Progetto cofinanziato da

Comune di

STUDIO DI FATTIBILITA’ DEL PARCO SMERALDO

STUDIO DI FATTIBILITÀ

Num. Rif. Lavoro 12-041 N. copie consegnate 2 Data Redatto Revisionato Approvato rev00 13/12/2012 Dott.sa C. Fiori Dr. Geol. A. Uggeri Dr. Geol. A. Uggeri rev01 rev02

Collaboratori Dr. Biol. B. Raimondi, dott. F. Pianezza, Arch. M. Brenga, dott. Geol. L. Osculati, dott. M. Serra Nome file 12-041 fattibilità plis smeraldo.doc

Via Lungolago di Calcinate, 88 – 21100 - P.IVA : 02744990124 Tel. 0332 286650 – Fax 0332 234562 - [email protected][email protected] www.idrogea.com

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SOMMARIO

0 INTRODUZIONE ...... 4 0.1 Quadro normativo di riferimento ...... 5 0.2 Area di studio ...... 7 1 INQUADRAMENTO DELL’AREA DI STUDIO ...... 8 1.1 Analisi morfologica del paesaggio naturale...... 9 1.2 Inquadramento geologico e idrogelogico...... 13 1.2.1 Geologia...... 13 1.2.2 Idrogeologia ...... 15 1.2.3 Cenni sulla qualità delle acque sotterranee ...... 17 1.3 Inquadramento vegetazionale ...... 19 1.3.1 Aspetti generali ...... 19 1.3.2 Tipologie vegetazionali ...... 21 1.3.3 Aspetti quantitativi...... 28 1.3.4 Specie alloctone ...... 28 1.4 Inquadramento faunistico...... 29 1.4.1 Ricerca bibliografica ...... 29 1.4.2 Dati non pubblicati...... 31 1.4.3 Campagne di verifica...... 32 1.4.4 Risultati...... 33 1.5 Rete ecologica ...... 52 1.5.1 La Rete Ecologica Regionale (RER) ...... 54 1.5.2 La Rete Ecologica Provinciale...... 55 2 FRUIBILITA’ TURISTICA E CONTESTO SOCIO ECONOMICO ...... 58 2.1 La rete sentieristica esistente...... 58 2.1.1 Progetti passati da rivalorizzare ...... 58 2.1.2 Il catasto dei sentieri del Club Alpino Italiano (CAI) ...... 61 2.2 La Linea Cadorna ...... 62 2.2.1 Cenni di storia...... 62 2.2.2 Elementi rilevati ...... 64 2.3 Il ruolo dell’agricoltura...... 68 2.3.1 Agricoltura e prodotti tipici ...... 68 2.3.2 Il GAL delle Valli del Luinese...... 68 3 CONCLUSIONI ...... 71 3.1 Monte Bedea ...... 72 3.2 Le Brughiere ...... 73 3.3 La piana del Paù ...... 74 3.4 La piana del Palone ...... 75 4 BIBLIOGRAFIA CONSULTATA ...... 76

TAVOLE

1. Perimetro del PLIS 2. Carta geologica geomorfologica 3. Carta idrogeologica 4. Carta della vegetazione 5. Carta degli elementi di sensibilità e criticità 6. Carta delle connessioni ecologiche 7. Carta della fruizione

ALLEGATI

Diario di Bordo Schema direttore del PPI

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0 INTRODUZIONE

I comuni di Luino e Dumenza, hanno partecipato ad un bando indetto da Fondazione CARIPLO e hanno ottenuto un cofinanziamento per il progetto “Studio di fattibilità del Parco Locale di Interesse Sovacomunale (PLIS) denominato Parco Smeraldo”.

L’obiettivo principale del progetto è quello di trovare, attraverso l’istituzione del PLIS, un motore di sviluppo sostenibile del territorio che possa:

• migliorare la produzione agricola e silvo-pastorale incentivando e valorizzando la cultura del biologico e del prodotto a km zero; l’introduzione di un diverso modello agricolo avrà ricadute positive sul territorio anche in termini di tutela delle risorse idropotabili sotterranee, attualmente minacciate dall’uso di sostanze chimiche nell’ambiente; • promuovere lo sviluppo turistico del territorio a carattere prevalentemente escursionistico, non massivo, differenziando l’offerta su proposte a carattere naturalistico, storico-culturale e gastronomico; gli elementi presenti da valorizzare sono diversi, infatti sul territorio si trovano aree umide, boschi, trincee della linea Cadorna, ecc; • incrementare la fruibilità anche didattica del territorio da parte della popolazione locale, sfruttando le reti escursionistiche esistenti e la vicinanza con alcuni centri urbanizzati, in modo che il parco possa diventare un luogo privilegiato di riferimento per le attività rurali e ricreative della comunità.

Pertanto il comune di Luino, in qualità di capofila, ha affidato a Idrogea Servizi srl l’incarico di realizzare lo Studio di Fattibilità del PLIS Parco Smeraldo.

Lo studio si articola in tre documenti.

• Analisi territoriale: il presente documento illustra l’esito delle analisi e dei rilevamenti condotti dal gruppo di lavoro costituito dal Dr. Geol. Alessandro Uggeri, dott.sa Cristina Fiori, Dr. Biol. Barbara Raimondi, dott. Luca Osculati, dott. Federico Pianezza e arch. Monica Brenga, dipendenti e collaboratori di Idrogea Servizi. La realizzazione degli studi è stata condotta a partire dal documento redatto dall’arch. Diego Intraina nel giugno 2008, come supporto alla proposta di istituzione di un’area protetta nell’area “Bedea-Paù-Brughiere”. Si ringrazia per la collaborazione agli studi: o Gianni Schiroli del CAI di Luino, per il supporto e il materiale inerente la rete sentieristica; o l’Assistente Capo del Corpo Forestale dello Stato Salvatore Rocco Maimone, per le informazioni storiche sulla Linea Cadorna; o la Comunità Montana Valli del Verbano – Settore Agricoltura per le informazioni relative alla “Stra di Caver”.

• Diario di Bordo: è un documento che descrive le varie iniziative che sono state attivate a sostegno del processo di partecipazione per l’istituzione del parco; si tratta di un documento utile come “best practice” per altre esperienze similari e in fase di rendicontazione del progetto a Fondazione Cariplo.

• Schema direttore: è un documento che illustra linee guida che, se opportunamente condivise dai comuni, potrebbero diventare il “canovaccio” del PPI. Lo schema presenta un indice di argomenti su cui vengono espresse delle indicazioni progettuali che in seguito al riconoscimento del PLIS potrebbero organizzarsi in norme e progetti specifici.

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0.1 Quadro normativo di riferimento

L’acronimo PLIS (Parchi Locali di Interesse Sovracomunale) indica una forma di tutela del territorio presente unicamente nella Regione Lombardia. I PLIS sono stati riconosciuti con l’approvazione della Legge Regionale 30 novembre 1983, n.86, "Piano generale delle aree regionali protette. Norme per l’istituzione e la gestione delle Riserve, dei Parchi e dei Monumenti Naturali nonché delle aree di particolare rilevanza naturale e ambientale" e successive modificazioni (Legge Regionale 4 agosto 2011, n. 12). I criteri e le procedure per il riconoscimento dei PLIS sono stati individuati dalla DGR V/24483 del 30/06/1992 “Approvazione dei criteri e delle procedure per il riconoscimento dei Parchi Locali di Interesse Sovracomunale, ai sensi dell’art. 34, I comma, della LR 30/11/1983 n. 86, nonché delle modalità di pianificazione e gestione dei parchi stessi” P Con la DGR 7/6296 del 1/10/01 “LR 5/01/00 n.1 e s.m. art.3, c.58 – Delega alle Province delle funzioni in materia di Parchi Locali di Interesse Sovracomunale di cui all’art. 34 della LR 30/11/83 n.86” e la più recente DGR 8/6148 del 12/12/07 “Criteri per l’esercizio da parte delle Province della delega di funzioni in materia di Parchi Locali di Interesse Sovracomunale (art. 34 c.1, LR 86/83; art.3 c.58 LR 1/00)” è stata formalizzata la delega alle Province in materia di PLIS ed i relativi criteri per il riconoscimento.

Si tratta di Parchi istituiti da una o più amministrazioni comunali che condividono la scelta di tutelare e valorizzare una parte del proprio territorio anche con l'obiettivo di rivalutare zone a diversa vocazione (rurale, naturalistica), aree periurbane e, in generale, ambiti da salvaguardare per la loro valenza storico-culturale e paesaggistica. Il vincolo discendente dalla istituzione di un PLIS è di tipo strettamente locale, cioè esistente in quanto espressione della stessa pianificazione urbanistica, a fronte di un’esplicita volontà delle amministrazioni competenti. Per tale motivo la delimitazione del territorio del PLIS e la relativa normativa devono essere recepite all’interno degli strumenti urbanistici comunali. Le modalità di gestione e l’iter di riconoscimento di un PLIS sono infatti dettati dalla pianificazione urbanistica comunale (ai sensi della L.R. 12/2005) all’interno della quale vengono definiti disciplina di salvaguardia, modalità di funzionamento ed obiettivi di tutela dell’area.

Come sopra indicato, lo strumento normativo che stabilisce il rapporto esistente tra Parco Locale e pianificazione urbanistica comunale è il Piano di Governo del Territorio (PGT), all'interno del quale le amministrazioni indicano la proposta di perimetro individuato, l’inquadramento territoriale del Parco, i criteri di compensazione per gli interventi eventualmente ammessi (Documento di Piano), l'uso delle aree incluse (Piano delle Regole) e gli interventi previsti sulle aree verdi e sui corridoi ecologici del Parco (Piano dei Servizi) ai sensi della Delibera di Giunta Regionale 12 dicembre 2007 n. 8/6148. L’istituzione del PLIS non fa scattare il vincolo paesistico (art. 142 dlgs n.42 del 22/04/04).

In Provincia di Varese sono presenti complessivamente nove PLIS riconsciuti, di questi cinque cono collocati interamente nel territorio provinciale: Parco “Fontanile di S. Giacomo”, Parco Primo Maggio, Parco Medio , Parco Rile Tenore Olona, , Parco della Quassa e quatro sono a cavallo tra la provincia di Varese e le altre confinanti Milano (Parco dell’Alto Milanese, Parco “Bosco del Rugareto”) e Como (Parco del Lura, Parco Valle del Lanza).

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I PLIS istituiti sono i seguenti:

• Il Parco “Fontanile di S. Giacomo” è collocato interamente in provincia di Varese, nel Comune di . • Il Parco Primo Maggio è situato interamente in provincia di Varese, nel Comune di . • Il Parco Medio Olona è situato interamente in provincia di Varese, nei Comuni di , , , , e . • Il Parco Rile Tenore Olona è collocato interamente in provincia di Varese, nei comuni di , , , Castelseprio, , Gornate Olona, Lozza e . • Il Parco della Quassa, recentemente istituito, è collocato interamente in provincia di Varese, nei comuni di Ranco e . • Il Parco dell’Alto Milanese è situato a cavallo delle province di Varese e Milano, nei comuni di (VA), (VA), Legnano (MI). Figura 1 - PLIS in Provincia di Varese

• Il Parco “Bosco del Rugareto” è situato a cavallo delle province di Varese e Milano, nei comuni di (VA), Gorla Minore (VA), Marnate (VA), (MI) • Il Parco del Lura è situato a cavallo delle province di Varese e Como, nei comuni di Bregnano (CO), Cadorago (CO), (VA), Cermenate (CO), Guanzate, (CO), Lomazzo (CO), Rovellasca (CO), Rovello Porro (CO), (VA). • Il Parco “Valle del Lanza” è situato a cavallo delle province di Varese e Como, nei Comuni di Bizzarone (CO), Cagno (CO), Malnate (VA), Valmorea (CO).

Accanto ai PLIS già istituiti ce ne sono altri il cui iter di istituzione è ancora in corso quali il PLIS della Valle della Bevera, il PLIS “Cintura Verde Sud Varese” e il PLIS “Delle Cinque Vette” proposto dai comuni di , e , che sono in corso di elaborazione.

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0.2 Area di studio

Gli studi e i rilevamenti sono stati condotti nei territori, a cavallo tra Luino e Dumenza, ricadenti nell’Ambito di Attenzione Naturalistica perimetrato nel Piano di Governo del Territorio di Luino, posta a nord del Fiume e un suo intorno ritenuto significativo significativo.

Figura 2 - Area di Studio: l’Ambito di Attenzione Naturalistica

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1 INQUADRAMENTO DELL’AREA DI STUDIO

In tale capitolo vengono illustrati gli esiti degli studi di rilevamento delle valenze ambientali e storico-documentali e del relativo contesto socio-economico da svilupparsi secondo lo schema indicato nel “box 1” – contenuti minimi della fase analitica della pianificazione - di cui all’art. 9 della deliberazione GR n. 8/6148 del 12 dicembre 2007. Tali studi sono stati condotti attraverso la raccolta ed elaborazione dei dati esistenti e con la realizzazione di sopralluoghi diretti in sito da parte dei diversi professionisti facenti parte il gruppo di lavoro.

Le analisi si riferiscono ai territori ricadenti nell’ambito di attenzione naturalistica; il capitolo si articola nei seguente paragrafi:

1. Analisi morfologica del paesaggio; 2. Inquadramento geologico e geomorfologico; 3. Inquadramento vegetazionale; 4. Inquadramento faunistico; 5. Rete ecologica

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1.1 Analisi morfologica del paesaggio naturale

Analizzando i grandi sistemi morfologici, l’area di studio si colloca in una zona di transizione morfologica, che il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale (di seguito PTCP) colloca a cavallo tra l’ambito paesaggistico n. 6 della Valcuvia - Valtravaglia e Lago Maggiore e n. 7 della Val . Tali ambiti sono entrambi caratterizzati dalle geometrie di alta percettività del lago Maggiore e dell’arco alpino e localmente si evidenzia l’alternarsi di rilievi montuosi e vallate.

• Verso nord si segnano oltre i monti Bedea e , che M. CLIVIO ricadono nell’area di studio, M. BEDEA il M. Gradisca, il M. Visco, il M. Cadrigna e il M. Sirti, attraversati dalla Valveddasca (ambito 7).

LUINO

F. TRESA Fonte GoogleEarth

• Verso sud si segnalano oltre la valle del F. Tresa che VAL TRAVAGLIA delimita a sud l’area di studio, i rilievi del M. San Martino, M. Settermini, M. Mezzano e M. La Nave che si LUINO ergono tra la Valtravaglia, la Valganna e la Valcuvia (ambito 6).

M. BEDEA

Fonte GoogleEarth

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Dal punto di vista morfologico l’attuale aspetto del paesaggio è il risultato della sovrapposizione di processi in atto e di forme relitte, controllate dall’assetto strutturale e dalla successiva azione dei ghiacciai e dei corsi d’acqua. Le evidenze del controllo strutturale sono spesso obliterate dalla presenza di coperture di origine glaciale ed eluvio-colluviale. Si individuano quattro distinti settori, che possono essere schematizzati attraverso i seguenti elementi: rilievi montuosi, valli fluviali, aree di raccordo, conche pianeggianti.

Figura 3 - Schema morfologico del paesaggio naturale

Dossi montuosi costituiti da rocce metamorfiche (micascisti, paragneiss, ortogneiss) che coincidono con le alture del Monte Bedea (664,5 m slm) e del Monte Clivo (739 m slm). I versanti hanno profili regolari, con pendenze medie, modellati da processi gravitativi e dall’azione delle acque e dei ghiacci. Si presentano ricoperti da boschi a dominanza di castagneto.

Monte Bedea

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Valli fluviali, superfici degradanti talvolta piuttosto acclivi poste al disotto dei 300-350 m sl.m. e riconducibili ai seguenti elementi idrologici: o il Lago Maggiore, valle con andamento prevalente N-S, profondamente scavata durante la crisi di salinità del Messiniano che ha determinato il disseccamento del Mediterraneo e la conseguente incisione del canyon con tipico profilo a V di origine fluviale; o il F. Tresa con i suoi affluenti, che ha delineato una valle ad andamento E-O a sud dell’area di studio che si presenta in forte pendenza; si segnala inoltre la forra percorsa dal T. Luina, che drena le Fiume Tresa acque della Piana del Paù; nel tratto terminale del T. Tresa, dove si raccorda con il Lago Maggiore, si ritrova un’area di conoide caratterizzata da morfologie più pianeggianti, dove si è sviluppato l’abitato di Luino; o il Rio Colmegno e i suoi affluenti, con andamento E-O hanno delineato una valle con andamento E-O a nord dell’area di studio.

Conche pianeggianti, formatesi tra un dosso roccioso e l’altro, progressivamente riempite da depositi glaciali e fluvioglaciali. Questi settori rappresentano aree di accumulo idrico, con apporti dovuti al ruscellamento lungo i versanti circostanti e in modo diretto dalle precipitazioni meteoriche. In corrispondenza della Piana del Palone si trova un acquifero produttivo di importanza strategica per l’approvvigionamento idrico dei comuni limitrofi. Presso la Piana del Paù sono invece presenti fontanili.

Piana del Paù

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Aree di raccordo, sono le restanti porzioni di territorio, dove si alternano DOSSO MONTUOSO dossi rocciosi, spesso affioranti e di dimensioni variabili, intervallati da aree di depositi glaciali e fluvio – glaciali AREA DI RACCORDO eterogenei. Hanno una morfologia sub-pianeggiante e degradante; in tali aree si sono sviluppati i principali nuclei urbani di Longhirolo, Pianazzo, Motte, Roggiolo e Poppino. Localmente si possono osservare aree umide, dovute alla presenza di conche CONCA PIANEGGIANTE riempite da depositi fini (limi e argille) con affioramento delle acque sotterranee.

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1.2 Inquadramento geologico e idrogelogico A cura di dott. Geol. Luca Osculati

1.2.1 Geologia

Nell’area del Parco Smeraldo sono presenti rocce di basamento cristallino di dominio Sudalpino e sedimenti di copertura di età quaternaria e attuali di origine continentale. In Tavola 2 è illustrata la carta geologica, modificata partendo dagli studi geologici a supporto degli strumenti urbanistici (Dordi A., 2008 e Meloni F., Tomasi F., 2009). In dettaglio le formazioni riconosciute sono le seguenti.

SUBSTRATO ROCCIOSO

L’area di studio fa parte del domino Sudalpino delle Alpi; il basamento cristallino è costituito da rocce appartenenti al complesso metamorfico degli “Scisti dei laghi”. In particolare si rinvengono:

1) micascisti biotitico-muscovitici, spesso granatiferi e paragneiss, derivanti dal metamorfismo di successioni sedimentarie pelitiche. In affioramento, il litotipo più diffuso si presenta, su superficie fresca, come una roccia scistosa traslucida, di colore grigio; la scistosità è conferita dall’alternanza di sottilissimi letti quarzosi e micacei (micascisti). È presente anche una variante più massiva, caratterizzata dalla prevalenza di letti quarzosi millimetrici, con più sottili intercalazioni micacee (paragneiss).

2) ortogneiss biotitici, di derivazione magmatica, composti da quarzo, K-felspato, plagioclasio e biotite. Presentano una struttura nettamente gneissica, con spessi letti quarzoso-feldspatici separati da sottili livelli micacei, in cui spiccano macrocristalli più o meno allungati di K-felspato, che conferiscono, localmente una tessitura flaser o occhiadina alla roccia.

Entrambi i litotipi sono stati sottoposti a metamorfismo polifasico (Orogenesi Caledoniana, Ercinica ed Alpina), con una fase caledoniana di basso grado metamorfico seguita da un evento ercinico in facies anfibolitica.

I micascisti e i paragneiss rappresentano il litotipo dominante, presentandosi affioranti o subaffioranti in tutta l'area, ad eccezione del versante sudovest del M. Clivio, strutturato sugli ortogneiss. In particolare il Monte Bedea è costituito da substrato roccioso affiorante. Sul resto del territorio, a causa della maggiore diffusione e spessore dei depositi glaciali, gli affioramenti sono limitati perlopiù alle porzioni basali dei versanti, in corrispondenza delle incisioni o degli sbocchi vallivi.

La distribuzione delle giaciture evidenzia un assetto monoclinalico verticalizzato; a livello mesoscopico, tuttavia, alcune strutture (vene di quarzo ripiegate), permettono di ricostruire una geometria più complessa, caratterizzata da un fitto piegamento di tipo isoclinale. La scistosità mostra immersioni preferenziali verso SSE e SW (180°-235°, con maggiori concentrazioni tra 185°-195°), con prevalenza di inclinazioni ad alto angolo (da 70° a subverticali). La diminuzione delle pendenze verso le quote più elevate, osservabile sul versante settentrionale della piana del Palone, identifica, presumibilmente, una piega aperta o una flessura con direzione WNW-ESE. Localmente, per le elevate inclinazioni della scistosità, sono possibili basculamenti delle giaciture verso i quadranti settentrionali (350°-25°) e meridionale.

