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C) VILLA PADOVANI La storia

Nell’accingersi ad intraprendere una ricostruzione storica circa l’evoluzione della corte rurale di Piovezzano, comunemente denominata Ca’ dei Frati o Corte Ron- zetti, e dei suoi vari proprietari, è necessario in primo luogo sottolineare che risul- tano molto scarse le notizie documentarie giunte fino a noi. Tuttavia, la struttura architettonica rimanda, come tipologia, alle corti chiuse, mol- to diffuse in tutta Italia a partire dal periodo medioevale. Molte, infatti, erano le corti che sorgevano in varie zone rurali, nettamente separa- te l’una dall’altra con vite indipendenti, anche se strettamente correlate ai vari centri abitati a cui erano vicine. A tal proposito, la stessa evoluzione urbanistica di Pastrengo, è il risultato del massiccio sviluppo che ebbe la diffusione delle corti chiuse, che funzionavano come veri e propri organismi autonomi. Questa zona, infatti, risulta essere molto propizia, sia per la coltivazione, soprat- tutto di olivi - da cui si ricavava l’olio, l’unico combustibile di allora - ed anche di viti, sia da un punto di vista geografico, vista la sua posizione strategica a cavalie- 2 re tra ed il lago di Garda. Va ricordato inoltre, che la località PoI, nelle immediate vicinanze di Piovezzano, è il punto in cui l’Adige è più vicino al Lago, da ciò l’importanza dell’intero territorio per il commercio fra l’Alemannia ed i paesi benacensi. Prova ne sia, che fin dall’inizio della dominazione veneziana, proprio in questa lo- calità, molto vicina a Corte Ronzetti, fu costruita la Dogana Veneta, ancor oggi riconoscibile nelle sue forme. È logico arguire quindi come in un territorio ricco di scambi commerciali potessero sorgere aziende rurali in grado di entrare in sinergia con la vocazione mercantile del luogo. Tali aziende rurali avevano tuttavia la necessità di difendersi dai brigan- ti, da qui l’uso di recingere il podere entro un alto muro, costruito con sassi more- nici, localmente denominato “brolo”. Per riportare una curiosità legata alle tradizio- ni della zona, va ricordato che, poco sopra a questo brolo, dove si trova un Belve- dere, Napoleone, Massena e Moreau, durante la campagna d’Italia, per controlla- re l’intero territorio da tutte le angolazioni, attaccassero le briglia dei loro cavalli ad un grosso tronco, che per lungo tempo fu poi mostrato ai visitatori.

LA CORTE, IN SECONDO PIANO, VISTA DAL FORTE DEGENFELD 3

La vita che si svolgeva all’interno delle corti rispondeva perciò a tutti i livelli di au- to - sufficienza; in pratica, non solo gli abitanti riuscivano a garantirsi cibo e sussi- stenza, ma provvedevano anche direttamente alla difesa dai malintenzionati. La stessa Ca’ dei Frati rispetta tutte le caratteristiche architettoniche necessarie alla vita delle corti chiuse: la presenza di forni e pozzi dimostra la necessità di provvedere al sostentamento di un consistente numero di persone e i resti delle aperture archivoltate superstiti - ora tamponate e che richiamano un impianto me- dioevale - del muro esterno del complesso che sorge a sinistra entrando, attesta- no la volontà e la necessità di difesa. La società rurale medievale, dunque, era contraddistinta da un grande numero di queste corti chiuse, che rispondevano ad un’esigenza di gestione indipendente e autosufficiente. Numerose sono tutt’ora le testimonianze, nel territorio di Pastren- go, di queste corti. Basta citare a tal proposito: il “Colombaron” caratterizzato dalla poderosa torre colombaia, Villa Randina, probabile dimora di Guglielmo Guarienti detto “da Pastrengo” notaio della corte scaligera, Costiere Alte e Costiere Basse e le corti limitrofe a Corte Ronzetti, fra cui è da ricordare quella immediatamente prospiciente, che seppur meno integra, presenta ancora evidenti segni medioevali identificabili nel muro del brolo, nella torre colombaia ed in ciò che resta di

RILIEVO DELLA CORTE E PARTICOLARE FOTOGRAFICO DEL BROLO 4 un’antica chiesa. Per quanto riguarda Ca’ dei Frati è quasi certa, come spiegato precedentemente, la datazione medioevale della piccola casa, posta a Settentrione rispetto alla villa padronale. Ciò è del resto richiamato anche dalla pittura murale di facciata, risalente ai lavori di riordino del primo Novecento, che ha voluto scenograficamente effigiare una muratura in mattoni, tipicamente medioevale, con grandi aperture tamponate da un finto apparato ligneo con traversi diagonali di controavventatura. Sull’originale impianto medioevale, si sono stratificati nel corso dei secoli i lavori, per così dire di “abbellimento”, che risalgono in primis al Settecento e poi al Nove- cento. Per quanto concerne il primo intervento è da sottolineare che ha riguardato soprattutto l’interno, che ancora oggi presenta stilemi propri del periodo.

