia generale. sia generale, in queiEsercitandonere piccoli non o opportuna giovanisuperiore soggetti plicatura a 5 giudicatidellaml totali).conca non con idonei. Talele dita manovra e misurando facilita l’ecce- la dissezione come Esercitando denzaopportunasi trattasserispetto plicatura ai 5 mmdi idrotomia medi,della siconca disegna tipica. con un’ellisse le dita corrispondente e misurando al difetto da l’eccedenza rispettocorreggere ai 5 (figuramm medi, 30). l’operatore disegna una ellisse corri- spondente al difetto da correggere, Fig. 8.

Fig. 8. Ricerca dell’eccesso di conca e disegno della escissione da eseguire Figura 30 Eccedenza di ampiezza della conca,Fig. disegno9. Infi dell’incisione ltrazione e infiltrazionecon anestetico anestetica.

L’anestesia locale, a base di Lidocaina 1% con adrenalina, Fig. 9, è iniettata dapprima nello strato sottocutaneo della superfi cie anteriore del- la conca con ago preferibilmente del tipo da insulina. Con ago in sede anteriore, si penetra la cartilagine e si raggiunge il sottile strato sottocutaneo posteriore per completare l’infi ltrazione (in ge- nere non superiore a 5 ml totali). Tale manovra facilita la dissezione come si trattasse di idrotomia tipica.

Fig. 9. Infi ltrazione con anestetico 38 | Orecchie prominenti

L’anestesia locale, a base di Lidocaina 1% con adrenalina, è iniettata dapprima nello strato sottocutaneo della superficie anteriore della conca con ago da insuli- na (figura 30). Con ago in sede anteriore, si penetra la cartilagine e si raggiunge il sottile strato 88 sottocutaneo posteriore per completare l’infiltrazione (in genere non superiore a 5 ml totali). Tale manovra facilita la dissezione come si trattasse di idrotomia tipica. Utilizzando un bisturiSi incide con lama perpendicolarmente, 11 si incide perpendicolarmente, a tutto spessore, il bordo a tut- interno della ellisse to spessore, il bordodisegnata interno nella della conca; ellisse con disegnatala lama trapassata nella siconca; completa con il lataglio, netto e non lama trapassata si completainterrotto, il lungo taglio, tutto netto il contorno e non dell’ellisseinterrotto, (sequenza lungo figuratutto il31). contorno dell’ellisse, Fig. 10. 89

Fig. 10. Escissione della porzione di concaFig. 11. Sutura a piccoli punti Figura 31 Sequenza della tecnica di riduzione della conca eccedente sec. Skoog.

A taglio ultimato è ben riconoscibile l’“asola” prodotta nella conca; si nota, A taglio ultimato è ben riconoscibileIl risultato l’“asola” che si ottiene prodotta al termine nella conca; dell’intervento è quello di produrre inoltre, verso il bordo più interno, la lieve retrazione della cute, rispetto alla carti- si nota, inoltre, verso il bordoun piùavvicinamento interno, la lievedel padiglione retrazione al della piano cute, mastoideo. Il fi lo a rapido assorbi- lagine, sul margine del taglio: ciò spiega perché talvolta si proceda in questa sede rispetto alla cartilagine, sul marginemento usato del taglio: anteriormente ciò spiega minimizza perché talvolta il segno estetico della cicatrice. ad ulteriore minimo ritocco di cartilagine. si proceda in questa sede ad ulteriore minimo ritocco di cartilagine. D’altra parte, le diverse curvature delle due emi-ellissi fa sì che vi sia un certo D’altra parte, le diverse curvatureLa medicazione delle due emi-ellissi fi nale non fa richiede sì che vi il sia confezionamento del turbante un certo grado di asimmetriagrado di asimmetria elasticizzato:tra i due tra labbri i due tuttavia dalabbri suturare; da una suturare; protezione a ciò a ciò si sirimedia conrimedia garza asportando siliconata uno e copertura con asportando uno o dueo dueminimi minimigarze triangoli triangoli asciutte di di cartilagine in cotone dal miglioradal margine margine ilesterno confort esterno dell’ellisse. postoperatorio e rende possibile dell’ellisse. La suturail dellamantenimento ferita deve iniziare in situ dal per centro, 8 –10 utilizzando giorni. punti da materassaio La sutura della feritaverticali deve e doppi iniziareLa in terapia filo riassorbibiledal antibiotica centro, incolore utilizzando viene 4/0 dio 5/0;norma punti il nodo consigliatada della sutura per si col7 -giorni. materassaio verticaliloca e doppi sulla superficiein fi lo riassorbibile posteriore dell’orecchio.incolore 4/0 In o media5/0; occorronoil nodo da 3 a 5 punti. della sutura si colloca Lasulla cute superfi viene suturatacie posteriore in piccoli dell’orecchio. punti staccati, conIn mediafilo riassorbibile rapido occorrono da 3 a 5 punti.5/0 e 6/0 sullaRisultati superficie a distanza anteriore e con filo analogo ma lievemente più robusto La cute viene suturata(4/0 o 5/0) in sullapiccoli superficie punti staccati,posteriore Fig.dove 11,è necessario con fi lo ottenere rias- anche un effetto sorbibile rapido 5/0 eemostatico. 6/0 sulla superfiL’esito cie fi naleanteriore di una e otoplastica con fi lo analogo per orecchie ma prominenti dipende dalla lievemente più robusto (4/0 o insorgenza5/0) sulla superfi di eventuali cie posteriore complicanze: dove è neces- sario ottenere anche un effetto– emostatico. Infezione delle parti molli (in genere 3°-5° giornata postoperatoria in conseguenza di ematoma) – Condrite (di diffi cile eradicazione) – Cicatrice ipertrofi ca e cheloide – Ipoestesia (si recupera in alcun mesi) – Rigetto della sutura – noduli cartilaginei (esito di rimozione della conca)

Errori tecnici sono dovuti a: creazione di un solco posteriore troppo serrato, curva dell’antelice troppo verticale, residua protrusione del terzo inferiore. Orecchie prominenti | 39

Il risultato che si ottiene al termine dell’intervento è quello di produrre un av- vicinamento del padiglione al piano mastoideo. Il filo a rapido assorbimento usato anteriormente minimizza il segno estetico della cicatrice. La medicazione finale non richiede il confezionamento del turbante elasticiz- zato: tuttavia una protezione con garza siliconata e copertura con garze asciutte in cotone migliora il confort postoperatorio e rende possibile il mantenimento in situ per 8-10 giorni. La terapia antibiotica viene di norma consigliata per 7 giorni. Per completezza si aggiunge che la tecnica incisionless precedentemente de- scritta può trovare indicazione anche nella correzione di eccesso di conca o di lobulo prominente, con una particolare variante della tecnica descritta da Fritsch stesso (figura 32), che prevede l’applicazione di punti (b e c) conco/mastoidei op- pure alla coda dell’elice.

Figura 32 Punti di completamento conco / mastoidei e alla coda dell’elice sec. Fritsch.

Complicanze chirurgiche generali Una revisione della letteratura pubblicata in proposito nel 2008, ha valutato una consistente difformità di incidenza delle complicanze, precoci o tardive, nelle ol- tre duecento varianti tecniche fino ad allora note. Importante è comunque il pe- riodo di follow-up, che deve essere almeno di due anni. Globalmente, l’insorgenza precoce di complicanze incide fino a 8,4% nel- le diverse casistiche; l’incidenza delle complicanze tardive può raggiungere il 47.3%. La mancanza di uniformità di parametri di valutazione è responsabile di questa 40 | Orecchie prominenti grave disomogeneità di risultati, tanto che è stata proposta l’adozione (Limandjaja) di un protocollo di criteri severi a cui attenersi a livello internazionale. L’esito finale di una otoplastica per orecchie prominenti è dunque condizionato dalla insorgenza di eventuali complicanze.

Complicanze precoci: • Emorragia. • Ematoma. • Infezione delle parti molli (in genere 3°-5° giornata postoperatoria in conseguenza di ematoma). • Necrosi cutanea. • Deiscenza cutanea (richiede re-sutura).

Complicanze tardive: • Asimmetria. • Iper/ipo correzione. • Recidiva. • Aspetto tipo “Telephone ear”. • Pericondrite (di difficile eradicazione). • Cicatrice ipertrofica e cheloide. • Ipoestesia (si recupera in alcun mesi) – Parestesia. • Rigetto della sutura (che può non richiedere re-sutura, figura 33). • Fistolizzazione. • Noduli cartilaginei (esito di rimozione della conca). • Riduzione di ampiezza del meato uditivo esterno. • Difficoltà di esplorazione del condotto uditivo esterno.

Figura 33 Rigetto della sutura. Orecchie prominenti | 41

La presenza di uno spandimento emorragico che comprime la cartilagine crea le basi per una necrosi tissutale. La scarsa cura dell’antisepsi è un fattore altrettan- to determinante per l’infezione, la necrosi e la deiscenza della sutura. L’eccessiva trazione delle suture può essere alla base dei noduli visibili e della ci- catrice ipertrofica/cheloidea. Per il rischio di insorgenza di cheloide non bisogna dimenticare la variabile connesse alla etnia del paziente e all’età peripuberale; non si ribadirà mai abbastanza l’importanza di verificare la presenza di altre eventuali cicatrici corporee sull’operando, per rimarcare l’attenzione di genitori e paziente sul possibile rischio di cheloidi. Altra minaccia per un risultato esteticamente e funzionalmente corretto è co- stituita da imprecisa valutazione in corso d’opera o da errori di procedimento nella tecnica chirurgica, come: • creazione di un solco posteriore troppo serrato; • curva dell’antelice troppo rettilinea; • elice retroposta sul piano frontale; • residua protrusione del terzo inferiore.

Controlli postoperatori Il calendario dei controlli postoperatori prevede: • Postoperatorio precoce. A 5, 15 e 30 giorni dall’intervento si effettuano medi- cazioni, si suggeriscono fasce protettive, si consentono l’immersione in acqua e la ripresa di attività fisico-sportiva;

Figura 34 Controllo a distanza di sei mesi. 42 | Orecchie prominenti

• Postoperatorio di medio termine. Dopo 3, 6, 12 e 24 mesi dall’intervento si valutano l’esito cicatriziale ed estetico, il confort individuale, la soddisfazione glo- bale soggettiva e familiare, la simmetria morfologica, la necessità di proseguire o abbandonare il monitoraggio (figura 34); • Postoperatorio di lungo termine. Dopo i 24 mesi sono opportuni controlli biennali fino alla maggiore età, per confrontare risultati obiettivi e soggettivi; altri controlli sono necessari quando intervengano cambiamenti clinici o si introduca- no nuove abitudini di vita: idoneità per sports agonistici di squadra, uso di caschi di varia natura o di occhiali permanenti, esecuzione di piercing, comparsa di acne o altre patologie cutanee. Orecchie prominenti | 43

Bibliografia

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2. Schisi labio-maxillo-palatine

Definizione

Le schisi labio-maxillo-palatine sono malformazioni congenite caratterizzate da soluzioni di continuo che interessano il labbro superiore, il pavimento del naso, il processo alveolare, il palato duro e molle; possono presentarsi in forma mono- laterale o bilaterale. I settori anatomici interessati possono essere coinvolti in maniera variabile dal- la malformazione, che può quindi assumere diversi spettri di complessità (schisi completa o incompleta); dalla forma in cui solo il labbro è coinvolto (“labbro leporino”) si arriva alla malformazione completa interessante tutte le parti ana- tomiche descritte (tale forma viene identificata dalla letteratura non specialistica come “gola di lupo”).

Epidemiologia

Tra le malformazioni cranio facciali quelle del labbro e del palato sono le più frequenti. L’incidenza di questo difetto è variabile nelle diverse regioni geografiche e nei diversi gruppi razziali; in generale, è di circa 1:700 nati vivi con prevalenze molto variabili a seconda dei registri cui si fa riferimento: da 3,4 a 22,9 su 10.000 nati vivi per la schisi labiale associata o meno a quella palatina, da 1,3 a 25,3 su 10.000 nati vivi per la schisi palatina isolata. Le prime appaiono più frequenti in alcune zone dell’America Latina e dell’Asia (Cina e Giappone) e poco frequenti in Israele; le seconde risultano essere molto frequenti in Canada e Nord Europa e poco frequenti in America Latina e Sudafrica. 48 | Schisi labio-maxillo-palatine

Dai dati della letteratura si rileva che le schisi labio-maxillo-palatine rappre- sentano la forma più comune (circa il 50%), mentre le schisi isolate del labbro o del palato si dividono equamente il restante 50%. Per quanto riguarda le differenze tra i sessi, è segnalato per la schisi isolata del labbro e per la schisi di labbro e palato un rapporto maschi/femmine di 2:1; tale rapporto è invece invertito per la schisi del solo palato. Un aspetto interessante è costituito dal lato della schisi: circa i 2/3 delle schisi monolaterali del labbro, con o senza schisi del palato, si osservano nel lato sini- stro. L’incidenza delle forme bilaterali tra tutte le schisi del labbro varia, secondo le casistiche, dal 9 al 16%. Le forme bilaterali sono più comuni nei maschi, con un rapporto, rispetto alle femmine, di 2:1 e sono più frequentemente associate a schisi del palato. La schisi del palato è associata alla schisi bilaterale del labbro nell’86% dei casi e alla schisi monolaterale del labbro nel 68%. La possibile associazione con altri difetti congeniti ha un’incidenza significati- va (13-50% nella schisi del palato, 7-15% nella schisi del labbro, 2-11% nella schisi di labbro e palato).

Eziopatogenesi

Nell’analisi dei fattori implicati nell’eziologia delle labiopalatoschisi è da tenere in considerazione l’eterogeneità eziologica, ovvero l’esistenza di molteplici cause per un unico fenomeno. La formazione del distretto cranio facciale è un processo estremamente com- plesso, nel quale intervengono ed interagiscono fattori diversi, sia ambientali che genetici. Tali fattori possono quindi interferire con il normale sviluppo di quest’a- rea, determinando l’ampia varietà dei difetti sopra descritti. Questa complessità spiega le conoscenze ancora lacunose, soprattutto per quanto riguarda l’eziopatogenesi delle forme non associate a sindromi (circa il 70%). La concordanza di questi difetti è circa del 25-45% nei gemelli omozigoti e questo prova l’esistenza di un substrato genetico. Allo stesso tempo il fatto che questa concordanza non sia completa evidenzia l’influenza di fattori ambientali nello sviluppo del difetto nell’embrione. Si conoscono almeno 600 sindromi che comprendono tra le manifestazioni la schisi del labbro e/o del palato. Esse si dividono in forme caratterizzate da un disordine di tipo mendeliano (difetto di un singolo gene), forme derivanti da di- fetti cromosomici, forme associate a teratogeni noti e forme la cui origine rimane ancora oscura. Schisi labio-maxillo-palatine | 49

Il rischio che vi siano malformazioni associate è maggiore nelle forme bilaterali di labiopalatoschisi, è minore invece nelle labioschisi monolaterali.

Sindromi associate alle labiopalatoschisi Tra le sindromi associate a labiopalatoschisi già caratterizzate da punto di vista genetico vi sono: • la sindrome di Van der Woude, autosomica dominante, contribuisce all’1% delle forme sindromiche di labiopalatoschisi. Il gene responsabile si trova sul cromosoma 1 e codifica l’interferone 6 (IRF 6) che ha un ruolo importante nello sviluppo cranio facciale; • la CLP-Ectodermal dyspasia syndrome, autosomica recessiva, associata a mu- tazione del recettore per il polio virus (PVRL1), scoperta in una popolazione delle isole Margarita situate a nord del Venezuela. Il recettore sarebbe coin- volto nella fusione dei processi palatini; • la Ectrodactyly, ectodermal dysplasia, orofacial cleft syndrome (ipoplasia me- diana della mano e del piede spesso associata a sindattilia, secchezza cutanea, capelli radi, ipoplasia dentaria e labiopalatoschisi), sindrome autosomica do- minante, dovuta alla mutazione del gene p63 (cr 3q27) coinvolto nella fusio- ne dei processi mascellari e mandibolari; • la Ankyloblepharon, ectodermal dysplasia, clefting syndrome o hay-Wells syn- drome, simile alla precedente con in aggiunta fusione palpebrale; • la X-linked Opitz syndrome, mutazione del gene MID1 nel cromosoma Xp22.

Tra le sindromi associate a schisi del palato: • la X-linked cleft syndrome che associa schisi palatina e anchiloglossia, mutazione del gene TBX22 che codifica un fattore di trascrizione della fami- glia T-box espresso durante lo sviluppo del palato, uno dei primi geni che è stato identificato come responsabile di sindromi con schisi del palato; • la sindrome di Treacher Collins, malformazioni dell’orecchio medio ed esterno, plica palpebrale rivolta verso il basso, coloboma della palpebra inferiore, ipoplasia mandibolare e zigomatica e palatoschisi nel 28-35% dei casi; la mutazione responsabile riguarda il gene TCOF1 sul cromoso- ma 5q32; • la Holoprosencephaly syndrome, spettro che va da anomalie della linea media- na ad una completa mancata divisione del prosencefalo con ciclopia e spesso palatoschisi, la mutazione riguarda il gene SHH; • la sindrome di Stickler (artro-oftalmopatia ereditaria), disordine autosomico dominante del tessuto connettivo con manifestazioni oculari, uditive, artico- 50 | Schisi labio-maxillo-palatine

lari e cranio facciali (nel 25% dei casi si associa la schisi del palato). La muta- zione riguarda il gene COL2A1 che codifica il collagene di tipo II; • Sindrome di DiGeorge o Velocardiofacciale o Catch 22, autosomica dominante caratterizzata da difetti cardiaci, anomalie facciali, ipoplasia timica, palato- schisi, ipocalcemia, legate ad una microdelezione del cromosoma 22.

Vi sono poi schisi associate a sindromi ad eziologia sconosciuta o non definita: • Malattia da briglie amniotiche (può dare forme tipiche o particolari di labio- palatoschisi); • Sequenza di Pierre Robin: condizione caratterizzata da micrognazia, glossop- tosi e schisi del palato molle.

Labiopalatoschisi isolate Data la multifattorialità che caratterizza le malformazioni isolate, l’identificazione dei geni responsabili rappresenta ancora un ostacolo. Sono già stati fatti molti studi di associazione nell’ultimo decennio per testare il coinvolgimento di diversi loci cromosomici, ma tutti hanno dato risultati contradditori. Tra gli altri sono stati analizzati il gene che codifica l’endotelina-1 (ET1), la cui mutazione nel topo produce manifestazioni fenotipiche simili a quelle della condizione CATCH-22 nell’uomo; il gene del recettore alfa per l’acido retinoico (RARA); il gene che codifica il TGFalfa e beta3. Altrettanti geni sono stati identificati in quanto coinvolti nello sviluppo em- brionale del labbro e del palato: l’alterazione dell’espressione di ognuno di questi fattori può dare un potenziale contributo all’insorgenza delle schisi.

Fattori teratogeni Tra i fattori ambientali presi in considerazione nello sviluppo delle schisi la- bio-maxillo-palatine vi sono i seguenti: • fumo materno; • ipossia da altitudine; • abuso di alcol durante la gravidanza; • stato nutrizionale materno con particolare attenzione al ruolo dell’acido folico.

Riguardo a quest’ultimo, per quanto esistano evidenze di un ruolo della supple- mentazione dietetica nella prevenzione dei difetti del tubo neurale, non ve ne sono altrettante riguardanti la prevenzione delle labiopalatoschisi anche se le in- dagini epidemiologiche fin qui condotte sembrerebbero confermare che un suo deficit durante la gravidanza predisponga allo sviluppo di tali difetti. Da uno stu- Schisi labio-maxillo-palatine | 51 dio randomizzato che confrontava madri che avevano assunto alte dosi di acido folico nel corso della gestazione (2-5 mg/die) e madri che avevano assunto basse dosi (1 mg/die) è emersa una più alta prevalenza di malformazioni con l’assunzio- ne di alte dosi perciò la questione resta ancora controversa.

Embriologia

Sviluppo della faccia La faccia origina da abbozzi mesodermici che sollevano il foglietto corneo dell’e- stremità craniale e delimitano fra di loro una profonda depressione, rappresenta- ta dallo stomodeo (o cavità buccale primitiva). Tali abbozzi sono cinque, vengono denominati processi facciali, sono inizialmente separati da solchi che si colmano progressivamente. Compaiono durante la quarta settimana di sviluppo dell’em- brione. Essi sono (figura 1A): • il processo frontale, impari e mediano, costituisce il tetto dello stomodeo; • due processi mandibolari, simmetrici, che si uniscono rapidamente sulla linea mediana per formare il pavimento dello stomodeo; • due processi mascellari, simmetrici, formano le pareti dello stomodeo.

Alla fine della 4ª settimana, sul processo frontale, compaiono due ispessimenti di natura ectodermica, i placodi olfattivi. Un cercine mesodermico trasforma i pla- codi in docce olfattive; le estremità del cercine si ispessiscono e formano i processi nasali mediali e laterali. Una serie complessa di movimenti morfogenetici cambia la forma e le dimen- sioni dei processi facciali e li porta a fondersi. Le fusioni principali sono cinque: • al termine della 4ª settimana i due processi mandibolari si fondono al centro dando origine all’abbozzo del labbro inferiore e del mento (figura 1B); • al termine della 6ª settimana i processi nasali mediali migrano verso il cen- tro dando origine al massiccio mediano della faccia la cui porzione superiore forma la base da cui si sviluppa il setto nasale, mentre la parte inferiore, il processo intermascellare si dispone tra i due processi mascellari. Il processo intermascellare è costituito da una regione esterna (da cui originerà il filtro del labbro superiore), una intermedia (da cui si svilupperà la regione ma- scellare comprendente i quattro incisivi superiori) ed una interna (sporgente nella cavità buccale, formerà il palato primitivo). I due processi mascellari si 52 | Schisi labio-maxillo-palatine

fondono con il processo intermascellare formando l’arco della mascella ed il labbro superiore (figura 1C). Per quanto riguarda i bordi inferiori dei proces- si mascellari, si fondono con i sottostanti processi mandibolari e portano ad una riduzione dell’apertura della bocca primitiva. I bordi superiori, invece, si uniscono con i processi nasali mediali e formano i massicci laterali (si tratta di una fusione incompleta in quanto rimane la soluzione di continuo rappre- sentata dal canale naso-lacrimale); • tra la 4ª e la 7ª settimana, durante la confluenza e la fusione dei processi facciali, avviene anche lo spostamento mediale degli abbozzi oculari ed una migrazione laterale dei padiglioni auricolari primitivi (figura 1D). A B C D

Figura 1 Sviluppo embriologico della faccia dagli abbozzi mesodermici.

Formazione del palato Il palato origina da due strutture: il palato primitivo ed il palato secondario. Il palato primitivo, che separa lo stomodeo dalle fosse nasali primitive, è co- stituito dalla faccia inferiore del massiccio mediano, una lamina grossolanamen- te triangolare a vertice posteriore, orizzontale, detta anche palato anteriore. Tale struttura risulta interamente formata al 45° giorno. In questo stadio, nella cavi- tà stomodeale, si rendono evidenti tre formazioni rappresentate dal setto nasale (mediano, verticale, derivante dal processo frontale) e dai processi palatini (in nu- mero di due, laterali, orizzontali, provenienti dai processi mascellari). Queste tre lamine si fondono sulla linea mediana, separando le fosse nasali definitive dalla cavità buccale (figura 2). La fusione dei processi palatini e del setto nasale inizia circa alla 9ª-10ª setti- mana e darà origine al palato secondario. Un momento critico ancora in fase di studio nello sviluppo del palato è l’innalzamento delle lamine palatine che, già dalla 6ª settimana di vita embrionale crescono sul piano verticale lateralmente alla lingua e poi, a seguito di una proliferazione mesenchimale cominciano a svi- Schisi labio-maxillo-palatine | 53

Primitive palate

Palate processes Nasal septum

Palate processes

Incisive foramen

Site of median fusion

Secondary palate

Uvulae

Figura 2 Formazione del palato. lupparsi sul piano orizzontale al di sopra della lingua fino a incontrarsi e fondersi sulla linea mediana (il palato si può considerare formato alla 10ª settimana). La lingua, che inizialmente occupava tutto lo stomodeo, si trova così confinata nella cavità buccale. Il palato primitivo e la porzione anteriore del palato secondario vanno incontro a processi di ossificazione membranosa e danno luogo al palato osseo (o duro). La porzione restante, posteriore, comprendente velo palatino ed ugola, non ossifica e costituisce il palato molle. La fusione del palato procede in senso rostro caudale, dal palato duro verso l’u- gula e questo spiega perché, dal punto di vista fenotipico, può esistere una schisi del palato molle non associata a schisi del palato duro, ma non viceversa. 54 | Schisi labio-maxillo-palatine

La saldatura dei processi facciali avviene tra la 5ª e la 8ª settimana; un difetto di tale processo determina un’anomalia che si manifesta con la persistenza di una fessura o schisi.

La labioschisi deriva da un difetto di confluenza tra il massiccio laterale ed il massiccio mediano; a seconda dell’entità del difetto si riconoscono diverse forme, mono o bilaterale, semplice o completa in base al grado di interessamento dell’al- veolo e del naso. La patogenesi riconosce una migrazione insufficiente delle cellule della cresta neurale e/o la scarsa proliferazione delle stesse.

La palatoschisi origina da una mancata fusione dei processi palatini, che può es- sere causata da: • mancata proliferazione cellulare; • eccessivo allargamento della testa; • fallimento nel cambiamento della direzione di sviluppo dei processi palatini nella formazione del palato; • incapacità di fondersi dei processi dopo essere venuti a contatto.

Classificazione delle schisi oro-facciali

Il gran numero di diverse anomalie riscontrabili nell’ambito delle schisi facciali ha reso difficile creare un sistema di classificazione completo. Nel 1958 Kernahan e Stark proposero una classificazione basata sullo sviluppo embriologico distinguendo tra palato primario e palato secondario. Il forame incisivo viene considerato come il confine tra le due strutture e ciò permette di dividere le malformazioni facciali in tre grandi gruppi: schisi del pala- to primario, schisi del palato secondario, schisi del palato primario e secondario.

Diagramma di classificazione Nel 1971 la classificazione è stata perfezionata con l’introduzione dello schema a “Y”, che ha permesso di avere un riscontro visuale semplice e comparabile. Le parti della “Y” formanti le “braccia”, partendo dall’esterno, rappresentano il labbro, l’alveolo, e il palato duro. La porzione rimanente, il “gambo” del logo, esprime la suddivisione in terzi del palato duro e molle; punto di divisione importante tra i due gruppi è il forame incisivo (figura 3, 4). Schisi labio-maxillo-palatine | 55

R L 1 6 2 5 3 4 7 8 9

Figura 3 Condizioni normali dove 1 e 4 rappresentano il labbro, 2 e 5 l’alveolo, 3 e 6 il palato primario separato dal palato secondario (7, 8 e 9) dal forame incisivo.

1 6 1 6 1 6 2 5 2 5 2 5 3 4 3 4 3 4 7 7 7 8 8 8 9 9 9

1 6 1 6 1 6 2 5 2 5 2 5 3 4 3 4 3 4 7 7 7 8 8 8 9 9 9

1 6 1 6 2 5 2 5 3 4 3 4 7 7 8 8 9 9

Figura 4 Il diagramma di Kernahan e Stark relativo alle varie forme di labiopalatoschisi. 56 | Schisi labio-maxillo-palatine

Caratteristiche morfologiche delle schisi oro-facciali

Schisi labiale unilaterale La schisi del labbro può essere completa, con coinvolgimento del labbro, del pavi- mento nasale, dell’alveolo e del palato primario, o incompleta; il 30% delle forme complete presenta la cosidetta banda di Simonart, un ponte cutaneo che attraver- sa la narice inferiormente e omolateralmente alla schisi (figura 5, 6).

Figura 5 Labiopalatoschisi destra con banda di Simonart cutanea inferiore alla narice destra e schisi completa labio-maxillo-palatina.

Figura 6 Labioschisi sinistra incompleta.

Le forme incomplete rappresentano uno spettro che Yuzuriha e Mulliken han- no tentato di schematizzare e semplificare definendominori le forme caratteriz- zate da uno slivellamento di 3 mm o più della giunzione muco-cutanea al di so- pra dell’arco di Cupido; microforme quelle con slivellamento inferiore a 3 mm; Schisi labio-maxillo-palatine | 57 mini-microforme quelle con interruzione della giunzione muco-cutanea senza slivellamento dell’arco di Cupido. Nelle forme unilaterali la cartilagine dell’ala nasale dal lato della schisi è dislo- cata ed allargata (il grado dipende dalla gravità della schisi) e la punta del naso è deviata verso il lato sano. La porzione mediale del labbro è accorciata con ver- miglio assottigliato; altrettanto carente è la mucosa della porzione laterale. Il mu- scolo orbicolare della bocca è deficitario e presenta inserzioni aberranti alla base dell’ala nasale, alla columella e al derma a livello del difetto.

Schisi labiale bilaterale La schisi bilaterale isolata del labbro è la forma meno severa, in genere è carat- terizzata dal persistere di una connessione tra porzioni laterali del labbro e pro- labio (banda di Simonart) che è confinata alla porzione superiore del labbro e può comprendere, nelle forme incomplete, oltre alla cute, anche tutti i tessuti che costituiscono lo spessore del labbro comprese le fibre muscolari, anche se queste ultime non penetrano nel prolabio ma si ancorano alla cute a livello della base delle cartilagini nasali. Il prolabio varia per dimensioni, in genere ha una forma semi-circolare e può non presentare un confine chiaro tra porzione mucosa e cu- tanea (giunzione muco-cutanea). La deformità nasale associata è di entità minore con naso simmetrico e columella di lunghezza adeguata.

Figura 7 Labiopalatoschisi bilaterale completa.

Le forme più severe possono essere costituite da schisi del labbro e dell’alve- olo soltanto, o, molto più comunemente, da schisi completa del labbro, dell’alve- olo e del palato (figura 7). In questo caso il difetto è più spesso asimmetrico, la 58 | Schisi labio-maxillo-palatine

pre-maxilla protrude e può deviare verso uno dei due lati e ruotare, il prolabio è adeso alla punta del naso a causa della protrusione del segmento sottostante, la schisi palatina è simmetrica (figura 8). A determinare la difficoltà di correzione della malformazione è la relazione tra pre-maxilla e processi mascellari, talora troppo accostati per consentire la retrazione del segmento centrale isolato senza un ausilio ortodontico. La deformità nasale è più grave che nelle forme labiali isolate e comprende, in grado variabile, un’eccessiva brevità della columella, lo slargamento della punta del naso e dello spazio tra cartilagini alari e, nelle forme asimmetriche, la deviazione del setto.

Figura 8 Labiopalatoschisi bilaterale con importante protrusione della pre-maxilla.

È presente una relazione diretta tra gravità della schisi e entità del difetto alve- olare e quindi di dentizione: i denti possono risultare alterati sia per numero, che per forma, che per posizione sull’arco mascellare.

Schisi labio-maxillo-palatina Nella forma completa di schisi labiopalatina unilaterale esiste una comunicazione tra cavità nasale e orale dal lato della schisi; dal lato sano il setto nasale è invece attaccato al processo palatino. Anche questa categoria comprende in realtà un ampio spettro di anomalie: i segmenti palatini possono essere più o meno sepa- rati, il lato della schisi si presenta di solito medializzato e innalzato, il vomere è deviato verso il lato non affetto, tanto che può assumere talora un’inclinazione completamente orizzontale (figura 9). Schisi labio-maxillo-palatine | 59

Figura 9 Labiopalatoschisi sinistra completa.

Schisi isolata del palato Il difetto può riguardare solo il palato molle o sia il palato molle che quello duro estendendosi quindi dall’ugola in senso anterogrado per vari gradi di ampiezza (in alcuni casi può essere limitato semplicemente all’ugola che si presenta come bifida), ma non interessa mai né il labbro né l’alveolo. Proprio a causa di questa varietà fenotipica è importante esaminare manualmente il margine posteriore della schisi alla ricerca di un’incisura che possa rivelare la presenza di una schisi sottomucosa altrimenti difficile da evidenziare. Il difetto palatino può essere ampio o stretto, piriforme o a V, il vomere è in genere sottile e tagliente e l’associazione frequente con micrognazia da adito all’i- potesi che uno dei fattori eziologici sia la posizione della lingua che, a causa della micrognazia appunto, occupa lo spazio tra i 2 processi palatini, ostacolandone la fusione (figura 10).

Schisi sottomucosa del palato La schisi sottomucosa si diagnostica in presenza della classica triade: ugola bifida, separazione dei muscoli del velo sulla linea mediana a fronte di una continuità della superficie mucosa e incisione mediana palpabile sul margine posteriore del palato duro (figura 11). Dal punto di vista funzionale vi è generalmente un deficit di spessore e di lun- ghezza nel velo palatino che rende difficile un’adeguata chiusura dello spazio fa- ringeo. 60 | Schisi labio-maxillo-palatine

Figura 10 Schisi completa del palato. Figura 11 Aspetto di tacca (“notch”) tra palato duro e molle tipico della schisi sottomucosa.

Insufficienza velo-faringea Anche l’insufficienza velo-palatina deve essere considerata un difetto congenito anche se meno facilmente obiettivabile rispetto alle schisi vere e proprie, in gene- re si rende evidente quando il paziente acquisisce l’eloquio e con esso l’ipernasali- tà tipica delle schisi non corrette. Dal punto d vista anatomico la causa può essere sia un velo troppo corto sia un deficit in senso antero-posteriore del palato duro.

Gestione multidisciplinare del bambino affetto da labiopalatoschisi

Il trattamento della labiopalatoschisi richiede la collaborazione di diversi spe- cialisti “team approach”, allo scopo di ottenere i migliori risultati sia sul piano funzionale che estestico. Per questo motivo il concetto di approccio multidisciplinare costituisce una fondamentale evoluzione e rappresenta sicuramente il punto cardine nell’affron- tare questo tipo di patologia, già dal momento della nascita o prima in caso di diagnosi prenatale, sempre più frequente per i difetti che comprendano la schisi del labbro, ancora rara nei casi di schisi isolata del palato. Il primo vantaggio del “team approach” è per i genitori: il compito dell’equipe di specialisti che si prenderà carico delle cure è quello di rassicurare la famiglia non solo del fatto che la malformazione di cui il bimbo è affetto è correggibile ma anche del fatto che i genitori non sono la causa di tale difetto, in modo da aiutarli a superare il momento di confusione iniziale e concentrare le energie nella crea- zione di un ambiente di supporto positivo nell’ambito del quale lavorare. Schisi labio-maxillo-palatine | 61

La costituzione di un’equipe favorisce inoltre la coordinazione degli specialisti tra loro, il che si traduce, dal punto di vista pratico, in guadagno di tempo, ridu- zione di costi, risparmio di energie. Compito di questi professionisti sarà non solo la conferma della diagnosi e la definizione del tipo di difetto, ma anche l’esclusione della presenza di altre ano- malie congenite nell’ambito di un eventuale quadro sindromico e la gestione del paziente sia prima che dopo la correzione chirurgica facendosi carico di tutti i problemi clinici correlati in particolare all’alimentazione, agli aspetti audiologici, odontoiatrici, foniatrici e genetici. Il team è normalmente composto da: • Genetista; • Neonatologo e Pediatra; • Chirurgo; • Otorinolaringoiatra e Audiologo; • Foniatra e Logopedista; • Chirurgo Maxillo-Facciale e Chirurgo Plastico; • Odontoiatra ed Ortodonzista.

Per quanto riguarda la chiusura del difetto labiale, alveolare e/o palatino non vi è accordo su quale sia la figura di chirurgo più adatta in termini di esperienza con le strutture anatomiche da ricostruire. Nel mondo occidentale in particolare nel Nord Europa e Nord America ormai la tendenza è quella della “ultra-spe- cializzazione” e dell’accentramento in grosse strutture per il trattamento di una singola patologia o di un gruppo di patologie simili per cui emerge sempre più la figura del “cleft surgeon”. Quello che emerge dalla letteratura recente è che non è tanto importante quale sia la formazione di origine purchè a trattare le labio-pa- latoschisi, vista la loro complessità, siano specialisti con una grossa esperienza in termini quantitativi o “high-volume surgeons”, definiti da alcuni autori come chirurghi che operano almeno 30 nuovi casi all’anno, anche se l’esperienza quan- titativa non è sempre sinonimo di esperienza qualitativa. Il genetista rappresenta lo specialista maggiormente coinvolto in fase iniziale, nel momento in cui i genitori si pongono innumerevoli domande sulle cause, sul- le loro eventuali responsabilità e sul rischio di ricorrenza per gravidanze future. Il genetista possiede una competenza specifica sul meccanismo eziopatogenetico della malformazione che può essere determinante come guida alla terapia. L’iden- tificazione dei meccanismi causali delle malformazioni, con i loro aspetti genetici ed ambientali, può fornire elementi di informazione non solo sotto l’aspetto della prevenzione ma anche nella guida al trattamento. La conoscenza della patogenesi 62 | Schisi labio-maxillo-palatine infatti, permette di precisare il tempo più adatto per la terapia pluridisciplinare e di programmarla su principi biologici coordinando le varie fasi terapeutico-chi- rurgiche in rapporto allo sviluppo delle strutture colpite. L’ otorinolaringoiatra e l’audiologo svolgono un ruolo fondamentale nella va- lutazione di una schisi labio-maxillo-palatina; già nei primi mesi di vita è pos- sibile individuare un’eventuale patologia dell’udito oppure valutare l’integrità delle membrane timpaniche. Questo pone le basi per lo sviluppo di una nor- male funzione linguistica. La diagnosi della perdita uditiva, nel bambino con labiopalatoschisi, non deve essere tardiva. L’importanza della patologia otolo- gica è spesso sottostimata nella prima infanzia quando tutta l’attenzione e la preoccupazione della famiglia sono rivolte al più evidente difetto anatomico. L’interessamento dell’orecchio medio è invece una condizione estremamente frequente in questi bambini. Se si escludono le forme sindromiche in cui alla palatoschisi si associano malformazioni della catena ossiculare o alterazioni dell’orecchio interno con ipoacusia neurosensoriale, la maggior parte della pa- tologia audiologica è dovuta ad ipoacusia trasmissiva conseguente a versamen- to endotimpanico. La patogenesi del versamento, nel bambino con palatoschisi, è correlata ad una disfunzione della tuba che determina un’insufficiente ventilazione della cassa timpanica. La cronica ipoventilazione ed il ripetersi di versamenti determina poi una modificazione in senso ipersecretivo della mucosa dell’orecchio medio, po- nendo le premesse per la cronicizzazione dell’otite media. Il trattamento otologico nel bambino con palatoschisi ha come scopo basila- re il ripristino della ventilazione dell’orecchio medio, sia per eliminare i versa- menti in atto che per prevenire riacutizzazioni della patologia ed una possibile cronicizzazione. Gli interventi che può decidere di attuare l’audiologo vanno da quelli meno invasivi e conservativi quali lavaggi nasali, esercizi di ginnastica tubarica (affidati al logopedista) e cure termali, a procedure più invasive quali miringocentesi e posizionamento di drenaggi endotimpanici fino all’adenoi- dectomia. Il neonatologo ha il compito di identificare e far fronte ad ogni eventuale dif- ficoltà respiratoria ed escludere eventuali ulteriori malformazioni, in particola- re micrognazia e macroglossia che potrebbero essere la spia di una Sequenza di Pierre Robin, e la cui presenza pone il paziente a elevato rischio di complicanze respiratorie e difficoltà di alimentazione. Un paziente con schisi del labbro può presentare perdita di latte attraverso le labbra ed eccessivo introito di aria durante la suzione, ma nella maggior parte dei casi è realizzabile l’alimentazione al seno istruendo la madre a premere il labbro Schisi labio-maxillo-palatine | 63 superiore del bimbo contro il suo seno durante l’allattamento o contro la tettarella in caso di alimentazione con biberon. Il paziente affetto da schisi del palato pone un problema differente e in genere più complesso non essendo in grado di creare una pressione intrabuccale tale da poter estrarre il latte pur avendo spesso una buona coordinazione motoria. Ciò che si verifica generalmente è l’ingresso di latte nel naso e l’eccessivo affati- camento del bimbo nel corso delle poppate che presentano tempi molto lunghi. Per far fronte a queste situazioni si rendono utili presidi creati appositamente per facilitare la suzione: si tratta di biberon ideati per aumentare l’introito di latte e diminuire la fatica e la durata delle poppate, in genere dotati di tettarelle a bulbo, con fori a Y o a X e valvole. Il corpo del biberon può essere compressibile in modo da consentire al genitore di regolare il flusso attraverso la pressione. L’alimentazione al seno di pazienti affetti da schisi associata di labbro e palato o schisi del palato isolata, salvo forme minori che interessano il palato molle, pre- senta spesso molte difficoltà. È consigliabile comunque allattarli tenendoli semi-seduti con testa in posizio- ne neutra in modo che la gravità faciliti la deglutizione e riduca il reflusso nasale. Altrettanto utili sono l’aspirazione nasale e/o il lavaggio delle cavità nasali con una siringa dopo il pasto. L’uso del bicchiere può essere introdotto non appena il bimbo riesce a stare seduto autonomamente e spesso è utile abituarlo prima dell’intervento in modo che poi possa alimentarsi nel post-operatorio anche senza esercitare la suzione. Lo svezzamento e l’introduzione del cucchiaino possono seguire le normali tappe dello sviluppo. In alcuni casi, soprattutto in neonati prematuri o affetti da altre patologie, può essere indispensabile la nutrizione mediante sondino. Il foniatra ed il logopedista hanno un ruolo insostituibile. I bimbi affetti da schisi labio-palatina sono infatti ad alto rischio di sviluppa- re disordini del linguaggio sia per le peculiarità anatomiche e strutturali che li distinguono, sia per l’alta incidenza di otite media ricorrente e ipoacusia e quin- di riguardanti sia la produzione che la comprensione del linguaggio. Inoltre lo sviluppo del linguaggio in questi pazienti può essere ulteriormente ostacolato dai problemi ortodontici spesso associati, da altre malformazioni cranio-facciali eventualmente associate e da aspetti emotivi e psicologici. Le anomalie coinvolgono l’articolazione dei suoni attraverso gli elementi della bocca (lingua, labbra, velo palatino e denti) e la produzione dei suoni attraverso le corde vocali e la tonalità stessa della voce, derivante dalla vibrazione/risonanza del suono nella faringe e nelle cavità orale e nasale. 64 | Schisi labio-maxillo-palatine

I maggiori errori nell’articolazione sono legati ad una diminuzione della pres- sione intra-buccale con conseguente distorsione del suono delle consonanti e au- mento del flusso d’aria attraverso il naso per compensare la carenza pressoria; questi meccanismi di compenso possono peggiorare l’intellegibilità del linguag- gio emesso. Un altro meccanismo di compenso riguarda la fonazione: i pazienti riducono il volume della voce per diminuirne la nasalità, questo può portare a lungo andare alla formazione di noduli vocali che modificano ulteriormente il suono. Per quanto siano stati ideati degli strumenti in grado di valutare l’entità del disturbo vocale, tutti concordano nel sostenere che il Gold Standard rimane l’o- recchio umano, ovvero dell’esaminatore; per questo sono stati creati degli “Speech assessment” che guidino e facilitino il confronto dell’analisi percettiva del linguag- gio anche tra diversi centri (es. GOS. SP. ASS del Great Ormond Street Hospital). Gli aspetti principali che devono essere valutati sono: • la risonanza in base alla quale suoni come B e D possono essere sostituiti rispettivamente con M e N; • l’emissione nasale nei suoni plosivi P e T fricativi F e S, anch’essi sostituiti con suoni faringali; • la turbolenza nasale; • le grimaces ovvero movimenti inconsapevoli con cui il bimbo tenta di blocca- re la fuga d’aria nasale; • l’accettabilità e l’intellegibilità del linguaggio.