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DEPOSITI QUATERNARI

I depositi quaternari presenti nell’area sono presentati su base genetica, indipendentemente dalle loro relazioni stratigrafiche. La quasi totalità dei depositi possono essere, tuttavia, attribuiti all’Alloformazione di Cantù, unità che raggruppa corpi sedimentari deposti durante l’ultima grande glaciazione (Last Glacial Maximum, o Würm Auct.).

Sono stati identificati:

Depositi glaciali: Sono costituiti da diamicton a supporto variabile (nelle rarissime sezioni osservate sembra prevalere il supporto clastico), con matrice da limosa a limoso sabbiosa e rivestono con spessori variabili il substrato metamorfico. Sono ampiamente diffusi sulla dorsale Longhirolo – Pianazzo, sul versante sud del Monte Bedea e sulla parte superiore del versante ovest del Monte Clivio.

Depositi fluvioglaciali: I sedimenti di origine fluvioglaciale sono i depositi volumetricamente più significativi, costituendo il riempimento, di spessore pluridecametrico, delle piana presenti nel territorio in esame. Le stratigrafie disponibili indicano, per i primi 30 m un'alternanza di ghiaie a matrice sabbiosa e sabbie, con rarissime intercalazioni irregolari di diamicton glaciale. A profondità maggiori e fino a 40-50 m prevalgono nettamente sabbie fini e limose, con scarse ciottoli, di interpretazione più problematica (presumibilmente fluvioglaciale a bassa energia). Alla sommità, intercalate alla ghiaie, si rinvengono scarsi livelli torbosi (con spessori fino a 1,5 m) che testimoniano fasi di stabilità geomorfica, in condizioni di buona disponibilità idrica.

Depositi fluviali: Sedimenti di origine fluviale costituiscono il riempimento superficiale delle piane. I dati di sondaggio indicano, infatti, per la piana di Torbera, la presenza di un massimo di 30 m di alternanze di ghiaie e sabbie; alla sommità i depositi fluviali terminano con sabbie ghiaiose, che rappresentano eventi di tracimazione fluviale, a cui seguono sottili (50-60 cm) spessori di depositi palustri s.l. (limi e limi debolmente argillosi, organici) che testimoniano la fase di chiusura di questo piccolo bacino intramontano. I resti della palude che, ancora agli inizi del 1900, occupava la parte italiana della piana del Palone, sono rappresentati da una ridottissima area umida (poche centinaia di m2), in via di ulteriore drenaggio.

Depositi di conoide: I depositi di conoide sono riconoscibili su base morfologica. Non sono state osservate sezioni, ma alcune indagini mostrano ghiaie a supporto clastico e di matrice sabbiosa, con intercalazioni di torbe. Si tratta perciò di conoidi misti, ad alimentazione fluviale e gravitativa (depositi di trasporto in massa).

Depositi di versante s.l.: Sono presenti depositi colluviali, accumulati per fenomeni di dilavamento areale di versante. Sono caratterizzati da una prevalenza di fini (tessiture limose o limoso sabbiose) con rari clasti. Morfologicamente coincidono con la rottura di pendio che raccorda i versanti alle aree subpianeggianti circostanti; sono rilevabili alla base delle aree di versante.

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1.2.2 Idrogeologia

Per quanto riguarda gli aspetti idrogeologici, nell’area di studio sono noti quattro complessi idrogeologici, di seguito descritti dal basso stratigrafico:

Complesso cristallino Comprende tutte le metamorfiti affioranti nell’area, ad eccezione degli gneiss granitoidi. Principalmente si tratta di gneiss e micascisti caratterizzati da bassa permeabilità. Quest’ultima aumenta in prossimità della superficie topografica in conseguenza di rilasci tensionali ed alterazione. In tale complesso sono fatti rientrare anche i depositi superficiali poco spessi e discontinui che coprono il substrato roccioso e che hanno, al contrario, permeabilità talvolta elevata.

Il Complesso cristallino affiora principalmente nel settore meridionale dell’area montuosa e costituisce per intero il M. Bedea. Tale unità è fittamente interconessa ed interdigitata con il Complesso degli gneiss granitoidi.

Complesso degli gneiss granitoidi Si tratta di gneiss granitoidi (litotipi massivi e poco scistosi) con permeabilità primaria bassa, ma con permeabilità secondaria (dovuta a fatturazione per rilasci tensionali ed alterazione) piuttosto elevata solo in prossimità della superficie topografica. In tale Unità sono compresi anche i depositi di versanti, di spessore modesto, ricoprenti gli stessi gneiss granitoidi. Essi costituiscono l’acquifero alimentante diverse sorgenti presenti nell’area in studio.

Complesso glaciale È formato da depositi di natura glaciale. Il complesso è litologicamente eterogeneo ma prevale la matrice fine che determina una bassa permeabilità complessiva. Non sono presenti risorse idriche sotterranee di significativa entità.

Complesso alluvionale Comprende depositi fluviali, fluvioglaciali e di versante organizzati in piane alluvionali. La permeabilità interstiziale varia in funzione della granulometria dei depositi, ma è in genere elevata per la diffusa presenza di ghiaie e sabbie, soprattutto nei livelli più superficiali.

I dati di sottosuolo derivano dalle stratigrafie dei pozzi e dalle indagini indirette di tipo geofisico eseguite dall’Università di Milano che hanno interessato in particolare la piana del Palone, sfruttata a scopo acquedottistico. Esse evidenziano una stratigrafia nel complesso omogenea costituita da sedimenti a granulometria prevalentemente grossolana poggianti direttamente sul substrato roccioso. Lo spessore varia da zero (piano campagna) a circa 60 metri ed in approfondimento verso Est, ovvero verso il territorio elvetico.

Gli acquifero delle piane presenti nell’area in studio possono essere considerati come acquiferi unici omogenei, con una unica falda libera, con permeabilità elevata, poggiante direttamente sul substrato roccioso che esercita il ruolo di livello impermeabile basale.

L’alimentazione degli acquiferi è data dalle precipitazioni e dall’infiltrazione entro i depositi superficiali caratterizzati da elevata permeabilità. Nelle aree montuose prevale il deflusso superficiale e solo nelle zone intravallive le acque superficiali tendono ad infiltrarsi ricaricando l’acquifero della piana.

Esistono degli studi di dettaglio relativi alla modellizzazione della Piana del Palone effettuati nell’ambito del Progetto Interregg (Idrogea Servizi S.r.l., 2004): in condizioni statiche, il campo di moto della falda libera è stato ricostruito grazie alle misurazioni dei livelli statici di ogni singolo pozzo della piana, effettuate nell’Agosto del 2004.

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MODELLO DI FLUSSO DELL’ACQUIFERO

Gli studi condotti nell’ambito del progetto hanno consentito di costruire un modello di flusso dell’acquifero in esame. Il modello di flusso riproduce in maniera efficace l’andamento della falda registrato durante il monitoraggio e risponde ottimamente alle simulazioni richieste, rivelandosi un buono strumento per la gestione della risorsa idrica in questione.

Nel 2004 i prelievi di acqua dalla falda del Palone erano i seguenti:

PORTATE m3/giorno l/minuto l/s Luino 3’700 2’600 43 1’000 700 12 Sessa 1’000 700 12 TOTALE 5’700 4‘000 67

Il monitoraggio evidenzia che il sistema raggiungeva il limite di sfruttabilità già con i prelievi in corso. Il modello di flusso ha permesso anche la ricostruzione delle carte delle isopiezometriche in condizioni critiche. Sono state effettuate le seguenti simulazioni:

• siccità prolungate; • raddoppio delle portate estratte dal campo pozzi di Luino; • realizzazione di nuovi pozzi in diverse aree.

Tali simulazioni hanno permesso di verificare che condizioni simili portano ad un’accentazione dei problemi esistenti (scarsità della risorsa, scoprimento dei filtri, crisi del sistema), determinando abbassamenti significativi dei livelli della falda. Inoltre è stato possibile osservare come l’inversione del flusso idrico, dovuta al richiamo di acqua del campo pozzi del Comune di Luino, si accentui prolungando i periodi di crisi. A lungo andare questa situazione potrebbe compromettere la salvaguardia dell’area umida costituita dalle “Bolle della Pevereggia” in territorio Svizzero.

Sulla base delle conoscenze acquisite nel corso dello studio è possibile concludere che le acque sotterranee della piana del Palone forniscono una buona risorsa dal punto di vista idropotabile; tuttavia la quantità delle risorse idriche disponibili non permette significativi incrementi delle portate emunte. Sono ipotizzabili aumenti nei prelievi fino a raggiungere le portate seguenti:

PORTATE m3/giorno l/minuto l/s Luino 4’300 3’000 50 Monteggio 1’400 1’000 16 Sessa 1’400 1’000 16 TOTALE 7’100 5’000 82

Al fine di mantenere il controllo costante della falda, che rappresenta la fonte di approvvigionamento principale degli acquedotti della zona, le operazioni di monitoraggio dovrebbero proseguire nel tempo, prevedendo le attività sintetizzate di seguito:

• Gestione centralina meteo; • Gestione sonda multiparametrica immersa; • Determinazione delle portate dei principali corsi d’acqua attraverso test salini; • Verifiche mensili livelli falda e consumi d’acqua presso i pozzi; • Prelievo campioni d’acqua ogni due mesi da 6 pozzi; • Analisi di laboratorio sui campioni prelevati relativamente ai parametri ritenuti significativi (pH, Conducibilità Elettrica Specifica, Nitrati, Arsenico, Ferro, Manganese);

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• Elaborazione semestrale dei dati.

La direzione di flusso idrico è orientata circa E-W, ovvero parallelamente alla linea di massima pendenza della piana, con gradiente idrico pari a 0,003 verso Est.

PIANIFICAZIONE TRANSFRONTALIERA

In seguito ai risultati dello studio, gli Enti interessati (Comuni di Dumenza, Luino, Sessa e Monteggio) hanno costituito un gruppo di lavoro per la gestione delle risorse idriche condivise con i seguenti compiti:

• individuazione dei quantitativi di acqua prelevabili da ciascuno dei tre Comuni che utilizzano la falda idrica della Piana del Palone (Comuni di Luino, Sessa e Monteggio); • gestione del monitoraggio della falda; • identificazione dei livelli di allarme della falda e dei relativi provvedimenti; • consultazione in caso di richiesta di realizzazione di nuove captazioni idriche; • delimitazione e gestione di zone di protezione delle acque sotterranee.

Per le altre piane presenti nel Parco Smeraldo non esistono dati specifici, tuttavia è possibile ipotizzare condizioni simili a quella della piana del Palone.

In Tavola 3 è illustrata la carta idrogeologica, modificata partendo dagli studi geologici a supporto degli strumenti urbanistici (Dordi A., 2008 e Meloni F., Tomasi F., 2009).

1.2.3 Cenni sulla qualità delle acque sotterranee

Le caratteristiche geologiche dell’area si riflettono sulla qualità delle acque sotterranee. È noto nell’alto luinese il problema legato ad elevate concentrazione di Arsenico nelle acque, determinato da cause naturali: la lisciviazione di rocce ricche di Arsenopirite (solfuro di Ferro e Arsenio) arricchisce le acque sotterranee di tale minerale, che a volte raggiunge e supera i limiti normativi di potabilità.

Studi specifici condotti al riguardo sull’area del luinese (Idrogea S.n.c., 2001) consento di osservare quanto segue:

1) Concentrazioni anomale di Arsenico nelle acque vengono riscontrate esclusivamente nel settore compreso tra i Fiumi e Tresa. 2) La porzione di territorio dove il fenomeno è maggiormente marcato è la parte meridionale del Comune di Curiglia; qui le concentrazioni superano in genere i 50 μg/l. 3) L’Arsenico rinvenuto nelle acque è di origine geologica, cioè proviene dalla lisciviazione dell’Arsenopirite disseminata entro le rocce metamorfiche. 4) L’assenza di rocce o depositi carbonatici, oltre a rendere poco mineralizzate le acque favorisce le condizioni per la permanenza in soluzione dell’Arsenico. 5) Il fenomeno riguarda principalmente le acque sotterranee alimentanti le sorgenti e i corsi d’acqua superficiali alimentati da sorgenti (Rio Colmegnino). Le concentrazioni riscontrate nelle acque di pozzo (Luino e Piana del Palone) sono molto inferiori. 6) Non sono state riscontrate particolari correlazioni tra le concentrazioni di As ed altri parametri chimici o geologici, né sono delineabili modelli previsionali basati su temperatura o precipitazioni per assenza di informazioni bibliografiche e di dati empirici. 7) Un’elevata percentuale delle acque sorgive presenta concentrazioni di As superiori ai limiti di idoneità per il consumo umano.

Al fine di migliorare la gestione del campo acquifero e di evitare iniziative tali da determinarne il sovrasfruttamento e quindi il deterioramento, i comuni di Luino, Sessa e Monteggio, nell’ambito del Progetto Interreg IIIA (Idrogea, 2004), hanno concordato una serie di iniziative

Pag. 17 di 77 Comune di Luino STUDIO DI FATTIBILITA’ PARCO SMERALDO 13/12/2012 Comune di Dumenza Analisi territoriale RIF. 12-041 comuni volte ad incrementare la conoscenza ed il monitoraggio della risorsa; tali studi hanno definito linee di comune gestione. I finanziamenti Interreg hanno riguardano anche la dismissione e trasformazione in piezometro di controllo del pozzo Palone 2 dell’Acquedotto Comunale di Luino, ormai vetusto, e la sua sostituzione con un nuovo pozzo.

Il progetto ha previsto uno studio ambientale e monitoraggio. Le operazioni di monitoraggio dell’acquifero della piana del Palone, iniziate nell’agosto 2003, sono proseguite fino ad agosto 2004 ed hanno consentito di raccogliere i dati relativi ad un intero anno. Le caratteristiche delle acque della Piana del Palone possono essere così sintetizzate:

• Il pH dell’acqua ha valore medio di 6,2 e rimane sempre acido. Ciò è determinato dall’assenza di rocce carbonatiche nel bacino di alimentazione e nei depositi della piana. Il pH acido implica una maggiore aggressività dell’acqua nei confronti del Ferro; questo spiega perché i primi pozzi dell’Acquedotto di Luino si siano progressivamente corrosi. • La mancanza di rocce e depositi carbonatici spiega anche i bassi valori di durezza. • Nessuno dei campioni prelevati ha presentato tracce di Ammoniaca; ciò permette di escludere la rapida infiltrazione di acque superficiali nei punti di controllo. • I Nitriti sono stati rilevati in traccia solo in pochissimi campioni, con una concentrazione massima di 0.07 mg/l. • Le concentrazioni dei Nitrati, parametro indicatore di pressione antropica sull’acquifero (scarichi fognari, allevamenti, agricoltura, industrie) sono medio-basse e costanti durante l’anno. • Le concentrazioni dell’Arsenico, importanti per la potabilità dell’acqua, mostrano un progressivo aumento spostandosi dalla zona orientale della piana a quella occidentale, (rimanendo comunque al di sotto del limite consentito di 10µg/l). Nell’ambito del progetto Interregg, nel mese di maggio 2004 sono stati prelevati tre campioni di acque superficiali dal Torrente Pevereggia (nel punto di ingresso alla piana e nel punto di uscita) e dal torrente di Suino, posto a valle del campo pozzi presso l’abitato di Monteggio (CH); su tali campioni si è ricercata la concentrazione di Arsenico, rilevando i seguenti valori:

Pevereggia a Torrente Pevereggia a Concentrazione monte Suino valle Arsenico (μg/l) 2.5 5.1 2.7

Tali dati evidenziano un apporto di Arsenico da parte del torrente di Suino, dove sono state registrate le concentrazioni più alte di tutta l’area. Questa osservazione è supportata anche dal fatto che nel piezometro PZ3 (ubicato nei pressi del conoide del torrente di Suino) sono state misurate in genere le concentrazioni di Arsenico più alte tra le acque sotterranee, evidenziando quindi il contributo del torrente. Le acque dei pozzi che alimentano il Comune di Luino hanno una concentrazione di Arsenico inferiore ai limiti di legge.

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1.3 Inquadramento vegetazionale A cura di dr. Biol. Barbara Raimondi

Il presente paragrafo riporta e descrive le tipologie vegetazionali presenti nell’area di studio riportati graficamente anche nella Tavola 4 (Carta della vegetazione a scala 1:10.000).

La carta rappresenta un aggiornamento della Carta della Vegetazione elaborata nell’ambito del Progetto SIT-Fauna (Provincia di Varese, 2000). L’aggiornamento è avvenuto mediante l’utilizzo di aerofotogrammi recenti (Programma “IT2000NR”, 2007) e l’esecuzione di rilievi speditivi di campo in aree saggio. I codici che contraddistinguono i tipi di vegetazioni sono conformi a quelli indicati della Carta SIT-FAUNA.

1.3.1 Aspetti generali

Il mosaico vegetazionale riscontrato comprende diversi tipi di vegetazione legati alle caratteristiche morfologiche e ai substrati dominanti.

Dal punto di vista morfologico, come già anticipato al punto 2.1 si individuano nel territorio tre contesti, quello dei dossi montuosi (il Monte Bedea), quello delle conche pianeggianti (Piana del Paù e Piana del Palone) e le aree di raccordo che nell’area corrispondono a territori caratterizzati da una morfologia ondulata.

Figura 4 - Schema morfologico

Dal punto di vista dei substrati si riscontra una omogeneità diffusa, prevalendo elementi di tipo silicatico sia considerando le rocce in posto (di tipo metamorfico della serie degli Scisti dei Laghi) sia i depositi quaternari.

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In questo quadro geo-morfologico le vegetazioni forestali riscontrate comprendono per lo più boschi misti acidofili intervallati da formazioni più pure a castagno (castagneti) particolarmente estese sul Monte Bedea. In alcuni contesti le querce diventano dominanti mentre nelle aree vicino all’urbanizzato e lungo le strade appare frequentemente la Robinia (Robinia pseudacacia).

Le aree di fondovalle sono per lo più caratterizzate da vegetazioni di tipo antropogeno, come i prati pingui e le coltivazioni erbacee. Dove la gestione da parte dell’uomo ha lasciato spazio ad aspetti più “naturaliformi” troviamo alcuni esempi di vegetazione igrofila (boschetti di ontano e lembi di cariceti/megaforbieti) nelle aree più naturali e conservate, mentre si riscontrano vegetazioni genericamente classificate come “incolti” nei casi di aree non più coltivate che si collocano a ridosso dell’urbanizzato.

Meritano una menzione a parte le brughiere, arbusteti dominati dal brugo (Calluna vulgaris), piuttosto rarefatti nel nostro territorio provinciale sia per un’urbanizzazione sempre più capillare sia per l’evoluzione biocenotica che caratterizza intrinsecamente questo tipo di vegetazione legata a pratiche di gestione tradizionale dei boschi ed arbusteti.

Nel punto che segue vengono delineate le caratteristiche principali dei tipi di vegetazione sopra riportati (il codice tra parentesi è quello della cartografia SIT-FAUNA).

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1.3.2 Tipologie vegetazionali

1.3.2.1 Vegetazioni dei rilievi silicatici

Boschi di latifoglie submontani acidofili a dominanza di querce (1200) Nel contesto di indagine corrispondono alle formazioni forestali dominate prevalentemente da querce (farnia, cerro e rovere). Nello strato arboreo le querce risultano spesso accompagnate dal castagno (Castanea sativa), specie a lungo largamente favorita a scapito delle querce e, subordinatamente, e dalla betulla (Betula pendula). Lo strato arbustivo è caratterizzato da Cytisus scoparius, Genista pilosa e Calluna vulgaris, nonché da esemplari alto-arbustivi di castagno. Lo strato erbaceo, spesso a copertura rada e discontinua, è dominato da Molinia arundinacea, Pteridium aquilinum e Luzula nivea. Presentano una composizione floristica dominata da specie acidofile dei Quercion robori-petraeae ma, nel complesso, sono floristicamente povere (caratteristica comune a tutti i tipi di vegetazione acidofili). Essi rappresentano l’espressione originaria dei boschi submontani e, progressivamente ridotti a causa delle attività di diffusione del castagno.

