Ministero delle Politiche Agricole e Forestali

Presenze scientifiche illustri al Collegio Romano

Celebrazione del 125° anno di istituzione dell'Ufficio Centrale di Ecologia Agraria

Roma, 26 novembre 2001

Ufficio Centrale di Ecologia Agraria Sala Rosini

Via del Caravita 7/A - Roma

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INDICE

Presentazione

Il passato, il presente, il futuro dell’Ufficio Centrale di Ecologia Agraria Domenico Vento (direttore dell'Ufficio Centrale di Ecologia Agraria) Galilei e il barometro Padre Tommaso Vinaty (professore della facoltà di Filosofia dell'Università Pontificia di San Tommaso d’Aquino Angelicum, Roma) Padre e la meteorologia Padre Sabino Maffeo, S.J. (Specola Vaticana, Castelgandolfo) Aspetti della formazione scientifica del giovane Fermi: il ruolo di Filippo Eredia e dell’Ufficio Centrale di Meteorologia e Geodinamica Giovanni Battimelli (Dipartimento di Fisica, Università “La Sapienza”, Roma)

Appendice

Astronomia al Collegio Romano George Coyne s.j.; Sabino Maffeo s.j. (Adattamento a cura di Renzo Lay): L’Osservatorio del Collegio Romano. Gli astronomi della Compagnia di Gesù fino alla soppressione della medesima.

Itinerario storico bibliografico dell'Ufficio Centrale di Ecologia Agraria Maria Carmen Beltrano, Stanislao Esposito, Luigi Iafrate (Ufficio Centrale di Ecologia Agraria)

Verso un ufficio meteorologico centrale anche in Italia Dai primi fermenti organizzativi alla sua istituzione ad opera del governo: Regio Decreto n° 3534 del 26 novembre 1876 Luigi Iafrate ( collaboratore esterno Ufficio Centrale di Ecologia Agraria)

2 Presentazione

L’Ufficio Centrale di Ecologia Agraria il 26 novembre 2001 ha ricordato il 125° anniversario della sua istituzione con una giornata celebrativa che è stata altresì l'occasione per sottolineare la lunga tradizione di attività scientifica che si è sviluppata al Collegio Romano, dove ha sede l’UCEA. Con il proposito che rimanesse traccia concreta degli interventi dotti pronunciati in quell'occasione, si è ritenuto utile raccoglierli in questo volume, giunto alla stampa grazie alla dr.ssa Maria Carmen Beltrano che è stata il vivace motore organizzativo della giornata celebrativa e che ha curato la realizzazione di questa pubblicazione.

Il volume raccoglie gli interventi degli oratori che hanno rievocato alcune importanti personalità scientifiche la cui attività è stata legata al contesto culturale e scientifico del Collegio Romano e dell'Ufficio Centrale di Ecologia Agraria. Nel volume sono state inserite alcune pagine esplicative delle mostre che hanno arricchito il programma della giornata, la prima sul patrimonio bibliografico dell'Ufficio, la seconda sulla storia dell'astronomia al Collegio Romano.

Infine si è ritenuto opportuno presentare una breve nota per descrivere il contesto istituzionale in cui nacque l'Ufficio Centrale di Ecologia Agraria, accennando alla situazione dei servizi meteorologici italiani negli anni che hanno immediatamente preceduto la costituzione dell’Ufficio.

Domenico Vento Direttore dell'Ufficio Centrale di Ecologia Agraria

3 Il passato, il presente, il futuro dell’Ufficio Centrale di Ecologia Agraria dr. Domenico Vento (direttore dell'Ufficio Centrale di Ecologia Agraria)