Il più frequente disordine riguardante la tonalità della voce è l’ipernasalità, data principalmente dall’incapacità del velo di attuare un adeguato meccanismo di valvola con le pareti faringee posteriore e laterali con conseguente fuga d’aria e distorsione di molti suoni quali: b-p-t-d-g-k-s-sc-ch-z-f (insufficienza velo- faringea). In generale è opportuno che la rieducazione inizi il più precocemente possibile, ovviamente dopo che si sono raggiunte le condizioni potenziali per un’occlusione velo-faringea. Le raccomandazioni sono quelle di iniziare il trattamento intorno ai 36 mesi, prima il logopedista si limita all’osservazione del bambino e al counseling dei ge- nitori. La terapia logopedica si fa carico di correggere e creare l’atto articolatorio, correggere la risonanza non causata da insufficienza velo-faringea ed elimina- re le articolazioni compensatorie. Compiti altrettanto importanti sono quelli si riconoscere i pazienti affetti da insufficienza velo-faringea e studiarli al fine di selezionare quelli che possono beneficiare del trattamento chirurgico; infine il lo- Schisi labio-maxillo-palatine | 65 gopedista si occupa della rieducazione post correzione chirurgica di quest’ultimo disturbo. Il chirurgo maxillo-facciale ed il chirurgo plastico rappresentano senza dubbio le professionalità più specifiche per intervenire su quei pazienti nei quali le multiple procedure chirurgiche già subite e la malformazione stessa hanno causato un’ano- malia di crescita dello scheletro che si traduce spesso in un malallineamento e/o un’ipoplasia mascellare. Queste anomalie vengono sempre più trattate mediante tecniche di distrazione osteogenetica. Essi sono inoltre coinvolti nel trattamento degli esiti cicatriziali; nella valutazione e nel trattamento dei difetti alveolari e dell’insufficienza velo-faringea. Infine l’odontoiatra e l’ortodonzista sono coinvolti nella gestione del paziente affetto da schisi labio-palatina dalla nascita, per l’eventuale necessità di presidi atti a facilitare la suzione (ora sempre meno usati grazie all’avvento di biberon appositamente creati) o a riallineare i segmenti alveolari prima della chirurgia. L’ ortodonzista dovrà sorvegliare il regolare sviluppo della porzione anteriore dell’osso mascellare e delle arcate alveolari, ed impostare una terapia intercettiva prima dell’eventuale intervento di innesto osseo. Il razionale di utilizzare dei presidi ortopedici nei primi mesi di vita è quello di restaurare i corretti rapporti tra i tessuti molli, cartilaginei e ossei per facili- tare l’intervento successivo e ridurre la necessità di ulteriori interventi dopo la correzione primaria, sfruttando un’epoca (i primi mesi di vita) in cui i tessuti sono dotati di grande plasticità. Tale trattamento va dal semplice “taping”, ovvero l’apposizione di cerotti a ponte tra i due segmenti labiali, a sistemi più complessi che richiedono l’intervento di un ortodontista come il “presurgical nasoalveolar molding” (PNAM) finalizzato al rimodellamento attivo delle cartilagini nasali e dei processi alveolari e all’allungamento della columella. Ne esistono vari modelli e diversi a seconda che si tratti di schisi mono o bi-laterali, ma generalmente sono costituiti da una placca orale che viene creata su un’impronta presa già nei primi giorni di vita e che poi viene modificata di settimana in settimana al fine di avvicinare i segmenti ossei e di uno stent nasale che viene unito alla prima nel momento in cui il difetto alveolare si sta riducendo. Lo scopo è di riconferire un’a- deguata forma arcuata alle cartilagini nasali in genere schiacciate, la posizione viene modificata settimanalmente mediante tiranti elastici fissati con cerotti alle guance del bimbo. Il trattamento ortodontico prechirurgico è molto sfruttato anche per ottenere una retrazione della pre-maxilla nelle schisi bilaterali e consentire quindi la cor- rezione in tempo unico del difetto labiale; uno dei presidi più utilizzati è quello disegnato da Georgiade e poi reso popolare da Latham e Millard che consente 66 | Schisi labio-maxillo-palatine contemporaneamente la reterazione della pre-maxilla e l’espansione dei processi mascellari. Complicanze legate a questi sistemi possono essere l’ischemia e conseguente ulcerazione dei tessuti molli se le variazioni vengono attuate troppo velocemente o in modo eccessivo, l’esposizione prematura degli incisivi decidui attraverso la gengiva nei punti di pressione della placca e la perdita dei benefici ottenuti se l’applicazione non è corretta. Il ruolo dell’ortodonzista-odontoiatra diventa fondamentale dopo la chirurgia primaria. In particolare il loro ruolo cresce con l’eruzione dei denti, prima decidui e poi permanenti: l’odontoiatra dovrà occuparsi di rimpiazzare denti mancanti o malformati e di rimuovere denti soprannumerari, collaborerà inoltre con il chi- rurgo maxillo-facciale nel far fronte al frequente deficit di osso mascellare e alla conseguente malocclusione.

Timing chirurgico

Dall’età di tre mesi, in base alla complessità del difetto, inizia il programma tera- peutico di tipo chirurgico, in genere con la ricostruzione del labbro. Il momento nel quale effettuare il primo intervento veniva in passato stabilito seguendo la “storica” regola del 10: peso del bambino superiore a 10 libbre, emoglobina emati- ca superiore a 10 g/dl, età superiore alle 10 settimane; attualmente l’atteggiamento preferito è quello di adeguare il trattamento ed il timing al singolo paziente, il che si traduce, dal punto di vista pratico, in una tendenza al trattamento chirurgico precoce della malformazione. La chiusura del palato viene eseguita tra il 6° ed il 18° mese, in due tempi dif- ferenti per il palato molle e duro a distanza di sei mesi l’uno dall’altro oppure in tempo unico. Il ruolo funzionale della riparazione è attribuito alla chiusura del palato molle, che nel trattamento in due tempi viene effettuata per prima. Dopo la prima fase chirurgica (sintesi di labbro, palato posteriore ed anteriore – chirurgia primaria) possono persistere diversi tipi di difetti estetici e funzionali: la maggior parte dei dimorfismi è in genere corretta dopo l’adolescenza (chi- rurgia secondaria), anche se alcuni possono richiedere un intervento precoce, quando particolarmente evidenti, per ridurre l’impatto psicologico sul bambino e sulla famiglia. Soprattutto le deformità nasali, secondo i moderni protocolli terapeutici, vengono corrette al tempo della chirurgia primaria, con eventuali ritocchi in un tempo successivo, per il raggiungimento di risultati esteticamente più validi. Schisi labio-maxillo-palatine | 67

Correzione della schisi unilaterale del labbro

Nella schisi del labbro esiste una costante deficienza tissutale, variabile per di- mensioni; per una ricostruzione efficace e quanto più anatomica possibile è ne- cessario che tutto il tessuto disponibile sia conservato ed utilizzato. Gli obiettivi della riparazione sono: • ricostruzione di una normale anatomia e funzione del labbro. Ciò comprende l’allungamento del labbro, la costruzione dell’arco di Cupido mediante con- servazione di un segmento della linea cutaneo-mucosa del labbro interno, il mantenimento di un regolare vermiglio, il riallineamento del muscolo orbi- colare; • ricostruzione del pavimento nasale utilizzando lembi muco periostei dalla parete laterale del naso e mucopericondriali dal setto; • riparazione della fistola naso-labiale; • correzione della deformità nasale mediante avvicinamento della base dell’ala alla porzione mediale del labbro.

L’estensione e la gravità del difetto sono essenziali nel determinare quali di questi obiettivi potranno essere soddisfatti nell’ambito della chirurgia primaria e quali invece richiederanno procedure di chirurgia secondaria. Il ripristino di una normale funzione del muscolo orbicolare rappresenta pro- babilmente l’aspetto più importante di una corretta ricostruzione, il fallimento nel raggiungere tale obiettivo con la chirurgia primaria rende di regola necessaria la revisione in un secondo tempo. Alla luce di queste considerazioni è più che mai importante, soprattutto di fronte a malformazioni severe, una accurata valutazione pre-operatoria e, qualora si dubiti, già in questa prima fase che un obiettivo possa essere realizzato nell’im- mediato, discutere da subito con la famiglia della possibilità che il paziente debba affrontare in seguito la riparazione chirurgica di deformità residue o addirittura secondarie alla chirurgia. Il momento della correzione del labbro, secondo i pro- tocolli internazionali, si è assestato nei primi 3-6 mesi di vita. Lo sviluppo delle tecniche chirurgiche si è da sempre basato sulle misure an- tropometriche che permettono di comparare gli elementi anatomici in condizioni fisiologiche e patologiche: a queste è stata applicata una “quarta dimensione” nel caso dei bambini, quella della crescita, in modo da poter utilizzare i dati antropo- metrici in senso retrospettivo e ottenere un miglioramento del disegno tridimen- sionale iniziale della tecnica di riparazione nasolabiale. Le misure più rilevanti per le deformità legate alle schisi unilaterali riguardano 68 | Schisi labio-maxillo-palatine l’ampiezza eminasale (dal punto sub nasale, angolo tra columella e labbro supe- riore, al punto alare, estremità laterale dell’ala nasale), l’ampiezza nasale (da punto alare a punto alare), la proiezione della punta del naso rispetto al punto sub na- sale, la lunghezza e l’ampiezza della columella, l’altezza del labbro (dal punto sub nasale al picco dell’arco di Cupido o cresta inferiore della colonna del filtro labiale di ciascun lato) e la lunghezza del labbro (dal picco dell’arco di Cupido all’angolo labiale omolaterale o cheilion). Ciò che rende difficoltosa la progettazione della riparazione chirurgica è consi- derare che tutte queste strutture dovranno crescere e che le misure antropometri- che dovranno risultare proporzionate non tanto nell’immediato post-intervento ma tra i 5 e i 10 anni di età del bambino. Si dovrà inoltre tener conto che la modifica di queste misure può verificarsi in modo differente nel lato della schisi e nel lato sano anche dopo che la schisi è stata corretta: l’ampiezza eminasale ad esempio tende a crescere di più dal lato affetto nei primi 6 anni di vita (Mul- liken, La Brie), strutture a crescita lenta come la proiezione della punta del naso e la columella dovranno essere mantenute intenzionalmente più lunghe che nei bambini sani di pari sesso ed età.

Tecniche chirurgiche

Trattando alcune delle principali tecniche chirurgiche non si può non fare un breve accenno ad una tecnica controversa ma ancora utilizzata in alcuni casi che è quella della adhesion, che ha scopi molto simili a quelli del trattamento or- todontico pre-chirurgico. La tecnica prevede la creazione di una sinechia tem- poranea dei tessuti presenti sui margini della schisi labiale, ed in particolare del muscolo orbicolare. Il tessuto cicatriziale viene poi scartato durante la correzione chirurgica vera e propria. Questa procedura ha effetti positivi sul difetto alveolare e riduce la tensione al momento della riparazione definitiva aumentando lo spes- sore del muscolo orbicolare. L’utilizzo o meno della lip adhesion si deve basare sulla valutazione preliminare dell’ampiezza del difetto, che in genere dovrebbe essere sopra i 7 mm.

Tecnica della rotazione e avanzamento nella cheiloplastica monolaterale secondo Millard In letteratura sono stati descritti numerosi metodi di riparazione chirurgica della schisi labiale, alcuni hanno un interesse prettamente storico: Le Mesurier (anni ’50-’60) fu il primo a descrivere un’operazione in cui l’analisi dell’anatomia Schisi labio-maxillo-palatine | 69 del difetto pre-intervento e la pianificazione dei lembi avevano un ruolo essenzia- le e aprì così la strada alle tecniche più moderne e ancora oggi utilizzate. La principale, in assoluto tra le più impiegate, è quella ideata da Millard. Millard ha introdotto questa tecnica di riparazione nel 1955 con lo scopo prin- cipale di spostare la linea di chiusura del difetto dalla porzione centrale del filtro alla colonna del filtro stesso dove la cicatrice viene maggiormente camuffata. Nel corso degli anni la tecnica ha subito numerose modifiche da parte dell’au- tore stesso prima e poi di altri chirurghi permettendo la nascita di varianti sempre più corrispondenti alle singole necessità del caso. Tra i vantaggi che l’hanno resa così utilizzata vi sono: • un minimo scarto di tessuti; • la possibilità di ricreare un arco di Cupido di aspetto normale; • la buona quantità di tessuto che si ha a disposizione per la ricostruzione della base dell’ala e del pavimento nasale; • la versatilità che consente di adattare le incisioni rispetto al disegno del pro- getto ricostruttivo (cut and go).

Alcuni degli svantaggi sono invece: • la tendenza alla retrazione della porzione verticale della cicatrice; • nelle schisi molto ampie una tensione eccessiva a carico del lembo di rota- zione; • la difficoltà a riequilibrare il vermiglio che tende a restare più sottile dal lato della schisi.

La correzione inizia con la localizzazione dei punti di repere essenziali (figura 12).

Figura 12 Punti di repere per la creazione dei lembi nella tecnica di Millard. 70 | Schisi labio-maxillo-palatine

Si considera il punto 2 come il picco dell’arco di Cupido dal lato sano e il punto di massima depressione dell’arco stesso come punto 1: la distanza 1-2 viene riportata lungo la linea cutaneo-mucosa verso il lato della schisi fino ad individuare il punto 3. Il punto 4 viene segnato sulla base dell’ala nasale del lato sano per determinare l’altezza del labbro (distanza 2-4). Si disegna la linea di incisione per un lembo di rotazione a C, iniziando dal punto 3, alzandosi verticalmente verso la columella dal lato della schisi e poi de- scrivendo una curva che oltrepassa la linea mediana, tenendosi molto vicina alla base della columella ma senza raggiungere la cresta del filtro del lato indenne (punto 5). Una volta individuata la distanza 6-2 fra la commissura e l’estremità dell’arco di Cupido, questa viene riportata sul lato della schisi a partire dalla commissura (7) fino a individuare il punto 8. Questa misurazione può essere eseguita con un compasso o meglio con un filo metallico che possa essere modellato secondo il profilo del vermiglio. Con la stessa tecnica si trasferisce anche la misura 3-5 sul lato della schisi fino ad indivi- duare il punto 9 che può arrivare a trovarsi dentro il vestibolo nasale; la distanza 8-9 rappresenta l’altezza del labbro dal lato della schisi (figura 13).

Figura 13 Scollamento dei lembi per la chiusura del pavimento nasale.

Sul punto di mezzo della base alare trova collocazione il punto 10 che deter- mina l’arrivo della linea di incisione con partenza dal punto 9; spesso, di fronte a schisi totali e all’entità maggiore o minore della lunghezza della narice, la lun- ghezza dell’incisione si può prolungare oltre il punto 10 verso l’estremità laterale della base alare (punto 11) o fin oltre, con andamento circumalare, a raggiungere un ipotetico punto 12. Schisi labio-maxillo-palatine | 71

L’incisione della linea 8-9-10 ed eventualmente 11 e 12 porta così alla forma- zione del lembo di avanzamento del lato della schisi. È molto importante risparmiare il tessuto mucoso dei margini della schisi: si scolpiscono perciò due lembi L e M con base sulla mucosa del fornice gengivale superiore; il lembo M viene utilizzato per la chiusura della schisi a livello del pavi- mento nasale (soglia della narice) e suturato con il versante mucoso rivolto verso il cavo orale (figura 13). Il lembo L invece viene ruotato e suturato nel vestibolo nasale a livello dell’inci- sione praticata posteriormente al bordo superiore della cartilagine alare. La prima incisione è quella per la rotazione inferiore lungo la linea 3-5 che serve a stabilire la posizione appropriata dell’arco di Cupido. L’entità della rotazione richiesta dipende dalla differenza tra l’altezza del labbro sui due lati affetto e non. L’incisione 3-5 spesso non è sufficiente per permettere un abbassamento in grado di allineare le sommità dell’arco di Cupido sui due lati per cui è possibile avanzare verso un ipotetico punto X; ciò dimostra la versatilità della tecnica di Millard come precedentemente premesso. Attraverso questa incisione la cartilagine alare viene scollata dalla cute verso l’alto e verso la cartilagine alare controlaterale permettendo di poter ricreare, previo adeguato riposizionamento, una buona simmetria delle parti componenti l’impalcatura cartilaginea del naso. A questo punto si collocano le incisioni della mucosa nasale secondo una linea che, decorrendo subito dietro il bordo superiore della cartilagine alare, riunisca le estremità superiori delle incisioni praticate nello scolpimento dei lembi L e M. Ultimo passo è la creazione del lembo di avanzamento sul versante laterale della schisi tramite incisione della suddetta linea 8- 9-10 ed eventualmente 11 e 12 associando anche una adeguata incisione della mucosa nasale (figura 14).

Figura 14 Creazione del primo lembo per la rotazione inferiore. 72 | Schisi labio-maxillo-palatine

Quest’ultima ha lo scopo di separare i tessuti molli a livello del loro ancoraggio al processo mascellare e alle ossa nasali e di permettere l’adeguato scorrimento del lembo sul versante laterale della schisi: la dissezione deve essere smussa e deve procedere su di un piano pre-periosteo, preservando il nervo infraorbitario e li- berando così il muscolo orbicolare che potrà essere così riposizionato e suturato alle fibre dell’elemento labiale mediale. È opinione di alcuni autori (Salyer) che il muscolo debba essere riparato come strato a sè dopo essere stato separato dai suoi ancoraggi anomali e dalla cute, pur senza effettuare una dissezione eccessiva che può favorire esiti cicatriziali de- struenti. È consigliabile separare completamente la cartilagine inferiore, sia lateralmen- te che medialmente, dalla mucosa e dalla cute sovrastante, mantenendo l’anco- raggio di questi tessuti solo a livello della cupola nasale. Queste manovre consen- tiranno il riposizionamento della cartilagine alare laterale supero-anteriormente per raggiungere una posizione simmetrica a quella contro laterale; se permane un’asimmetria sarà necessaria un’ulteriore dissezione, è qui che torna utile l’uti- lizzo del lembo L. Si possono a questo punto identificare i tre lembi A B C i quali, eseguite cor- rettamente tutte le operazioni di scollamento, sono liberi di ruotare per essere riposizionati nei termini richiesti per la ricostruzione del labbro. Il lembo C viene ruotato e disposto nel piccolo difetto che si viene a creare sul lato più corto della columella e poi suturato, nella sua parte anteriore, alla columella e posteriormen- te alla cute del vestibolo nasale (figura 15).

A B

Figura 15 A) Creazione del lembo di avanzamento, B) Riposizionamento e sutura dei lembi. Schisi labio-maxillo-palatine | 73

Prima invece di procedere all’allineamento del lembo di avanzamento B col lem- bo di rotazione A è necessario modellare i due margini per renderli compatibili, manovra risultante in una regolarizzazione dei profili che rende convesso il margi- ne del lembo A e concavo quello B tramite modeste escissioni curvilinee della cute. Le suture del caso, con il corretto appaiamento dei lembi, portano al completa- mento dell’intervento. Poiché un obiettivo centrale di questo intervento è la creazione di un labbro di aspetto simmetrico, elastico e con il minimo esito cicatriziale, è opportuno servirsi di alcuni accorgimenti tecnici, in particolare l’utilizzo di un filo monofi- lamento non riassorbibile (6.0/7.0) per la cute che venga poi rimosso 5-6 giorni dopo l’intervento. Dopo la rimozione delle suture altrettanto utile è l’applicazione di cerotti di carta a cavallo delle linee di incisione (nelle etnie a più alto rischio di cicatrici ipertrofiche il cerotto può essere mantenuto anche per qualche mese con un certo beneficio); infine, in alternativa o in aggiunta a quest’ultimo il massaggio quotidiano della cicatrice con l’ausilio di olio o prodotti specifici in crema ottiene un altrettanto buon risultato ai fini della prevenzione delle retrazioni cicatriziali. Per quanto riguarda la correzione primaria della deformità nasale, quando questa permane anche dopo un’accurata dissezione tissutale, alcuni autori (Mc Coomb, Salyer, Cutting, Stal) propongono delle tecniche di sospensione qua- li ad esempio stents tubulari che vengono fissati all’interno della narice o sospesi appunto con un punto di trazione verso la glabella per ottenere l’elevazione della cupola nasale ed una più fisiologica rotondità dell’arcata: queste manovre pos- sono ovviamente creare ulteriori cicatrici. È importante a questo livello evitare una ipercorrezione della narice: è meglio cioè mantenere una narice di diametro più ampio dal lato della schisi perché risulterebbe più difficile, secondariamente, correggere una narice troppo stretta (figura 16). A B

Figura 16 A) Disegno preoperatorio e labioplastica secondo Millard, B) Aspetto a fine intervento con rinoplastica di sospensione secondo Mc Coomb. 74 | Schisi labio-maxillo-palatine

In un confronto internazionale tenutosi nel 2005 tra centri che trattavano le schisi labiali, emerse che l’84% dei chirurghi presenti utilizzava una delle varianti della tecnica di Millard. Tra le principali varianti a disposizione, oltre a quelle introdotte dallo stesso Millard (soprattutto, come accennato sopra per la correzione primaria del naso): • Mohler propose nel 1987 una variante del lembo di rotazione che si estendes- se verso la giunzione tra labbro e columella allo scopo di utilizzare la colu- mella per allungare la porzione mediale del labbro; • Stal iniziò ad utilizzare un’incisione ad S per il lembo di rotazione in modo da aumentare l’altezza del labbro mediale; • Mulliken, in modo simile a Mohler, introdusse un’incisione per il lembo di rotazione ricurva verso il margine della schisi, estesa verso la columella.

Tecnica di riparazione della schisi monolaterale del labbro mediante lembi triangolari secondo Tennison e variante secondo Skoog I principi su cui si basa questa tecnica sono: • creazione di lembi triangolari per riconferire una forma adeguata al labbro e all’arco di Cupido; • riallineamento del muscolo orbicolare su una linea trasversale; • ricostruzione del pavimento nasale.

La tecnica fu in seguito sviluppata da Marcks, Hagerty e Randall, e infine da Skoog e Bardach. Per quanto ancora oggi utilizzata, questa riparazione perse popolarità negli anni ’70 e ’80 con l’avvento della tecnica di Millard. Una critica che le viene spesso mossa contro è che la cicatrice che si viene a formare alteri l’aspetto della colonna del filtro e spesso del filtro stesso se si rendono necessari lembi molto ampi. Le misure fondamentali da cui partire per ricreare un labbro simmetrico sono la dimensione verticale dell’emilabbro sano e la distanza tra commissura labiale e picco dell’arco di Cupido di entrambe i lati. Come primo passo si identificano il punto 1 e 2 che indicano rispettivamente l’estremità della base della columella e il punto più alto dell’arco di Cupido del lato sano, determinando l’altezza dell’emilabbro indenne. Lungo il margine mediale della schisi si traccia la linea 3-4, avendo cura che il 4 corrisponda al punto di incontro del margine con il picco dell’arco di Cupido dal lato della schisi. Si individua poi la linea di incisione 4-5 perpendicolare a quest’ultima in modo tale che la somma 3-4 e 4-5 coincida con la misura 1-2: questo allo scopo di colmare il difetto di altezza del lato affetto (che nell’85-95% Schisi labio-maxillo-palatine | 75 dei difetti è di circa 4mm). In genere queste misurazioni vengono effettuate con un eccesso di 0,5 mm per far fronte alla successiva contrattura cicatriziale. Sul versante laterale della schisi si tracciano le linee 6-7 di lunghezza uguale a 3-4; 7-8 e 8-9 devono corrispondere a 4-5 ponendo 9 sul margine del bordo rosa e 8 ad altezza opportuna per formare un triangolo isoscele (figura 16A). Per identificare agevolmente il punto 9, che diventerà il punto più alto dell’arco di Cupido dal lato affetto si riporta la esatta distanza tra la commissura e il punto 2. Effettuate le incisioni del caso si possono notare i due lembi i cui margini evi- denziano il perfetto allineamento che le suture seguiranno per la cheiloplastica, previo, naturalmente, scollamento dei tessuti interessati (figura 17). È importante assicurarsi che le incisioni su entrambe i versanti abbiano attraversato il piano cutaneo, muscolare e mucoso per evitare esiti cicatriziali retraenti.

Figura 17 Punti di repere e incisioni nella tecnica di Tennison.

La variante proposta da Skoog fondamentalmente è rappresentata dalla indivi- duazione di punti di repere per così dire accessori che permettono di determinare altre linee di incisione per la creazione, in dettaglio, di un piccolo lembo triango- lare alla base della narice dal lato della schisi (C1-C3) in grado di insinuarsi nella incisione C2 (figura 18). Come per le altre tecniche di cheiloplastica anche nella variante di Skoog ri- vestono un ruolo estremamente importante le operazioni di scollamento delle strutture onde permetterne un migliore scivolamento dei piani nonché la mobi- lizzazione delle parti cartilaginee costituenti il naso. Si incide innanzitutto il frenulo labiale superiore, generalmente molto corto, per allungarlo mediante una plastica a Z; una ulteriore incisione si effettua sul versante mucoso per iniziare lo scollamento dei tessuti molli mantenendo sem- pre l’avanzamento sopraperiostale fino ad insinuarsi oltre le strutture cartilaginee 76 | Schisi labio-maxillo-palatine nasali per staccarle dal piano cutaneo e riposizionarle in maniera più simmetrica e armoniosa (figura 19).

Figura 18 Tecnica di Tennison con variante proposta da Skoog.

A B

Figura 19 A) Suture sul piano mucoso, B) Avvicinamento dei lembi cutanei per la sutura.

Al momento della sutura risulta evidente la caratteristica della tecnica di Skoog di ricreare piani di adesione dei lembi molto speculari e di limitare la tensione. Viene suturato prima il piano mucoso con punti separati e nodi rivolti verso il vestibolo, seguendo la stessa linea a zig-zag che si rende evidente sulla cute, poi il piano muscolare ed infine quello cutaneo (figura 20). Questa tecnica è realizzabile nella maggior parte delle schisi unilaterali, tutta- via bisogna considerare che più ampio sarà il lembo triangolare richiesto, mag- giore sarà la deformazione delle colonne del filtro: una delle varianti percorribili Schisi labio-maxillo-palatine | 77 quando i lati del lembo triangolare risulterebbero più lunghi di 5 mm, è quella di utilizzare 2 lembi invece che uno. A B

C

Figura 20 Labioplastica secondo Skoog, A) disegno dei lembi triangolari, B) Creazione dei lembi, C) Aspetto a fine intervento.

Correzione della schisi bilaterale del labbro

La complessità di questa malformazione ha reso opinione comune, almeno fino a tutta la prima metà del secolo scorso che la correzione chirurgica fosse molto più difficile che nelle forme monolaterali e che, nonostante gli sforzi del chirurgo più esperto e i molteplici re-interventi, fosse alquanto impossibile eradicarne le “stigmate” sia di origine intrinseca che iatrogena, prima fra tutte la brevità della 78 | Schisi labio-maxillo-palatine columella, ma anche la convessità del profilo del labbro superiore, l’irregolarità del filtro in cui è spesso difficile riconoscere un margine muco-cutaneo e l’aspetto “a festone” degli elementi laterali del labbro che contrasta con un tubercolo me- diano sottile (“whistling lip deformity” o “labbro fischiante”). Proprio questi tratti caratteristici hanno guidato la ricerca di principi che acco- munassero le nuove tecniche chirurgiche, in particolare: • la simmetria che sembrerebbe essere sfavorita da una correzione in più stadi; • il ripristino di una continuità muscolare (il prolabio dei pazienti affetti è infatti privo dell’orbicolare della bocca); • la costruzione di un filtro di forma e ampiezza adeguate; • la formazione del tubercolo mediano dagli elementi labiali laterali; • la correzione primaria della posizione delle cartilagini nasali a ricreare la punta e la columella.

Tecniche chirurgiche

Per quanto il dibattito sia ancora in corso in merito alla possibilità di chiusura in un unico tempo o in tempi successivi (chiusura prima di un lato poi dell’altro oppure chiusura temporanea di entrambi i lati seguita da chiusura definitiva in un tempo successivo) gli ultimi decenni hanno visto affermarsi la riparazione in tempo unico della deformità labiale. Questa scelta è favorita dal miglioramen- to delle tecniche ortodontiche per l’allineamento della pre-maxilla, anche non vi è accordo riguardo al trattamento ortopedico pre-chirurgico e alcuni chirurghi preferiscono lasciar crescere la pre-maxilla in posizione protrusa fino a 5-6 anni di età per poi riposizionarla contestualmente all’innesto osseo e quindi alla cor- rezione del difetto alveolare. La lip adhesion si può considerare ormai abbandonata per questo tipo di difet- to. Allo stesso modo sono considerate ormai superate le tecniche che vedevano utilizzato il prolabio nell’allungamento della columella o nella ricostruzione solo della porzione superiore del labbro: è importante nella correzione chirurgica te- ner conto dell’origine anatomica degli elementi del volto in quanto embriologie diverse possono comportare diversi tempi di crescita e sviluppo. In letteratura vi è un quasi totale accordo nell’effettuare la riparazione primaria all’età di 3-4 mesi per prevenire una crescita e quindi una protrusione eccessiva della pre-maxilla. Quando la correzione avviene in più stadi, il secondo interven- to viene effettuato 6-8 settimane dopo il primo. La decisione della strategia chirurgica deve essere individualizzata in base al Schisi labio-maxillo-palatine | 79 tipo di difetto; gli elementi che più di tutti possono far desistere dalla riparazione in tempo unico sono la presenza di un prolabio molto piccolo, una schisi asim- metrica e una pre-maxilla molto protrudente. Qualsiasi sia la tecnica utilizzata è mandatorio che la riparazione primaria comprenda la ricostruzione del pavimento nasale (non sempre facile nelle forme complete in cui la pre-maxilla è completamente separata dall’arcata alveolare) e il riposizionamento mediale della base dell’ala nasale. La correzione delle altre deformità nasali quali l’allungamento della columella, la creazione della punta nasale e il restringimento della base dell’ala può essere variabilmente effettuata a seconda degli autori contestualmente alla riparazione primaria o in un secondo stadio, a 6-8 anni di età o oltre (Bardach).

Nella correzione di schisi bilaterale del labbro in tempo unico è utile ricavare dei punti di repere: si comincia marcando il punto di mezzo del margine muco-cu- taneo del prolabio; i 2 picchi del futuro arco di cupido si troveranno lateralmente a questo di 2,5-3,5 mm, alla base della columella il filtro si restringerà di 2-3 mm rispetto al suo margine inferiore. Per collocare i 2 picchi dell’arco è importante tenere come riferimento anche la misura che va dalla commissura laterale del labbro al punto in cui questo inizia a curvare verso l’alto a causa della schisi.

Tecnica “straight-line” secondo Bardach Questa tecnica, normalmente usata per la chiusura in un unico tempo può essere utilizzata in più stadi, in caso di prolabio molto piccolo o columella eccessiva- mente protrudente sfruttando la rapida crescita del prolabio dopo la prima ope- razione. La cute della porzione centrale del labbro viene appositamente mantenu- ta più larga nella sua parte superiore per permettere di usare l’eccesso in momenti successivi per le correzioni secondarie quali ad esempio l’allungamento della co- lumella. Il pavimento nasale viene ricostruito come per le schisi monolaterali: lo strato superficiale unendo un lembo muco-periostale dalla parete laterale del naso e un lembo muco-pericondrale mediale dal setto, lo strato profondo unendo i segmenti laterali della mascella alla pre-maxilla (non sempre possibile quando la pre-maxilla è molto protrudente). È importante avvicinare medialmente le basi delle ali nasali anche se inevitabilmente questa tecnica avrà come risultato una punta del naso appiattita che dovrà essere corretta secondariamente.

Tecnica di correzione secondo Salyer Il disegno viene effettuato in modo che la distanza tra i 2 punti laterali al margine muco-cutaneo sia di circa 6 mm e l’ampiezza della cute nella porzione mediana 80 | Schisi labio-maxillo-palatine del prolabio sia superiore a questa di 2-3 mm. L’eccesso di cute andrà a formare 2 lembi laterali che verranno ruotati verso l’alto a formare parte del pavimento nasa- le; i lembi muco-cutanei provenienti dalla porzione laterale del prolabio verranno ruotati inferiormente per contribuire alla porzione vestibolare, la parte che rimane del prolabio andrà a costituire il solco vestibolare. A livello degli elementi laterali la cute viene in parte separata dal muscolo orbicolare che viene invece lasciato a far parte dei lembi mucosi per conferire spessore e in modo che entrambe gli strati possano essere avanzati medialmente. Lo strato vestibolare viene chiuso suturan- do la mucosa laterale del prolabio con i lembi mucosi dagli elementi laterali e il muscolo orbicolare dei 2 lati, quando possibile, viene unito sulla linea mediana anteriormente alla pre-maxilla o, se ciò è impossibile, viene fissato al prolabio. L’incisione dei lembi mucosi dagli elementi laterali del labbro sarà determi- nante dal punto di vista estetico nel costituire la forma e lo spessore del tubercolo mediano. Il lembo cutaneo centrale dal prolabio viene suturato nella sua nuova posizione per formare la porzione centrale del labbro e consentire la chiusura de- finitiva del labbro superiore. Il risultato prevede che il naso mantenga un aspetto appiattito e allargato che verrà corretto solo in un secondo momento verso i 12 mesi di vita. Il lembo che andrà a costituire il filtro viene disegnato con margini laterali leg- germente biconcavi e margine inferiore a punta (per un bambino di 3-4 mesi la lunghezza è di circa 6-8 mm, la larghezza tra i 2 picchi dell’arco di cupido di 3-4 mm e la larghezza alla giunzione con la columella di circa 2 mm). Lateralmente al lembo 2 strisce di cute vengono disepitelizzate per andare poi a costituire le co- lonne del filtro (la cute in eccesso del prolabio viene quindi scartata). I due picchi dell’arco di cupido vengono stabiliti sugli elementi laterali del labbro in modo che vi sia sufficiente cute per costruire l’avvallamento centrale del filtro e sufficiente mucosa per costituire il tubercolo mediano. Si disegnano poi 2 lembi triangolari con lati costituiti dalle basi delle cartilagini nasali e dalla giunzione muco-cuta- nea degli elementi laterali. Le linee di incisione creano i lembi, l’orbicolare viene separato dagli elementi laterali e le cartilagini alari vengono esposte attraverso le linee di incisione. I lembi mucosi delle porzioni laterali e mediana vengono sollevati in modo da permettere di giustapporre i lembi gengivo-mucoperiostali a chiudere il difetto alveolare. I lembi mucosi dalle porzioni laterali andranno in- vece a formare la parete anteriore del vestibolo sulla quale verrà poi giustapposto il muscolo orbicolare che sarà suturato sulla linea mediana infero-superiormente e poi ancorato al periostio della spina nasale anteriore. Il lembo cutaneo mediano viene assicurato al muscolo per creare la depressione tipica del filtro. I margini ridondanti della mucosa degli elementi laterali andranno a costituire il tubercolo. Schisi labio-maxillo-palatine | 81

Prima di completare la chiusura suturando i lembi cutanei si procede alla cor- rezione del naso che prevede in questa tecnica 2 incisioni sulla rima delle narici attraverso le quali è possibile effettuare un primo punto da materassaio tra le 2 cu- pole al fine di avvicinare la croce mediale del naso e altri per sospendere la croce laterale alla cartilagine alare omolaterale. Un ulteriore punto servirà ad avvicinare le basi di ciascuna cartilagine fino ad una distanza inferiore a 25 mm. Il vertice di ciascun lembo triangolare alla base dell’ala viene fissato al muscolo sottostante medialmente in modo da conferire forma tondeggiante alla narice e prevenire l’elevazione dell’ala quando il bimbo sorride. A questo punto la cute in eccesso può essere escissa e i lembi cutanei possono essere suturati completando la chiusura del labbro superiore (figura 21).

Figura 21 Tecnica di labioplastica bilaterale secondo Salyer. 82 | Schisi labio-maxillo-palatine

Utilizzando questa tecnica si riduce la necessità di procedure di revisione chi- rurgica secondaria (figura 22). Le indicazioni ad ulteriori interventi sono la ri- dondanza mucosa degli elementi laterali (“labbro a festone”) per la cui correzione è però conveniente attendere la completa eruzione degli incisivi permanenti e la posizione definitiva della pre-maxilla, il prolasso della parete posteriore del vesti- bolo ed eventuali ulteriori correzioni dell’aspetto del naso per le quali si attende in genere il completamento della crescita e dopo l’intervento di avanzamento del mascellare, qualora questo si rendesse necessario.

Figura 22 Labiopalatoschisi bilaterale, labioplastica secondo Salyer.

Correzione chirurgica della schisi del palato

Dal momento della nascita il palato è coinvolto in funzioni fondamentali quali la deglutizione, l’alimentazione, lo sviluppo del linguaggio, il mantenimento della pervietà aerea ed il controllo della funzionalità dell’orecchio medio. Schisi labio-maxillo-palatine | 83

Dal punto di vista funzionale il palato viene diviso in 3 aree: palato anteriore (25%), palato medio (50%), palato posteriore (25%). L’elevatore del velo occupa la porzione centrale traendo origine dalla tuba di Eustachio, il ventre destro e sinistro del muscolo si fondono sulla linea mediana fungendo da motori del velo. Nella stessa porzione si trova il muscolo palatofaringeo che origina con un capo dalla superficie buccale dell’elevatore e con l’altro dalla superficie nasale dello stesso e decorre inferiormente fino al pilastro tonsillare posteriore. Il palatoglos- so origina dalle fibre dorso laterali trasverse della lingua costituendo il muscolo a decorso più superficiale del palato medio e ancorandosi al pilastro tonsillare anteriore. La porzione anteriore del palato è più statica e comprende il muscolo tensore del velo che origina dalla tuba di Eustachio e dall’hamulus pterigoideo e termina anteriormente nell’aponevrosi omonima. I muscoli palatofaringeo, palatoglosso e dell’ugola fanno invece parte del restante 25% posteriore del palato. L’elevatore del palato costituisce una tenda muscolare trasversale e orizzontale che sospende il palato molle e lo separa dalla base cranica; quando si contrae spinge il palato postero-superiormente e lateralmente facilitando la chiusura del- lo sfintere velo-faringeo. In caso di schisi le fibre dell’elevatore decorrono in senso antero-posteriore ancorandosi al margine posteriore del palato osseo e questo an- damento impedisce la sua principale funzione. Vi sono altre 2 inserzioni anomale del muscolo che devono essere interrotte nel corso della correzione del difetto, quella con l’aponevrosi del muscolo tensore e quelle laterali con il costrittore su- periore del faringe. Il ruolo sinergico che elevatore e tensore del velo hanno nella dilatazione della tuba di Eustachio spiega di fatto il deficit funzionale che molto spesso presentano i pazienti affetti da palatoschisi. L’obiettivo primario della chirurgia è quello di realizzare una chiusura “funzio- nale” del palato tale da garantire un adeguato sviluppo del mascellare, prevenire otiti ricorrenti (ed eventuali problemi uditivi associati), consentire un normale sviluppo del linguaggio e migliorare la deglutizione. Le tecniche per la ricostruzione del palato si pongono alcuni scopi fondamentali: • ristabilire la normale anatomia dei muscoli del palato; • allungare il palato grazie alla ricostruzione anteriore del palato molle (apo- neurosi palatina); • separare la cavità nasale da quella buccale per interrompere il reflusso di cibi liquidi e solidi attraverso il naso; • effettuare una chiusura del difetto il più possibile libera da tensione per pre- venire esiti cicatriziali e fistole. 84 | Schisi labio-maxillo-palatine

A guidare la scelta terapeutica e il timing sono stati da sempre la discussione attorno alla necessità di favorire la fonazione e di non ostacolare la crescita ma- scellare, due tappe dello sviluppo che avvengono in tempi diversi. Tradizionalmente chi è a favore di una correzione precoce del difetto (primo anno di vita) apporta come argomentazione la necessità di creare un “terreno fe- condo” dal punto di vista funzionale per lo sviluppo del linguaggio, chi la osteggia sostiene che la chiusura precoce, soprattutto del palato duro, ostacoli la crescita ossea del massiccio facciale. Questo andrebbe imputato in particolare alle tecni- che che prevedono l’esposizione di ampie aree di osso che guariscono per seconda intenzione. I timori riguardanti la crescita fisiologica del mascellare hanno fatto sviluppare negli anni diversi approcci chirurgici, tra gli altri si è sviluppato il concetto di chiusura primaria e precoce del palato molle, seguita, dopo diversi anni, dalla chiusura del palato duro a 9-14 anni. Gli studi successivi hanno portato alla luce un’alta incidenza di incompetenza velo-faringea nei pazienti così trattati perciò la chiusura in due tempi ha subito delle modifiche soprattutto da parte di Perko sia dal punto di vista tecnico che del timing con chiusura del palato duro tra i 18 mesi e i 5 anni di età. La letteratura ancora non è in grado di dare indicazioni chiare per l’estrema va- riabilità delle tempistiche e delle tecniche chirurgiche. Rohrich e Colleghi hanno rilevato un deficit di linguaggio significativo nei pazienti sottoposti a chiusura del palato duro tardiva (48.6 mesi) rispetto a quella precoce (10.8 mesi) a fronte di un mancato miglioramento nella crescita del massiccio facciale negli interventi ritardati. Una simile osservazione emergeva anche in un altro lavoro di Robert- son e Jolleys. La tendenza attuale, pur con le variazioni previste dai diversi protocolli, è quel- la di correggere la schisi del palato all’età di 6-18 mesi. Quando l’età di correzione è precoce si preferisce utilizzare la tecnica in due tempi, completando in ogni caso la correzione entro i due anni di vita del bambino.