Figura 5 - Cerro (Quercus cerris)

Boschi di latifoglie submontani acidofili a dominanza di castagno (1250) Corrispondono ai boschi a dominanza di castagno (Castanea sativa), che si rinvengono in tutto il contesto e con particolare estensione sul Monte Bedea. Presentano una composizione floristica dominata da specie acidofile e, nel complesso, sono floristicamente povere. Lo strato arboreo risulta dominato da castagno (frequentemente con coperture >90%), con sporadica presenza betulla, querce e anche pino silvestre (soprattutto nelle porzioni più sommitali dei rilievi). Il castagno è specie introdotta in Italia settentrionale, essendo stato diffuso intensamente dall’uomo, probabilmente fin dalla preistoria. Per queste motivazioni si tende a considerare i castagneti come boschi di alterazione di origine antropica. Il subentrare di malattie, come il cancro della corteccia (causato dal fungo Endothia parasitica), ed il mal d’inchiostro (causato da funghi del genere Phytophthora), associato all’abbandono colturale, ha determinato una progressiva riduzione della diffusione dei castagneti ed una loro generale conversione in cedui. Se lo strato erbaceo presenta evidenti similitudini con quello dei querceti acidofili (dominano infatti Molinia arundinacea, Pteridium aquilinum e Luzula nivea), lo strato arbustivo oltre al nocciolo (Corylus avellana) ospita dense ed estese coperture di agrifoglio (Ilex aquifolium) e tasso (Taxus baccata). Queste vegetazioni sono tipiche di alcuni ambiti del varesotto nel piano submontano e son da scrivere dal punto di vista fitosociologico all’Ilici- Fagenion (Quercetalia robori-petraeae). Tali formazioni sono inserite tra gli habitat di interesse comunitario della Direttiva 92/43 CEE (Direttiva Habitat) col codice 9120.

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Figura 6 - Castagneti acidofili (sopra), agrifoglio (in basso a sinistra) e tasso (in basso a destra)

Boschi di latifoglie misti acidofili (1290) Trovano una corrispondenza nella composizione floristica dei Querceti e nei Castagneti acidofili, rappresentandone talora una mescolanza. Talvolta la betulla e il pino silvestre assumono un ruolo importante, soprattutto in corrispondenza delle sommità dei rilievi e/o nei contesti di ricostituzione forestale essendo specie frugali e “pioniere”. La composizione floristica è sempre quella tipica dei Quercetalia robori-petraeae. Il pino silvestre, elemento autoctono della nostra flora fu oggetto, all’epoca di Maria Teresa d’Austria, di rimboschimento attivo soprattutto nelle aree più povere non destinabili alla coltura agraria, in cui la vegetazione era costituita, oltre che dal brugo (Calluna vulgaris), dall’alternanza di praterie a Molinia, con qualche cespuglio di

Pag. 22 di 77 Comune di Luino STUDIO DI FATTIBILITA’ PARCO SMERALDO 13/12/2012 Comune di Dumenza Analisi territoriale RIF. 12-041 ginestra dei carbonai, con formazioni compatte a felce aquilina, probabili indicatrici di passati incendi.

Boscaglie e arbusteti acidofili (4200) Comprendono vegetazioni arbustive impostate prevalentemente sui suoli poco evoluti oligotrofi e acidi, caratterizzate dalla presenza di specie acidofile e frugali. Si tratta di bassi arbusteti col significato di cenosi di alterazione antropica, in seguito alla rimozione del manto forestale (consorzi misti di Calluna vulgaris e Cytisus scoparius). Sono prevalentemente concentrati nell’area meridionale del Parco Smeraldo, nella zona denominata “Mina” e in quella che sulla Carta Tecnica Regionale è contraddistinta dal toponimo “Brughiera”. Sono formazioni in generale di limitata estensione e circondate da formazioni forestali che, in assenza di gestioni finalizzate alla conservazione delle brughiere, con l’andare del tempo prenderanno il sopravvento.

Figura 7 - Brughiere in località Brughiera ( a sinistra) e la brughiera della “Mina” (a destra)

Nel complesso si tratta di formazioni paucispecifiche, in cui la cessazione delle pratiche tradizionali di prelievo della fitomassa ha determinato un invecchiamento dei cespugli, che si è concretizzato nella copertura pressoché monotona di brugo. In queste situazioni estreme, i cespugli di brugo invecchiano, deperiscono e talvolta si autorigenerano. Fitosociologicamente appartengono all’alleanza Genistion della classe Calluno-Ulicetea. Di solito il valore di copertura di Calluna è inversamente proporzionale a quello di Molinia. Quando predominano fattori che favoriscono questa graminacea, come in passato l’eccessivo prelievo di fitomassa e/o l’ombreggiamento da parte di alberi e arbusti invasivi, si assiste alla regressione del brugo e quindi alla formazione di praterie a Molinia arundinacea. Si tratta quindi di formazioni in stretto contatto catenale con le brughiere, con cui mantengono una composizione floristica molto simile. Dal punto di vista fitosociologico appartengono però alla classe Molinio-Arrhenatheretea e più precisamente all’alleanza Molinion caeruleae. La naturale evoluzione delle brughiere, cessate da tempo le pratiche tradizionali di asportazione della fitomassa, determina un progressivo recupero della vegetazione forestale. Questo processo di ricolonizzazione, nel complesso piuttosto lento, avviene per opera di diverse specie forestali, che nei primi stadi di questa successione formano comunità di tipo arbustivo. Gli arbusteti a dominanza di Calluna vulgaris sono inseriti tra gli Habitat di Interesse Comunitario ai sensi della Direttiva 92/43 CEE (Direttiva Habitat) col codice 4030.

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1.3.2.2 Vegetazioni delle conche pianeggianti

Boschi di latifoglie submontani igrofili (1400) Sono prevalentemente collocati su terreni alluvionali a scheletro medio-fine e gli esempi di più vasta estensione e maggiore naturalità si sono riscontrati nella piana del Pau’. Altrove formazioni forestali di simile significato ecologico (aree umide di ristagno idrico) vedono più frequentemente dominare accanto all’ontano il Frassino maggiore (Fraxinus excelsior). Lo strato arbustivo risulta caratterizzato da Rubus caesius, Cornus sanguinea e Euonymus europaeus, mentre lo strato erbaceo, rado e discontinuo, è caratterizzato da carici (prevalentemente Carex acutiformiS), Hedera helix e Brachypodium sylvaticum. In alcuni limitati lembi di ontaneta collocati a valle del “Laghetto” si è rilevata la presenza della rara Osmunda regalis, specie tutelata dalla LR 10/2008.

Figura 8 - I boschi di ontano del Pau’ e Osmunda regalis (a destra)

I boschi di ontano sono tra le vegetazioni provinciali che nel corso degli anni hanno registrato il declino più evidente. La loro collocazione in aree pianeggianti ideali per l’agricoltura o l’espansione urbanistica hanno fatto sì che esse siano state o direttamente trasformate o oggetto di opere di drenaggio che, alterando l’ecologia degli habitat igrofili non ne ha permesso il mantenimento. Il declino subito da questi boschi è aspetto conosciuto e diffuso anche nel resto d’Europa tanto che attualmente essi sono stati inseriti tra gli habitat prioritari di interesse comunitario ai sensi della Direttiva Habitat (codice *91E0) e pertanto sottoposti ad una protezione rigorosa. La necessità di una maggiore tutela e conservazione di questi boschi è

Pag. 24 di 77 Comune di Luino STUDIO DI FATTIBILITA’ PARCO SMERALDO 13/12/2012 Comune di Dumenza Analisi territoriale RIF. 12-041 stata recepita anche dal Piani di Indirizzo Forestale della Comunità Montana Valli del Verbano che ha introdotto il divieto di taglio per i boschi di ontano nero.

Vegetazioni erbacee igrofile Si tratta di vegetazioni erbacee più o meno estese, in alcuni casi a carattere frammentario, legate ad abbondante disponibilità d’acqua. Nell’area comprendono prevalentemente cariceti (praterie igrofile a dominanza di carici), talora noti come “prati da lisca”, e sporadici lembi di canneto a dominanza di cannuccia di palude (Phragmites australis) e tifa (Typha latifolia). Entrambe queste tipologie sfumano poi nei prati da sfalcio che caratterizzano la maggior parte delle restanti aree del fondovalle. I cariceti sono vegetazioni di limitata estensione ma estremamente interessanti per la diversità floristica ivi espressa, che risponde alle micro- variazioni dei fattori ecologici, in particolare il fattore acqua che, a seconda dell’abbondanza e permanenza influenza la composizione floristica specifica. Piuttosto comuni e frequenti sono la carice tagliente (Carex acutiformis.) e la carice spondicola (Carex elata

Figura 9 - La piana del Paù (sopra) e quella del Palone (sotto)

Una menzione a parte merita la vegetazione del “Laghetto” in località “Brughiera”. Si tratta di uno stagno di origine artificiale, ormai completamente rinaturalizzato, alimentato in parte da sorgenti che sgorgano nei pressi delle sue sponde; la superficie d'acqua a pelo libero oscilla tra una situazione estiva di quasi completa asciutta fino a raggiungere,in periodi propizi, una superficie di 100-200mq. La profondità del corpo idrico, nella sua parte centrale, è stimata prossima al metro nei momenti di maggior ricchezza idrica. Lo stagno e le aree di sua immediata pertinenza assumono un notevolissimo valore floristico e faunistico, che consente a questo piccolo corpo idrico di differenziarsi in campo Provinciale (e probabilmente anche a scala maggiore) per la presenza di entità ormai estremamente rare nel resto del nostro territorio. E' presente infatti, nei pressi della sorgente che da origine allo stagno, un piccolo lembo (alcuni mq) di vegetazione a sfagni, muschi cioè che si originano in aree umide ed oligotrofiche formando dei tappeti sui quali crescono alcune delle piante più minacciate in ambito lombardo e nazionale. Nel nostro caso sullo Sfagno, qui rappresentato da ben 3 specie, troviamo la rara Drosera rotundifolia, pianta carnivora nota in provincia solo delle tre Riserve

Pag. 25 di 77 Comune di Luino STUDIO DI FATTIBILITA’ PARCO SMERALDO 13/12/2012 Comune di Dumenza Analisi territoriale RIF. 12-041 naturali della Brabbia, di Ganna e del Lago di , e l'ancor più rara Drosera intermedia nota solamente dello stagno di Cavagnano e della già citata Riserva naturale del, Lago di Ganna. Nelle acque dello stagno vegeta inoltre il rarissimo Juncus bulbosus, noto in provincia solo della Riserva di Ganna e di pochissime altre stazioni a livello Regionale. Accompagnano queste piante altre specie strettamente legate all'acqua come Typha latifolia, Juncus effusus, Frangula (indicatore di alta acidità del suolo dovuta alla presenza di rocce cristalline).

Figura 10 - Il Laghetto e la vegetazione a sfagni

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Praterie limitrofe alle vegetazioni di cui sopra e dislocate in modo frammentato all’interno delle formazioni forestali sono le praterie a Molinia, alcune delle quali, in posizioni pseudo-depresse si allagano durante la stagione primaverile consentendo la riproduzione di diverse specie di anfibi e l’abbeverata di numerose specie faunistiche, soprattutto ungulati.

1.3.2.3 Altre formazioni

Boschi di latifoglie submontani degradati (1500) Si tratta di boschi caratterizzati dalla dominanza di Robinia pseudacacia, per altro di limitata estensione e collocati lungo le infrastrutture viarie e/o a ridosso dell’urbanizzato. La robinia è una specie esotica naturalizzata di origine nordamericana, introdotta in Europa nel 1600 ed in Italia circa due secoli dopo. Nella zona del varesotto la robinia sarebbe stata introdotta inizialmente in pianura e sulle prime alture collinari, spostandosi poi progressivamente più a Nord a partire dal 1800 circa, dapprima come pianta ornamentale, quindi utilizzata per recinzioni, ed infine per alberare brughiere e terreni sterili (Banti, 1949). Essendo una specie frugale, con alta velocità di crescita e capacità pollonifera, tende, autoctone (prevalentemente querco- carpineti). Il turno ravvicinato di taglio cui sono in genere sottoposte queste formazioni, che non consente dunque l’invecchiamento degli individui, favorisce di fatto la specie, consentendone la permanenza e diffusione.

Prati pingui Si tratta di vegetazioni erbacee semiartificiali per la produzione di foraggio. Vengono sottoposte a concimazione e sfalcio periodico, ma la composizione floristica viene influenzata solo indirettamente da parte dell'uomo attraverso la regolazione dei fattori ecologici e dei rapporti competitivi. Il ciclico disturbo e la fertilizzazione in genere determinano ricchezze floristiche elevate, sia come presenza di specie per unità di superficie sia come flora potenziale. Nelle zone prossime alle formazioni igrofile (alnete, canneti, etc.) le cenosi si arricchiscono di elementi più tipicamente igrofili come le carici (Carex elata All., Carex hirta L).

Incolti erbacei Rientrano in questa categoria tutte le formazioni vegetali caratterizzate da una copertura arbustiva e/o arborea <20% e dalla presenza di specie sinantropiche della classe Artemisietea vulgaris Lohm. in Tx. 50, come Artemisia vulgaris L., Cirsium vulgare (Savi) Ten. e della classe Chenopodietea Br.-Bl. 51, come Erigeron canadensis L. ed Erigeron annuus (L.) Desf.

Boschi di impianto di latifoglie Comprendono gli impianti mono-specifici di latifoglie per la produzione legnosa, nell’area rappresentati da un impianto di querce in località Palone.

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Aree agricole: coltivazioni erbacee Rientrano in questa categoria tutte le aree coperte da colture annuali da vicenda (cerealicole, orticole, foraggere ecc.) e quelle che ospitano orti e vivai.

1.3.3 Aspetti quantitativi

Nella tabella seguente si riporta la percentuale di copertura di ciascuna vegetazione, trattata nel punto precedente, rispetto alla superficie complessiva.

% rispetto alla superficie cod. vegetazionale vegetazione complessiva 4200 0,20% 7200 0,34% 5500 0,39% 6200 0,43% 1400 0,56% 1200 0,62% 6300 1,04% 5400 1,44% 1500 3,44% 7300 3,85% 5300 16,42% 1290 35,16% 1250 36,12%

Come si evince dalla tabella precedente la vegetazione dell’area è prevalentemente dominata da formazioni di tipo forestale, con netta predominanza dei boschi misti acidofili e dei castagneti che caratterizzano estesamente il Monte Bedea. A parte i prati pingui che rappresentano la terza tiplogia di vegetazione più rappresentata e che connotano in termini paesaggistici tutto il contesto, le altre vegetazioni sono tutte piuttosto scarsamente rappresentate. Tra queste le brughiere occupano l’ultimo posto in termini di copertura. Se la presenza delle brughiere è stata ed è un dato molto interessante sia sotto il profilo naturalistico sia sotto quello paesaggistico e storico-culturale è indubbio che la loro rarefazione sul territorio e probabile futura scomparsa dovrebbe generare interventi attivi di conservazione.

1.3.4 Specie alloctone

Un campionamento sistematico delle specie floristiche alloctone esulava dagli obiettivi dello studio. Si fa tuttavia cenno ad alcune situazioni puntuali riscontrate. Tra i motivi di degrado, non eccessivamente rilevanti soprattutto se confrontati con altre aree limitrofe, va rilevata la presenza di alcuni soggetti, purtroppo già in fase di fruttificazione, di Ciliegio tardivo (Prunus serotina), originario del Nord America, la cui aggressività ecologica è tale da consigliarne l'immediata asportazione prima che si inneschi una colonizzazione massiva del bosco da parte di questa essenza (nuclei piuttosto consistenti sono presenti sia nella Piana del Palone sia in località “Brughiera”). Sono inoltre presenti alcune conifere, non in impianti regolari ma sparse qua e la, rappresentate per lo più da grandi esemplari di Pino strobo e Pinus rigida, essenze non autoctone originarie dell'America settentrionale. Per quanto non indigeno, il Pino strobo non presenta alcuna aggressività ecologica verso le nostre formazioni forestali, e la sua presenza in natura è circoscritta strettamente a soggetti immessi.

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1.4 Inquadramento faunistico A cura di dott. Federico Pianezza

Il territorio dell’Alto Luinese risulta nel suo complesso abbastanza ben studiato dal punto di vista faunistico in quanto a studi locali; su determinate aree o gruppi di specie si associano studi più ampi a scala provinciale e regionale. La presenza di un Istituto Universitario (Università degli Studi dell’Insubria, sede di Varese), di un Museo impegnato in studi locali (Civico Museo Insubrico di Scienze Naturali di Clivio e ) e di gruppi organizzati di volontari impegnati nella ricerca faunistica (Guardie Ecologiche Volontarie) ha creato una situazione tale da permettere di delineare un quadro complessivo soddisfacente dello status dei Vertebrati terrestri. La stessa Provincia di Varese, sia per quanto riguarda la competenza in materia venatoria sia nel proprio ruolo di ente gestore del Sito di importanza Comunitaria “Valveddasca”, ha spesso sostenuto attività di ricerca faunistica. L’Amministrazione provinciale con il proprio Progetto SIT Fauna ha fornito interessanti informazioni su piccoli Mammiferi, Carnivori (volpe, faina, martora ecc.), ungulati e Uccelli acquatici, con uno studio all’avanguardia per le tecnologie e le metodologie di indagine utilizzate.

1.4.1 Ricerca bibliografica

Al fine di disporre di una base conoscitiva il più possibile esauriente dei dati faunistici attualmente disponibili per il territorio in oggetto, è stata svolta una specifica indagine bibliografica. Sono stati reperiti e consultati i seguenti lavori che riguardano studi su aree specifiche o a scala più ampia, sia provinciale sia regionale, rilevamenti su specie o gruppi di specie particolari, relazioni di interventi operativi, pianificazioni gestionali ecc.

Baratelli D., 2001. Rettili e Anfibi della Provincia di Varese. Provincia di Varese, Servizio Tutela Ambientale e Protezione Civile. Guardie Ecologiche Volontarie, Varese. Piccolo opuscolo sull’erpetofauna varesina con indicazioni, specie per specie, legate a descrizione, riconoscimento e distribuzione in provincia. Biancardi C. M., Marini S., Rinetti L., 1997. I mammiferi del Luinese. Comunità Montana Valli del Luinese, Luino. Piccolo opuscolo sulla teriofauna del Luinese che raccoglie tutte le informazioni pregresse sull’area ad esclusione della classe dei Chirotteri. Bianchi E., Martire L., Bianchi A., 1973. Gli uccelli della provincia di Varese (Lombardia). Rivista Italiana di Ornitologia, Milano, estratto dai fascicoli: 39 (2): 71-127; 39 (4): 384- 401; 40 (3-4): 389-432; 42 (4): 329-429. Si tratta dell’opera fondamentale sull’avifauna provinciale; è un ottimo compendio di tutte le segnalazioni storiche completate da una dettagliata raccolta di informazioni sulla situazione in quel periodo. Bernini F., Bonini L., Ferri V., Gentilli A., Razzetti E., Scali S., 2004. Atlante degli Anfibi e dei Rettili della Lombardia. “Monografie di Pianura” n. 5; Provincia di Cremona, Cremona. Atlante regionale realizzato con rilevamenti di presenza/assenza su quadrati di 10x10 km. Cresti M., Marini S., Rinetti L., Zangirolami A., 1992. Indagine sul popolamento di micro mammiferi nell’Alto Luinese (Varese). Atti soc. It. Sc. Nat. Museo civ. St. nat. Milano, 133, pp. 153-183. Il lavoro tratta un gruppo di Mammiferi generalmente poco studiato e quindi risulta di particolare importanza per la descrizione del territorio considerato. Gagliardi A., Guenzani W., Preatoni D. G., Saporetti F. e Tosi G., 2007. Atlante Ornitologico Georeferenziato della provincia di Varese – Uccelli nidificanti 2003-2005. Provincia di Varese; Università degli Studi dell’Insubria di Varese, Civico Museo Insubrico di Storia Naturale di Induno Olona (VA). Atlante provinciale di recente pubblicazione (Figura 10.3) con informazioni qualitative raccolte con l’impiego di Sistemi Informativi Territoriali. Per alcune specie (Figura 10.4) il progetto evidenzia una distribuzione frammentata sul territorio provinciale.

