SANDRO MARAGNO

MILLE ANNI

Villa Litiza, una comunità dispersa dalla diversione del P o

In copertina: Le colonne monolitiche di Villa Litiza - fotoelaborazione di Marco Maragno -

MILLE ANNI

Villa Litiza, una comunità dispersa dalla diversione del Po

Di Sandro Maragno

L’insediamento urbano di Polesella con la sua chiesa parrocchiale e le sue varie componenti di sistema, rappresenta il punto di arrivo di una sequenza di migrazioni di Ville, intese nell’accezione medievale di centro abitato 1, che ha avuto inizio nel XII secolo. Contestualmente o quasi anche i loro abitanti si sono trasferiti e sono state traslate le chiese plebane con le funzioni e i titoli. Il particolare processo evolutivo ha preso l’abbrivio in seguito alla Rotta di Ficarolo (detta talora anche del Sicardo), la rupta, registrata press’a poco verso la metà del XII secolo e i cui effetti principali furono compiutamente definiti solo nel XVI secolo, come esito anche del sisma del 1570. La sede pievana più antica si adattò alle fluttuazioni del popolamento spostandosi da un sito rimasto isolato in posizione periferica e paludosa ad uno in via di sviluppo, più protetto dalle esondazioni. L’effetto iniziale più evidente della diversione dell’alveo del Po fu l’accumulo di sedimenti fluviali con la formazione di nuove quote altimetriche sopraelevate rispetto al territorio circostante. In conseguenza si accrebbero le garanzie di permanenza stabile nell’area così privilegiata, con la crescita di nuovi interessi economici e politici. E’ il risultato della continua ricerca di un luogo sicuro dagli effetti estremi degli sconvolgimenti provocati dalla natura sul fondovalle padano. La disalveazione del Po vera e propria, prodotta da un cedimento naturale conseguente a un esasperato sovralluvionamento degli alvei oppure dal taglio dell'argine sinistro si prolungò per molti decenni. Generò tutta una serie di effetti rovinosi per un territorio molto vasto qual era quello ferrarese denominato “Transpadana”, situato a nord del Po di Volano, che determinarono il mutamento definitivo del corso del fiume e la formazione di un nuovo delta 40 km più a nord di quello antico. Per chiarire in modo appropriato e convincente il complesso fenomeno che innescò il susseguirsi di eventi che hanno portato allo spostamento verso nord del corso del Po, e anche dell’Adige, recenti studi di geologia hanno individuato la causa nelle strutture appenniniche sepolte e le loro strutture sismogenetiche, evidenziatesi in occasione del terremoto che ha interessato, nell’anno 2012 Emilia, in particolare, e il Veneto meridionale 2 : la cosiddetta “Dorsale ferrarese”. L’antico evento colse all’improvviso e in modo inaspettato, apportando un danno pervasivo, il territorio che, in pieno medioevo si stava lentamente riprendendo dalle vicende che seguirono la caduta dell’impero romano. L’arrivo di numerose popolazioni allogene non pacifiche si tradusse in profondi cambiamenti geomorfologici che dovettero essere affrontati. Per secoli si manifestarono effetti negativi come l’abbandono delle infrastrutture territoriali, la riduzione diffusa della popolazione, vuoti demografici localizzati, che aggravarono la difficoltà di affrontare e risolvere gli estesi problemi di dissesto ambientale. Precedentemente alla rotta è testimoniata la presenza di un esiguo numero di agglomerati demici- villaggi fra i quali acquista risalto particolare una villa Littizza o Litiza. Essa sorgeva nelle immediate vicinanze di una importante via di trasporto fluviale: il Canale Litiga altrimenti Littiga, un’arcaica fossa considerata un canale “per trasversum” con le sue interdipendenti vie alzaie, ripresa dal modello della formidabile Fossa Augusta che univa nell’entroterra Ravenna e Aquileia.

1 Aldo A. Settia, Chiese, strade e fortezze nell’Italia medievale, Roma 1991 – HERDER, pp.21-25. -Villa era un complesso di abitazioni rurali in terra aperta in contrapposizione a un centro fortificato quali un borgo o un castello. Le case erano fatte di legno e fango. La muratura era usata solo per i castelli e le chiese. I casoni, capolavoro dell’architettura contadina apparvero solo nei secoli XV e XVI e furono in uso fino al secondo dopoguerra. 2 AA.VV., Le calamità ambientali nel tardo medioevo Europeo: realtà, percezioni, reazioni, Firenze University Press (2010), p.211. SIROVICH L., PETTENATI F. (2015); Source inversion of the 1570 Ferrara earthquake and definitive diversion of the Po River () "Journal of Geographic Research". 1

Sulla base di recenti osservazioni dei rilievi satellitari si intuisce che la villa si stendeva coerentemente in modo organico su entrambe le sponde. Quell’antico canale, fu obliterato definitivamente nel XVI secolo, secondo testimonianze provenienti da strumenti notarili ferraresi e come riportano anche cartografie cinquecentesche. La sua importanza era derivata, come oltre specificato nel dettaglio, dall’attitudine a consentire il collegamento fra il tratto terminale del preesistente fiume Poazzo 3 e quindi lo stesso nuovo Po “di Venezia” e tutte le principali città lambite dai rami dell’Adige e da fiumi e canali minori, con alvei mutevoli nel tempo, fino a Trento, Vicenza, a Venezia, a Padova a Rovigo. Al progressivo degrado della rete stradale dell'età romana, della limitatio e castrametatio , avvenuto nell'alto medioevo, corrispose il diffusissimo fenomeno chiamato “fluvializzazione” dei trasporti e dei commerci, cioè lo sviluppo delle vie d'acqua che potevano garantire la circolazione delle merci e i costi contenuti. Le merci destinate a essere trasportate verso l'interno e la periferia di una ampia estensione territoriale, venivano sistemate su imbarcazioni fluviali la cui caratteristica essenziale era quella di disporre di un fondo piatto per ovviare ai bassi fondali di fiumi e canali e paludi. Una navicella da trasporto lento adatta ai piccoli tragitti e ai trasbordi poteva essere la “scola”(spola), come pure il “burclum” (burchio). Si tratta di mezzi dotati di cordami, fissati sulla cima di un “albero”, con lo scopo di rendere possibile il traino animale o umano (alaggio) nei tratti di risalita della corrente senza rasentare svantaggiosamente le sponde. Contemporaneamente le rare strade, per lo più alzaie, divennero sentieri transitati da piccole carovane di muli e asini da soma, in quanto anche i carri furono poco utilizzati. Una realtà questa, testimoniata immutata come evidenziato in seguito, ancora nella seconda metà del XIV secolo.

Fig. 1 Foto del traino di un'imbarcazione contro corrente lungo il Po grazie a un cavo mosso da terra da parte di tre alatori. Alzaie erano le funi utilizzate, lo stesso nome si usava per i sentieri in terra battuta che potevano trovarsi, in qualche caso a livello dell’acqua, solitamente sopra alle arginature: vie alzaie. Le zattere o imbarcazioni venivano trainate controcorrente da cavalli, asini o dagli stessi battellieri. Anni 1920-1930, da G. Giarelli, Museo C. Polironiano,3,1986-1987, pp. 77-122.

Relativamente all’area di Polesella, d’altra parte, per quanto concerne l'epoca tardo romana e fino al IX secolo le fonti storiche sono mute o pressoché inesistenti. Dal momento che l’unico

3 Il fiume Poazzo ha origine al Cavedone della Follica, attraversa il comprensorio di Gurzone di Occhiobello per un lunghezza di metri 6.722 fino al ponte della Piacentina, quindi prosegue fino a mettere foce in Po alla Chiavica Ferrarese (a Raccano-Polesella) dopo un percorso complessivo di metri 19.470. Questo relitto fluviale, che in antico doveva costituire una ramificazione del Po, presenta un andamento molto tortuoso. E’ difeso da due argini distanti fra loro mediamente metri 100 e poiché la bocca dello scolo misura la larghezza media di metri 12, restano lateralmente due golene per la maggior parte molto depresse della complessiva larghezza di metri 88, sui quali si espandono le acque di piena. -Gaspare Sardi, Libro delle Historie Ferraresi , Ferrara 1646, pp.31-32. “Il Poazzo ha quattro rami…., col Fiume Litiga entra nel Po per la pescaia, o, come diciamo noi, chiavica del Saracino verso la Pollicella”. 2 insediamento ricordato risulta essere Villa Litiza, nelle sue molteplici varianti toponomastiche, si può desumere che non esistessero ancora né Raccano, che compare con tale denominazione in uno strumento notarile del 1286, né tanto meno Polesella sorta nel XIV secolo come dipendenza di Raccano e che viene valutata con evidente certezza e interezza solo nel XVI secolo. (A. Mazzetti) L’attestazione cronologica più antica dell’esistenza di un luogo abitato denominato Litiza/Litiga compare in un documento di papa Marino II risalente all’anno 944 4 (anche Martino II, romano 942 - 946) nel quale, in un inventario di feudi compare un accenno a “Valle Lavigiae”. Curiosamente Lavigiae rimanda a una particolarità del nome latino di Venezia e di molte città (Athenae, Thebae, ecc) che sono pluralia tantum nomina e si declinano pertanto al plurale - Venetiae anzichè Venetia . Così risulta pure dall’ “istromento di vassallaggio” del marchese Obizzo d’Este risalente al 1286: fra i tanti toponimi è citata Litigae, come se si trattasse, in qualche modo, di un insieme di nuclei abitati. La fonte cui attingono storici e storiografi antichi non appare una sola; dalle differenze riscontrabili nell’impostazione delle cronache come anche nei particolari che vengono menzionati e talora descritti con dovizia di particolari, sembra trattarsi di più di una. La provenienza è pur sempre l’archivio del ducato di Ferrara il cui territorio e la cui economia furono segnati in modo particolarmente sensibile dalla diversione del Po. Nondimeno anche dalla contea vescovile di Adria il cui potere però, iniziato tra il 920 (donazione di papa Giovanni X - ravennate 914 - 928) e il 944 (conferma di papa Marino II) stava al tempo della rotta già scemando. Insidiato e stretto com’era tra gli interventi nel Polesine di numerosi potentati veneti ed emiliano-romagnoli: gli Estensi di Ferrara, i Carraresi di Padova, i Veronesi, in conflitto con i Cattaneo/Da Lendinara, che si contendevano il dominio del territorio concedendo poteri giurisdizionali ai loro feudatari e uomini di fiducia. A questo riguardo assume interesse rivelatore la ricerca di uno studioso locale 5, il quale pone in evidenza un importante dato di fatto: “mentre atti e strumenti relativi alla villa e al canale Litiga sono numerosi, i documenti sulla sua chiesa di S. Maria di Litiga/Litiza sono rari e, ciò che conta maggiormente, non forniscono adeguate informazioni sulla localizzazione dell’edificio sacro” 6. Le sue vestigia, infatti, sono state individuate soltanto alla fine degli anni ’80 del secolo scorso 7. Tuttavia nel suo breve saggio, egli avvalora il fatto che “ alcuni studiosi di paleo idrografia, fra cui Raffaele Peretto, hanno identificato il canale Litiga col percorso dell’attuale strada dossiva che da Raccano conduce alla Rocca – nome evocativo - sotto la sponda del Canalbianco, e al passo dei Rosati . Il tracciato sinuoso è quasi parallelo a Fossa Polesella” e precisa, senza incertezze, che “il centro abitato di Litiza si trovava a nord di Raccano” come è stato in seguito accertato e verificato. Considerazioni a parte merita l’etimo del toponimo Litiza che non discende da fonemi longobardi, come accade talora nel medio Polesine, (è il caso anche di Rovigo) ma verosimilmente dal latino. Ciò comporta una scarsa o nulla influenza nell’area della presenza di allogeni. Secondo una interpretazione alternativa fra le tante, potrebbe derivare da Letum, i , n. cioè rovina, annientamento, con suffisso icus – ica a originare il deaggettivale Letica, ovvero Litiga. Ciò a motivo di una usuale trasformazione fonetica dialettale (chiusura della vocale e in i e trasformazione della consonante c in g) col significato di “sito delle rovine”. Ma potrebbe pure trattarsi di una modifica del nome intervenuta nel lungo tempo in cui è rimasta attiva. Soltanto dopo la Rotta di Ficarolo, come per una istintiva nostalgia, le fonti riportano più sovente richiami e riferimenti alla devastata Villa. Prima fra tutti la fondamentale e arcinota Chronica parva