Tecniche chirurgiche

Indipendentemente dalla tecnica utilizzata gli elementi fondamentali da consi- derare sono il rispetto dell’arteria palatina e la liberazione di tutte le inserzioni muscolo aponeurotiche del margine posteriore del palato duro e dell’hamulus pterigoideo. Schisi labio-maxillo-palatine | 85

La valutazione pre-operatoria per decidere la tecnica chirurgica deve prendere in considerazione: • l’ampiezza della schisi e la sua forma (V o U); • la posizione dei segmenti mascellari e il grado di difetto alveolare per le labio- palatoschisi complete; • l’eventuale estensione della schisi nel palato duro e la sua entità; • la posizione del margine inferiore del vomere; • l’inclinazione dei processi palatini; • la lunghezza, estensione e simmetria del palato molle e la sua distanza dalla parete faringea posteriore; • il grado di motilità delle pareti faringee laterali.

Come per la labioschisi anche la palatoschisi presenta un ventaglio enorme di pos- sibilità correttive; ogni autore oltre ad aver proposto una nuova tecnica, ha proposto anche diverse varianti. Di seguito vengono descritte le più utilizzate ancora oggi. Quale che sia la tecnica è consigliabile posizionare il paziente in lieve Trende- lemburg con collo in iperestensione, ottenere una buona esposizione del difetto mediante un “apribocca” tipo Dingamm e, prima di iniziare con le incisioni, in- filtrare l’area con una soluzione di anestetico locale e adrenalina allo scopo di ridurre il sanguinamento.

Tecniche con lembi bipeduncolati Palatoplastica secondo Von Langenbeck Essa si fonda sul confezionamento di 2 lembi muco periostali bipeduncolati e sul principio, già introdotto in precedenza da Dieffenbach di mobilizzare i tessuti laterali alla schisi attraverso incisioni di scarico, mobilizzandoli per via sottope- riostea e suturandoli lungo la linea mediana. In dettaglio, lo scopo è quello di scollare i tessuti procedendo con una incisio- ne a livello di entrambe i lati della schisi in senso antero-posteriore. Le incisioni liberatrici laterali iniziano rostralmente alla base del pilastro palatino anteriore e passano medialmente al confine del palato con l’arcata alveolare; la lunghezza del percorso è dettata dalla entità della schisi, al margine anteriore della quale viene interrotto. Una volta create le incisioni è necessario mobilizzare i tessuti previo utilizzo di appositi scollatori (“scollaperiostio”) in grado di insinuarsi tra il piano osseo e quello periosteo, inserendoli dalle incisioni laterali e seguendo sempre un anda- mento in senso antero-posteriore dal palato duro fino al palato molle (figura 23). 86 | Schisi labio-maxillo-palatine

A B

Figura 23 Palatoplastica secondo Von Langenbeck, A) Incisioni laterali di scarico e poi dei margini della schisi, B) Scollamento in senso antero-posteriore.

Durante questo procedimento si incontra l’arteria palatina che deve essere ri- sparmiata. Una volta completate le incisioni laterali vengono incisi i margini della schisi in modo da separare il piano mucoso nasale da quello fibromucoso buccale. Se lo scollamento è stato eseguito in maniera adeguata, i due lembi laterali così creati potranno essere condotti ad incontrarsi sulla linea mediana senza alcuna difficoltà né tensione (figura 24).

A B C

Figura 24 A) Completamento dello scollamento, B) Sutura del piano nasale, C) Sutura del piano orale.

Il primo strato di mucosa che viene suturato lungo la linea mediana è quello nasale che viene quindi scollato dai piani ossei sottostanti e delicatamente avvici- nato alla porzione controlaterale per creare il piano nasale del palato incorporan- do anteriormente i lembi mucosi del vomere. Schisi labio-maxillo-palatine | 87

Poi si prosegue con la sutura del piano orale risalendo verso l’ugola. Al termi- ne della ricostruzione del palato, la sua superficie tende a rimanere sollevata dal piano osseo: per garantire l’aderenza, vengono passati due punti tra il margine laterale dei lembi e il tessuto molle posteriore alle lamine palatine. La tecnica di Von Langenbeck si presta alla chiusura in tempo unico ma non per difetti ampi, è utilizzata per la correzione di schisi isolate del palato molle o per la chiusura del palato anteriore in caso di difetto modesto.

Tecniche con lembi mono peduncolati Le tecniche da considerare sono principalmente due: la chiusura del palato con 2 lembi (two flap) o con 4 lembi (four flap), entrambe ripercorrono i principi fon- damentali della palatoplastica: • mobilizzazione del piano mucoperiosteo del versante nasale; • mobilizzazione del piano mucoperiosteo del versante orale; • identificazione e preservazione del fascio neuro-vascolare palatino; • sintesi dei piani mucoperiostali a colmare il difetto; • mobilizzazione del muscolo elevatore del palato da ogni lato della schisi e ripristino della sua integrità morfologica e funzionale; • guarigione per seconda intenzione delle eventuali soluzioni di continuo pala- tine esitate dallo scorrimento dei lembi mucoperiostali.

Four Flap La tecnica four flap è utilizzata in caso di schisi del palato complete (palato poste- riore e palato anteriore). Sono previste delle linee di incisione ideate per delineare i quattro lembi sul versante orale della schisi, ovvero due lembi a vertice anteriore e due lembi a vertice posteriore. Si tratta di lembi muco periostei che vanno opportunamente mobilizzati e tra- zionati per colmare il difetto. La tecnica a 4 lembi risulta poco versatile e non priva di complicanze quali: • retrazioni cicatriziali importanti; • alterazioni di crescita delle strutture anatomiche interessate dalla schisi; • alta incidenza di fistole e problematiche odontostomatologiche.

Two Flap La palatoplastica two flap rappresenta la tecnica chirurgica più versatile per quan- to concerne il trattamento delle palatoschisi in tempo unico. La tecnica sfrutta il principio secondo cui lo scollamento dei lembi muco pe- 88 | Schisi labio-maxillo-palatine riostei provoca una loro rotazione da un piano inclinato ad un piano orizzontale, questo consente al chirurgo di sfruttarne tutta l’ampiezza e, nella maggior parte dei casi secondo Bardach e Salyer, permette di chiudere il difetto sulla linea me- diana. Si inizia tracciando due incisioni lungo il margine mediale della schisi fino a farle incontrare al vertice, si continua la dissezione tra il piano mucoso orale e quello nasale (distinguibile perché lievemente più scuro), esponendo i muscoli. Dal vertice partono due ulteriori incisioni divergenti verso i processi alveolari, a livello dei canini, da qui la linea continua con le incisioni laterali che vengono estese fino circa a 1,5 cm posteriormente alla tuberosità mascellare. Si vengono così a creare 2 lembi muco periostei a forma di V; lo scollamento viene effettuato in senso latero-mediale preservando il fascio vascolo-nervoso che fuoriesce dal grande forame palatino. Anche in caso di schisi limitata al palato molle, lo scollamento della mucosa nasale dal margine posteriore del palato duro e la dissezione dei muscoli del pala- to facilitano la ricostruzione del palato in posizione più retroposta. La chiusura inizia con l’accostamento dello strato nasale in senso antero-poste- riore fino all’ugula facendo in modo che i nodi rimangano sul versante nasale, si passa poi all’accostamento degli strati muscolare e mucoso orale con punti a U. In caso di difetto comprendente anche il palato duro la procedura è simile: le incisioni divergenti anteriori vengono condotte fino al processo alveolare a livello dell’incisivo laterale. Per diminuire la tensione soprattutto in caso di ampi difetti si rende necessario lo scollamento del lembo muco periosteo orale a livello dell’a- rea posteriore alla tuberosità mascellare. Altrettanto importante ai fini dell’allun- gamento del palato molle e di una corretta chiusura per strati è lo scollamento dei muscoli e dello strato mucoso nasale a partire dal margine postero mediale del palato duro. Dopo la chiusura dei lembi sulla linea mediana, vanno posizionati dei punti di accostamento anche sugli altri margini. Nell’area del palato duro è importante far aderire con punti di sutura (verticali “da materassaio”) lo strato orale e nasale per prevenire la creazione di spazi morti (figura 25, 26). Qualora lungo le incisioni laterali rimanga dell’osso esposto, è consigliabile proteggere queste aree con presidi tipo polimeri di cellulosa in gel o fibrillari per facilitare la guarigione anche se non è dimostrato che questo prevenga un’anoma- la cicatrizzazione. Per il trattamento delle forme bilaterali i passaggi chirurgici restano gli stessi eccetto che per la sintesi del piano nasale in cui è necessario utilizzare due lembi Schisi labio-maxillo-palatine | 89

Figura 25 Palatoplastica Two Flaps con lembi vomerini mediani per la chiusura dello strato nasale.

A B

C

Figura 26 Palatoplastica Two Flaps, A) Scollamento dei lembi, B) Sutura della mucosa nasale, C) Aspetto del palato a fine intervento. 90 | Schisi labio-maxillo-palatine mucoperiostali del vomere, variante introdotta per la prima volta da Campbell e Pichler, poi da Widmayer. Quando il vomere si trova sulla linea mediana e il suo margine posteriore arriva oltre il palato molle è possibile mediante un’incisione mediana sollevare due lembi mucoperiostali che vengono suturati al muco perio- stio nasale di ciascun lato creando così uno strato nasale a bassa tensione. Va detto in ogni caso che le tecniche di palatoplastica in tempo unico non sono sempre consigliabili in caso di schisi ampie e anche in caso di difetti contenuti è co- munque necessario eseguire una corposa mobilizzazione dei piani mucoperiostali.

Palatoplastica in due tempi: tecnica di Widmayer-Perko Dei vari approcci chirurgici in due tempi, la tecnica di Widmayer-Perko è tra le più impiegate. La tecnica è piuttosto versatile ed ha la peculiare caratteristica di poter essere utilizzata nelle palatoschisi complete, cioè nei difetti che coinvolgono sia il palato primario che quello secondario. La palatoplastica in due tempi si basa principalmente sul principio, già constata- to nel 1955 da Slaughter e Schweckendiek, che la chiusura del palato posteriore fa- cilita un avvicinamento spontaneo dei margini del difetto anteriore (azione mecca- nica coadiuvata dal ripristino della funzionalità del muscolo elevatore del palato). Si inizia incidendo i margini mediali della schisi a partire dal terzo posteriore del palato duro per favorire un migliore scollamento. Si scollano quindi il piano orale da quello nasale e si liberano i muscoli dal margine posteriore del palato duro. Le incisioni laterali iniziano 1,5 cm circa posteriormente alla tuberosità mascellare e procedono anteriormente per 1-1,5 cm rimanendo lungo il margine mediale del processo alveolare. Si vengono così a creare 2 lembi (figura 27, 28).

Figura 27 Chiusura del palato secondo Widmayer Perko. Schisi labio-maxillo-palatine | 91

A B

C

Figura 28 I tempo della palatoplastica secondo Widmayer Perko, a) Preparazione dei lembi, b) Chiusura in doppio strato, c) Aspetto del palato a fine intervento.

La dissezione procede per consentire l’avvicinamento sulla linea mediana pri- ma della mucosa nasale e poi dello strato muscolare e della mucosa orale. Dopo questo primo tempo (veloplastica primaria) il difetto del palato duro in genere si restringe a tal punto da ridursi ad una fistola oro-nasale che può essere chiusa con un minimo scollamento dei bordi. In alternativa, il difetto anteriore rimane invariato o addirittura peggiora perché i processi palatini assumono un andamento più verticale. Nella palatoplastica anteriore si incidono i margini mediali del difetto, si crea- no lembi muco periostei simili a quelli della tecnica two flaps facendo attenzione a scollare adeguatamente l’area cicatriziale posta nella porzione anteriore della pregressa palatoplastica in modo da consentire una sutura mediana dei lembi, che viene fatta in doppio strato (figura 29). 92 | Schisi labio-maxillo-palatine

A B

C D

Figura 29 II tempo palatoplastica secondo Widmayer Perko, A) Preparazione con infiltrazione di anestetico locale ed adrelinata, B) Creazione dei lembi tipo Two Flaps, C) Completamento della chiusura, D) Aspetto finale dopo applicazione di colla di fibrina nelle aree rimaste cruente.

Palatoplastica secondo Furlow La tecnica di Furlow trova indicazione nella riparazione delle schisi del palato molle, nei casi in cui sussista una schisi isolata del palato secondario, molto più raramente nelle palatoschisi totali. La tecnica di Furlow si fonda sul confezionamento di una doppia plastica a Z (2 lembi sulla mucosa orale e 2 su quella nasale contrapposte) con la peculiarità di allungare il palato molle e restringere lo iato velo-faringeo. Si incidono 2 lembi a base anteriore e 2 a base posteriore. In genere il lembo muscolo-mucoso orale a base posteriore viene disegnato sul lato sinistro della schisi. Si creano inoltre incisioni laterali di scarico che si estendono dalla tubero- sità mascellare posteriormente fino alla regione del trigono retromolare. Le linee di incisione si estendono all’hamulus, ai margini mediali della schisi e all’ugola. Schisi labio-maxillo-palatine | 93

L’incisione per confezionare il lembo triangolare orale sinistro a base posterio- re decorre con un’inclinazione di circa 60° rispetto al margine mediale omolate- rale della schisi dall’hamulus lateralmente alla giunzione tra palato molle e duro medialmente. L’incisione per il lembo triangolare orale destro a base anteriore decorre dall’ugola medialmente, all’hamulus lateralmente con un’inclinazione ri- spetto al margine mediale omolaterale della schisi tra 60° e 90° circa. I margini mediali dell’ugola vengono demucosati. Effettuate le incisioni dei lembi orali si inizia con l’interruzione dell’ancorag- gio anomalo al margine posteriore del palato duro, all’aponevrosi del tensore, alle fibre dell’elevatore del velo di sinistra e il vertice del lembo omolaterale viene sollevato con un punto di trazione per procedere posteriormente con la dissezione e separazione dal piano nasale fino all’ugula. Allo stesso modo viene sollevato e dissezionato il lembo di destra lasciando però nello strato sotto- stante i muscoli palato faringeo e palatoglosso occupanti la parte posteriore del velo, dal vertice posteriore fino alla giunzione tra palato molle e duro anterior- mente (figura 30).

Figura 30 Plastica di chiusura del palato secondo Furlow. 94 | Schisi labio-maxillo-palatine

Inizia quindi la preparazione dei lembi triangolari nasali: l’incisione di quello di sinistra, a base anteriore, inizia medialmente alla base dell’ugola e continua la- teralmente fino a dove l’elevatore del velo fuoriesce dalla base cranica in maniera speculare al lembo orale omolaterale; il lembo di destra, a base posteriore risul- terà essere muscolo-mucoso e la sua creazione richiederà il rilascio degli ancorag- gi dell’elevatore dal margine posteriore del palato duro, all’aponevrosi del tensore lateralmente. L’incisione del lembo inizia medialmente al vertice disancorato del muscolo e continua postero-lateralmente fino all’hamulus. Le suture iniziano con la ricostruzione dell’ugola unendo sia il piano nasale che quello orale; il lembo nasale destro a base posteriore viene giustapposto sulla linea mediana e posto ad occupare l’angolo lasciato libero dal sollevamento del lembo contro laterale il cui vertice viene invece fissato all’angolo tra lembo nasale di destra e margine posteriore del palato duro. In questo modo le fibre dell’eleva- tore acquisiscono un’andamento orizzontale e trasversale. I punti di sutura vengo- no posizionati in modo da comprendere il solo strato mucoso. Si confezionano le suture della superficie orale: il lembo muscolo-mucoso sini- stro a base posteriore viene fissato controlateralmente all’angolo creato dal solle- vamento del lembo contro laterale che a sua volta viene fissato a sinistra anterior- mente a quest’ultimo completando la chiusura (figura 31).

Correzione della schisi alveolare

La riparazione del difetto osseo del mascellare e della cresta alveolare nei pazienti con cheilognatoschisi rientra nell’ambito delle strategie specifiche che sono da inserire nel percorso di correzione primaria della malformazione. Lasciare un difetto osseo significa costringere il paziente a limitate possibilità di trattamento ortodontico e a convivere con un’instabilità dei segmenti mascella- ri, in particolare della pre-maxilla nei casi di schisi bilaterale, con recessi e fistole oronasali che ostacolano un’adeguata cura dell’igiene orale e con un insufficiente supporto per la base dell’ala nasale che contribuisce all’asimmetria nasale. Le opzioni chirurgiche sono: • la gengivoperiostioplastica, contestuale alla labioplastica, introdotta per la pri- ma volta da Skoog, consiste nella chiusura della schisi con un lembo qua- drangolare di periostio ricavato dal mascellare ed avanzato ad isola. Questa operazione dovrebbe indurre una produzione spontanea di osso, senza la ne- cessità di un sito donatore. Questa tecnica è facilitata dall’associazione con Nasoalveolar Molding o sistemi tipo “Latham device” come lo stesso Millard Schisi labio-maxillo-palatine | 95

A

B C

D E

Figura 31 Palatoplastica secondo Furlow, A) Disegno delle incisioni, B) Confezionamento lembi del piano orale, C) Confezionamento lembi del piano nasale, D) Ricostruzione, E) Aspetto finale. 96 | Schisi labio-maxillo-palatine

ha proposto, che avvicinino i segmenti alveolari, ma la scelta di questo ap- proccio rimane ancora controversa in quanto gli studi clinici finora disponi- bili sembrerebbero conferire anche alla gengivoperiostioplastica precoce un effetto negativo sul successivo sviluppo del mascellare; • l’innesto osseo nella fase della dentizione mista, accettato come metodo più efficace per evitare i problemi sopra accennati e che meno interferisce con la crescita del mascellare (Boyne, Sands).

Quest’ultima tecnica prevede un’ampia esposizione del difetto mediante inci- sione lungo i margini della schisi e il bordo gengivale che viene estesa poste- riormente fino al primo molare permanente e anteriormente fino all’incisivo centrale del lato affetto dalla schisi per permettere poi la copertura dell’innesto; sul versante palatino vengono sollevati dai margini del difetto 2 lembi muco periostei (figura 32). A B

C

Figura 32 Innesto osseo, a) Riempimento del difetto con frammenti ossei, b) e c) chiusura dei lembi. Schisi labio-maxillo-palatine | 97

Sono stati proposti diversi siti donatori quali le coste, la tibia, lo scalpo, tuttavia il più utilizzato è la cresta iliaca anteriore, dalla quale si prelevano frammenti di osso spugnoso lasciando intatta la corticale. La cavità lasciata nella sede di prelie- vo viene poi riempita con sostanze emostatiche tipo collagene. La scelta dell’osso spugnoso è dettata dal fatto che, all’interno di quest’ultimo, le cellule osteogeni- che sopravvivono e, se poste in buone condizioni di approvvigionamento ema- tico, iniziano a produrre nuovo tessuto osseo molto più velocemente di quanto farebbero se si trattasse di osso corticale. L’intero difetto viene riempito con i frammenti innestati soprattutto alla base della cartilagine alare per migliorarne la simmetria, i lembi precedentemente confezionati vengono poi avanzati e suturati sopra l’innesto. In caso di schisi bila- terale entrambe i lati vengono innestati contestualmente (figura 33).

Figura 33 Innesto osseo con prelievo dalla cresta iliaca.

Per quanto riguarda il timing ideale dell’innesto secondario è necessario con- siderare 2 fattori in particolare: la curva di crescita dei vari segmenti del mascel- lare e l’obiettivo clinico dell’innesto stesso. La crescita sagittale e trasversa della mascella cessa intorno agli 8-9 anni, mentre la crescita della dimensione verticale dipende essenzialmente dalla deposizione di osso alveolare stimolata dalla conti- nua eruzione dei denti. L’innesto viene rapidamente trasformato in osso alveolare funzionale, se questo avviene prima dell’eruzione del canino omolaterale al difetto (8-11 anni), l’eruzione spontanea o guidata da mezzi ortodontici di quest’ultimo potrà essere utilizzata come stimolo per mantenere l’altezza adeguata dell’osso. Inoltre effettuare l’intervento quando la porzione cervicale del canino è ancora 98 | Schisi labio-maxillo-palatine coperta dall’osso la protegge da eventuali traumi iatrogeni che sembrano essere una delle concause del fenomeno di riassorbimento delle radici dentarie. Infine, uno degli obiettivi primari dell’innesto secondario è ottenere la chiusu- ra ortodontica della schisi e questa sembra appunto essere facilitata dalla pratica dell’innesto prima dell’eruzione del canino. Alcuni autori hanno proposto un intervento più precoce, tra 5 e 6 anni di età per favorire la migrazione all’interno dell’innesto e l’eruzione anche dell’incisi- vo laterale che spesso manca in questi pazienti o cresce malrotato o deve essere asportato. Manca però la prova che un innesto in età più precoce non interferisca con la crescita mascellare.

Sequenza di Pierre Robin

La sequenza di Pierre Robin venne descritta per la prima volta nel 1923 come associazione di micrognazia, glossoptosi e palatoschisi. Dal punto di vista eziopatogenetico, il difetto è dovuto ad un arresto di svilup- po con ipoplasia della mandibola. La mandibola origina embriogeneticamente dal I arco branchiale, quando vi è un arresto della sua crescita embrionale, ne risulta una micrognatia che a sua volta è causa del retroposizionamento della lingua. Questo avviene prima dell’VIII settimana di gestazione e l’anomala posizione della lingua impedisce la chiusura delle lamine palatine con conseguente schisi del palato. L’incidenza varia da 1 caso su 8.500 nati vivi a 1 caso su 14.000. Non è stata ancora ricono- sciuta un’anomalia genetica specifica. Si presenta isolata nel 58-70% dei casi, nei restanti è in genere associata ad altre sindromi (Stickler, Catch 22, Treacher Collins). È possibile che il fattore che ha ostacolato la crescita mandibolare nella vita intrauterina venga meno dopo la nascita e la mandibola recuperi dimensioni pressoché fisiologiche nel primo anno di vita (fenomeno “catch-up”), soprattutto nelle forme isolate della sequenza. Per questo è importante selezionare scrupolo- samente i pazienti che necessitano di un trattamento correttivo rispetto a coloro che possono godere di un atteggiamento almeno inizialmente conservativo. L’esame obiettivo alla nascita rende ben evidente la triade malformativa: mar- cata ipoplasia mandibolare, presenza di lingua retroposta; la schisi del palato in- teressa esclusivamente il palato secondario e decorre dall’ugola al forame incisivo e può presentarsi come un difetto a forma di V ma più frequentemente a forma di U. Schisi labio-maxillo-palatine | 99

La priorità assoluta nella gestione del paziente è rivolta al trattamento precoce del distress respiratorio, che può presentarsi in forma più o meno grave (figura 34).

Figura 34 Paziente con grave sequenza di Pierre Robin e grave distress respiratorio.

Altrettanto importanti sono i problemi legati alla nutrizione; la malformazione facciale è responsabile di difficoltà nella suzione e deglutizione. Il rischio di irri- tazione delle vie aeree o di polmonite ab ingestis è frequente e può aggravare il distress respiratorio già presente. Per i problemi legati a questo rischio è opportuno, nei casi di ostruzione non grave, limitarsi ad un’alimentazione per gavage associata a manovre di nursing quali la postura prona durante la somministrazione del pasto (figura 35). Utile può essere, inoltre, il posizionamento di una placca palatina fino al momento in cui è possibile eseguire l’intervento di chiusura del palato. Nei casi intermedi risulta efficace una alimentazione enterale con SNG a cicli. È importante sotto- lineare quanto sia fondamentale conservare i riflessi della suzione stimolando il neonato. Nei casi gravi può essere necessario ricorrere ad alimentazione enterale continua mediante confezionamento di gastrostomia o nutrizione parenterale.

Figura 35 Sequenza di pierre Robin in cui si è resa necessaria una alimentazione mediante sondino naso gastrico. 100 | Schisi labio-maxillo-palatine

È importante, inoltre, diagnosticare precocemente la presenza di un eventuale reflusso gastroesofageo che va trattato, in prima istanza, con terapia medica per evitare ulteriori complicanze respiratorie.

Trattamento La priorità terapeutica è rappresentata dalla stabilizzazione del neonato dal punto di vista respiratorio con le procedure classiche di rianimazione neonatale. Per soggetti con difetti modesti può essere sufficiente il posizionamento in decubito prono o su un fianco per mantenere pervie le vie aeree, quando ciò non basta, si rende necessaria l’intubazione naso-tracheale. In questi casi il problema ostruttivo va affrontato in senso chirurgico al fine di consentire la successiva estubazione del neonato: nel corso degli anni sono state sviluppate diverse tecniche per correggere la glossoptosi; va ricordata la glosso- pessia sec. Douglas-Routledge che tecnicamente consisteva nella creazione di due lembi mucosi, uno gengivale ed uno linguale, suturati insieme per ancorare la lin- gua al labbro inferiore; nel tempo tuttavia si assisteva al cedimento dell’ancorag- gio con una introflessione del labbro per cui questa tecnica è stata abbandonata in favore di altri approcci tra cui uno dei più soddisfacenti sembra essere la plastica precoce del palato. La chiusura completa o parziale porterebbe infatti ad un nuovo assetto intra- orale con shift anteriore della lingua e aumenterebbe la capacità di suzione e de- glutizione ovviando la persistenza di riflessi patologici. La plastica precoce del palato rappresenta però il trattamento di scelta nei casi non severi; l’efficacia della palatoplastica è infatti strettamente correlata con il grado di micrognazia presente (figura 36).

Figura 36 Paziente affetta da sequenza di Pierre Robin nei primi mesi di vita e a 9 anni. Operata di distrazione osteogenetica precoce della mandibola e di palatoplastica tardiva. Schisi labio-maxillo-palatine | 101

Per i casi gravi che non presentano anomalie associate che aumentano sve- ramente il rischio chirurgico, nell’ultimo ventennio si è affermata la distrazione osteogenetica precoce della mandibola che si è dimostrata efficace nel ridurre la percentuale di pazienti che necessitano di tracheostomia. L’osteotomia mandi- bolare viene effettuata mediante incisione a L rovesciata bi corticale attraverso accesso extraorale secondo Risdon (figura 37).

Figura 37 Distrazione osteogenetica precoce della mandibola.

Diversi studi clinici hanno dimostrato un miglior risultato della distrazione mandibolare, che peraltro oggi viene applicata anche mediante distrattori en- do-orali, rispetto alla tracheostomia per quanto riguarda respirazione ed alimen- tazione (figura 38), a fronte però di un aumentato rischio di anchilosi dell’artico- lazione temporo-mandibolare a lungo termine (figura 39).

Figura 38 Sequenza di Pierre Robin. Le vie aeree prima e dopo l’intervento di distrazione osteogenetica. 102 | Schisi labio-maxillo-palatine

A

B C

Figura 39 Paziente con grave forma di sequenza di Pierre Robin. A. Quadro clinico alla nascita. B e C. Risultato dopo distrazione osteogenetica della mandibola. Schisi labio-maxillo-palatine | 103

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Introduzione

Un’ampia varietà di sequele possono essere osservate nei bambini con labiopala- toschisi già sottoposti a trattamento chirurgico primario (tabella 1).

Tabella 1 Chirurgia secondaria nelle labiopalatoschisi.

Si considerano come chirurgia secondaria tutti Sequele: gli interventi di revisione o di correzione Esiti cicatriziali del labbro di precedenti interventi chirurgici. Fistole oronasali Interessa il bambino nella seconda/terza infanzia, l’adolescente e l’adulto. Iposviluppo mascellare Approccio multidisciplinare-interdisciplinare. Insufficienza velo-faringea Coinvolge: Otorinolaringoiatra, Chirurgo Plastico, Chirurgo Maxillo-Facciale, Foniatra, Logopedista, Deformità nasali Odontoiatra, Ortodonzista, Audiologo, Psicologo, Disturbi della funzione Neuropsichiatra. uditiva

Per quanto riguarda l’età in cui è indicato il trattamento va ricordato che: • una deformità secondaria del labbro, se severa, va corretta precocemente, sia nelle schisi monolaterali che in quelle bilaterali, mentre nelle forme meno evidenti si può attendere la seconda infanzia; • le fistole oro-nasali e l’insufficienza velo-faringea funzionalmente significati- ve vanno trattate in età prescolare; • i casi più severi di malocclusione sono in genere affrontati nell’adolescenza; • la correzione delle deformità nasali viene realizzata dopo l’adolescenza, eccet- to nel caso in cui queste si associno a grave ostruzione delle vie aeree; • se le anomalie sono multiple può essere necessario un approccio in più tempi. 106 | Labiopalatoschisi, chirurgia secondaria

Deformità secondarie del labbro

Labioschisi monolaterali In questo tipo di difetto l’anomalia più frequente dopo la chirurgia primaria è il deficit dell’arco di Cupido, che può essere associato ad un’anomalia del vermiglio (margini irregolari, cresta attenuata o addirittura assente). Quando la porzione di arco di Cupido del vermiglio è totalmente assente, la soluzione chirurgica ot- timale è in genere rappresentata da un lembo peduncolato tipo Abbe (figura 1).

Figura 1 Tecnica di Abbe. Labiopalatoschisi, chirurgia secondaria | 107

Questo lembo consente di ristabilire l’arco sul lato della schisi e fornisce altresì una pienezza adeguata al labbro creando un tubercolo praticamente normale (fi- gura 2). Piccole retrazioni cicatriziali (figura 3) del vermiglio, in presenza di un arco di Cupido adeguato possono essere corrette con una plastica a Z o con escissione a forma di diamante del tessuto cicatriziale (figura 4).

Figura 2 Paziente operato con la tecnica del lembo peduncolato secondo Abbe.

Figura 3 Paziente con esiti cicatriziali di labioplastica sinistra caratterizzati da disallineamento del vermiglio a livello del picco dell’arco di Cupido omolaterale alla schisi. 108 | Labiopalatoschisi, chirurgia secondaria

A B

Figura 4 Deformità cicatriziale del labbro, A) correzione con plastica a Z, B) Escissione a forma di diamante del tessuto cicatriziale.

Se il vermiglio è poco rappresentato a livello del labbro superiore, la correzione chirurgica può essere effettuata, se vi è sufficiente tessuto donatore, con un lembo muscolo-mucoso trasverso dal labbro inferiore oppure mediante innesto libero di tessuto adiposo dermico. Il problema del labbro corto, esito rilevabile soprattutto in pazienti trattati con la tecnica di Millard, è in genere trattato in chirurgia secondaria mediante pla- stica a Z (through-and-through Z-plasty). In caso di grave accorciamento della mucosa, possono essere richiesti un innesto libero o un lembo laterale. La presenza di un labbro lungo è frequente dopo labioplastica secondo la tecni- ca di Tennison. In genere si tratta di un difetto ad insorgenza tardiva, dopo alcuni anni dall’intervento. Labiopalatoschisi, chirurgia secondaria | 109

In questi casi è necessario procedere ad una ipercorrezione, aprendo l’intero labbro fino alla base dell’ala nasale, sede in cui si asporta il tessuto in eccesso. Questo consente lo scorrimento dei margini della soluzione di continuo per rial- lineare le strutture. Una ulteriore possibile correzione è rappresentata dalla plastica del filtro che si realizza prelevando tessuto dal lato sano, rimodellandolo e creando una simme- tria dei margini del filtro con al centro la depressione tissutale. In caso vi sia tessuto sufficiente e vi siano più deformità può essere consigliabile ricostruire il labbro mediante una nuova labioplastica.

Labioschisi bilaterali Il numero e la complessità delle anomalie dopo correzione delle schisi bilate- rali è maggiore rispetto a quelle monolaterali, ed è in parte dovuto alla scar- sezza di tessuto a livello della porzione centrale del labbro e alla brevità della columella. Le più comuni anomalie sono: • difetti del vermiglio, sono dovuti a retrazione cicatriziale (“whistle defor- mity” o “notching defect”). Esistono diverse tecniche chirurgiche, tra cui l’avanzamento V-Y (figura 5), la plastica a Z (più o meno estesa in rapporto all’entità del difetto), il lembo triangolare di mucosa secondo Kapentansky; in caso di ampio difetto centrale è possibile utilizzare due lembi triangolari ai lati del filtro (tipo island flap) il cui scorrimento mediale ricrea il ver- miglio;

Figura 5 Correzione di difetto verticale del labbro con plastica V-Y. 110 | Labiopalatoschisi, chirurgia secondaria

• arco di Cupido assente o deformato, la correzione prevede un innesto cuta- neo libero a tutto spessore; • assenza del filtro, vi sono diverse tecniche tra cui l’utilizzo della cute e del tessuto sottocutaneo del prolabio come lembo oppure innesto cartilagineo sottocutaneo (con prelievo di cartilagine dall’orecchio); • labbro stretto, nei casi di ampio difetto si può scolpire un lembo a “M” nel labbro inferiore che ruotando colma il difetto del labbro superiore; • difetto muscolare del prolabio, in tal caso è opportuno eseguire un ampio scollamento sottocutaneo della regione del prolabio, isolare le strutture mu- scolari e ricrearne una continuità; • difetto del vermiglio, va trattato con un’incisione V-Y del solco labiale ed eventuale innesto di lembo libero di mucosa buccale (buccal graft) che age- vola lo scorrimento della soluzione di continuo creata per favorire un allun- gamento del solco labiale (figura 6); • esiti cicatriziali, si procede con l’escissione della cicatrice e la chiusura prima- ria; fondamentale è lo scollamento dei piani superficiali da quelli profondi previa accurata incisione dei margini cicatriziali con linee geometriche varie a seconda del tipo di cicatrice.

Figura 6 Correzione del difetto con una plastica di avanzamento V-Y. Labiopalatoschisi, chirurgia secondaria | 111

Fistole oro-nasali

Le fistole oro-nasali sono la complicanza più comune dopo palatoplastica (figura 7), vengono distinte in: • fistole che interessano il palato duro con o senza interessamento del processo alveolare; • le fistole al confine tra palato duro e palato molle; • fistole del palato molle.

Figura 7 Fistola palatina.

Vengono classificate da un punto di vista morfologico, secondo lo schema di Pit- tsburg, in sette sottotipi: • tipo I, a livello dell’ugola con o senza ugola bifida; • tipo II, nel palato molle; • tipo III, alla giunzione tra palato molle e palato duro; • tipo IV, nel palato duro; • tipo V, a livello del forame incisivo/giunzione tra palato primario e secondario; • tipo VI, sul versante linguale del processo alveolare; • tipo VII, sul versante labiale dell’alveolo.

Vanno anche distinte in funzionali e non funzionali, in base alla presenza o meno di sintomi dovuti al rigurgito di materiale alimentare ovvero legati alla fuga d’aria (figura 8). Le fistole, in genere, vengono evidenziate alcune settimane dopo la chirurgia primaria; se piccole possono essere trattatate conservativamente, alcune possono chiudersi spontaneamente. In altri casi esse si rendono evidenti con manifesta- 112 | Labiopalatoschisi, chirurgia secondaria zioni cliniche importanti quali fuga di aria e rigurgito di cibi liquidi e solidi attra- verso il naso.

A B

Figura 8 A) Ampia fistola anteriore funzionale, B) Piccola fistola del palato molle non funzionale.

La chiusura può essere eseguita in corso di chirurgia secondaria del labbro o negli interventi sul mascellare. Se la fuoriuscita di cibo è considerevole e crea disagio o se la fistola è tale da interferire con il percorso riabilitativo logopedico, la chiusura deve essere eseguita in età prescolare. Le fistole che coinvolgono la pre-maxilla ed i processi alveolari vanno riparate al momento in cui si procede con l’innesto osseo (eruzione del canino definititvo). La maggioranza sono sulla linea mediana o in posizione laterale; derivano da una infezione della ferita, da un ematoma o da una necrosi parziale dei lembi da eccessiva tensione. La modalità di trattamento delle fistole pone aspetti problematici in quanto la percentuale di recidive dopo una prima correzione è stimata al 65%. Negli anni numerosi sono stati gli approcci proposti, dall’applicazione di dispositivi ottura- tori (Berkman), ai molti lembi proposti per chiudere le ampie fistole anteriori, tra cui anche quello linguale (Guerrero-Santos, Altamirano). Minori sono le dimensioni della fistola minore è la necessità di scolpire lembi di grandi dimensioni, però i piccoli lembi locali hanno lo svantaggio di essere confezionati con tessuto cicatriziale. Le fistole a livello del palato molle possono essere semplicemente escisse e ripa- rate per chiusura diretta in doppio strato o eseguendo una palatoplastica di allun- gamento (Furlow) se si associa insufficienza velo-faringea. Le fistole del palato duro pongono maggiori difficoltà e spesso il confezionamento di lembi locali di trasposizione non è sufficiente e si rende necessario confezionare di nuovo lembi mono o bi-peduncolati. Il piano nasale è spesso più difficile da chiudere per la natura friabile del tessuto costantemente esposto al reflusso di cibo. Labiopalatoschisi, chirurgia secondaria | 113

È opportuno quindi attenersi alle seguenti indicazioni: • le fistole del palato duro con interessamento del processo alveolare vengono chiuse al momento dell’innesto osseo con chiusura della mucosa nasale ed il confezionamento di uno o due lembi di fibromucosa orale; • le fistole al confine tra palato duro e molle, se ampie, necessitano di un nuo- vo intervento di palatoplastica; se piccole vanno sempre chiuse in due strati avendo cura di preparare accuratamente i lembi di fibromucosa orale; • le fistole del palato molle se piccole non vanno trattate;le altre si chiudono in due strati. Se associate a incompetenza velo faringea va presa in esame l’op- portunità di un nuovo intervento.

Insufficienza velo-faringea

Il velo-faringe può essere considerato uno sfintere dinamico composto dal pala- to molle e dalle pareti faringee laterali e posteriore. La chiusura dello sfintere è data da un movimento postero-superiore del velo e un movimento mediale delle pareti faringee, ed è necessaria per separare completamente la cavità nasale dall’o- ro-faringe, permettendo così l’aumento della pressione intraorale essenziale nella produzione di alcuni suoni consonantici (consonanti non nasali). Molti possono essere i fattori responsabili di una disfunzione dello sfintere: un velo e un palato duro troppo corti, una disfunzione delle pareti faringee o una paralisi che rende questi elementi incapaci di muoversi. Per questo, anche se inizialmente termini come “inadeguatezza”, “incompetenza” e “disfunzione” velo-faringea sono stati usati in maniera indifferente, sarebbe più corretto distin- guere tra cause legate ad un’anomalia anatomica (insufficienza velo-faringea), ad un’alterata neurofisiologia (incompetenza velo-faringea), o ad errori articolatori (errato apprendimento velo-faringeo o disfunzione funzionale). Tra le cause di insufficienza velo-faringea le palatoschisi rappresentano la causa più frequente, ma ve ne sono altre: • la schisi sottomucosa del palato; • il “deep ”, in pazienti con normale anatomia del palato molle, ma che hanno anomalie cervicali o della base del cranio (come nelle sindromi di Klippel-Feil e di Down); • alcuni casi di atrofia adenoidea o dopo adenoidectomia, poiché viene a mancare lo spessore posteriore del naso-faringe che è dato dal tessuto ade- noideo; • le tonsille spiccatamente ipertrofiche; 114 | Labiopalatoschisi, chirurgia secondaria

• la tonsillectomia, quando l’intervento è complicato da deformità cicatriziali dei pilastri posteriori che possono alterare i movimenti delle pareti laterali del faringe; • l’avanzamento mascellare, che accentua l’insufficienza in pazienti che ne sono affetti.

L’errato apprendimento velo-faringeo è invece legato ad una errata articolazione verbale che si evidenzia con un’inappropriata apertura della valvola velo-faringea durante i tentativi di produzione verbale, in particolare per: • articolazione difettosa, durante il normale sviluppo articolare alcuni bambini imparano a produrre alcuni suoni in maniera errata. Questo causa una riso- nanza nasale fonema-specifica o una fuoriuscita nasale di aria. La condizione più comune è la sostituzione delle fricative (f e s) con un suono sibilante o la nasalizzazione della vocale i; • produzione verbale compensatoria, quando vi è un’insufficienza velare du- rante lo sviluppo, il bambino impara a compensare la mancanza di pressione intraorale producendo suoni a livello della glottide o del faringe. Quando si corregge il difetto anatomico questo pattern articolare persiste con il risultato di ipernasalità e fuoriuscita nasale di aria legato al modo in cui questi suoni vengono prodotti; fondamentale per questi bambini è la terapia logopedica post-chirurgica; • mancanza di feedback uditivo, i pazienti con ipoacusia grave/profonda hanno spesso un’anomala risonanza nasale legata all’impossibilità di monitorare e correggere i suoni emessi in maniera errata.

Si stima che nel 5-20% dei pazienti che ha subito una chirurgia ripartiva persista un’insufficienza velo faringea anche dopo la palatoplastica primaria. Questa si manifesta con: • anomala fonazione ed alterazioni dell’eloquio in seguito a spiccata iperna- salità; • rinolalia; • emissioni udibili di aria dal naso ed apprendimento di meccanismi di sosti- tuzione; • utilizzo di consonanti differenti da quelle che non si riescono a pronunciare (meccanismi compensatori tipici nel paziente pediatrico, es. m al posto di b, gn al posto di g, n al posto di d); • suoni gutturali (suoni glottici ed a origine faringea); • rigurgito nasale di cibo o liquidi. Labiopalatoschisi, chirurgia secondaria | 115

L’approccio ad una disfunzione velo-faringea è, in primo luogo, clinico mediante valutazione della qualità della voce del paziente. La valutazione foniatrica è fon- damentale e deve precedere qualsiasi valutazione strumentale, va stabilito se il problema del linguaggio è legato ad ipernasalità, ad iponasalità o se vi siano altri disordini di risonanza. L’esame obiettivo della cavità orale consente di identifi- care eventuali fistole oro-nasali (causa di falsi positivi nella ricerca dell’insuffi- cienza velo-faringea), la presenza di schisi sottomucosa (caratterizzata da ugola bifida e dalla forma a V del velo quando questo è in elevazione), le alterazioni della simmetria delle ossa facciali, la presenza di cicatrici nelle sedi di pregressa chirurgia (palatoplastica, faringoplastica, adeno-tonsillectomia) o di altre ano- malie che possono condizionare la produzione verbale. L’anamnesi deve racco- gliere informazioni oltre che sugli aspetti verbali e su eventuali cicli di logopedia, anche sulle modalità di alimentazione e deglutizione, e sull’eventuale storia di ipoacusia o otiti ricorrenti. È inoltre necessario raccogliere informazioni sul- la pregressa storia chirurgica e su eventuali concomitanti diagnosi di sindromi genetiche nel paziente o nei familiari. In particolare tra i bambini che non han- no labiopalatoschisi, ma che vengono studiati per una sospetta insufficienza ve- lo-faringea, è frequente il riscontro della sindrome da delezione del cromosoma 22q11 (Catch 22). La valutazione foniatrica rientra tra gli approcci “indiretti” al problema: l’ope- ratore dev’essere in grado di rilevare la presenza di fughe d’aria anomale, con quali suoni esse si presentino e quanto spesso. La valutazione comprende la ripetizione di sillabe che stressino la funzione sfinterica e il passaggio da suoni nasali a suoni che non lo sono, ma anche di un frammento di eloquio spontaneo. Per farlo sono utili strumenti che quantifichino la fuga come il “nasometer”, che misura l’energia acustica prodotta nella cavità orale e nasale durante la fonazione, fornendo un punteggio sulla nasalità dell’eloquio. L’approccio diretto all’insufficienza velo-faringea è quello che consente la vi- sualizzazione del meccanismo sfinterico durante la fonazione senza interferire con i movimenti degli elementi che lo costituiscono; esso viene riservato a quei pazienti per i quali gli esami indiretti abbiano già confermato la presenza di una disfunzione del meccanismo che necessita di essere corretta e quindi candidati ad una diagnosi eziologica e a una caratterizzazione del difetto tale da consentire la pianificazione del trattamento. La diagnostica si basa essenzialmente sulla: • Video Rinofaringoscopia: mediante l’uso di un endoscopio flessibile si vi- sualizzano le fosse nasali, il rinofaringe e i movimenti del velo palatino durante la fonazione. Questa tecnica evidenzia molto bene sede ed entità 116 | Labiopalatoschisi, chirurgia secondaria

del difetto e per questo è importante la copresenza del foniatra e del chirurgo nel corso dell’esame. • Videofluoroscopia: consente di visualizzare lo sfintere velofaringeo nelle sue tre dimensioni valutando non solo i movimenti del velo ma anche quelli delle pareti laterali e posteriore del faringe sia a riposo che in fonazione. Si serve di diverse sezioni radiografiche, le principali sono la laterale o sagittale media- na, la frontale e postero-anteriore e la basale o assiale. La tecnica comporta l’esposizione alle radiazioni ionizzanti.