Signore, Signori, Vi ringrazio per aver deciso di ricordare con noi, oggi, il 125° anniversario di istituzione dell’Ufficio Centrale di Ecologia Agraria, che è l’organo scientifico e tecnico per l’agrometeorologia del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali e, a breve, del nuovo Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in agricoltura. Oggi compiamo 125 anni, e questi 125 anni di storia per noi sono importanti; ci aiutano a riflettere e ad ancorarci ad un illustre passato per progettare, nella continuità e nella tradizione, il futuro. Questa storia, tra mille vicende, ha avuto inizio, a livello governativo, nel 1876 quando un Regio Decreto stabilì la nascita del Regio Ufficio Centrale di Meteorologia: questo è stato il primo nome dell’UCEA che di fatto, quindi, è stato il primo ufficio meteorologico governativo italiano. L’Ufficio Centrale di Ecologia Agraria è nato nel 1876 e ha la sua sede al Collegio Romano dal 1879. Qui da sempre si è respirata un’atmosfera di cultura scientifica, molto spesso a livelli elevati; il Collegio Romano d’altronde è stato non poche volte sede e testimone di eventi culturali importanti. Questo ci impone di assumere un impegno forte ad essere adeguati alle esigenze del momento nello spirito di agire nel modo migliore e con responsabilità. In questi 125 anni sono progredite significativamente le strutture, i prodotti, le potenzialità della meteorologia in genere, non solo dell’UCEA e non solo della meteorologia italiana La celebrazione di questa giornata dunque, per noi dell’UCEA, è importante; è motivo di orgoglio, lasciatemelo dire, anche per dare evidenza ai progressi consolidati, e abbiamo deciso di viverla nella Sala Ezio Rosini, cioè nella Sala dedicata ad una figura di scienziato che ha fortemente operato per lo sviluppo della climatologia italiana quando era al Servizio Meteorologico dell’Aeronautica Militare, per la crescita dei servizi di agrometeorologia quando era direttore dell’UCEA, e che anche successivamente ha contribuito con energia a sostenere, con la sua esperienza e la sua competenza, lo sviluppo degli studi e delle attività legate all'agrometeorologia in Italia. Mi fa piacere rendere noto di aver ricevuto comunicazioni di adesione alla giornata anche da parte di molti, che non hanno potuto essere presenti, in particolare vorrei citare proprio il prof. Rosini, il direttore generale dr. Vincenzo Pilo, il sig. Ministro Giovanni Alemanno. Ringrazio per la sua partecipazione il Prof. Sergio Zoppi, presidente del nuovo Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura, in cui l’UCEA sta concretamente per confluire. La celebrazione della giornata ha come tema la memoria della tradizione scientifica legata al Collegio Romano prestigiosa sede dell'Ufficio Centrale di Ecologia Agraria. Si tratta di una tradizione particolarmente ricca. Abbiamo infatti il privilegio, qui, di respirare la stessa aria, di frequentare gli stessi ambienti di alcune importanti personalità scientifiche

4 la cui attività è stata in qualche modo legata al contesto culturale e scientifico del Collegio Romano. Abbiamo trovato documenti concreti della presenza di Galileo Galilei al Collegio Romano, dove, tra l'altro si diede lettura, al suo cospetto, del "Sidereus Nuncius". Padre Angelo Secchi, insigne astronomo e meteorologo, fu presidente del primo Consiglio Direttivo dell’Ufficio. Enrico Fermi, ancora studente liceale, nella nostra biblioteca consultò per mesi i testi di fisica su cui si preparò per l'esame di ammissione alla Normale di Pisa. Altri personaggi illustri, e non solo scienziati, transitarono al Collegio Romano; per esempio Sthendal, che visitò i locali del Collegio, come lui stesso ha scritto nelle sue "Promenades dans ". Il passato dell’UCEA inizia con il padre Secchi, alla fine dell’'800, e da allora l’Ufficio, passando attraverso cambiamenti radicali degli assetti istituzionali italiani, attraverso periodi storici travolgenti, come quelli bellici, attraverso mutati interessi, umori e necessità della società civile, ha dovuto far fronte, nel tempo, nei compiti e nelle sue attività d’istituto, ai problemi di interesse pubblico via via emergenti; di essi ne ha risentito anche il suo stesso nome, se non la sua ragione sociale. Ho voluto allora ricordare alcune date importanti della storia dell’UCEA, quelle legate a momenti particolari e le ho presentate accostando ad esse foto di monete coniate nello stesso anno di quelle date, volendo così sottolineare anche lo stare al passo dei tempi da parte dell’Ufficio. Le monete italiane spesso hanno presentato, nel corso dei 125 anni, temi agricoli; una serie un po’ rara del 1946, per esempio, presenta un’arancia nella lira, una spiga nelle 2 lire, un grappolo d’uva nelle 5 lire, un ramoscello d’ulivo nelle 10 lire. Su alcune date della storia dell’UCEA mi soffermerò con qualche osservazione flash: 1876: l’Osservatore Romano pubblica i dati del Collegio Romano anche se con due o tre giorni di ritardo; non risultano rilevazioni nei giorni festivi. 1879: da giugno l’Osservatore non riporta più i dati del Collegio Romano, che invece da settembre sono pubblicati nella Gazzetta Ufficiale del Regno. 1967: è un anno importante per l’attuale UCEA; nel 1967 è infatti iniziato il presente dell’UCEA: il Ministero decide di provvedere seriamente a ridare vigore all’Ufficio e all’agrometeorologia, mettendo a concorso il posto di direttore dell’Ufficio. Il concorso fu vinto dal prof. Ezio Rosini, che grazie alle sue capacità e larghezze di vedute diede impulso al rilancio dell'UCEA. Il presente è per l’UCEA ricerca e servizio. 1999: nasce il futuro dell’UCEA; il futuro quindi è già nel presente e da come vivremo il presente dipenderà la bontà o meno del futuro. A dicembre 1999 l’UCEA, in effetti, è entrato a far parte, dal punto di vista legislativo, del nuovo Consiglio per la ricerca e sperimentazione in agricoltura. Nello stesso periodo si è attivato nella preparazione di un progetto finalizzato di ricerca importante ed attuale, per rispondere, come sempre, alle esigenze della società civile; esso è stato finanziato nel 2000 ed è decollato a febbraio del 2001. Si tratta di Climagri, della ricerca con cui l’UCEA comincia il suo futuro in attività di ricerca e servizio. Il futuro è la continuazione del presente: sarà ricerca e servizio, ricerca complessa nel settore dell'agrometeorologia e servizio agrometeorologico a livello nazionale nel nuovo Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura.