4 Ludovico Antonio Muratori, Antiquitates Italicae Medii Aevi , Milano, 1738, t. I, pp 947-950. - Francesco Antonio Bocchi, erudito e storiografo adriese, riconduce “ Vallis Lavigiae ”, che compare nella bolla papale, al toponimo Litigia/Litiza/Litiga. 5 Adriano Mazzetti, Cinque Chiese Una Comunità – Note di storia religiosa di Polesella, 1987 6 -cfr. A.Mazzetti, cit. pp. 11, 14-15. -cfr. A.Mazzetti, cit. p.10. 7 Sandro Maragno, Le segrete colonne di Villa Litiza, 1989. In VENTAGLIO novanta n. 20, gennaio 2000 – Ed La Torre – Turismo & Cultura 3

Ferrariensis, opera di carattere storico di Riccobaldo da Ferrara (1243/1245 – circa 1318) 8 , composta all'epoca della morte di Azzo VIII d’Este, avvenuta nel 1308, in seguito alla quale l’autore poté fare ritorno a Ferrara dall’esilio politico a Padova. La Chronica Parva 9 è chiara e semplice da indagare essendo organizzata in parti e suddivisa in colonne. L’autore, fa riferimento più volte alla situazione idrografica e ambientale subito posteriore alla Rotta, quando la situazione idraulica era ben lontana dallo stabilizzarsi ed era sospesa fra “un prima” e “un dopo”. Fornisce indicazioni relative a una sola Villa, detta Litiza collocandola in prossimità dello sbocco dell’attuale Poazzo nel Po della Rotta ovvero il Po di Venezia 10 . Da lì, tramite la già implicita presenza di uno snodo/porto fluviale al riparo dalle correnti e dalle piene del fiume - era possibile navigare per canali interni trasversali ai rami del Po e per il sistema della paleo idrografia padana in generale.

8 Ann Teresa Hankey, Riccobaldo da Ferrara, Enciclopedia Federiciana (Vol. II), Istituto dell'Enciclopedia Italiana Treccani (2005), Riccobaldo da Ferrara, notaio, infaticabile ricercatore scrittore/storico/geografo dal 1297. Spesso in esilio a causa degli argomenti oggetto delle sue trattazioni in cui esprimeva commenti scomodi, evidenziava pregiudizi e responsabilità dei personaggi del potere. - Riccobaldo da Ferrara, Chronica parva Ferrariensis - Introduzione, edizione e note di Gabriele Zanella, Ferrara 1983 (Deputazione provinciale ferrarese di storia patria, serie Monumenti, IX) - Augusto Campana, Riccobaldo da Ferrara, in Enciclopedia dantesca Treccani 1970; della Chronica parva Ferrariensis, del 1313-1317, (per altri al 1309-1317) a lui rivendicata dal Massèra, si ha anche una versione volgare. La vecchia ipotesi di G. Baruffaldi di un'amicizia personale tra Dante Alighieri (1265 - 1321) e Riccobaldo, di vent’anni più giovane, è stata giustamente definita priva di fondamento, specie se riferita a Ravenna ma è sintomatica dell’importanza rivestita dallo storico già al suo tempo; tuttavia, per quanto è risaputo della vita di Riccobaldo, che si svolge tutta al tempo di Dante tra Emilia e Veneto, e in posizioni personali e politiche spesso affini a quelle del contemporaneo Dante, una conoscenza personale non si può escludere. La possibilità è maggiore per la conoscenza o addirittura l'utilizzazione da parte di Dante di qualcuna delle opere di Riccobaldo, sia perché esse sembrano avere circolato piuttosto largamente già vivo l'autore (anche in forma anonima), sia per i riscontri che finora sono stati additati. È anche verosimile che il racconto dantesco abbia per sua fonte unica o primaria quello delle Historiae (perdute) di Riccobaldo e che addirittura ne abbia tradotto alcune espressioni. 9 Ludovico Antonio Muratori pubblicò, anonimo, in “Rerum Italicarum Scriptores” (prima edizione, Milano 1726) il manoscritto “De edificatione urbis Ferrarie” usando il titolo “Chronica parva Ferariensis”. - Antonio Frizzi “Memorie per la storia di Ferrara – Tomo primo, p. 57 - Ferrara 1791, l’autore della Chronica Parva è posto alla testa di tutti gli storici ferraresi. 10 Chronica Parva , Colonna 475, righe 62-72 4

Fig. 2 Fra Paolino Minorita (Vescovo 1270-1344), Mappa dei corsi terminali del Po (1320 circa) – Biblioteca Apostolica Vaticana, ma anche nella redazione del Codice Marciano. Nel documento il nord è posto in basso. A monte di Ferrara si stacca il nuovo ramo del Po a Rota Ficaroli con le emergenze demiche in sinistra e destra: Pontelagoscuro, Francolino e Polesella, Cologna e Crespino fino a Le Papoze. Più in basso Loreo, Gavello, S. Apollinare, Rovigo, Ponteclo e Arquà. Unico centro sul canale posto nella parte inferiore della mappa è La Litiga. Il canale, in un contesto geografico così approssimativo, potrebbe identificarsi col Barzaga oppure col Tessarolo/Poazzo che confluivano nella Litiga presso il suo porto prima di Polesella. La Chronica Parva lo definisce “il ramo di Litiga” e tale appare nella mappa.

Partendo dallo stesso canale Litiga (in parte identificabile col Poazzo/Barzaga/Tessarolo), che Riccobaldo si spinge a definire “ramo di Litiga”, in quel contesto storico, come accennato, piegando in corrispondenza di Litiza verso nord per la località Rocca, si giunge dopo un breve tratto del Tartaro/Canalbianco controcorrente, al canale Scortico (Canale di Scortego) che attraversa tuttora Fratta, dalla località Pizzon, fino all’Adigetto e quindi a Rovigo, al mare e poi a Venezia. Risalendo lo stesso Adigetto, contro corrente, da Gazzo di Villanova del Ghebbo 11 a Lendinara e Badia posta alla diffluenza col secondo ramo dell’Adige e da qui verso Verona ( dove ancora oggi la sponda sinistra si chiama “Lungadige Attiraglio”), si giungeva a Trento e Bronzòlo di Bolzano. Da Badia, secondo corrente, a Padova e lambendo a oriente i Colli Berici, anche a Vicenza 12 . Il ramo successivo di Corbola poi, viene posto dalla Chronica a quindici miglia a valle della Villa 13 , che funge pertanto da unico riferimento fino al nuovo delta in via di formazione, in perfetta concordanza con la pianta di Fra Paolino. Peregrino Prisciano 14 erudito e studioso appassionato delle opere di Riccobaldo che conosceva a menadito e, secondo Gabriele Zanella “apprezzava e citava letteralmente e accuratamente per lunghi tratti”, scrisse di aver veduto un'antichissima Cronica di Ferrara: la Chronica Parva. Egli

11 Gaspare Sardi, Libro delle Historie Ferraresi , Ferrara 1646.” I veronesi fecero il castello di Gaibi ovvero Gaybo ch’essi chiamano Gazzo (ora Villanova del Ghebbo) perché l’avevano costruito sopra la riva del fiume o canale Gaito: che fu un ramo dell’Adige...”- Libro Secondo - p. 33. Storico ferrarese della prima metà del XVI secolo. 12 Chronica Parva , Colonne 475-476, righe 72-82 13 -cfr, Colonna 476, righe 82-95 14 Pellegrino Prisciano (1435-1518) , una delle figure di primo piano presso la corte, definito ipererudito e dottissimo consigliere di Borso e di Ercole I, archivista di corte e bibliotecario, ma pure trattatista dalla grafia di difficile e controversa interpretazione e ancora filosofo, astronomo, cartografo, diplomatico, consulente artistico e urbanistico, umanista e grande volgarizzatore. Autore delle Historiae Ferrariae (compendio storico su Ferrara e la Casata Estense in XX libri), inedita in quanto ancora manoscritta e in parte perduta. Fonte primaria non citata di L.A.Muratori per redigere i suoi annali estensi 5 denominò l’opera Annales nostri antiquissimi o primi annales nostri, tuttavia l’ autore gli rimase ignoto 15 , la riprese e l’arricchì abbondantemente. Si può ritenere trattarsi della stessa che anche Fra Leandro Alberti 16 dichiarò di aver vista a sua volta nel 1536, grazie alla benevolenza del letterato ferrarese Messer Battista Papazzone dalla Mirandola. Vi si narrava che, “correndo l'anno dell' humana salute 1150, o poco meno (probabilmente il 1152), la contrada Ruina fosse divenuta molto popolosa e ricca. Essendo invidiata dai suoi (imprecisati) vicini, questi pensarono di farla sommergere dalle acque del Po tagliando l'argine a Ficarolo”. Una storia che lasciò perplesso il Frizzi 17 il quale tuttavia la ripropose e la avvalorò nella sua Storia di Ferrara . La Contrada di Ruina/Rovina con la pieve di S. Martino dista infatti all’incirca 20 miglia romane, pari grossomodo a 27 km da Ficarolo ed era situata a sud di Litiza/Litiga antica, nei pressi di Saletta e ora, a distanza di quasi nove secoli, isolata e scollegata dal fiume, vi si contano circa 400 abitanti 18 . A tale riguardo e a testimonianza del gravissimo danno che si abbatté su Ruina è documentata una vertenza di qualche anno posteriore. Nel 1156 Giovanni abate di Pomposa (1148-1165) e Grifo vescovo di Ferrara (eletto nel 1139) si affrontarono in lite per il possesso dei fondi di Ruina e Rustizana di Canaro rimasti separati dallo stravolgimento degli assetti idrici e fondiari provocati dalle “rotte” di Ficarolo. Attestazioni documentarie già nel 1158 registrarono una situazione alquanto stabilizzata e individuarono chiaramente nell’asta fluviale denominata rupta Ficaroli, il nuovo Po originato dalla rotta. Un tentativo di individuare l’ubicazione di Villa Litiza è stato fatto con una ricostruzione topografica delle vie di navigazione interna sul Po e i canali attivi agli inizi del Trecento, desunti dalla Chronica 19 . Tuttavia la Chronica risente di una certa alea di incertezza sottesa dalla fonte stessa, la cui precisione è involontariamente approssimata in quanto Riccobaldo come già sottolineato, descrisse una situazione in rapida evoluzione comprendente elementi precedenti e susseguenti alla rotta dopo la quale nulla sarebbe stato più come prima. Inoltre egli non rappresentò nei particolari la situazione idraulica precedente alla Rotta, e sottacque sul dettaglio del luogo preciso in cui il Canale Litiga sfociava quando il ramo della rotta non si era ancora formato. Alcuni studiosi di archeologia navale confermano altresì che la rotta di Ficarolo si incanalò nel letto di un supposto corso d'acqua residuale, detto “Fossa Saga”, alquanto ipotetico forse sul piano storico ma in grado di supportare la questione sostenuta nella tesi. Il ritrovamento nel 1953 alla Fornace Grandi di Pontelagoscuro del relitto ligneo di una grossa imbarcazione (da ponte o da mulino) risalente a prima dell'anno mille, fa pensare che lì ove ora