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Guenzani W., Saporetti F., 1989. Atlante degli uccelli nidificanti in provincia di Varese (Lombardia) 1983-1987. Lega Italiana Protezione Uccelli – sezioni varesine. Ed. Lativa, Varese. Primo, e per il momento unico, atlante provinciale con informazioni qualitative raccolte su un reticolo di 10 x 10 km, corrispondente alle tavole IGM in scala 1.25.000, relativamente al periodo riproduttivo dal 1983 al 1987. Massa R., Bani L., Massimino D., Bottoni L., 2002. La biodiversità delle foreste valutata per mezzo delle comunità degli uccelli. Regione Lombardia, Direzione Generale Agricoltura; Università degli Studi di Milano Bicocca. Indagine a livello regionale sull’avifauna delle aree forestali. Preatoni D., Martinoli A., Zilio A., Penati F., 2000. Distribution and status of Bats (Mammalia, Chiroptera) in alpine and prealpine areas of (Northern ). Il Naturalista Valtellinese – Atti del Museo civico di Storia naturale di Morbegno, 11:89-121. Indagine effettuata principalmente con catture ed esplorazioni dei siti di rifugio affiancata da informazioni bibliografiche e derivanti da collezioni museali. Prigioni C., Cantini M., Zilio A. (eds.), 2001. Atlante dei Mammiferi della Lombardia. Regione Lombardia e Università degli Studi di Pavia: pp. 324. Atlante regionale con informazioni qualitative raccolte su un reticolo di 10 x 10 km, corrispondente alle tavole IGM in scala 1.25.000, relativamente agli anni dopo il 1980. Per i Chirotteri sono stati considerati tutti i dati storici disponibili. Realini G., 1980. Uccelli nidificanti in provincia di Varese. Regione Lombardia, Settore agricoltura, foreste – Servizio caccia e pesca, Milano. Pubblicazione descrittiva delle specie nidificanti riportante, oltre a indicazioni su uova, nidi e piccoli, anche alcune note distributive. Saporetti F., Guenzani W., Pavan P., 1993. Densità, habitat e successo riproduttivo dei rapaci diurni nidificanti in un’area prealpina dell’Italia settentrionale. Rivista Italiana di Ornitologia, Milano, 63 (2): 145-173. Pubblicazione che fornisce informazioni su nove specie nidificanti nell’area considerata con tabelle comparative con aree diverse riguardanti densità e successo riproduttivo di falco pecchiaiolo, sparviere e poiana. Saporetti F., Colaone S., Guenzani W., Zarbo T., 2011. Habitat e biologia riproduttiva del Picchio nero (Dryocopus martius) in Provincia di Varese. Cervia, Atti XVI Convegno Italiano di Ornitologia (in stampa). Pubblicazione che fornisce informazioni specifiche sul Picchio nero, specie oggetto di una repentina diffusione sul territorio provinciale tuttora in corso. Tosi G. e Zilio A., 2000. Progetto SIT-FAUNA. Università degli Studi dell’Insubria, sede di Varese. Dipartimento di Biologia Strutturale e Funzionale. Unità di Analisi e Gestione delle Biocenosi. Provincia di Varese. Settore Politiche per l’Agricoltura e Gestione Faunistica. Raccolta di informazioni riguardanti Uccelli acquatici, Galliformi, piccoli Mammiferi (Insettivori e Roditori), Carnivori, ungulati e Leporidi. Il lavoro comprende sia indagini indirette, mediante la raccolta di dati bibliografici e museali e di segnalazioni di presenza delle specie, e indagini dirette. Queste ultime hanno previsto metodologie diverse specie per specie consistenti in: cattura di animali con trappole, ricerca di tracce lungo percorsi (transetti) campione, conteggi assoluti mediante metodo block count, rilevamenti su neve (snow tracking) e da automezzo, censimenti mediante battuta e da punti fissi di osservazione.

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1.4.2 Dati non pubblicati

Ricerche attualmente in corso hanno permesso l’acquisizione di dati non ancora pubblicati ma gentilmente messi a disposizione da parte dei titolari delle indagini stesse, in particolare:

• Civico Museo Insubrico di Storia Naturale di Clivio e Induno Olona. Una buona quantità di informazioni puntuali e indicazioni generali è stata ricevuta dall’attivo Museo di Induno Olona che da anni raccoglie osservazioni, su tutte le classi interessate dal presente studio, nell’intero territorio provinciale. I dati provengono dal lavoro di ricerca sul campo operato dai volontari che afferiscono al Museo e che contribuiscono costantemente all’aggiornamento e integrazioni del proprio archivio. Si tratta di segnalazioni di presenza delle diverse specie corredate dalle seguenti informazioni: 1) Specie 4) Quota 7) Anno 2) Località 5) Giorno 8) Comune 3) Carta IGM 6) Mese 9) Maglia UTM

• Programma MITO2000 (Monitoraggio ITaliano Ornitologico). Progetto nazionale avviato nel 2000 e sviluppato con l’organizzazione del Centro Italiano Studi Ornitologici, Università degli Studi di Milano Bicocca, Università degli Studi della Calabria, Associazione FaunaViva. I dati vengono raccolti con la tecnica del punto di ascolto senza limiti di distanza (Blondel et al., 1981) di dieci minuti di durata. In pratica si procede alla scelta casuale di punti di rilevamento, nei quali si compila una scheda relativamente sia a tutte le specie ornitiche viste e sentite nei dieci minuti di rilevamento sia alle caratteristiche ambientali del punto stesso. Nel caso del presente lavoro sono stati estratti i risultati dei punti di ascolto effettuati all’interno del territorio in questione senza procedere ad elaborazioni di carattere ambientale. In complesso sono stati utilizzati i dati di 43 punti di ascolto.

• Progetto CoLt (Conteggio a Lungo Termine) e Progetto Foreste. Progetti sviluppati dall’Università degli Studi di Milano Bicocca. Si tratta di rilevamenti condotti con l’identica metodologia del punto di ascolto di quelli del programma precedentemente descritto. Tra i progetti cambiano le finalità e la metodologia di scelta del punto di campionamento, senza per questo portare variazioni alla valenza di questi dati per la ricerca in corso. In complesso sono stati utilizzati i dati di 143 punti di ascolto provenienti dalle indagini svolte nel territorio in esame nell’ambito dei due progetti.

• Atlante degli Uccelli Nidificanti in Italia 2010-2014 (Ciso, EBN, LIPU; www.ornitho.it)

• Atlante degli Uccelli d’Italia in Inverno 2009-2014 (Ciso, EBN, LIPU; www.ornitho.it) Si tratta di due progetti di rilevamento dell’avifauna realizzato attraverso l’inserimento dei dati raccolti direttamente dai rilevatori su una piattaforma comune.

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1.4.3 Campagne di verifica

Nella stagione 2012 sono state effettuate alcune campagne per confermare dati di presenza raccolti oppure per coprire quelle che si ritenevano delle lacune nei dati in nostro possesso. La ricerca delle diverse classi di vertebrati sono state condotte in modo differenziato gli Anfibi si è ricorso unicamente a sopralluoghi specifici, sia per tempistica sia per scelta delle aree, Rettili, Uccelli e Mammiferi sono stati segnalati sia con uscite sul territorio non organizzate sia con indagini mirate agli habitat di presenza potenziale di determinate specie.

Anfibi Per quanto riguarda la distribuzione degli Anfibi sono stati effettuati sopralluoghi, prevalentemente notturni, delle zone umide con rilevamento delle specie che in esse si riproducono. Le aree principali sono state individuate mediante cartografia, informazioni da parte di esperti locali e dalle conoscenze personali dei rilevatori. Sono stati effettuati controlli non regolari in alcune zone per verificare lo status delle singole popolazioni e i risultati di alcuni lavori in favore della batracofauna. Gran parte dei sopralluoghi è stata effettuata di notte in accordo con le abitudini degli Anfibi, infatti, la loro attività si svolge in gran parte nelle ore successive al tramonto, quando le condizioni d’umidità e temperatura sono più favorevoli. Inoltre, sono state privilegiate le serate piovose o immediatamente successive a temporali, quando è possibile incontrare un gran numero di Anfibi in attività. Gli ambienti maggiormente interessati dalla ricerca sono state le zone umide, dove si assiste a una concentrazione degli individui durante la fase riproduttiva e a una permanenza da parte di alcune specie anche dopo tale periodo. La presenza delle singole specie è stata rilevata secondo le metodologie di seguito descritte: • Avvistamento diretto. La presenza di alcune specie di facile identificazione (per esempio Salamandra salamandra, Triturus carnifex, Triturus vulgaris, Bufo bufo, Hyla intermedia) è stata rilevata mediante avvistamento di larve o adulti. • Cattura manuale. Adulti, giovani e larve sono stati catturati sia manualmente sia mediante l’uso di retini a maglie sottili. • Riconoscimento delle uova. Il censimento delle specie può essere realizzato con l’osservazione delle ovature degli Anuri riconoscibili in base alla forma e alle dimensioni. • Riconoscimento al canto. Le diverse specie di Anuri sono state riconosciute in base al canto che è caratteristico di ciascuna di esse.

Rettili La ricerca dei Rettili è avvenuta nelle aree da loro maggiormente frequentate, ovvero zone ecotonali ben assolate, dove possono svolgere con maggiore facilità le attività di termoregolazione e caccia e dove hanno a disposizione i ripari necessari per nascondersi dai predatori. Sono state privilegiate le giornate con cielo sereno e vento assente o debole, soprattutto quelle immediatamente successive a temporali o a bruschi abbassamenti della temperatura atmosferica, quando è più probabile l’avvistamento di individui in termoregolazione. La ricerca è avvenuta camminando lentamente lungo gli ambienti preferenziali, producendo la minor quantità di rumori e vibrazioni del terreno possibili, così da non avvertire i Rettili della presenza del ricercatore. La presenza delle singole specie è stata rilevata per avvistamento diretto, in quanto la maggior parte delle specie di Rettili lombardi è identificabile a vista grazie alle caratteristiche peculiari di colorazione, dimensioni e proporzioni.

Uccelli I dati contenuti in questo rapporto derivano dall’attività di rilevamento svolta per i seguenti progetti:

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• Atlante degli Uccelli Nidificanti in Italia 2010-2014 (Ciso, EBN, LIPU; www.ornitho.it) • Atlante degli Uccelli d’Italia in Inverno 2009-2014 (Ciso, EBN, LIPU; www.ornitho.it) • Habitat e biologia riproduttiva del Picchio nero Dryocopus martius in provincia di Varese (Lombardia) – Saporetti et al., 2011 • 1 punto d’ascolto condotto da Dott.ssa Monica Carabella

Alcuni dati sono desunti dall’Atlante Ornitologico Georeferenziato della Provincia di Varese (Gagliardi et al., 2007). L’avifauna che frequenta e si riproduce nell’area è ascrivibile essenzialmente a due categorie: • specie nidificanti (residenti e migratrici) • specie migratrici e/o svernanti

Le specie nidificanti hanno una fenologia riproduttiva che spazia dagli inizi di febbraio fino alla metà/fine del mese di agosto: in gran parte residenti tutto l’anno ed appartenenti a famiglie prevalentemente associate ai boschi, alle zone agricole ed urbanizzate. Le specie migratrici sono quelle presenti nell’area durante i mesi primaverili, in coincidenza col passo pre-nuziale, e ed alla migrazione autunnale post-riproduttiva, e sono associate maggiormente alle zone agricole, ai filari alberati, ai cespugli con bacche eduli. I diversi habitat dell’area quindi ospitano differenti specie che si alternano in un ciclo annuale che si ripete negli anni: la conservazione di questi habitat risulta quindi fondamentale ai fini della conservazione degli attuali livelli di biodiversità.

Mammiferi Anche il rilevamento dei Mammiferi è stato condotto con uscite lungo percorsi selezionati in modo che attraversassero il maggior numero di ambienti. La maggior parte delle informazioni perviene comunque dalle indicazioni bibliografiche raccolte.

1.4.4 Risultati

Di seguito viene riportata una check-list delle specie rilevate, suddivise nelle diverse classi di vertebrati investigate, di quelle rilevate dall’indagine bibliografica e quelle potenzialmente presenti. A seguire vengono descritte brevemente alcune specie di particolare interesse conservazionistico.

1.4.4.1 Anfibi

Classe ANFIBI Ordine Urodela Ordine Anura Famiglia Salamandridae Famiglia Bufonidae Salamandra pezzata Salamandra salamandra Rospo comune Bufo bufo Tritone crestato meridionale Triturus carnifex Famiglia Hylidae Tritone punteggiato Triturus vulgaris Raganella Hyla intermedia Famiglia Ranidae Rana temporaria Rana temporaria Rana agile Rana dalmatina Rana verde Rana synklepton esculenta

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Salamandra pezzata (Salamandra salamandra) Anfibio di medie dimensioni, lungo da 15 a 30 cm, caratterizzato da un corpo nero lucente con macchie gialle sul dorso di colore, forma e numero fortemente variabili. Al contrario della maggior parte degli Anfibi italiani, la salamandra pezzata è poco legata alle zone umide, dove si reca solo la femmina in periodo riproduttivo per partorire da 10 a 30 larve (Griffiths, 1996). Durante il resto dell’anno è reperibile nei boschi, soprattutto in quelli di latifoglie. È attiva soprattutto nelle notti umide o di pioggia, quando esce dai ripari costituiti da ceppi marcescenti, massi e tane di piccoli Mammiferi (Lanza, 1983). Il periodo di attività comincia a febbraio e termina in autunno avanzato. La specie si presenta frequentemente all’interno dell’area in oggetto, soprattutto nelle aree con boschi umidi, attraversate da piccoli corsi d’acqua a portata più o meno costante (Monte Bedea). Le maggiori segnalazioni pervengono infatti dove abbondano soprattutto le acque di risorgiva, sia quando queste costituiscono le classiche “tazze sorgentizie”, sia quando alimentano ruscelli a corso lento e ricchi di pozze. Le attività riscontrate sul territorio in oggetto che possono avere effetti negativi sulla riproduzione della specie sono i ripopolamenti ittici con specie predatrici (per esempio, la trota) e soprattutto i lavori in alveo con costruzione di briglie e soglie, spesso causa di gravi problemi per l’intero ecosistema fluviale.

Tritone crestato meridionale (Triturus carnifex) È un tritone di grandi dimensioni (fino a 17 cm nelle femmine e 1-2 cm in meno nei maschi). I maschi in periodo riproduttivo hanno un’alta cresta dorsale sfrangiata non in continuità con quella caudale (Lanza, 1983; Griffiths, 1996). Le femmine e i giovani mancano della cresta e presentano una sottile stria gialla vertebrale. L’ingresso in acqua avviene verso la fine dell’inverno in un periodo variabile a seconda delle condizioni climatiche, ma normalmente tra marzo e maggio (Griffiths, 1996). Dopo la riproduzione, di solito, gli individui conducono vita terrestre, nascondendosi spesso sotto rocce e tronchi; tuttavia in alcune località il tritone crestato può permanere in acqua per tutta la stagione di attività (Griffiths, 1996). Generalmente lo svernamento avviene fuori dall’acqua, sfruttando spesso le fessure di ceppi marcescenti. Frequenta raccolte d’acqua di vario genere, comprendenti pozze temporanee e permanenti, stagni e canali, anche soggetti a forti variazioni di livello; generalmente tende comunque a utilizzare corpi d’acqua di dimensioni medio-grandi, con profondità di circa un metro (Ancona e Capietti, 1995; Griffiths, 1996). La minaccia principale per i tritoni è, comunque, l’immissione di Salmonidi, che nell’arco di un breve periodo di tempo può portare a completa estinzione intere popolazioni (Braña et al., 1996).

Tritone punteggiato (Triturus vulgaris) È un tritone di piccole dimensioni (fino a 9 cm nel maschio e nella femmina). Una cresta dorsale, molto più marcata nel maschio in periodo riproduttivo, è presente in entrambi i sessi, a partire dalla nuca fino alla punta della coda. Predilige le pozze di dimensioni medio-piccole, soprattutto quelle prive di pesci, che sono tra i principali predatori di questa specie. Normalmente l’attività stagionale e riproduttiva ha inizio alla fine dell’inverno, a partire dalla fine di febbraio (Griffiths, 1996). Dopo il periodo riproduttivo normalmente ha un’attività prevalentemente terrestre, frequentando boschi, prati e brughiere e diventando attivo soprattutto dopo il tramonto (Griffiths, 1996). Le due specie di tritoni sono state osservate nelle aree di fondovalle, in prossimità di piccole zone umide, anche temporanee, che solitamente frequentano per l’alimentazione e la riproduzione, spesso spostandosi da una all’altra.

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Raganella (Hyla intermedia) La raganella è un Anuro di piccole dimensioni, lungo fino a 4-5 cm, caratterizzato da una colorazione verde brillante, da una banda marrone sul fianco e dalla presenza di ventose sulla punta delle dita. Frequenta le zone boschive e agricole, scegliendo per la riproduzione stagni e pozze bene assolati e con acque calde. Spesso utilizza zone umide temporanee o effimere, come le pozzanghere che si formano durante forti temporali, comportandosi spesso da colonizzatrice di nuove aree. Inizia l’attività riproduttiva alla fine di marzo, quando i maschi arrivano nei siti riproduttivi. Dopo la riproduzione le raganelle escono dall’acqua e tornano sulla vegetazione, allontanandosi anche di alcuni chilometri. Ben diffusa nella parte meridionale della provincia, nel territorio in oggetto registra un basso numero di segnalazioni, comunque sufficienti a definirne la distribuzione. Appare netta la predilezione di questa specie per situazioni di leggero arbustamento, sia nelle fasce ecotonali poste tra i boschi igrofili e i prati pingui, sia ai margini di fossi e aree umide. Le stazioni di segnalazione si concentrano nel fondovalle. La specie può trarre giovamento dal mantenimento della vegetazione arbustiva posta lungo i fossi e dal divieto all’abbruciamento degli stessi, pratica tradizionalmente diffusa ma con valenza negativa per diversi elementi faunistici.

Rana temporaria (Rana temporaria) La rana temporaria è una specie di dimensioni medio-grandi (maschi fino a 107 mm e femmine fino a 111 mm). Le parti dorsali sono grigie, brune rossastre o giallastre, di solito macchiate, chiazzate o marmorizzate. Le parti ventrali sono bianco-giallastre nel maschio e da giallo pallide ad arancione nella femmina. L’attività ha inizio in funzione della temperatura ambientale e della piovosità, generalmente all’inizio della primavera. L’allontanamento dal sito di riproduzione avviene normalmente con condizioni meteorologiche favorevoli, prevalentemente durante le notti di pioggia; spesso le migrazioni avvengono lungo rotte preferenziali, in base alla morfologia del terreno. Frequente nelle aree umide del comprensorio studiato, è anche interessata da schiacciamenti lungo le vie di maggior transito veicolare.

Rana agile (Rana dalmatina) È una rana snella, di colore marrone o rosato, di medie dimensioni (fino a 65 mm nel maschio e fino a 80 mm nella femmina), caratterizzata da zampe insolitamente lunghe che le consentono di compiere balzi eccezionalmente lunghi. La Rana agile è una specie principalmente boschiva, tipica delle zone a latifoglie con ricca lettiera, anche se può spingersi anche in zone più aperte, come le aree di brughiera (Lanza, 1983; Scali, 1995). Si riproduce a partire dalla fine di febbraio in canali, pozze e stagni di varie dimensioni, preferibilmente se ricchi di vegetazione. I maschi arrivano in acqua prima delle femmine e cantano per richiamare queste ultime. Dopo la riproduzione gli adulti conducono vita terrestre, spostandosi di notte, al mattino presto o nel tardo pomeriggio, quando l’umidità al suolo è elevata. Si allontanano di diverse centinaia di metri dai siti di deposizione.

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1.4.4.2 Rettili

Classe RETTILI Famiglia Colubridae Biacco Coluber viridiflavus Ordine Squamata Colubro liscio Coronella austriaca Famiglia Anguidae Saettone Elaphe longissima Orbettino Anguis fragilis Biscia dal collare Natrix natrix Famiglia Lacertidae Famiglia Viperidae Ramarro occidentale Lacerta bilineata Vipera comune Vipera aspis Lucertola muraiola Podarcis muralis

Orbettino (Anguis fragilis) Rettile della famiglia degli Anguidi, generalmente lungo fino a 25 cm, coda inclusa, eccezionalmente oltre i 30 cm. È un sauro privo di arti di aspetto serpentiforme. Preferisce habitat con vegetazione abbondante e piuttosto umidi. La sua dieta comprende molluschi, lombrichi e artropodi terrestri. Sono stati registrati casi di predazione su lacertidi, su serpenti e su suoi conspecifici. Specie igrofila, si trova sia in ambienti di pianura sia di media montagna. Attiva per lo più al crepuscolo o di notte da marzo a novembre. L’orbettino si osserva abbastanza facilmente rigirando le pietre o i ceppi, o nelle prime ore del mattino mentre si scalda sui sassi o sull’asfalto; passa buona parte del suo tempo sottoterra, scavando gallerie o sfruttando quelle dei piccoli Mammiferi. La specie risulta particolarmente diffusa, in quanto ben si adatta a vivere in ambienti non graditi al contrario da molti altri Rettili. La si può osservare quindi in aree urbanizzate e in piccoli appezzamenti coltivati anche se la preferenza è indirizzata verso praterie aride e boschi con una spessa lettiera. Si tratta di una delle specie che resta più facilmente vittima di mezzi agricoli. Scambiato spesso per un serpente, l’orbettino trarrebbe particolare giovamento da campagne di educazione ambientale mirate a sensibilizzare i cittadini sulle problematiche di conservazione della specie.

