Nell'accingersi Ad Intraprendere Una Ricostruzione Storica Circa L

Nell'accingersi Ad Intraprendere Una Ricostruzione Storica Circa L

1 C) VILLA PADOVANI La storia Nell’accingersi ad intraprendere una ricostruzione storica circa l’evoluzione della corte rurale di Piovezzano, comunemente denominata Ca’ dei Frati o Corte Ron- zetti, e dei suoi vari proprietari, è necessario in primo luogo sottolineare che risul- tano molto scarse le notizie documentarie giunte fino a noi. Tuttavia, la struttura architettonica rimanda, come tipologia, alle corti chiuse, mol- to diffuse in tutta Italia a partire dal periodo medioevale. Molte, infatti, erano le corti che sorgevano in varie zone rurali, nettamente separa- te l’una dall’altra con vite indipendenti, anche se strettamente correlate ai vari centri abitati a cui erano vicine. A tal proposito, la stessa evoluzione urbanistica di Pastrengo, è il risultato del massiccio sviluppo che ebbe la diffusione delle corti chiuse, che funzionavano come veri e propri organismi autonomi. Questa zona, infatti, risulta essere molto propizia, sia per la coltivazione, soprat- tutto di olivi - da cui si ricavava l’olio, l’unico combustibile di allora - ed anche di viti, sia da un punto di vista geografico, vista la sua posizione strategica a cavalie- 2 re tra Verona ed il lago di Garda. Va ricordato inoltre, che la località PoI, nelle immediate vicinanze di Piovezzano, è il punto in cui l’Adige è più vicino al Lago, da ciò l’importanza dell’intero territorio per il commercio fra l’Alemannia ed i paesi benacensi. Prova ne sia, che fin dall’inizio della dominazione veneziana, proprio in questa lo- calità, molto vicina a Corte Ronzetti, fu costruita la Dogana Veneta, ancor oggi riconoscibile nelle sue forme. È logico arguire quindi come in un territorio ricco di scambi commerciali potessero sorgere aziende rurali in grado di entrare in sinergia con la vocazione mercantile del luogo. Tali aziende rurali avevano tuttavia la necessità di difendersi dai brigan- ti, da qui l’uso di recingere il podere entro un alto muro, costruito con sassi more- nici, localmente denominato “brolo”. Per riportare una curiosità legata alle tradizio- ni della zona, va ricordato che, poco sopra a questo brolo, dove si trova un Belve- dere, Napoleone, Massena e Moreau, durante la campagna d’Italia, per controlla- re l’intero territorio da tutte le angolazioni, attaccassero le briglia dei loro cavalli ad un grosso tronco, che per lungo tempo fu poi mostrato ai visitatori. LA CORTE, IN SECONDO PIANO, VISTA DAL FORTE DEGENFELD 3 La vita che si svolgeva all’interno delle corti rispondeva perciò a tutti i livelli di au- to - sufficienza; in pratica, non solo gli abitanti riuscivano a garantirsi cibo e sussi- stenza, ma provvedevano anche direttamente alla difesa dai malintenzionati. La stessa Ca’ dei Frati rispetta tutte le caratteristiche architettoniche necessarie alla vita delle corti chiuse: la presenza di forni e pozzi dimostra la necessità di provvedere al sostentamento di un consistente numero di persone e i resti delle aperture archivoltate superstiti - ora tamponate e che richiamano un impianto me- dioevale - del muro esterno del complesso che sorge a sinistra entrando, attesta- no la volontà e la necessità di difesa. La società rurale medievale, dunque, era contraddistinta da un grande numero di queste corti chiuse, che rispondevano ad un’esigenza di gestione indipendente e autosufficiente. Numerose sono tutt’ora le testimonianze, nel territorio di Pastren- go, di queste corti. Basta citare a tal proposito: il “Colombaron” caratterizzato dalla poderosa torre colombaia, Villa Randina, probabile dimora di Guglielmo Guarienti detto “da Pastrengo” notaio della corte scaligera, Costiere Alte e Costiere Basse e le corti limitrofe a Corte Ronzetti, fra cui è da ricordare quella immediatamente prospiciente, che seppur meno integra, presenta ancora evidenti segni medioevali identificabili nel muro del brolo, nella torre colombaia ed in ciò che resta di RILIEVO DELLA CORTE E PARTICOLARE FOTOGRAFICO DEL BROLO 4 un’antica chiesa. Per quanto riguarda Ca’ dei Frati è quasi certa, come spiegato precedentemente, la datazione medioevale della piccola casa, posta a Settentrione rispetto alla villa padronale. Ciò è del resto richiamato anche dalla pittura murale di facciata, risalente ai lavori di riordino del primo Novecento, che ha voluto scenograficamente effigiare una muratura in mattoni, tipicamente medioevale, con grandi aperture tamponate da un finto apparato ligneo con traversi diagonali di controavventatura. Sull’originale impianto medioevale, si sono stratificati nel corso dei secoli i lavori, per così dire di “abbellimento”, che risalgono in primis al Settecento e poi al Nove- cento. Per quanto concerne il primo intervento è da sottolineare che ha riguardato soprattutto l’interno, che ancora oggi presenta stilemi