5 Galilei e il barometro

Padre Tommaso Vinaty, professore della facoltà di Filosofia dell'Università Pontificia di San Tommaso d’Aquino (Angelicum)

Galilei aderì all’opinione che la natura manifesta una ripugnanza a lasciare che si formi un qualsiasi vuoto. L’espressione tradizionale per designare tale repulsione era “horror vacui”. Galilei sostenne l’ “horror vacui” almeno fino al 1638, anno della pubblicazione dei Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due Nuove Scienze (quella delle resistenze e quella dei moti)1. Fu la convinzione che portò con sé in tutti gli incontri con i Gesuiti del Collegio Romano2: la prima visita a Christoph Clavius per discutere i nuovi teoremi sui centri di gravità e l’invenzione della bilancetta idrostatica; il soggiorno romano che si protrasse da marzo a giugno 1611 per far confermare le sue scoperte astronomiche dagli astronomi del Collegio nella loro specola; gli scontri polemici tra il 1619 e il 1622 con il P. Orazio Grassi, che fu il Rettore del Collegio Romano, sulla natura delle comete, del calore e della luce. Alla fine del 1637, la cecità colpisce Galilei e le sue forze declinano. Nell’ottobre del 1641 Torricelli viene chiamato ad Arcetri per assistere il Maestro e raccogliere i suoi ultimi pensieri. Galilei muore il 9 gennaio 1642. L’anno successivo i primi esperimenti sono realizzati da Gasparo Berti con l’acqua in una condotta verticale e da Evangelista Torricelli in un tubo riempito di argento vivo, cioè di mercurio3. Torricelli redige la sua lettera sull’esperienza del tubo l’11 giugno 16444. Sorge allora la domanda: nel corso del breve soggiorno di Torricelli presso Galilei ad Arcetri, ebbero i due l’occasione di discutere attorno alla scoperta della pressione atmosferica? Si profila allora negli ultimi pensieri del Maestro il capovolgimento dei punti di vista sulla possibilità del vuoto: successivamente la pressione atmosferica ebbe due funzioni opposte ma non contraddittorie:

1 Galileo Galilei, Discorsi e Dimostrazioni Matematiche intorno a due Nuove Scienze (Leida, 1638), a cura di Adriano Carugo e Ludovico Geymonat, Torino, Paolo Boringheri, 1958 2 Stillman Drake, Galileo at work. His scientific Biography, The University of Chicago Press 1978, James Restor, Galileo, vers. Ital. Piemme, 2001 3 Opere scelte di Evangelista Torricelli a cura di Lanfranco Belloni, U.T.E.T., 1975 4 ibidem, pp. 657-660

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Testimonianza della presenza di Galileo al Collegio Romano nella Biografia di William Wallace sullo scienziato 7 dapprima spiegò l’“horror vacui”, cioè la repulsione della natura ad ammettere una depressione stabile che non fosse subito colmata dalla pressione; fatto riscontrato in tutti i fenomeni di aspirazione; e dall’altra parte, quando è bilanciata da un contropeso costituito da una colonna d’acqua o di mercurio, appare un vuoto barometrico.

Prima parte: l’aria ha un peso. Il nesso tra peso dell’aria e pressione atmosferica

Fin dagli anni giovanili all’Università di Pisa, Galilei fu impegnato nel programma di una rifondazione dell’idrostatica archimedea e della sua estensione all’aerostatica. Nella sua opera sui Galleggianti, Archimede aveva fondato la sua idrostatica su due postulati: il primo: “Si supponga che il liquido abbia natura tale, che delle sue parti ugualmente disposte ( ex ìsou keiménon) e continue, quella meno premuta venga spinta da quella più premuta,” il secondo: “ciascuna delle sue parti sia premuta secondo la verticale dal fluido situato sopra di essa, a meno che il liquido non sia contenuto dentro un recipiente e non sia premuto da qualunque altra causa.”1 Archimede ne deduce la legge della spinta idrostatica che spiega i galleggiamenti: “ I corpi solidi più leggeri del liquido, immersi a forza nel liquido, vengono rinviati verso l’alto con una forza tale quale è la differenza di cui il peso del liquido, che ha lo stesso volume della grandezza solida, supera il peso della grandezza solida. Se la figura che è più leggera del liquido viene abbandonata nel liquido in modo che la sua base resti totalmente immersa nel liquido, la figura si disporrà dritta in modo che il suo asse sia lungo la verticale.”2 Meditando i testi archimedei, Galilei, giovane lettore di matematica, cercò di elaborare una teoria del moto dei gravi e dei leggeri che si fondasse completamente ed esclusivamente su ragioni archimedee. La sua idea centrale fu quella di negare l’esistenza di una leggerezza positiva, cioè di un principio interno che spingerebbe l’aria e il fuoco a salire verso l’altro. Unica e sola causa del moto naturale è la gravità. Contrariamente alla tesi aristotelica, il moto verso l’alto dei corpi leggeri si deve spiegare per mezzo del principio di Archimede. Il mezzo che è più pesante del corpo immerso anche se fosse fluido, lo fa salire. Il moto dei corpi in un mezzo avviene perché il mezzo li estrude. A partire dal 1630, arrivato a Roma, dove studia sotto la direzione di P. Benedetto Castelli, il primo discepolo di Galilei Evangelista Torricelli ha seguito il percorso dei pensieri archimedei di Galilei. Nelle Lezioni Accademiche, Torricelli proporrà questa allegoria suggestiva: “Le Nereidi stabilirono un giorno di voler comporre una somma di Filosofia. Aprirono la loro Accademia colà nei profondissimi fondi dell’Oceano del Sud. Cominciarono poi a scrivere i dogmi della fisica, conforme facciamo ancor noi abitatori dell’aria delle scuole nostre. Vedevano queste Ninfe curiosi che parte delle materie praticate discendevano nell’acqua abitata da loro, e parte ascendeva. Però subito senza stare a pensare ciò che potesse seguire negli altri elementi conclusero, che delle cose alcune sono gravi, cioè terra, pietra, metalli, e simili, poiché nel mare discendono; ma alcune son