15 Gabriele Zanella, Riccobaldo da Ferrara, Chronica Parva Ferrariensis , Introd., ed, e note di G. Zanella, Ferrara 1983 (Dep. prov. ferr. di st.patr., s. Monumenti9), pp.200-09. 16 Fra Leandro Alberti domenicano predicatore, Descrittione di tutta l’Italia , Venezia 1563, p. 308. - cfr, citazione di Peregrino Prisciano autore di “nove gran volumi, da me veduti in Ferrara delli quali alquante cose io ne ho istratto, come a luogo per luogo domostro, non volendo fraudare...” p.314. 17 cfr, Antonio Frizzi cit. p.61. “Da Ficarolo a Rovina è uno spazio di venti miglia circa per retta linea, nel quale sono e dovevano essere anche allora diversi altri villaggi. Non si sa immaginare qual ragion di dissidio e di gare potesse nascere tra due piccoli luoghi tanto tra loro distanti e divisi, nulladimeno se ne lasci la fede presso gli autori”. Il nome Ruina è attestato nel 907 – concessione di poderi da parte di Giovanni XI arcivescovo di Ravenna, senza che la rupta fosse citata. Nel 995 e nel 998 furono concessi in vitalizio dal Monastero di San Vitale in Ravenna molti beni in territorio ferrarese, fra i quali “Massa Rovina”. E’ verosimile che il nome derivi dall’antico castello di epoca imprecisata di proprietà del Vescovo di Ferrara (di cui alcuni ruderi, testimonia A. Frizzi, erano ancora visibili nel 1508). 18 Corinna Mezzetti, Carte processuali dell’archivio di Pomposa. Un dossier della metà del XII secolo . Università di Pavia 2004, p. 8-11. “…il possesso di Ruina era mantenuto da Pomposa ante tempus inondationis et in tempore inundationis et post tempus inondationis . L’enfasi del passo….lascia trasparire tra le righe la forte impressione che l’evento fisico, percepito come profonda cesura cronologica, aveva lasciato nella memoria degli uomini”. L’abate provò che totum fundum Rupine suum esse in virtù di donazione del monastero di S. M. di Xenodochio fattagli dall’arcivescovo di Ravenna Gebeardo di Eichstatt (1027-1044) membro della Deutsche Reichskirche. 19 Stella Patitucci Uggeri, La navigazione interna del delta padano nella Chronica Parva Ferrariensis, “Atti e memorie della Deputazione provinciale ferrarese di Storia Patria”, serie III, vol.XXX (1984), pp.31-105, p.49. 6 scorre il Po di Venezia vi fosse un canale o un fiume non guadabile, di una certa dimensione ben prima della rotta di Ficarolo 20 . Anche Giovanni Battista Aleotti detto l’Argenta, architetto dell’ultimo duca Alfonso II d’Este e in seguito alla devoluzione del 1597/98, del Papa Clemente VIII per la città di Ferrara, si occupò delle rotte di Ficarolo: “L’acque della rotta entrorno nel Laco Oscuro per il canale dei Buoi et si cacciorono nelle valli dell’Albero et in quelle del canal Litiga, onde s’allagò tutto il paese....e il furor dell’acque fu così grande che con diversi rivi esse andorono alzando il paese verso il mare...” 21 Ancora Antonio Frizzi nelle “Memorie per la storia di Ferrara” riprese la Chronica Parva e la descrizione delle vie d’acqua; pose Litiza sulla Fossa Polesella specificando: “Ma Policella e Litigia erano luoghi bensì vicini ma diversi, e che stavano questi da un lato, quegli da un altro della Fossa”. Chiama a conferma il Prisciano come pure un “istromento di vassallaggio” cioè un “beneficio” concesso alla famiglia dei Della Fratta, riconosciuto dal marchese Obizzo d’Este risalente al 1286. In esso compare, tra molti fondi della zona: “Terra Frattae, Gognani, Villae Marzanae, Costae, Ramadelli, Litigae, Racani, Garofoli et Brazzorotto”, un importantissimo “ius portus Litiga et domus Selvatica” 22 la cui rilevanza è finora sfuggita a molti ricercatori. Nel 1414 infine, Nicolò d’Este, livellario perpetuo di tutto ciò di cui fino al 1342 erano stati investiti i fratelli Della Fratta/Gonfalonieri con i loro discendenti 23 vendette a Nanne Strozzi, nobile ferrarese di origine fiorentina, casali e possessioni siti fra Pelosella, contrada Litiga, cioè ripartizione territoriale e non più Villa e la Villa di Raccano. Da ultimo appare un “istromento” di divisione eseguita nel 1524 quando Raccano Ferrarese, in destra Poazzo, non era ormai più da tempo una podesteria estense, il cui valore testimoniale è determinante. Il Frizzi riporta che in esso viene menzionato “el conducto de la Litiga”. Il toponimo Litiga compare per alcuni secoli dopo la Rotta anche nelle carte dei Tabularii Pomposiani 24 , e nel Regesta de codex latinus monacensis 25 . Il periodo incluso va dal 1247 al 1536, anno in cui un rogito definisce “Litiga seu Coraigo”, e anche “Litiga Coraigo seu Coriago” appellando chiaramente il canale e non più la Villa e non col nome antico bensì definendo il suo nuovo stato evolutivo. Ecco che ora il nome, in assonanza con molti toponimi dialettali come coreglo, curiclo (anno 1118) coreio, curiolo, esprime il significato di rigagnolo, verosimilmente dal latino curriculum, raffigurando molto bene la nuova natura del canale. Tuttavia nello strumento notarile di divisione citato, risalente al 1524 riportato da A. Frizzi (op cit. p. 62) è già definito “conducto”, cioè condotto ovvero canaletto di scolo.

20 Marco Bonino - Archeologia e tradizione navale tra la Romagna e il Po - Edizioni Longo, Ravenna 1978 - Marco Bonino - Tecniche costruttive navali insolite nei reperti di Cervia, Pomposa e Pontelagoscuro in "Atti del convegno internazionale di studi sulle antichità di Classe: Ravenna, 14-17 ottobre 1967" pagg. 209-217 - Edizioni Longo, Ravenna 1968. - Marco Bondesan, Renzo Ferri, Marco Stefani - Geomorfologia ed evoluzione idrografica del territorio di Ferrara in "Ferrara nel Medioevo" - Ferrara 1994. - Gasparo Sardi, libro delle historie ferraresi, p 32 – Ferrara, 1646-1655 – Forni BO, ristampa anastatica. 21 Della scienza e dell’arte di ben regolare le acque di Gio. Battista Aleotti detto lìArgenta, architetto del Papa, et del publico ne la città di Ferrara , a cura di Massimo Rossi, – Ferrara, Franco Cosimo Panini – Istituto di Studi Rinascimentali, 2000, pp. 252-253. 22 cfr. Antonio Frizzi, p. 62 - Il porto sul Canale Litiga non è sicuro fosse ancora pienamente attivo, tuttavia è noto che i notai molto spesso si limitavano a copiare i documenti precedenti senza appropriate verifiche. 23 Il documento del 1342 riporta che l’abate Andrea del monastero di Pomposa investì del diritto perpetuo di livello i fratelli Obizzo e Nicolò di Casa d’Este sopra tutti i beni di cui fino ad allora erano stati investiti i fratelli Sicherio e Galvano e cioè “Litiga, Rachanum, medium policinum Guardatae, totum policinum Puvignani situm in contracta quae dicitur Litiga” 24 Adriano Franceschini trascrizione dei Tabularii Pomposiani Benedictini index novissimus curante Ieronymo Arcario. 25 Archivio di Stato di Venezia – Provveditori sopra camere – Trascrizione e sintesi a cura di Adriano Franceschini. 7

L’antichissimo canale Litiga prima ancora della metà del Cinquecento era diventato pertanto un rigagnolo, sostituito nella sua funzione importantissima rivestita nel passato, dalla tardomedievale Fossa Polesella. Ciò che è sopravvissuto al naufragio di quel “tessuto cittadino” mutevole lungo un tempo indeterminabile con certezza assoluta, tra la caduta dell’impero, paleocristiano, medioevo e diversione del Po non è molto. Tutto è diventato una entità gelida a dispetto della dinamiche storiche e delle attività umane testimoniate dai lacerti, da testi storiografici, iconografici e altre fonti. La vita si è eclissata oltre i contesti e le generazioni. Per affermazione di più storici Litigia/Litiza era una villa e pertanto, nella corografia medievale un villaggio rurale ovvero, alla luce di quanto è emerso si può definire un borgo rurale privo di mura, forse piccolo, ma più probabilmente alquanto esteso e di rilevante interesse. In quel luogo furono presenti infatti, dinamiche economiche che presentano margini notevoli di ambiguità che è il caso di tentare di chiarire. Alla luce del fatto che i trasporti fluviali ebbero uno sviluppo eccezionale in particolare a partire dall'alto medioevo, canali e fiumi diventarono i principali assi di collegamento sul piano economico e strategico, tanto che enti religiosi e proprietari laici vollero assicurarsene il controllo per incassarne i proventi derivanti dal transito. Quesito sostanziale è il seguente: chi amministrava, chi sosteneva e conciliava domande specifiche anche esogene legate all’attività del porto e alla funzionalità del sistema, quali amministrazioni territoriali controllavano? Erano sicuramente i Della Fratta. Mancano elementi adeguati a cogliere pienamente il funzionamento effettivo di ordinamenti provinciali come ducati e marche che attorno al 1000 presero il posto delle contee nelle articolazioni territoriali 26 . Riccobaldo indicò la Villa come uno snodo fluviale, ma è risaputo che ancora prima della distruzione innescata dalla Rotta era interessata anche dal passaggio di un tronco dell’itinerario stradale che univa Rovigo e Ferrara, (per le cose mutavano) città raggiungibile, come precisato (nota n. 20), tramite l’attraversamento di un ponte gettato su un modesto corso o specchio d’acqua presso l’odierno Pontelagoscuro 27 . Una testimonianza fondamentale al riguardo della direttrice stradale e dello stato dei luoghi è fornita da uno scrittore fiorentino del XIV secolo 28 che ambientò una storiella di carattere odeporico sospesa fra il tragico e il faceto, non priva di supporto reale, proprio a “Cha Salvadega…un luogo assai ostico (malagevole) e pantanoso…. oltre Ferrara”, che sappiamo trovarsi non lontano dalla distrutta Litiza, 29 come sostiene A. Frizzi. Anche se alcuni studiosi vagamente l’individuano poco più a nord, nei pressi di un luogo denominato Bresparola, in corrispondenza di una arcaica divagazione del fiume Tartaro; mentre la tavola cartografica del 1534 di Nicolò Dal Cortivo pone Le Selvadeghe a est della Litiga interrata. Era di quaresima e nella locanda “V’erano Romei e Ungheri assai”, era luogo di valli e canne e “La nebbia era levata in quel padule”. Malgrado ciò, in occasione del Giubileo dell’anno Santo 1350, la strada era ben frequentata con grande vantaggio della locanda dove sostavano e pernottavano uomini e animali 30 . Si scopre così fuori da ogni dubbio

26 cfr. A. Castagnetti, Il feudalesimo nell’Alto Medioevo - pp.734-735 Spoleto 2000. -Anna Laura Trombetti Budriesi, vassalli e feudi a Ferrara dall’età precomunale alla signoria estense (secoli XI -XIII) in Dep. Prov. Ferrarese di Storia Patria – Atti e Memorie Vol. XXVIII – Ferrara 1980 pp. 112-115. 27 cfr. A. Frizzi , cit. p. 57. 28 Franco Di Benci Sacchetti, Delle Novelle - Tomo Primo -, Milano 1804; Novella XLVIII pp.156-163. (Ragusa di Dalmazia, 1332 – San Miniato, 1400) - Figlio di mercante fiorentino, esercitò fin da giovane la mercatura. Fu poeta, comico del nonsense, scrittore italiano, ambasciatore e podestà. L’opera contiene, così come è stata serbata, duecentovent’otto novelle, alcune incomplete. Protagonista della novella è Lapaccio di Geri da Montelupo, ambasciatore semplicione di Firenze in viaggio di lavoro. 29 Cfr. Antonio Frizzi, cit. p.62. …in un altro istromento di divisione seguita nel 1524…in cui si legge: a la hostaria, nelle Selvatiche, confina poazzo dinanzi de dietro et da un lato…da l’altro là el conducto de la Litiga…. 30 Fabrizio Vanni, Il ruolo delle vie Ungaresche, prima e dopo il ritorno dei cavalieri teutonici nel Continente. Centro Studi Romei –Firenze-. Le direttrici delle invasioni dette vie “Ungaresche” divennero col tempo strade normali e ben frequentati percorsi romei. - Carlo Silvestri, Istorica e geografica descrizione delle antiche Paludi Adriane…-Venezia 1736, pp.103-104. Contestò le affermazioni di Sardi relative alla ubicazione della Salvatica mentre avvalorò Flavio Biondo che 8 quale era l’importanza specifica della direttrice per Ferrara che toccava Litiza: si trattava di una via Ungaresca, un percorso romeo con non pochi tratti da percorrere ora via acqua ora via terra per Venezia, scendendo dal Brennero verso la Romagna. Da Ferrara i pellegrini potevano poi proseguire su strada fino ad Argenta: lì giunti dovevano necessariamente imbarcarsi e attraversare le “Valles Argentensium” da nord a sud o verso est per Ravenna. Il cammino su terraferma poteva ricominciare quando i viaggiatori sbarcavano in uno dei porti meridionali di quelle paludi - come Conselice e Bagnacavallo oppure Santa Maria in Fabriago e altre località minori presso Lugo. Quindi tornavano a procedere via terra in direzione Ravenna oppure lungo le trasversali della via Emilia , eredi dei “cardines” dell’età romana verso Bologna.