La prima consente una visione anatomica delle strutture e ha il vantaggio di non avere limiti di tempo in quanto non vi è esposizione a radiazioni ioniz- zanti. Gli svantaggi sono dati però dall’incapacità di poter vedere tutto il tratto vocale simultaneamente, dall’impossibilità di visualizzare gli articolatori orali e, soprattutto nei bambini più piccoli, dalla possibile scarsa collaborazione. En- trambi gli esami sono importanti per completare la diagnosi, ma la maggiore invasività della videofluoroscopia consiglia il preferenziale utilizzo della tecnica endoscopica. Le indicazioni al trattamento chirurgico dell’insufficienza velo-faringea ven- gono poste dopo un accurato esame clinico-strumentale che dimostri la natura anatomica della disfunzione e soprattutto dopo un adeguato trattamento logo- pedico. L’intervento è indirizzato al ripristino della funzione di chiusura dello sfintere velofaringeo. In genere l’approccio viene deciso in base al tipo di difetto che può essere coro- nale, sagittale, circolare, di ampie o piccole dimensioni. Quando si tratta di un difetto modesto e le fibre del muscolo elevatore decorro- no in senso sagittale, può essere sufficiente utilizzare le stesse tecniche di allunga- mento del velo impiegate in chirurgia primaria, in particolare trova applicazione la plastica a doppia zeta secondo Furlow. In caso di difetto più ampio con fibre dell’elevatore che decorrono trasversali quindi già in senso fisiologico è più utile intervenire sulla componente faringea dello sfintere. Le tecniche a disposizione sono:

Faringoplastica di aumento Quando la distanza tra i margini posteriori del velo e il faringe è minore di un centimetro si può aumentare lo spessore a livello del tubercolo dell’atlante me- diante l’impianto di materiale autologo (cartilagine, osso) o eterologo (silastic, teflon, goretex) in una tasca ottenuta con uno scollamento sovrafasciale. Il pro- Labiopalatoschisi, chirurgia secondaria | 117 blema principale di questo intervento è rappresentato dal destino del materiale impiantato (dislocamento, riassorbimento, cambiamento di forma). Un’ulteriore possibilità in questo senso è data dall’iniezione di tessuto adipo- so autologo (prelevato dall’addome o dalla coscia mediante tecnica di Coleman) introdotta già nel 1926 da Von Gaza che descrisse un approccio mediante ac- cesso cervicale, più recentemente Dejonckere ha proposto e attuato l’impianto transorale sotto controllo endoscopico. L’iniezione di circa 12 ml di grasso avvie- ne, mediante siringa con ago sottile, a livello della sottomucosa in sede mediana e paramediana della parete faringea posteriore, nel punto di contatto tra velo e faringe durante la fonazione. Tale sede viene esposta nel corso della procedura con l’aiuto di una spatola per abbassare la lingua, e un sondino nasogastrico per retrarre il velo. Si deve fare però attenzione a non iniettare in sede troppo profon- da o laterale perché si rischia di spostare il legamento vertebrale retrostante o di danneggiare l’ostio tubarico.

Faringoplastica con lembo faringeo È indicata in particolare nei pazienti che presentano un difetto sagittale con una chiusura deficitaria centrale. Il lembo faringeo può avere forma triangolare o tra- pezoidale, viene scolpito sulla parete posteriore del faringe e può essere a base inferiore o superiore (figura 9).

Figura 9 Rappresentazione schematica del confezionamento di un lembo faringeo posteriore.

Esistono molte varianti, la più utilizzata è quella secondo Sanvenero Rosselli. Si esegue dapprima una sezione sagittale a tutto spessore del velo con la creazione 118 | Labiopalatoschisi, chirurgia secondaria di due lembi, quindi si prepara un lembo a base superiore ricavato dalla parete posteriore del faringe utilizzando il muscolo costrittore superiore del faringe e la sovrastante mucosa. I lembi del velo vengono divaricati e rovesciati e si sutura la mucosa del lembo faringeo con la mucosa nasale, mentre la parte posteriore del lembo faringeo viene incorporata nella chiusura dei due lembi palatini. È impor- tante ricoprire la superficie muscolare cruentata del lembo faringeo per evitare grossolane retrazioni cicatriziali. A sutura ultimata la cavità orale e quella nasale comunicano attraverso due osti laterali. Si tratta di un intervento statico che alte- ra in maniera permanente il passaggio tra naso ed orofaringe.

Faringoplastica dinamica Essa si basa sul principio di trasferire le inserzioni inferiori dei pilastri palati- ni posteriori dalle pareti laterali a quella posteriore del faringe costruendo uno sfintere che possa, contraendosi, separare la cavità orale da quella nasale. Si crea così un meccanismo che favorisce l’occlusione circonferenziale della porta velo faringea (figura 10).

Figura 10 Schema rappresentativo della faringoplastica dinamica secondo Orticochea. Labiopalatoschisi, chirurgia secondaria | 119

Questo intervento nelle sue varianti (Orticochea, Reichert, Jackson) pre- vede la preparazione di due lembi a base superiore ricavati dai pilastri palatini posteriori. con dissezione dei muscoli palato faringei che vengono inclusi al loro interno. Tali lembi vengono medializzati inferiormente e trasposti di 90°e infine suturati sulla parete posteriore del faringe realizzando una doppia zeta. La traspo- sizione dei due lembi deve trovarsi in corrispondenza del punto di contatto tra il velo e la parete postero laterale del faringe. L’insuccesso di questa tecnica è spesso legato ad una deiscenza o all’errato con- fezionamento dei lembi. La complicanza più insidiosa sia per quanto riguarda le faringoplastiche stati- che che per quelle dinamiche è l’ostruzione della via aerea nasale con conseguenti frequenti apnee notturne. Riguardo al timing più indicato per la correzione dell’insufficienza velo-farin- gea, è consigliabile pianificare la correzione chirurgica il prima possibile non ap- pena sia stata accertata la presenza della disfunzione anatomica, in genere in età prescolare.

Iposviluppo del mascellare e chirurgia ortognatica

Indipendentemente dalle tecniche usate per la correzione primaria della schisi, permane una certa quota di pazienti che sviluppa un anomalia di crescita del ma- scellare, dovuta anche a differenze individuali e intrinseche nello sviluppo del mas- siccio-facciale. Il difetto di crescita del mascellare è in genere tridimensionale (lun- ghezza, altezza e ampiezza/larghezza) e la retrusione è più apprezzabile nei pazienti affetti da un difetto unilaterale, in quanto quelli affetti da schisi bilaterale sono avvantaggiati dall’iniziale protrusione della pre-maxilla che diminuisce gradual- mente nel tempo acquisendo una posizione quasi ideale nella tarda adolescenza. Una relazione adeguata tra gli incisivi nella fase di dentizione decidua è de- terminante per lo sviluppo regolare della porzione anteriore della mascella, per questo il trattamento ortodontico deve accompagnare il paziente affetto da labio- palatoschisi sin dalla tenera età come parte integrante del protocollo multidisci- plinare, in genere alternando fasi di correzione attiva a fasi di mantenimento o di fissazione dei risultati ottenuti. Gli approcci possono essere diversi, ma generalmente comprendono: • 0-3 mesi, apparecchi pre-chirurgici per avvicinare i processi alveolari; • 6-7 anni, terapia intercettiva prima dell’innesto alveolare. Questa riguarda solo quei casi caratterizzati da morso incrociato antero-posteriore e retrusio- 120 | Labiopalatoschisi, chirurgia secondaria

ne del massiccio facciale (circa il 20%) e ha lo scopo di consentire l’eruzione spontanea e in posizione corretta degli incisivi permanenti. Prevede l’utilizzo di apparecchi finalizzati all’espansione trasversale del palato e alla protrusio- ne della mascella per un periodo complessivo di circa 15 mesi, seguiti dall’ap- plicazione di apparecchi di fissazione dell’arco palatino; • fase della dentizione permanente, gli obiettivi in questo caso sono gli stessi dei pazienti non affetti da schisi e vengono ottenuti attraverso gli stessi ap- parecchi ortodontici, con un’attenzione particolare alla fissazione del palato precedentemente espanso per prevenirne il restringimento.

Nel caso di pazienti affetti da discrepanze maggiori delle ossa del massiccio fac- ciale (malocclusione di III classe) può rendersi necessario intervenire chirurgi- camente sul mascellare. Per farlo si attende normalmente che la crescita della mandibola sia pressoché completa: 14-15 anni per le femmine, 16-17 anni per i maschi. Gli approcci sono sostanzialmente due.

Osteotomia del mascellare tipo Le Fort I È il metodo tradizionale che consente di correggere la maggior parte dei difetti. Si accede alla mascella mediante il solco vestibolare, la si frattura interponendo un innesto osseo a livello del solco pterigo-mascellare. L’avanzamento che si può ottenere arriva al massimo a 5/8 mm. Infine si fissa la mascella nella posizione desiderata attraverso l’applicazione di mini-placchette (figura 11).

Figura 11 Osteotomia secondo Le Fort I. Labiopalatoschisi, chirurgia secondaria | 121

Distrazione osteogenetica Si considerano in genere candidati per questa procedura pazienti con ipoplasia mascellare severa che coinvolge tutti i piani (verticale, orizzontale e trasversale), con malocclusione di classe III che necessita di un avanzamento superiore ai 10 mm, con mandibola normale per forma e posizione e che abbiano concluso la dentizione primaria. Trovano indicazione a questo tipo di intervento anche co- loro che sono affetti da importanti esiti cicatriziali a livello palatino e faringeo e soffrano di ostruzione delle alte vie aeree con apnee notturne (figura 12).

Figura 12 Distrazione osteogenetica.

L’intervento prevede una classica osteotomia di Le Fort I senza però riposizio- namento dei frammenti mascellari fratturati né impianto di innesti ossei; viene quindi posizionato un “device” intraorale per il graduale allungamento della ma- scella, la cui attivazione meccanica avviene in IV-V giornata post-operatotoria con una distrazione di circa 1 mm al giorno. L’apparecchio viene mantenuto in sede per 3-4 settimane, dopo l’ottenimento dell’avanzamento desiderato, segue un periodo di fissazione elastica per di 4-6 settimane prima della completa ri- mozione.

Risultati I dati derivanti dalla letteratura riguardanti i risultati nel primo approccio ovvero osteotomia tradizionale con avanzamento dei segmenti e fissazione interna con placchette tendono a riportare valori di avanzamento medio della mascella tra 5 e 7 mm con un grado di recidiva della retrognazia a lungo termine variabili tra 20 e 25%. Più favorevoli sembrano essere quelli relativi all’utilizzo della distra- zione, con quote di avanzamento medio anche intorno agli 11-12 mm e mino- 122 | Labiopalatoschisi, chirurgia secondaria

re tendenza alla recidiva. I vantaggi offerti dal secondo approccio sono diversi: una maggiore versatilità nel determinare l’entità e la direzione dell’avanzamento, con possibilità di rettifica in itinere, e l’assenza di limitazioni riguardanti l’età cui sarebbe indicato procedere. I pazienti, stimolati dall’apparecchio di distrazione, producono osso autogeno senza la necessità di riposizionare i segmenti dopo l’o- steotomia, e senza inserire mezzi interni di fissazione o innesti autologhi, quindi con una minore interferenza sulla crescita del massiccio facciale. È sufficiente che la dentizione, primaria o secondaria, sia completa, in modo da consentire la fissazione dell’apparecchio mediante il ponte intraorale.

Disturbi della funzione uditiva

I bambini affetti da schisi del palato, o da altre anomalie craniofacciali, hanno molto spesso patologie otologiche; vanno però distinti quelli con palatoschisi iso- lata da quelli sindromici. Questi ultimi in particolare possono avere problematiche audiologiche legate sia all’orecchio interno che a quello medio ed esterno, mentre nei primi i disturbi sono dovuti ad un difetto della funzionalità tubarica che causa un’ipoacusia di tipo trasmissivo.

Forme sindromiche Sono molteplici i quadri sindromici in cui è presente sia una labio-palatoschisi che malformazioni otologiche, tra le più frequenti la sindrome di Treacher Col- lins, la sindrome di Goldehar e la sindorme di DiGeorge. Va anche ricordata la sequenza di Pierre Robin. La sindrome di Treacher Collins, detta anche disostosi mandibolo-facciale, ha un’incidenza di circa 1/50.000 nati vivi ed è dovuta a una mutazione del gene TCOF1 o dei geni POLR1C, POLR1D. Ha una trasmissione autosomica dominante con una penetranza del 90% ed espressione variabile. I bambini presentano dismorfismo facciale caratterizzato da ipoplasia bilaterale e simmetrica delle ossa zigomatiche, del bordo infraorbitale o della mandibola (retrognazia, retrogenia) che comporta una mal occlusione dentale (caratterizzata da morso aperto anteriore). Nel 28% dei casi è presente palatoschisi e nel 60% dei casi sono presenti anomalie otologiche, quali l’anotia o la microtia, l’atresia dei condotti uditivi esterni e anomalie della ca- tena degli ossicini; queste condizioni esitano in una ipoacusia di tipo trasmissivo. La sindrome di Goldenhar, detta anche displasia oculo-auricolo-vertebrale, ha un’incidenza di 1/5.000-25.000 nati vivi e l’eziologia è sconosciuta. È caratteriz- Labiopalatoschisi, chirurgia secondaria | 123 zata dalla triade: microsomia cranio-facciale (quasi sempre monolaterale), cisti dermoidi oculari e anomalie della colonna vertebrale. Si associa alla presenza di appendici preauricolari, malformazioni auricolari e talvolta labiopalatoschisi. La sindrome di DiGeorge o sindrome da delezione 22q11.2, nota anche come sindrome velo-cardio-facciale ha un’incidenza di 1/2.000-4.000 nati vivi ed è dovuta ad una aberrazione cromosomica. Questi pazienti presentano anomalie cardiache come tetralogia di Fallot, difetto del setto interventricolare o tronco ar- terioso comune; anomalie craniofacciali come labiopalatoschisi, insufficienza ve- lo-faringea, ipoplasia della regione malare, ipertelorismo, epicanto, radice nasale prominente; anomalie vertebrali; deficit immunitario legato ad aplasia/ipoplasia del timo. In questi pazienti possono essere associate anomalie del tratto gastro-in- testinale, sordità, malformazioni renali, anomalie dei denti, disturbi dell’appren- dimento e disturbi psichici. Infine la sequenza di Pierre Robin che ha una prevalenza di 1/10.000 nati vivi ed è caratterizzata da una triade malformativa della faccia: retrognazia, glossop- tosi e palatoschisi. Si tratta di una sequenza in quanto la palatoschisi è conseguen- te ad un’anomala posizione della lingua durante la vita fetale che non permette la fusione del palato lungo la linea mediana. Questi bambini possono presentare alla nascita diversi problemi perché la retrognazia e la glossoptosi tendono ad oc- cludere le vie aeree ed impediscono una normale alimentazione. Con la crescita questi problemi tendono a migliorare, tuttavia persiste un elevato rischio di otiti e di ipoacusia trasmissiva con conseguente difficoltà nello sviluppo del linguaggio.

Forme isolate Nelle labiopalatoschisi e palatoschisi non sindromiche la problematica audiologi- ca è legata esclusivamente ad un difetto di funzionalità tubarica che causa un di- fetto uditivo di tipo trasmissivo e normalmente non viene coinvolto né l’orecchio interno né l’orecchio esterno. La sorveglianza otologica è essenziale già dai primi mesi di vita e consente l’individuazione di un’eventuale patologia dell’udito. L’importanza della patologia uditiva è spesso minimizzata nella prima infanzia quando tutta l’attenzione e la preoccupazione della famiglia sono rivolte al più evidente difetto del labbro e del palato. L’interessamento dell’orecchio medio è invece una condizione estrema- mente frequente in questi bambini e determina una ipoacusia trasmissiva conse- guente a versamento endotimpanico.

Fisiopatologia Il processo patologico che porta all’insorgenza di un’ipoacusia trasmissiva è do- 124 | Labiopalatoschisi, chirurgia secondaria

vuto ad una alterazione della normale fisiologia della funzionalità tubarica. Du- rante la deglutizione lo sfintere velofaringeo, rappresentato dai muscoli elevatore del velo palatino e tensore del velo palatino, divide il nasofaringe dall’orofaringe in modo tale che il bolo alimentare non possa risalire verso il nasofaringe. Il prin- cipale muscolo che regola l’apertura dell’ostio della tuba di Eustachio è il tensore del velo palatino, tale muscolo origina dalla tuba di Eustachio e si inserisce sul palato dove incontra il suo omonimo controlaterale formando una fionda mu- scolare facente parte del palato molle. L’aerazione dell’orecchio medio è legata agli scambi gassosi tra la mucosa timpano-mastoidea e il flusso sanguigno oltre che all’apertura della tuba di Eustachio, evento che nel bambino sano accade all’in- circa 30 volte all’ora; di conseguenza un’alterazione del meccanismo di apertura e chiusura della tuba, come succede nei pazienti affetti da schisi del palato, non permette una corretta ventilazione dell’orecchio medio. In questi pazienti inoltre vi è un reflusso del materiale del rinofaringe verso la tuba e quindi verso l’orecchio medio, situazione peraltro comune nei bambini sani vista l’inclinazione orizzon- tale delle tube durante l’infanzia che si verticalizzano solo dopo i 7 anni di età. L’alterazione della funzionalità tubarica predispone alla flogosi e alla persisten- za di versamento catarrale. Tale fluido modifica quindi l’impedenza del sistema di trasmissione degli ossicini, che è ottimale se il mezzo in cui sono inseriti è l’aria e diminuisce se il mezzo è fluido, causando quindi un’ipoacusia trasmissiva. La persistenza di otite media effusiva predispone alle “patologie da retrazione” come la retrazione timpanica, l’atelettasia, l’otite adesiva e il colesteatoma. Le conseguenze della riduzione dell’udito si riversano sulla capacità di appren- dimento e sulla possibilità di utilizzo del feedback uditivo per poter correggere i problemi di produzione della parola di cui sono affetti in particolare i bambini con palatoschisi.

Diagnosi Nel percorso della sorveglianza audiologica il primo esame è rappresentato dal test delle otoemissioni acustiche (OAEs) che, se presenti, dimostrano un orecchio con capacità uditiva. Nel caso invece non siano presenti la problematica può essere a livello dell’orecchio medio o dell’orecchio interno; va anche ricordato che spesso le otoemissioni risultano assenti per via del versamento timpanico che non permette l’esecuzione di un esame corretto. Va eseguito quindi l’ABR (auditory brainstem response) per dimostrare l’integrità delle vie acustiche fino al tronco encefalico. An- che l’ABR in caso di versamento può risultare di difficile esecuzione. Questo esame va eseguito con il bambino addormentato, spesso questi bimbi russano per via del difetto anatomico, ed il rumore prodotto può alterare la risposta dell’esame. Labiopalatoschisi, chirurgia secondaria | 125

La valutazione dell’ipoacusia deve però sempre basarsi sulla concordanza di più test elettrofisiologici e comportamentali. L’ipoacusia può essere misurata dai 6 mesi di età circa con l’audiometria infan- tile, mentre l’audiometria tonale può essere eseguita dai 5 anni di età. La diagnosi di otite media acuta (acute otitis media: AOM) e di otite media effusiva (otitis media with effusion: OME) è sia clinica che strumentale. L’otite media acuta è un processo infiammatorio acuto dell’orecchio medio che si manifesta con dolore, febbre, “fullness” auricolare; obiettivamente di manifesta con iperemia della membrana timpanica, bombatura della stessa o eventualmente otorrea purulenta. L’otite media effusiva si manifesta invece con quadri più sfu- mati, è assente il dolore e la febbre mentre invece è presente il fullness auricolare; obiettivamente la membrana timpanica presenta sfumature dal giallo al blu in rapporto al tipo di versamento, che può essere sieroso, mucoso, siero-mucoso o mucoide cronico (glue ear, figura 13).

Figura 13 Quadro di otite media con versamento endotimpanico.

Mentre nel bambino più grande la diagnosi può essere confermata da un sem- plice test acumetrico di Weber, se si tratta di una forma monolaterale, nel bam- bino più piccolo è di ausilio il timpanogramma che in presenza di versamento endotimpanico risulterà piatto o con picco sui valori negativi. I microorganismi più frequentemente coinvolti nel processo infiammatorio acuto sono Haemophilus Influenzae, Streptococco Pneumoniae, Streptococco beta emolitico di gruppo A, Moraxella Catarrhalis, tutti in genere sensibili alle 126 | Labiopalatoschisi, chirurgia secondaria

penicilline come l’amoxicillina, o eventualmente all’associazione di amoxicillina e acido clavulanico. Va anche ricordato che i lavaggi nasali con soluzione salina aiutano la detersione del rinofaringe riducendo il numero di infezioni a livello dell’orecchio medio.

Trattamento Il bambino affetto da ipoacusia trasmissiva può essere trattato in maniera con- servativa, o con posizionamento di protesi acustiche, o ancora con l’impiego di drenaggi trans-timpanici. Va valutata innanzitutto l’entità dell’ipoacusia, poiché livelli fino a 30-40 dB in un bambino che non presenta altre problematiche di apprendimento possono es- sere tollerati e ben gestiti con semplici misure ambientali (come ad esempio farlo sedere nei primi banchi). Amplificare il suono attraverso apparecchi acustici è il metodo più efficace e meno invasivo per la risoluzione della problematica, anche se non è semplice la gestione degli gli apparecchi acustici. Altra opzione è quella di agire direttamente sul versamento timpanico attraver- so il posizionamento di un drenaggio transtimpanico che permette di eliminare il liquido del versamento e riportare l’orecchio medio a funzionare correttamen- te, alla giusta impedenza. Purtroppo questa procedura non è scevra da rischi, in quanto in bambini così piccoli i drenaggi vanno posizionati in anestesia generale e può essere necessario posizionarli più volte sia perché possono dilocarsi sia per- ché i drenaggi hanno una vita media di circa 6 mesi. Va inoltre ricordato che le procedure sulla membrana timpanica se numerose spesso lasciano cicatrici retra- enti aumentando il rischio di colesteatoma. I bambini che subiscono l’intervento chirurgico o che utilizzano le protesi acu- stiche dovranno essere visitati ogni 6 mesi circa, per valutare l’andamento clinico. Solitamente dopo i 7 anni di età vi è un miglioramento dell’ipoacusia trasmissiva, in quanto vi è una fisiologica maturazione della funzione tubarica. Bisogna anche ricordare che che nel bambino affetto da schisi del palato e con di otite media effusiva l’intervento di adenoidectomia, in evidenza di ipertrofia adenoidea, va assolutamente evitato poiché quasi certamente porta ad una pro- blematica di insufficienza del velo-palatina. In conclusione, il bambino affetto da palatoschisi spesso presenta un’otite media effusiva persistente che causa un’ipoacusia trasmissiva di entità varia- bile. Il versamento timpanico è legato ad un difetto di apertura della tuba di Eustachio, correlato alla malformazione stessa e non sempre si risolve con il solo intervento di riparazione del difetto palatino. Nella gestione del bambino Labiopalatoschisi, chirurgia secondaria | 127 affetto da ipoacusia trasmissiva le opzioni terapeutiche sono essenzialmente due.

Chirurgia secondaria delle deformità nasali

Le caratteristiche estetiche del naso sono determinate dallo scheletro osteo-carti- lagineo, rivestito dai tessuti molli. La porzione ossea è costituita dalle ossa nasali, pari e simmetriche, che si articolano con l’osso frontale superiormente e con i processi frontali del mascellare lateralmente, caudalmente prendono contatto con le cartilagini triangolari. Le 2 cartilagini triangolari, anche queste pari e simmetri- che, si articolano medialmente con la cartilagine quadrangolare, unica e mediana, che fa parte del setto nasale. Più inferiormente si trovano le cartilagini alari, pari e simmetriche, formate da una crus laterale e una crus mediale; le crus mediali si giustappongono medialmente a far parte della columella. Il setto nasale è formato anteriormente dalla cartilagine quadrangolare che si articola postero-inferiomente con il vomere e postero-superiormente con la la- mina perpendicolare dell’etmoide.

Anatomia nella malformazione Nella schisi monolaterale si evidenzia una punta nasale deviata dal lato opposto della schisi, una cupola narinale retroposta dal lato della schisi, un angolo ottuso tra le crura mediale e laterale, un assenza del solco naso-genieno con un apparen- te o reale difetto osseo al di sotto dell’inserzione del tessuto fibro-adiposo alare sulla guancia; la narice interessata appare più ampia e retroposta rispetto alla con- trolaterale. La columella appare più corta dal lato con la schisi e la crus mediale della cartilagine alare è retro posta (figura 14, 15).

Figura 14 Deformità nasale nella schisi monolaterale. 128 | Labiopalatoschisi, chirurgia secondaria

Figura 15 Deformità nasale nella schisi monolaterale.

Nella schisi bilaterale la columella è molto corta e le crura mediali sono mal- posizionate nel prolabio. Si evidenzia un’insufficiente proiezione della punta con un aspetto bifido. L’asse delle narici è più orizzontale che verticale. All’interno del naso vi è un difetto del tessuto vestibolare con un appiattimento del pavimento. Il principale problema è dato dalla lunghezza della columella, che è più corta rispetto al normale, e che viene ulteriormente accorciata durante l’intervento di riparazione primaria. Il setto nasale, sia nelle malformazioni monolaterali, che in quelle bilaterali, appare quasi sempre deviato; l’entità della deviazione è differente da caso a caso e può portare ad un’ostruzione respiratoria monolaterale.

Obiettivo chirurgico La chirurgia secondaria delle deformità nasali dovrebbe essere minima a fronte di un corretto approccio nel trattamento primario, tuttavia deformità ed inestetismi possono essere inevitabili. L’obiettivo è uguale per le malformazioni monolaterali e bilaterali: un naso che permetta una corretta respirazione, simmetrico, all’apparenza normale, in armo- nia con il resto della faccia e compatibile con l’etnia del paziente. Normalmente le problematiche legate alla malformazione monolaterale sono un’eversione della cartilagine alare che può essere più corta, una proiezione ina- deguata della punta, “webbing” tra ala e columella, una columella corta e la de- viazione del setto nasale. Nelle malformazione bilaterali, invece, la problematica principale è la columella corta con abbassamento della punta ed eversione delle cartilagini alari. Labiopalatoschisi, chirurgia secondaria | 129

Non vi è un consenso generale sull’epoca in cui eseguire la correzione del de- ficit della columella; nei casi più complessi, il trattamento in epoca prescolare è sicuramente più opportuno. L’allungamento precoce della columella consente una miglior crescita dei tessuti. La chirurgia secondaria del naso non andrebbe però eseguita prima dell’ado- lescenza, visto che lo sviluppo e la crescita del naso può continuare fino ai 14-15 anni per i maschi e fino ai 13-14 anni per le femmine. In genere è opportuno ese- guire la rinoplastica non prima dei 16 anni per le donne e 17 anni per gli uomini. La riparazione funzionale del setto nasale, per permettere una corretta respi- razione, va effettuata possibilmente in un unico tempo assieme alla correzione estetica del naso, quando indicata, eseguendo quindi una rinosettoplastica.

Settoplastica La settoplastica ha lo scopo di rimettere in asse il setto nasale, che vista la sua deviazione, non permette o riduce la possibilità di respirare da una delle due na- rici. Questo crea ovviamente un notevole disturbo per il paziente, che soprattutto in fase di iperventilazione, dovrà respirare con l’ausilio della bocca, bypassando quindi il filtro nasale. I tempi principali dell’intervento prevedono: incisione monolaterale del setto nasale fino ad individuare il pericondrio della cartilagine quadrangolare; scolla- mento di tunnel subpericondrali e subperiostei bilateralmente; resezione della porzione di setto deviata; rimodellamento e riposizionamento di parte della por- zione rimossa; sutura dell’incisione; posizionamento di placchette ai due lati del setto da tenere in sede per 10-15 giorni con un punto trasfisso; tamponamento nasale da mantenere per 1-2 giorni.

Rinoplastica La rinoplastica ha lo scopo di perfezionare l’estetica del naso, in questo caso si parla di riparazione secondaria poiché normalmente durante gli interventi di correzione al labbro si eseguono correzioni primarie a livello nasale. In questo genere di pazienti è consigliato eseguire una rinoplastica open, piuttosto che una tecnica close che rischia spesso di lasciar indietro aree di deformità non corrette. Per quanto riguarda le schisi monolaterali l’incisione deve percorrere il margine inferiore delle cartilagini alari fino ad unirsi a livello del margine columellare, dal lato della schisi l’incisione si continua nel prolabio. Con questa incisione si può quindi sollevare la punta fino al nasion ed esporre al meglio tutta la strut- tura osteo-cartilaginea nasale e le sue deformità. È necessario quindi liberare la cartilagine alare del lato con la schisi dal vestibolo nasale in modo da rimo- 130 | Labiopalatoschisi, chirurgia secondaria

dellare la porzione laterale di tale cartilagine per poter dare simmetria alle due narici. Viene quindi rovesciata la cute e perfezionata la sutura. Altra tecnica che si può utilizzare nella malformazione monolaterale è quella descritta da Dibbel che prevede un unico approccio utilizzando un’incisione esterna con riduzione della cute della punta dal lato della schisi, cambiando l’asse lungo della narice dal lato della schisi. Essenzialmente la narice dal lato della schisi viene liberata com- pletamente e ruotata nella nuova posizione e una mezzaluna di cute della narice viene rimossa. La rotazione della narice porta la cartilagine alare nella sua posi- zione normale, allungando la columella dal lato della schisi e creando quindi una punta simmetrica. Può essere inoltre necessario rimuovere una piccola porzione di tessuto inferiormente a livello del vermiglio, con eventuale revisione della cicatrice labiale. Questo tipo di tecnica può essere combinata con una tecnica open per permettere una migliore esposizione delle strutture osteo-cartilaginee (figura 16).

Figura 16 Rinoplastica con allungamento della columella. Labiopalatoschisi, chirurgia secondaria | 131

L’approccio chirurgico nelle malformazioni bilaterali è differente, poiché il pro- blema principale in questo tipo di malformazione è la columella corta, e spesso è già stata ulteriormente accorciata durante la riparazione del labbro; inoltre la punta del naso è malposizionata in seguito alla separazione e al posizionamento verso il basso del “dome” delle alari. Varie sono le tecniche utilizzate: quella di Cronin può essere utilizzata quando la columella non è troppo corta, l’arco di Cu- pido normale e quando non è necessaria una revisione della cicatrice del labbro. L’incisione si estende dal solco tra cartilagini alari e guancia, passa inferiormente alle narici e si unisce medialmente a livello della columella con una V rovesciata. Si libera quindi l’intera base del naso che a questo punto permette la rotazione e l’avanzamento delle narici. Questo consente un allungamento della columella e un riposizionamento della punta, utilizzando eventualmente un innesto di carti- lagine autologa per dare un supporto addizionale.

Allungamento della columella Una tecnica impiegata è quella descritta da Millard, utilizzata quando il prolabio è piuttosto ampio, quando è necessaria una revisione della cicatrice al labbro e quando la cute del pavimento nasale è insufficiente. L’incisione ripercorre le cica- trici del labbro e si estende lungo le basi delle narici, formando due “forked flaps” (lembo a forchetta) a base superiore. Questo permette la revisione delle cicatrici del labbro, il miglioramento del filtro e il riposizionamento delle cartilagini alari. Spesso questa procedura necessità di una revisione a distanza di tempo. In alternativa la tecnica V-Y, altra procedura utilizzabile nelle schisi bilatera- li, permette un allungamento della columella e un avanzamento del prolabio. Si eseguono delle incisioni che ripercorrono le cicatrici labiali e che vengono estese lungo il margine delle cartilagini alari e lungo la base del naso. Questo permette uno scorrimento dell’apice della V, che fa si che la columella si allunghi, e la sutura ad Y. Se è necessario un ulteriore allungamento della columella si può associare la tecnica di Abbe, che prevede il confezionamento di un lembo peduncolato del labbro inferiore per colmare il difetto del labbro superiore; il peduncolo viene poi reciso circa 2-3 settimane dopo l’intervento (figura 1). 132 | Labiopalatoschisi, chirurgia secondaria

Bibliografia

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Frenulo linguale corto

Generalità Dal punto di vista anatomico il frenulo linguale è costituito da una sottile plica mucosa rafforzata al suo interno da una componente fibrosa talvolta anche mu- scolare; posto sulla linea mediana si inserisce tra il pavimento della bocca e la faccia inferiore della lingua. L’incidenza varia dal 4 al 5‰ dei neonati e si presenta abitualmente con un difetto di protrusione della punta della lingua che supera solo di qualche millimetro la linea degli incisivi. La brevità del frenulo, definita anchiloglossia, può comportare disturbi funzio- nali della suzione e della deglutizione e, successivamente, dell’articolazione lin- guaggio (difficoltà nel pronunciare le fricative sibilanti ed i suoni linguali).

Diagnosi Le anomalie del frenulo linguale, possono essere classificate in quattro gradi: • 0, non si osserva presenza di frenulo; • 1, il frenulo va dalla caruncola sottolinguale alla porzione più bassa della lingua; • 2, il frenulo va dalla caruncola sottolinguale a metà della distanza tra il piano delle labbra ed il piano della lingua; • 3, il frenulo va dal margine alveolare della mandibola al rafe mediano della lingua, che risulta ancorata completamente al pavimento buccale.

Nei casi di severità, la brevità del frenulo può determinare difetti occlusionali: • linguoversione dei denti incisivi inferiori; • rotazioni dei denti sul proprio asse; 134 | Malformazioni del cavo orale

• beanze anteriori, che provocano l’impossibilità di chiudere completamente la bocca; • diastemi interincisivi (ampi spazi tra i denti incisivi centrali).

A volte interviene un anomalo sviluppo della lingua ed allora il frenulo appare corto e teso per uno sviluppo alterato del muscolo genioglosso. La diagnosi di frenulo linguale breve può essere formulata in base ai seguenti criteri: • impossibilità di toccare il palato con la punta della lingua a bocca aperta; • bifidità della lingua o presenza di un solco mediano in protrusione (“lingua a cuore”); • riduzione dello spazio sublinguale; • curvatura della parte intermedia della lingua con impossibilità di fuoriuscita della lingua dalla bocca.

Trattamento L’intervento può essere di frenulotomia oppure di frenulectomia. In entrambi i casi l’intervento è relativamente semplice. Per quanto riguarda l’età indicata per il trattamento questa è in relazione alla gravità del quadro e alla tipologia del disturbo. Nei neonati con difficoltà alla suzione è preferibile intervenire precocemente per permettere una corretta alimentazione al seno materno; l’assenza di termina- zioni nervose e di strutture vascolari rende la manovra di frenulolisi eseguibile senza anestesia risolvendo, nella maggior parte dei casi, definitivamente il pro- blema. Nel caso di bambini più grandi è invece necessario eseguire l’intervento in anestesia generale. La procedura avviene tenendo sollevato il corpo linguale con l’ausilio di una sonda scanalata di Nelaton (figura 1A) oppure con il secondo ed il terzo dito della mano sinistra dell’operatore; con forbice retta si pratica una incisione netta del frenulo nella sua porzione centrale (figura 1B). In pazienti più grandi è utile valutare la vascolarizzazione nonché la corpo- sità della struttura (figura 2) in quanto potrebbero insorgere piccole emorra- gie, complicanza cui è possibile ovviare utilizzando la diatermocoagulazione (figura 3). Nei frenuli carnosi e molto brevi può essere necessario eseguire una plastica a Z sul frenulo oppure una incisione dello stesso in senso perpendicolare al suo asse maggiore con successiva sutura ortogonale all’incisione. 397

Capitolo 4

397 Malformazioni del cavo orale

Capitolo 4 Malformazioni del cavo orale

Malformazioni del cavo orale | 135

145 A B 397

Capitolo 4 Malformazioni del cavo orale

Foto 1. Frenulo linguale breve e lin- Foto 2. Sonda di Nelaton per frenu- gua a cuore lolisi

Foto 1. Frenulo linguale breve eFig. lin- 1 A. SondaFiguraFoto scanalata 2. 1 A)Sonda Posizionamento di di Nelaton Nelaton di sondaper frenu- di Nelaton. B.B) Linea di di incisione. incisione gua a cuore lolisi

Fig. 2 A. Anchiloglossia preopertaoria B. Mobilità post-operatoria

FotoFigura 1. 2 Frenulo linguale linguale breve breve e lin- FotoFigura Foto3. 3 FrenulolisiFrenulo 2. Sonda linguale di Nelaton carnoso per -frenu- gua a cuore lolisi In pazientie lingua più a cuore.grandi è utile valutare la vascolarizzazioneDTCcon diatermocoagulazione. nonché la corposità della struttura (Foto 1, 2, 3 inserto a colori) in quanto potrebbero Foto 3. Frenulo linguale carnosoinsorgere - piccole emorragie, complicanza cui è possibile ovviare eccellen- DTC temente utilizzandoFrenulo labialela diatermocoagulazione superiore breve ed eventualmente qualche punto di sutura con fi lo riassorbibile. Nei frenuli carnosi e molto brevi può essere necessario eseguire una Generalità Plastica a Z sul frenulo oppure una incisione dello stesso in senso perpendi- colare al suoSono asse stati maggiore presi in con considerazione successiva suturanumerosi ortogonale criteri per all’incisione. definire o classificare il Nel casofrenulo di bambini labiale superiorepiù grandi breve, è necessario come il tipo eseguire di inserzione, l’intervento l’ampiezza in del frenulo, anestesia generale.la sua azione meccanica sul margine gengivale. Tuttavia, a tutt’oggi, non è stata ancora raggiunta un’uniformità di valutazione. Alcuni Autori definiscono il frenulo labiale superiore “anormale” quando de- termina, alla manovra di sollevamento del labbro superiore, l’ischemizzazione della papilla palatina e dei margini gengivali mesiali degli incisivi centrali supe- riori. Foto 3. Frenulo linguale carnoso - DTC 136 | Malformazioni del cavo orale

Per altri la situazione “anomala” più frequente è quella relativa ad un frenulo interincisivo ad inserzione papillare o transpapillare, teso e fibroso, con ampia inserzione superiore triangolare (frenulo tecto-labiale). Questa condizione viene considerata un vero e proprio fenomeno disontogenetico di persistenza post-na147- tale del frenulo fetale. La frenulectomia, eseguibile con DTC oppure con lama fredda, pre- Il frenulo che si estende dalla cresta alveolare al labbro superiore può determi- vede una anestesia locale per infi ltrazione oppure l’anestesia generale e nare la separazione degli incisivi, causando un diastema interincisivo. la sezione del frenulo, curando di asportarne la parte fi brosa aderente al La classificazione, proposta da Kotlow in base all’aspetto e al livello di inserzio- periostio. La sutura, in piccoli punti staccati, sarà eseguita in materiale ne prevede: riassorbibile, oppure, nel caso di DTC, la guarigione sarà affi data a sponta- nea cicatrizzazione• grado 1, minima per inserzione seconda e intenzione.minima componente mucosa alveolare; • grado 2, inserzione nel tessuto gengivale, alla giunzione col bordo libero; • grado 3, inserzione al davanti della papilla; • grado 4, inserzione alla papilla, raggiungendo il palato duro.

Trattamento Il trattamento proposto per questa patologia è di tipo chirurgico; viene eseguito per consentire correzioni protesiche ortodontiche o per eliminare un diastema in- terincisivo persistente, quando sia responsabile di un disagio estetico significativo. La frenulectomia, eseguibile con diatermocoagulazione oppure con lama fred- da, prevede l’anestesia locale per infiltrazione oppure l’anestesia generale; la se- zione del frenulo, asportandone la parte fibrosa aderente al periostio può essere seguita da una sutura con eventuale plastica a Z (figura 4, 5), oppure, nel caso di DTC, la guarigione sarà affidata a spontanea cicatrizzazione per seconda inten- Fig. zione.4 Plastica a Z per correzione di Frenulo labiale superiore

Fig. Figura5 Incisione 4 Incisione a lama a lama fredda fredda e e suturasutura di di Frenulo Frenulo labiale labiale superiore. superiore 147

La frenulectomia, eseguibile con DTC oppure con lama fredda, pre- vede una anestesia locale per infi ltrazione oppure l’anestesia generale e la sezione del frenulo, curando di asportarne la parte fi brosa aderente al periostio. La sutura, in piccoli punti staccati, sarà eseguita in materiale riassorbibile, oppure, nel caso di DTC, la guarigione sarà affi data a sponta- nea cicatrizzazione per seconda intenzione. Malformazioni del cavo orale | 137

Figura 5 Plastica a Z per correzione di frenulo labiale superiore. Fig. 4 Plastica a Z per correzione di Frenulo labiale superiore Frenuli laterali del labbro superiore

Generalità e trattamento Tali condizioni, isolate o associate ad altri frenuli orali o a malformazioni più complesse come le labiopalatoschisi, vengono corrette per consentire l’applicazio- ne di protesi ortodontiche (figura 6). Le tecniche chirurgiche da adottare sono la plastica a Z (con angoli preferibil- mente di 60°) oppure l’incisione perpendicolare all’asse maggiore del frenulo e sutura ortogonale al senso della incisione (figura 7). 146 Fig. 5 Incisione a lama fredda e sutura di Frenulo labiale superiore B. Frenuli laterali del cavo orale

Tali condizioni, isolate o associate ad altri frenuli orali o a malforma- zioni più complesse come le labiopalatoschisi, vengono corrette per con- sentire l’applicazione di protesi ortodontiche. Le tecniche chirurgiche da adottare sono le medesime riferite per il frenulo linguale: plastica a Z (con angoli preferibilmente di 60°) oppure incisione perpendicolare all’asse Figuramaggiore 6 Frenulo del labialefrenulo superiore e sutura in paziente ortogonale al senso della incisione, in punti riassorbibili,con labiopalatoschisi. Fig. 3.