1 Opere di Archimede, a cura di Attilio Frajese, U.T.E.T. 1974, Cf. I Galleggianti, 525-552 2 ibidem, p.531

8 leggere, come aria, sugheri, cera, olio e un gran parte dei legnami, perché salgono dentro l’acqua. Se elle procedessero temerariamente, o no, seguitando la semplice scorta del senso, senza correggerlo con l’uso della ragione io non lo so: so bene, che potrebbero difendere la causa loro con l’esempio riverito di Filosofi venerabili. Io fabbricando poi chimere tra me stesso mi accorsi, che era comportabile l’errore d’inconsiderazione commesso da quelle fanciulle marine, le quali pronunziarono per leggere molte cose da noi tenute per gravi.”1 Restava la domanda: l’aria nel suo elemento, cioè nell’aria e nell’atmosfera ha un peso? Galilei non si fermò all’assunto teorico della ponderabilità dell’aria, bensì intraprese la pesata dell’aria. La bilancetta che aveva inventato nel 1586 serviva a determinare le proporzioni dei pesi specifici dei metalli e delle gioie pesati nell’aria e nell’acqua, e quindi poteva anche determinare la proporzione della densità dell’aria e dell’acqua. Più tardi in una lettera del 1613 a Tolomeo Nozzolini, Galilei riferisce una dimostrazione sperimentale della pesantezza dell’aria contenuta in un recipiente di vetro2. Abbandonerà questa via della dilatazione termica per evitare l’indeterminazione che avrebbe potuto risultare dall’esalazione ignea penetrante nella porosità del vetro. Torna sull’argomento nel 1614, comunicando all’ingegnere genovese Giovan Battista Baliani 3 modi per pesare l’aria, “o almeno quanto l’aria pesa rispetto all’acqua.” Galilei arrotondava il rapporto a 400 volte meno, mentre aveva indicato precedentemente 460 meno. Il rapporto oggi noto è di 773 volte meno “su condizioni normali”. Era difficile attendere una migliore esattezza dai mezzi impiegati, tanto più che non si aveva ancora un’idea precisa della notevole comprimibilità dell’aria, in confronto alla pratica incomprimibilità dell’acqua. Comunque le condizioni storiche dalle quali sarebbe uscita la scoperta di Torricelli erano mature. Che cosa l’ha ostacolata e ritardata? La mancanza di una prima meccanica razionale dei mezzi continui, disponendo della nozione chiara di pressione in seno ad una massa fluida (acqua o aria). L’Antichità e il Medioevo avevano considerato distintamente e separatamente il peso e la pressione. Certo, un corpo rigido preme sulla superficie di appoggio che lo sostiene. Al peso corrisponde una pressione unidirezionale dall’alto verso il basso. Le ragioni archimedee non ebbero il sopravvento immediato su quelle aristoteliche, sicché contaminazioni tra le due tradizioni potevano aver luogo. Francesco Buonamici (1592-1603), che fu il maestro di Galilei a Pisa, dà l’esempio nella visione aristotelica del mondo di alcuni motivi e risultati della matematica archimedea. Conserva sia la distinzione dei quattro elementi in ponderabili (terra, acqua) ed imponderabili (aria, fuoco); sia la dottrina dei luoghi naturali verso le quali tendono gli elementi, a seconda della loro rispettiva natura. Ne ricavava una duplice conclusione: la vera causa dei galleggiamenti è l’equilibrio tra le due tendenze interne dei corpi: la leggerezza e la gravità degli elementi che costituiscono il corpo; l’acqua non pesa nell’acqua, né l’aria nell’aria, giacché l’elemento occupa il suo luogo naturale. Queste contaminazioni sono ben illustrate nelle discussioni del Discorso intorno alle cose che stanno in sù l’acqua (1615). Il nesso tra peso e pressione, già implicitamente presente nella spinta idrostatica che si esercita sui corpi immersi, sarà generalizzato o chiarito quando si stabilirà il legame tra

1 Torricelli, Quinta Lezione Accademica “della Leggerezza”, op. cit., p. 583 2 I riferimenti ai testi di Galilei saranno dati all’Edizione Nazionale (E.N.) di A. Favare . Cf. vol XI p.