LA CASA MEDIOVALE DIPINTA IN TROMPE L’OEIL AI PRIMI DEL SECOLO SCORSO 5

La proprietà della Corte a quell’epoca apparteneva alla famiglia Marinelli, che ri- sulta aver acquisito, nel 1729, numerosi terreni (90 campi di cui 68 con casa pa- dronale) a Piovezzano da Giuseppe Carminati. Parte di tali terreni erano il risulta- to di una dote, data a Giovanni Marinelli da Giuseppe Carminati per aver sposato sua figlia Laura. La famiglia Marinelli, prima di dedicarsi all’investimento fondiario, aveva concentrato le sue attività in città, dove risiedeva in Contrada Sant’Eufemia, con la proprietà di nove botteghe commerciali. Il patrimonio cosi acquisito fu rinvestito agli inizi del Settecento in possedimenti fondiari, soprattutto nella zona della Bassa veronese e, solamente in subordine, nella zona occidenta- le della provincia di Verona. Il Brugnoli, nel suo volume Pastrengo, sottolinea che la corte risulta essere appar- tenuta, dopo i Marinelli, ai Cagozzi e quindi ai Redentoristi. Tali affermazioni non hanno tuttavia, al momento, trovato riscontro documentario, mentre è emerso il nome dei Carminati quali proprietari precedenti ai Marinelli. Per quanto riguarda la Congregazione del SS. Redentore, non è emerso alcun documento, anche se la denominazione Ca’ dei Frati è ancora usata dagli anziani di Pastrengo per indicare la corte e ciò può ragionevolmente attestare l’antica pro- prietà o comunque la presenza nella corte.

LE COSTRUZIONI SETTECENTESCHE 6

Per quanto riguarda i Redentoristi è da dire che la Congregazione del SS. Reden- tore aveva la sua sede, la prima nel Lombardo , a . Corte Ron- zetti che è locata non lontano da Bussolengo, doveva quindi essere una sorta di “sede staccata” della Congregazione, un rifugio estivo o piuttosto un luogo atto all’assistenza continuativa dei più bisognosi, visto che tra i principali compiti dei Redentoristi figurava l’assistenza ai fanciulli emarginati dalla società ed agli anzia- ni.Va ricordato a tal proposito, che la Congregazione Redentorista fu fortemente voluta, come spiegheremo più avanti, da un sacerdote della Diocesi veronese, don Turri, che aveva riscontrato la mancanza nel luogo di strutture per così dire sociali e assistenziali. È dunque presumibile che la corte servisse a tale scopo, anche per la sua struttura architettonica destinata ad essere un vero e proprio luo- go funzionale alla vita comunitaria indipendente ed autosufficiente, con cappelle, forni, pozzi, ecc. Parimenti, i Redentoristi avrebbero potuto usare la Corte come luogo di ritiro per esercizi spirituali e meditativi, data la sua prerogativa di luogo appartato e separato dalla vera e propria sede della Congregazione, che doveva essere, al tempo, molto frequentata.