La basilica di Villa Litiza

Da uno “strumento” della fine del XIII secolo si apprende che tale Nicolò Della Fratta 31 in contrasto col vescovo di Adria, ascrisse ai suoi avi il merito, il vanto e nondimeno il prestigio, come pure i diritti feudali derivanti dall’edificazione di una chiesa (potrebbe anche essersi trattato di una ricostruzione), luogo di culto senza altre specificazioni nell’area di Raccano. Di essa tuttavia pare fosse stata persa una cognizione precisa, per effetto di un processo di identificazione fra due realtà ecclesiali distinte. Ciò non deve meravigliare anzi è comprensibile distando, la chiesa romanica di Raccano meno di mille metri dalla basilica annientata circa 140-150 anni prima dalla “Rotta”. Il Della Fratta contestò il vescovo di Adria che pretenzioso ne rivendicava la fondazione nell’anno 1300. Il vescovo Bonazonta finì col ritirarsi in buon ordine cedendo ai reclami del feudatario e riconoscendogli il diritto di livello e quindi di indicare il curato 32 . Alla base della contesa vi fu probabilmente la difficoltà di accordarsi a fronte di un concetto importantissimo: nel Duecento vi era stata una “rivoluzione pastorale” che portò alla nascita delle parrocchie rurali (con prete stabile e autonomia sacramentale), mentre in precedenza, dal IX secolo, erano esistite sia chiese “pubbliche” dette Plebes , di solito dipendenti dal vescovo, che godevano dei diritti sacramentali, sia chiese di fondazione e proprietà privata, talora soggette alle prime. 33 La panoplia monumentale chiesastica propria dell’evergetismo privato espresso nell’XI secolo, dopo le “paure dell’anno mille” è testimoniata dal monaco cronista medievale Rodolfo Glabro (Raoul Glaber). La pieve di Litiza doveva apparire come una piccola basilica di tipo Ambrosiano a colonne: il primo a essere ideato, costituendo così l’archetipo per molte altre, in Lombardia e Veneto. Così come a Ravenna è stato archetipo per generazioni la similare Basilica di S. Giovanni Evangelista voluta da Galla Placidia tra il 423 ed il 434. A tale riguardo il vescovo S. Pietro Crisologo ( Imola 429-449) osservando: “Muros per circuitum hedificans, sed nondum omnia complens”, giunge a testimoniare come delle chiese si costruissero prima i muri perimetrali. Si proporzionavano nel tipico rapporto uguale a √2, con qualche irregolarità come la larghezza delle navate e dei colonnati che si

scrisse “ad sinistram Paludem Policella ingredientibus est Silvestris Domus (le Ca Selvadeghe) unde Patavium via ad Arquatum vicum, per insulae Rhodigensis est passum duorum millium traiectus…” 31 La famiglia Gonfalonieri di Fratta era originaria di Brescia, proveniva nello specifico dalla corte longobarda di Bagnolo (ora Bagnolo Malle) presso cui, incidentalmente, fu concluso il trattato di pace della “guerra del Sale” nel 1482. Acquisì importanza presso la corte estense e divenne feudataria anche dei signori di Ferrara. Il 06/08/1338 Riccobono Gonfalonieri fondò a Fratta la cappella privata di S. Bartolomeo di cui esiste una lapide in marmo rosso di Verona sopra ad un portale ad arco a sesto acuto. E questa risulta essere l’ultima notizia in ordine di tempo della famiglia. Cfr. nota 26. A. Laura Trombetti Budriesi, cit pp. 112-115. 32 Strumenti notarili del 1288 tratti dal Catastum Episcopatus Adriae, testimoniano la reinvestitura a feudo da parte del vescovo di Adria Bonagiunta o Bonazonta 1286-1304 dei fratelli Sicherio, Nicolao e Genovese figli del fu Galvano da Fratta di “pezze e chiusure di terra, casamenti” con tutte le loro decime, già tenuti a feudo dal loro padre. Già nel 1251 il vescovo di Adria Guglielmo li aveva investiti delle decime di Racano de Broçorto. (A. Laura Trombetti – Atti e Memorie vol XXVIII Ferrara 1980 – p.113) 33 Emanuele Curzel, L’organizzazione ecclesiastica nelle campagne, per “Reti Medievali 2010 Firenze University Press, pp2-3. - A. Castagnetti ha approfondito questo argomento in numerose ricerche e studi pubblicati a più riprese. 9 incrementava verso la zona presbiteriale; compensando così l’effetto ottico del restringimento prospettico. Poi ribadisce tale preziosa informazione, aggiungendo molto espressivamente che altri Vescovi « Antecessori opus implere (completare) ». Concretamente, con la rotazione sopra alla base della diagonale del quadrato di lato pari alla larghezza della costruzione si otteneva la lunghezza da assegnare alla stessa e quindi, pressappoco, un “rettangolo dinamico” (altra cosa dal “rettangolo aureo”). Sulla scorta di questa organizzazione razionale sono stati costruiti tanti edifici preromanici e intagliati, secondo il gusto e lo stile del tempo, tanti ornamenti ad intreccio 34 . Le basiliche dei primi secoli venivano infatti costruite in funzione di definiti rapporti larghezza- lunghezza delle navate, in conformità a specifiche formule, così come veniva decisa la serie ritmica delle colonne: nel IV – inizi V si preferiva la √5, dalla metà del V secolo si scese alla √3, quasi 1:2. Tuttavia queste stesse considerazioni non risultano riscontrabili a Villa Litiza a causa delle manomissioni verificatesi successivamente all’abbandono dopo la devastazione del XII secolo. Sagoma a capanna con la nave centrale, poggiante su colonne, più alta per fare posto alle finestre che illuminavano dall’alto e due ali laterali più basse, mancanza di abside. Le primissime basiliche, promosse dall'imperatore Costantino I dopo il decreto di Milano del 313 sulla libertà di culto – religio licita -, sono edificate a Roma , ma anche a Milano diventata capitale dell’Impero d’occidente (286-402 d.C.) . Vennero erette, sui luoghi di sepoltura dei martiri cristiani ( Martyria ) già da tempo oggetto di venerazione e caratterizzati da edicolette votive . La tipologia costruttiva prevedeva l’ordinamento architettonico a tre navate, una semplice struttura portante di colonne architravate, molto raramente archivoltate reggenti murature leggere, finestrate, sulle quali poggiavano direttamente le incavallature lignee della copertura. La basilica di tipo Ambrosiano diffusa in Lombardia e aree limitrofe, ma anche in aree più lontane d’Italia, poteva avere la navata mediana, absidata o meno, larga il doppio delle altre due e pertanto molto ampia, limitando così le colonne a parità di superficie utile, se necessario. E questo fino al IX secolo quando si scelse di preferire ai sostegni monolitici, le colonne, altri sostegni più massicci, composti e articolati indispensabili per sorreggere i carichi molto superiori delle volte rispetto alle capriate lignee – ne derivò la “Basilica a pilastri, arcate e volte”. Si tratta della “riforma delle navate”, ispirata dai Maestri Comacini, partita ancora da Milano e sostenuta dall’arcivescovo Angilberto. Le nostre colonne sono dotate di basi e capitelli Tuscanici che costituiscono una anomalia architettonica, in realtà è noto che nell’alto medioevo vi fu un persistere di modelli classici – seppure rielaborati- come pure di convivenze con l’estro creativo del tempo. Tuttavia questi capitelli che non sono di spoglio per motivi facilmente intuibili, presentano particolari che rimandano a tempi più antichi 35 .

34 - Guglielmo De Angelis D’Ossat - Studi ravennati: problemi di architettura paleocristiana – Ed. Dante Faenza 1962 pp. 14-18. - Benoit Rittaud - La favolosa storia della radice quadrata di due. Bollati Boringheri, pp. 412, 2010. - Nenad Gattin; Mladen Pejakovi ć, Le Pietre e il Sole, Ed Jaca Book - Milano 1988. 35 Villa Litiza fu comunque spiantata dall’impeto delle acque prima di poter affrontare problematiche di tal genere a causa dell’evento naturale che la ridusse a rovina quando era una basilica a colonne. Il titolo della basilica (Natività di Maria) attesta l’assenza di Martyria in loco, fatto comune fuori Roma. 10

Fig. 3 Planimetria generale dela basilica paleocristiana ambrosiana. Le parti in nero rappresentano la Basilica a colonne, fondata da S. Ambrogio l'anno 386. Le parti a tratti incrociati indicano le aggiunte del Coro, absidi minori, e campanile, costruite fra gli anni 784-824. Le parti punteggiate corrispondono alla Basilica a pilastri, costruita fra gli anni 824-859 e all'atrio costrutto fra gli anni 868-881. Luca Beltrami – La basilica ambrosiana primitiva. Milano 1905- pag. 7 - Collection university_of_illinois_urbana-champaign, americana.

I Della Fratta – Confalonieri furono una famiglia di feudatari legata agli estensi per generazioni. Nicolò e Sicherio (Scherio per Frizzi), erano figli di tale Galvano da Fratta, citato a sua volta come livellario in uno strumento dell’anno 1286 e in un altro del 1288 per un lascito relativo a due mansi 36 siti in Costa di Rovigo, al Monastero di San Cipriano di Murano. 37 E’ il caso di considerare che il vassallaggio si diffuse su vasta scala tra l'VIII e il IX sec., soprattutto per ragioni di carattere militare, ma anche amministrativo. Nulla vieta di ritenere che i Della Fratta fossero legati da tale vincolo con Azzo VI d’Este (1170-1212) primo signore di Ferrara nel 1208 se non con Alberto Azzo II, capostipite della casa d’Este sepolto alla Badia della Vangadizza nel 1097. Ciò renderebbe plausibile la rivendicazione di diritti sulla chiesa di S. Maria di Litiza (confusa con quella contigua di Raccano) in quanto preesistente alla Rotta di Ficarolo. Le vestigia dell’antica pieve che una “leggenda” paesana, tramandata dai più anziani del luogo, voleva “millenaria” e della stessa villa non sono mai state cercate ma neppure individuate e riconosciute nonostante fossero sotto gli occhi di molti. I resti della chiesa, in un sito dove la vita comunitaria si era fermata da tempo immemorabile sono ricomparsi nel 1987 nel luogo dove sarebbe stato coerente e ragionevole trovarli se fossero stati cercati alla luce del complesso di circostanze fino a questo punto descritte. Una parte delle colonne abbattute dall’impeto delle acque della “rotta”, verosimilmente quelle rimaste intatte o meno deteriorate, furono rinnalzate pressoché con il medesimo orientamento (est- ovest) sul posto, in epoca imprecisabile 38 , secondo Domenico Cullatti da chi ne aveva un fresco ricordo.

36 Manso, consisteva un una quantità minima di terreno coltivabile da una famiglia di coloni. 37 Archivio di Stato di Venezia Fondo Mensa Patriarcale. Regesti sec. XIII “Frata in villa Comee” data 27/10/1288. 38 - D. CULLATTI, Breve trattato storico e cronologico dell’origine delle parrocchie, Venezia 1745, pp.34 e seg. A pag. 36: “ La Villa Littizza con la sua Chiesa Parrocchiale era vicina al detto fiume Littiga, e che esisteva avanti la detta rotta (di Ficarolo), cioè avanti l’anno 1150. E per questo può congetturarsi non molto lontana dalla Parrocchia di S. Margarita d’Orcano (Raccano), il quale era al di sotto, e per fianco della Villa Littizza verso al settentrione non molto lontano, anzi vicino a Poazzo”. Il Culatti fonda le proprie asserzioni oltre che su letture di autori noti, anche ed in particolare, sopra antiche cronache di Ferrara, manoscritte ed anonime che sembrano potersi identificare con la celebre Cronica Parva 11

Così risulta da alcuni sondaggi e da uno scavo compiuti al momento della scoperta in alcuni punti significanti del sedime, compresa la base di un pilastro che tuttavia è risultato dotato di una fondazione spuria e sottodimensionata per un utilizzo chiesastico autentico. In seguito, i monoliti furono inclusi in edifici rurali a essi adattati ma sottoutilizzati per scopi del tutto diversi da quelli originari. La chiesa/basilica del borgo nello specifico, come è emerso, era dotata di fonte battesimale, la cui edificazione fu ascritta vagamente nell’atto del 1300, dai Della Fratta-Gonfalonieri ai loro avi e risaliva quindi a tempi imprecisabili in quanto remoti, caduti nell’oblio dell’abbandono. Anche per questa circostanza dunque, alla luce degli effetti susseguenti alla rotta di Ficarolo non può risultare che precedente alla stessa rotta, certamente ben anteriore pertanto alla metà del XII secolo. Centocinquanta anni trascorsi fra le paludi, costituirono evidentemente un’eternità.