Fig.Figura 3 Correzione 7 Correzione di di Frenulofrenuli laterali. laterale

C. Frenulo labiale superiore

Sono stati presi in considerazione numerosi criteri per defi nire o clas- sifi care il frenulo labiale superiore breve, come il tipo di inserzione, l’am- piezza del frenulo, la sua azione meccanica sul margine gengivale. Tuttavia, a tutt’oggi, non è stata ancora raggiunta un’uniformità di valutazione. Alcuni autori defi niscono il frenulo labiale superiore “anormale” quan- do determina, alla manovra di sollevamento del labbro superiore, l’ische- mizzazione della papilla palatina e dei margini gengivali mesiali degli inci- sivi centrali superiori. Per altri la situazione “anomala” più frequente è quella relativa ad un frenulo interincisivo ad inserzione papillare o transpapillare, teso e fi broso, con ampia inserzione superiore triangolare (frenulo tecto-labiale).Questa condizione viene considerata un vero e proprio fenomeno disontogenetico di persistenza post-natale del frenulo fetale. Il trattamento proposto per questa patologia è di tipo chirurgico; viene eseguito per consentire correzioni protesiche ortodontiche o per eliminare un diastema interincisivo persistente, quando sia responsabile di un disagio estetico signifi cativo. 138 | Malformazioni del cavo orale

Mucocele e ranula

Definizione Rappresentano malformazioni delle ghiandole salivari. I mucoceli originano dal- la ghiandole salivari minori sono in genere di piccole dimensioni e si trovano sulla superficie mucosa della cavità orale (figura 8). La ranula è localizzata esclusivamente nel pavimento della bocca e può esten- dersi attraverso il muscolo miloioideo nello spazio sub mandibolare (figura 9).

Figura 8 Mucocele del labbro inferiore.

Figura 9 Ranula del pavimento della bocca.

Eziologia I mucoceli sono lesioni abbastanza comuni, dovute al mancato sviluppo dei dotti escretori di ghiandole salivari minori e derivano dallo stravaso di mucina nel tes- Malformazioni del cavo orale | 139 suto mucoso circostante con formazione di tessuto di granulazione. Mancando di un vero strato epiteliale andrebbero classificati come pseudocisti. Anche la ranula è una pseudo cisti che si forma dalla ghiandola sublinguale.

Diagnosi La maggior parte dei mucoceli origina a livello del labbro inferiore (60% circa), in genere con dimensione di 1-2 cm, a superficie liscia e di colorito giallo paglieri- no. Possono essere presenti alla nascita o comparire in seguito come pseudo cisti secondarie a microtraumi. La ranula si presenta come una tumefazione ovale o rotondeggiante, di consisten- za molle che occupa uno dei due lati del pavimento della bocca, il colorito varia dal rosa al blu. Le dimensioni possono variare, se cospicue possono dislocare la lingua e creare difficoltà alla deglutizione e molto raramente alla respirazione. La ranula può estendersi, attraverso il muscolo milo-ioideo, verso il collo nella regione sovra ioidea, in tal caso viene definita “plunging ranula”. A volte la com- ponente intraorale è minima, causando una notevole difficoltà diagnostica. La diagnosi differenziale deve essere fatta con le malformazioni linfatiche, i teratomi, i dermoidi, le cisti del dotto tireoglosso e i coristomi.

Trattamento I mucoceli tendono a rompersi spontaneamente, quelli che si riformano o che diventano sintomatici vanno asportati chirurgicamente. Il trattamento della ranula dipende dalle caratteristiche cliniche. La ranula semplice, che si evidenzia solo sul pavimento della bocca può essere asportata o marsupializzata. La “plunging ranula”, invece, che si presenta come una tumefazione prevalente al collo perché oltrepassa il muscolo miloioideo, va asportata per via cervicale. La completa rimozione della ranula riduce il rischio di recidiva.

Epulide

Definizione L’epulide o tumore di Neumann, è un tumore congenito che origina dalla gengi- va in genere del mascellare ma anche della mandibola, localizzato nella regione degli incisivi e dei canini. È otto volte più frequente nelle femmine rispetto ai maschi. Si tratta quasi sempre di una lesione singola, solo nel 10% dei casi è multipla (figura 10). 140 | Malformazioni del cavo orale

Figura 10 Epulide congenita arcata alveolare superiore.

Istopatologia Il tumore è benigno ed è costituito da grandi cellule eosinofile disposte a cordoni attorno ad uno stroma fibrovascolare. Definito come tumore cellulare granulare gengivale congenito si distingue dagli altri tumori granulari per l’assenza di iper- plasia pseudoepiteliomatosa.

Diagnosi Può essere sessile o parzialmente peduncolato, è ben capsulato, di consistenza morbida, di colorito rosso bluastro;misura in genere qualche centimetro di dia- metro. Molto raramente il tumore ha dimensioni così ampie da determinare dif- ficoltà alla suzione o problemi respiratori.

Terapia È stata descritta la possibilità di una regressione spontanea, tuttavia in genere è indicata l’escissione chirurgica, che deve essere completa, per evitare possibili re- cidive; molta attenzione deve essere posta al rispetto dei germi dentari.

Coristomi

Definizione I coristomi sono lesioni costituite da tessuto maturo con cellule normali che si localizzano in una sede anatomica anomala. Non hanno una crescita autonoma Malformazioni del cavo orale | 141 ma parallela a quella dell’organo in cui si trovano. Differiscono dagli amartomi che sono invece caratterizzati da una crescita anomala e disordinata di cellule normalmente presenti nell’organo dove si formano. Sono lesioni molto rare che vengono inserite tra le anomalie di sviluppo. Tra le forme più comuni di coristoma vi sono la localizzazione di tessuto pan- creatico nel contesto della parete gastrica e di tessuto surrenalico nel rene, nel polmone e nell’ovaio. Nel distretto cervico-facciale le lesioni si localizzano a livello della lingua con residui di tessuto gastrico, sono dovute al malposizionamento di tessuto embrio- nale gastrico o al sequestro di tessuto endodermico dello stomaco verificatosi nella quarta settimana di gestazione. A livello del collo i coristomi sono rappresentati da lesioni con residui general- mente cartilaginei, più raramente gastrici.

Diagnosi e Terapia I coristomi della lingua si possono presentare come cisti asintomatiche o come ulcere sanguinanti, raramente possono determinare disturbi alla deglutizione o difficoltà respiratorie. La completa asportazione chirurgica è la terapia di scelta. I coristomi del collo si presentano come appendici cutanee o come tumefazioni che tendono ad approfondirsi comprimendo le strutture circostanti. Vanno dif- ferenziate dalle cisti del secondo arco branchiale, che però sono localizzate quasi esclusivamente sul margine anteriore dei due terzi inferiori del muscolo sterno- cleidomastoideo. Il trattamento è l’asportazione chirurgica, che deve essere completa per evitare recidive. 142 | Malformazioni del cavo orale

Bibliografia

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5. Cisti, seni e fistole del collo e della faccia

Cisti del dotto tireoglosso

Definizione Si tratta di una cisti che deforma il profilo cervicale anteriore, sulla linea mediana, in corrispondenza dell’osso ioide, di consistenza teso elastica, solidale con i movi- menti linguali durante la deglutizione o la protrusione della lingua stessa.

Embriologia La ghiandola tiroide, prima ghiandola endocrina a formarsi nell’embrione, co- mincia a svilupparsi dall’endoderma alla fine della 4a settimana di gestazione come una piccola massa solida. Si localizza a livello del forame cieco, che rappresenta il punto di unione tra i 2/3 anteriori e il 1/3 posteriore della lingua. La gemma tiroidea discende ventralmente rispetto all’osso ioide e alle cartila- gini laringee, mantenendo la sua connessione col forame cieco attraverso il dotto. Nel suo percorso si porta al di sotto e posteriormente all’osso ioide prima di ridi- scendere anteriormente. Alla fine della 5a settimana si completa lo sviluppo dei due lobi tiroidei, collega- ti dall’istmo ed inizia il processo di atrofizzazione del dotto. La tiroide raggiunge la sua posizione finale alla a7 settimana e di norma il dotto si atrofizza completa- mente tra la 7a e la 10a settimana. Il forame cieco della lingua ed il lobo piramidale della tiroide costituiscono le due estremità del dotto tireoglosso. La porzione centrale del dotto normalmente regredisce o permane con microscopici tubuli di epitelio indifferenziato all’inter- no o in prossimità dell’osso ioide, l’eventuale pervietà in qualsiasi punto del suo tragitto può determinare la formazione di una cisti. Nel 50% degli individui il dotto rimane come proiezione superiore del lobo piramidale. 146 | Cisti, seni e fistole del collo e della faccia

Figura 1 Tragitto del dotto tireoglosso; la cisti può localizzarsi in qualsiasi punto lungo il decorso del dotto.

Epidemiologia La cisti del dotto tireo-glosso rappresentano l’anomalia congenita più comune del collo e costituiscono il 70-75% delle tumefazioni a livello della linea mediana, raramente (1% dei casi) si possono presentare in posizione laterale. Le cisti possono localizzarsi in un qualsiasi punto lungo tutto il decorso del dotto tireoglosso (figura 1). Residui del dotto tireoglosso sono presenti nel 7% della popolazione, di questi solo pochi diventano sintomatici. La quasi totalità si sviluppa nell’infanzia, per lo più si manifesta clinicamente dopo il secondo anno, molto raramente in epoca neonatale e, in particolare, il 50% è riconoscibile entro il decimo anno di vita. Sono tre volte più frequenti delle cisti branchiali. L’incidenza della patologia è egualmente distribuita nei due sessi, al contrario delle patologie tiroidee che hanno una maggiore incidenza nel sesso femminile. È descritta una ricorrenza familiare. Nell’1% dei casi, si può verificare nell’età adulta una trasformazione in carcino- ma papillare.

Istologia Generalmente lo studio istologico delle cisti del dotto tireoglosso dimostra la presenza, nel 60% dei casi, di epitelio respiratorio colonnare cigliato e nel re- stante 40% di epitelio squamoso stratificato; occasionalmente si è riscontrato un epitelio di transizione, cubico o eventualmente epitelio salivare e tiroideo. Cisti, seni e fistole del collo e della faccia | 147

L’epitelio squamoso stratificato si ritrova in prevalenza vicino al forame cieco, mentre invece l’epitelio acinare tiroideo si può ritrovare vicino alla ghiandola. Il tratto che connette la cisti alla base della lingua è comunemente ricoperto da ghiandole a secrezione mucosa. Il tessuto adiacente alla cisti è rappresentato da tessuto fibroso e, in minor parte, da elementi linfoidi. In corso di infiammazione acuta e cronica i tessuti maggiormente rappresentati sono quelli di granulazione e fibroso.

Presentazione clinica e diagnosi Dal punto di vista clinico le cisti del tireoglosso si presentano come masse media- ne del collo, asintomatiche, rotondeggianti e di consistenza teso-elastica. Normal- mente non presentano segni di flogosi anche se la comunicazione con il forame cieco può dare origine a un’infezione da batteri provenienti nel cavo orale. In questi casi la tumefazione diventa di consistenza più dura e la cute sovrastante eritematosa ed edematosa: una cisti infetta può drenare all’esterno spontanea- mente o richiedere un’incisione chirurgica. È opportuno sottolineare che le cisti del dotto tireoglosso non possiedono mai un orifizio primitivo esterno in quanto dal punto di vista embriologico il dotto tireoglosso non raggiunge mai la super- ficie cutanea del collo. Per quanto riguarda la diagnosi differenziale la cisti del dotto tireoglosso risale nel collo durante la deglutizione o con la protrusione della lingua, questo dimo- stra la connessione con l’osso ioide. Grazie a questo segno è possibile differenziare già clinicamente una cisti del dotto tireoglosso da una cisti dermoide in quan- to quest’ultima rimane fissa durante la deglutizione. Nella diagnosi differenzia- le vanno incluse le cisti dermoidi che si localizzano molto spesso nel triangolo sottomentoniero, l’ectopia tiroidea, l’adenoma tiroideo, il carcinoma metastatico della tiroide, il lipoma, le cisti sebacee e le linfadeniti. La diagnosi è basata sull’esame obiettivo, l’età del paziente e la localizzazione della lesione. L’indagine ecografica è indicata, consente di evidenziare la posizione mediana o paramediana della lesione ed il rapporto con l’osso ioide. Essa è inoltre essenzia- le nella diagnostica differenziale nei rari casi di ectopia tiroidea.

Terapia La terapia delle cisti del dotto tireoglosso è chirurgica (figura 2) e prevede la completa escissione della cisti e del tratto associato, includendo il corpo dell’osso ioide. L’indicazione chirurgica è legata alla possibilità di sovrainfezione e alla, seppur bassa, probabilità di trasformazione maligna. L’infezione normalmente 148 | Cisti, seni e fistole del collo e della faccia

origina dal cavo orale attraverso il forame cieco, i patogeni più comuni sono gli Stafilococchi.

Figura 2 Cisti del dotto tireoglosso.

L’indicazione al trattamento chirurgico di elezione è percorribile quando non sono presenti processi infettivi-infiammatori; nei quali il trattamento primario è costituito dalla terapia medica con antibiotici ed eventuale incisione e drenaggio della cavità ascessuale. Nella tecnica classica descritta nel 1929 da Walter Sistrunk, l’incisione cutanea praticata è trasversale, nel rispetto delle linee cutanee; il paziente è supino ed il collo è iperesteso. L’incisione attraversa il muscolo platisma e la fascia cervicale superficiale finché la superficie della cisti non viene esposta, momento in cui ini- zia la dissezione vera e propria. L’emostasi deve essere molto accurata in tutte le fasi dell’intervento impiegando la diatermocoagulazione (DTC) mono e bipolare (figura 3 e 4). Le cisti, generalmente, protrudono attraverso i lembi muscolari dello ster- no-ioideo e sono collegate alla porzione infero-anteriore del corpo dell’osso io- ide. Una volta identificato l’osso ioide, il corpo viene liberato inferiormente dal muscolo sterno-ioideo e superiormente dai muscoli miloioideo e genioioideo e tramite pinza ossivora viene reciso e quindi separato per via smussa dalla mem- brana tiroioidea; la dissezione quindi procede verso il forame cieco per isolare la parte prossimale del dotto. Questa manovra è facilitata dal posizionamento e dal- la pressione di un dito dell’operatore sull’apice della V linguale. Al termine della dissezione, vengono rimossi in blocco unico il dotto tireoglosso, il corpo dell’osso ioide e la cisti. La base del dotto viene legata e recisa a livello del forame cieco. Non è necessario riapprossimare i muscoli e nemmeno l’osso ioide. Il posiziona- mento di un drenaggio è indicato per prevenire la formazione di ematomi o se Cisti, seni e fistole del collo e della faccia | 149 la cisti presenta segni di infezione recente. La ferita viene chiusa con una sutura intradermica o a punti staccati. La complicanza principale della chirurgia della cisti dotto tireo-glosso è la asportazione incompleta con conseguente recidiva; l’incidenza è del 10% che di- venta il 50% nelle cisti che in fase iniziale sono state incise e drenate.

Figura 3 Asportazione cisti dotto tireoglosso secondo Sistrunk.

Figura 4 Asportazione cisti dotto tireoglosso secondo Sistrunk. 150 | Cisti, seni e fistole del collo e della faccia

L’incompleta asportazione può anche essere dovuta a varianti istopatologiche del dotto tireoglosso rappresentate da residui in forma di piccoli dotti multipli che nascono dal dotto principale e che possono non essere visualizzati durante l’intervento di dissezione.

Cisti, seni e fistole branchiali

Embriologia Il sistema branchiale inizia a svilupparsi durante la 4a settimana di gestazione e consiste in una serie di archi, tasche e solchi. Alla fine della a4 settimana si pos- sono identificare 4 paia di archi ben definiti, che vengono numerati in direzione cranio caudale, il 5° e 6° arco sono solo rudimentali. Il fondo degli archi è costi- tuito esternamente da solchi di origine ectodermica, mentre invece sul versante faringeo da tasche di derivazione endodermica; in una prima fase l’endoderma delle tasche e l’ectoderma dei solchi sono in contatto tra loro. Ogni arco bran- chiale contiene una struttura cartilaginea, una componente muscolare, un nervo e un’arteria (figura 5).

Figura 5 Rappresentazione schematica del sistema branchiale. Cisti, seni e fistole del collo e della faccia | 151

Dei 4 solchi branchiali solo la porzione dorsale del primo si mantiene come struttura definitiva, dando origine al condotto uditivo esterno. La prima tasca branchiale, invece, si allunga distalmente originando il recesso tubo timpanico da cui deriva la cavità timpanica e l’antro mastoideo. La seconda tasca branchiale si oblitera quasi totalmente quando si sviluppa la tonsilla palatina, rimanendo come parte della fossa tonsillare. La terza tasca si divide in una porzione dorsale che dà origine alla ghiandola tiroide ed in una ventrale da cui si sviluppa il timo; questi derivati primordiali sono inizialmente connessi alla faringe attraverso il dotto timo-faringeo. Quando questo si atrofizza le ghiandole paratiroidi, che originano dalla porzione superio- re del 4° arco, migrano caudalmente per posizionarsi sulla superficie dorsale della tiroide mentre il timo scende nel mediastino superiore. Al termine del secondo mese di vita embrionale i sistemi branchiali sono com- pletamente scomparsi. Il sistema branchiale dà origine a:

Dal primo arco branchiale • i processi mandibolari e i processi mascellari; • la testa del martello e il processo breve dell’incudine; • i muscoli masticatori, il ventre anteriore del digastrico, il miloioideo, il tenso- re del timpano ed il tensore del velo palatino.

Inoltre dal primo arco si sviluppano i rami mascellare e mandibolare del trigemi- nino e l’arteria mascellare, ramo della carotide esterna.

Dal secondo arco branchiale (ioideo) • la sovrastruttura della staffa, il processo lungo del martello e l’incudine; • il processo stiloideo e le piccole corna dell’osso ioide; • i muscoli mimici facciali, il ventre posteriore del digastrico, lo stilo-ioideo e lo stapedio.

Dal secondo arco branchiale prendono origine il nervo facciale e quando persiste l’arteria stapediale.

Dal terzo arco branchiale • le grandi corna e il corpo dell’osso ioide; • il muscolo stilo-faringeo; 152 | Cisti, seni e fistole del collo e della faccia

• il nervo glossofaringeo; • la carotide interna e comune.

Dal quarto e sesto arco branchiale • le cartilagini della laringe; • il muscolo costrittore del faringe, i muscoli laringei, l’elevatore del velo palati- no e i muscoli striati dell’esofago; • il nervo laringeo superiore; il laringeo inferiore origina dal 6° arco; • l’arteria succlavia e l’arco dell’aorta.

Dal quinto arco branchiale • il corpo ultimo-branchiale, costituito da cellule che migreranno verso la tiroi- de divenendo le cellule C o parafollicolari (figura 6).

Figura 6 Strutture che originano dal sistema delle tasche branchiali.

Definizione Le anomalie branchiali risultano dall’anomala persistenza dei residui dell’appara- to branchiale. Queste anomalie possono presentarsi come cisti, seni e fistole. Le cisti sono formazioni rivestite da epitelio prive di comunicazione con l’esterno; i seni sono strutture a fondo cieco provviste di una comunicazione o con la cute, in caso persistenza di un solco branchiale, o con il faringe in caso di persistenza di una tasca branchiale; le fistole, invece, sono strutture che mettono in comunica- zione la cute con il faringe e sono dovute alla persistenza sia di un solco che della sua corrispettiva tasca. Cisti, seni e fistole del collo e della faccia | 153

Cisti, seni e fistole laterali del collo che derivano dagli apparati branchiali, come loro vestigia più o meno rudimentali, rappresentano il 30% delle lesioni congenite del collo. Seni e fistole sono più comuni nella prima e seconda infanzia, mentre le cisti sono più frequenti nella terza infanzia e nell’adolescenza. Residui del primo e del secondo apparato branchiale sono i più tipici, con una rapporto di 6:1 per le anomalie del secondo rispetto a quelle del primo. Anomalie del terzo e del quarto apparato branchiale sono relativamente meno comuni, con una incidenza rispettivamente del 2-8% e del 1-4% nell’ambito delle malforma- zioni branchiali.

Istologia Dal punto di vista istologico la cisti branchiale è rivestita da epitelio squamoso strati- ficato, oppure da epitelio respiratorio (colonnare ciliato pseudostratificato) o ancora da epitelio squamoso e respiratorio. Spesso queste cisti contengono tessuto linfatico e occasionalmente ghiandole sebacee e tessuto salivare. Solitamente il contenuto è rappresentato da liquido giallo paglierino contenente cristalli di colesterolo. Il rivestimento interno del tragitto fistoloso e dei seni è costituito da epitelio squamoso o da epitelio colonnare pseudostratificato a seconda che esso derivi rispettivamente dal solco (ectoderma) o dalla tasca branchiale (endoderma). È presente spesso tessuto linfatico dovuto al fatto che l’apertura faringea della fistola è posta nei pressi della tonsilla palatina.

Presentazione clinica e diagnosi Anomalie del primo arco branchiale. Le anomalie del primo arco branchiale ven- gono classificate su base embriologica. Le anomalie di I tipo sono duplicazioni della porzione membranosa del condotto uditivo esterno, di origine ectodermica e prive di cartilagine; mentre le anomalie di II tipo sono rappresentate da duplicazione sia della porzione membranosa che cartilaginea del condotto uditivo esterno, di origi- ne sia ectodermica che mesodermica e contengono sia cute che cartilagine. Anatomicamente le anomalie del I tipo decorrono parallele al condotto uditi- vo attraversando il tessuto parotideo superiormente al tronco del nervo facciale, sono di origine ectodermica. Le lesioni del II tipo, invece, sono localizzate all’in- terno della ghiandola parotide con un decorso laterale o mediale al nervo facciale e sono di derivazione endomesodermica. Queste anomalie rappresentano dall’8% al 10% del totale, non sono state no- tate differenze di genere se non per le cisti che sembrano più frequenti nel sesso femminile. I seni e le fistole privilegiano il lato sinistro. Le cisti sono due volte più frequenti di seni e fistole. 154 | Cisti, seni e fistole del collo e della faccia

La localizzazione delle cisti e del tratto esterno dei seni è variabile, trovando- si in regione preauricolare o nella porzione superiore del collo (anteriormente allo sternocleidomastoideo). Il tratto interno dei seni e delle fistole termina in un qualsiasi punto del condotto uditivo, più frequentemente a livello della giunzione osteo-cartilaginea antero-inferiore. Si presentano come tumefazioni o suppurazioni, preauricolari o a livello del condotto uditivo, con membrana timpanica indenne. Tipica è anche la presenta- zione come tumefazione a livello del polo inferiore della parotide. I residui del primo solco branchiale giacciono lungo una linea immaginaria che si traccia dal condotto uditivo esterno verso il punto medio sottostante l’an- golo mandibolare. La diagnosi differenziale comprende le linfoadeniti, le cisti dermoidi, l’igroma cistico, il lipoma, il neurofibroma, l’emangioma, la sarcoidosi, le masse metastati- che, il linfoma ed il tumore parotideo primario.

Anomalie del secondo arco branchiale. Sono le anomalie più frequenti, rap- presentano dal 67% al 93% di tutte le anomalie branchiali. I residui del secondo solco branchiale si trovano in un’area delimitata da una linea che dalla fossa tonsillare scende al terzo inferiore del bordo anteriore del muscolo sternoclei- domastoideo. La fistola inizia con un orifizio esterno situato nella porzione medio-bassa del collo al davanti dello sternocleidomastoideo, perfora il platisma, decorre supe- riormente lungo l’asse carotideo fino al livello dello ioide dove gira medialmente passando sopra il nervo ipoglosso e al di sotto del ventre posteriore del digastri- co, quindi decorre tra carotide esterna e interna e superiormente al nervo glos- sofaringeo, successivamente scorre profondamente al legamento stilo-ioideo per terminare a livello della fossa tonsillare. Le fistole hanno un piccolo orifizio sul bordo anteriore del muscolo sternocleidomastoideo, da cui in genere gemono piccole gocce di fluido chiaro. L’anomalia può essere mono o bilaterale. L’area interessata dall’orifizio può presentare segni di flogosi, anche se tale probabilità è più frequente nel bambino più grande. Possono diventare evidenti durante un episodio di infezione delle alte vie aeree. La cisti può trovarsi in qualsiasi punto lungo il decorso descritto in preceden- za, anche se più frequentemente si riscontra lateralmente alla giugulare interna a livello della biforcazione carotidea. Le cisti non hanno predilezione di genere o di lato e hanno un’incidenza 3 volte maggiore rispetto ai seni e alle fistole. Le lesioni bilaterali rappresentano il 2% dei casi. Le cisti sono tumefazioni di volume variabile, liscie, non dolenti, mobili rispetto ai tessuti circostanti e di consistenza Cisti, seni e fistole del collo e della faccia | 155 teso-elastica, sono localizzate al di sotto dell’angolo della mandibola lungo il bor- do anteriore del muscolo sternocleidomastoideo. La sintomatologia diviene più evidente in seguito ad infiammazione della cisti che può provocare dolore spontaneo, aumento sia del volume che della tempera- tura locale ed eventuale fistolizzazione cutanea. Se non si presentano fenomeni secretivi, la fistola può rimanere per molto tempo asintomatica. La palpazione fa apprezzare un cordone più o meno consistente e profondo, normalmente non dolente.

Anomalie del terzo e quarto arco branchiale. Le anomalie della terza e quarta tasca sono le meno comuni tra le anomalie branchiali, con una incidenza rispet- tivamente dal 2 all’8% e dall’1 al 4%. Le anomalie della III tasca branchiale decorrono profondamente alle strutture derivanti dal III arco e superficialmente a quelle del IV arco, originano a livello del seno piriforme, perforando la membrana tiro-ioidea, passando cranialmente al nervo laringeo superiore; scorrono poi al di sopra del nervo ipoglosso e profon- damente al nervo glossofaringeo ed alla carotide interna, attraversano il platisma per uscire al davanti dello sternocleidomastoideo. Le anomalie della IV tasca branchiale originano anch’esse a livello del seno pi- riforme, escono dalla laringe a livello dell’articolazione cricotiroidea, passano tra i nervi laringeo superiore e ricorrente, quindi decorrono in maniera differente a seconda che si trovino a destra o a sinistra; a sinistra il tramite scende tra trachea ed esofago fino al mediastino, gira attorno all’arco aortico dal dietro all’avanti, quindi risale al di dietro della carotide comune e interna, passa superiormente al nervo ipoglosso e infine conclude il suo percorso a livello cutaneo al davanti del- lo sternocleidomastoideo. A destra il tragitto scende tra trachea ed esofago fino all’arteria succlavia, gira attorno ad essa dal dietro all’avanti e successivamente segue i grossi vasi come a sinistra. Le malformazioni del III e IV arco branchiale, nella pratica clinica, si presen- tano tutte come lesioni che originano dal pavimento del seno piriforme e che si estendono attraverso i tessuti del collo interessando la porzione superiore della ghiandola tiroide. Per distinguere se si tratta di seno della III o della IV tasca si prende normalmente come repere l’incisura che il nervo laringeo interno forma sul pavimento del seno piriforme: i seni che originano al davanti di questa inci- sura originano dalla III tasca, quelli al di dietro dalla IV tasca. Vengono anche distinti per il loro rapporto con i nervi laringei: se il tragitto del seno decorre inferiormente al laringeo superiore e superiormente al ricorrente si parla di seno derivante dalla IV tasca, mentre invece se il percorso decorre cranialmente al la- 156 | Cisti, seni e fistole del collo e della faccia

ringeo superiore e inferiormente al muscolo costrittore inferiore allora si parla di seno derivante dalla III tasca. Dal punto di vista clinico raramente si trovano fistole vere e proprie, normal- mente sono seni che in seguito a sovrainfezione si aprono a livello cutaneo. Di norma si presentano come tiroiditi suppurative, spesso recidivanti, con conte- stuale tumefazione latero-cervicale, più frequente a sinistra, al davanti dello ster- nocleidomastoideo. Tale situazione si verifica solitamente in concomitanza di in- fezioni delle vie aeree e digestive superiori. La diagnosi non è immediata poiché durante l’episodio acuto né la radiografia standard con pasto radiopaco né la TAC con contrasto riescono ad evidenziare il tragitto del seno, a causa dell’edema dei tessuti del seno stesso e la conseguente obliterazione del lume. Lo studio radiologico va effettuato al termine dell’episo- dio acuto; la migliore definizione della lesione è data dalla RMN con contrasto. L’indagine radiologica dev’essere supportata da una laringoscopia rigida per evi- denziare l’ostio del seno.

Cisti Timiche. Le cisti timiche cervicali rientrano tra le anomalie del III arco branchiale da cui derivano da un punto di vista embriologico. Sono lesioni molto rare, tendono a presentasi con maggior frequenza a sinistra. Sono lesioni di con- sistenza parenchimatosa che si presentano come masse rotondeggiati. La rarità di queste lesioni pone spesso un problema in ambito diagnostico differenziale con neoplasie, adenopatie e altre lesioni degli archi branchiali. Si trovano nelle regioni profonde del collo e possono estendersi fino al mediastino (figura 7).

Figura 7 Residuo timico cervicale, immagine ecografica. Cisti, seni e fistole del collo e della faccia | 157

Trattamento chirurgico Anomalie del primo arco branchiale. L’approccio chirurgico alle cisti della pri- ma tasca branchiale richiede il rispetto dell’adiacente nervo facciale che, con le sue ramificazioni, rappresenta l’insidia maggiore poiché la radice della cisti è in stretta prossimità del condotto uditivo esterno. Può essere quindi necessario un’incisione cervico-mastoido-facciale con dissezione del nervo facciale e re- lativa parotidectomia esofacciale, al fine di assicurare la preservazione del VII nervo cranico. L’iniezione con blu di metilene facilita l’individuazione del tratto fistoloso. Se la lesione raggiunge il condotto uditivo è necessario rimuovere anche parte di cartilagine o di cute del condotto stesso. Molto raramente la fistola può estendersi all’orecchio medio o lungo la tuba di Eustachio al nasofaringe.

Cisti del secondo arco branchiale. La cisti va esposta retraendo il muscolo ster- nocleidomastoideo e la cute. La dissezione è condotta lungo tutta la superficie della cisti, facendo attenzione agli stretti rapporti, lungo la faccia posteriore, con la vena giugulare e l’arteria carotide: generalmente il peduncolo della cisti gia- ce posteriormente alla giugulare, a livello della biforcazione carotidea. Quindi si procede in senso craniale, verso i pilastri tonsillari: a tale livello il peduncolo è legato per transfissione (figura 8).

Figura 8 Asportazione cisti del secondo arco branchiale.

Fistole del secondo arco branchiale. L’intervento prevede un’incisione circolare a livello dell’orifizio fistoloso con dissezione che progredisce, per piani sempre 158 | Cisti, seni e fistole del collo e della faccia

più profondi, in direzione cefalica, rimanendo radente al tramite fistoloso (uti- le l’impiego di agocannula o sonda lacrimale come guida) per evitare lesioni a strutture limitrofe (vena giugulare, biforcazione carotidea, nervo ipoglosso). A seconda dell’età del paziente, della sua conformazione e della lunghezza del col- lo, il tragitto fistoloso, che si conclude a livello del pilastro tonsillare, può essere seguito con un’unica incisione cutanea o con una seconda incisione ausiliaria. In caso di unico accesso, giunti al termine del tragitto fistoloso, questo viene legato per transfissione e sezionato. Quando sia necessario invece ricorrere ad una seconda incisione, questa viene eseguita con direzione parallela alla prima, all’altezza dell’angolo mandibolare. La fistola isolata fino a quel livello viene fatta sottopassare dal primo al secondo accesso e, esteriorizzata al livello più cefalico, è seguita nel suo cambio di direzione (perpendicolare a quello iniziale) verso la loggia tonsillare (figura 9, 10).

Cisti e seni del terzo e quarto arco branchiale. L’accesso chirurgico è quello ti- pico per la chirurgia tiroidea. Va prevista l’indagine endoscopica perioperatoria con incanulamento del tratto fistoloso. Si mobilizza il lobo tiroideo ipsilaterale, si ricercano e si proteggono il nervo laringeo superiore, il nervo ricorrente e le ghiandole paratiroidi. Si ricerca la cisti o la fistola risalendo fino alla membrana cricotiroidea. Le fibre del muscolo co- strittore inferiore della faringe sono separate per via smussa per esporre il recesso piriforme, facendo attenzione alla branca esterna del nervo laringeo superiore. Il tragitto patologico in genere decorre inferiormente, all’esterno del nervo ricor- rente, lungo la trachea, verso il polo superiore della tiroide. Può terminare cieco vicino alla ghiandola tiroidea o penetrare la sua capsula ed il parenchima ghian- dolare, causando possibili flogosi acute trasmesse per contiguità o continuità alla ghiandola stessa. Può essere necessario eseguire una resezione atipica del polo superiore tiroideo o una lobectomia tiroidea, a seconda delle dimensioni e delle caratteristiche della cisti. Sono stati proposti anche altri approcci terapeutici come la cauterizzazione del seno mediante termocoagulazione o acido tricloroacetico; la tecnica non elimina l’intero tratto ma chiude solo l’accesso per poter evitare la sovrainfezione. Dai dati della letteratura è emerso che la chirurgia e l’elettrocauterizzazione sono sovrap- ponibili in termini di efficacia nel prevenire le recidive. Le possibili complicazioni legate alla cauterizzazione sono le transitorie paralisi del nervo laringeo superiore o del ricorrente, da edema post-operatorio. 155 155

- EXERESI DI FISTOLA- DELEXERESI SECONDO DI SOLCO FISTOLA BRANCHIALE DEL SECONDO SOLCO BRANCHIALE

La postura del paziente,La postura del del capo paziente, e la preparazione del capo e della preparazionecampo sono del campo sono analoghe a quelleanaloghe già descritte a quelle in apertura,già descritte con inl’avvertenza apertura, condi esporre l’avvertenza di esporre un’area maggiore,un’area che include maggiore, tutta che la regioneinclude cervicaletutta la regione ipsilaterale cervicale e la ipsilaterale e la regione mandibolareregione fi no mandibolareal mento. fi no al mento. L’intervento iniziaL’intervento con una incisione inizia conellittica, una incisione breve, trasversa, ellittica, breve,secondo trasversa, secondo le linee di Langer,le a linee circondare di Langer, l’orifi a ziocircondare fi stoloso l’orifi e progredisce, zio fi stoloso per e progredisce,piani per piani sempre più profondi,sempre in direzionepiù profondi, cefalica, in direzione rimanendo cefalica, radente rimanendo al tramite radente al tramite fi stoloso (utile incannularlofi stoloso (utile con incannularlosottile agocannula con sottile o sonda agocannula lacrimale) o sondaper lacrimale) per evitare lesioni a evitarestrutture lesioni limitrofe a strutture (vena giugulare, limitrofe (venabiforcazione giugulare, caroti- biforcazione caroti- dea, nervo ipoglosso).dea, nervo ipoglosso). A seconda dell’etàA secondadel paziente, dell’età della del sua paziente, conformazione della sua e conformazionedella lun- e della lun- ghezza del collo,ghezza tutto ildel tragitto collo, fitutto stoloso, il tragitto che si ficonclude stoloso, ache livello si conclude di a livello di pilastro tonsillare,pilastro può essere tonsillare, seguito può con essere un’unica seguito incisione con un’unica cutanea incisione o, cutanea o, viceversa, con unaviceversa, seconda, con ausiliaria. una seconda, In caso ausiliaria. di unico accesso, In caso dila unicogentile accesso, la gentile trazione sul tragittotrazione fi stoloso sul tragittoaiuta a raggiungerefi stoloso aiuta la sedea raggiungere fi nale, così la comesede fi nale, così come può essere di aiutopuò la esserepressione, di aiuto con laun pressione, dito. Giunti con al untermine dito. Giuntidel tragitto, al termine del tragitto, questo viene legatoquesto per transfiviene ssionelegato eper reciso. transfi ssione e reciso. Quando sia necessarioQuando invece sia necessario ricorrere adinvece una secondaricorrere incisione, ad una seconda que- incisione, que- sta viene eseguitasta con viene direzione eseguita parallela con direzione alla prima, parallela all’altezza alla prima, dell’ango- all’altezza dell’ango- lo mandibolare. Lalo fimandibolare. stola isolata fiLa no fi astola quel isolata livello fiviene no a quelfatta livello sottopassare viene fatta sottopassare dal primo al secondodal primo accesso al secondoe, esteriorizzata accesso e,al esteriorizzatalivello più cefalico, al livello è più cefalico, è seguita nel suo cambioseguita di nel direzione suo cambio (perpendicolare diCisti, direzione seni e fistole a (perpendicolare quello del collo iniziale) e della faccia versoa quello | 159 iniziale) verso la loggia tonsillare,la loggia(Fig. 4) tonsillare, (Fig. 4)

Figura 9 Secondo accesso per exeresi radicale di fistola del secondo arco branchiale. Fig. 4. Secondo accessoFig. 4 per. Secondo exeresi accesso radicale per di fiexeresi stola del radicale secondo di solcofi stola branchiale del secondo solco branchiale

Figura 10 Asprtazione fistola secondo arco branchiale. 160 | Cisti, seni e fistole del collo e della faccia

Residui cartilaginei

Residui minori di aspetto e consistenza variabile, possono giacere lungo il bordo anteriore distale del muscolo sternocleidomastoideo, fino alla sua inserzione ster- no-clavicolare. Sono costituiti da masserelle anche di forma irregolare, spigolosa, cartilaginea; e sono collocati nel tessuto sottocutaneo. Sono lesioni ben visibili e ben palpabili e frequentemente sono bilaterali. Rara- mente sono associati brevi tragitti fistolosi o piccole cisti; in tali casi la flogosi può comparire anche con carattere di ricorrenza. La chirurgia rappresenta l’unica condotta terapeutica, l’exeresi viene condotta radicalmente, sia a scopo diagnostico che estetico.

Cisti dermoidi ed epidermoidi

I dermoidi e gli epidermoidi sono degli inclusi ectodermici, i primi contegono ghiandole sebacee, follicoli piliferi, tessuto connettivo e papille dermiche; i se- condi solo epitelio squamoso. Sono di forma cistica, crescono molto lentamente e sono quasi sempre asintomatici.

Cisti dermoidi Definizione. Le cisti dermoidi sono lesioni congenite costituite da derivati ecto- dermici ed in particolare dagli annessi cutanei (ghiandole sebacee, follicoli pilife- ri e ghiandole sudoripare). Si ritiene che siano dovuti ad un intrappolamento di tessuto epiteliale nel momento della fusione degli archi branchiali tra la terza e la quinta settimana di vita embrionale.

Epidemiologia. I dermoidi sono lesioni congenite, ma vengono individuate alla nascita solo nel 40% dei casi. Nel 70% dei casi vengono diagnosticati prima dei 5 anni di vita. Il 6,9% di tutti i dermoidi hanno una localizzazione cervico-facciale. Sono neoplasie cutanee benigne che crescono lentamente nei primi anni dopo- diché rimangono sostanzialmente immutate.

Classificazione, diagnosi, sintomatologia. Sono in genere masserelle dure, non transilluminabili. Si presentano come piccole fossette che secernono materiale se- baceo, possono andare incontro ad un’infezione; la fuoriuscita di elementi piliferi dalla fossetta è caratteristica dei dermoidi nasali. Cisti, seni e fistole del collo e della faccia | 161

Queste lesioni possono essere divise in quattro gruppi: • quelli della regione periorbitale vanno distinti in mediali, abbastanza rari e la- terali, molto più frequenti, che si manifestano nei primi mesi di vita, a livello dell’angolo sopraccigliare. • I dermoidi nasali, dalla glabella alla base della columella, rappresentano il 10% dei dermoidi della faccia e del collo ed assieme a quelli del cuoio capel- luto vanno valutati molto attentamente per la possibilità che possano avere un’estensione intracranica. Sono in genere visibili alla nascita e possono an- dare incontro ad infezioni ricorrenti. • I dermoidi sottomentonieri occupano il pavimento della bocca e si possono estendere nello spazio sovraioideo, rappresentano 1,6% di tutti i dermoidi; se di grosse dimensioni possono alterare deglutizione fonazione e respira- zione. • I dermoidi del collo si presentano come una lesione sottocutanea molle liscia, non dolente, sono localizzati sulla linea mediana anteriore o posteriore così da rendere difficile la diagnosi differenziale preoperatoria con le cisti del dot- to tireoglosso, con le masse tiroidee e con le adenopatie.

Terapia. I dermoidi vanno rimossi, si ritiene infatti anche se molto raramente che possano andare incontro a degenerazione maligna (carcinoma a cellule squamo- se). La lesione più frequente è quella sovra palpebrale, in genere a sinistra. L’asportazione deve essere completa e vanno evitate le rotture durante l’inter- vento per evitare il rischio di recidiva. Bisogna ricordare che sono adesi tenace- mente al periostio sottostante (figura 11).

Epidermoidi Definizione ed embriologia.Sono tumefazioni cistiche apprezzabili a livello cuta- neo o sottocutaneo in genere nelle regioni laterali della faccia e del collo. Derivano come i dermoidi da un difetto di separazione dell’ectoderma dal sot- tostante tubo neurale tra la terza e la quinta settimana di gestazione.

Diagnosi e terapia. Le cisti epidermoidali congenite sono clinicamente indistin- guibili dalle altre lesioni cistiche della faccia e del collo. La diagnosi viene fatta dopo asportazione chirurgica ed esame istologico. Esse sono costituite solo da un epitelio squamoso stratificato, ben differenziato con un accumulo di detriti cellulari cheratinizzati al centro della cisti. 162 | Cisti, seni e fistole del collo e della faccia

Figura 11 Cisti dermoide del capo. Cisti, seni e fistole del collo e della faccia | 163

Teratomi

I teratomi costituiscono un raro gruppo di tumori congeniti, l’incidenza è da 1/40.000 a 1/80.000 nati vivi, rappresentano il 2% di tutti i tumori neonatali e di questi meno del 10% interessa la testa ed il collo. I teratomi contengono tessuti provenienti da tutti e tre i foglietti embrionali (endo, meso ed ectoderma) e sono generalmente benigni. Si sviluppano accanto alle normali strutture anatomiche e possono determi- nare una sintomatologia secondaria da compressione, in particolare i teratomi di grosse dimensioni possono essere associati a prematurità, polidramnios e distress respiratorio e sono potenzialmente fatali. Le strutture ove originano sono la lingua, il nasofaringe, il palato, i seni para- nasali, la mandibola ed il collo.