IL POZZO ED IL FORNO NEL CORPO DI FABBRICA OCCIDENTALE 7

Quello che ci è dato dire, altro non sono che supposi- zioni, in quanto non ci restano documenti che spie- ghino le fasi che hanno portato i Redentoristi a Pa- strengo; molto dettagliate, al contrario, sono le testi- monianze che ricordano l’insediamento della Congre- gazione a Bussolengo, del quale andiamo ora ad illu- strare le parti salienti. L’istituto dei Missionari Reden- toristi (o Congregazione del SS. Redentore) venne fondata da San Alfonso Maria de Liguori nel 1732 a Scala, in provincia di Salerno, nell’allora Regno di Napoli. Alfonso aveva appena trentasei anni e la sua vita diventò dedicata alla missione e al servizio per i più abbandonati, ponendosi come primario scopo la divulgazione del Vangelo, della Buona Novella, ricol- legandosi così direttamente alla missione degli apo- stoli di Cristo. Nell’anno 1749, non solo Papa Bene- detto XIV approvò la Congregazione e le sue Regole, accettate dai congregati, ma nello stesso anno Alfon- so venne eletto Rettore Maggiore. Nel 1841 la Santa Sede, considerata la difficile stabilità sia religiosa che politica del tempo, divise la Congregazione in sei Pro- vince: romana, napoletana, siciliana, austriaca, belga, elvetica. Per decreto pontificio del 1853, i Padri Na- poletani vennero separati dagli altri Padri dell’Istituto. La Provincia romana costituirà con gli altri Redentori- SANT’ALFONSO sti europei la Congregazione transalpina. L’istituto dei MARIA DE LIGUORI Missionari Redentoristi dunque si diffuse prima al di là delle Alpi ed in America piuttosto che nell’Italia Settentrionale. Causa di tale ri- tardo furono le avverse condizioni politico - religiose del tempo ed, in particolare, l’ostilità dei principi italiani verso le nuove comunità religiose. I primi Redentoristi che giunsero nell’Italia Settentrionale, infatti, provenivano da Vienna, dal ceppo austriaco della Congregazione, e si stabilirono, nel 1835, nel Ducato di Modena. Poco dopo aprirono una casa anche a Bussolengo, nella Diocesi di Verona. 8

Il territorio veronese era, al tempo, sotto la dominazione austriaca, non stupisce dunque che proprio dai territori dell’Impero Asburgico, e non da Roma, provenis- sero i Redentoristi che vennero ad insediarsi nel veronese. Infatti, il primo tentativo di stabilire la Congregazione dei Redentoristi nel Lombar- do Veneto venne promossa attorno agli anni Quaranta dell’Ottocento da un sacer- dote della diocesi veronese: don Giuseppe Turri (1790 - 1863), il quale, dopo molte difficili trattative con la Diocesi di Verona, nonché con il Vescovo stesso, riuscì a favorire l’insediamento della Congregazione redentorista a Bussolengo, che risul- ta il primo insediamento nel territorio del Lombardo Veneto. Per quanto tempo la Congregazione restò proprietaria della Corte non è chiaro, tuttavia i Ronzetti, ultimi proprietari, erano già insediati nella Corte sicuramente nel 1932, anno in cui iniziarono i lavori di sistemazione, indubbiamente voluti dalla famiglia Ronzetti. Ciò è attestato nel cartiglio sopra la porta d’ingresso della casa padronale prospiciente la corte occidentale: ANNO DOMINI MXMXXXII. A quella data, infatti, Piero Ronzetti ricostruì la villa padronale ex - novo, non modi- ficando tuttavia il sedime, ed abbellì esternamente, come abbiamo prima descrit- to, la piccola casa settentrionale, riprendendo gli stilemi del cosiddetto “Liberty”. Liberty che nell’area veronese si conforma, soprattutto ad iniziare dagli anni Tren- ta del Novecento, in una sorta di neo storicismo su una base internazionale pret- tamente Déco, che riprende i motivi della tradizione classica. A Verona, infatti, non si può parlare propriamente di architettu- ra Liberty, dal momento che in questa zona si intrecciano delle varianti, non sempre del tutto distinguibili singolar- mente, che sono: - il Medievalismo europeo, filtrato però attraverso l’influenza di Camillo Boito molto presente a Verona sulla fine dell’Ottocento; - lo Storicismo, che a Verona si esplica con riferimenti estesi soprattutto al Rina- LA DATA DI COSTRUZIONE NEL CARTI- GLIO SULLA PORTA CHE IMMETTE ALLA scimento sanmicheliano e, in minor mi- CORTE OCCIDENTALE 9 sura, al tardo Barocco; - l’Art Nouveau in generale e la variante belga in particolare; - la Secessione Viennese, data l’affinità culturale e la vicinanza geografica tra Ve- rona e l’Austria; - il tecnicismo legato all’uso dei nuovi materiali, soprattutto ferro, vetro e cemento armato, impiegati però specialmente nell’edilizia industriale. Tutte queste varianti sono praticate in questo periodo contemporaneamente e molto spesso si trovano nell’attività di uno stesso architetto. Pertanto il Liberty, basato su di un concetto di continua trasformazione, ma mai di rottura con il pas- sato, si riduce a Verona all’utilizzo di schemi convenzionali, sia nella distribuzione interna, sia soprattutto nella decorazione esterna di facciata. Nel particolare il Li- berty nel veronese, pur essendo massimamente legato all’influenza della Seces- sione Viennese, e non disdegnando neppure l’apporto di altre influenze europee, raramente si discosta da una sorta di Classicismo. Presenta, infatti, elementi compositivi peculiari di questo stile, quali la compattezza, la distribuzione delle