9 stato solido e stato fluido: mentre un corpo solido trasmette una forza in una sola direzione, un fluido (liquido o gas) trasmette una forza in tutte le direzioni. Toccherà a Pascal formulare l’assioma comune all’aerostatica e all’idrostatica: in un fluido in quiete la pressione si trasmette ugualmente in tutte le direzioni1. Per quale via si giungerà a risultati sulla distribuzione delle pressioni in un fluido? Le pompe sono strumenti che, per mezzo di un pistone, producono una pressione su un fluido. Hanno una duplice funzione: come pompe respingenti e come pompe aspiranti. La riflessione di Galilei sul funzionamento delle pompe l’aiutò a imboccare la via giusta e a riformare i suoi pensieri sull’ “horror vacui”. Parte da una osservazione che aveva attirato la sua attenzione fin dagli anni padovani 1593-1594: l’impossibilità di sollevare l’acqua al di sopra di 18 braccia, che gli era apparsa quando ideò il progetto di una pompa per il sollevamento dell’acqua. Tornerà sull’argomento intorno al 1630, quando sarà consultato a questo proposito dal Baliani. Si era ormai convinto dell’ ”altezza limitatissima” dell’acqua sollevata nel corpo di una pompa aspirante2. Comunque, Galilei aveva definitivamente abbandonato l’idea che il vuoto fosse una impossibilità logica perché l’attributo fondamentale di un corpo è l’estensione e il vuoto non può avere dimensione. Galilei obietta all’impossibilità logica del vuoto la considerazione seguente: “se il vacuo non può conoscersi con l’intelletto, giacché nulla sta nell’intelletto che non sia stato nel senso. Allora come avete fatto voi a sapere che non vi dia?”3 Galilei preferisce spiegare le difficoltà fisiche di produrre un vuoto, da una parte per mezzo di fenomeni di aderenza nella superficie liscia di contatto fra due corpi; l’esempio è dato dalla difficoltà di separare due lastre sovrapposte oppure di aprire un soffietto sgonfiato, dall’altra parte a causa della coesione delle parti di un medesimo corpo: l’acqua, aspirata, sale fino a un’altezza determinata; non si può aspirare l’acqua oltre questa altezza, senza che crolli la colonna. Ma durante il periodo delle conversazioni con Torricelli, entrambi si accorsero della perfetta reciprocità delle pompe aspiranti e delle pompe respingenti. Tutti i fenomeni idraulici e pneumatici spiegabili con l’aspirazione possono altrettanto spiegarsi con una spinta. Mentre una aspirazione è l’effetto di una depressione, una spinta è l’effetto di una sovrapressione. Una pressione è una forza che può esercitarsi in qualunque direzione in due sensi opposti. Quando due pressioni uguali si oppongono in sensi opposti, si annullano, mantenendo in equilibrio il corpo al quale sono applicate. Così si apriva il varco alla concezione della pressione atmosferica, in quanto effetto del peso dell’aria nell’atmosfera.

Seconda parte: l’invenzione del tubo torricelliano. Il suo primo uso tecnico come altimetro. A conferma di quanto appena esposto leggiamo nella lettera di Torricelli a Ricci: “Molti hanno detto, che il vacuo non si dia, altri che si dia, ma con ripugnanza della Natura, e con fatica; non so già, che alcuno abbia detto, che si dia senza fatica, e senza

1 Pascal, Oenvres complètes, prèsentation et notes de Louis Lafuma, Paris, Edition du Seuil, 1963. Traité de l’ équilibre de liqueurs et de la pesanteur de la masse de l’air , op. cit., p. 238. Hunter Rouse and Simon Ince, History of Hydraulics, State University of Iowa, 1957, pp.76- 79 2 Sulla colonna d’acqua di 18 braccia si veda Discorsi e Dimostrazioni ..., E. N. VIII, 64/65; nell’edizione Carugo 28-30 3 Galilei, E. N. III A, 350