Diagnosi e terapia La diagnosi ecografica prenatale è essenziale e consente di programmare il parto presso centri dedicati in grado di impiegare se necessaria la procedura “EXIT” (ex utero intrapartum treatment) che consente di mantenere la circo- lazione fetoplacentare fino a quando viene assicurata la pervietà delle vie aeree del neonato. Nella diagnosi differenziale vanno ricordati gli igromi cistici, le cisti branchiali ed il gozzo congenito. La terapia è chirurgica e prevede la completa asportazione del teratoma; le asportazioni parziali portano inevitabilmente alla recidiva. La resezione completa evita il rischio della degenerazione maligna che ha una frequenza molto elevata, superiore al 90%.

Cisti, fistole, seni preauricolari

Queste lesioni derivano da un difetto di fusione completo o incompleto delle pro- minenze di His, che dalla parte dorsale del primo arco branchiale contribuiscono alla formazione dell’orecchio esterno.

Definizione Sono malformazioni congenite caratterizzate da una tumefazione con eventuale presenza di una piccola apertura in regione preauricolare, il più delle volte sono localizzati alla radice superiore dell’elice. Vengono descritte, a seconda delle carat- 164 | Cisti, seni e fistole del collo e della faccia

teristiche cliniche, come fistole o cisti. Sono bilaterali nel 25% dei casi e sono più frequenti a destra (figura 12).

Incidenza Sono malformazioni congenite della regione preauricolare, che hanno un’inci- denza pari allo 0,1-0,9% (in Africa arrivano al 10%, figura 12).

Figura 12 Fistola preauricolare.

Embriologia e malformazioni associate Sono descritte in associazione con alcune sindromi quali la brachio-oto-renale (BOR), la Wanderburg e la “cri du chat”. Possono essere associate a sordità, ma l’incidenza di anomalie dell’orecchio medio ed interno non è significativa.

Caratteristiche cliniche Si presentano in genere come una fossetta, come un piccolo foro od una tumefa- zione localizzati al margine anteriore della porzione ascendente dell’elice, più ra- ramente sul margine postero superiore dell’elice, al davanti del trago o del lobulo. Non presentano mai connessione con il canale uditivo esterno o con le tube di Eustachio, confinano con il pericondrio del canale uditivo esterno. Il canale uditivo va comunque sempre esaminato con molta attenzione per escludere una patologia del primo arco branchiale. Nella maggioranza dei casi sono asintomatiche ma possono presentare delle secrezioni con una sierosità più o meno densa o andare incontro ad infezione, che può drenare spontaneamente all’esterno. Cisti, seni e fistole del collo e della faccia | 165

Trattamento L’asportazione chirurgica è il trattamento di scelta, deve essere completa ricor- dando che possono essere presenti alcune ramificazioni (figura 13). È utile in- serire uno specillo per essere certi di arrivare fino al fondo del seno, ed è molto importante evitare la rottura durante l’asportazione perché aumenta il rischio di recidiva.

Figura 13 Asportazione di fistola preauricolare.

Se le lesioni si presentano con un’infezione in atto è opportuno far precedere la chirurgia da un trattamento antibiotico associato a drenaggio della tumefa- zione, il rischio di recidiva in questi casi è molto elevato e può arrivare al 40% (figura 14).

Figura 14 Asportazione di fistola preauricolare recidiva. 166 | Cisti, seni e fistole del collo e della faccia

Appendici auricolari

Definizione Rappresentano una anomalia dell’orecchio esterno, caratterizzata da presenza di padiglioni auricolari soprannumerari più o meno incompleti e rudimentali. Ven- gono anche chiamate orecchie soprannumerarie o accessorie, trago accessorio e poliotia.

Incidenza e malformazioni associate La malformazione è relativamente comune (1,7 casi ogni 1.000 nati vivi), va ri- cordata l’associazione con la sindrome di Goldenhar e Wildervanck, con le schisi labio-maxillo-palatine e con l’ipoplasia mandibolare.

Diagnosi Sono situate lungo la linea di fusione tra i processi mascellari e mandibolari del primo arco branchiale, possono essere singole o multiple, mono o bilaterali; si presentano come formazioni polipoidi e al di sotto della cute è presente, quasi sempre, un nodulo cartilagineo (figura 15).

Figura 15 Appendici preauricolari.

Trattamento La rimozione è semplice, può essere effettuata nei primi giorni di vita in anestesia locale, soprattutto se la base d’impianto è piccola; va fatta particolare attenzione ad asportare completamente il residuo cartilagineo per non lasciarlo intrappolato nella cicatrice. Cisti, seni e fistole del collo e della faccia | 167

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Introduzione

L’inquadramento delle Anomalie Vascolari, nei decenni scorsi, è stato penalizzato da una molteplicità di classificazioni, che ha indotto di frequente importanti in- certezze operative sul piano clinico, diagnostico e terapeutico. Nella classificazione di J. B. Mulliken del 1982 si distinguevano due principali tipologie: anomalie biologicamente attive (anche dette emangiomi, dove il suffisso -oma era in riferimento al grande tasso mitotico) e anomalie biologicamente inerti (anche dette malformazioni vascolari o MV). Per l’esigenza di differenziare il distretto disembriogenetico interessato, si adot- tava poi lo schema di S. Belov che separava le anomalie vascolari in forme: • tronculari: derivate dagli assi vascolari principali: arteriose, venose, linfatiche (ciascuna evocabile per aplasia, ostruzione o dilatazione); • tronculari artero-venose: superficiali o profonde; • extra-tronculari: derivate dai vasi periferici: arteriose, venose, linfatiche (cia- scuna di tipo infiltrante o circoscritto); • miste: emolinfatiche o arteriose e venose senza fistola.

Nel 1996, per voler raggiungere un’uniformità di linguaggio scientifico, si è ap- provato a livello internazionale (ISSVA, Roma) una nuova classificazione: le ano- malie vascolari venivano distinte in due categorie anatomo-patologiche: • tumori (neoplasie) vascolari; • malformazioni vascolari (MV), da errata embriogenesi. A loro volta, le Mal- formazioni vascolari venivano emodinamicamente differenziate in MV ad alto flusso e MV a basso flusso. Si aggiungevano infine le MV complesse, per diverse combinazioni delle anomalie presenti. 170 | Emangiomi ed anomalie vascolari cervico-facciali

Tuttavia nel 2014, a Melbourne, l’ISSVA rivede la propria precedente classifica- zione, proponendo la seguente distinzione (tabella 1): • tumori vascolari, a tre gradi di aggressività: benigni, borderline, maligni; • malformazioni vascolari, semplici (venose, capillari, linfatiche, artero-venose e fistole artero-venose) o combinate (capillaro-venose, capillaro-linfatiche, venoso-linfatiche, capillaro-linfatico-venose, altre); • malformazioni dei vasi maggiori; • malformazioni vascolari associate ad altre anomalie congenite.

Tabella 1 CLASSIFICAZIONE sec. ISSVA 2014 - versione Melbourne (International Society for the Studies of Vascular Anomalies).

Emangioma Infantile

Emangioma congenito Rapida Involuzione

Non involuzione

Benigni Parziale involuzione

Tufted Angioma

Tumori Vascolari Granuloma Piogenico (Emangioma Capillare Lobulare)

Emangioendotelioma Kaposiforme Borderline Sarcoma di Kaposi

Angiosarcoma Maligni Altri

Malformazioni Capillari Malformazioni Malformazioni Venose vascolari Malformazioni Linfatiche Semplici Malformazioni Artero-venose Fistole artero-venose Malformazioni Capillaro-Venose Malformazioni Capillaro-Linfatiche Malformazioni Malformazioni Linfatico-Venose vascolari Combinate Malformazioni Capillaro-Artero-Venose Malformazioni Capillaro-Linfatico-Artero-Venose Altre combinazioni Malformazioni dei Vasi Maggiori

Malformazioni Vascolari associate ad altre Patologie Emangiomi ed anomalie vascolari cervico-facciali | 171

Tumori vascolari

Emangiomi Infantili Nelle Linee Guida internazionali si raccomanda di distinguere l’Emangioma In- fantile dagli altri tumori vascolari per garantire un approccio terapeutico adegua- to e precoce. Gli emangiomi rappresentano il più frequente tumore benigno dell’infanzia, in quanto interessano dal 3 e fino al 10% dei bambini di razza bianca entro il primo anno di vita. Non esistono dati certi sull’esistenza di un’alterazione embriologica specifica che determini lo sviluppo degli emangiomi; essi, infatti, presentano caratteristi- che di alterazioni di tipo proliferativo piuttosto che disembriogenetico. Ancora sconosciuta l’eziopatogenesi ma la prematurità (fino al 30% dei prema- turi con Peso alla nascita inferiore a 1.500 gr), la razza caucasica, il sesso femmi- nile (rapporto 2,5-4:1 con il sesso maschile), le mutazioni, il ruolo delle cellule staminali totipotenti, la gravidanza tardiva, le anomalie della placenta (causa di ipossia) o lo stato di pre-eclampsia sono considerati i fattori più imputabili. Sono stati individuati anche mediatori con ruolo attivo nella neovasculoge- nesi: VEGF (Vascular Endothelial Growth Factor), il complesso mTor (serina/ treonina Kinasi intracellulare che ha ruolo centrale nel controllo della crescita e proliferazione cellulare), le angiopoietine ANG-1 e ANG-2, la E-selectina e il notch pathway. Gli emangiomi possono presentare sviluppo superficiale, profondo o misto; possono avere distribuzione focale, multifocale, segmentale o miliariforme (alias angiomatosi miliare o eruttiva).

Storia naturale degli Emangiomi Infantili (figura 1) Fase di crescita rapida: avviene nei primi 3-6 mesi nella maggior parte dei casi. Raramente (meno del 5%) continua a proliferare oltre il 9° mese di vita e ciò ac- cade per le forme profonde. Fase di Plateau: fra i 6 e i 18 mesi di vita. La fase attiva di proliferazione è dimo- strata sperimentalmente dall’alta captazione di timidina marcata ([3H] Timidina) ed inoltre un aumento di bFGF (fattore basale di proliferazione dei fibroblasti) è riscontrabile nelle urine dei pazienti affetti da emangiomi in fase proliferativa. Fase di involuzione: quando lo stimolo angiogenetico diminuisce, appaiono sulla superficie dell’emangioma aree grigio-biancastre (chiazze di Herald); conte- stualmente il turgore tissutale diminuisce e la lesione diviene più soffice, molle. Se tuttavia comparisse uno schiarimento molto precoce (primo trimestre) potrebbe 172 | Emangiomi ed anomalie vascolari cervico-facciali

rappresentare un segno indicativo di imminente ulcerazione e richiederà stretto monitoraggio clinico per evitare dolorose complicazioni. Il fenomeno involutivo non è mai sincrono in tutte le aree della stessa lesione, che più spesso presenta aree floride accanto ad aree sclerotiche di involuzione. Questa fase dura alcuni anni: nel 50% dei casi si risolve entro i 5 anni di vita, nel 70% dei casi entro i 7 anni ed in ogni caso nel 90% dei casi la lesione regredisce del tutto o lasciando residuati accettabili dal punto di vista estetico.

Figura 1 Evoluzione naturale degli Emangiomi Infantili (grafico) e chiazze di Herald (foto).

Non esistono fattori predittivi sugli esiti a distanza, anche se la comparsa di se- gni di regressione prima dei 3 anni di vita fa ben sperare per un buon risultato. Gli esiti, più appariscenti per le forme superficiali, sono rappresentati da cute lassa, atrofica, da presenza di teleangectasie o da nodularità fibroadipose. La parte del corpo più spesso coinvolta è la regione testa-collo (40%), con pre- dilezione per le prominenze del volto, seguita dal tronco e dalle estremità. Nel 10% dei casi gli emangiomi si presentano in forma multipla. Gli Emangiomi Infantili superficiali sono lesioni confinate al derma, caratteriz- zate da tipica pigmentazione rossastra o rosso violacea, a “fragola”, di superficie liscia o lobulata ed hanno la caratteristica di stirare e sopraelevare lo strato epi- Emangiomi ed anomalie vascolari cervico-facciali | 173 dermico soprastante; la risoluzione è molto spesso completa, con minimi residua- ti estetici, al termine della fase di involuzione (figura 2).

Figura 2 Emangioma Infantile alla nascita e a tre anni di età: risultato estetico a fine periodo involutivo.

Gli emangiomi superficiali solo nel 2% dei casi sono riconoscibili sul corpo al momento della nascita; più frequentemente si manifestano nei primi giorni di vita o comunque nel giro delle prime settimane. Spesso la prima manifestazione consiste in un “punto rosso”, che viene per lo più interpretato come fugace zona di irritazio- ne, ma che persiste e tende anzi ad espandersi, oppure da un’area impallidita. Gli Emangiomi Infantili profondi, invece, presentano una componente sottocu- tanea; pertanto, di solito, appaiono di colore più scuro, porpora-violaceo o blua- stra. Questa caratteristica colorazione aveva indotto in passato a suggerire la pre- senza di vasi di maggiore calibro, tanto da prendere il nome di angiomi cavernosi. Istologicamente appaiono invece identici alle forme superficiali e la colorazione più scura è dovuta alla posizione più profonda che occupano negli strati cutanei (figura 3).

Figura 3 Emangiomi Infantili profondi. 174 | Emangiomi ed anomalie vascolari cervico-facciali

Gli emangiomi intraparenchimali (es. parotidei), o i viscerali (es. epatici) ap- partengono a questa categoria e pongono spesso seri problemi diagnostici diffe- renziali. In particolare, devono essere sospettati quando gli emangiomi superfi- ciali sono pari o superiori al numero di 5 o quando la distribuzione coinvolge un intero segmento corporeo. Anche se molto raramente, gli Emangiomi Infantili possono determinare complicanze generali anche gravi. Il meccanismo fisiopatologico del danno può essere: • ulcerazione: negli emangiomi superficiali, specie periorifiziali o del volto in zone umide, compaiono sanguinamento, cellulite e dolore difficile da controllare per coinvolgimento e contaminazione delle terminazioni ner- vose. Negli emangiomi del volto, si ha maggiore probabilità di risoluzione incompleta e di deformità residue. Le complicanze estetiche che possono risultare spaziano dalla cicatrice atrofica minore a piccole irregolarità cu- tanee, dalla persistenza di piccoli vasi ectasici, a quadri francamente de- formanti come la presenza di sovrabbondanza di cute residua, atrofica con tessuto fibroadiposo eccedente o cicatrici cheloidee. Questa variabilità ren- de difficile uniformare e standardizzare la gestione clinica. In passato sono stati tentati vari approcci terapeutici più o meno aggressivi, che spesso cau- savano esiti cicatriziali peggiori di quanto la storia naturale dell’angioma avrebbe determinato. Non bisogna quindi dimenticare che i reliquati per quanto potenzialmente sfiguranti si verificano solo in una piccola percen- tuale di pazienti (figura 4);

Figura 4 Emangioma Infantile ulcerato della guancia; risultato dopo terapia con Propranololo per 6 mesi.

• effetto massa: se non riconosciuti, gli emangiomi profondi possono determi- nare ostruzione della via respiratoria o del tratto digestivo o ancora ostru- Emangiomi ed anomalie vascolari cervico-facciali | 175

zione del canale uditivo; in caso di ostacolo dell’asse visivo, per emangiomi orbitali o periorbitali, si può determinare ambliopia permanente o presbiopia con percentuali da 40 a 80% (figura 5);

Figura 5 Esempi di localizzazioni con “effetto massa”.

• alterazioni emodinamiche: in genere da emangiomi profondi possono pro- dursi emorragia grave (per esempio emangiomi del tratto digestivo) fino a scompenso cardiaco congestizio (soprattutto negli emangiomi viscerali pa- renchimali); • alterazione della crasi coagulatoria: trombocitopenia da intrappolamento pia- strinico (sindrome di Kasabach-Merritt), quando gli emangiomi, profondi in particolare, raggiungono dimensioni superiori a 5 cm; se non riconosciuta il tasso di mortalità è pari a 40-60% dei casi (figura 6).

Figura 6 Alterazione della crasi coagulatoria. 176 | Emangiomi ed anomalie vascolari cervico-facciali

Gli emangiomi, superficiali o profondi, possono anche essere espressione di quadri patologici più complessi: • Sindrome di Dandy-Walker, ipoplasia o assenza del verme cerebellare e cisti della fossa posteriore, associate ad estesi emangiomi del volto. Segni e sin- tomi di coinvolgimento del sistema nervoso centrale comprendono: apnea, vomito, alterazioni dell’equilibrio, ritardo di sviluppo, emiparesi. • Sindrome PHACE-PHACES, l’acronimo anglosassone specifica l’espressione completa delle manifestazioni singolarmente sopradescritte: P malformazio- ne della fossa posteriore; H emangioma; A anomalie aortiche / arteriose; C anomalie cardiache, E anomalie oculari, S difetti sternali. L’acronimo inoltre aiuta a ricordare che la manifestazione costante della sindrome è a livello della terza branca del Trigemino, “distribuzione a barba”. • Difetti cardiovascolari, è stata descritta la presenza di coartazione aortica as- sociata ad emangiomi, soprattutto della faccia. • Difetti neurologici, l’emangioma a livello di linea mediana lombosacrale può essere considerato una lesione sentinella di un difetto del tubo neurale, in par- ticolare di midollo ancorato. Si rende quindi necessario escludere concomitan- ti malformazioni gastrointestinali, renali, genitali e sacrale. È raccomandato eseguire uno studio RMN midollare e addominopelvico a tutti i neonati che presentano tale tipo di lesione, anche se clinicamente asintomatici (figura 7).

Figura 7 Esempi di lesione sentinella.

• Schisi dello sterno e difetti della linea mediana addominale: difetti di fusione dello sterno o della parete addominale superiore (rafe addominale sovraom- belicale) possono presentare residui angioblastici, che formano emangiomi, i quali possono raggiungere anche notevoli dimensioni. Il coinvolgimento della linea mediana può coinvolgere altresì l’area del collo, la regione sotto- glottica ed il volto. Emangiomi ed anomalie vascolari cervico-facciali | 177

Dalle espressioni cliniche descritte si evince che oggi la diagnosi clinica e dif- ferenziale di Emangioma Infantile può e deve richiedere un approccio “clinico” multispecialistico: Oculista, Otorinolaringoiatra, Dermatologo, Neurochirur- go, Cardiologo, Psicologo, Chirurgo Pediatra, Radiologo (Eco-color-Doppler e RMN), Anatomo Patologo (istologia, ricerca di markers specifici immunoisto- chimici).

Tabella 2 Condizioni cliniche coinvolte nella diagnosi differenziale.

Emangioma congenito Emangioma rapidamente involutivo Emangioma non involutivo Tufted angioma Anomalie Vascolari Malformazioni vascolari capillari Amartoma eccrino angiomatoso Granuloma piogenico Malformazione glomo venosa

Ciste dermoide, Pilomatrixoma o Epitelioma di Malherbe, Nevo di Spitz Emangiopericitoma di Stout e Murray Xantogranuloma infantile, Reticoloistiocitoma isolato, Miofibroma, Ematoma Patologie non vascolari

Leucemia, Lipoma sacrale, Lipoblastoma, Neuroblastoma, Dermatofibrosarcoma protuberans Meningocele, Encefalocele, Teratoma

In caso di emangioma neonatale del volto, con diametro di almeno 5 cm, la diagnostica per imaging della sola zona interessata deve essere integrata da RMN cerebrale (è necessario verificare la fossa posteriore per ev. sindrome PHACE), RMN di orbita e collo, da ecocardiogramma (anomalie di arco aortico), valuta- zione oculistica (per interessamento delle branche trigeminali 1 e 2) e valutazione ORL in caso di interessamento della terza branca trigeminale o della regione an- teriore del collo con associato stridore, per escludere compromissione subglottica che richiede trattamento molto precoce (figura 8). 178 | Emangiomi ed anomalie vascolari cervico-facciali

Tabella 3 DIAGNOSTICA per IMAGING (EcoColorDoppler e RMN).

Tipo di tumore EcoColorDoppler RMN vascolare Fase proliferativa: - Ipoecogenicità, T1: iso-ipointenso - vascolarizzazione intensa con velocità T2: iperintensità di flusso elevata e resistenze basse. Emangioma peduncoli arteriosi in T2 Infantile Fase involutiva: - iperecogenitcità, enhancement dopo mdc - scarsa vascolarizzazione, contenuto fibroadiposo - aspetto fibroadiposo. Emangioma - aspetto disomogeneo, T1: iso-ipointenso congenito - ipo-iperecogenicità, T2: iperintensità rapidamente - vascolarizzazione intensa e basse involutivo e non interessamento cutaneo resistenze. involutivo enhancement dopo mdc

- aspetto solido, a margini non netti, T1: iso-ipointenso - ecostruttura disomogenea, disomogeneo Emangio - infiltrante tessuti molli superficiali e T2: iperintensità Endotelioma profondi, enhancement dopo mdc Kaposiforme - peduncoli vascolari profondi diffuso e disomogeneo grossolani, aspetto infiltrante - vascolarizzazione intensa. profondo T1: iso-ipointenso - solido, contorni irregolari, disomogeneo - ecostruttura disomogenea diffusa, T2: iperintensità Angiosarcoma - prevelente ipoecogenicità, - vascolarizzazione intralesionale a aspetto infiltrante resitenze più elevate. enhancement disomogeneo dopo mdc

Figura 8 Esempi di Emangioma Infantile che richiedono studio integrato. Emangiomi ed anomalie vascolari cervico-facciali | 179

Il monitoraggio clinico dovrà essere molto stretto in caso di emangiomi a ri- schio di danno funzionale o estetico permanente (labbro, filtro nasale, punta na- sale, orecchio e CUE, regione perioculare, ghiandola mammaria, figura 9) e na- turalmente negli emangiomi a rischio maggiore, con estensione a interi segmenti corporei (testa, collo, tronco) che presentano concreto rischio di associazione a difetti cardiaci.

Figura 9 Esempi di emangiomi con preoccupazione genitoriale di danno estetico permanente.

La localizzazione epatica mono o multifocale, richiede esecuzione di test di funzionalità epatica e coagulazione e assetto tiroideo (T3, T4, TSH). È infine raccomandato che, qualora la diagnosi differenziale non sia possibile con esame obiettivo scrupoloso, anamnesi e valutazione EcocolorDoppler, si ri- corra a prelievo bioptico o escissionale della formazione. 180 | Emangiomi ed anomalie vascolari cervico-facciali

Tabella 4 Diagnosi istologica dei tumori vascolari.

Istologia Immunoistochimica

Lesioni circoscritte GLUT -1- positivo Emangioma Cellule endoteliali normali o rigonfie, infantile con attiva mitosi in fase proliferativa CD31 e WT -1 positivi

Piccoli capillari ad endotelio prominen- te nel lume Emangioma Membrana basale sottile congenito GLUT -1- negativo a rapida Involuzione: ispessimento della mem- involuzione brana basale dei capillari, foci di flogosi cronica, fibrosi, calcificazioni, trombosi, depositi emosiderinici

Emangioma congenito non involutivo Lobuli ampi e netti, separati da spazi fibrosi, con ampi vasi di drenaggio a e muscolare ispessita (simil FAV o MAV). GLUT -1- negativo Endotelio talvolta prominente Emangioma membrana basale sottile, a tratti congenito ispessita parzialmente involutivo

Cellule endoteliali a minima attività mitotica e citoplasma vacuolato Emangioendo- Microtrombi capillari podoplanina (marcatore telioma Crescita di tipo infiltrante, con linfatico) kaposiforme bande fibrose alternate ad aspetti di emangioma e di sarcoma di kaposi

Cellule endoteliali: noduli dermici e ipodermici multipli CD31, CD34 e D2-40 derma sclerotico Tufted positivi epicentro: vaso principale angioma capillari con lume tondo o a fessura Periciti: actina muscol. Periciti liscia positiva

Trattamento degli Emangiomi Infantili In media solo il 10-15% degli Emangiomi Infantili richiede trattamento, anche se la pressione genitoriale può essere molto forte. La terapia medica (che si è arric- chita di nuove eccellenti possibilità), la terapia chirurgica, il trattamento laser e la scleroterapia sono indicate singolarmente o in combinazione fra loro per arre- Emangiomi ed anomalie vascolari cervico-facciali | 181 stare la fase proliferativa, accelerare l’involuzione, correggere o prevenire cattivi esiti cicatriziali. Le indicazioni mandatorie al trattamento sono le seguenti: • emangiomi a rischio di vita (scompenso cardiaco da alta portata, ostruzione / compressione delle vie respiratorie); • emangiomi con limitazione funzionale: vista, udito, nutrizione, manualità; • emangiomi ulcerati non responsivi al trattamento topico; • emangiomi a rischio di inestetismo importante / invalidante / permanente.

Tabella 5 Terapia medica.

PROPRANOLOLO

CORTISONE Terapia Medica Sistemica VINCRISTINA

INTERFERONE

PROPRANOLOLO Terapia Medica Topica TIMOLOLO

Terapia Medica Intralesionale CORTISONE

Il Propranololo rappresenta oggi il farmaco di prima scelta per il trattamento degli E. I; è antagonista beta adrenergico non selettivo che agisce con meccani- smo vasocostrittivo, con inibizione del VEGF e, nel lungo periodo, con induzione di apoptosi cellulare. Presenta controindicazioni cliniche precise: asma, ipotensione, bradicardia, malattia vascolare periferica, blocco di branca di 2° e 3°, Sick Sinus Syndrome, insufficienza cardiaca, shock cardiogeno, feocromocitoma. Prima di intraprendere la terapia occorre applicare il seguente protocollo volto ad accertare l’idoneità del paziente: • valutazione cardiologica pediatrica ed ECG; • ecocardiogramma ed Holter a discrezione del cardiologo; • valutazione di glicemia a digiuno, di emocromo e coagulazione, di assetto tiroideo; • valutazione pediatrica in caso di tosse, sibili, stridori; 182 | Emangiomi ed anomalie vascolari cervico-facciali

• valutazione della idoneità genitoriale/familiare ad occuparsi della sommini- strazione del farmaco in maniera corretta e duratura e della necessaria sorve- glianza di effetti collaterali; • adeguatezza di supporto sociale.

Nel paziente classificato idoneo, la terapia va iniziata il prima possibile, anche in età neonatale precoce. La somministrazione delle prime dosi deve avvenire in ambiente protetto ed equipaggiato per fronteggiare eventuali effetti collaterali di natura cardiovasco- lare. Nei bambini di età (corretta) inferiore a 2 mesi o di peso inferiore a 2 Kg, o affetti da patologia cardiovascolare o respiratoria o da alterato metabolismo glu- cidico o con inadeguato supporto familiare, si deve prevedere ricovero ordinario. Gli altri bambini possono iniziare il trattamento in regime di day hospital con monitoraggio di base della glicemia e dei parametri PA, FC, Sat02 ogni 2 ore dopo l’assunzione del farmaco. La dose terapeutica è di 1-3 mg/Kg die suddivisa in 2 somministrazioni se il paziente è a basso rischio, in 3 somministrazioni se il rischio è più elevato. Più si considera aumentato il rischio del bambino più è preferibile iniziare per una settimana con 1 mg/Kg/die e solo in seguito aumentare la dose a 2mg/Kg e fino a 3mg/Kg. Normalmente la dose efficace si assesta su 2 mg/Kg/die in 3 o 2 somministra- zioni; occorre evitare, fra una somministrazione e la successiva, un digiuno pro- lungato oltre le 8 ore, almeno nei primi tempi di trattamento. Il Propranololo può infatti aggravare un’ipoglicemia infantile (specie in caso di coesistente vomito o diarrea, o in caso di errato sovradosaggio) poiché blocca l’azione correttiva che avrebbero le catecolamine. In tal modo non consente di riconoscere la tachicardia, i tremori, l’ansia o la fame (fino a convulsioni e coma) che sono i segni “adrenergici” prodromici dell’ipoglicemia. In presenza di segni clinici di ipoglicemia, occorre l’immediata somministra- zione di bevanda zuccherata e interrompere temporaneamente la somministra- zione, sorvegliando/monitorando il bambino fino a completa regressione dei sin- tomi. In base a quanto descritto, se venisse arruolato in trattamento un bambino dia- betico, il primo provvedimento da adottare sarebbe il monitoraggio più frequente della glicemia. Nel caso di patologie respiratorie infettive, associate a dispnea o affanno, il trat- tamento con Propranololo va interrotto immediatamente; beta2 agonisti e corti- solo inalatorio possono essere subito somministrati. A completa guarigione, si Emangiomi ed anomalie vascolari cervico-facciali | 183 potrà reintrodurre il Propranololo, ma se intervenisse anche un unico ulteriore episodio di broncospasmo o di difficoltà respiratoria, il trattamento deve essere definitivamente sospeso. Il principio attivo viene in genere preparato in formulazione galenica di sci- roppo edulcorato alla concentrazione massima di 4 mg/ml per saturazione della soluzione. Occorre conservare il prodotto in frigorifero e per la somministrazio- ne orale in genere si utilizza una siringa per garantire una corretta posologia; tali condizionamenti talvolta costituiscono motivo di ridotta compliance familiare per scarsa maneggevolezza fuori casa. In alternativa possono essere preparate capsule di dosaggio individualizzato, di facile trasporto e conservazione, il cui contenuto viene versato in latte o alimento gradito senza problemi di palatabilità. Solo in caso di assenza di efficacia con 2 mg/Kg/die dopo 1 mese di trattamen- to, e per emangiomi del tratto respiratorio superiore o della palpebra superiore, è opportuno aumentare la posologia a 3 mg/Kg/die. Una volta al mese il bambino deve essere controllato presso lo specialista del centro prescrittore: parametri vitali, controllo del peso (per adeguamento della dose), valutazione e misurazione dell’emangioma e documentazione fotografica sono le caratteristiche da monitorare ad ogni controllo. Le vaccinazioni non subiscono modifica del calendario di somministrazione. Il ciclo di terapia deve durare almeno sei mesi. In caso di recidiva o persistenza, dopo l’anno di età, può essere ripreso. La sospensione, secondo le ultime linee guida, non richiede dosi scalari. È dibattuto l’impiego del Propranololo nella S. PHACES per il rischio di ische- mie cerebrali; tuttavia recenti approfondimenti hanno studiato bambini trattati con il farmaco sottoposti a SPECT prima e dopo la terapia: non sono state eviden- ziate aree di ridotta perfusione.

I Cortisonici (Prednisone o suo equivalente), fino all’avvento del Propranololo ampiamente utilizzati, costituiscono oggi farmaci di seconda scelta ovvero quan- do lo stesso Propranololo ha controindicazioni o provoca effetti collaterali. Ad alte dosi hanno potere di arrestare la fase proliferativa ma non di indurre la regressione; l’effetto del cortisone, di sopprimere il VEGF-A nelle cellule stamina- li dell’emangioma, inibisce la vasculogenesi. Il dosaggio universalmente riconosciuto è di 2-3 mg/Kg/die in dose unica mat- tutina, per un ciclo di 1-2 mesi; la tollerabilità e l’efficacia sono inferiori al Pro- pranololo. In molti casi di lattanti sono stati riscontrati gli effetti collaterali della terapia protratta con cortisonici sistemici, tanto da poter concludere che la qua- lità di vita di paziente e famiglia è inferiore rispetto ai trattati con Propranololo. 184 | Emangiomi ed anomalie vascolari cervico-facciali

Nel bambino trattato in età inferiore a tre mesi o per oltre un semestre è stato segnalato ritardo di crescita, persino cerebrale nei prematuri. La risposta, in letteratura, varia da 35 a 85%, con recidive da 15 a 37%.

Quando si debba trattare Emangiomi Infantili a rischio di vita, resistenti a Pro- pranololo e Cortisonici, o in pazienti in cui siano essi controindicati, è necessario il ricorso alla Vincristina, un derivato alcaloide che inibisce mitosi e angiogenesi. La dose usuale è di 0,05mg/Kg nei pazienti fino a 10 Kg e di 0,75-1,5 mg/Kg oltre i 10 Kg. La somministrazione è endovenosa in accesso venoso centrale, settimanalmente, per 3-4 dosi. È un farmaco vescicante e può produrre effetti collaterali importanti: neurotossicità, irritabilità, riduzione dei riflessi profondi, costipazione, dolore addominale, ileo paralitico, paralisi dei nervi cranici, dolore osseo, alopecia, mielosopressione; in età pediatrica la nefrotossicità è meno grave. È consigliata la sorveglianza congiunta con oncoematologo pediatra.

L’ultima possibilità terapeutica nei casi a rischio di vita è l’Interferone alfa, capace di inibire l’angiogenesi, la migrazione di cellule endoteliali e il BFGF. La dose è di 1 M (milione) UI/m2 aumentato fino a 3 M (milioni) nel corso del primo mese, con durata di somministrazione da 2 a 12 mesi per via sottocutanea. La risposta, nei casi resistenti agli steroidi, è pari al 90% anche se con tempi lunghi. La terapia con interferone deve essere associata a monitoraggio della fun- zionalità epatica, renale e tiroidea.

Figura 10 Risultato clinico. Caso di figura 8 trattato con Interferone alfa, in epoca preceden- te all’introduzione terapeutica del Propranololo. Emangiomi ed anomalie vascolari cervico-facciali | 185

Effetti collaterali sono neutropenia, ipertransaminasemia e sindrome si- mil-influenzale. In letteratura (Barlow) è stato riportato lo sviluppo di pa- raplegia spastica per ritardo di mielinizzazione delle fibre nervose indotto dal farmaco.

Terapie topiche Trovano indicazione esclusivamente negli emangiomi superficiali e non compli- cati; tale condizione può riguardare le sedi del viso e del collo, a maggiore impatto estetico. Ad oggi sono impiegati: Timololo (betabloccante non selettivo indicato nel trattamento del glaucoma) e il Propranololo; esistono formulazioni commerciali sotto forma di gel oftalmico 0,1%, maneggevoli nell’uso; la posologia prevede 2 applicazioni / die per 3-6 mesi durante la fase proliferativa, con successo nel 90% dei casi di emangiomi superficiali e non ulcerati. L’assorbimento avviene per via percutanea. Quando fosse necessario ottene- re un effetto mascherante, specie negli esiti incompleti al volto o male accettati nell’età adolescenziale, esistono preparati commerciali per camouflage estetico, in polvere o in liquido fissante, che aggiungono anche schermatura antisolare, in molteplici sfumature di colore per una resa cromatica rispondente alle diverse esigenze etniche e con un effetto coprente finale molto naturale.

Terapie laser Le indicazioni a questo trattamento si devono intendere di tipo complementare alla somministrazione di Propranololo oppure alternativo se vi è intolleranza a farmaci Beta bloccanti; comprendono: • Emangiomi Infantili nella fase prodromica; • emangiomi molto superficiali limitati allo spessore del derma; • emangiomi ulcerati (es. figura 4); • teleangectasie residue post involuzione.

Diverse lunghezze d’onda possono essere impiegate: Dye Laser pulsato oppure Dye-Neodymium:YAG con tecnica sequenziale pulsata. Fin dagli anni ’90 il laser ritenuto ottimale per il trattamento degli emangiomi è il Dye laser pulsato con emissione di impulsi a lunghezza d’onda 585-595 nm. Nelle lesioni profonde trovano indicazione il laser Nd:YAG (lunghezza d’onda 1064 nm) con metodica transdermica o intralesionale o il laser a Diodi. La manovra sequenziale a doppio impulso Dye-Nd:YAG erogato dallo stesso dispositivo è efficace anche nelle teleangectasie residue. 186 | Emangiomi ed anomalie vascolari cervico-facciali

Il laser Nd:YAG, con fibra nuda da 600 micron, è utilizzato negli emangiomi del cavo orale e della regione epiglottica. Il CO2 frazionato è efficace nel trattamento di esiti cicatriziali. Il trattamento va eseguito in sedazione e può comportare la necessità di una terapia analgesica. Il trattamento laser può produrre complicanze a livello locale: ulcerazione, di- scromia (in particolare iperpigmentazione nei fototipi più scuri), atrofia.

Terapie chirurgiche Le indicazioni alla terapia chirurgica sono il potenziale rischio per la vita, il dan- no funzionale, il danno estetico permanente, l’ulcerazione. Costituisce la prima scelta, in associazione o meno al laser, se la terapia medica è controindicata o fallisce o presenta efficacia parziale in sedi nobili, oppure se residua eccedenza di tessuto fibroadiposo dopo l’involuzione. Non è consigliabile eseguire chirurgia su emangiomi superficiali ed estesi nei quali la cicatrice sarebbe più importante dell’esito spontaneo. Le situazioni in cui la chirurgia deve essere attuata precocemente si riassumo- no nelle seguenti: • lesioni peduncolate; • sede orbito-palpebrale o cuoio capelluto poiché la cicatrice chirurgica avrà risultato migliore di quello atteso dopo la regressione spontanea; • emangioma della punta del naso (tipo Cyrano) per rischio di sovrainfezione, necrosi cutanea e riassorbimento cartilagineo; • emangiomi con stillicidio o ulcerazione cronica non rispondenti a terapia medica o laser.

Quando sia tecnicamente possibile, le linee di cicatrice devono coincidere con le linee di tensione naturale della cute; mai si deve dimenticare che asimmetrie e deformità residue si aggraveranno con l’accrescimento. Per quanto riguarda il timing chirurgico, occorre ricordare che nella fase pro- liferativa ed anche nella involutiva il controllo emostatico è difficoltoso per la ricca vascolarizzazione. È invece relativamente agevole intervenire nella fase già involuta quando il tumore è composto da tessuto fibroadiposo. Il raggiungimento dell’età scolare rappresenta in genere un limite temporale ultimo, poiché il rinvio ulteriore di exeresi o di trattamento di un emangioma che altera il proprio schema corporeo o, soprattutto nel distretto cervico-facciale, l’immagine di sè, può condurre a risvolti psicologici anche invalidanti. Emangiomi ed anomalie vascolari cervico-facciali | 187

Emangiomi congeniti A differenza dell’Emangioma Infantile, questi emangiomi alla nascita si presenta- no già sviluppati, e per lo più in forma isolata; non è nota l’eziopatogenesi né vi è netta predilezione di sesso. Si differenziano dagli Emangiomi Infantili per la caratteristica negatività im- munoistochimica al GLUT-1 e clinicamente non presentano la fase proliferativa; per la loro rarità (circa 3% degli emangiomi totali) sono considerati tumori va- scolari rari. Vengono distinti in due tipi principali: Rapidamente involutivo (RICH) e Non involutivo (NICH); a questi si è recentemente aggiunto anche il tipo Parzialmente involutivo. Se la forma rapidamente involutiva pura non richiede in genere trattamento, le altre due, prima dell’età scolare o a consapevolezza adolescenziale raggiunta, be- neficiano dell’asportazione chirurgica o di embolizzazione; residui lassi e atrofici esteticamente inaccettabili possono essere trattati con innesti di derma, adipe o derma acellulare ed il Dye-laser pulsato può migliorare le teleangectasie residue sgradevoli.

NICH

IH

DIMENSIONI RICH

1° 2° 3° 1 ANNO 2 ANNI 3 ANNI PRENATALI NASCITA POSTNATALI

Tabella 6 Evoluzione degli emangiomi congeniti.

Emangioma Congenito Rapidamente Involutivo Presente alla nascita, può apparire in forma rilevata e colore rosso porpora, con evidenti e grossolane teleangectasie di superficie, oppure più violaceo con meno marcate teleangectasie; ancora, può presentarsi come tumefazione di colore gri- giastro a sottili teleangectasie e alone pallido circostante; predilige testa e collo e le sedi sopraarticolari degli arti. Entro il 6°-18° mese di vita regredisce spon- taneamente ma può complicarsi con ulcerazioni centrali, emorragia, transitoria piastrinopenia, o configurarsi come forma non involutiva. 188 | Emangiomi ed anomalie vascolari cervico-facciali

Può rendere necessaria una diagnosi differenziale con tumori maligni (fibro- sarcoma, rabdomiosarcoma), E. E. Kaposiforme e Tufted angioma, tanto da ri- chiedere diagnostiche invasive. Merita follow up attento sia clinico che laboratoristico (conta piastrinica, D-di- mero, Fibrinogeno). L’esito è rappresentato generalmente da cute rilassata ridondante, con telean- gectasie.

Emangioma Congenito Non Involutivo Alla nascita si presenta come una lesione prevalentemente nodulare o a placca, calda al termotatto; meno frequente la forma piana. Tipico l’alone pallido, biancastro, rispetto al centro che ha colore dal rosso al bluastro-biancastro. Le teleangectasie in superficie sono molto marcate e alla periferia si riconoscono vere vene ectasiche che al momento della pubertà subiscono ulteriore sviluppo. Ha sede prevalente al tronco e agli arti inferiori. Colpisce meno testa e collo. La crescita risulta proporzionale al soma e può essere segnalato dolore. Come nel tipo precedente può essere necessaria la diagnosi istologica.

Emangioma Congenito Parzialmente Involutivo La comparsa e l’evoluzione fino al 12° mese ricalcano quelle dell’E. Rapidamente involutivo; tuttavia dal 2° anno non si osserva ulteriore involuzione e assume ca- ratteristiche simili al non involutivo.