IL PROSPETTO DELLA VILLA PADRONALE E DELLA ANTICA COSTRU- ZIONE MEDIOEVALE SUL CORTILE ORIENTALE 10 aperture e l’accurata simmetria di facciata, risolvendosi nel repertorio più propria- mente floreale soltanto nella decorazione plastica e pittorica. Nel caso specifico, l’impianto in qualche modo si relaziona a quello settecentesco come si evince dai fastigi in stucco sopra le finestre e ai grandi riquadri in stucco a grana grossa, che si conforma in cartigli stilizzati, che richiamano appunto le for- me del Settecento. Non manca neppure il richiamo alla forte tradizione sanmiche- liana dell’area veronese, riscontrabile nei cantonali a finti conci lapidei con ordina- mento sfalsato tra loro. La scelta di Piero Ronzetti, nei lavori apportati alla corte agli inizi del XX secolo, seguiva una volontà ben precisa, cioè quella di riproporre, rivisitandola, la villa no- biliare di campagna, sostituendo quella precedente non ritenuta consona alla po- sizione sociale raggiunta dai Ronzetti. Tale desiderio di rimarcare con forza il proprio censo deriva da una forte ricerca di identità storica da parte della piccola e media borghesia veronese, che viene e- sternata, anche in termini architettonici, in contrapposizione alle ville nobiliari. Ciò era tipico di queste classi sociali che, come i Ronzetti, essendosi da poco ar-

PARTICOLARI DELLA FACCIATA DELLA VILLA PADRONALE PROSPICIENTE VIA PIOVEZZANO VECCHIA 11 ricchite, sentivano il bisogno di legittimare la loro nuova posizione sociale attraver- so le architetture, che dovevano esibire agli altri la loro immagine, ostentandola con rielaborazioni decorative e formali, tipiche delle ville nobiliari venete. In pratica, siamo in presenza di ciò che accadde in Verona città, ove l’alta borghe- sia, che in quel momento poteva costruire oltre le mura cittadine, ricercava un mo- dello di edificio da contrapporre al palazzo nobiliare. Un’architettura quindi capace di sottendere i contenuti della nuova classe sociale che tuttavia, in una sorta di sudditanza nei confronti della classe nobiliare, non trova altro di meglio che ripro- porre decorazioni pittoriche e plastiche, che comunque, in quel momento, paven- tavano, in modo inequivocabile, la mancanza di nobiltà derivata essenzialmente dall’assenza dei segni del trascorrere del tempo. Anche nel riordino di Ca’ dei Frati venne impiegata la pittura murale, sia interna che esterna. Tale impiego volle riallacciarsi alla tradizione veronese che ha da sempre impiegato la pittura murale, non solo per la sua fruizione, ma anche per comodo civitatis . Significativa in tal senso è l’ostentazione dello stemma familiare, quasi a voler sottolineare la nuova posizione di proprietario terriero raggiunta da Piero Ronzetti. Lo stesso dicasi per le decorazioni interne, che ornano con un fregio, posto sotto il solaio quasi tutte le stanze, per il grande ovale nel soffitto dell’androne in ingres- so, che raffigura Pastrengo fra un volo di angeli. 12

Ciò vale anche per i maestosi camini in marmi locali e per la grandiosa scala d’ingresso inserita in un vano a doppia altezza. Possiamo concludere dicendo che la costruzione novecentesca attuata dal Ron- zetti corrisponde al processo evolutivo della dimora dell’alta borghesia, che ha ini- ziato nei primi del Novecento a costruire il grande palazzo, poi trasformato in casa da pigione, quindi per esigenze soprattutto di privacy il villino autonomo da non spartire con altri. In questo caso siamo in presenza di una riproposizione della villa veneta, che si stratifica in un contesto già delineato. Tuttavia per meglio comprendere le varie evoluzioni storiche della corte, si passa ora ad una dettagliata descrizione architettonica, poiché è proprio attraverso la lettura delle singole architetture che se ne ricostruisce la storia. 13