10 resistenza della Natura. Io discoreva così: se trovassi una causa manifestissima dalla quale derivi quella resistenza, che si sente nel voler fare il vacuo, indarno mi pare si cercherebbe di attribuire al vacuo quella operazione che deriva apertamente da altra cagione, anzi che facendo certi calcoli facilissimi, io trovo che la causa da me addotta (cioè il peso dell’aria) dovrebbe per sé sola far maggior contrasto, che ella non fa nel tentarsi il vacuo. Dico ciò perché qualche Filosofo vedendo di non poter fuggire questa confessione che la gravità dell’aria cagioni la repugnanza, che si sente nel fare il vacuo, non dicesse di concedere l’operazione del peso aereo, ma persistesse nell’osservare che anche la Natura concorre a repugnare al vacuo. Noi viviamo sommersi nel fondo di un pelago d’aria elementare, la quale per esperienze indubitate si sa che pesa, e tanto, che questa grossissima vicina alla superficie terrena, pesa circa la quattrocentesima parte del peso dell’acqua. Quel peso scritto da Galileo, s’intende dell’aria bassissima dove praticano gli uomini e gli animali, ma che sopra le cime degli alti monti, l’aria comincia ad essere purissima, e di molto minor peso che la quattrocentesima parte del peso dell’acqua.”1 Benché Galilei non accenni nei Discorsi e Dimostrazioni matematiche del 1638 alla problematica, quasi sicuramente Galilei e Torricelli ne discussero, sulla base della lettera del 24 ottobre nella quale il Baliani aveva esposto le sue conclusioni: sull’esistenza di ciò che più tardi fu chiamato “vuoto barometrico”; sulla spinta esercitata dai fluidi (liquidi e gassosi) in tutte le direzioni; sulla misura della pressione atmosferica equivalente al peso della colonna d’acqua o d’altro liquido. Torricelli sembra riprendere i termini del Baliani: “lo stesso mi è avviso che ci avvenga a noi nell’aria, che siamo nel fondo della sua immensità né sentiamo né il suo peso che la compressione che ci fa da ogni parte, perché il nostro corpo è stato fatto da Dio di tal qualità, che possa benissimo resistere a questa compressione senza sentirne offesa, anzi che ci è per avventura necessario, né senza di lei si potrebbe stare nel vuoto, ma si fossimo nel vacuo all’hora si sentirebbe il peso dell’aria che havessimo sopra il capo, il quale io credo grandissimo... chi volessi ritrovar questa proporzione, converrebbe che si sapessi l’altezza dell’aria e il suo peso in qualunque altezza. Ma comunque sia, io veramente lo giudicavo per tale che per causar vacuo io credeva che vi richiedesse maggior violenza di quella che può far l’acqua nel canale non più lungo di 80 piedi.”2 Appena l’anno dopo la pubblicazione dei Discorsi e Dimostrazioni matematiche Gasparo Berti ed Evangelista Torricelli, due allievi di Benedetto Castelli, intrapresero esperimenti a Roma, per verificare le affermazioni di Galilei relative al limite dell’aspirazione dell’acqua e per indagare la natura del fluido oppure del vuoto che rimaneva al di sopra della colonna d’acqua. Berti aveva costruito un apparecchio costituito da una condotta d’acqua convenientemente alta. Torricelli ebbe la geniale idea di sostituire il mercurio all’acqua: l’apparecchiatura diventava così molto meno ingombrante e più precisa. L’esperimento torricelliano consiste nel riempire di mercurio un tubo e nel capovolgere il tubo, la cui estremità aperta è immersa in una vaschetta anch’essa riempita di mercurio. Nel tubo drizzato nella vaschetta si vede la colonnina di mercurio abbassarsi a “un braccio, e un quarto, e un dito in più” (76 cm). Il Torricelli confidò il suo pensiero al suo

1 Torricelli, op. cit. 657-658 2 ibidem, 658

11 amico Vincenzo Viviani, il quale fu accolto presso Galilei in Arcetri nei primi mesi del 1639. Procurò al Torricelli il mercurio e fabbricò lo strumento a cannello e vaschetta. L’esperimento torricelliano equivale ad una pesata d’aria: la colonna di mercurio sormontata nel cannello da uno spazio vuoto fa da contrappeso ad una colonna d’aria di medesima sezione dalla parte bassa alla parte alta dell’atmosfera. Fu così stabilito dal Torricelli che il valore della pressione atmosferica vale: hp = 76x13,59 = 1.033 g/cm2 = 1,033 Kg/cm2 essendo 13,59 il peso specifico del mercurio. L’interpretazione è esatta. Merita però di essere segnalato che l’esperimento del tubo torricelliano illustra un caso particolare del “paradosso idrostatico” discusso in quegli anni. Poco importa l’area della sezione della colonna barometrica, l’altezza che misura la pressione atmosferica resta la stessa perché ne è indipendente. Pascal, che analizza chiarissimamente questo paradosso, mostra come si conciliano perfettamente questi due principi dell’idrostatica: in un punto di un liquido la pressione agisce ugualmente in tutte le direzioni; i fluidi pesano secondo la loro altezza.1 Il corollario è che le superfici isobariche dell’acqua e dell’aria in quiete sono piani paralleli all’orizzonte. Chiamiamo “superficie isobarica” l’insieme dei punti che hanno la stessa pressione. La cosiddetta superficie libera di contatto del liquido con l’esterno ha costantemente la stessa forma quando il liquido è fermo. Se il liquido è soggetto soltanto alla forza di gravità, tale superficie è piana e orizzontale, qualunque sia la forma e la posizione del recipiente. Il primo uso tecnico del tubo torricelliano è stato altimetrico, ossia è servito per determinare l’altezza di una località. Già nella prima lettera a Michelangelo Ricci dell’11 giugno 1644, Evangelista Torricelli accenna a questa prospettiva: “Noi viviamo sommersi nel fondo d’un pelago d’aria elementare, la quale per esperienze indubitate si sa che pesa, e tanto, che questa grossissima vicino alla superficie terrena pesa circa la quattrocentesima parte del peso dell’acqua. Gli Autori poi de’ Crepuscoli hanno osservato che l’aria vaporosa e visibile si alza sopra di noi intorno a cinquanta, ovvero cinquanta quattro miglia, ma io non credo tanto, perché mostrerei che il vacuo dovrebbe far molto maggior resistenza, che non fa se bene vi è per loro il ripiego, che quel peso scritto da Galileo s’intenda dall’aria bassissima dove praticano gli uomini e gli animali, ma che sopra le cime degli alti monti, l’aria cominci ad esser purissima e di molto minor peso che la quattrocentesima parte del peso dell’acqua.”2 Le misure altimetriche diventarono uno dei temi favoriti della sperimentazione, in particolare nell’Accademia dei Cimento. Una delle prime e più clamorose fu fatta su suggerimento di Descartes, a cura di Pascal che ne affidò l’esecuzione al cognato Florin Périer. Questi compì la “grande expérience” il 19 settembre sulla montagna il “Puy de Dôme” alta 1465m, nelle vicinanze di Clermont-Ferrand, città situata a 449 m di altezza. Florin Périer mandò al cognato una minuziosa relazione il 22 settembre 1648. Pascal trascrisse la relazione e diede i risultati ottenuti sotto forma di tavole nel suo Trattato della Pesantezza della Massa dell’Aria (pubblicato nel 1663)3.