Ramarro occidentale (Lacerta bilineata) Rettile della famiglia degli Lacertidi, generalmente raggiunge i 35 cm di lunghezza totale, inclusa la coda, lunga e sottile, che si stacca se afferrata e successivamente si rigenera. Le parti superiori nei maschi sono poco variabili, dal verde brillante al verdastro. Il dimorfismo sessuale è abbastanza marcato: le femmine presentano colorazioni dorsali molto più variabili, dal verde al marrone uniforme. Rettile oviparo, il ramarro può deporre da 6 a 23 uova. Specie termofila, il ramarro è attivo di giorno da marzo a ottobre. La sua dieta si basa essenzialmente su artropodi terrestri ma occasionalmente preda piccoli Mammiferi, uova e nidiacei, lacertidi e anche giovani cospecifici. Non di rado si nutre anche di frutti. Lo si riscontra con particolare diffusione nelle aree aride e rocciose (Monte Bedea, boschi a valel della SP6 per Fornasette) caratterizzate da affioramenti rocciosi e vegetazione tipica di situazioni particolarmente asciutte. I margini di boschi e campi, le siepi e le aree rurali con muri a secco e in generale tutte le situazioni soleggiate risultano gradite alla specie. L’eco-etologia della specie suggerisce che sicuramente il mantenimento o la creazione di zone ecotonali (per esempio, siepi tra i campi) e l’utilizzo controllato di erbicidi e pesticidi e l’incremento dell’agricoltura biologica sono i fattori principali che potrebbero garantire l’espansione della popolazione.

Biacco (Hierophis viridiflavus) Serpente della famiglia dei Colubridi, può arrivare fino a 2 m di lunghezza totale, coda inclusa, ma mediamente non supera i 150 cm.

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Il biacco si trova sia in ambienti planiziali sia di media montagna dove risulta attivo prevalentemente di giorno, da marzo ad ottobre. La sua dieta, molto varia, comprende Lacertidi, micromammiferi, altri serpenti, nidiacei e anche Anfibi. Si tratta del serpente maggiormente diffuso e distribuito pressoché nell’intero territorio provinciale fino alle quote più alte. Specie poco selettiva dal punto di vista ambientale, il biacco è presente in una grande varietà di habitat: boschi, coltivi, zone umide e centri abitati con netta predilezione per aree aperte e ben assolate. Come tutti i serpenti, la specie troverebbe giovamento da azioni di educazione ambientale volte alla sensibilizzazione dei cittadini sulle problematiche di conservazione legate alla specie.

Colubro liscio (Coronella austriaca) Serpente della famiglia dei Colubridi, normalmente non supera i 70 cm di lunghezza totale, coda inclusa. Rettile ovoviviparo, dà alla luce da 2 a 15 piccoli, mediamente circa 6. Attiva esclusivamente di giorno da marzo a novembre. Si arrampica abbastanza facilmente sugli arbusti. La sua dieta comprende principalmente Rettili, quali sauri e altri serpenti (anche giovani vipere), secondariamente micromammiferi. Frequenta spiccatamente luoghi con vegetazione sparsa, dirupi e brughiere, ma anche ambienti fresco-umidi.

Saettone (Elaphe longissima) Questo grosso serpente, noto anche come colubro di Esculapio, può superare i 190 cm di lunghezza totale, coda inclusa, ma mediamente non va oltre i 150 cm. Rettile oviparo, può deporre da 4 a 18 uova, mediamente 7. Attivo prevalentemente di giorno da marzo ad ottobre, si arrampica facilmente su alberi e arbusti anche per cacciare. La sua dieta comprende per la maggior parte piccoli Mammiferi e, saltuariamente, nidiacei. Predilige habitat umidi con vegetazione abbondante ma sempre ben esposti alla luce del sole; si insedia di preferenza anche nelle aree marginali di boschi e boscaglie.

Biscia dal collare (Natrix natrix) Questo serpente della famiglia dei Colubridi, può arrivare fino a 200 cm di lunghezza totale, coda inclusa, ma mediamente non supera i 120 cm. Rettile oviparo, può deporre fino a 70 uova, mediamente 30. Specie igrofila ma meno acquatica delle sue congeneri, la natrice dal collare si trova sia in ambienti planiziali sia di alta montagna. È attiva prevalentemente di giorno e al crepuscolo da marzo a ottobre. È un’ottima nuotatrice ma non effettua lunghe immersioni come le altri natrici. La sua dieta comprende prevalentemente Anfibi, piccoli pesci e, in misura minore, piccoli Mammiferi, eccezionalmente altri serpenti. Insieme al biacco è il serpente più comune in ambito provinciale. Specie relativamente selettiva, non si rinviene in ambienti secchi in quanto mostra una spiccata predilezione per habitat umidi con vegetazione abbondante con acque sia lentiche sia lotiche. La si osserva all’interno di prati pingui, lungo i fossati e si avvicina alle aree con coltivazioni orticole. Le gioverebbero azioni quali il miglioramento della qualità delle acque, la rinaturalizzazione di alvei e sponde di corpi d’acqua, la conservazione e manutenzione di pozze.

Vipera comune (Vipera aspis) Questo serpente della famiglia dei Viperidi, eccezionalmente lungo circa 90 cm, coda inclusa, mediamente non supera i 60 cm. Rettile ovoviviparo, dà alla luce da 2 a 22 piccoli, mediamente una decina, d’aspetto del tutto simile ai genitori, che, nei primi mesi di vita, si alimentano di insetti e piccoli sauri.

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La sua dieta comprende prevalentemente piccoli Mammiferi e, saltuariamente, piccoli sauri. Il veleno, con cui uccide le prede, è pericoloso per l’uomo anche se sono rari i casi mortali conosciuti. All’interno del territorio indagato è rinvenibile soprattutto nella parte montana in aree di brughiera, sempre in esposizione assolata.

1.4.4.3 Uccelli

Classe UCCELLI Ordine Galliformes Famiglia Turdidae Famiglia Phasianidae Pettirosso Erithacus rubecola SE N Fagiano comune Phasianus colchicus SE N Codirosso spazz. Phoenicurus ochrurus SE N Ordine Ciconiformes Codirosso Phoenicurus phoenicurus MT N Famiglia Ardeidae Stiaccino Saxicola rubetra MT Airone cenerino Ardea cinerea SE NN Ordine Accipitriformes Culbianco Oenanthe oenanthe MT NN Famiglia Accipitridae Merlo Turdus merula SE N Falco pecchiaiolo Pernis apivorus MT N Cesena Turdus pilaris MI Nibbio bruno Milvus migrans MT N SV Astore Accipiter gentilis SE NN Tordo bottaccio Turdus philomelos MI N Sparviere Accipiter nisus SE NN Tordo sassello Turdus iliacus MI Poiana Buteo buteo SE N NN Ordine Columbiformes Tordela Turdus viscivorus MI NN Famiglia Columbidae Famiglia Sylviidae Colombaccio Columba palumbus SE N Beccamoschino Cisticola juncidis MI N Tortora collare Streptopelia decaocto SE N Capinera Sylvia atricapilla SE N Ordine Cuculiformes Luì piccolo Phylloscopus collybita MI N Famiglia Cuculidae Luì grosso Phylloscopus trochilus MT NN Cuculo Cuculus canorus MT N Regolo Regulus regulus SE N Ordine Strigiformes Fiorrancino Regulus ignicapillus SE N Famiglia Strigidae Famiglia Muscicapidae Civetta Athene noctua SE N Pigliamosche Muscicapa striata MT N Allocco Strix aluco SE N Famiglia Certhiidae Ordine Apodiformes Rampichino Certhya brachydactyla SE N Famiglia Apodidae Famiglia Laniidae Rondone comune Apus apus Averla piccola Lanius collurio MT NN Ordine Piciformes Famiglia Corvidae Famiglia Picidae Ghiandaia Garrulus glandarius SE N Picchio verde Picus viridis SE N Gazza Pica pica SE N Picchio nero Dryocopus martius SE N Taccola Corvus monedula SE N Picchio r. maggiore Dendrocopos major SE N Cornacchia nera Corvus coronae SE N Picchio r. minore Dendrocopus minor SE N Cornacchia grigia Corvus cornix SE N Ordine Passeriformes Famiglia Sturnidae Famiglia Alaudidae Storno Sturnus vulgaris SE N Allodola Alauda arvensis MI Famiglia Passeridae NN Passera d'Italia Passer italiae SE N Famiglia Hirundinidae Passera mattugia Passer montanus SE N Rondine Hirundo rustica MT N Famiglia Fringillidae Balestruccio Delichon urbica MT N Fringuello Fringilla coelebs SE N Famiglia Motacillidae Peppola Fringilla montifringilla MI NN

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Prispolone Anthus trivialis MI Verzellino Serinus serinus SE N NN Verdone Carduelis chloris SE N Pispola Anthus pratensis MI Cardellino Carduelis carduelis SE N SV Lucherino Carduelis spinus MI NN Ballerina gialla Motacilla cinerea SE Frosone C. coccothraustes SE N NN Famiglia Emberizidae Ballerina bianca Motacilla alba SE N Zigolo nero Emberiza cirlus SE NN Famiglia Troglodytidae Zigolo muciatto Emberiza cia SE NN Scricciolo Troglodytes troglodytes SE N Famiglia Prunellidae Passera scopaiola Prunella modularis SV NN

L’elenco precedente riporta le specie censite, secondo la seguente fenologia corrispondente ai criteri specificati in Brichetti e Fracasso (2003) con ulteriori integrazioni; la specifica di nidificante / non nidificante si riferisce nello specifico all’area investigata:

• sedentaria: SE - specie o popolazione legata per tutto il corso dell’anno ad un dato territorio dove porta a termine il ciclo riproduttivo • nidificante: N – da abbinare a sedentaria e a migratrice • non nidificante: NN – da abbinare a sedentaria • migratrice: M – specie o popolazione che compie annualmente spostamenti dalle aree di nidificazione alle aree di svernamento. Una specie o popolazione è considerata migratrice quando transita in un dato territorio, dove può nidificare, o meno. La specie migratrice può essere distinta in: • migratrice intrapaleartica: MI, quando compie la migrazione all’interno della regione biogeografica paleartica • migratrice trans-sahariana: MT, quando compie la migrazione passando dalla regione biogeografia paleartica a quella afrotropicale, oltrepassando il deserto del Sahara • svernante: SV – specie o popolazione migratrice che si sofferma a passare l’inverno o buona parte di esso in un dato territorio, ripartendo in primavera verso le aree di nidificazione • estivante: E – specie o popolazione migratrice che si trattiene in un dato territorio nel periodo estivo senza nidificare

Le specie nidificanti Questo gruppo è formato in gran parte da specie residenti, con solo alcune famiglie che includono specie migratrici su lunga distanza: Accipitridae (Falco pecchiaiolo), Cuculidae (Cuculo), Apodidae (Rondone comune), Hirundinidae (Rondine e Balestruccio) e Muscicapidae (Pigliamosche). In totale le specie censite appartengono a 26 famiglie. Tra gli Ardeidae, l’Airone cenerino (proveniente della vicine colonie della Valcuvia) frequenta per foraggiamento i prati in zona Paù, che costituiscono un habitat ottimale di caccia anche per numerose specie di rapaci diurni (famiglia Accipitridae), alcuni dei quali nidificanti sul monte Bedea. Tra le specie rilevate vi sono la Poiana, lo Sparviere, l’Astore, il Nibbio bruno e il Falco pecchiaiolo: queste ultime due specie sono migratori trans-sahariani, presenti generalmente nel periodo compreso tra marzo e settembre, entrambe incluse nell’Allegato I della Direttiva Uccelli 79/409/CEE. Poiché occupano differenti nicchie ecologiche trovano nell’area sia micro mammiferi e rettili (Poiana), uccelli e piccoli mammiferi (Sparviere e Astore), resti animali e avanzi alimentari (Nibbio bruno) e anfibi, piccoli rettili, imenotteri sociali (Falco pecchiaiolo, vedi immagine seguente).

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Figura 11 - Falco pecchiaiolo in volo; specie Allegato I della Direttiva Uccelli 79/409/CEE

Al pari dei rapaci diurni la zona ospita due specie di rapaci notturni: il comune Allocco, nidificante nei boschi di latifoglie con vecchi alberi dotati di cavità, e la più rara Civetta, la cui esistenza è legata a manufatti quali vecchi edifici, depositi di attrezzi e cascinali, anche diroccati, in cui poter trovare degli anfratti adeguati, unitamente a zone prative e pascoli dove poter condurre l’attività trofica, vedi immagini seguenti.

Figura 12 - Cascina con prato nei pressi della Dogana Fornasette

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Figura 13 - Prato-pascolo e cascinale nella frazione Pezze Inferiore di Longhirolo

Una famiglia ben rappresentata nell’eco-mosaico esistente è quella dei Picidae: sono 4 le specie presenti, che rendono conto della diversificazione forestale e dell’alternanza degli habitat. Il Picchio rosso maggiore e il Picchio verde sono le specie più diffuse: quest’ultimo in particolare presenta elevate densità grazie all’abbondanza degli ecotoni bosco/prato. Le altre due specie rilevate (Picchio rosso minore e Picchio nero) occupano al contrario nicchie ecologiche ben definite e risultano localizzate anche a scala provinciale (Gagliardi et al., 2007), necessitando di boschi disetanei con presenza di piante morte e mature alternate a radure. Il Picchio rosso minore è legato alle parcelle forestali ad Ontano nero esistenti nell’ambito dell’Azienda Agricola Paù e dintorni: le piccole dimensioni della specie, dotata di un becco molto più debole rispetto ai suoi congeneri, lo portano a selezionare tratti forestali in cui siano presenti piante marcescenti, con legno in uno stadio intermedio di decomposizione, in cui scavare il nido, mentre per il foraggiamento occupa lo strato superiore della chioma arborea, comportandosi più da Passeriforme che da Picide vero e proprio. Il Picchio nero presenta anch’esso una specializzazione nella ricerca della pianta-nido, generalmente matura e di grandi dimensioni e, oltre ad una dieta basata su Formicidae in periodo estivo, risulta legato all’esistenza di necromassa (legno morto a terra o in piedi) per la ricerca degli invertebrati di cui si nutre; anch’esso è specie appartenente all’Allegato I della Direttiva Uccelli 79/409/CEE. Comeevidenziano le immagini seguenti, nell’area sono state rilevate diverse prove di alimentazione in formazioni forestali differenti, sia appartenenti al bosco igrofilo (ontaneto) presente in area Paù, che al bosco misto di latifoglie con pino silvestre, compreso tra l’area della Brughiera e .

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Figura 14 - Ontaneto vegetante su substrato talora allagato per la presenza di alcuni ruscelli che allagano parzialmente l’area; area Paù.

Figura 15 - Scavo alimentare di Figura 16 - Scavi alimentari di Picchio nero su ontano nero; area Paù Picchio nero su pino silvestre; area Brughiera

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Il Picchio nero è una specie-ombrello in ambito forestale, poiché il suo lavoro di scavo di cavità-nido e di riposo, induce il successivo riutilizzo (una volta abbandonate dalla specie) delle cavità da parte di numerose specie che spaziano da altri uccelli (Allocco, Colombella, Picchio muratore ecc.), a mammiferi (Chirotteri, Scoiattolo, Ghiro ecc.) ad Imenotteri sociali. Altre specie comuni nei boschi di latifoglie sono lo Scricciolo, il Merlo, il Tordo bottaccio, la Capinera, il Codibugnolo, e un gruppo numericamente abbondante costituito da Cince (Cinciallegra, Cinciarella, Cincia mora, Cincia bigia e Cincia dal ciuffo), Picchio muratore e Rampichino. Queste ultime specie nidificano tutte in cavità, sia utilizzando vecchi nidi abbandonati dai Picidi, oppure insediandosi in cavità artificiali, quali buchi dei muri a secco, dei pali della luce, delle case ecc. Tra le Cince, la Cincia dal ciuffo è l’unica dotata della capacità di scavo in legno marcescente ed è associata alle formazioni di conifere, sia naturali che di impianto artificiale: la presenza nell’area di parcelle di Pino silvestre (vedi immagine seguente) permette quindi l’esistenza anche di questa specie, oltre alla più comune Cincia mora.

Figura 17 - Parcella di pino silvestre, compenetrata da ceduo di latifoglie, in area Brughiera. Nelle aree più aperte, in cui il bosco è più rado e con minore ombreggiatura, restano piccoli residui di Calluna vulgaris, potenzialmente utili all’insediamento di una specie rara quale il Succiacapre, anch’esso inserito nell’Allegato I della Direttiva Uccelli 79/43/CEE.

Altre comuni specie forestali sono la Ghiandaia e il Fringuello. Altrettanto variata risulta la comunità ornitica associata ai prati-pascoli, agli orti e all’urbanizzato residenziale: dal Colombaccio, ai Corvidi quali Cornacchia grigia e Taccola, dal Codirosso comune e del Codirosso spazzacamino ai numerosi Fringillidae (Cardellino, Verzellino e Verdone), dallo Storno ai Passeridi, comprendenti Passera d’Italia e Passera mattugia. Queste due ultime specie, in relazione al loro marcato calo numerico registrato in tutta Italia, sono recentemente entrate a far parte della Lista Rossa Italiana (Peronace et al., 2012), nella categoria di minaccia Vulnerabile; la presenza della Passera mattugia, generalmente legata ad

Pag. 43 di 77 Comune di Luino STUDIO DI FATTIBILITA’ PARCO SMERALDO 13/12/2012 Comune di Dumenza Analisi territoriale RIF. 12-041 ambienti agricoli estensivi con presenza di allevamenti animali, appare quindi di assoluto rilievo. Da rilevare infine come nel 2010, nell’esecuzione di un punto d’ascolto, sia stato contattato (Carabella, com. pers.) in località Longhirolo un individuo di Zigolo nero, specie nidificante nei vigneti della vicina Svizzera (Schmid et al, 1998), ma non nel territorio della Provincia di Varese (Gagliardi et al., 2007) e alquanto localizzato in Italia settentrionale (www.ornitho.it; accesso il 12/10/2012).

Le specie migratrici e svernanti Nei periodi di migrazione e di svernamento numerose specie, soprattutto Passeriformes, transitano nell’area e la presenza di prati-pascoli (vedi immagine seguente) appare di fondamentale importanza per l’attività trofica dell’avifauna.

Figura 18 - Prati-pascoli con bovini nell’area Paù.

La ricchezza specifica si riflette anche nell’abbondanza degli individui appartenenti alle famiglie Alaudidae (Allodola), Motacillidae (Prispolone, Pispola e Spioncello), Turdidae (Tordo bottaccio, Cesena e Tordo sassello), Sylviidae (Luì piccolo, Luì grosso e Beccafico) e Fringillidae (Cardellino, Verdone, Fanello, Fringuello, Verzellino, Peppola). Di elevato valore faunistico la presenza durante la migrazione pre-nuziale di alcuni individui di Averla piccola (vedi immagine seguente), specie dell’Allegato I della Direttiva Uccelli 79/43/CEE e oggetto di uno specifico studio e piano d’azione (Casale et al., 2009) della Regione Lombardia per la conservazione della specie.

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Figura 19 - Averla piccola maschio presente nel maggio 2012 nell’area Paù

Figura 20 - Prispolone in transito durante il passo primaverile; aprile 2012, area Paù

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Figura 21 - Gruppo misto di Cesene e Tordi sasselli; febbraio 2012, area Paù

Figura 22 - Cesena in alimentazione in area prativa; febbraio 2012, area Paù

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La presenza di attività agricole di tipo estensivo, unite all’esistenza di ampie superfici prative, pascoli, orti e frutteti, boschetti con piante mature di conifere e latifoglie, boschi igrofili di Ontano nero (concentrati nell’area Paù) rendono conto dell’eterogeneità ambientale esistente, fattore che risulta essere un fondamentale elemento ecologico, ad elevata, biodiversità, dell’area indagata. Da sottolineare la presenza di svariate specie appartenenti all’Allegato I della Direttiva Uccelli e/o alla Lista Rossa degli Uccelli Nidificanti in Italia.

Pecchiaiolo (Pernis apivorus) La specie viene comunemente confusa con la poiana durante il periodo riproduttivo quando risultano presenti contemporaneamente. Il problema non si pone invece in inverno allorché il pecchiaiolo migra verso S. Le prime osservazioni primaverili di questa specie si riferiscono generalmente alla metà del mese di maggio con l’osservazione del passaggio migratorio di piccoli gruppi (2-6 ind.) che risalgono verso N.