EmangioEndotelioma Kaposiforme Questo tumore, abbreviato in EEK, è un tumore vascolare raro, a basso grado di malignità ma particolarmente aggressivo localmente, tanto da determinare sin- tomi sistemici anche drammatici quali il sequestro piastrinico massivo del feno- meno di Kasabach-Merrit; quest’ultimo è direttamente proporzionale al volume della formazione. Aggredisce i tessuti circostanti infiltrandoli e metastatizza, con basso potenziale, specialmente ai linfonodi regionali. Può regredire nei primi 2 anni di vita. Sedi cutanee o extra cutanee sono prevalentemente al tronco, agli arti, ma an- che al collo, mediastino, timo, retroperitoneo. A livello cutaneo si manifesta come una tumefazione rosso bluastra, superficia- le oppure profonda, dura, non comprimibile, di diametro da pochi centimetri ad intero segmento corporeo; può giungere in profondità superando fascia, muscolo e ossa. Emangiomi ed anomalie vascolari cervico-facciali | 189

È privo di predilezione di sesso e razziale ma compare elettivamente entro il primo anno di vita. Fino al 30% può essere gravato da exitus per complicanze da sequestro o legate alla sede del tumore. La diagnosi di certezza è indispensabile e pertanto, dopo EcoColorDoppler e RMN la biopsia è raccomandata. Il follow-up deve prevedere regolare controllo di emocromo e prove di coagu- lazione con D-Dimero. Per le forme aggredibili chirurgicamente, l’exeresi è la terapia di elezione; può essere necessaria una chirurgia coadiuvante su forme di contrattura muscolare. La terapia medica è impostata a seconda della presentazione clinica e dell’entità del sequestro piastrinico, secondo quanto indicato in Tabella seguente, che ha validità anche per la forma clinica del Tufted angioma:

Tabella 7 - TERAPIA MEDICA per EEK e Tufted Angioma (TA)

Scelta EEK o TA senza fKM EEK o TA con fKM Casi resistenti terapeutica

Vincristina 0,05 mg/Kg/ev Ciclofosfamide 1/settimana Prima scelta + oppure Prednisolone Prednisolone (stabilizza il 2-3 mg/Kg /die VIncristina e 2 mg/Kg/die tumore ma non per os Ciclofosfamide per os lo fa regredire x 3-4 settimane completamen- oppure oppure te) Metilprednisolone ev triplice terapia con 1,6 mg/Kg/die Actinomicina D per 20-24 settimane

Antipiastrinici, Ticlopidina e Clopidogrel: risultati Aspirina o altro variabili Eventuale antiaggregante 2-5 mg/Kg/die Antifibrinolitici Acido Aminocaproico e Tranexamico: risultati variabili

Legenda: fKM = fenomeno di Kasabach Merrit 190 | Emangiomi ed anomalie vascolari cervico-facciali

Tufted Angioma Esempio di tumore con varietà di denominazioni: Angioblastoma di Nakagawa, Emangioma capillare progressivo; è raro, benigno, congenito o acquisito, con comparsa entro l’età puberale. Presenta crescita lenta iniziale e quindi si stabilizza; regredisce spontaneamen- te, talvolta, entro i primi due anni di vita; come in EEK si può associare il seque- stro piastrinico oppure una coagulopatia da consumo con piastrine normali. La clinica è caratterizzata da macula o placca con noduli o papule in superficie; rosso più o meno roseo o purpureo, da pochi mm a molti cm di diametro. La consistenza è tesoelastica e può essere dolente. Può riconoscersi ipertricosi o iperidrosi sulla superficie. Sedi tipiche sono il tronco, le spalle e il collo. È stato segnalato anche alla mucosa orale. La diagnosi è clinica, supportata da indagini strumentali e biopsia. Il trattamento dipende dalla sede e dalla entità clinica, poiché non è nota la trasformazione maligna. Per la terapia medica il TA è assimilabile a EEK.

Malformazioni vascolari semplici

Le malformazioni vascolari (MV) sono lesioni congenite, classificate a seconda della struttura vascolare interessata dall’anomalo sviluppo embriologico in capil- lari, venose, arteriose e linfatiche.

Malformazioni Vascolari Capillari Sono anomalie vascolari congenite, a basso flusso, di cute e mucose, con colorito variabile da roseo a violaceo, presentano caratteristici contorni a carta geografica, che spesso sovrastano un territorio di innervazione cutanea (es. area del trigemi- no). Rimangono immutate nel tempo con una crescita proporzionale a quella del bambino, senza però espandersi a coprire aree più estese del soma. La vecchia no- menclatura di “angioma piano” andrebbe abolita perché genera confondimenti. Colpiscono lo 0,3% della popolazione generale, con uguale distribuzione fra i sessi e predilezione per il distretto cefalico (57% in regione centrofacciale) e sono unilaterali nel 90% circa, localizzata lungo un dermatomero. In età adulta la cute interessata tende ad ispessire e a ricopririsi di nodularità che conferiscono aspetto caratteristico ad acciottolato (“clobbestone”). Per la eziopatogenesi si ascrivono ad un errore di sviluppo embrionario che determina un anomalo numero di vasi capillari del derma o la loro permanenza. Tra i meccanismi imputati si è ipotizzato un mancato controllo neuronale del Emangiomi ed anomalie vascolari cervico-facciali | 191 tono vasale che provoca la dilatazione persistente dei capillari; studi di immunoi- stochimica confermerebbero il minor numero di fibre nervose. La vasoparalisi e il contenuto elevato di Hb nei capillari cutanei neonatali giustifica l’intensità della colorazione. Altri studi riconoscono una iperespressione del gene VEFG e del recettore per VEFG, aumentati nelle malformazioni capillari. Ancora, una mutazione genetica somatica nel gene GNAQ spiegherebbe, se tardiva, la MC semplice mentre se è precoce giustifica la Sindrome di Sturge We- ber per coinvolgimento di un precursore di più tessuti, responsabile del quadro sindromico neurocutaneo globale. Infine, sarebbe coinvolto il gene RASA 1, regolatore di proliferazione, differen- ziazione e organizzazione delle cellule endoteliali, già associato a malformazioni arterovenose.

Tabella 8 Malformazioni vascolari Capillari

Nevus simplex,

Nevus Flammeus Neonatorum,

Salmon patch, Macula capillare congenita mediale “fading capillary stain”,

“angel kiss”, “stork bike”

Nevus Flammeus

MC associata ad anomalie del SNC e/o oculari (Sdr. Sturge Weber)

MC associate a ipertrofia ossea e/o dei tessuti molli (Klippel Trenaunay) Macula capillare congenita laterale Teleangectasie Cutis Marmorata Teleangectasica congenita MC associata a malformazione artero venosa MC associata a microcefalia MC associata a megaloencefalia-polimicrogiria Porpora emorragica Teleangectasica (ereditaria)

Istologicamente le MV capillari sono formate da reti di capillari e venule dila- tate all’interno dello strato dermico papillare e reticolare in corrispondenza delle 192 | Emangiomi ed anomalie vascolari cervico-facciali

zone cutanee. L’intensità della colorazione può aumentare a seguito di uno stimo- lo emozionale, soprattutto in età pediatrica. La cute soprastante è sempre norma- le. Nell’età adulta è possibile che si verifichi una dilatazione dei vasi della lesione, conferendole una colorazione più intensa (purpurea), favorendo la comparsa di nodularità e una maggiore suscettibilità al sanguinamento locale; tali caratteristi- che evolutive sono indicazione specifica al trattamento laser. Le malformazioni vascolari capillari possono riscontrarsi in sindromi specifi- che quali la Sturge Weber e la Klippel Trenaunay.

Macula capillare congenita mediale Molto comune nella razza caucasica, si presenta alla nascita come una macchia cutanea roseo-rossastra; scompare alla pressione, con possibili fini teleangectasie, per lo più a progressiva risoluzione nei primi anni di vita. Come suggerisce la definizione, compaiono lungo la linea mediana: • nuca e occipite (“morso della cicogna” alias “Stork bike”), con persistenza nell’età adulta; • fronte, glabella, palpebra superiore (Nevo di Unna, “Bacio dell’angelo”, alias “angel kiss”).

Figura 11 Morso della cicogna.

In basso: Figura 12 Macula capillare della fronte, glabella e palpebra superiore. Emangiomi ed anomalie vascolari cervico-facciali | 193

Macula capillare congenita laterale I sinonimi più frequenti sono Macchia a Vino Porto (Port wine stain) e Nevus Flammeus. Si caratterizza per macchia roseo rossa, sensibile alla vitropressione, a bordi netti e dimensione variabile. Predilige il viso e può localizzarsi a mosaico o a quadrante perché segue la distribuzione vascolare embrionaria. Se si associa ipertrofia dei tessuti molli, la guancia, il mento e il labbro possono essere coinvolte ed anche mucose e scheletro del distretto maxillo facciale interessato (figura 13).

Figura 13 Macchia a Vino Porto.

È utile qui sottolineare la necessità di eseguire accertamenti diagnostici, a par- tire da Ecocolordoppler, importanti per escludere i corredi sindromici suddetti. La metodica consente di valutare lo spessore di derma e tessuto sottocutaneo, la presenza di vene displasiche sottocutanee o di identificare shunts artero venosi anche modesti. Occorre sottoporre tutti i bambini con MC al volto a valutazione oculistica ed ecografia cerebrale per escludere la Sindrome di Sturge-Weber; in caso di coinvolgi- mento degli arti inferiori è necessario intraprendere un iter diagnostico comples- so multidisciplinare per il sospetto di Sindrome di Klippel-Trenaunay (indicata flebografia), che entra in diagnosi differenziale con la Sindrome di Parkes-Weber: per quest’ultima un’arteriografia periferica o un esame ecocolordoppler indivi- duerà la MV ad alto flusso che la differenzia dalla precedente, peggiorandone la prognosi. Nell’età evolutiva la valutazione ortopedica e la radiografia comparativa degli arti inferiori è raccomandata per il follow-up della dismetria che si verifica quando la MC si associa ad iperaccrescimento dell’arto. Come in altre occasioni ricordato, può rendersi necessaria una diagnosi me- diante biopsia. Le caratteristiche istologiche delle MC sono rappresentate da vasi 194 | Emangiomi ed anomalie vascolari cervico-facciali

ectasici, tondeggianti, non ramificati, ripieni di emazie, con densità aumentata rispetto al tessuto circostante. La parete vasale è sottile: un unico strato di cellule endoteliali piatte prive di atipie poggia sulla membrana basale che si arricchisce di periciti a mano a mano che si dirige verso le venule post capillari.

Trattamento delle Malformazioni Capillari Laserterapia. Il laser vascolare Pulsato (Pulsed Dye Laser) è elettivamente indica- to nel trattamento delle MC del volto; la precocità di intervento, nell’età infantile, garantisce i risultati migliori e contribuisce a risolvere il disagio psicosociale dei giovani pazienti. Il meccanismo di azione del Laser è quello di determinare una fototermolisi dell’emoglobina contenuta nelle emazie dei microcapillari, determinando la ag- glutinazione dei globuli rossi e la conseguente obliterazione dei vasi. Tecnologicamente il sistema è divenuto più sensibile: maggiore lunghezza d’on- da (595 nm), maggiore durata dell’impulso, diametro dello spot esteso a 12 mm e sistemi di raffreddamento cutaneo che riducono il dolore e contestualmente consentono impiego di energie maggiori. Ancora, la combinazione in rapidissima sequenza di un doppio impulso (meto- dica sequenziale di Dye Nd:YAG) con duplice lunghezza d’onda (595 e 1064 nm) fa sì che dapprima sia trasformata l’ossiemoglobina in metaemoglobina e quindi sia raggiunta la profondità di 7-8 mm circa dalla superficie cutanea, rendendolo particolarmente adatto alle forme nodulari ipertrofiche e alle resistenti al Dye laser. La risposta terapeutica non è assoluta ma lo schiarimento è considerevole. Il risultato è inversamente proporzionale allo spessore del derma, alla innervazione, alla densità dei capillari e al loro calibro medio; metodiche diagnostiche come la Spettrofotometria, la video-capillaroscopia e gli Ultrasuoni ad alta frequenza contribuiscono a determinare i parametri ora citati che condizionano la qualità dell’esito terapeutico.

Scleroterapia. La scleroterapia percutanea trova indicazione nelle forme miste capillari-venose, arteriolo-capillari e teleangectasiche, utilizzando sostanze diver- se come il polidocanolo o il tetradecilsolfato sodico a concentrazioni variabili.

Chirurgia. È una chirurgia con approccio limitato nell’età pediatrica, volta a ridur- re l’ipertrofia cutaneo mucosa o ossea del massiccio facciale, nelle localizzazioni centro facciali, con coinvolgimento del labbro e della mandibola in particolare. Il rischio di cicatrici deturpanti, di deiscenze, di recidive deve essere seriamente Emangiomi ed anomalie vascolari cervico-facciali | 195 considerato. L’utilizzo di espansori cutanei e di lembi di rotazione è particolar- mente indicato. Nelle forme di angiocheratosi dell’età giovanile-adulta, la chirurgia può risolve- re situazioni molto selezionate, di noduli ipertrofici/polipoidi di piccole dimen- sioni, per evitare complicanze di cicatrizzazione.

Malformazioni Vascolari Venose Le Mv sono determinate da errori di sviluppo embriogenetico a livelli diversi con espressione clinica di differente gravità. Rappresentano i 2/3 del totale delle malformazioni vascolari congenite ed incidono per circa l’1% nella popolazione generale. Per lo più a carattere sporadico, riconoscono anche trasmissione auto- somica dominante. Possono interessare ogni sede ma prediligono l’area cranio-facciale e gli arti; le localizzazioni superficiali di cute e mucose sono prevalenti, ma anche muscolo, ossa e visceri possono essere coinvolti. Come già enunciato in altro paragrafo, possono associarsi a Malformazioni capillari, linfatiche (denominate in tal caso Emolinfatiche) e artero-venose. Seguendo la già citata classificazione ISSVA 2014, le malformazioni venose sono distinte in: • M. venose comuni; • M. venose cutaneo-mucose familiari (recettore TIE2/TEK per angiopoietina sul cromosoma 9); • Sindrome di Bean; • Malformazioni glomo venose (ereditaria; gene per glomulina su braccio cor- to cromosoma 1); • Malformazioni cavernose cerebrali; • Sindrome di Klippel Trenaunay: venosa + capillare + linfatica; • Sindrome di Parkes-Weber: venosa + artero-venosa.

Le Mv possono localizzarsi al cavo orale coinvolgendo labbra, lingua e palato. Queste lesioni durante l’età evolutiva tendono ad aumentare di volume e possono: • causare episodi di sanguinamento locale ricorrente; • compromettere la masticazione e/o la fonazione; • deturpare gravemente il volto; • rappresentare la spia di un’estensione profonda parafaringea.

Si distinguono due tipologie di malformazioni venose in base a caratteristiche embriogenetiche, anatomo-funzionali e cliniche; tale suddivisione (c. d. di Am- 196 | Emangiomi ed anomalie vascolari cervico-facciali

burgo) ha importanza pratica fondamentale e deve costituire l’odierno orienta- mento per la corretta strategia terapeutica:

Forme tronculari (malformazioni delle vene principali): più rare, sono determina- te da anomalie evolutive che insorgono in fasi piuttosto avanzate dello sviluppo vascolare. Possiedono scarsa capacità proliferativa e ciò costituisce vantaggio per un trattamento privo di recidive. Hanno, però, un forte impatto emodinamico a livello distrettuale, causando stasi venosa, per ostruzione o per reflusso. La mal- formazione tronculare può essere prodotta da una anomalia valvolare (assenza o displasia della valvola), da lesioni ostruttive (atresia, aplasia, ipoplasia, setti mem- branosi intraluminali), lesioni dilatative (aneurismi venosi), persistenza di vene embrionali prive di valvole (vena marginale, vena ischiatica). Clinicamente si esprimono con insufficienza venosa cronica (varici, edema, dermatite da stasi, ulcerazioni cutanee). Conseguenza della alterata emodina- mica può essere la dismetria degli arti, causata sia da un’ipertrofia che da una ipotrofia della vascolarizzazione del segmento osseo di interesse (Vascular bone syndrome). Complicanze frequenti delle forme tronculari sono la TVP e l’embolia pol- monare.

Forme extratronculari (vene displasiche all’interno dei tessuti, a distanza variabile dall’asse venoso principale): sono la varietà più frequente e possono presentarsi in forma circoscritta o estesamente infiltrante i tessuti. L’errore disembriogene- tico interviene in fasi precoci dello sviluppo del letto vascolare. Si tratta di vasi indifferenziati, di origine mesenchimale, con elevato potenziale proliferativo che si traduce in una evoluzione ingravescente e in un’alta percentuale di recidive dopo trattamento. La loro espansione produce effetti compressivi o infiltranti sul- le strutture anatomiche circostanti. La localizzazione superficiale determina tumefazioni bluastro-violacee, mol- li-elastiche, non pulsanti, espandibili e collassabili alla compressione. La localizzazione profonda, talvolta subdola, determina spesso dolore e se- gni-sintomi di compressione di strutture anatomiche circostanti.

Le malformazioni venose, pur essendo congenite, possono non essere evidenti alla nascita, per manifestarsi durante la crescita, per effetto della forza di gravità, di cambiamenti emodinamici, di traumi oppure dell’età. A livello di labbra e guancia si può avere un effetto massa che distorce le carat- teristiche del volto. Nelle estremità, traumi o l’occorrenza di trombosi possono Emangiomi ed anomalie vascolari cervico-facciali | 197 dare luogo a dolore o fastidio. La comparsa di fasi di crescita rapida sono di solito da attribuirsi ad emorragie dovute a traumi. L’esecuzione di esami ematochimici dimostra spesso la presenza di una coagulazione intravasale disseminata cronica di grado lieve. È quindi indicata una premedicazione con eparina in caso di in- tervento chirurgico.

Diagnostica L’esame clinico completo è essenziale nella diagnosi delle malformazioni venose, sia nel distretto anatomico interessato che nell’intero sistema circolatorio. L’ecocolordoppler è consigliabile come esame diagnostico non invasivo di pri- mo livello in tutti i pazienti affetti da una malformazione venosa. La RMN è consigliabile per la valutazione preoperatoria dell’estensione e dei rapporti anatomici delle malformazioni venose extra-tronculari. Con la metodi- ca di “contrasto dinamico” si ottengono dati emodinamici sulla velocità di flusso all’interno della malformazione. La Tomografia computerizzata è consigliabile nelle malformazioni venose cra- nio facciali per la ricerca di eventuali vene di drenaggio con comunicazioni extra craniche. La flebografia va riservata allo studio pre-operatorio di malformazioni venose complesse o al monitoraggio intra-operatorio dei trattamenti di scleroemboliz- zazione. L’arteriografia non è di alcuna utilità e va evitata. Nelle malformazioni venose è sempre raccomandabile uno screening coagula- tivo completo che includa il dosaggio del D-dimero per valutare il rischio trom- botico e la presenza di LIC. Nel 40% dei casi si associa ad esse una coagulopatia con formazione di trombi endoluminali nei vasi displasici, spesso scatenata da traumatismi o secondaria a procedure di scleroembolizzazione o di exeresi chirurgica; tale condizione, deno- minata “Coagulazione intravasale localizzata” (LIC), è riconoscibile laboratoristi- camente per aumento considerevole di D-dimero e PDF, piastrinemia normale e fibrinogeno tendenzialmente ridotto. La calcificazione progressiva dei trombi determina il fenomeno dei fleboliti, noduli di consistenza dura riconoscibili a Rxgrafia. Prima di procedere al trattamento di una malformazione venosa del distretto cervicale, con potenziale interessamento delle vie aeree, è indispensabile eseguire un esame laringoscopico preoperatorio per valutare i rischi di intubazione e di edema post scleroembolizzazione. 198 | Emangiomi ed anomalie vascolari cervico-facciali

Istologia Un prelievo bioptico è necessario per differenziare una forma neoplastica. Nelle malformazioni venose, l’endotelio delle lacune vascolari displasiche è monostra- tificato e sottile e non presenta attività mitotica; all’immunoistochimica è positivo ai marcatori endoteliali CD31- CD34 e negativo al GLUT-1 e al WT-1. La presenza di fibre muscolari nella parete vasale è riconoscibile nelle localiz- zazioni cutanee, con possibile presenza di fibre elastiche ma non lamina elastica interna. Nel sistema nervoso la parete vasale, sottile o spessa, è sempre fibrosa, mentre a livello osseo è sottile con rare fibre muscolari lisce. In alcuni vasi displasici sono riconoscibili dilatazioni con ulteriore assottiglia- mento della parete e presenza di trombi endoluminali, con progressione verso la fibrosi e a depositi di Sali di calcio per diventare fleboliti. Può osservarsi proliferazione perivascolare di cellule simil muscolari lisce, tipi- che dei glomi vascolari, e in tal caso le malformazioni sono definite glomovenose o glomangiomi.

Trattamento conservativo Terapia Farmacologica. La terapia farmacologica comprende l’uso di: • bioflavonoidi e/o altri integratori flebotonici a scopo sintomatico; • terapie anticoagulanti. Il trattamento con dosi profilattiche di eparina frazionata è raccomandabile in tutte le malformazioni venose che dimostrino notevole estensione (rischio di Coagulazione intravasale localizzata), presenza di vene embrionarie, segni cli- nici di stasi venosa importante, dolore, alterazioni trombofiliche (prevenzione di fenomeni trombotici); pertanto il dosaggio del fibrinogeno è dirimente (bassi livelli) nel sospetto di Coagulazione intravasale localizzata o della sua evoluzione verso CID.

Medicazioni. La medicazione topica trova indicazione in tutte le malformazioni complicate da ulcerazione cutanea, emorragia, impetiginizzazione. Sollievo e ac- celerazione del processo di guarigione può essere fornito dalle medicazioni a base di Vitamina E o da lamine in silicone antiaderenti.

Psicoterapia. La malformazione di grado severo che coinvolge distretti corporei non occultabili o organi di senso, che incide nella possibilità di una vita di rela- zione accettabile, si giova efficacemente di un supporto psicologico diretto sul paziente o indiretto sui familiari e non deve essere sottovalutato nella proposta di un piano terapeutico individuale. Emangiomi ed anomalie vascolari cervico-facciali | 199

Elastocompressione. Tutori elastici confezionati su misura della malformazione, con tessuti e materiali adatti a creare compressione mirata ma confortevole e ad evitare lesioni da decubito hanno trovato in passato grande applicazione. Il gra- do di compliance di questi presidi varia in rapporto alla lesione da trattare e alla semplicità di applicazione del presidio stesso.

Trattamento invasivo L’indicazione al trattamento invasivo è posta dalle seguenti condizioni cliniche: clinica o complicanze severe, emorragie, dolore invalidante, deficit funzionale, deformità estetiche, sindrome osteo-angiodistrofica durante l’accrescimento, tromboembolie, compromissione di organi vitali.

Scleroembolizzazione. È la più diffusa metodica di trattamento delle malforma- zioni venose; fornisce risultati buoni a fronte di bassa morbilità. Il principio della metodica consiste nella iniezione percutanea di agenti sclero- santi che producono occlusione dei vasi displasici e distruzione del loro endotelio. Può essere eseguita su guida ecografica o fluoroscopica. L’ecografia è fonda- mentale nella fase di puntura per localizzare la malformazione e controllare la sede dell’ago; la fluoroscopia consente il monitoraggio dinamico dell’agente scle- rosante (miscelato con mdc) e della sua diffusione nel complesso malformativo e nei vasi di drenaggio. L’agente sclerosante più potente ed efficace sarebbe l’etanolo (alla dose di 1-2 mg/Kg), gravato però da frequenti complicazioni, oltre al dolore in corso di infu- sione che richiede anestesia generale o loco regionale: ulcere cutanee, neuropatie, tromboembolie e perciò particolarmente a rischio quando la sede è muco-cu- tanea, perinervosa o negli arti. Per ridurre il dosaggio complessivo e potenziare l’efficacia locale è stata recentemente aggiunta etil-cellulosa, per ottenere una for- mulazione di etanolo-gel scevra da maggiori complicanze. In alternativa vengono impiegati il polidocanolo (1-3%) e il sodiotetradecilsol- fato (0,2-3%) a bassa incidenza di morbilità. Sono impiegati in forma di schiuma, in genere sotto controllo ecografico e sono meglio impiegati nelle forme superfi- ciali, cutaneo-mucose. Il rischio di recidiva è maggiore rispetto all’etanolo e non va dimenticato il rischio di complicanze neurologiche, su base embolica, oppure, in caso di pervietà del forame ovale, shunts dx-sin.

Laserterapia. Le malformazioni capillari localizzate nell’area centrofacciale pre- sentano una risposta molto meno favorevole rispetto alle lesioni coinvolgenti la regione fronto-temporale e preauricolare. 200 | Emangiomi ed anomalie vascolari cervico-facciali

Le aree cutanee con una minor risposta al trattamento laser sono caratterizzate da maggior spessore del derma, ridotta innervazione, maggior densità di vasi ca- pillari e maggior calibro medio degli stessi. Il suo ruolo è di tipo complementare, in base alla sede e alla estensione della malformazione. Sono utilizzabili lunghezze d’onda diverse: laser a diodi con lunghezza d’onda fra 1310 e 1470 nm o laser Nd:YAG a 1064 nm. L’applicazione può avvenire con metodiche diverse: • transdermica, specialmente nelle forme cutaneo mucose del cavo orale; • interstiziale nelle forme sottocutanee o profonde; • endoscopica nelle localizzazioni viscerali; • endovascolare nelle malformazioni tronculari, specie in presenza di vena marginale.

La procedura endovascolare prevede, sotto monitoraggio ecografico continuo, un approccio percutaneo, con inserimento di una fibra nuda all’interno del lume vascolare. Si utilizza laser a diodi con potenza massima da 10 a 15 W in base al calibro del vaso. Il controllo ecografico aiuta ad evitare fuoriuscite dal lume con danno fototermico ai tessuti adiacenti.

Chirurgia vascolare. La correzione dell’alterata emodinamica presente nelle mal- formazioni venose può essere affrontata con tecniche ablative oppure ricostruttive. Chirurgia ablativa. Questo tipo di chirurgia, unitamente o meno alla sclerote- rapia, è efficace per il trattamento delle forme extratronculari focali o circoscritte, nelle quali può avere radicalità: in particolare, per le localizzazioni cutaneo mu- cose, per le sottofasciali con coinvolgimento di solo un ventre muscolare o nelle forme intraarticolari. È una chirurgia non scevra da rischi: emorragia, lesioni neurologiche, recidiva; in caso di forme complesse o estese, l’approccio può essere affrontato in sessioni multiple. L’elettiva indicazione è per le forme tronculari con persistenza di vene embrionarie, come la vena marginale; l’asportazione comporta accessi multipli con microincisioni lungo il decorso della vena, evitando la manovra di stripping che potrebbe causare gravi emorragie. L’ablazione delle vene embrionarie dovrebbe avvenire in epoca pediatrica per evitare lo svilupparsi di una sindrome osteo-angiodistrofica; controindicazione assoluta a questo intervento è la atresia del circolo venoso profondo, da accertare con estrema cura con le tecniche diagnostiche prima ricordate, per non incorrere nel rischio di gangrena flebostatica per perdita del circolo vicariante. Emangiomi ed anomalie vascolari cervico-facciali | 201

Chirurgia ricostruttiva. È la pratica di elezione per forme tronculari di malfor- mazione venosa; consiste nell’escidere setti o membrane venose congenite endo- luminali, oppure, come negli aneurismi congeniti della poplitea o della femorale superficiale, nella resezione completa seguita da innesto /trasposizione venosa, oppure ancora nella resezione parziale seguita da endorrafia, per prevenire il ri- schio di tromboembolie. Per ipoplasie valvolari sono descritti vari tipi di interven- to di valvuloplastica interna o esterna, fino alla trasposizione di segmenti valvolati o impianto percutaneo di protesi valvolari nelle agenesie valvolari complete.

Malformazioni Vascolari Artero-venose Le malformazioni arterovenose sono le più gravi malformazioni vascolari in quanto presentano alto flusso e possono determinare un significativo shunt ar- terovenoso, che esita in scompenso cardiaco. Le malformazioni arterovenose presentano comunicazioni anomale tra vasi arteriosi e venosi, connessi fra loro direttamente o indirettamente da una rete di vasi denominata “nido”. Clinicamente è possibile distinguere queste malformazioni da quelle a basso flusso per la presenza di un aumento della temperatura cutanea, di un thrill pal- pabile, un fremito udibile, iperidrosi e a volte pulsazioni visibili. Sono distinguibili: • forme tronculari, molto rare, con comunicazione diretta artero-venosa, in assenza del “nido” e corrispondono alle FAV della classificazione in Tabella 1 dell’inizio del capitolo. Appartengono a questa categoria il Dotto di Botallo e alcune fistole a-v polmonari; • forme extratronculari, le più frequenti, con carattere infiltrante e caratterizza- te dal “nido” che corrisponde all’esito, impropriamente maturato, del primi- tivo reticolo embrionario.

Nel 2006 il “nido” è stato classificato in tre tipologie, a seconda della possibilità di scleroembolizzazione efficace: • I° tipo:“artero-venose”, massimo 3 arterie e shunt in un’unica vena; • II° tipo: “arteriolo-venose”, arterie multiple e shunt in un’unica vena; • III° tipo: “arteriolo-venulari”, shunts multipli fra arteriole e venule.

A tutt’oggi non si conoscono i fattori ambientali, geografici, razziali o di genere, responsabili di queste malformazioni e solo per alcune espressioni di Mav sindro- miche è stato identificato il gene coinvolto: • Geni ACVRL1 ed ENG, responsabili di malformazioni ad alto flusso nell’am- bito delle Teleangectasie diffuse cutanee e mucose della Teleangectasia Emor- 202 | Emangiomi ed anomalie vascolari cervico-facciali

ragica Ereditaria, o malattia di Rendu-Osler-Weber, a carattere autosomico dominante con caratteristiche epistassi recidivanti; • Gene RASA1: mutazione presente sia in Sindrome di Parkes Weber (carattere sporadico) sia nella sindrome con malformazioni capillari associate a mal- formazioni artero-venose (CM-AVM).

Le connessioni anomale esistenti fra il sistema arterioso ad alta pressione e quel- lo venoso a bassa pressione sono responsabili di importanti effetti in continua evoluzione sia loco regionali, come ischemia, ipertensione venosa, degenerazione della parete vasale con possibili emorragie, che centrali (scompenso cardiaco). Tali lesioni possono dare l’impressione di crescere verso la pubertà, verosimil- mente a causa di cambiamenti emodinamici o ormonali, che possono portare all’apertura di ulteriori shunts. Può anche verificarsi un fenomeno opposto e cioè di ischemia distale relativa, a livello dello shunt arterovenoso. Il 35% delle malformazioni vascolari del capo determina un coinvolgimen- to associato delle strutture ossee sottostanti, che determina cambiamenti di di- mensioni, forma o densità dell’osso. Un massivo sanguinamento dopo estrazione dentaria può essere la prima manifestazione di una malformazione arterovenosa prima misdiagnosticata. Si evince dunque l’importanza di un delicato e continuo monitoraggio clinico e strumentale e di una strategia di cura molto articolata. Clinicamente, si accennava, la Mav si presenta come una massa calda, ipere- mica, pulsante in modo abnorme, con fremiti percepibili e, nella sua evoluzione, rigonfia ed ipertrofizza i tessuti coinvolti compreso l’osso. Lo spettro clinico può comprendere asimmetria, oppure manifestazioni cutanee a tipo di papule viola- ceo purpuree (Pseudo Kaposi sarcoma). L’età pediatrica può vedere la “trasformazione” progressiva di una macchia pia- na roseo purpurea, etichettabile nei primi anni come malformazione capillare, verso una Mav per effetto di eventi traumatici o ormonali (pubertà, assunzione di estroprogestinici, gravidanza precoce).

Diagnostica Le indagini strumentali di primo livello e oltre indicate per la diagnosi iniziale di Mav sono: • Ecocolordoppler, riconosce oltre al flusso pulsante anche la conglomerazione di vasi nota come “nido” che non è comprimibile; è una metodica operato- re-dipendente con limiti sulle informazioni di sviluppo tridimensionale (tes- suti profondi e osso) della formazione; Emangiomi ed anomalie vascolari cervico-facciali | 203

• Risonanza magnetica, consente lo studio tridimensionale ed il segnale in T2 è scuro anziché chiaro ed è definito flow void (vuoto di segnale). Può fornire anche dati quantitativi sull’entità degli shunts (RMN quantitativa) e analizza- re anche le caratteristiche di flusso (RMN dinamica); utile, come la seguente Angio Tac, in previsione di approccio chirurgico; • AngioTAC, l’esposizione a radiazioni è elevata e impone prudenza in età pe- diatrica e in sospetta gravidanza; questa indagine descrive il “nido”, l’anato- mia, la distribuzione dei vasi afferenti ed efferenti e l’interessamento osseo (metodica 3D); • Scintigrafia, ha un ruolo non diagnostico primitivo ma nella valutazione di efficacia pre e post trattamento degli shunts; • Arteriografia, viene eseguita solo contestualmente a procedura di scleroem- bolizzazione selettiva o superselettiva; • Istologia, può fornire dettagli strutturali necessari a discriminare malforma- zioni capilllari da Mav in età pediatrica: densità vascolare, contenuto di ema- zie intraluminale, lunghezza e disposizione dei vasi, spessore delle pareti va- scolari; inoltre l’anticorpo WT1 (presente nel tumore di Wilms) può trovarsi nelle MAV e non nella gran parte delle malformazioni vascolari.

Trattamento È necessario sottolineare in primis che l’obiettivo del trattamento è di escludere il nido, mediante procedimenti di embolizzazione associata o meno a chirur- gia; è da evitare invece la legatura o l’occlusione esclusiva dei vasi afferenti ed efferenti. L’exeresi chirurgica è obbligatoria in caso di emorragie e di scompenso cardia- co, ma anche in caso di dismorfismo marcato (cfr. classificazione di Schobinger).

Tabella 9 MAV - Stadiazione sec. Schobinger (1977).

stadio I° impatto estetico

stadio 2° impatto funzionale

stadio 3° emorragia-ulcerazione

stadio 4° scompenso cardiaco

Chirurgia. L’asportazione chirurgica in blocco è particolarmente difficoltosa e a rischio di importanti sanguinamenti; relativamente più semplice è l’escissione 204 | Emangiomi ed anomalie vascolari cervico-facciali

nelle forme confinate o nelle intramuscolari oppure nelle localizzazioni perife- riche agli arti perché è possibile l’applicazione di un tourniquet pneumatico. Se l’atto demolitvo è molto importante, si può valutare l’utilizzo di lembi liberi va- scolarizzati muscolo cutanei o l’impiego di espansori cutanei. L’exeresi parziale nell’età evolutiva non è indicata perché espone a rischi di peg- gioramento clinico.

Embolizzazione. L’embolizzazione transarteriosa e/o percutanea è una efficace al- ternativa o completamento o preparazione alla chirurgia. È considerata la prima scelta terapeutica nelle Mav estese inaccessibili chirur- gicamente o anche allo scopo palliativo di stabilizzare o rallentare l’espressione dei sintomi. Le Mav di tipo I° artero-venose e II° arteriolo-venose, sono l’indicazione eletti- va per un pieno successo; minore efficacia nel tipo III°.

Il prodotto embolizzante impiegato può essere: • spirali (coils), non devono essere impiegate per occludere vasi afferenti poiché si determinerebbe l’apertura di altri nuovi vasi; sono indicate nella occlusione dei vasi efferenti (versante venoso) delle Mav di tipo II° arteriolovenose; • NCBA (N-Butil-Cianoacrilato), ha la capacità di penetrare nel nido e di oc- cluderlo grazie alla sua polimerizzazione a contatto con il sangue; al prodotto viene miscelata glucosata e un mdc oleoso. È noto il rischio di passaggio nel circolo polmonare e la possibilità di riassorbimento del materiale a distanza; • Onyx, riesce a produrre, polimerizzando, un “calco” molto resistente del nido ma viene impiegato nel trattamento prechirurgico per la possibilità di stimo- lare neoangiogenesi nelle Mav molto estese; • Etanolo, da molto tempo è nota la sua efficacia ma, al contempo, il rischio del suo impiego non è trascurabile. Presenta un’ottima capacità di distruzione dell’endotelio (se la distruzione fosse incompleta si provoca recidiva per ne- oangiogenesi) che diventa pericolosa se la Mav è contigua a nervi periferici (neurotossicità) o alla cute (necrosi). Per evitare l’insidioso rischio di iper- tensione polmonare, è raccomandato non superare volumi iniettati pari a 1 ml/Kg, sia frazionare i boli (max 0,14 ml/etanolo/Kg ogni 10 minuti). Per contrastare il rapido drenaggio dell’etanolo si deve: comprimere manualmen- te le vene efferenti, ridurre il flusso anterogrado con catetere a palloncino, occludere le vie di scarico mediante spirali (coils) o tourniquet pneumatico. Nelle MAV superficiali specie di tipo III° arteriolo-venulari, si può procedere con iniezione percutanea nel nido; Emangiomi ed anomalie vascolari cervico-facciali | 205

• Stents ricoperti, indicati in MAV estese, in caso di complicanze emorragiche o cardiache, o in comunicazione arterovenosa diretta con grossi vasi; • Laser interstiziale o endoluminale, per MAV superficiali e circoscritte.

Sindromi malformative complesse

Questi quadri clinici (ISSVA, 2014), si caratterizzano per particolarità specifi- che: • possibile combinazione di 2 o più componenti istologiche (malformazioni combinate); • possibile localizzazione multipla o disseminata, cutanea e viscerale; • possibile coesistenza di anomali non vascolari; • associazione genetica accertata o in fieri; insorgenza sporadica in caso di mu- tazione somatica o trasmissione ereditaria.

Tabella 10 Inquadramento delle Sindromi Malformative Complesse.

GRUPPO A GRUPPO B presenza di ipertrofia/gigantismo assenza di ipertrofia/gigantismo Klippel-Trenaunay (KTS) Sindr. Blue Rubber Bleb Noevus (BRBN) Sindr. Osler-Weber_Rendu (OWR) alias Parkes Weber (PKWS) Teleangectasia Emorragica Ereditaria (HHT) CLOVES Sindr. Di Cobb Sindr. di Bonnet-Dechaume-Blanc alias Proteus Sindr. Wiburn-Mason Malformazione capillare Diffusa con Sindr. di Sturge Weber Ipertrofia (DCMO) Cutis Marmorata Teleangectasica Sindr. di Maffucci congenita (CMTC) Macrocefalia Malformazione Anomalia Vascolare Fibro Adiposa (FAVA) capillare Emiipertrofia–Lipomatosi o Sindr. con malformazioni capillari-malformazioni Becwith-Wiedemann (BWS) artero-venose (CV-AVM) Stewart-Bluefarb (SBS) o Pseudo Kaposi sarcoma (PKS) CLAPO (Capillary malformation- Limphatic malformation-Asymmetry- Partial/generalized Overgrowth) 206 | Emangiomi ed anomalie vascolari cervico-facciali

Alcune di queste sono inquadrate come Sindrome, con eponimo (S. Klippel-Tre- naunay) o con acronimo (S. CLOVES). Non in tutte le forme cliniche la malformazione vascolare rappresenta l’ano- malia principale; poiché molto spesso il carattere che accomuna è l’accrescimen- to ipertrofico dei tessuti molli o il gigantismo scheletrico, si separano le malfor- mazioni complesse in due gruppi in base all’esistenza di ipertrofia/gigantismo o meno.

GRUPPO A • Klippel Trenaunay. È caratterizzata da una triade patognomonica: MV capillare cutanea, sottostante MV profonda (di solito mista linfatico-venosa), ipertrofia dei tessuti molli e delle ossa a carico dell’arto inferiore coinvolto (presente in più del 95% dei casi). È una patologia rara, solitamente sporadica, maschi e femmine sono colpiti in uguale proporzione. In alcuni soggetti si sono registrate mutazioni dei geni VG5Q e RASA1. Le strutture profonde spesso comunicano con i linfatici dermici determinando la comparsa di noduli crostosi che drenano all’esterno (lymphangioma circum- scriptum), la cui ulcerazione può portare a frequenti episodi di cellulite. Il coinvolgimento del circolo venoso profondo è pari al 20-100% dei casi a seconda delle casistiche: ipoplasia delle normali vene profonde dell’arto, oppure persistenza delle vene fetali. In particolare, vi può essere la persistenza della vena postassiale (tributaria laterale della safena) che nel tempo può diventare varicosa, con il rischio di tromboflebiti, trombosi ed embolia polmonare. L’eccessiva crescita dell’arto è documentabile con misurazioni seriate e controlli radiografici progressivi con misure. Sono stati descritti casi con associate ano- malie oculari e visceromegalia. In caso di coinvolgimento viscerale e pelvico si possono avere episodi di rettorragia ed ematuria. L’interessamento oculare può determinare teleangectasie congiuntivali, varicosità retiniche, angioma della co- roide, coloboma, eterocromia dell’iride. È possibile anche un coinvolgimento del sistema nervoso centrale: emangiomi intracranici e malformazioni arterovenose cerebrali, esacerbazioni superficiali cutanee a livello facciale, ritardo mentale e/o convulsioni. La diagnostica comprende valutazione EcoDoppler, AngioRm, monitoraggio ortopedico. È utile un trattamento ortopedico e fisiatrico per la prevenzione della scoliosi con solette ortopediche e ginnastica preventiva, ma se l’asimmetria degli arti è superiore di 3 cm vi è indicazione chirurgica correttiva (epifisiodesi). È utile inol- tre un monitoraggio dei parametri coagulativi per la possibile insorgenza di una Emangiomi ed anomalie vascolari cervico-facciali | 207 coagulopatia intravasale disseminata cronica di grado lieve (trombocitopenia, ipofibrinogenemia, aumento del d-dimero). Nel trattamento chirurgico trovano indicazione varicectomia, scleroterapia, laser.

• Proteus. La malformazione è correlata a una mutazione di gene AKT1c49G, si manifesta con mosaicismo e progressiva deformità, anomalie scheletriche di arti e estremità, iperostosi, dismorfismo facciale, ritardo mentale, vari tipi di mal- formazione vascolare, lipomi, tumori rari, nevi epidermici di aspetto cerebrifor- me (collagenomi) e limitata sopravvivenza. La diagnostica richiede AngioRMN; è necessario monitoraggio cerebrale, ortopedico, addominale. La terapia è solo conservativa.

• Macrocefalia Malformazione capillare. La malformazione capillare è diffusa e al centro del volto; il dismorfismo cranio facciale è evidente, con macrocefalia, un arto si presenta ipertrofico, mano o piede rivelano anomalie ed è possibile il ri- tardo mentale entro i 2 anni di vita. Studiata la mutazione del gene PIK3CA; per la diagnostica sono necessari RMN e TAC cerebrale e cranio facciale; la terapia è conservativa.

• Emiipertrofia – Lipomatosi o Becwith-Wiedemann (BWS).La macroglossia e l’onfalocele sono evidenti; si associano emiipertofia, lipomi, visceromegalia, mal- formazione capillare al centro del volto. Ignota la causa. Dopo diagnostica con RMN cerebrale e addominale, la terapia è conservativa.

• CLAPO (Capillary malformation-Limphatic malformation-Asymmetry-Partial/ generalized Overgrowth). La malformazione capillare interessa il labbro inferio- re, che diviene ipertrofico (macrocheilia), la malformazione linfatica (o venosa) interessa il volto o la lingua, l’asimmetria e la parziale o totale ipertrofia colpisce un segmento corporeo. Non vi è ritardo mentale. Per la diagnostica si impiega AngioRMN e la terapia può prevedere plastiche riduttive del labbro inferiore e trattamento chirurgico o sclerosante della componente linfatica.