propri del periodo. LA CASA MEDIOVALE DIPINTA IN TROMPE L’OEIL AI PRIMI DEL SECOLO SCORSO 5 La proprietà della Corte a quell’epoca apparteneva alla famiglia Marinelli, che ri- sulta aver acquisito, nel 1729, numerosi terreni (90 campi di cui 68 con casa pa- dronale) a Piovezzano da Giuseppe Carminati. Parte di tali terreni erano il risulta- to di una dote, data a Giovanni Marinelli da Giuseppe Carminati per aver sposato sua figlia Laura. La famiglia Marinelli, prima di dedicarsi all’investimento fondiario, aveva concentrato le sue attività in città, dove risiedeva in Contrada Sant’Eufemia, con la proprietà di nove botteghe commerciali. Il patrimonio cosi acquisito fu rinvestito agli inizi del Settecento in possedimenti fondiari, soprattutto nella zona della Bassa veronese e, solamente in subordine, nella zona occidenta- le della provincia di Verona. Il Brugnoli, nel suo volume Pastrengo, sottolinea che la corte risulta essere appar- tenuta, dopo i Marinelli, ai Cagozzi e quindi ai Redentoristi. Tali affermazioni non hanno tuttavia, al momento, trovato riscontro documentario, mentre è emerso il nome dei Carminati quali proprietari precedenti ai Marinelli. Per quanto riguarda la Congregazione del SS. Redentore, non è emerso alcun documento, anche se la denominazione Ca’ dei Frati è ancora usata dagli anziani di Pastrengo per indicare la corte e ciò può ragionevolmente attestare l’antica pro- prietà o comunque la presenza nella corte. LE COSTRUZIONI SETTECENTESCHE 6 Per quanto riguarda i Redentoristi è da dire che la Congregazione del SS. Reden- tore aveva la sua sede, la prima nel Lombardo Veneto, a Bussolengo. Corte Ron- zetti che è locata non lontano da Bussolengo, doveva quindi essere una sorta di “sede staccata” della Congregazione, un rifugio estivo o piuttosto un luogo atto all’assistenza continuativa dei più bisognosi, visto che tra i principali compiti dei Redentoristi figurava l’assistenza ai fanciulli emarginati dalla società ed agli anzia- ni.Va ricordato a tal proposito, che la Congregazione Redentorista fu fortemente voluta, come spiegheremo più avanti, da un sacerdote della Diocesi veronese, don Turri, che aveva riscontrato la mancanza nel luogo di strutture per così dire sociali e assistenziali. È dunque presumibile che la corte servisse a tale scopo, anche per la sua struttura architettonica destinata ad essere un vero e proprio luo- go funzionale alla vita comunitaria indipendente ed autosufficiente, con cappelle, forni, pozzi, ecc. Parimenti, i Redentoristi avrebbero potuto usare la Corte come luogo di ritiro per esercizi spirituali e meditativi, data la sua prerogativa di luogo appartato e separato dalla vera e propria sede della Congregazione, che doveva essere, al tempo, molto frequentata. IL POZZO ED IL FORNO NEL CORPO DI FABBRICA OCCIDENTALE 7 Quello che ci è dato dire, altro non sono che supposi- zioni, in quanto non ci restano documenti che spie- ghino le fasi che hanno portato i Redentoristi a Pa- strengo; molto dettagliate, al contrario, sono le testi- monianze che ricordano l’insediamento della Congre- gazione a Bussolengo, del quale andiamo ora ad illu- strare le parti salienti. L’istituto dei Missionari Reden- toristi (o Congregazione del SS. Redentore) venne fondata da San Alfonso Maria de Liguori nel 1732 a Scala, in provincia di Salerno, nell’allora Regno di Napoli. Alfonso aveva appena trentasei anni e la sua vita diventò dedicata alla missione e al servizio per i più abbandonati, ponendosi come primario scopo la divulgazione del Vangelo, della Buona Novella, ricol- legandosi così direttamente alla missione degli apo- stoli di Cristo. Nell’anno 1749, non solo Papa Bene- detto XIV approvò la Congregazione e le sue Regole, accettate dai congregati, ma nello stesso anno Alfon- so venne eletto Rettore Maggiore. Nel 1841 la Santa Sede, considerata la difficile stabilità sia religiosa che politica del tempo, divise la Congregazione in sei Pro- vince: romana, napoletana, siciliana, austriaca, belga, elvetica. Per decreto pontificio del 1853, i Padri Na- poletani vennero separati dagli altri Padri dell’Istituto. La Provincia romana costituirà con gli altri Redentori- SANT’ALFONSO sti europei la Congregazione transalpina. L’istituto dei MARIA DE LIGUORI Missionari Redentoristi dunque si diffuse prima al di là delle Alpi ed in America piuttosto che nell’Italia Settentrionale. Causa di tale ri- tardo furono le avverse condizioni politico - religiose del tempo ed, in particolare, l’ostilità dei principi italiani verso le nuove comunità religiose. I primi Redentoristi che giunsero nell’Italia Settentrionale, infatti, provenivano da Vienna, dal ceppo austriaco della Congregazione, e si stabilirono, nel 1835, nel Ducato di Modena. Poco dopo aprirono una casa anche a Bussolengo, nella Diocesi di Verona. 8 Il territorio veronese era, al

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