Nibbio bruno (Milvus migrans) Rapace diurno di colore scuro uniforme, con coda forcuta. In Italia la specie è nidificante e migratrice regolare con quartieri di svernamento nell’Africa sub-sahariana. Nidifica con un areale pressoché continuo nelle aree collinari e montane prospicienti i bacini lacustri. I territori sono occupati da questa specie a partire dalla terza settimana di marzo in avanti. Rapace opportunista in grado di nutrirsi di rifiuti, carogne e di un’ampia varietà di prede catturate vive, in particolare pesci e nidiacei di altre specie di Uccelli. La deposizione e relativa incubazione avvengono nell’ultima settimana di aprile; con un periodo di cova variabile fra i 28 e i 38 giorni (in relazione al numero di uova). La specie può risentire in maniera positiva di interventi di rimboschimento in aree perilacustri in cui venga ricostruita la tipologia del bosco di latifoglie planiziale o collinare (querceti, orno- ostrieti, castagneti). In questo senso vanno ovviamente anche gli interventi di mantenimento dei boschi autoctoni e quelli di conversione dei boschi cedui in boschi ad alto fusto. Un ulteriore beneficio deriverebbe dalla protezione diretta dei siti riproduttivi.

Allocco (Strix aluco) Rapace diurno i cui individui adulti risultano sedentari e rimangono nel proprio territorio tutto l’anno mentre i giovani, in cerca del proprio territorio, tendono invece a spostarsi con movimenti dispersivi che raggiungono in genere alcune decine di chilometri. Si tratta di una specie tipicamente forestale, ma la propria ecletticità gli ha consentito di sfruttare anche situazioni più o meno modificate dalla presenza umana. Ha una dieta molto varia, anche se spesso i Roditori ne possono costituire fino il 65-70%. Tra le sue prede vi sono anche molte specie di Uccelli di piccola e media taglia, Anfibi, Rettili, pesci e invertebrati. I canti territoriali della specie iniziano già in autunno (ottobre-novembre) e, in Italia, la deposizione delle uova (2-4) avviene tra febbraio e aprile. Il nido è posto in cavità, anfratti naturali o di edifici, oppure in buchi del terreno tra le radici; altre volte ancora vengono riutilizzati vecchi nidi di Corvidi oppure cassette-nido. Tra i rapaci notturni è indubbiamente il più numeroso e meglio distribuito all’interno del territorio in esame.

Picchio verde (Picus viridis) Uccello appartenente alla famiglia dei Picidi, con parti superiori verdi, capo grigio con parte superiore della calotta di colore rosso. Il volo è tipicamente ondulato. Nidifica in cavità che vengono scavate dalle coppie nei tronchi degli alberi (di preferenza in alberi morti o deperienti, con almeno la parte interna in disfacimento), nella parte medio-alta dell’albero, al di sotto della chioma. La deposizione delle uova (mediamente tra 5 e 7) si ha da fine aprile a giugno.

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La specie necessita di consorzi boschivi o di lembi di vegetazione ad alto fusto con la presenza di alberi maturi o senescenti dove poter costruire il nido, prossimi a radure e aree coltivate dove si siano conservati formicai attivi. L’area in esame mostra una distribuzione della specie in tutti gli habitat idonei, pur evidenziando la necessità di salvaguardare gli angoli di territorio ancora soggetti a una gestione agricola di tipo tradizionale.

Picchio rosso maggiore (Picoides major) Possiede un ampio pannello bianco sulle ali all’altezza della spalla; il sottocoda è rosso vivo, più marcatamente nel maschio, il quale ha una fascia rossa nella parte posteriore del capo. Specie tipicamente forestale , nidifica in una cavità tubolare scavata in un tronco o in un grosso ramo d’albero. La deposizione delle uova (mediamente tra 4 e 7) avviene nella prima metà di maggio e l’incubazione, che dura 10-13 giorni, è effettuata da entrambi i genitori. L’alimentazione è costituita principalmente di larve e adulti di Insetti xilofagi, nonché da formiche e altri Imenotteri, Miriapodi, lombrichi e, talvolta, semi e bacche. Risulta ampiamente diffuso in tutto il territorio sia provinciale sia della Comunità Montana grazie alla presenza di un ancora elevato grado di forestazione. Le azioni sull’habitat finalizzate ad aumentarne la recettività riguardano interventi di tipo selvicolturale come il mantenimento di alberi vetusti e senescenti, o con cavità e di alberi morti. Si dovrebbe inoltre provvedere alla creazione e al mantenimento di zone aperte all’interno dei boschi così come controllare le modalità e i tempi di realizzazione del taglio.

Picchio rosso minore (Picoides minor) Piciforme di piccola taglia (circa 15 cm) con dorso densamente barrato e sottocoda bianco. Calotta rossa nel maschio e bianca nella femmina. Specie tipicamente forestale, utilizza boschi estesi o comunque corpi boschivi non isolati, radi e poco disturbati e con vegetazione a latifoglie matura e marcescente, necessaria per la costruzione del nido e per il reperimento di adeguate risorse alimentari. Nidifica in una cavità tubolare a gomito scavata in un tronco d’albero (sovente deperito). La deposizione delle uova (tra 4 e 6) avviene da metà aprile e fine giugno e l’incubazione dura 11-14 giorni. L’alimentazione è costituita principalmente di larve e adulti di Insetti xilofagi, nonché da formiche e altri Imenotteri, Miriapodi, lombrichi e talvolta frutti. Tra i fattori più critici per la specie vi sono alcune pratiche di gestione forestale tendenti all’abbattimento degli alberi maturi o senescenti (oppure di quelli già scavati dai picchi): con l’invecchiamento infatti gli alberi diventano sempre più idonei a essere utilizzati dalle specie forestali per costruirvi il sito di nidificazione, ma perdono il loro valore commerciale.

Picchio nero (Dryocopus martius) Il Picchio nero è il più grande picide europeo, con lunghezza del corpo compresa tra 450-570 mm e un’apertura alare che raggiunge i 640-680 mm. Il piumaggio è simile nei due sessi: nero lucido nel maschio e tendente al brunastro nella femmina. L’unica differenza è nel capo: il maschio ha una calotta rossa che va dal becco alla nuca; nella femmina è invece presente solo una piccola macchia rossa sulla nuca. L’habitat riproduttivo del Picchio nero coincide con habitat forestali diversificati da un’alternanza di soprassuolo maturo, radure, ecotoni e anche boschi cedui in cui frequentemente ricerca il cibo, costituito soprattutto da Formicidae. Considerato fino alla fine degli anni ’80 una specie legata a complessi forestali vasti e maturi, in realtà il Picchio nero si adatta ad ambiti forestali altamente frammentati in cui siano presenti anche parcelle forestali mature di sufficiente estensione, in primo luogo per l’ubicazione della cavità-nido che, stante le dimensioni dell’uccello, deve essere necessariamente ricavata da un tronco maturo. Un fattore fondamentale per la presenza della specie risulta essere anche la quantità e la qualità della legna morta che è stata identificata come elemento necessario per la conservazione della biodiversità e per la gestione forestale sostenibile.

Rampichino (Certhia brachydactyla) Specie tipicamente legata agli ambienti boschivi di latifoglie o misti, con la presenza di alberi maturi: questi sono utilizzati come micro-habitat adatti alla costruzione del nido e per la

Pag. 48 di 77 Comune di Luino STUDIO DI FATTIBILITA’ PARCO SMERALDO 13/12/2012 Comune di Dumenza Analisi territoriale RIF. 12-041 ricerca dell’alimento. Il nido viene costruito dalla coppia dietro le cortecce e le fessure degli alberi oppure nei buchi dei muri. Le uova (5-7) vengono deposte tra aprile e luglio e covate dalla femmina per 14-15 giorni. Il rampichino si ciba principalmente di Insetti (adulti, larve e uova) ma anche di ragni e altri invertebrati, che vengono attivamente ricercati dietro la corteccia e stanati grazie al sottile becco ricurvo. Altamente selettivo, il rampichino vive prevalentemente nei boschi estesi di latifoglie, anche se può stabilirsi in boschi misti e in giardini, sempre comunque in situazioni di maturità forestale. Alberi maturi e di grandi dimensioni graditi alla specie possono essere i castagni sui versanti montuosi e salici, platani e querce nei boschi di fondovalle, comprese le aree igrofile.

Averla piccola (Lanius collurio) Passeriforme di media dimensione (lunghezza 17 cm, apertura alare 27 cm). Il maschio è caratterizzato da una mascherina nera a livello degli occhi. Le parti inferiori sono rosate e la coda bianca e nera. La femmina è di colore marrone, più o meno fittamente barrata sul petto. Il nido viene costruito in cespugli spinosi e all’incirca verso la metà di maggio vengono deposte mediamente 4-6 uova covate per 14-16 giorni. Il regime alimentare è molto vario, comprendendo in massima parte insetti tra cui cavallette, grilli, libellule e seppur in proporzioni minori, anche piccoli Mammiferi come i toporagni, Uccelli, Rettili e Anfibi di limitate dimensioni. Nell’allevamento dei piccoli è importante l’apporto dato dalle larve di Lepidottero. L'averla piccola rientra nell’Allegato I alla Direttiva “Uccelli” (CEE/79/409), che comprende le specie per le quali si prevedono misure speciali di conservazione sugli habitat, al fine di garantire la sopravvivenza e la riproduzione di dette specie nella loro area di distribuzione. La specie risulta soggetta a un forte declino per motivi ambientali legati all’intensificazione dell’agricoltura nelle zone di pianura e all’abbandono delle tecniche tradizionali di agricoltura e allevamento nelle zone di media montagna, nonché all’utilizzo indiscriminato di erbicidi e pesticidi. La sua presenza in provincia risulta sempre più ridotta. Nidifica in diversi ambienti tra cui zone incolte e brughiere, campagne aperte con siepi e pascoli, ma anche coltivi, giardini, piccoli boschi e cespugli spinosi lungo le strade e gli argini dei fiumi. Qualunque sia la scelta ambientale, un territorio di averla piccola deve sempre comprendere arbusti spinosi e boschetti come rifugio e possibili siti per la costruzione del nido, zone aperte con ricca vegetazione erbacea che permetta lo sviluppo di una grande quantità di Insetti e alti posatoi (alberi con rami secchi, pali e fili della luce) da cui controllare il territorio ed effettuare le sortite di caccia. Trattandosi di una specie minacciata e abbastanza selettiva per l’habitat, la principale strategia di conservazione consiste nel mantenere gli elementi di diversificazione del paesaggio agricolo (arbusti e piante isolate, anche morte, siepi, boschetti, piccoli incolti) e nell’evitare la ricolonizzazione delle radure e dei prati da parte della vegetazione arbustiva.

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1.4.4.4 Mammiferi

Classe MAMMIFERI

Ordine Rodentia Ordine Insectivora Famiglia Sciuridae Famiglia Erinaceidae Scoiattolo rosso Sciurus vulgaris Riccio europeo Erinaceus europaeus Famiglia Myoxidae (= Gliridae) Famiglia Soricidae Ghiro Glis glis Toporagno comune Sorex araneus Moscardino Muscardinus avellanarius Toporagno nano Sorex minutus Famiglia Microtidae Toporagno d’acqua Neomys fodiens Arvicola rossastra Clethrionomys glareolus Crocidura ventre bianco Crocidura leucodon Arvicola di Fatio Pitymis multiplex Crocidura minore Crocidura suaveolens Arvicola di Savi Microtus savii Famiglia Talpidae Famiglia Muridae Talpa europea Talpa europaea Topo selvatico collogiallo Apodemus flavicollis Ordine Chiroptera Topo selvatico Apodemus sylvaticus Famiglia Rhinolophidae Surmolotto Rattus norvegicus Rinolofo maggiore Rhinolophus ferrumequinum Topolino delle case Mus domesticus Famiglia Vespertilionidae Ordine Carnivora Vespertilio mustacchino Myotis mystacinus Famiglia Canidae Vespertilio di Capaccini Myotis capaccinii Volpe Vulpes vulpes Vespertilio di Daubenton Myotis daubentonii Famiglia Mustelidae Pipistrello albolimbato Pipistrellus kuhlii Tasso Meles meles Pipistrello di Nathusius Pipistrellus nathusii Donnola Mustela nivalis Pipistrello nano Pipistrellus pipistrellus Faina Martes foina Nottola di Leisler Nyctalus leisleri Martora Martes martes Serotino comune Eptesicus serotinus Ordine Artiodactyla Orecchione Plecotus auritus Famiglia Suidae Ordine Lagomorpha Cinghiale Sus scrofa Famiglia Leporidae Famiglia Cervidae Lepre comune Lepus europaeus Cervo Cervus elaphus

Capriolo Capreolus capreolus

Moscardino (Muscardinus avellanarius) Gliride di piccole dimensioni (90 mm, oltre a 55- 75 mm di coda). È un abile arrampicatore, agile, si sposta facilmente tra i rami degli arbusti. Il nido estivo è costruito fra i cespugli sebbene non sia infrequente trovare nidi di moscardino anche su latifoglie di media altezza. La forma del nido è caratteristica: sferico, con evidente foro di accesso laterale, è costituito principalmente da foglie, muschio e fili d’erba intrecciati. Il moscardino è spiccatamente arboricolo e solo occasionalmente scende al suolo; durante la notte si muove agilmente fra gli arbusti raccogliendo nocciole (da cui il nome volgare a volte attribuitogli di topo nocciolino), semi e germogli, che costituiscono la parte preponderante della dieta. La distribuzione del moscardino appare anche a livello regionale alquanto frammentata, molto probabilmente a causa di un difetto di rilevamento in quanto specie è particolarmente elusiva e difficile da studiare. La stessa frammentazione appare anche per il territorio della Comunità Montana anche se è ipotizzabile ritenere questa specie presente in gran parte del territorio in esame, in particolare in aree poste al margine dei complessi boscati, tipicamente nelle fasce ecotonali con presenza di strato arbustivo.

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Cervo (Cervus elaphus) Il cervo ha fatto la sua comparsa nel settore montano della provincia a cavallo tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80. Oggi la specie può essere considerata ormai stabilmente presente. Il cervo è in grado di utilizzare zone con caratteristiche ecologiche molto diverse. Frequenta i vasti complessi boschivi sia di latifoglie sia di resinose, interrotti da radure, tagliate, pascoli, con ricco sottobosco. Questo ungulato può vivere bene sia in pianura sia in montagna, essendo discretamente tollerante all'innevamento e adattabile agli ambienti semipaludosi. Necessita di vaste superfici per poter soddisfare le proprie esigenze ecologiche e biologiche. Il suo comprensorio minimale dovrebbe comprendere un'area di 10.000-15.000 ha. La specie compie delle vere e proprie migrazioni dai quartieri invernali a quelli estivi, a volte dislocati anche a distanze ragguardevoli gli uni dagli altri, nella stessa valle o in vallate differenti. Questa esigenza porta a enfatizzare il ruolo di collegamento ecologico assunto dall’area in oggetto.

Capriolo (Capreolus capreolus) La ricomparsa della specie risale agli anni ’50. In Valcuvia-Valtravaglia la presenza è associata ad una fuga occasionale da un recinto privato (metà anni ’70), nel decennio successivo incrementata da rilasci patrocinati dalla Regione Lombardia. Il capriolo è un animale tipico degli ambienti ecotonali, ovvero di zone cespugliate di transizione in evoluzione verso il bosco. Grazie alla sua plasticità ecologica, frequenta anche ambienti boschivi piuttosto sfruttati e boscaglie, nonché ambienti rurali aperti, purché dotati di qualche piccolo boschetto o siepi o fossi alberati. Le formazioni boschive preferite sono i querceti e, in secondo ordine, le faggete e le abetaie allorché si tratti di boschi misti, disetanei, con ricco sottobosco. I piccoli nascono da metà maggio ai primi di giugno e nei primi giorni di vita vengono sovente lasciati soli; la femmina si trattiene nelle vicinanze avvicinandosi solo per allattarli. La predazione, i rigori invernali e specialmente l’innevamento persistente sono le principali cause di mortalità della specie. Tra i predatori vanno considerati anche i cani vaganti, responsabili sia di casi diretti di predazione sia di azioni di disturbo che portano gli animali ad essere vittime di investimenti stradali e urti contro vari ostacoli (barriere, recinzioni).

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1.5 Rete ecologica

Il concetto di rete ecologica è stato introdotto a partire dagli anni ’90 con l’obbiettivo di proporre un nuovo approccio alla conservazione della biodiversità, attraverso il mantenimento e il rafforzamento di processi naturali che garantiscano la sopravvivenza degli ecosistemi, veri e propri contenitori della biodiversità, definita da E. Wilson nel 1980 come “la varietà delle specie viventi, animali e vegetali, che si trovano sul nostro pianeta”.

Questo nuovo approccio di conservazione non si basa solo sulla protezione degli ambienti ecosistemici più ricchi (aree protette) come isole in una matrice territoriale antropizzata, ma prevede la tutela della diversità biologica e del paesaggio basata sul collegamento di aree con rilevante interesse ambientale-paesistico in una rete continua. Semplificando il concetto di rete ecologica si possono individuare le aree di primario interesse ambientale, corrispondenti agli ecosistemi più significativi sono le aree centrali, definite “core areas” della rete ecologica nelle quali attuare misure rivolte alla conservazione e al rafforzamento dei processi naturali che sostengono tali ecosistemi e i corridoi ecologici (“ecological corridors”) che connettono la core areas tra loro.

Figura 23 - Schema grafico della rete ecologica (Romano, 2000)

A livello nazionale, nel 2010, è stata realizzata una Strategia per la Biodiversità che si pone come strumento di integrazione della esigenze della biodiversità nelle politiche nazionali di settore, riconoscendo la necessità di mantenerne e rafforzarne la conservazione e l’uso sostenibile per il suo valore intrinseco e in quanto elemento essenziale per il benessere umano. Tale strategia ha evidenziato che le principali minacce alla biodiversità in Italia a livello di specie, habitat e paesaggio possono essere imputate ai seguenti fattori:

• modificazioni e frammentazioni degli habitat, uso del suolo • cambiamenti nelle concentrazioni di CO2, CO, CH4, O3 e altri inquinanti nell’atmosfera e conseguenti cambiamenti climatici • inquinamento delle matrici ambientali (acqua, aria, suolo, ambiente sonoro e luminoso); • eccessivo sfruttamento delle risoprse naturali; • conflitti sull’uso delle risorse naturali (produzione energetica, turismo, trasporti, espansione delle infrastrutture e delle conurbazioni; • diffusione di specie invasive.

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I PLIS “costituiscono uno strumento per realizzare la rete ecologia regionale e provinciale e per valorizzare le risorse territoriali che necessitano di forme di gestione e tutela di tipo sovra comunale” e tra le finalità viene riconosciuta proprio quella di “mantenere e valorizzare i caratteri tipici delle aree rurali e dei loro valori naturali, paesistici e culturali a tutela dello spazio rurale rispetto alla avanzata dell’urbano” (DGR 8/6148, Allegato I, Art. 4). Attualizzando il concetto al territorio oggetto di studio è possibile evidenziare il suo ruolo strategico nel contesto ecologico un importante tassello della rete ecologica provinciale che collega il Parco Campo dei Fiori (con 5 SIC e una ZPS) e il SIC dei Monti della Valcuvia, a Sud, con il SIC Valveddasca e la Piana di , in territorio elvetico, a Nord, come evidenziato nella figura seguente.

SIC VAL VEDDASCA

Dumenz

Area di studio

SIC MONTI DELLA VALCUVIA

SIC CAMPO DEI FIORI

Figura 24 - Aree appartenenti alla Rete Natura 2000

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1.5.1 La Rete Ecologica Regionale (RER)

Con la deliberazione n. 8/10962 del 30 dicembre 2009, la Giunta ha approvato il disegno definitivo di Rete Ecologica Regionale, aggiungendo l’area alpina e prealpina. La Rete Ecologica Regionale è riconosciuta come infrastruttura prioritaria del Piano Territoriale Regionale e costituisce strumento orientativo per la pianificazione regionale e locale. La RER, e i criteri per la sua implementazione:

• forniscono al Piano Territoriale Regionale il quadro delle sensibilità prioritarie naturalistiche esistenti, ed un disegno degli elementi portanti dell’ecosistema di riferimento per la valutazione di punti di forza e debolezza, di opportunità e minacce presenti sul territorio regionale; • aiuta il P.T.R. a svolgere una funzione di indirizzo per i P.T.C.P. provinciali e i P.G.T./P.R.G. comunali; • aiuta il P.T.R. a svolgere una funzione di coordinamento rispetto a piani e programmi regionali di settore, ad individuare le sensibilità prioritarie ed a fissare i target specifici in modo che possano tener conto delle esigenze di riequilibrio ecologico; • anche per quanto riguarda le Pianificazioni regionali di settore può fornire un quadro orientativo di natura naturalistica ed ecosistemica, e delle opportunità per individuare azioni di piano compatibili; • fornire agli uffici deputati all’assegnazione di contributi per misure di tipo agro- ambientale indicazioni di priorità spaziali per un miglioramento complessivo del sistema.