Il porto fluviale di Litiga - analisi dell’impianto portuale

E’ indispensabile per motivi di chiarezza fare convergere da ultimo verso un insieme interdipendente la numerosa serie di testimonianze tramandate separatamente: a iniziare dal toponimo Villa Litiza di Riccobaldo e dalla sua locuzione “merum per rupta ficaroli in Litigam navigando”. Non tralasciando il richiamo ad un porto fluviale con diritti riconosciuti ( “ius portus Litiga et domus Selvatica”... - la Cha Salvadega del Sacchetti, n. 29). Come pure la testimonianza di un collegamento tramite un itinerario stradale mercantile di importanza rilevante per l’epoca, Padova - Este - Rovigo - Grignano - Arquà Polesine - vicinanze di Polesella (Litiza) - Ferrara corrispondente a un di presso a quella rivestita ora dall’attuale S.S. n. 16. E ancora la presenza della chiesa plebana di Litiza tanto prossima a quella romanica di Raccano da escludere una possibile coesistenza temporale, per di più dotata di caratteri specifici non comuni nello spazio liturgico, con l’adozione dell’impianto basilicale (a colonne), assente a Raccano. Cosi si completa la raffigurazione di questa antica realtà demica. Il borgo si rivela un nodo intermodale ante litteram; oggi, sul piano urbanistico si definirebbe una “città lineare” spontanea, cioè un abitato privo di gerarchia, sviluppato lungo una linea di indefinita lunghezza - in questo caso il canale - che costituiva l'arteria principale destinata al trasporto di persone e merci 39 . La chiesa/basilica del borgo nello specifico, come è emerso, era dotata di fonte battesimale – ma senza alcuna precisazione: se interno o protetto da un portico e non c’è menzione di battistero.

Fig.4 Pontile su piloni da un affresco di una villa di Pompei “opus pilarum”

ferrariensis , manoscritto anonimo attribuito al notaio ferrarese Riccobaldo (1245 - post 1318). Sorprendono tuttavia, a posteriori, le numerose concordanze precise ed i riscontri, tra l’ubicazione del sito individuato, posto a nord-ovest e a non più di 1000 metri in linea d’aria dal centro di Raccano, lo stato delle rovine e quanto riportato con suprema dovizia di particolari alle pp. 36-37-38. 39 Il concetto urbanistico di "città lineare" fu una concezione utopistica dell'ingegnere spagnolo Arturo Soria y Mata (1844-1920), ripreso e sviluppato poi da altri nel XX secolo. 12

Figura 5 - 6 Particolare dei resti interrati del porto fluviale: le banchine e il fiume che lo attraversava unendosi al Litiga. Foto da Google earth anno 2015. A destra Mappa del Catasto napoleonico 1810- Comune censuario di Frassinelle-. La strada realizzata sul paleoalveo/dossofluviale o su una via alzaia del Canale Litiga fungeva da discrimine tra Polesella e Frassinelle. Il fondo Minella confinava a sud con una strada intercomunale identificabile con il paleoalveo dell’antico canale che attraversava il porto di Litiza diffluendo o confluendo nel Litiga: verosimilmente il Barzaga.

In un passo di Eneo Domizio Ulpiano, giurista del II sec. (dig . 50.16. 59 ) si trova la definizione di porto ai tempi di Roma, valida anche nei secoli del Medioevo: “Portus apellatus est conclusus locus quo importantur merces et inde exportantur”. Laura Chioffi sostiene che Il vocabolo portus riassume tre concetti, quello di dogana, quello di ormeggio e quello di magazzino, ognuno dei quali corrispondente ad una delle tre funzioni espletate tutte assieme in un unico locale 40 . Il Porto di Litiza presenta nella foto aerea una serie di macchie chiare di forma rettangolare nel fondo verde della soia alle prime fasi di crescita, allineate lungo il perimetro. Esse introducono l’idea di parallelepipedi, una soluzione, se confermata da indagini appropriate, inaspettata e straordinaria per un piccolo porto interno nel quale sarebbe stato naturale fossero utilizzati dei semplici pontili in legno. Con ogni probabilità si tratta dei moli e delle banchine del porto, in muratura o in cementizio sul modello riscontrabile in molti porti fluviali o marittimi dell’antichità e ispirati da Vitruvio e quindi evoluitisi nel tempo. Ancora nell'Alto Medioevo le tecniche di costruzione per le strutture subacquee dovevano essere quelle romane (opere in calcestruzzo individuate a Ravenna), mentre per i pontili, le darsene e le calate si utilizzavano strutture a palafitta 41 . Una cosa è certa: la costruzione di un porto, ancorché fluviale, ha un grande impatto sulla morfologia del luogo richiedendo la movimentazione di enormi masse di materiali e quindi di forza lavoro che prevedono tempi di utilizzo consoni. La logica che presiede il tutto è strategica, annonaria, forse in qualche aspetto militare. Gli ultimi avvallamenti rimasti, visibili anche dalle foto aeree, secondo alcune testimonianza sono stati colmati negli anni ’50 del XX secolo utilizzando residui delle lavorazioni dello zuccherificio di Polesella. Per questo nei periodi dell’anno in cui sono assenti le colture agrarie il suolo appare chiaro in modo inconsueto e quasi bianco.

40 Laura Chioffi, Sylloge Epigraphica Barcinonensis AA.VV.«Portus: Magazzini daziari e magazzini generali nei grandi porti commerciali», ps. 319-333; pag 319. Universitat de Barcelona X/2012 - Arbor Sapientiae Editore. 41 - Giulio. Schmiedt, I porti italiani nell'Alto Medioevo, Centro italiano di studi sull'alto medioevo, Spoleto 1978, pp. 129-254. 13

I romani misero a punto, ad iniziare dal porto di Pozzuoli, di età augustea, tecniche di costruzione di moli e banchine usando malte idrauliche per il conglomerato di opere a sacco e rivestimenti subacquei. La novità fu la costruzione di moli poggiati su arcate detti “ opus pilarum ”, come è lecito presume fossero quelli di Litiza. Ciò aveva la funzione idraulica di facilitare il flusso delle acque nei due sensi (Tartaro-Po della Rotta), cioè non contrastare eccessivamente il regime di portata nelle diverse stagioni e ridurre i pericoli più accentuati in un porto fluviale: la spinta dell’acqua che viene equilibrata favorendo la continuità idraulica come pure l’interramento. Banchine quindi ad opus pilarum, costituite da una serie di pilae (piloni) disposte ad intervalli regolari, al di sopra delle quali viene ad impostarsi un arco , oppure, molto più semplicemente un tavolato di calpestio che essendo mobile poteva essere ritirato in caso di piene o di necessità contingenti. Nulla si sa per ora, di un eventuale ponte che prolungasse la via alzaia 42 . Nei porti fluviali realizzati sulla Fossa Augusta (I – V sec.), canale atificiale endolagunare “per trasversum” che collegava Ravenna con ‘Padusa’- la laguna veneta, e portava acqua del Po al Porto militare di Classe, sono state rinvenute banchine in legno e muratura. Plinio, Nat. Hist., III,119 43 . Molte somiglianze sono riscontrabili anche nel coevo porto lagunare di Patavium, che presentava a sua volta analogie con Altinum e Aquileia. Tutte queste città si servivano di due scali portuali, uno urbano e uno esterno. Il porto esterno di Patavium scoperto da Ernesto Canal si trovava alla foce del Meduacus Maior – la Brenta- nella laguna veneta, nei pressi del bastione ottagonale del sistema difensivo cinquecentesco presso la Bocca di Malamocco 44 .

42 Marida Salvatori - Architetture marittime nel Mediterraneo – Università di Napoli, Facoltà di Architettura pagg.18-19. - Forcellini, Egidio, 1688-1768. Lexicon totius latinitatis. Patavii: Typis Seminarii, 1940 (OCoLC). - G.Lucatelli, 1750 pp15 e ss: Del porto di Ostia e della maniera usata da’ romani nel fabbricare i porti del Mediterraneo. Dissertazione, Roma. 43 - Plinio, Nat. Hist., III,119; – Enrico Cirelli – Ravenna: archeologia di una città , pp.18-19– ED All’insegna del Giglio Firenze 2008. 44 -Strabone, Geografia – Bosio L. 1967 , I problemi portuali della frangia lagunare veneta nell'antichità, in Venetia I, Padova, p. 13 ss. – Ernesto Tito Canal, Archeologia della laguna di Venezia 1960-2010, Supernova Ed. VeneziaMestre 2013. 14

Fig. 7 Ricostruzione schematica del Porto lagunare di Patavium posto presso la foce del Meduacus Maior (Brenta) rilevato dall’equipe guidata da Ernesto Canal. Il bastione ottagonale è quello “Abbandonato ”. Sono cinque gli Ottagoni in laguna: quello di Poveglia, costruito presso l'isola omonima, sul suo lato sud, l'Abbandonato e quelli degli Alberoni, di San Pietro in Volta e Cà Roman. Il porto risale al I e II sec. e evidenzia le file di moli a parallelepipedo, verosimile opus pilarum . Questo porto si trovava sulla Via Paralitoranea (Idrovia fluvio lagunare che da Ravenna conduceva a Altino per 200 miglia e quindi a Aquileia per tagliate artificiali – fossae Augusta,Flavia, Clodia le principali-), C. Beltrame – Imbarcazioni lungo il litorale Altoadriatico in età romana, EUT Trieste. 2001, pp.433-434. – Sebastiano Cacciaguerra, Vie d’acqua e cultura del territorio, F. Angeli Ed. 1991 p. 148.

La Villa e i secoli XV e XVI

Alla luce di quanto detto si può affermare che a mano a mano che la questione della vicenda storica di questo ambito territoriale si avvia alla soluzione, è come se si chiudesse finalmente un ciclo temporale disseminato di misteri di comodo. La riscoperta del sito dunque si basa su aspettative ragionevoli e sull’analisi obiettiva della realtà, non di certo sul management delle percezioni o sull’incertezza del sentito dire. In seguito alla guerra di Ferrara, la cosiddetta “guerra del sale” scatenata da Girolamo Riario, nipote ambizioso di papa Sisto IV 45 , il paleo fiume Poazzo in cui sfociava il canale Litiga divenne nel 1482 linea di confine fra Stati e divise Raccano Ferrarese a sud con la vecchia podesteria ducale e il Pavaglione ovvero Pavajon (padiglione coperto per riunioni, mercato, ecc.) e Raccano Veneto a nord con la chiesa plebana dal doppio titolo, uno proprio: Santa Margherita e uno ereditato: S. Maria di Litiga . Polesella col suo territorio fu allora ricompresa nei domini di Venezia. Durante il passaggio dal XV al XVI secolo, tutto il Polesine divenne terra contesa tra la Repubblica di Venezia e il Ducato Estense, che si alternarono più volte nel governo del territorio. Ercole I duca di Ferrara, Modena e Reggio fu estremamente insofferente verso il ruolo che la consuetudine assegnava al signore di Ferrara nei suoi rapporti con il doge. Esso è efficacemente adombrato nell’ipocrita metafora diplomatica che definiva il doge «padre amoroso» del «buon figliolo» nei cui panni il duca doveva adattarsi suo malgrado. La “Guerra del Sale” nel 1482, ebbe a Polesella un teatro di battaglia sulla riva del Po, proprio davanti alla Fossa. Con il successo dei veneziani sugli estensi, determinante per la guerra, Polesella passò definitivamente sotto il dominio della Serenissima insieme con gran parte del territorio di Rovigo, che all'epoca non comprendeva tutto il Polesine. Polesella divenne dunque un importante centro strategico, in quanto il Po segnò per alcuni secoli il confine col Ducato Estense e lo Stato della Chiesa solamente nel tratto tra il Borgo e Guarda Veneta, ed era dunque l'unico sbocco della Serenissima sul grande fiume. E così pochi decenni dopo il Fiume Po in corrispondenza di Polesella fu teatro di un'altra più celebre battaglia fra la Repubblica di Venezia e il Ducato di Ferrara che si svolse il 22 dicembre 1509 nel corso delle vicende collegate alla Lega di Cambrai.46 Tra i secoli XV e XVI dunque anche la storia di Villa Litigia giunge a conclusione con il trasferimento e la fusione definitiva e stabile dei titoli delle due chiese plebane a Raccano, e con l’attestazione dell’obliterazione e l’interrimento irreversibile del canale da cui tutto era iniziato.