1 Pascal, op. cit., p.236 2 Torricelli, op. cit., 658 3 Pascal, op. cit. 261-263

12 Per eliminare le incertezze delle misure altimetriche, si operano sempre due misure altimetriche, l’una in una località il cui livello è già noto e l’altra nella località di cui si cerca di determinare l’altezza. Florin Périer, alla partenza della sua spedizione, aveva disposto un tubo torricelliano nel convento dei Minimi di Clermont-Ferrand, che servì di riferimento continuo durante tutta la giornata, malgrado il tempo incostante. La colonna di mercurio variò poco dall’altezza di 26 pollici, 3 linee e mezzo (76,39 cm). In cima al Puy de Dôme, a 500 tese al di sopra della città (1056 m), la pressione atmosferica si era abbassata a 23 pollici 2 linee (a quasi 64 cm). La sensibilità delle misure altimetriche suscitò una grande meraviglia. All’indomani dell’ascensione nel Puy de Dôme, Florin Périer ripeté le misure altimetriche dall’alto della torre della Cattedrale di Clermont: rispetto al suo piede la differenza di pressione rilevata era di 6,35 mm per 40 m; rispetto al giardino del convento dei Minimi, 7,93 mm per 54 m. Allo stesso tempo tuttavia le misure altimetriche soffrivano di relativa imprecisione. I mutamenti delle condizioni meteorologiche potevano diminuire la loro attendibilità e provocare errori di alcune decine di metri. Ci si era convinti della necessità di correzioni dovute alle temperature già prima della costruzione dei primi termometri1. La misura dell’altezza di una località sulla base della pressione atmosferica dovuta alla pesantezza dell’aria è fondamentalmente una operazione aerostatica, la quale è affidabile a condizione che l’atmosfera sia in quiete. Allora le superfici isobariche sono orizzontali. Nell’aria messa in movimento da diseguaglianze termiche locali, i venti hanno una componente verticale, perché le superfici isobariche non sono più orizzontali ma oblique. Le misure altimetriche, pur nel loro carattere approssimativo, hanno contribuito a rinnovare la conoscenza dell’atmosfera. Persino nel corso della rivoluzione copernicana l’idea di “atmosfera” rimaneva assai vaga ed indeterminata. Dopo la misura della pressione atmosferica, emerse la domanda alla quale accenna il Torricelli: esiste un confine superiore all’atmosfera terrestre?

Terza parte: i primi passi verso la teoria dei venti: il tubo torricelliano diventa “barometro”

La parola “barometro” apparirà 25 anni all’incirca dopo l’invenzione del tubo torricelliano. La troviamo per la prima volta nella lista di strumenti compilata dall’astronomo Adrien Auzout (1622-1691), in preparazione di una spedizione in Madagascar organizzata dall’Accademia delle Scienze di Parigi. Auzout menziona: “15 o 20 libbre di vivo argento tanto per fabbricare barometri quanto per fare altre esperienze ed osservare di quanto si sale rispetto al luogo da cui si parte, e pure di tutte le località attraversate.”2 Viene confermato che l’uso altimetrico del tubo torricelliano fu il primo ad essere praticato e diffuso. Restava, tuttavia, l’enigma delle connessioni tra i mutamenti delle condizioni meteorologiche e le variazioni della pressione atmosferica. Nei nostri barometri domestici il tubo è sormontato da un quadrante, sul quale si sposta un ago collegato ad un indicatore

1 W. E. Knowles Middleton, in The History of the Barometer dedica la sezione (VIII, 5, pp. 176-184) alle correzioni del barometro dovute alla temperatura 2 Citato da N. E. Knowles Middleton, nella sua monumentale “The History of the Barometer”, The Johns Hopkins Press, Baltimore, 1964, p. 598