La presente immagine illustra la rappresentazione grafica della rete ecologica regionale, dalla quale emerge che l’area di studio ne costituisce un elemento primario per le connessioni nord-sud

Figura 25 - Rete Ecologica Regionale – Settore 27-28

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1.5.2 La Rete Ecologica Provinciale

Il PTCP di Varese (2007) individua sul territorio provinciale una rete ecologica finalizzata a salvaguardare le interconnessioni tra le diverse aree a valenza ecologica e paesaggistica. Il progetto di rete ecologica provinciale è disegnato in riferimento al modello di idoneità faunistica,che ha permesso di evidenziare le aree più idonee per la realizzazione della rete ecologica, descritte di seguito.

Le Core areas di primo livello sono le aree di idoneità faunistica medio-alta che costituiscono le connessioni ecologiche principali della Provincia di Varese. Queste connessioni sono ad andamento Nord-Sud e consistono in: • Corridoio principale occidentale: fiancheggia il Lago Maggiore e il Fiume , poi attraversa la zona dei Laghi e circonda l’aeroporto di Malpensa e quindi giunge al confine con la Provincia di Milano; • Corridoio principale orientale: costeggia le aree boscate del comasco, passando attraverso il Parco Pineta di Appiano Gentile e .

Le Aree di completamento sono le formazioni areali o longitudinali di riconnessione delle core-areas principali.

Figura 26 - Le direttrici ecologiche provinciali (fonte PTCP)

Le Core areas di secondo livello sono le aree di idoneità faunistica medio-alta che costituiscono una serie di corridoi trasversali di collegamento tra i due principali corridoi con andamento Nord-Sud. Queste aree, pur essendo di minore dimensione, consentono di non perdere la comunicazione tra i grandi rami della rete principale e di salvaguardare gli elementi naturali presenti insidiati dall’incalzante processo di urbanizzazione soprattutto lungo le vie di comunicazione. Sono prevalentemente concentrate nella zona meridionale della Provincia e comprendono in molti casi tessuti agricoli o periurbani.

Le Fasce tampone sorgono a margine delle core areas e comprendono aree a minore idoneità faunistica, in alcuni casi terreni agricoli, in altri aree boscate.

I varchi sono aree cruciali per la funzionalità della rete: sono infatti aree ancora attualmente libere dall’edificazione soprattutto lungo le vie di comunicazione principali, che in diverse parti del territorio stanno diventando luogo privilegiato per lo sviluppo abitativo lineare.

I tratti di corsi d’acqua da riqualificare sono quelli connotati da classi di qualità scadente, scarsa e pessima nell’analisi di funzionalità fluviale e quelli appartenenti al reticolo fluviale secondario che costituiscono elementi di riconnessione importanti (talora unici) della rete.

Vengono in generale identificate come infrastrutture ad alta interferenza quelle che tagliano la rete ecologica.

Sono individuati con nodi strategici quelle aree incluse nella rete ecologica che presentano notevoli problemi di permeabilità ecologica (in quanto per esempio sottoposti a dinamiche occlusive da parte degli insediamenti), ma che rappresentano parimenti varchi almeno potenziali, fondamentali per riconnettere tra loro elementi strutturali della rete ecologica. Si

Pag. 55 di 77 Comune di Luino STUDIO DI FATTIBILITA’ PARCO SMERALDO 13/12/2012 Comune di Dumenza Analisi territoriale RIF. 12-041 tratta di zone sede di importanti snodi o punti di collegamento fra le core areas e/o di incrocio fra diversi rami della rete, e sono in genere situati in corrispondenza di varchi.

Sono infine individuate come aree critiche quelle porzioni di territorio che presentano seri problemi ai fini del mantenimento della continuità ecologica e di una qualità ambientale accettabile per la rete.

Di seguito si riporta un estratto della Tavola PAE3.

Figura 27 - Carta della Rete ecologica Provinciale [Fonte: PTCP, Tavola PAE3]

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La Comunità Montana Valli del Verbano e la LIPU, grazie al cofinanziamento Cariplo 2011, hanno promosso la realizzazione di studi di approfondimento sulla fattibilità del collegamento ecologico tra il Nord della Provincia e le aree di naturalità più a Sud come il SIC Campo dei Fiori e il SIC Monti della Valcuvia. Il progetto è denominato “I corridoi ecologici della comunità montana Valli del Verbano”.

Focus particolare di questi studio sono i cosiddetti ”varchi”, ambiti in cui i corridoi si restringono (ad esempio in corrispondenza di infrastrutture lungo le quali si è realizzata un’urbanizzazione di tipo lineare o nelle zone di transizione tra un abitato e l’altro). In tutta l’area di studio, che va dall’Alta Veddasca al Campo dei Fiori, sono stati individuati circa una ventina di varchi che vengono studiati sia in termini naturalistici (caratteristiche ambientali ed idoneità per i passaggi faunistici) sia in termini urbanistici (interventi in atto o previsioni future) sia in termini tecnici (elementi strutturali e/o riqualificazioni ambientali che possono risolvere criticità in atto o migliorare la connettività ecologica).

Ben quattro di questi varchi individuati sono collocati nei Comuni interessati dal Parco Smeraldo, illustrati nell’immagine seguente. I varchi sono denominati Palone, Longhirolo e Lago di Creva che interessano direttamente l’area di studio e il varco che interessa solo il territorio comunale di Luino. Il varco Longhirolo e quello del Paolone sono fondamentali per il collegamento Nord-Sud dell’Alta Veddasca con la Valle del Fiume Tresa. Il Varco del Lago di Creva è fondamentale per il superamento della “barriera” del Fiume Tresa e il collegamento della Valle fluviale con gli elementi di naturalità posti più a Sud e in continuità con i SIC Campo dei Fiori e Monti della Valcuvia.

VARCO LONGHIROLO

VARCO PALONE VARCO MARGORABBIA

VARCO LAGO DI CREVA

Figura 28 - Varchi ecologici del progetto “I corridoi ecologici della comunità montana Valli del Verbano”

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2 FRUIBILITA’ TURISTICA E CONTESTO SOCIO ECONOMICO A cura di arch. Monica Brenga

2.1 La rete sentieristica esistente

I sentieri dell’area sono uno degli aspetti più caratteristici: la fruizione di un territorio che presenta ancora aspetti naturali di pregio è un fattore particolarmente interessante. Il turismo assume per l’economia locale una notevole importanza sociale, economica e ambientale. Il turismo nelle valli del luinese vive sul paesaggio come sua fondamentale risorsa e l’agricoltura, a sua volta, può trovare nel turismo una nicchia privilegiata di mercato per collocare prodotti di qualità, nel momento delle vacanze, ma anche durante tutto l’arco dell’anno, aprendo così la possibilità di destagionalizzare il flusso turistico. Di notevole importanza è anche il turismo residenziale. L’elevata presenza di seconde case indica la presenza dei villeggianti rappresentati essenzialmente da stranieri (Tedeschi, Svizzeri e Olandesi ) e da turisti provenienti dall’ hinterland Milanese. Oggi il turismo “verde” è inteso sia come “utilizzo positivo” dell’ambiente, sia come forma di turismo a basso impatto ambientale ed in alternativa o a integrazione del turismo tradizionale, non sconvolgendo gli equilibri utilizzati nel territorio montano, propone il paesaggio e le risorse agricole come beni da valorizzare e potenziare attraverso la riscoperta di flora e fauna e delle produzioni tipiche locali.

La rete sentieristica e gli elementi della linea Cadorna rilevati sul territorio e descritti nei paragrafi seguenti sono illustrati nella Tavola 7 (fonte sentieri catasto: Cai Sez. di Luino).

2.1.1 Progetti passati da rivalorizzare

2.1.1.1 “I Strà di Caver”: i sentieri delle capre

Il Progetto nasce da una collaborazione tra Italia e Svizzera per la riscoperta e la valorizzazione degli antichi sentieri di montagna del Luinese e del Canton Ticino, utilizzati un tempo come strade e mulattiere dalla popolazione e ancora oggi dai pastori per muovere le greggi. Il percorso tocca numerose Aziende Agricole ed Agrituristiche e in alcuni punti varca il confine svizzero, raggiungendo località in cui riscoprire attivamente il patrimonio naturale e culturale. Il progetto prevede che lungo i sentieri, percorribili a piedi e, a seconda dei casi, a cavallo o in mountain-bike e raggiungibili grazie all’offerta di servizi (vicinanza del percorso a parcheggi, punti di attracco traghetti, stazioni), il fruitore possa riscoprire le particolarità naturali che l’ambiente offre, come alpeggi, cascate, specie vegetali e animali caratteristiche, fruendo anche di importanti elementi di educazione ambientale per la tutela del patrimonio naturalistico grazie alla posa di adeguata cartellonistica informativa; potrà inoltre scoprire elementi di interesse storico-culturale, come chiese, monumenti, fortificazioni militari, incisioni rupestri, strutture di rilevanza museale come antichi mulini, case dall’architettura tipica del territorio, nuclei rurali montani semidisabitati, oltre ad assaporare i ricercati prodotti tipici locali, come formaggi, salumi e miele prodotti presso le Aziende Agricole e Agrituristiche ubicate lungo il tragitto.

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Figura 29 - Percorso proposto Stra de Caver: Pau -Creva - Monte Bedea – Pau

Uno dei percorsi che riguardano l’area di studio proposto da Stra de Caver: Pau -Creva - Monte Bedea – Pau Immagini tratte da http://issuu.com/vallidelverbano/docs/itinerari_in_mountainbike_-_i_stra_di_caver

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2.1.1.2 La 3V Varesina – Via Verde Varesina

VARIANTE TAPPA 7: CREVA – DUMENZA

Figura 30 - Tappa 3V Varesina

Nei pressi del territorio interessato dallo studio di Fattibilità del Parco Smeraldo passa anche una tappa della TRE V VARESINA. L’intero percorso Creva - Dumenza misura sei chilometri e mezzo. (Fonte :portale Provincia di Varese, 3 V Varesina)

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2.1.2 Il catasto dei sentieri del Club Alpino Italiano (CAI)

Il Club Alpino Italiano ha attivato un catasto dei sentieri che si propone di rilevare e catalogare la rete sentieristica esistente, ciascun gruppo sul proprio settore territoriale di riferimento.

In particolare l’area di studio si colloca nel gruppo montuoso Tamaro – Gambarogno – Lema e la sezione CAI di riferimento è il CAI Sezione di Luino che ha effettuato il rilievo della rete sentieristica ed ha predisposto il catasto secondo il metodo sopra riportato.

Il metodo di pianificazione della rete sentieristica CAI permette di identificare sul terreno un sentiero attraverso la numerazione a tre cifre:

• la prima cifra individua il Settore di attribuzione, che rappresenta un’area con caratteristiche geografiche e morfologiche omogenee, in cui possono trovarsi fino ad un massimo di 100 sentieri e nel caso specifico è il Settore Veddasca n. 1 • mentre le altre due identificano il numero del sentiero all'interno del Settore.

L’inserimento della rete sentieristica dell’area di studio nel catasto del CAI rappresenta un importante elemento di valorizzazione del territorio.

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2.2 La Linea Cadorna

2.2.1 Cenni di storia

Nell’ambito territoriale analizzato troviamo elementi significativi riconducibili alla Linea Cadorna così conosciuta dal nome del generale Luigi Cadorna che, rispolverando un vecchio progetto risalente all’unità di Italia e rivisitato nel 1882, da ordine di iniziare i lavori per la costruzione di una Linea di difesa Nord. I lavori di difesa furono diretti dal Genio Militare che li sovrintese attraverso gli ufficiali dipendenti dell’Ufficio Tecnico di Varese e furono realizzati, dall’estate del 1915 alla primavera del 1918, da reparti del Genio di cui facevano parte anche truppe di fanteria a riposo e civili militarizzati e da imprese private. Tali fortificazioni non furono mai utilizzate; i lavori vennero abbandonati talvolta incompiuti, lo dimostrano alcuni manufatti appena abbozzati, con la disfatta di Caporetto poiché tutte le milizie furono richiamate, anche se la Guerra era ormai finita. Nel complesso l’intera linea della Linea Nord – Linea Cadorna ha visto la costruzione di 72 km di trincee, 88 appostamenti per batterie di cannoni, di cui 11 in caverna, 398 km di carrarecce e mulattiere, 296 km di strade camionabili.

Le risorse e le forze armate a disposizione erano scarse e la linea di difesa fu arretrata rispetto alla linea di confine seguendo sostanzialmente le linee orografiche del terreno. Chi vi lavorò erano essenzialmente persone non più giovani, soldati che avevano avuto ferite o non al massimo della loro integralità fisica, donne e anche i ragazzi. Erano spesso persone dei luoghi. Nessuno fu costretto a lavorare per la costruzione della Linea Cadorna, ma lo fecero per un sincero sentimento di difesa del proprio territorio e anche perchè la paga data per il lavoro effettuato era una sicura fonte di sostentamento per la famiglia che aveva gli uomini più agili al fronte. Ogni cantiere era diretto da un ufficiale del Genio che sovrintendeva tutti i lavori realizzati sia dai militari sia dall’impresa appaltatrice. Le squadre degli operai erano costituite ciascuna da una ventina di persone dirette da un caposquadra. I cantieri erano strutturati secondo criteri di autonomia ed autosufficienza. Le requisizioni di attività artigianali esistenti sul territorio consentivano di sopperire a particolari necessità costruttive.

Le ristrettezze finanziarie indussero ad un utilizzo oculato delle risorse che vennero reperite nei territori circostanti i cantieri. Si aprirono cave di sabbia nei residui morenici frequenti sulle nostre montagne; si recuperò la ghiaia scavando negli alvei di fiumi e torrenti; si produsse calce rimettendo in funzione vecchie fornaci. Tutte le trincee dovevano semplicemente rallentare l’eventuale nemico. Servivano sia da avvistamento sia come primo nucleo di resistenza. Dovevano segnalare alle cannoniere dove era il nemico per poter concentrare il fuoco di artiglieria , fuoco che era strutturato in modo da essere incrociato.

All’epoca della Prima Guerra Mondiale la strada per Fornasette e il valico di Palone erano valichi aperti. Nell’ottica della strategia militare, eventuali penetrazioni del nemico sarebbero arrivati proprio da queste vie principali, quindi ogni possibile via di accesso doveva essere eventualmente neutralizzata. Le zone più vulnerabili per un ipotetica invasione nemica erano Cremenaga, dalla parte del lago, e il Palone, dalla parte di Fornasette. L’area di studio è fortificata soprattutto sul Monte Bedea, ma decisamente meno di altri punti a testimonianza che questa parte di Linea Cadorna, non doveva fungere da barriera invalicabile, ma doveva solo ritardare le forze militari nemiche in modo da consentire alle truppe combattenti in forza nella zona di di intervenire in tempo.

Le tecniche militari della primo conflitto mondiale era ancora impostata sui grandi numeri e sulla forza d’urto delle masse di soldati. Se si considera che per ogni uomo al fronte ci sono tre persone per la logistica (chi si occupa delle vettovaglie, delle munizioni,

Pag. 62 di 77 Comune di Luino STUDIO DI FATTIBILITA’ PARCO SMERALDO 13/12/2012 Comune di Dumenza Analisi territoriale RIF. 12-041 dell’equipaggiamento e del soccorso e dell’ospedale di campo) si può capire quali energie e numeri erano messi in campo nella prima Guerra Mondiale.

La strategia militare di base alla Linea Cadorna stava innanzi tutto nel costruire le strade poco visibili e celate al nemico seguono le curve di livello del terreno, i crinali, le valli in modo che i militari abbiano a disposizione più luoghi celati alla vista del nemico. Questo è un principio proprio della guerra di trincea. In questa strategia di guerra è meglio fare feriti che morti: il morto non è di peso a chi è vivo, al contrario il ferito rallenta le attività del nemico e mette in moto la macchina dei soccorsi e del sostentamento dei tempi più o meno lunghi di inattività. Come già detto in queste linee di retrovia non vi erano truppe di elite ma gente locale e non giovanissima. Doveva quindi essere il più possibile coperta e nascosta in trincea, dove lo scopo è quello di stare nascosti e non quello di scagliare un attacco e quindi lo sforzo fisico e nettamente minore.

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2.2.2 Elementi rilevati

2.2.2.1 Monte Bedea

Sul Monte Bedea sono stati evidenziati numerosi elementi riconducibili alla Linea Cadorna o ad eventi bellici in generale. Le numerose fortificazioni presenti sul Monte Bedea avevano un alto valore strategico in quanto da un lato l’area rappresentava un punto privilegiato di osservazione e dall’altro rappresentava un modo per costringere il nemico ad un faticoso assalto in salita, che garantiva un ulteriore vantaggio alla difesa.

Lungo i sentieri che percorrono il M. Bedea è possibile vedere trincee e camminamenti; questi ultimi, che sono alti fossi, più angusti delle trincee e di altezza maggiore, fatti per il passaggio in condizioni di sicurezza dal tiro del nemico di un solo uomo alla volta. Davanti alle trincee a distanza di due o tre metri, corre un groviglio di reticolati che servono a intralciare un eventuale attacco nemico.

Figura 31 - Trincee e camminamenti sul Monte Bedea

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La parte sommitale del Monte Bedea è interessata da diversi manufatti.

• Garitta che costituisce un piccolo edificio, in questo caso in muratura, nel quale alloggiava la sentinella. • Casa della Milizia: costruzione probabilmente non ricondubile alla linea Cadorna: non ne ha tipologie costruttive. Sembrerebbe, dalle narrazioni orali, che l’area era legata alla presenza della milizia contraerea della seconda guerra Mondiale: infatti è un’area scoperta da cui di poteva vedere lo spazio aereo circostante Forse era una casa esistente sequestrata. Poi riutilizzata durante la seconda guerra mondiale. Spesso queste aree venivano sequestrate per scopi militare.

Figura 32 - Garitta e Casa della Milizia (vari particolari)

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2.2.2.2 Le Brughiere “la Mina”

L’area delle Brughiere è stata oggetto di puntuale rilevamento condotta mediante l’utilizzo di una metodologia messa a punto con il Progetto Interreg FOR.TI. (Regione Lombardia , ESAF, Museo della Guerra Bianca di Temù), che senza dubbio rappresenta l’istituto più accreditato sullo studio e le azioni di valorizzazione e conservazione dei reperti della prima guerra mondiale. I rilievi effettuati durante i sopraluoghi sono stati effettuati utilizzando un rilievo GPS che adotta la metodologia messa a punto con il Progetto Interreg FOR.TI . Tale metodo è stato messo a punto dalla Regione Lombardia, ERSAF e il Museo della Guerra Bianca a Temu’, senza dubbio l’istituto più accreditato sullo studio e le azioni di valorizzazione e conservazione dei reperti della prima guerra mondiale. Sono emersi sostanzialmente elementi lineari quali trincee, camminamenti e un rifugio in grotta riportati cartograficamente nella Tavola 7.

La trincea è un semplice fossato, profondo circa quanto l'altezza di un uomo sull'orlo del quale, dal lato di fronte al nemico, corre una difesa di pietre con feritoie aperte ogni tanto per i fucili dei soldati. Venivano scavate con larghezza variabile da 1.25 m a 1.60 m per una altezza di almeno 1.80 m . Alla base vi era spesso una banchina in modo che il fante potesse salirci e sparare dalle bocchette che erano posizionate a circa 1.30. Erano anche leggermente sbieche i modo da essere più ergonomiche rispetto all’impugnatura dell’arma. Sulla destra vi erano delle nicchie dove erano custodite le munizioni . Solo sulla destra in quanto era inconcepibile per i tempi l’uso della mano sinistra. Le trincee sono tutte a linea spezzata, cioè avevano un fronte che poi si piegava per formare un secondo lato. Questo per proteggere i soldati in caso di granata o bomba: lo scoppio si spezzava al cambiare della direzione della trincea. Dentro le trincee, spesso, si possono aprire dei ricoveri o rifugi, dove trovano posto le squadre di fanti che stazionano nella prima linea, essendo la vigilanza normalmente affidata alle vedette. Le trincee , come gran parte dei manufatti sono costruite in pietra e cemento. Le trincee coperte vengono chiamate ridotte. Talvolta si sfruttava il terreno, altre, come nel caso studiato si costruivano delle coperture in cemento – circa 40 – 50 cm di spessore - e armatura in fil di ferro. In foto si può vedere un esempio di trincea non completata: lo scavo è stato abbandonato in fase esecutiva, probabilmente poiché questo fronte , dopo la disfatta di Caporetto, non era più strategico e le forze combattenti furono richiamate sui fronti di guerra effettiva.

Figura 33 - Trincea non completata

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Nell’area è stato individuato un rifugio in galleria, è composto da tre bracci tali da formare un a sorta di Y allargata, anche per permettere una eventuale fuga. Le entrate non presentano guarnizioni o chiusure ermetiche. Questo significa che non venivano ancora utilizzati i gas, anche se durante la prima guerra mondiale erano già conosciuti. I militari avevano timore di utilizzarli in quanto le variabili in campo erano molte, tra cui il vento che poteva essere contrario e portare i gas verso ci tira, risultando un vero e proprio boomerang.