45 Ottenuta la signoria di Forlì nel settembre 1480, grazie agli uffici del potente zio, Girolamo pensò infatti di allargare i propri possedimenti territoriali in Romagna (le saline romagnole), approfittando delle tensioni esistenti tra Estensi e veneziani, con le truppe veneziane che occuparono Ficarolo e Rovigo nell’estate 1482. Col trattato di Bagnolo (Bagnolo Malle BS) Venezia ebbe il Polesine di Rovigo e il Delta del Po. 46 La battaglia è ricordata anche da Ludovico Ariosto nel suo Orlando Furioso - canto 40, 2, vv. 1-4 « Ebbe lungo spettacolo il fedele vostro popul la notte e 'l dì che stette, come in teatro, l'inimiche vele mirando in Po tra ferro e fuoco astrette. » 15

Architettura di villa nella Terraferma Veneta e nel territorio di Polesella

Contemporaneamente ebbe pieno sviluppo un evento epocale fondamentale per l’area veneta in generale, definito il “trasferimento in campagna della Serenissima”. Alla fine di una fase storica segnata da cambiamenti politici e nei rapporti di forza nel Mediterraneo come pure nell’entroterra veneto-friulano, nel 1345 il Maggior Consiglio abrogò la legge che da settant'anni vietava ai veneziani l'acquisto di terreni in terraferma. Era ritenuto un pericolo per la sicurezza di Venezia ma lentamente ebbe inizio la trasformazione della società veneziana, sempre più interessata ad accrescere i possedimenti fondiari; un vero salto di qualità rispetto ai traffici marittimi con l’oriente e il nord Europa (Fiandre e Baltico). Furono aperti scenari di un mondo nuovo il cui simbolo fu la villa veneta di terraferma. Il tutto ebbe inizio qualche tempo prima con il riutilizzo di vecchi castelli in disuso, dalle forme gotiche, sia pure decorativamente fastose ma ormai obsolete, i cui elementi stilistici erano caratteristici della concezione progettuale urbana. Si giunse a elaborare un modello assolutamente rivoluzionario che trovò l’apice nelle dimore palladiane 47 . In esse l’architetto vicentino, ispirandosi al classicismo attinto direttamente dall’antica Roma cercò di interpretare la variazione del gusto dell’aristocrazia veneziana e veneta cui adattare il repertorio da lui elaborato. Il passaggio non fu travagliato poiché altri personaggi colti avevano aperto la strada: Alvise Cornèr 48 e Giangiorgio Trissino, figure fondamentali alla base della cultura che espresse la civiltà delle ville venete di cui Palladio fu l’epigono. In Polesine, a Fratta fa bella vista una delle opere più conosciute di Palladio: l’esemplare di perfezione nella proporzione e nell’inventiva architettonica che è Villa Badoer 49 . Così pure nel territorio di Polesella sorsero numerose le ville, non certo a Raccano 50 , luogo ormai trascurato, bensì lungo il corso della Fossa Polesella o del Po di Venezia, nel nuovo centro demico, meta d’arrivo della serie di traslazioni iniziate nel XII secolo, al tempo della diversione del Po. L’elenco di ville non è certo irrilevante: da Villa Morosini presso l’argine del Po, a Palazzo Grimani a Villa Armellini, a Cà Rosetta a Villa Selmi tutte in margine alla Fossa, lontane quindi da Raccano. Secondo “canoni tipologici inderogabili” queste architetture erano inserite nel contesto di una grande proprietà agricola che ne determinava la funzione nonché la struttura-tipo. Era un complesso edilizio con un corpo centrale (casa dominicale), residenza del proprietario che si distingueva per l’elaborazione dei particolari ornamentali; insieme sede di rappresentanza e di villeggiatura estiva, con una duplice funzione: abitativa e lavorativa. Di solito le residenze di villa erano caratterizzate dall’assenza delle cucine e di sistemi di riscaldamento invernale. Il lavoro relativo alla preparazione dei cibi infatti si svolgeva nelle dipendenze, nelle adiacenze e negli annessi rustici integrati. Le ville si animavano soltanto per pochi mesi l’anno, con l’approssimarsi del periodo del raccolto, da ammassare nel sottotetto-granaio posto sopra il piano nobile rialzato. Il momento tanto atteso coincideva con l’arrivo dei proprietari con famiglia e il seguito e si protraeva dalla vigilia della festa di Sant’Antonio di Padova fino alla fine di luglio o tutt’al più fino alla vendemmia per coloro che disponevano di terreni atti alla coltivazione delle viti. Poteva pertanto anche prolungarsi o riprendere dall'inizio di ottobre fino alla metà di novembre. Il trasferimento da Venezia avveniva ancora fruendo del sistema della fluvializzazione dei trasporti oppure attraverso percorsi stradali caratterizzati da non minore precarietà d’utilizzo. Il richiamo dell’arte e del fasto è evidente in ogni angolo di questa tipologia di edificio. Si tratta del fascino che tanto ammaliava letterati e poeti come Pietro Bembo, Pietro Aretino, Giacomo

48 Nel XVI secolo, con l'architetto Andrea Palladio, si formò uno specifico tipo di villa veneta, individuato con il nome di villa palladiana. sitiunesco.it 48 Alvise Corner o Cornaro appassionato di architettura e esperto di idraulica, membro del Magistrato dei Beni inculti. 49 Anch’essa costruita su un preesistente edificio castellano che funge da basamento. 50 Raccano Veneto era già in decadenza, per Raccano Ferrarese già sede di Podesteria Estense, era in atto l’abbandono e la stessa rovina. 16

Casanova, Carlo Goldoni i quali trovavano nelle “case di villeggiatura” il luogo migliore per scrivere a da cui trarre ispirazione. I nobili poi non badarono ai costi per rendere più belli i luoghi dei loro ozi e riposi, e tale era la sontuosità, lo sfarzo, l’esibizione di ricchezza che, in più occasioni il Senato della Repubblica Veneta si sentì costretto a emanare “leggi suntuarie”. Non solo nell’ambito del vestiario e dell’arredamento, come risaputo, ma anche nell’ambito dell’architettura. E se è vero che “un paio di colonne” non si negavano a nessuno fra gli esponenti della nobiltà alla ricerca di prestigio, risulta d’altra parte che fu vietato dal Senato Veneto l’utilizzo di marmo e pietra per ricavare le colonne che sostenevano pronai e fastigi delle ville, imponendo regole di sobrietà con il fine preciso di evitare l’ostentazione della ricchezza. Pertanto le stesse colonne dalle dimensioni imponenti, non trasportabili neppure per via fluviale se fossero state monolitiche, dovevano essere realizzate con materiali poveri, e quindi mattoni a forma di settore circolare, di solito corrispondenti a ¼ di cerchio. Venivano intonacati una volta in opera e rifiniti a marmorino veneziano, ovvero un intonaco di calce spenta e polvere di marmo in grado di fornire una buona protezione dalle intemperie e un effetto curato al punto da essere scambiato per marmo. Mentre gli architravi o epistili erano realizzati con semplici travature di legno sagomato e intonacato. E questo è quanto si riscontra anche a Polesella. Fa eccezione a questa regola la Rocca Pisana di Lonigo i cui fusti di colonna del pronao sono realizzati con rocchi sovrapposti di calcare tenero dei Berici, che però nella zona era quasi più facile da reperire degli stessi mattoni. Appare bizzarra la scelta di inserire un pronao sostenuto da colonne, con timpano, fregio, le statue acroteriali e quant’altro, tutti elementi dell’architettura di culto antica, in strutture residenziali e per di più di campagna, nella convinzione che gli antichi lo ponessero davanti ai loro palazzi 51 . Ma il termine “prònaos” fa intendere senza dubbi “davanti alla cella del tempio”, ovvero atrio del tempio. La tipologia architettonica più originale del rinascimento in Veneto la “casa di villa” interpretata come “villa tempio” che ha fissato nel mondo il cultural landmark del territorio veneto sembra basata su una malintesa valutazione storica, nonostante avesse a fondamento uno studio approfondito dell'architettura romana classica. Da qui la conclusione che sia stata attuata una scelta precisa e preparata. Ciò avvenne sotto la guida e la tutela dell ’umanista Giangiorgio Trissino 52 . I suoi concetti proto-illuministi che riversò su Palladio gli valsero, alla fine, una grande notorietà anche in America, paese che nel Settecento espresse il neopalladianesimo, in netto contrasto col Rococò europeo. 53 Il tentativo superficiale e fuorviante di avvicinare, fino anche a fare coincidere i lacerti monolitici di Villa Litiza con gli elementi propri dell’architettura veneziana di villa, tanto diffusi nella vicina Polesella, è dunque aporetico e assolutamente da rifiutare. A esso è da disconoscere qualsiasi aspetto di oggettività, sia sul piano storico sia su quello ambientale come pure su quello sostanziale del rispetto dei canoni tipologici inderogabili appena menzionati.

Conclusioni

Nonostante tutto, quello che appare della “basilica di Litiza” anche se modesto per consistenza, presenta un grande valore ideale e una notevolissima importanza storica. Lo storico dell’architettura Christian Norberg Schulz 54 sostiene che i “fenomeni” architettonici hanno origine nel rapporto “esistenziale” tra l’uomo e l’ambiente.

51 Il fastigio era considerato un attributo dei templi: insieme con altri onori divini fu concesso a Giulio Cesare di ornarne la sua casa (Cic., Phil ., II, 43; Floro, IV, 2,91). E’ il primo caso ricordato nella storia. 52 Giangiorgio Trissino dal Vello d'Oro, conte vicentino. Palladio conobbe Trissino mentre lavora nel cantiere della sua villa suburbana di Cricoli. Giangiorgio Trissino, poeta e umanista, lo prese sotto la sua protezione. E’ stato lui a conferirgli l'aulico soprannome di Palladio, lo guidò nella formazione culturale e allo studio della cultura classica, conducendolo più volte a Roma. 53 Gabriella D’Amato, l’arte di arredare, Paravia Bruno Mondadori Editori 2001. p, Milano p.230. In America il palladianesimo darà origine al Neoclassico in concomitanza con l’instaurazione della repubblica. 54 Christian Norberg Schulz Genius Loci – Paesaggio Ambiente Architettura. Ed Mondadori Electa S.p.a. 17