Descrizione architettonica La corte presenta ancora i segni della sua primigenia caratteristica di corte chiu- sa, che si caratterizza in tre autonomi ingressi, che prospettano sull’attuale via Piovezzano Vecchia. La struttura architettonica della corte, infatti, è stata studiata in modo tale che le tre destinazioni d’uso — le case, gli annessi rustici e la chiesa — disponessero di tre entrate indipendenti, tutte su via Piovezzano Vecchia, inter- na all’aggregato urbano. Tuttavia le tre zone sono collegate tra loro all’interno della corte; infatti, il brolo, la corte centrale e la corte occidentale sono connessi mediante aperture interne po- ste in un asse parallelo alla strada, via Piovezzano Vecchia appunto. Il brolo, con un unico ingresso, è stato concepito come spazio recintato, occluso alla vista e facilmente difendibile da intrusioni di malintenzionati. Questo recinto murario risulta essere una preesistenza medioevale, come ci comunica appunto la sua esplicita funzione difensiva, senza altre aperture al di fuori dell’ingresso. Il fronte occidentale della corte, anch’esso con ingresso autonomo è stato conce- pito, al contrario di quello orientale, come spazio in qualche modo pubblico, su cui si affacciano diverse aperture. Ciò è avvalorato dal fatto che il fronte orientale concludeva il nucleo storico di Piovezzano, mentre quello occidentale era inserito al centro dell’aggregato rurale, con conseguente minor necessità di difesa. Tutte le tre entrate su via Piovezzano Vecchia, che cadenzano il susseguirsi di fronti di fabbrica diversi, sono similari, ad arco a tutto sesto con cornici lapidee in

SOPRA: IL PROSPETTO SUL CORTILE OCCIDENTALE

SOTTO: IL PROSPETTO SUL BROLO POSTO AD ORIENTE FACCIATA PROSPICIENTE VIA PIOVEZZANO VECCHIA 14

IL PROSPETTO SU VIA PIOVEZZANO VECCHIA E PARTI- COLARI DEI TRE PORTONI AD INIZIARE DA OCCIDENTE conci. I primi due presentano un finto paramento fit- tile realizzato in intonaco, ove la tessitura dei matto- ni è stata incisa con uno stilo sull’intonaco, che, an- cora fresco, è stato dipinto con una terra rossa. I due portoni esterni sono coronati da una copertura a due falde, che sulla strada si conforma in una gron- da lignea molto aggettante. Il portone centrale, di accesso alla corte, a differen- za degli altri due è coronato da un architrave agget- tante su cui poggiano tre grandi vasi lapidei e pre- senta gli stipiti del portone trattati a bugnato rustico, ornato, seguendo i modi rinascimentali, da una chia- ve d’arco raffigurante lo stemma del proprietario, nel caso specifico dei Ronzetti, raffigurante una colom- ba coronata, con ali spiegate che appoggia le zam- pe su di un carro agricolo. Questo intervento conduce ai primi del Novecento, per l’esattezza al 1932, quando divenne proprietario Piero Ronzetti. Tale data è visibile in un cartiglio af- frescato posto sul corpo di fabbrica prospiciente il cortile occidentale. I Ronzetti hanno caratterizzato la loro proprietà con un intervento che, seppur consi- stente, si è stratificato nel tempo donando di fatto un valore aggiunto all’intero complesso. Infatti, l’edificazione condotta con gli stilemi tipici del perio- do che comunemente, anche se impropriamente, è denominato Liberty, ha saputo riprendere, in una 15 sorta di neostoricismo, gli stilemi salienti della corte riconducibili ai modi propri del Settecento. Ciò risulta evidente nel prospetto principale prospiciente via Piovezza- no Vecchia, che si eleva su due piani e piano sottotetto. Il prospetto, ancora integro nei suoi stilemi desunti dall’architettura settecentesca, è cadenzato da sei assi di aperture e presenta al piano terra, cinque finestrelle quadrangolari, incorniciate da fasce lisce lapidee e occluse da inferriate a maglia quadrata e, in corrispondenza del quarto asse da destra, un portoncino rettango- lare con sopraluce quadrangolare. Le finestre del primo piano sono rettangolari, incorniciate anch’esse da cornici lapidee lisce e coronate da un gustoso fastigio a basso rilievo, realizzato in stucco. Le finestrelle del piano sottotetto presentano la consueta forma ellittica del Settecento. Ciò che caratterizza la facciata, e che risulta sicuramente degna di essere conser- vata, è la decorazione plastica realizzata in intonaco e sapientemente dipinta con colori diversi. Questa decorazione ritma la facciata in campiture, giocate come i- deali cartigli, che si stagliano su di una superficie bianca. Nella campitura centrale campeggia un cartiglio dipinto con lo stemma di famiglia. Singolare è il bugnato rustico, presente nei canti dell’edificio, caratterizzato da finti conci di pietra in intonaco sfalsati fra loro.