GRUPPO B • Sindrome Blue Rubber Bleb Noevus (BRBN) o Sindrome di Bean. Sindrome del nevo blu gommoso vescicolare (sindrome di Bean). Si verifica un graduale accumulo, durante l’adolescenza, di malformazioni ve- nose nodulari multiple, di solito a localizzazione sottocutanea e dermica, con coinvolgimento gastroenterico, epatico, colecistico, polmonare, splenico, rena- 208 | Emangiomi ed anomalie vascolari cervico-facciali

le, muscolo scheletrico ed endocranico. I “nevi” a carico del tratto gastroenterico possono determinare anemia cronica da sanguinamento, a livello del sistema ner- voso centrale possono causare emorragie e ipertensione endocranica. Le lesioni cutanee possono essere presenti dalla nascita, hanno aspetto gommoso e bolloso e possono variare nel colore dal blu-nero al rosso porpora, e in dimensioni, for- ma, numero e sede, di solito a livello di arti superiori e tronco. Nelle aree circo- stanti può essere presente iperidrosi ed è comune il dolore notturno. La trasmissione è autosomica dominante, con coinvolgimento del cromosoma 9p, a livello del recettore della tirosina-kinasi (TIE2). La diagnostica richiede AngioRMN addominale, EGDS e colonscopia, video- capsula, monitoraggio della crasi ematica. Il trattamento di solito è volto alla so- luzione delle complicanze occlusive intestinali, a laser, anche endoscopico, terapia medica con Somatostatina o immunosoppressori in alcuni casi.

• Sindrome Osler-Weber_Rendu (OWR) alias Teleangectasia Emorragica Eredi- taria (HHT). È una malattia a trasmissione autosomica dominante. È in causa la mutazione di due geni coinvolti nello sviluppo del sistema circolatorio e nella riparazione dei tessuti: l’Endoglin (ENG) localizzato nel cromosoma 9 e l’Activin receptor-like Kinase-1 (ALK1) che risiede nel cromosoma 12. Si manifesta di solito nell’adolescenza con piccole teleangectasie cutanee e mu- cose che compaiono sulle labbra. Sia spontaneamente che a seguito di traumati- smi, si possono manifestare epistassi ed emoftoe, sanguinamenti anche cospicui a carico dell’apparato gastrointestinale con conseguente anemia, che si aggrava con l’età. Il coinvolgimento viscerale può interessare anche fegato, polmoni (soprat- tutto colpiti dagli shunts arterovenosi) e sistema nervoso centrale. Si possono for- mare fistole arterovenose in grado di causare cianosi, policitemia, dita a bacchetta di tamburo e, talvolta, ictus. Per la diagnostica sono necessarie Angio RMN e Tac polmonare. Il trattamento prevede laser per ridurre epistassi, embolizzazione delle MAV polmonari ed anche talidomide e bevacizumab.

• Sindrome di Bonnet-Dechaume-Blanc alias Sindrome Wiburn-Mason. Si carat- terizza per una triade di malformazioni vascolari superficiali e profonde: cutanee, retiniche ed encefaliche. Rarissima. Necessita di diagnosi con AngioRMN/Tac e la terapia, conservativa, può impiegare embolizzazione o tecniche stereotassiche sulle MAV cerebrali.

• Sindrome di Sturge Weber. Si tratta di una MV capillare a carico del territorio di innervazione della branca oftalmica del trigemino e cioè a sede fronto oculare, Emangiomi ed anomalie vascolari cervico-facciali | 209 con glaucoma; possibili sono le calcificazioni intracraniche o ipotrofia emisferica e crisi epilettiche di difficile trattamento, a esordio solitamente nel primo anno di vita, a causa di angiomatosi leptomeningea, soprattutto a livello occipitale e tem- porale. È legata a mutazione somatica del gene GNAQ nel cromosoma 9q21. Per la diagnostica si impiegano AngioRMN cerebrale, monitoraggio oculistico e neu- rologico. La terapia prevede antiepilettici, aspirina a basso dosaggio, terapia del glaucoma, laser sulla manifestazione cutanea ed eventuale chirurgia dei focolai epilettogeni.

• Sindrome di Maffucci. Si tratta di Malformazione venosa associata ad encon- dromatosi, che di solito coinvolge le dita delle mani o dei piedi e le estremità pros- simali e che può degenerare in condrosarcomi. In più del 50% dei casi le lesioni sono monolaterali, possono comparire in alcuni organi interni e nelle mucose, di solito della bocca, dell’esofago, dell’ileo e dell’ano. Le lesioni cutanee sono situate frequentemente in prossimità delle lesioni ossee. I pazienti sono solitamente di bassa statura e in casi di encondrosi grave monolaterale si può sviluppare scoliosi. Sono frequenti fratture ossee a carico dei segmenti affetti da encondrosi. Si ritiene che la sindrome sia legata ad una mutazione autosomica dominante dei geni IDH1 e IDH2 in mosaicismo somatico. La radiografia individua fleboliti; è indispensabile il monitoraggio ortopedi- co. Può manifestarsi alla nascita o più frequentemente più tardi nell’infanzia o nell’adolescenza. Nella gestione di questa complessa sindrome è necessario un approccio multidisciplinare chirurgico. ortopedico, fisioterapico e oncologico. La terapia chirurgica prevede osteotomia mirate, courettage e packing con innesti ossei, amputazioni di minima; sulla componente vascolare si impiegano sclero- terapia e laser. 210 | Emangiomi ed anomalie vascolari cervico-facciali

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Definizione

I Linfangiomi rientrano nella categoria degli amartomi e sono dovuti ad un difet- to nella linfoangiogenesi. Tre ipotesi cercano di spiegare l'origine di questa anomalia; la prima è che vi sia un blocco o l’arresto della normale crescita dei canali linfatici primitivi durante la embriogenesi, la seconda che sia causata dalla mancata connessione tra la sacca linfatica primitiva ed il sistema venoso mentre la terza che sia determinata da una anomala proliferazione del tessuto linfatico. L’incidenza dei linfangiomi è di 1-3 casi ogni 1.000 nati vivi; il capo ed il collo rappresentano la localizzazione più frequente (37-75%, figura 1, 2), meno fre- quente la localizzazione agli arti. I linfangiomi addominali (mesentere, pancreas, milza), retroperitoneali e toracici sono più rari (8-10%). I linfangiomi della regione del collo vengono anche chiamati igromi cistici ma rappresentano un’unica entità (Bill, Summer). La diagnosi avviene alla nascita nel 50% dei casi, nel 90% dei casi entro i due anni di vita.

Classificazione

I linfangiomi vengono suddivisi in forme macrocistiche, microcistiche (cisti di diametro inferiore a 1 cm) e miste. Le forme macrocistiche mediamente si repertano nei triangoli anteriore e po- steriore del collo, mentre le lesioni microcistiche coinvolgono prevalentemente strutture al di sopra del muscolo miloioideo quali la parotide, le ghiandole sotto- mandibolari, la cavità orale, la lingua e l’orofaringe. 214 | Linfangiomi del capo e del collo

In generale le malformazioni linfatiche al di sopra dell’osso ioide sono di tipo microcistico, mentre quelle al di sotto sono macrocistiche. Le forme microcisti- che della cavità orale e della lingua possono determinare sintomi ostruttivi a ca- rico delle vie aeree e digestive. Le forme microcistiche, se profonde, possono non essere visibili ed infiltrare i tessuti molli circostanti per poi raggiungere la superficie cutanea con caratteristi- che di vescicole o papule ipercheratosiche.

Figura 1 Linfangioma del volto.

Figura 2 Linfangiomi del collo.

L’igroma cistico rappresenta in assoluto la più frequente massa del collo nei neonati (75%-80%) e viene spesso diagnosticato in utero con l’ecografia o la riso- nanza magnetica nucleare. Linfangiomi del capo e del collo | 215

Le malformazioni linfatiche sono patologie in genere sporadiche ma posso- no essere associate a malformazioni artero-venose. I linfangiomi possono essere presenti in diverse sindromi tra cui vanno ricordate quelle di Gorham-Stout, di Maffucci, di Klippel-Trenaunay, di Kasabach-Merritt e Proteus, e nelle anomalie cromosomiche di Down e Turner.

Presentazione clinica

A livello del capo e del collo la localizzazione più frequente dei linfangiomi è nel triangolo laterocervicale, posteriormente al muscolo sternocleidomastoideo; in tale sede vi può essere una crescita della malformazione in senso craniale verso le strutture della cavità orale, in senso caudale verso il torace e all’interno avvolgen- do i vasi del collo o interessando le pareti della faringe. Le altre localizzazioni sono a livello del pavimento della cavità orale, della lin- gua e della parotide; quando la malformazione si presenta nella cavità orale si possono identificare, oltre all’effetto massa, numerose vescicole sulla superficie mucosa con tendenza a lacerazione con gemizi ematici e linforrea. Nella forma macrocistica del collo (igroma cistico) la malformazione si pre- senta di consistenza morbida, transilluminabile e non dolente alla palpazione, nella maggior parte dei casi si riscontrano più cisti di dimensioni maggiori ai 2-3 cm di diametro ma non è rara l’associazione con forme microcistiche; in tali casi, definite forme “miste”, andranno escluse localizzazioni più profonde.

Se la lesione è poco comprimibile ed è di consistenza dura è importante la dia- gnosi differenziale con: • malattia linfoproliferativa; • linfoadenopatia acuta/cronica; • neoformazione tumorale (es neuroblastoma/teratomi).

Se la lesione appare invece comprimibile è necessario escludere: • malformazioni vascolari (l’ecografia e l’eco-color-doppler indirizzano la dia- gnosi); • cisti degli archi branchiali.

La storia naturale del linfangioma può essere caratterizzata da una stabilità del- le dimensioni (il bambino cresce ed il linfangioma appare di dimensioni sempre minori) o da un aumento; in caso di dimensioni maggiori e/o variazioni della 216 | Linfangiomi del capo e del collo

consistenza bisogna prevedere la possibilità di infezione locale o di sanguinamen- to intralesionale (soprattutto nelle forme macrocistiche). In caso di sanguinamento il linfangioma appare di dimensioni aumentate, di consistenza dura, la cute sovrastante spesso è normale e non dolente alla palpa- zione; l’ecografia dimostra la presenza di materiale corpuscolato all’interno delle cisti che in precedenza erano anecogene. In caso di infezione locale, oltre l’aumento di consistenza e di dimensioni, la palpazione del linfangioma risulta dolorosa e la cute sovrastante spesso è ipere- mica e calda. In questi casi può essere indicato il drenaggio percutaneo del mate- riale allo scopo di ridurre l’effetto massa di compressione sulle strutture cervicali contigue. Nelle forme estese con complicazioni emorragiche ed infettive invece può es- sere indicato un supporto nutrizionale con sondino naso gastrico per una nutri- zione enterale o per via parenterale. La eventuale compressione delle vie aeree invece può richiedere il confeziona- mento di una tracheostomia, che si può rendere necessaria nei linfangiomi della cavità orale e della lingua, molto più raramente nei casi di linfangiomi laterocer- vicali di grandi dimensioni in previsione o a seguito del trattamento sclerosante o chirurgico.

Diagnosi

L’inquadramento diagnostico dei linfangiomi del capo e del collo prevede i se- guenti esami: • ecografia; • eco-color doppler; • risonanza magnetica nucleare (RMN).

L’ecografia è la prima indagine diagnostica da eseguire, consente di definire le caratteristiche del linfangioma e spesso, associata alla metodica doppler, risulta sensibile e specifica per la diagnosi differenziale. In previsione del trattamento chirurgico (sclerosante o exeresi) è necessario eseguire la risonanza magnetica nucleare (RMN); tale metodica risulta utile nel follow up e dirimente per quanto riguarda i rapporti anatomici del linfangioma ed il grado di infiltrazione locale (figura 3, figura 4). Il limite della RMN è rappre- sentato dalla necessità di sedazione dei pazienti. Linfangiomi del capo e del collo | 217

Figura 3 Immagine RM di linfangioma latero-cervicale.

Figura 4 Immagine RM di linfangioma latero-cervicale. 218 | Linfangiomi del capo e del collo

I linfangiomi (in particolare gli igromi cistici) vengono spesso diagnosticati in utero. Se la lesione determina una ostruzione delle vie aeree superiori può es- sere indicata al momento del parto la procedura EXIT (ex utero intra partum treatement) per accedere alle vie aeree prima della legatura del cordone ombe- licale.

Istopatologia

Non vi è dal punto di vista istopatologico alcuna differenza tra le forme macro- cistiche e quelle microcistiche. Le pareti delle cisti sono rivestite da cellule endo- teliali, ripiene di un liquido chiloso. Lo stroma connettivale è ricco di fibroblasti, leucociti ed adipociti.

Trattamento

Osservazione I linfangiomi in genere crescono con il bambino ma possono anche andare in- contro ad una regressione spontanea che può essere completa. In letteratura gli studi riportano una risoluzione spontanea nel 2-41%, attualmente si ritiene che sia inferiore al 5%.

Scleroterapia Le forme macrocistiche sono quelle che maggiormente si avvantaggiano della scleroterapia. Gli agenti sclerosanti utilizzati sono: OK 432 (“Picibanil”), alcool, bleomicina, doxiciclina, tetracicline, polidocanolo, sodio tetradecil-solfato: questi ultimi due anche sotto forma di schiuma. L’impiego della bleomicina deve essere valutato attentamente perché responsabile di fibrosi polmonare secondaria. È stato di recente preso in considerazione l’utilizzo della Rapamicina.

Tecnica con OK432 L’agente sclerosante più utilizzato è l’OK432, sostanza derivata da ceppi di strep- tococchi piogeni; tale sostanza iniettata all’interno delle macrocisti promuove un processo infiammatorio locale con successivo riassorbimento ed adesione solida- le delle pareti delle macrocisti linfangiomatose. L’intento della terapia sclerosante è quello di eliminare la “camera di raccolta” linfatica. Linfangiomi del capo e del collo | 219

Il paziente necessita di anestesia generale e intubazione oro tracheale; soprat- tutto nelle forme macrocistiche laterocervicali estese, il posizionamento del pa- ziente è fondamentale al fine di esporre le cisti (rialzo sotto le spalle e posizione lateralizzata del collo); il campo chirurgico sterile e la protezione della sonda eco- grafica limitano notevolmente il rischio infettivo. Prima della manovra va instau- rata una terapia antibiotica. La procedura va eseguita con l’ausilio di sonde ecografiche dotate di puntatore per poter essere maggiormente precisi nell’inserimento dell’ago. Si identificano le sedi da trattare e si procede con l’inserimento ecoguidato dell’ago, con cautela al fine di evitare sanguinamenti e preferibilmente, mediante l’ausilio del puntatore, al centro della lesione. Si procede con la graduale e lenta aspirazione del contenuto della cisti (circa il 70%) e iniettando successivamente il 50% del volume del materiale aspirato di una soluzione di OK432 diluito al 50% con soluzione fisiologica (figura 5, 6).

Figura 5, 6 Scleroterapia con OK432.

La manovra di iniezione deve essere eseguita mantenendo l’ago nella stessa posizione della aspirazione; il successo della manovra viene verificato ecografi- camente osservando la caratteristica “flocculazione” dell’agente sclerosante all’in- terno della cisti. Durante una unica seduta operatoria possono essere trattate più macrocisti contigue.

Tecnica con Rapamicina Nei casi di linfangiomi di grandi dimensioni o in stretta connessione con strut- ture vascolari vitali e vie aeree è stata recentemente presa il considerazione la possibilità di somministrare il Sirolimus (Rapamicina). 220 | Linfangiomi del capo e del collo

Studi recenti hanno dimostrato l’efficacia del farmaco sia come supporto alla chirurgia sia come terapia di riduzione e stabilizzazione di linfangiomi estesi ed infiltranti. Il Sirolimus è un farmaco immunosoppressore usato per prevenire il rigetto nei trapianti d’organo; è un antibiotico macrolide scoperto come prodotto di un batterio (Streptomyces hygroscopicus) in un campione di terreno proveniente da Rapa Nui (isola di Pasqua), e per questo motivo è anche chiamato Rapamicina. La rapamicina nei mammiferi ha come bersaglio una serina treonina chinasi (mTOR, mammalian Target Of Rapamycin) che regola la crescita, la proliferazio- ne, la motilità e la sopravvivenza delle cellule. Diversi nuovi farmaci antitumorali sono mirati ad inibire questo enzima. Il Farmaco prevede una somministrazione orale (es: da 04-0,8 mg/m2 – 2 vol- te/die) e necessita si essere dosato costantemente mediante esami ematici per ve- rificarne la disponibilità e stabilità dei livelli ematici (da 1 volta alla settimana nelle prime fasi a circa 2 volte la settimana). La somministrazione di Sirolimus non è priva di effetti collaterali quali astenia, nausea, anoressia, associati a anemia, trombocitopenia, iperglicemia, iperlipe- mia, ipertrigliceridemia, ipercreatininenia, linfopenia, ipofosfatemia. Sono stati descritti anche effetti collaterali rari ma potenzialmente gravi associati all’uso di Sirolimus, come infezioni sistemiche e disordini cardiaci.

Decorso postoperatorio Il normale decorso postoperatorio prevede una reazione infiammatoria locale con aumento della tumefazione, non è raro il riscontro di iperemia cutanea sovra lesionale; tale reazione infiammatoria è accompagnata da febbre. Il trattamento è sintomatico con la somministrazione di analgesici e di antibio- tico terapia. Nei giorni successivi si assisterà ad una graduale diminuzione della infiammazione locale con riduzione delle dimensioni del linfangioma fino alla completa involuzione. In alcuni casi il successo terapeutico può risultare parziale con la possibilità di poter sottoporre il paziente ad una ulteriore procedura dopo alcuni mesi (gene- ralmente almeno 6 mesi). Il trattamento con agente sclerosante delle forme macrocistiche del viso e del collo deve essere accuratamente pianificato, bisogna sempre considerare la possi- bilità che una lesione non ostruente le vie aeree e dei vasi vascolari possa diven- tarlo successivamente alla scleroterapia. Nelle lesioni estese non è da sottovalutare la necessità di eseguire una trache- ostomia. Linfangiomi del capo e del collo | 221

La terapia sclerosante può essere impiegata anche nelle forme microcistiche, in questo caso l’iniezione non va fatta nelle cisti, ma negli spazi interstiziali.

Il Laser I migliori risultati si ottengono con il laser CO2 ed il Neodimio YAG laser di superficie o interstiziale. Il laser si utilizza preferibilmente per trattare le localiz- zazioni malformative della mucosa e quelle cutanee. Nelle lesioni prevalentemente microcistiche della mucosa della cavità orale compresa la lingua il trattamento è in prima istanza mirato a diminuire sia l’effet- to massa che la tendenza al sanguinamento/linforrea.

Trattamento chirurgico La terapia chirurgica viene riservata ai linfangiomi: • macrocistici che rispondono parzialmente alla scleroterapia o in cui il tratta- mento non ha avuto alcun beneficio; • linfangiomi misti o con multiple microcisti.

Il trattamento chirurgico dipende dalla compressione esercitata dal linfangioma e dalla infiltrazione delle strutture circostanti. Le forme più superficiali e meno estese possono essere asportate semplicemen- te con dissezione accurata ai margini della lesione, così da consentire l’identifi- cazione della integrità del linfangioma, al fine di evitare una prolungata e profu- sa linforrea postoperatoria oppure la recidiva locale. Molto spesso è necessario asportare anche porzioni di cute per infiltrazione del derma. Nei casi di lesioni profonde con aspetto infiltrativo e compressivo la procedura chirurgica può risultare più indaginosa; in tali evenienze la dissezione deve pre- vedere l’identificazione e spesso l’isolamento delle strutture vascolari del collo utilizzando per quelle nervose e non per ultimo il monitoraggio elettromiografico intraoperatorio - NIM (Nerve Intraoperative Monitoring System). Generalmente vanno rispettate alcune importanti regole: • l’accesso deve essere ampio, attraverso un’incisione trasversale, seguendo le linee cutanee; • la dissezione deve essere accurata, preservando tutte le strutture vascolari e nervose; • vanno legati accuratamente i vasi linfatici afferenti; • in un piccolo numero di casi le lesioni si possono estendere all’ascella o al mediastino; • si tratta di lesioni benigne per cui non è ammessa una chirurgia demolitiva. 222 | Linfangiomi del capo e del collo

Nelle forme microcistiche la chirurgia ha un compito fondamentalmente ri- duttivo, non deve essere mutilante anche se la recidiva è inevitabile. La chirurgia può inoltre dare origine ad esiti cicatriziali che talvolta hanno ripercussioni anche da un punto di vista funzionale (figura 7).

Figura 7 Linfangioma latero-cervicale prima e dopo l’asportazione chirurgica. Linfangiomi del capo e del collo | 223

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8. Lesioni pigmentate della faccia e del collo

Introduzione

Le lesioni neviche congenite della regione della testa e del collo sono rappresenta- te dai nevi melanocitici e dai nevi sebacei, si presentano con una incidenza com- plessiva variabile tra l’1,5 e il 2,5%. In entrambi i casi si tratta di lesioni di tipo amartomatoso con interessamento, nel primo caso, di cellule derivanti dalla cre- sta neurale e, nel secondo caso di strutture del follicolo pilosebaceo. La relazione tra nevo congenito e sviluppo di neoplasia maligna rappresenta l’aspetto più saliente nell’approccio clinico e chirurgico a queste lesioni; tuttavia la localizzazione al volto e al collo e la presenza già alla nascita, soprattutto nelle lesioni di dimensioni considerevoli, pongono comunque rilevanti implicazioni anche di tipo estetico.

Nevi melanocitici

Definizione e storia naturale I nevi melanocitici congeniti sono dovuti ad una abnorme proliferazione di cellu- le melanocitarie di derivazione della crestea neurale. Rientrano nell’ambito degli “amartomi”, sono di solito lesioni circoscritte della pelle e delle mucose visibili, ma possono coinvolgere anche il sistema nervoso centrale e le meningi, condizio- ne che viene definita melanosi neuro cutanea. I nevi melanocitici sono presenti alla nascita ma possono non essere evidenti nei primi mesi di vita; quelli che compaiono dopo il periodo neonatale e fino ai due anni, anche se non possono essere considerati congeniti, hanno le stesse ca- ratteristiche e storia naturale dei congeniti e vengono definiti tardivi. 226 | Lesioni pigmentate della faccia e del collo

Durante la crescita del bambino oltre all’aumento progressivo di volume, i nevi, inizialmente chiari, piani, soffici e con una superficie priva di peli, possono dive- nire di colore più scuro, andare incontro a ipertricosi e assumere una superficie papulosa, verrucosa o addirittura cerebriforme (figura 1).

Figura 1 Nevo melanocitico congenito.

In epoca neonatale la fragilità della cute può determinare la formazione di ul- cerazioni superficiali, che, qualora non dimostrino in breve tempo una sponta- nea tendenza alla guarigione, potrebbero essere segno di trasformazione maligna. Sulla superficie nevica occasionalmente possono comparire formazioni nodulari, espressione nella maggior parte dei casi di neurotizzazione benigna dei melanoci- ti localizzati nel derma oppure anch’esse di possibile proliferazione maligna.

Embriologia I nevi sono dovuti ad un errore di differenziazione tissutale che determina la formazione di un insieme amartomatoso di cellule della cresta neurale, i ne- voblasti, che embriolagicamente sono correlate al melanocita. In particolare i nevoblasti darebbero origine sia ai melanociti dell’epidermide attraverso la differenziazione in melanoblasto sia a quelli intradermici con un origine dalle cellule di Schwann. Da un punto di vista embriologico vale la pena di ricordare una lesione che coinvolge aree adiacenti della palpebra inferiore e di quella superiore e che ap- pare come un’unica lesione quando le palpebre sono chiuse (nevo bipartito delle palpebre, “kissing nevus”, “ panda nevus”). Ciò implica che il nevo si è venuto a costituire fra la 9° e la 20° settimana di gestazione, quando le palpebre sono an- cora fuse. Lesioni pigmentate della faccia e del collo | 227

Epidemiologia L’incidenza di tali lesioni pigmentate è variabile: nei nuovi nati si ritiene che essa vari dall’1% al 2,5%. La testa è insieme al tronco una delle aree più spesso interessate.

Classificazione La classificazione rappresenta uno strumento fondamentale per la stratificazione del rischio di complicanze, quali il melanoma e la melanosi neurocutanea. I nevi vengono comunemente classificati in base alle dimensioni, ovvero al dia- metro massimo che si presume raggiungeranno nell’età adulta. Essi, infatti, ten- dono ad aumentare progressivamente di volume in proporzione all’accrescimento corporeo. Per calcolare le dimensioni finali, si moltiplica il diametro massimo, misurato in epoca neonatale, per un fattore variabile che nel distretto faccia-collo è pari ad 1,7. Nell’ambito della stratificazione del rischio delle complicanze, ol- tre alle dimensioni della lesione previste in età adulta, anche altre caratteristiche sono ritenute importanti: la sede, la presenza di nodularità, l’eterogeneità del co- lore e il numero di nevi satellite.

Dimensioni proiettate all’età adulta Caratteristiche morfologiche (diametro in cm) Eterogeneità di colore Piccoli <1.5 CO Nessuna Medi C1 Moderata M1 1.5-10 C2 Marcata M2 >10-20

Grandi Rugosità della superficie L1 >20-30 L2 >30-40 R0 Nessuna R1 Moderata Giganti R2 Marcata G1 >40-60 G2 >60 Noduli dermici o sottocutanei

Multiple N0 Nessuno ≥3 medi senza presenza di un gigante N1 Sparsi N2 Estesi Numero di nevi satelliti Ipertricosi S0 0 S1 <20 H0 Nessuna S2 20-50 H1 Aprezzabile S3 >50 H2 Marcata 228 | Lesioni pigmentate della faccia e del collo

Istologia Tutti i NMC sono costituiti da melanociti trasformati in cellule che assomigliano poco alla progenitrice da cui derivano di forma dendritica; le cellule neviche, infatti, sono rotonde/ovali e sono provviste di nuclei uniformi senza nucleoli pro- minenti. Queste formano degli aggregati rotondeggianti ben definiti, i nidi, che inizialmente crescono lungo la giunzione dermo-epidermica. Tali lesioni sono definite nevi giunzionali. Con il tempo le cellule neviche iniziano a crescere nel derma sottostante e danno origine a nevi composti, in cui coesistono nidi intra- epidermici e nidi dermici. Le lesioni più vecchie possono perdere la loro compo- nente intraepidermica e divenire nevi dermici. Istologicamente i NMC presenta- no quindi le stesse caratteristiche morfologiche architetturali dei nevi acquisiti. La maggior parte dei NMC sono composti o intradermici, i nevi giunzionali ov- viamente sono molto rari, poiché rara è l’asportazione di delle lesioni melanociti- che in epoca neonatale. I nevi melanociti congeniti hanno delle caratteristiche istologiche peculiari: a) la profondità (la proliferazione nevica interessa anche il derma profondo); b) la densità (l’infiltrato nevico dermico si dispone in grossi fasci paralleli all’e- pidermide); c) la disposizione “a fila indiana” delle singole cellule neviche tra i fasci colla- geni; d) la disposizione pervasale, perineurale, peri- ed endoannessiale; e) gli spiccati fenomeni di neurotizzazione; f) la presenza di melanofagi e melanina extracellulare negli strati dermici più profondi.

Associazioni e complicanze Sequele neurologiche In associazione ai nevi melanocitici congeniti sono state segnalate numerose complicanze neurologiche, le più importanti delle quali includono la spina bifida e la melanosi neurocutanea. La melanosi neurocutanea è un’affezione congeni- ta caratterizzata da nevo gigante o nevi multipli di medie dimensioni e tumori melanocitari benigni o maligni del sistema nervoso centrale (melanocitosi lepto- meningea). Quando essi sono localizzati posteriormente e lungo la linea media- na (cuoio capelluto, collo) il rischio di melanosi leptomeningea è aumentato. La melanosi neurocutanea è una condizione rara e i pazienti portatori devono essere monitorati clinicamente nel tempo al fine di identificare precocemente segni o sintomi di un aumento della pressione endocranica o di una compressione del midollo spinale. La melanosi neurocutanea diviene sintomatica in una piccola Lesioni pigmentate della faccia e del collo | 229 percentuale di casi, stimata intorno al 4.5%-11%, ma, quando ciò avviene, la pro- gnosi è sempre severa, con un’alta mortalità entro il primo anno di vita. Lo scre- ening per la melanosi neurocutanea è effettuato nei pazienti a rischio mediante risonanza magnetica iniziando ai sei mesi di età.

Sequele neoplastiche Il rischio di sviluppare un melanoma nel corso della vita (lifetime risk) interessa soprattutto i bambini con nevi larghi e giganti e varia in questi ultimi dal 2% al 5%; nel 50% dei casi la degenerazione neoplastica avviene entro i primi 5 anni di vita. Nei casi di melanoma in nevomelanocitico congenito l’età entro cui viene fatta la diagnosi è di 6 anni, con una mediana di 3 anni. Invece, nei casi di mela- noma in melanosi neurocutanea l’età si riduce a 5 anni; in più della metà dei casi si tratta di NMC medi multipli. La localizzazione posteriore/assiale e la presenza di numerosi nevi satelliti rappresentano in questo gruppo di pazienti un ulteriore fattore di rischio. Per quanto riguarda invece il rischio di melanoma in caso di nevi piccoli e medi, esso è stimato intorno all’1% e l’età di insorgenza post-pubere. In generale comunque i melanomi che insorgono tra zero e dieci anni sono più aggressivi rispetto a quelli ad insorgenza post-pubere.

Indicazione al trattamento chirurgico Il trattamento chirurgico dei nevi melanocitici congeniti, indipendentemente dalle loro dimensioni, deve considerare: la percentuale stimata di rischio di mela- noma, l’età del paziente, il risultato estetico, la complessità chirurgica e il rischio anestesiologico.

Nevi melanocitici larghi e giganti Il rischio di sviluppare melanoma appare rilevante soprattutto nei primi cinque anni di vita. L’exeresi dei nevi dovrebbe quindi essere, ove praticabile, più precoce possibile, anche se non esiste ancora oggi un consenso uniforme circa il miglior trattamento per i pazienti affetti da NMC larghi/giganti. Alcune considerazioni generali sono tuttavia ampiamente condivise: 1. i nevi giganti rappresentino lesioni da trattare precocemente e, se possibile, da asportare radicalmente, sia per motivi estetici, che oncologici; 2. le tecniche di chirurgia tradizionale (asportazione in più tempi +/- utilizzo di espansori, lembi, innesti o sostituti cutanei) nella maggior parte dei casi non permettono la rimozione completa di tali lesioni; 3. il melanoma spesso non insorge sulla superficie del nevo ma in altre sedi, cu- tanee e non, quindi la rimozione del nevo gigante stesso non riduce, se non 230 | Lesioni pigmentate della faccia e del collo

parzialmente, il rischio di melanoma; in questo senso il rischio di melanoma non giustifica una chirurgia iniziale aggressiva, potenzialmente mutilante, ma impone un follow-up molto accurato; 4. la rimozione parziale e precoce della lesione nevica mediante tecniche meno invasive, come la dermoabrasione meccanica o con tecnica idrochirurgica o il laser, rappresenta un’alternativa valida alla chirurgia; 5. la diagnosi (clinica, mediante individuazione di segni e sintomi neurologici di aumento della pressione intracranica o compressione midollare, e radio- logica, mediante esecuzione di risonanza magnetica cerebrospinale nei pri- mi mesi di vita) e il monitoraggio nel tempo della melanosi neurocutanea appaiono provvedimenti fondamentali, sia da un punto di vista clinico che prognostico.

L’approccio ai pazienti affetti da NMC larghi/giganti si fonda su tre principali considerazioni: (1) ottenere un risultato estetico soddisfacente, (2) ridurre al mi- nimo il rischio di melanoma, e (3) contenere il rischio anestesiologico e chirur- gico.

Nevi melanocitici piccoli e medi Per nevi melanocitici congeniti piccoli e medi, poiché il rischio stimato di mela- noma in età pediatrica è assai ridotto, è indicato adottare un atteggiamento di tipo conservativo, mediante la sola osservazione clinica, fino alla pubertà, epoca in cui è possibile procedere all’eventuale exeresi della lesione anche in anestesia locale. Il criterio discriminativo per la tecnica chirurgica in questo tipo di lesioni è rappre- sentato dalle dimensioni e dalla sede. In genere è possibile eseguire un’exeresi in unico tempo con chiusura per prima intenzione. Nel caso di lesioni di diametro considerevole (5 cm o più) e in considerazione della sede può essere utile l’impie- go di tecniche chirurgiche più ricercate quali le escissioni seriate, l’asportazione con innesto o l’utilizzo di espansori cutanei.

Nevi sebacei

Definizione e storia naturale Il nevo sebaceo è una lesione tipica dell’infanzia, essendo congenita, e si localizza preferenzialmente a livello del cuoio capelluto e, secondariamente, del viso e del collo. Il nevo sebaceo è una malformazione amartomatosa congenita, che interes- sa il follicolo pilosebaceo. Lesioni pigmentate della faccia e del collo | 231

Figura 2 Nevo sebaceo del volto (a sinistra) e del cuoio capelluto (a destra).

Eziopatogenesi ed epidemiologia Circa 0,3% dei neonati è affetto da nevo sebaceo, con uguale incidenza nei due sessi. La lesione non è ereditaria ma insorge come mutazione somatica, post-zigotica, che interessa i geni della famiglia RAS (localizzati a livello del braccio corto del cromo- soma 11 e 12). Il nevo sebaceo presenta caratteristiche anatomiche e istologiche che si modificano nel corso degli anni; nel neonato, per effetto degli ormoni materni, vi è un temporaneo aumento della componente ghiandolare sebacea, che poi si riduce nel corso della prima e seconda infanzia, per crescere di nuovo durante l’adolescen- za, sotto lo stimolo delle modificazioni ormonali tipiche della pubertà.

Istologia Da un punto di vista istologico la lesione appare come un insieme di elementi anomali, sia a livello di epidermide (acantosi e papillomatosi moderata), che a livello di follicolo e delle ghiandole sebacee ed apocrine; in particolare le ghian- dole sebacee appaiono malformate, prive di dotti escretori, aumentate di volume e localizzate in posizione particolarmente alta nel derma; lo sviluppo del follicolo pilifero è incompleto e le ghiandole apocrine sono ectopiche.

Clinica Il nevo sebaceo interessa prevalentemente il cuoio capelluto (60% dei casi) e, secondariamente il volto (32,6%), la regione anteriore al trago (3,8%), il collo (3,2%). A livello del cuoio capelluto la lesione è associata a parziale o totale alo- pecia Alla nascita o poco dopo, il nevo sebaceo appare come una lesione solitaria, asintomatica, giallastra, soffice, ben circoscritta, con una configurazione ovalare 232 | Lesioni pigmentate della faccia e del collo

o lineare (figura 2). Le dimensioni in genere rientrano tra 1 e 6 cm. Durante la pubertà la lesione diviene più prominente e può assumere un aspetto verrucoso o mammellonato, secondariamente alle modificazioni ormonali tipiche dell’età. In genere il nevo sebaceo è una lesione isolata.

Associazioni e complicanze In rarissimi casi nevi sebacei lineari di dimensioni considerevoli possono essere associati a problemi neurologici (ritardo mentale, epilessia, problemi oculari). Il rischio di degenerazione neoplastica di un nevo sebaceo è ancora oggetto di controversie; ciò influenza naturalmente l’indicazione al trattamento, soprattutto per quanto riguarda il timing. In passato i pazienti affetti da nevo sebaceo erano considerati a rischio significativo di sviluppare una neoplasia maligna seconda- ria, in particolare un carcinoma e in quest’ottica veniva proposto un trattamento profilattico precoce. Studi più recenti hanno invece dimostrato che il rischio di sviluppo di neoplasia maligna è piuttosto basso mentre è relativamente alto il rischio di sviluppo di una neoplasia benigna. Il rischio generico in pazienti adulti di sviluppare una neoplasia su un nevo sebaceo varia tra il 13 e il 18,9%, maligna tra 0,8 e 3,5%; non sono riportati casi di trasformazione maligna in pazienti di età inferiore ai 10 anni. Più del 90% dei tumori che si sviluppano da un nevo sebaceo sono di natura benigna; sono stati descritti più di 40 istotipi diversi: il tricoblastoma, il siringo- cistoadenoma papillare e l’idrocistoma apocrino sono le forme istologiche più frequenti. La neoplasia maligna che più frequentemente si sviluppa, comunque con incidenza inferiore allo 0,8%, è il carcinoma basocellulare. In letteratura non esistono criteri riguardanti la classificazione dei nevi sebacei né linee guida sul trattamento chirurgico. Per le dimensioni, utilizza la classifica- zione dei nevi melanocitici congeniti.

Indicazioni al Trattamento chirurgico L’exeresi chirurgica è raccomandata a scopo di prevenzione neoplastica in genere nella terza infanzia o nell’adolescenza, quando il rischio anestesiologico è netta- mente ridotto o quando è possibile adottare tecniche di anestesia locale. La tec- nica chirurgica impiegata è l’escessione diretta, date le dimensioni contenute di queste lesioni. Lesioni pigmentate della faccia e del collo | 233

Tecniche chirurgiche nel trattamento delle lesioni pigmentate

Dermoabrasione La tecnica della dermoabrasione,che ha una indicazione specifica nei nevi mela- nocitici giganti, venne descritta per la prima volta da Moss nel 1987. Egli soste- neva che vi fosse un temporaneo piano di clivaggio tra il derma superficiale, che contiene il maggior numero di cellule pigmentate, e il derma profondo; questo faciliterebbe la separazione tra i due strati. L’asportazione delle cellule più superficiali, scopo della dermoabrasione, garan- tisce una considerevole diminuzione del numero di cellule melanocitarie dalla lesione, riducendo così le possibilità di trasformazione in melanoma, La dermoabrasione è una tecnica non escissionale che consente quindi la ri- mozione della componente melanocitaria più attiva, riducendo quindi il maggior rischio di trasformazione neoplastica. La procedura si esegue partendo dal centro della lesione verso i margini. Il trat- tamento consente la rimozione degli strati più superficiali, mantenendo lo strato più profondo del derma nel quale si trovano i follicoli piliferi e le ghiandole su- doripare, che provvederanno a fornire le cellule necessarie alla riepitelizzazione. A volte quest’ultima può avvenire senza pigmentazione dal momento che in età precoce il numero dei melanociti nel derma è molto ridotto. La procedura deve essere eseguita entro le prime 2-3 settimane di vita per cui prevede la necessità di una assistenza neonatale adeguata, anche in considerazio- ne dell’entità della perdita di sangue, plasma ed elettroliti a cui viene esposto il neonato in seguito al trattamento. Nell’ambito della dermoabrasione possono essere comprese due metodiche, che ne condividono i principi anatomici ma che differiscono per quanto riguarda gli aspetti tecnici: • curettage: prevede l’utilizzo di un piccolo cucchiaio con margini smussi e taglienti (curette di Volkmann) oppure un bisturi manuale; • idrochirurgia: è un sistema per il taglio, l’ablazione e la rimozione dei tessuti che sfrutta un getto ad alta velocità di soluzione salina, avvalendosi dell’effetto Venturi.

Il trattamento con idrochirurgia ha a alcuni vantaggi tra cui la possibilità di ca- librare l’intensità dell’azione chirurgica evitando una eccessiva asportazione di derma, la garanzia di risparmio di tessuto sano con una riduzione del sanguina- mento e del rischio infettivo. 234 | Lesioni pigmentate della faccia e del collo

Figura 3 Trattamento con idrochirurgia di un nevo melanocitico gigante della faccia.

Escissione Escissione semplice. La chirurgia tradizionale rappresenta l’unico trattamento utile, con asportazione fino all’ipoderma e margini di sicurezza di 3-6 mm. Si utilizza un lembo di scorrimento che utilizza l’elasticità e l’estensibilità della cute circostante la perdita di sostanza creatasi dopo l’asportazione del nevo. L’asportazione può essere associata a: • Plastica a Z. Con questa tecnica chirurgica si creano due flap triangolari di uguali dimensioni che vengono poi trasposti. I due lembi cutanei sono creati con un angolo di 30°, 45° e 60° che rende più semplice la loro rotazione. • Lembi di rotazione e avanzamento. L’uso di lembi può essere un approccio isolato oppure in associazione con gli espansori cutanei. Il vantaggio sussiste per la loro versatilità che ne consente l’applicazione in quelle aree in cui l’e- scissione seriata non è consentita. In particolare il lembo di rotazione è piut- tosto vantaggioso nel ricoprire i difetti del volto, specie nelle aree temporale, parotidea, nasale, mentoniera ed i sede retroauricolare.

Escissioni seriate. Le prime applicazioni dell’escissione seriata risalgono al 1915 (Morestin). La tecnica dell’escissione seriata è basata sull’ipotesi che le forze che Lesioni pigmentate della faccia e del collo | 235 agiscono attraverso una cicatrice – creata dalla sutura di un difetto sotto tensione – causino una crescita eccessiva del tessuto, sufficiente ad alleggerire la tensione e permettere un’ulteriore escissione nella stessa area. La metodica si avvale in genere di tre o quattro operazioni a intervalli circa di sei mesi, iniziando preferi- bilmente nel primo anno di vita. Tale tecnica è più adatta per le lesioni di forma ellittica. Sebbene ci sia una crescita sostanziale lungo l’asse di tensione, una volta chiusa, la ferita regredisce in modo che gli interventi successivi possano essere eseguiti all’interno dei margini della lesione con una cicatrice finale che si presen- ta solo leggermente più lunga del normale.

Innesti Accanto ai lembi, l’altra modalità di riparazione è rappresentata dagli innesti, tec- nica che viene utilizzata nel trattamento delle ustioni. Un innesto ideale dovrebbe provocare un danno minimo in sede di prelievo ed un risultato ottimale in sede di applicazione. Gli innesti cutanei si dividono in innesti a spessore parziale ed innesti a tutto spessore. La scelta dipende dall’entità del difetto cutaneo da dover ricoprire, per superfici estese sono possibili solo quelli a spessore parziale. Una variante dei questa tecnica è costituita dalle “culture cellulari” con la cre- azione di tessuto cutaneo neoformato che viene fatto crescere in laboratorio par- tendo dalle cellule cutanee dello stesso individuo.

Espansori tissutali Lo scopo degli espansori cutanei è quello di distendere il normale tessuto cutaneo adiacente alla lesione e la cui escissione crea una soluzione di continuità, in modo tale che la cute espansa possa successivamente essere utilizzata per ricoprire da una parte all’altra il difetto senza tensione. La decisione di utilizzare gli espansori cutanei scaturisce dalla potenziale morbilità e dalla necessità di ridurre il numero degli interventi.

Laser terapia L’efficacia e la sicurezza dell’impiego del laser nelle lesioni pigmentate congenite sono oggetto di discussione e non esiste al momento alcuna evidenza della validi- tà di questa terapia soprattutto per quanto riguarda i risultati a distanza. Il Q-switched è il tipo di laser più utilizzato nei nevi dalle dimensioni piccole a medie, mentre i nevi di grandi dimensioni vengono in genere trattati con i laser ablativi come il neodimio Yag e quello a CO2 perché garantiscono una maggiore profondità e riducono il sanguinamento. 236 | Lesioni pigmentate della faccia e del collo

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Chirurgia Plastica Pediatrica Chirurgia Plastica Pediatrica

Le malformazioni congenite della faccia e del collo

ISBN 978-88-944190-5-4

9 788894 419054

Chirurgia Plastica Pediatrica STAMPA cover.indd 1 17/12/19 19:39