Così è accaduto per questa chiesa in virtù del genius loci, dello spirito del luogo sopravvissuto alle continue modifiche degli assetti funzionali, che ha conferito al tutto un carattere indelebile. I luoghi, gli agglomerati, le architetture concorrono alla sedimentazione di un carattere più generale, di un ambiente in cui si fondono la vita delle forme e quella degli uomini, che rafforza lo spirito del luogo attraverso le variazioni imposte dal trascorrere del tempo. Il genius loci della “villa” è ancora lì, racchiuso fra le colonne e i pilastri e quant’altro nel sito non è attualmente visibile liberamente ma è percepito involontariamente, e non solo fra i resti più evidenti, in quanto anche alcune adiacenze ai lati dell’attuale strada ne sono intrise. L’osservazione dei resti della chiesa costituiti nella parte più manifesta da colonne e pilastri monolitici hanno fatto concludere a molti osservatori, escludendo che vi sia alcunché di complesso da chiarire e di ragguardevole da salvare, che sia assurdo non considerarli connotazioni di una fabbrica rinascimentale o ancor più opportunamente di una villa veneta inconclusa o abbandonata al degrado, in una parola saremmo di fronte a un sito iettato, simile in qualche modo alla barchessa dell’incompiuta villa Trissino opera di Palladio. La villa veneta , infatti, come sottolineato è una struttura tipologica significativamente rappresentata nell’adiacente Polesella, unico luogo dell’intera area in cui esistettero le condizioni economiche e le connotazioni ambientali idonee alla sua diffusione. In considerazione però del fatto che non risultano richiami né rimandi storico-letterari ad un edificio di tale tipo nell’area afferente a tutto il circondario di Raccano, la circostanza della scoperta di questa presenza appare senza alcun dubbio almeno curiosa e stravagante. Vi sono nella storiografia e negli atti notarili, al contrario, innumerevoli e protratti accenni all’insalubrità dei luoghi selvaggi occupati da vaste e talora profonde paludi estese su entrambi i lati del paleoalveo del canale 55 fra le quali gli Estensi, “stirpe guerriera longobarda” finché ne ebbero l’opportunità organizzarono frequenti grandiose battute di caccia, anche al cinghiale con centinaia di invitati. 56 Cresce allora l’importanza di volgere l’impegno alla interpretazione del linguaggio architettonico espresso dai lacerti, considerandoli espressioni grammaticali, canoni e lessico della disciplina architettonica. 57 Il “fenomeno” architettonico in questione è costituito da cinque colonne tuscaniche e due pilastri di testata completi di plinto, base, capitello e fusto, d’apparenza altitonante.58 Non vi è traccia evidente, in superficie, di trabeazione, architravi, timpano, fregio e di qualsiasi altro elemento strutturale. In particolare, compaiono soltanto quelle colonne monolitiche pesanti ciascuna oltre tremilacinquecento kg, alte in totale circa cinque metri, aventi lato e diametro di base pari a 64 cm ricavate e rifinite con tecnica arcaica, tuttora facilmente osservabile, nel calcare bianco- giallognolo o pietra dolce dei Monti Berici. 59

Venezia 2005. 55 Marchetti Milanovic 1786 Topografia del Polesine. - Frizzi “ Memorie per la storia di Ferrara”. - Gasparo Sardi – Libro delle Historie Ferraresi, p.32. Fu Borso d’este a incaricare Prisciano Prisciani di dare inizio a una qualche forma di bonifica a Ca Selvadega a sud del Tartaro. 56 L.A. Muratori – Rerum Italicarum Scriptores Tomo XXIV – Parte VII, Bernardino Zambotti – Diario Ferrarese dall’anno 1476 all’anno 1504, p. 58, p. 90-91, Nicola Zanichelli Ed. Bologna. Nelle paludi, infatti, si trovava straordinaria quantità di uccelli acquatici ma anche daini e cinghiali. Per la corte estense le battute ai cinghiali, a cui potevano prendere parte centinaia d'invitati, riuscivano le più divertenti. Per queste cacce il duca disponeva di una numerosa muta di cani e di levrieri, di moltissimi falchi e astori ammaestrati, e di quei magnifici leopardi addestrati a cavalcare e a inseguire e azzannare le fiere di cui andò orgoglioso anche col re di Francia. 57 UNIVR – Storia dell’Architettura , Prof. ssa D. Zumiani Lab. LE PAROLE E LE COSE. Il lessico dell’architettura classica, Arch. D. Cavallo - Il lessico dell’architettura medioevale, Dott. S. Coden. 58 Una delle colonne fu atterrata nel 1987, ricomposta a terra nel cortile adiacente alla strada che conduce a Frassinelle Chiesa (foto), fu vista da un automobilista di passaggio e a questi ceduta. Il pilastro più orientale è stato demolito nel mese di agosto 2014 e trasportato presso la chiesa arcipretale di Crespino (foto del 10 ottobre 2014). 59 Le colonne non sono di provenienza erratica essendo tutte perfettamente uguali e complete. Ad esse, inoltre, si 18

Il fusto liscio delle colonne è rastremato e ha pertanto la conformazione di un tronco di cono che si restringe quasi impercettibilmente dalla estremità inferiore, cioè a partire dall’ imoscapo verso l’alto, la sommità del fusto detta sommoscapo. Testonianze di operatori, tutt’altro che sprovveduti quindi, consci che una colonna cilindrica, vista da lontano presenterebbe un effetto ottico sgradevole di concavità mediana. La rastremazione di queste colonne, comportando invece un restringimento lineare del diametro dal basso verso l’alto, verificato sul campo con mezzi opportuni, conferisce loro un profilo teso che determina un effetto di movimento ascendente. Quando si disserta di colonne non è possibile evitare di ricorrere alle considerazioni morfologiche che attengono al concetto di ordine ovvero alle relative norme stilistiche e proporzionali a esse relative e in modo particolare riferibili ai loro capitelli. E’ assodato che l’uso degli ordini architettonici iniziò in epoca ellenistica ma la loro codifica è opera di un anziano ufficiale e ingegnere romano del primo secolo a.C.: M. Vitruvius Pollio 60 . Il suo fondamentale lavoro è comprensibilmente piuttosto sintetico rispetto alla complessità dell’architettura antica. Dopo di lui i trattatisti del Rinascimento ad iniziare da Leon Battista Alberti e proseguendo con Serlio, Vignola, Palladio, Scamozzi e altri definirono i cinque ordini classici 61 . Per Vitruvio è il diametro della colonna misurato alla base a costituire l’unità di misura: le proporzioni dei vari elementi dipendono da esso, con qualche variante. L’Alberti preferì addentrarsi anche nelle frazioni del modulo ovvero diametro. Ma in seguito prevalse la tendenza a razionalizzare il sistema delle proporzioni. Il termine – ordine - derivava dal greco “rytmòs”. Numeri e geometria sembravano assicurare un controllo estetico e formale sulla realtà e sulla natura caotica. Non è stata prevista e realizzata, come accennato, nelle colonne della basilica l’entasi, l’accorgimento estetico molto comune dal Rinascimento in poi che crea la sensazione come di un lieve cedimento di una colonna sotto il suo stesso peso, ovvero di un movimento verso il basso. Anche questo fatto depone contro le tesi di chi vorrebbe le stesse colonne di epoca rinascimentale e quindi più recenti di almeno mezzo millennio. All’opposto, se si vogliono individuare conformazioni analoghe di fusti, basi e capitelli è opportuno cercare addirittura fra i resti di Pompei (porticato in calcare bianco del Foro Civile); per quanto riguarda l’insolita ampiezza del collarino del capitello inoltre, una similitudine si può riscontrare nel confronto con quelli delle colonne dell’anfiteatro Campano di S.M. Capua Vetere (CE), realizzato tra I e II sec. d.C. In sintesi le colonne di Litiza presentano analogie e somiglianze con costruzioni del periodo imperiale romano. E’ noto che in epoca medievale la normativa architettonica classica si dissolse quasi totalmente per il fatto che la tendenza dominante fu quella di rifuggire l’esigenza di un inquadramento razionalmente comprensibile dello spazio e delle superfici, mentre tutto cambiò con l’inizio del Rinascimento. Il linguaggio architettonico espresso dai lacerti di Litiza esula dunque da quello del periodo medievale, romanico e rinascimentale ma denota invece connotati romani veri e propri. La dislocazione geografica nonché lo stato di lavorazione e conservazione degli elementi portano a escludere il riutilizzo di elementi più antichi, confermano piuttosto quanto apparso realistico fino da subito: i resti sono manufatti realizzati presso la cava, commissionati con lo scopo di edificare una costruzione originale nell’importante e, ormai si può affermare, ricca Villa – snodo fluviale del nord-est fino al periodo precedente la rotta di Ficarolo. Sono stati utilizzati prodotti non di spoglio o

uniformano i due pilastri quadrati. Il tipo di pietra dalla quale sono state tratte riporta ai Monti Berici dai quali fino dalla più remota antichità si poteva sicuramente navigare almeno sino all’Adige/Tartaro, attraverso i territori di Lozzo d’Este, Carmignano, Vescovana, Badia Polesine, Lendinara, Fratta. Vedasi C. CORRAIN, I villaggi scomparsi , in: Territorio e popolamento in Bassa Padovana , Stanghella, 1984, pp. 99-101. Ed anche - AA.VV. Brenta Vecchia Nova Novissimo , Venezia 1980, pp. 27-29. 60 Marco Vitruvio Pollione, “De architectura libri decem”, I sec. a.C. dedicato a Augusto è il più antico trattato pervenuto nella sua interezza. 61 Mentre Il romano li distinse in tre principali, detti “greci” (dorico, ionico e corinzio) e due secondari detti “romani” (composito e tuscanico), nel Cinquecento la loro morfologia venne ricostruita e codificata in canoni che definiscono cinque ordini sulla base dei rapporti dimensionali proporzionali al diametro di base della colonna. 19 erratici, ma originali appositamente ricavati dalla lavorazione del tufo (tovo) 62 provenienti da una delle aree toccate regolarmente dal servizio di trasporto che faceva capo al porto di Litiza: il lato orientale dei Colli Berici (Nanto e dintorni). Quell’antico porto/emporio non poteva che trovarsi ovviamente nei pressi del canale e costituire un bacino laterale con esso comunicante, allo scopo di non intralciare il traffico dei natanti. Una struttura così concepita doveva essere simile a quella evidenziata in trasparenza da mappe satellitari poco a sud del sito della basilica dalla medesima parte del canale, nei campi di Ca’ Minella. Ma tutto questo richiede ulteriori indagini approfondite e sofisticate in campo aerofotogrammetrico e geologico, nonché di ricorrere a ricerche di topografia storica. a_em 17.12015

Il contenuto di questa ricerca è di proprietà del suo Autore Sandro Maragno. Salvo la concessione di autorizzazione da parte dell’Autore, non è consentito copiare parzialmente o integralmente il contenuto.

15 ottobre 2018 Pubblicato online nel mese di ottobre 2018

62 La Pietra di Vicenza o tufo dei Berici è caratterizzata da una morbidezza che la rende molto semplice da lavorare. Per questo vengono frequentemente usati strumenti associati di solito alla lavorazione del legno, come ad esempio la sgorbia. Spesso, inoltre, i lavoratori adoperano mazzuoli di legno o di metallo morbido, anziché martelli d'acciaio. La pietra può essere segata con seghe di metallo che non usino abrasivi. All’esame attento delle superfici è ancora rilevabile l’utilizzo dello strumento oggi detto gradina il cui bordo da taglio ha una larghezza variabile da 0,05 a 10 cm dentellato e di solito finemente affilato che imprime sulla superficie lavorata una serie di linee parallele molto simile a un sentiero di ghiaia accuratamente rastrellato e che crea una sorta di prima levigatura grezza.

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APPARATO ICONOGRAFICO

fig. 1 Estratto del “Catastico” veneziano del 1775. Presso il bivio stradale compare una corte rurale con due edifici riuniti in una immagine convenzionale e stereotipata secondo un modello fisso e ripetitivo. Il fondo è definito Cassinetta.

. fig. 2 Archivio di Stato di Rovigo. Estratto del catasto austriaco del 1843. Nel fondo divenuto “Foscarinetta” risalta l’edificio rurale con l’estremità occidentale di forma quadrata inglobante il colonnato, composto da 7 elementi in calcare tenero: cinque colonne comprese fra due pilastri posti ai lati estremi. La porzione rimanente presente a Corte Foscarinetta era un antico edificio residenziale con un qualche pregio storico-ambientale che fu prima abbandonato negli anni ’70 e demolito di recente. Sostituito da un capannone di ricovero attrezzature per lavorazioni agricole. L’edificio prospiciente l’incrocio fu demolito negli anni ’60 e sostituito da una scialba palazzina. La corte è stata quindi stravolta quasi completamente con la sola eccezione del rustico contenente una parte del colonnato. Al momento della sua realizzazione, forse verso la fine del XVIII secolo, come segno di rispetto, fu tentata una sorta di reinterpretazione architettonica, sia pure di scarso valore, delle parti antiche preesistenti, inglobandole in un edificio di uso agricolo.

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fig. 3 Vista dell’area di Villa Litiza con le anse terminali del paleo alveo del canale da Google earth. O Collocazione del sito con i resti della basilica O Probabili resti interrati del porto fluviale

fig. 4 Topografia dell’area Frassinelle – Polesella – IGM XIX sec. O Il sito della basilica di Santa Maria di Litiza O Tratto terminale del canale Litiga nel cui alveo interrato, appaiono i resti del porto-fluviale. Un tratto di canale defluiva dal Litiga, attraversava l’area portuale e confluiva infine nel Poazzo attraverso un paleoalveo .