L O STEMMA DELLA FAMIGLIA RONZETTI SUL PROSPETTO DI VIA PIOVEZZANO VEC- CHIA 16

I DUE PROSPETTI DELLA VILLA PADRONALE SULLA CORTE INTERNA

Ciò richiama forme architettoniche proprie della tradizione veronese, che ricondu- cono in particolare ai modi propri di Michele Sanmicheli che sono stati riproposti in tutti i secoli successivi della storia architettonica veronese. Ci si riferisce in parti- colare ai portali interni, ove l’impiego della pietra locale è nobilitato dalla presenza di raffinate serraglie in chiave d’arco. Degne di nota sono altresì le mensole lapidee alte e di poco spessore che sorreg- gono la gronda e che riprendono, nell’andamento curvilineo, i modi settecente- schi. Quasi tutte le stanze interne della casa padronale sono riccamente decorate con pitture murali che riprendono la tradizione veronese e che fortunatamente si trova- no in discreto stato di conservazione. La decorazione pittorica si estende anche nelle maestà delle porte che sono finemente decorate ad imitazione di cornici strombate marmoree. Nell’ingresso a doppia altezza pregevoli sono la scala lapi- dea, che testimonia la sapienza costruttiva delle maestranze locali, ed i pavimenti in terrazzo veneziano, dove spicca lo stemma con le ini- ziali dell’antico proprietario Piero Ronzetti. L’impiego della pittura murale è riscontrabile anche all’esterno. Tale pittura si e- splica, non solo nei suoi a- spetti prettamente figurali, co- LE INIZIALI DI PIERO RONZETTI me il quadro devozionale raffi- 17 gurante la Madonna raffaellesca con il bimbo in braccio e sullo sfon- do San Giovannino e San Giusep- pe, ma anche decorativi, come il cartiglio di gusto prettamente sette- centesco che invita a recitare l’Ave Maria, nonché la meridiana, sul fronte prospiciente la corte interna, ove a mala pena attorno allo gno- mone s’intuisce la presenza di un sole umanizzato in forma di viso, coordinato ad una coppia due cor- nucopie affrontate, da cui fuorie- scono festoni ricchi di frutta ed infi- ne come il cartiglio, già ricordato, sul prospetto della corte occidenta- le che ricorda l’anno dell’intervento e come lo stemma sul prospetto principale. È opportuno ritornare alla presenza di un ampio impiego della finta tes- situra fittile, che, nel caso specifico, riconduce in primis ad una visione decisamente neomedioevale tipica della cultura italiana dei primi del Novecento, ma anche a ricordare probabili preesistenze medioevali. Infatti degno di nota, oltre al para- mento dell’Oratorio e dei portali d’ingresso, appare come una sotto- lineatura di una quasi certa presen- za medioevale il curioso paramento dell’edificio a sinistra dell’ingresso, che è stato nobilitato con un gusto- 18 sissimo apparato pittorico, secondo schemi che erano mirati all’effetto di trompe d’oeil . Siamo convinti della ricercata sottolineatura di preesistenze medioevali, per il fatto che l’apparato decorativo si conforma in una finta tessitura fittile che si eleva fino all’altezza degli architravi delle finestre del piano terra, interrotta solamente dalla presenza delle cornici lapidee reali, alle quali la decorazione si conforma, imitan- do scarichi strutturali di forma triangolare. Sulla finta muratura fittile si ergono pila- stri, sempre fittili, raffigurati in prospettiva, che si concludono in alto con finti capi- telli a stampella in legno che sorreggono alte travi lignee, sempre dipinte, che raf- figurano perfino staffe metalliche di unione fra le travi. Questa sorta di annesso rustico ampiamente aperto nel primo piano, propone, com’era in uso nel medioe- vo, una finta tamponatura, anch’essa dipinta, costituita da assi verticali lignee, con rinforzi diagonali ad esse chiodate. Sempre tra le finte architetture raffigurate sull’esterno della casa, vanno menzio- nate la finestra, sempre dipinta, con tanto di tenda bianca che forma, con quella reale, una bifora con fastigio settecentesco a traforo ligneo, ed il finto capitello po-