Figura 34 - Rifugio in galleria

Nell’area delle Brughiere è stato rilevato un ulteriore manufatto non facilmente classificabile. Sicuramente fu riutilizzato come luogo di esercizio di tiro nel periodo post bellico . Lo dicono i montanti che tenevano le sagome e le testimonianze orali. I pilastrini non sembrano rientrare nelle tipologie costruttive della Linea Cadorna, mentre i materiali potrebbero essere originali. Interessante è l’elemento di ingresso rappresentato da una sorta di rampa. Si può ipotizzare un riuso di manufatti originali della Cadorna.

Figura 35 - Manufatto post-bellico

Una parte di sentiero collocato nella zona della Brughiera viene definito militare, ma si tratta di un percorso troppo esposto al fuoco nemico e non corrisponde alla catena logistica di un eventuale teatro di battaglia. La parte bassa potrebbe essere stata utilizzata come zona di evacuazione rapida per un eventuale ripiegamento in zona brughiera. Ma il tracciato avrebbe potuto essere anche una trappola tattica per far penetrare il nemico su una direttrice ben precisa e poi rifugiarsi in zona di via brughiera. Oppure essere una vera e propria trappola per attirare il nemico e poi scatenare l’agguato.

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2.3 Il ruolo dell’agricoltura

2.3.1 Agricoltura e prodotti tipici

Il territorio del luinese una loro specifica immagine legata ai prodotti locali : la Formaggella del Luinese ha ottenuto il riconoscimento dalla Regione Lombardia, insieme ad altri prodotti caprini (violino e salamini di capra, capretto da latte pesante) di “prodotto appartenente alla tradizione agro – alimentare lombarda” (Deliberazione della Giunta Regionale nr. 6/49424 del 7/4/2000). Successivamente l’inserimento nell’elenco dei prodotti tradizionali della Regione Lombardia ha consentito ad alcune produzioni agricole (e tra queste anche la Formaggella del Luinese) di ottenere deroghe in materia igienico – sanitaria ai sensi della normativa DPR 54/97 e D.M. 4 novembre 1999. Oggi la Formaggella del Luinese ha attenuto il riconoscimento del marchio DOP , e la sua esistenza ha permesso il costituirsi della Strada dei Sapori Delle Valli Varesine.

Non si può non menzionare la Nera di Verzasca, una razza caprina rustica e in grado di adattarsi alle asperità del territorio. Nelle zone di montagna, l'allevamento caprino costituisce da sempre un fattore fondamentale per il sostentamento della popolazione. A seguito di decenni di abbandono, tale territorio montano ha subito una progressiva trasformazione: la vegetazione originaria dei prati e dei pascoli si è evoluta in poco tempo nelle attuali formazioni arbustive ed arboree che hanno modificato in modo rilevante anche il paesaggio. Qui, l'allevamento della Nera di Verzasca, razza rustica e facilmente adattabile al contesto ambientale, rappresenta un possibile riutilizzo zootecnico della montagna. La sua capacità di sfruttare al meglio le risorse foraggere naturali rende possibile una riduzione dei costi di alimentazione, soprattutto in termini di scorte di foraggio affienato, e costituisce quindi un elemento di interesse economico per l'allevatore. Attualmente si è appena concluso nel 2012 un PROGETTO TRANSFROTNALIERO ITALIA - SVIZZERA 2007 – 2013 "Valorizzare l'allevamento e i prodotti della razza autoctona Nera di Verzasca negli ecosistemi montani", mirato al sostegno dello sviluppo dell'economia agro-zootecnica legata all'allevamento della Nera di Verzasca, attraverso azioni sostenibili in termini ambientali. Intende riprendere e sviluppare il modello organizzativo definito nel precedente progetto pilota incentrato sulla valorizzazione della razza, avviato nel 2001 con fondi Interreg IIIA. Tale progetto pilota ha rappresentato il punto d'avvio per il miglioramento gestionale degli allevamenti e la tutela della biodiversità. Sulla scorta di quanto emerso, il nuovo progetto Interreg intende proseguire la ricerca su livelli più approfonditi che richiedono il coinvolgimento delle Associazioni nazionali dell'allevamento della razza.

2.3.2 Il GAL delle Valli del Luinese

Acronimo di Gruppi di azione locale, i GAL sono strutture che operano nelle aree ‘svantaggiate’ per incentivare lo sviluppo delle zone rurali, dove la densità di popolazione è bassa e minore la diffusione di servizi. I Gal sono strutture composte da soggetti pubblici e privati che hanno il compito di elaborare la strategia di sviluppo del territorio di pertinenza e la responsabilità dell’attuazione del piano di interventi stabilito. I comuni che ne fanno parte sono: Agra, , Valtravaglia, , , Dumenza, Germignaga, , Luino, Taccagno, , , Pino sulla sponda del lago Maggiore, , Tronzano sul Lago Maggiore, Veddasca.

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Piano di Sviluppo Locale: Valorizzare l’agricoltura per promuovere il territorio ed il turismo L’area del GAL Valli del Luinese è rappresentata dal territorio della ex Comunità Montana Valli del Luinese, oggi confluita nella nuova Comunità Montana Valli del Verbano, situata nella parte nord della Provincia di Varese in una zona compresa tra il Lago Maggiore a ovest e il confine svizzero a nord-est. L’area è costituita da sedici Comuni appartenenti alla zona altimetrica 1 (Montagna dell’Alto Verbano Orientale e Montagna tra Verbano e Ceresio) e si estende per un totale di circa 180 km2 di cui circa 108 km2 costituiscono la superficie boschiva. I comuni che ne fanno parte sono: Agra, Brezzo di Bedero, Brissago Valtravaglia, Castelveccana, Curiglia con Monteviasco, Dumenza, Germignaga, Grantola, Luino, Taccagno, Mesenzana, Montegrino Valtravaglia, Pino sulla sponda del lago Maggiore, Porto Valtravaglia, Tronzano sul Lago Maggiore, Veddasca. L’intero territorio è costituito da aree rurali intermedie, classificate di tipo C. Le aree protette sono rappresentate dal Sito di Importanza Comunitaria Alpino “SIC IT2010016 Val Veddasca”, è costituito dai Comuni di Curiglia con Monteviasco, Veddasca, Agra, Dumenza, , Pino s.s. Lago Maggiore e , per un totale di 45,7 km2 di superficie protetta. L’incidenza delle aree protette, calcolata come rapporto tra la superficie da esse occupata e la superficie totale dell’area del GAL, è pari al 27,65%. Il Sito di Importanza Comunitaria Alpino “SIC IT2010016 Val Veddasca” è localizzato nella parte più a nord del territorio del GAL, occupa circa il 64% della SAU dell’intero territorio di riferimento e ha un’altitudine compresa fra 208 e 1.658 metri sul livello del mare. Il sito ha mantenuto discrete condizioni di naturalità, anche grazie a un parziale isolamento rispetto ai territori limitrofi. Si ricorda che essere in un’area protetta ai sensi della l.r. 86/83 porta ad avere maggiori punteggi nelle procedure di valutazione deei progetti che si propongono sulle vaire assi e misure.

LA STRATEGIA La strategia del PSL si integra attorno a un tema identitario, innovativo e caratterizzante l’area del Luinese:STRA’ DE CAVER , rete sentieristica di circa 160 km di lunghezza percorribile anche a cavallo e in mountain bike, costituisce l’infrastruttura escursionistica che collega le singole aziende agricole, i nuclei storici montani e i luoghi di particolare interesse ambientale. Il PSL ha sviluppato le sue linee di intervento attorno al tema “I strà di caver” con l’obiettivo di avviare azioni mirate al miglioramento dei servizi per il turismo rurale e all’incentivazione dell’imprenditoria giovanile. Tale strategia è finalizzata a mettere in condizione le aziende agricole oggi esistenti di continuare anche in futuro e di diversificare le proprie attività, oggi principalmente impostate sulle pratiche agricole di allevamento e produzione, mirando a un’integrazione con i servizi legati al turismo sostenibile. Si è messa in atto una programmazione volta a sfruttare le esistenti opportunità di sviluppo (infrastrutturazione del territorio identificata negli itinerari per trekking a cavallo e in mountain bike con una propria identità e con possibilità di sviluppo servizi legati al settore turistico indirizzati ai giovani e alla parte di popolazione femminile). Pertanto attraverso la valorizzazione delle peculiarità dell’ambiente, il PSL stimola l’incentivazione delle attività legate al turismo sostenibile e la differenziazione delle attività aziendali di un settore primario più competitivo verso servizi in ambito turistico.

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GLI INTERVENTI Gli interventi previsti, che sono finalizzati a modificare sensibilmente l’assetto economico e sociale del territorio nel medio-lungo termine, sono articolati in:

SVILUPPO DELL’ECONOMIA DEL TURISMO (Asse 3, Asse 1), azioni volte a: promozione della multifunzionalità delle aziende agricole e agro-forestali; sviluppo della capacità promozionale dell’offerta turistica; valorizzazione delle produzioni; attività di informazione formazione e promozione.

VALORIZZAZIONE DELL’ATTRATTIVITA’ TURISTICA DELL’AMBIENTE (Asse 3, Asse 1 e 2) mediante azioni volte a: Offerta servizi essenziali per la popolazione rurale; Valorizzazione forestale e della filiera bosco-legna; Valorizzazione biodiversità, patrimonio architettonico e paesaggistico.

(Fonte: sito ufficiale del GAL delle Valli del Luinese)

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3 CONCLUSIONI

Gli studi condotti hanno permesso di evidenziare all’interno dell’Ambito di Attenzione Naturalistica alcuni elementi che sono state definite delle “core-area” naturalistiche, illustrate nella figura seguente tratta dalla Tavola 7 ed in particolare: il Monte Bedea – PLIS Parco Smeraldo; • le Brughiere; • la piana del Paù; • la piana del Palone. Monte Bedea Le aree così perimetrate PLIS Parco presentano elementi di Smeraldo sensibilità naturalistico Piana del ambientali tali da renderle tutte Paù zone potenzialmente promuovibili a parco locale per le relative valenze di respiro sovracomunale. Tuttavia trattandosi comunque di avviare un processo verso il riconoscimento istituzionale dei valori naturali che il territorio esprime, appare condivisibile ed opportuno l’atteggiamento dell’Amministrazione volto a procedere gradualmente indicando intanto come proposta di PLIS l’ambiente del Monte Bedea che peraltro sottende con maggiore evidenza elementi, caratteri e condizioni proprie del PLIS. Piana del Palone

Le Brughiere

Figura 36 - Le core area dell’ambito di attenzione naturalistica

Nei paragrafi seguenti si riepilogano le principali peculiarità ambientali, ecologiche e storico culturali di ciascuna di queste aree, emerse nell’ambito del presente studio.

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3.1 Monte Bedea

Dal punto di vista morfologico il Monte Bedea rappresenta il principale rilevo dell’area, insieme al Monte Clivio, posto in adiacenza all’area di studio. Raggiunge quota 665 m ed è costituito da micascisti biotitico-muscovitici, spesso granatiferi e paragneiss, derivanti dal metamorfismo di successioni sedimentarie pelitiche. In affioramento, il litotipo più diffuso si presenta, su superficie fresca, come una roccia scistosa traslucida, di colore grigio; la scistosità è conferita dall’alternanza di sottilissimi letti quarzosi e micacei (micascisti). È presente anche una variante più massiva, caratterizzata dalla prevalenza di letti quarzosi millimetrici, con più sottili intercalazioni micacee (paragneiss).

Dal punto di vista vegetazionale spiccano castagneti anche misti a querce con sottobosco di tasso (Taxus baccata) e agrifoglio (Ilex aquifolium), tipiche di alcuni ambiti del varesotto nel piano submontano e da scrivere dal punto di vista fitosociologico all’Ilici- Fagenion (Quercetalia robori-petraeae). Tali formazioni sono inserite tra gli habitat di interesse comunitario della Direttiva 92/43 CEE (Direttiva Habitat) col codice 9120.

Dal punto di vista storico-culturale l’area presenta diverse peculiarità di particolare rilievo storico; il monte è interessato dalla presenza di trincee e camminamenti appartenenti alla Linea Cadorna, fortificazione bellica costruita nel corso della Prima Guerra Mondiale. Ulteriori elementi rilevabili nella parte sommitale sono la garitta, manufatto atto ad ospitare la sentinella, e la casa della milizia, edificio riconducilbile alla seconda guerra mondiale. Tali elementi sono ben visibili lungo i diversi sentieri che percorrono il monte

Dal punto di vista faunistico il Monte Bedea, come tutte le aree boscate che circondano le aree aperte, rappresenta il luogo di sosta, svernamento o riproduzione per numerose specie che poi frequentano i prati e le boscaglie alla ricerca di cibo. Nell’area si rileva quindi la presenza di rana temporaria, che scende in primavera verso le zone umide del fondovalle per la deposizione delle uova, e numerosi uccelli rapaci (pecchiaiolo, nibbio bruno, astore, sparviere e poiana) che cacciano le loro prede sia nel bosco sia nelle aree aperte. Numerose sono anche le specie più strettamente associate al bosco come l’allocco, il tordo bottaccio e il rampichino e la salamandra, legata alle pozze di sorgente e ai piccoli corsi d’acqua. Gli stessi ungulati, che di giorno si nascondono nel folto del bosco per uscire nelle aree aperte all’imbrunire.

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3.2 Le Brughiere

Dal punto di vista geomorfologico le brughiere sono ubicate in corrispondenza del dosso posto a sud dell’area di interesse, tra le quote 300 e 360 m. In questo settore affiora abbondantemente il substrato roccioso, costituito da micascisti e paragneiss, modellato dall’azione dei ghiacciai che hanno localmente originato depositi glaciali e formato cordoni morenici.

Dal punto di vista vegetazionale le brughiere si configurano come bassi arbusteti col significato di cenosi di alterazione antropica, in seguito alla rimozione del manto forestale a dominanza di brugo (Calluna vulgaris). Sono prevalentemente concentrati nell’area meridionale del Parco Smeraldo, nella zona denominata “Mina” e in quella che sulla Carta Tecnica Regionale è contraddistinta dal toponimo “Brughiera”. La naturale evoluzione delle brughiere, cessate da tempo le pratiche tradizionali di asportazione della fitomassa, determina un progressivo recupero della vegetazione forestale. sono inseriti tra gli Habitat di Interesse Comunitario ai sensi della Direttiva 92/43 CEE (Direttiva Habitat) col codice 4030.

Dal punto di vista storico-culturale l’area presenta diverse peculiarità di particolare rilievo storico riconducibili alla Linea Cadorna: in particolare nell’area sono presenti trincee e camminamenti, in parte abbandonati incompiuti al termine del conflitto. Si segnala nella zona la presenza di un rifugio in galleria, composto da tre bracci tali da formare un a sorta di Y allargata, anche per permettere una eventuale fuga e un ulteriore manufatto non facilmente classificabile, presumibilmente riutilizzato come luogo di esercizio di tiro nel periodo post bellico .

Dal punto di vista faunistico l’ambiente di brughiera si presenta alquanto ridotto e frammentato su scala sia regionale sia provinciale. Le specie peculiari di questo habitat denotano quindi una diffusione localizzata e spesso alquanto rara; si tratta in particolare delle specie di fauna invertebrata. Frequenti nell’area sono le specie maggiormente legate ad ambienti asciutti e rocciosi, in particolare rettili come il ramarro e tutti i serpenti, anche se non mancano le aree umide che ospitano una ricca e diversificata popolazione di anfibi. Alle conifere presenti, in particolare pino silvestre, sono legate anche alcune specie di uccelli come per esempio la cincia mora e la più rara e localizzata cincia dal ciuffo.

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3.3 La piana del Paù

La Piana del Paù dal punto di vista morfologico è il risultato della fase di chiusura del bacino intramontano, un tempo occupato da un’area palustre riempita dai sedimenti di origine fluviale (alternanze di ghiaie e sabbie e sabbie ghiaiose) e depositi palustri s.l. (limi e limi debolmente argillosi, organici). Nel settore Nordoccidentale della piana è ancora presente un’area umida. Nei restanti settori si osservano invece trincee di drenaggio realizzate per bonificare l’area. L’area presenta forme del paesaggio agricolo tradizionale con ampie radure prative.

Dal punto di vista vegetazionale la piana del Pau’ è caratterizzata da un mosaico di elevato valore naturalistico costituito da prati pingui, vegetazioni erbacee igrofile e boschetti di ontano, specie forestale legata alle zone umide. I boschi di ontano sono tra le vegetazioni provinciali che nel corso degli anni hanno registrato il declino più evidente. Il declino subito da questi boschi è aspetto conosciuto e diffuso anche nel resto d’Europa tanto che attualmente essi sono stati inseriti tra gli habitat prioritari di interesse comunitario ai sensi della Direttiva Habitat (codice *91E0) e pertanto sottoposti ad una protezione rigorosa.

Dal punto di vista storico – culturale non si rileva la presenza di particolari elementi di rilievo, anche se nell’area si rilevano diverse attività agricole.

L’area del Paù si caratterizza come l’area di maggior interesse faunistico nel comprensorio studiato. L’elevata diversità ambientale legata alla presenza di boschetti, soprattutto di ontano nero, prati da sfalcio, prati umidi, fossi con vegetazione igrofila determina una ricca presenza faunistica. L’elenco delle specie presenti mostra in modo chiaro come il patrimonio faunistico dell’area sia ben strutturato in ogni componente della catena alimentare vista la ricca presenza soprattutto di predatori. Ci si riferisce in particolare all’airone cenerino, che si ciba di rane e piccoli invertebrati, del picchio rosso minore e del picchio nero, entrambe specie di particolare rarità e che si nutrono degli insetti all’interno del legno morto, e del pecchiaiolo e del picchio verde che frequentano i prati alla ricerca di formiche, vespe e altri piccoli animali del suolo. La presenza di rane e soprattutto tritoni attesta la buona qualità sia delle acque sia dell’ambiente igrofilo circostante che permette la permanenza di questi anfibi per l’intero periodo di sviluppo fino all’età adulta.

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3.4 La piana del Palone

La Piana del Palone rappresenta un’area di importanza strategica per l’approvvigionamenti idrico della zona, importanza accresciuta dalla precarietà delle altre fonti di approvvigionamento e dall’assenza di alternative, allo stato attuale delle conoscenze e delle tecniche. L’acquifero del Palone è situato in corrispondenza della Piana omonima; si sviluppa in parte in territorio Italiano (Comune di Dumenza) ed in parte in quello Svizzero (Comuni di Sessa e Monteggio). All’interno della Piana del Palone sono presenti numerosi pozzi destinati ad approvvigionamento dei pubblici acquedotti: in particolare il campo pozzi Palone, dell’Acquedotto Comunale di Luino, rappresenta la principale fonte di approvvigionamento di Luino ed i pozzi di Monteggio e Sessa alimentano i rispettivi acquedotti. L’area presenta forme del paesaggio agricolo tradizionale con ampie radure prative.

Dal punto di vista vegetazionale l’area mostra alcuni aspetti interessanti nei lembi di vegetazione erbacea igrofila residua che caratterizza il fondovalle, sopravvissuta ai drenaggi che hanno capillarmente interessato l’intera area. Il mosaico vegetazionale che vede l’alternanza di piccole aree umide, estesi prati pingui e lembi boscati è di indubbio valore ambientale ed ecosistemico.

Dal punto di vista storico – culturale non ci sono elementi di particolare rilevanza.

La presenza di un’attività agricola di carattere tradizionale e quindi estensiva ha garantito la conservazione nelle aree periferiche di ambienti ruderali, incolti e vegetazione naturale (canneti, fasce perifluviali ecc.) che supportano la presenza di un ampia varietà di specie sia invertebrate (in primis cavallette e farfalle) sia vertebrate (anfibi, rettili e uccelli, come la civetta, la rondine, lo stiaccino e l’averla piccola). La concimazione dei prati e la presenza di alberi da frutto rappresentano elementi che attirano la sosta di uccelli in migrazione e la permanenza anche durante il periodo invernale. Il rilevamento in un piccolo corso d’acqua dello scazzone, piccolo pesce tutelato dalla Direttiva comunitaria 92/43/CEE, dimostra la buona qualità delle acque e dell’ambiente dei piccoli corsi d’acqua presenti nell’area. La Piana del Palone si configura come di particolare interesse per la sua valenza di corridoio ecologico tra il corso del Fiume Tresa, e quindi della parte a Sud di esso, con i monti della Val Veddasca a Nord. In questo senso si osserva una buona e frequente presenza di ungulati (capriolo, cervo, cinghiale) e altri mammiferi (volpe, faina ecc.) in attività di spostamento sia per la ricerca di cibo sia come risposta ad elevate densità di popolazione.

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