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fig. 5 Mappa catastale napoleonica anno 1810. In alto l’involucro del colonnato, in basso evidenziato da un cerchio il sito del porto: il dosso fluviale del “Barzaga” si connette a quello del Canale Litiga. L’accesso a Corte Minella avveniva dalla strada realizzata su questo dosso fluviale, mentre attualmente avviene da est. I dossi costituivano pure confini comunali fra Polesella e Frassinelle. Nella mappa di Nicolò dal Cortivo del 1534 l’accesso avveniva anche da nord.

fig. 6 Foto da drone di Michele Baldo su Corte Minella. La soia in maturazione avanzata evidenzia alcune trasparenze di origine antropica e geomorfologica in corrispondenza di quello che fu il porto di Litiza. E’ evidente la corrispondenza esistente con la Mappa Google Earth (fig. 5) e con la Mappa di Nicolò da Cortivo del 1534 (fig.6). Il dosso fluviale della Barzaga attraversava il porto tra le file di banchine a sud e a nord fino a congiungersi con il dosso della Litiga. Rimane da chiarire una realtà di importanza marginale: se nel fossato parallelo alla strada possa riconoscersi il rigagnolo residuale dell’originario canale Litiga.

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fig. 7 Foto da drone di Michele Baldo su Corte Minella e il sito del porto fluviale di Villa Litizza. Sono evidenti le rigogliose erbe infestanti emergenti dalla coltura di soia, naturale testimonianza della presenza di strutture interrate.

fig. 8 Mappa aerea da Google Maps – 8 giugno 2013 – area di Polesella. Dall’alto in basso: il sito del colonnato di Villa Litiza, Corte Minella e l’area portuale il cui bacino, racchiuso dalle banchine, era attraversata dall’innesto del paleo alveo Barzaga/Tessarolo evidenziato in rosso, l’abitato di Raccano e quindi l’ansa del Po di Venezia nell’angolo destro.

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fig. 9 Nicolò dal Cortivo “pertegador” – mappa relativa all’area di Polesella. Circa 1534. Dall’alto in basso: il sito del colonnato di Villa Litiza, il Pallazo di stile ferrarese, fondi di Ercole Bevilacqua, attraversati dalla strada sul paleo alveo del Barzaga che confluiva nel porto fluviale, l’indicazione “le Selvadeghe”a destra e quindi Rachan in sinistra Poazzo. ARCH. STATO VENEZIA – Genio Civile 1-5, a colori su carta. Accademia Dei Concordi Ro. Il Polesine dalla Guerra di Ferrara al Taglio di Porto Viro. A cura di Adriano Mazzetti. A. A. 1976-1977

fig . 10 Territorio di Pontecchio e Frassenella da Fiesso sino a Pontecchio - in ASMo, Mappario Estense, mappe in volume "Codice Franchi" (perito Ferrante Franchi 1622-post 1684), pag. 131, mappa 141 – particolare - Il Paleoalveo ormai dosso stradale corrispondente allo scomparso “Fossatum de Sylvule” dell’VIII sec. poi Canale Litiga è denominato “Argine che divide la Frassinella dalle Selvatiche”. Nel punto in cui esso raggiunge l’argine del Tartaro è indicata “La Ca’ Selvadega”, toponimo importante nel contesto storico di Villa Litiza: Novella XLVIII di Franco Sacchetti XIV sec. - “Silvestris Domus” di Flavio Biondo storiografo del XV sec. Un canale poco a nord del Poazzo dopo avere scaricato in esso, termina nel porto di Litiga contro il paleoalveo e il “rigagnolo” della Litiga, ancora oggi evidente. Questa mappa di circa un secolo più tarda della precedente (fig. 9) mostra limitate variazioni topografiche. Curioso è il fatto che la strada sotto corte Minella è rappresentata come un canale mentre prima era un dosso/argine.

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fig. 10 Archivio di Stato di Rovigo – Catasto Austro Italiano 1845-1927 – Ca’ Minella e il Collettore Padano Polesano allora Canale di Stienta. La strada degli Arzerelli utilizzava il paleoalveo del Tessarolo/Barzaga e fungeva da confine fra i comuni di Polesella e Frassinelle. Il ponte della Minella dava accesso alla corte. Il Ponte Priuli dava continuità alla strada impostata sul paleoalveo della Litiga.

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fig. 11 ACAP - Archivio Consorzio Adige Po – Rovigo. Planimetria del tracciato di progetto anno 1881. Originale in scala 1:2000. CONSORZIO DELLA BONIFICA PADANA – busta 512 bis. Il Collettore Padano Polesano (“Padano” fino alle vicinanze della Fossa Polesella diventava poi “Polesano” fino al mare). Il nome originario fu “Canale nuovo di Stienta, esso non compare nel catasto napoleonico (1810) poiché solo dopo l’accordo di Padova del 1811 le acque di Stienta scaricarono in Po a Polesella (chiavica Barbozza) mentre dal 1633 scaricavano a Occhiobello. Fu scavato a formare un’ansa parallela al paleoalveo che fino al XV secolo costituiva il ramo del canale che attraversava il porto di Villa Litizza, come mostra la fig. 9. La rettifica del l’ansa del Collettore Padano, ancora esistente nel 1925, appare opera realizzata nel Catasto del 1930 – Archivio di Stato di Rovigo. Il sito del porto fu quindi svincolato e in seguito colmato negli anni ’50 del 900.

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fig.12-13 Il colonnato ripreso da sue angoli visuali nel 1987. A terra la colonna smontata per allargare un passaggio.

fig. 14 Capitello ben conservato ripreso su due colonne distinte.

fig. 15 Capitello tuscanico classico rinascimentale a sinistra e il capitello di Villa Litiza a destra uniformati alla medesima dimensione dell’abaco allo scopo di meglio evidenziare analogie e dissomiglianze. Echino e i tre anuletti sono ridotti nelle dimensioni, quasi contratti, atrofici; il collarino ha un’altezza quasi doppia, discrepante. Pure possedendo tutti gli elementi che compongono l’elemento tuscanico non risulta conforme, nell’equilibrio degli stessi, ai canoni dell’età umanistica e della rinascita dell’antico col rinascimento e il classicismo, elaborati dalla trattatistica architettonica - XV, XVII secolo -. Ma neppure a quelli dell’alto medioevo, caratterizzato dalla persistenza di modelli classici (seppur rielaborati) e di convivenze con l’estro creativo del tempo. Non tralasciando l’influenza stilistica del luogo di produzione: officine dei Colli Berici orientali, questo capitello sembra rimandare piuttosto, ai modelli meno sofisticati della casa di villa, della villa imperiale anzichè all'età tardo antica iniziata nel VI secolo. Ardui sono i confronti con chiese del periodo a causa dei diffusi ampi rimaneggiamenti ovunque succedutisi nei secoli.

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fig . 16 Le Barchesse di Villa Trissino, costruite nel 1567 circa sono l'unica parte superstite del progetto mai compiuto per una villa veneta di Andrea Palladio a Meledo di Sarego (Vicenza), sulle rive del fiume Guà. Le colonne tuscaniche rinascimentali in tufo o calcare tenero dei Berici, di ottima fattura e i capitelli, in particolare, si differenziano in modo evidentissimo dai corrispondenti elementi architettonici costituenti i resti di Villa Litiza.

fig. 17 Veduta del perimetro esterno dell’anfiteatro campano di S. Maria Capua Vetere (Caserta). Fu innalzato tra la fine del I e gli inizi del II secolo d.C. Le semicolonne sono dotate di capitelli tuscanici caratterizzati da una abnorme ampiezza del collarino. Fatto riscontrabile anche nei resti di Villa Litiza.

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fig. 18 Cosiddetta Villa di Augusto in località Starza della Regina, nei pressi di Somma Vesuviana, in provincia di Napoli, databile ai primi decenni del II secolo dopo Cristo, ma al suo interno sono state trovate statue che risalgono a prima dell'eruzione del Vesuvio che distrusse Pompei ed Ercolano nel 79. L'edificio fu utilizzato fino al V secolo dopo Cristo: non più come dimora di lusso, ma come fattoria. Poi l'eruzione del Vesuvio del 472 dopo Cristo lo seppellì per oltre la metà della sua altezza. La villa segue un modello tardo-antico, vicino per esempio a Villa Armerina in Sicilia. In evidenza una delle quaterne di pilastri quadrati dalle proporzioni simili ai pilastri di Litiza, come molto simili sono pure i capitelli.

fig. 19 Pilastro est abbattuto nel 2015. Si nota il suo riassembramento avvenuto in epoca imprecisabile per rimediare alla rottura in due tronconi corrosi in maniera diversa. A destra il capitello danneggiato nello spigolo e capovolto dopo la demolizione con la cavità utilizzata per alloggiare una putrella d’acciaio a sostegno della pensilina di copertura. Sopra, più scura la base.

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fig. 20 Il pilastro dopo la demolizione ripreso da due angolature diverse. I due tronconi sono separati e sovrapposti. La base è appoggiata sopra al fusto.

fig.21 Sezione dello scavo della fondazione del pilastro est (anno 1987). L’opera di fondazione non risulta adeguata per una costruzione basilicale – il solo pilastro pesa circa 4 t – . Dallo scavo sono riemersi frammenti di ceramica rinascimentale, sopra uno strato di malta sfatta per una pavimentazione non in opera ma recuperata e riutilizzata nelle vicinanze composta da basoli di trachite euganea che la Soprintendenza ha ritenuto provenire dal Monte Lispida, e quindi uno strato di circa 15cm di frammenti di mattoni e di embrici romani. Il tutto ricoperto da circa 50cm di terra.

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fig.22 Foto dello scavo di sondaggio alla base del pilastro in fase iniziale. Anno 1987.

fig. 23 Porto di Classe (RA), non si tratta del porto augusteo della flotta orientale Il porto di Classe che poteva contenere fino a 250 navi da guerra alla fonda ma già in gran parte interrato nel VI secolo secondo lo storico Giordane (Ghetica, XXIX, 149-150), bensì di uno dei numerosi approdi più piccoli, in particolare di uno posto a est della basilica di S. Apollinare in classe. Sono evidenti le probabili banchine in cementizio allineate. Rintracciabili in molti altri porti.

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fig. 24 Porto fluviale di Aquileia contraddistinto da moli continui su due livelli allo scopo di essere agibile con acque alte e basse in quanto porto doppio collegato al mare Adriatico. Dunque una banchina di magra e una di piena per i periodi di basso e alto regime idrico del fiume. I plinti in lontananza servivano a sostenere robusti magazzini coperti horrea per il grano e generi di consumo.

fig. 25 Ricomposizione di rilievo del II secolo con scena di alaggio. Avignon, Musée Calvet, Musée Lapidaire. Almeno due helciarii intenti a tirare una barca semplificata e formalizzata mentre un timoniere governa da bordo - Ada Gabucci Ecole Francaise Roma 2017. E’ noto come le navi venissero trainate con funi lungo fiumi e canali anche da un passo di Cassiodoro, sec V, (Variae, 12, 42).

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fig. 26 Traino da una strada di alaggio lungo un canale del Brandeburgo in Germania.

fig . 27 “Rascona” presso il Ponte Vecchio di Pavia, anni 1920-1930. A fianco della rascona c’è l’”innavadura” per il trasporto di uno o due cavalli destinati al traino del natante quando si risaliva la corrente (da Guarnieri – Medas – Pizzarello 2010)- Catalogo “On the road – via Emilia 187 a.C. -2017, p.158.

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fig. 28 Gli alatori o battellieri del Volga, 1870–73 in un dipinto di Il'ja Efimovi č Repin 1844-1930 - Museo Russo, San Pietroburgo . L’albero di alaggio, qui ben visibile all’occorrenza poteva essere armato con una vela ( Giulia Boetto 2014, p. 58-59). L’immagine rende l’idea di quanto dovesse essere gravoso lo sforzo causato dall’alaggio.

fig. 29 Telemaco Signorini. L'alzaia. 1864. Olio su tela. cm. 58,4x 173,2. Collezione privata. L'alzaia, realizzato nel 1864 è sicuramente uno dei dipinti più conosciuti di Telemaco Signorini. Rappresenta dei braccianti durante il loro lavoro e sono mostrati con le gambe affondate fino ai polpacci nel terreno. Risalta l'atteggiamento esausto degli uomini che si muovono solo per inerzia.

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