L’ANTICA CASA MEDIOEVALE DIPINTA NEI PRIMI DEL SECOLO SCORSO 19 co più in basso, localmente denominato “gallinella”, che sottolinea la proprietà del- la muratura. Questa piccola casa, che testimonia l’impianto medioevale, seppur con sottolineature del Novecento, è l’unica testimonianza delle costruzioni primi- genie. Infatti, le altre costruzioni che prospettano la corte principale interna, sono tipiche degli stilemi del Settecento, anno in cui, come già detto più sopra, la pro- prietà era della famiglia Marinelli. D’altra parte, da un indagine visiva, gli stilemi sono riconducibili ad uno stile ormai maturo collocabile alla seconda metà dell’Ottocento, essendo riscontrabili segnali che in qualche modo richiamano al successivo neo classicismo, riscontrabile so- prattutto nell’ordine gigante di quattro lesene e nelle tre arcate del fienile, ove gli ampi archi a tutto sesto sono incorniciati da ampie fasce lisce che determinano con piedritti di sostegno un rettangolo aureo costituito da due quadranti. Tuttavia, la ricerca dimensionale non trova seguito, come nell’Ottocento, dalla proposizione di capitelli di serraglie classiche, bensì da conci di chiave trapezoidali e da capitel- li lievemente modanati. Più consoni a stilemi prettamente settecenteschi sono i 20 due fronti interni alla corte, orientale ed occidentale; quello orientale è su due pia- ni, mentre quello occidentale risulta non finito, come è riscontrabile dalla porzione del corpo di fabbrica adiacente l’angolo con il porticato di fondo, che presenta an- cora nella muratura i conci per un successivo indentamento. In questi due corpi di fabbrica gli archi sono a sesto ribassato caratterizzati da cornici lisce in pietra lo- cale e ornati da conci di chiave e di controchiave. È tuttavia da rimarcare come gli interventi settecenteschi si diversifichino tra loro, quasi per sottolineare un ordine gerarchico da un punto di vista, non tanto funzio- nale, ma piuttosto per così dire scenografico. Infatti, più elaborata appare la fac- ciata del porticato, prospiciente il portone d’ingresso, ove i tre fornici ad arco a tut- to sesto si relazionano all’ordine gigante costituito da lesene che sorreggono un’alta cornice modanata di sottogronda. Questo corpo di fabbrica, seppur maestoso nella sua conformazione, era adibito a porticato, una specie di “aia coperta”, ove si poteva, oltre che depositare provviso- riamente gli strumenti della lavorazione, anche smistare i prodotti della terra, sen- za disdegnare la funzione di ricovero degli animali da cortile, come evidenziato

L’INTERNO DELL’AIA COPERTA 21 dalla presenza di un pollaio. Degna di nota è la grande vasca, ricavata da un uni- co blocco lapideo, con la funzione di raccogliere l’acqua tramite la canalina dell’antica via trentina, per mezzo di un doccione, anch’esso lapideo. In tale corpo di fabbrica è altresì doveroso ricordare la facciata interna che conduceva ad un altro edificio, ora ridotto allo stato di rudere per la completa caduta del tetto in se- guito ad un incendio, con l’evidente destinazione a residenza su due piani. Tale facciata si caratterizza per aperture abbinate centrali, che al piano terra si confor- mano ad arco a tutto sesto e al primo piano in una bifora architravata. È altresì degna di nota la presenza di una scala realizzata con gradini lapidei che conduce ad una porta, ora murata, e che sottolinea il dislivello con la via trentina. Le due costruzioni laterali, nei prospetti della corte interna, sono pressoché simila- ri e si conformano con un’apertura centrale che risulta completa solo nella costru- zione di destra che riprende pari pari i modi del corpo di fabbrica porticato. Le altre aperture si configurano in fornici ad arco ribassato contornato da cornici lapidee caratterizzate da conci di chiave e controchiave. Il piano superiore, adibito ad abitazione, presenta finestrelle quadrangolari anch’esse contornate da cornici lapidee in pietra locale. Questo corpo di fabbrica si relaziona a quello di sfondo con la stessa cornice mo-

SOPRA: IL CORPO DI FABBRICA OCCIDENTALE

SOTTO: IL CORPO DI FABBRICA ORIENTALE 22 danata e sottolinea ancora l’originaria destinazione d’uso, che prevedeva al piano terra uno spazio destinato alla collettività della corte. Degno di nota, nonché bisognoso della massima salvaguardia, risulta l’angolo a- dibito alla cottura, dove sono infatti evidenti due forni: uno più piccolo, probabil- mente per il pane e le vivande, ed uno più grande, caratterizzato da una maesto- sa copertura a volta, che fungeva da camera riscaldante di un vano soprastante, destinato all’asciugatura dei panni e delle merci. Il corpo di fabbrica di fronte, nella concezione progettuale, doveva essere del tutto identico a quello appena descritto, quindi a due piani con il piano terra con locali destinati all’attività agricola ed il primo piano destinato a residenza dei lavoratori del fondo. Tuttavia questo corpo di fabbrica, pur con la chiara intenzione proget- tuale sopra descritta, non è mai stato completamente ultimato, forse a causa di motivi economici, come è stato nel dettaglio esposto più sopra. Questa costruzio- ne si diversifica in parte da quella precedentemente descritta, oltre che per la non completata altezza, anche per la tamponatura di tutti i fornici ad arco ribassato, ad eccezione di quello più vicino all’edificio più basso adiacente l’ingresso. Tale tam- ponatura risulta peraltro pensata fin dall’origine, per la presenza di finestre rettan- golari contornate da cornici lapidee. I piani terra di questo corpo di fabbrica erano

IL CORPO DI FABBRICA ORIENTALE EDIFICATO PIU BASSO 23 destinati, sulla destra, a cantina per il vino, com’è facilmente deducibile dalla pre- senza di due coppie di muretti in mattoni su cui un tempo si depositavano le botti. Singolare è altresì la pavimentazione in cotto con canalina di scolo centrale abbi- nata anche alla presenza di una vasca lapidea di raccolta dell’acqua, del tutto si- mile a quella precedentemente descritta. A sinistra dell’ingresso di questa costru- zione si accede ad un secondo locale adibito alla lavorazione di prodotti della ter- ra, come si evince dalla presenza dei resti di una mola per le olive. Da questo locale si accede ad un altro più basso, caratterizzato da una volta a botte ribassata ritmata da speroni che sorreggono spicchi, i quali ritmano in modo decisamente singolare la cantina per i prodotti alimentari. Per concludere non resta che descrivere l’oratorio, annesso alla corte, che appare ancora abbastanza integro e degno di essere salvaguardato, non solo nel suo a- spetto formale, ma anche nella sua destinazione d’uso. L’oratorio si configura come un aula rettangolare che viene ritmata chiaroscural- mente secondo gli stilemi propri del Settecento, con specchiature rientranti cieche ritmate da lesene che sorreggono un’alta cornice modanata aggettante, su cui s’imposta una volta a crociera che si spezza con spicchi in presenza della parte centrale di ogni parete, caratterizzata dalle due aperture verso l’esterno,

L’INGRESSO DELLA CANTINA A VOLTE 24 dall’ingresso interno e dall’altare in marmi policromi, che, secondo i modi del Sette- cento veronese, è ricavato en- tro una nicchia, nobilitata nel suo fondale dalla presenza di una cornice mistilinea in stuc- co, che orna la pregevole sta- tua lignea quattrocentesca del- la Vergine in trono con Bambi- no. L’illuminazione della chiesa è data da lunette soprastanti i due ingressi esterni e l’altare. Due finestrelle di forma ovale illuminano i localetti adiacenti l’altare che fungevano da sa- crestia e da confessionale. Curioso è il campanile a vento- la della corte, posto al centro

PARTICOLARI DELLA CHIESA 25 della copertura della casa principale, che veniva azionato da un tirante manuale posto, non nella casa, ma bensì all’interno della chiesa. Le forme del campanile si relazionano a quelle dei maestosi comignoli che si ri- fanno a stilemi settecenteschi.

BIBLIOGRAFIA BRUGNOLI PIERPAOLO, Pastrengo, editrice Stei Verona, 1969. FORTI GIORGIO, L’architettura e la tecnologia della pittura murale, in: Pittura mu- rale a Verona - volume IV 1900 - 1930, edizione Banca Popolare di Verona, 1991. FORTI GIORGIO, La Scena Urbana Strade e palazzi di verona e Provincia, edi- zioni Athesis 2000 SCOLA GAGLIARDI REMO, Le corti rurali tra Menago e Tregnon dal XV, al XIX secolo, edizioni Banca Agricola Popolare di , 1992. ORLANDI GIUSEPPE, Don Giusppe Turri (1790 - 1863) e i Padri Redentoristi di Bussolengo, Tipografia Litopat, Verona.

PARTICOLARI DEI COMIGNOLI E DEL CAMPANILETTO A VENTOLA