13 galleggiante sulla colonna di mercurio. Sull’orlo del quadrante leggiamo le indicazioni: “vento-vento forte-tempesta”, che corrispondono agli abbassamenti di pressione; e dalla parte opposta, “sereno-bel tempo” in corrispondenza con gli aumenti di pressione. L’Antichità e il Medioevo non disponevano di una scienza dei venti, anche se avevano accumulato un sapere empirico sui diversi venti. I geografi avevano descritto i principali venti che soffiano in differenti località e avevano raccolto le loro informazioni in carte nautiche (i “portolani” con la rosa dei venti). Mancava, invece, una spiegazione dell’origine dei venti. Torricelli dedica la settima delle sue Lezioni Accademiche al vento. La inizia con questa dichiarazione: “La Natura (...) fra le cose sue più nascoste e più impenetrabili, non mi pare che alcuna ve n’abbia occultata con maggior segretezza che quell’accidente dell’aria, il quale con nome “il vento” comunemente si appella. (...) Ma del vento invisibile per se stesso, qual cognizione avremmo noi se per la moltitudine de gl’effetti non si palesasse? Il gonfiarsi delle vele, l’ondeggiar delle biade, lo scuotersi delle piante, il sollevarsi della polvere, e tanti altri accidenti, sono indizi manifesti di un parto della natura invisibile, prodotto, non meno per accecar gli occhi dell’intelletto, che quei del corpo. Ora se la natura quasi con ogni studio procurò di occultare il vento ugualmente al senso e all’intelletto, non sarà maraviglia, se io pieno di confusione comparisco oggi in questo luogo a pubblicar quella ignoranza.”1 Questa conferenza di Torricelli dà un eccellente esempio di “dotta ignoranza”. Egli rileva tutte le incoerenze delle opinioni tradizionalmente sostenute sull’origine dei venti. La meteorologia aristotelica era un capitolo della cosmologia dei quattro elementi. Due idee dominavano in questo quadro la problematica della formazione dei venti: l’affinità dell’elemento acqua e dell’elemento aria, attestata dalla frequente associazione della pioggia e del vento; le trasmutazioni di un elemento in un altro, in particolare della condensazione dell’aria nelle nuvole.2 Torricelli svolge un'esercitazione più dialettica che propriamente scientifica ma con la massima coerenza. Comincia con il rilevare che “Ci sono venti che spontaneamente nascono senza che pioggia alcuna gli sia preceduta.”3 Oltre alla mancanza di generalità delle spiegazioni troppo legate ad osservazioni locali. Torricelli sottolinea la principale incoerenza che invalida l’idea di trasmutazione dell’acqua piovana in aria ventosa: essa non rispetta i rapporti ponderali deducibili dal peso dell’aria relativamente al peso dell’acqua. “I Filosofi antichi si pensavano che una mole d’acqua se per sorte si convertiva in aria si distendesse dieci volte più, e dieci volte maggior luogo occupasse. I Moderni più curiosi, ed anco più diligenti hanno con industriose esperienze ritrovato che una mole d’acqua, se si converte in aria, non altrimenti dieci ma 400 volte maggior mole diventa.Ora stante questo principio proveremo che non solo una pioggia, ma né anco un Oceano intiero di pioggia sarebbe atto a somministrar materia sufficiente per un vento gagliardo, il quale per otto ovvero dieci giorni si faccia continuamente sentire.”4

1 Torricelli, La Settima Lezione Accademica, “Del Vento”, op. cit., 598 2 Aristotele, I Meteorologici in 4 libri; libro I, capitolo 12 “Teoria dei venti, dei fiumi e delle sorgenti”; per i venti, cf. 349 a IV 349-52 3 Torricelli, Settima Lezione..., op. cit. 600 4 ibidem, p. 601

14 Continua senza procedere per via di definizione, via malagevole e sconsigliabile per chi intende indagare un oggetto così evanescente e incircoscrivibile com’è il vento. Usa espressione “tanta affluenza d’aria velocitata”1 per designarlo. L’espressione torricelliana conserva ancora tutta la genericità dell’espressione aristotelica nei Meteorologici2 di “aria agitata”. Ciò nonostante rinnova il modo di porre il problema della formazione del vento. Ne fa un problema di meccanica dei mezzi continui che segna la transizione dell’aerostatica all’aerodinamica. Questo passaggio fu consentito al Torricelli dalla sua comprensione della pressione atmosferica in due punti essenziali: l’aria ha un peso che costituisce il fattore determinante di una pressione interna all’atmosfera3; la caratteristica di una pressione interna è di essere omnidirezionale. Torricelli può dunque dedurre la concezione generale del vento come la corrente di un’aria di maggiore pressione verso un’aria di minore pressione. Entro i limiti delle sue cognizioni fisiche, egli aveva raggiunto l’obiettivo che si era fissato: “aver incontrato la vera ragione dell’origine de’venti , se col medesimo principio la causa e la necessità di tutti egualmente si dimostrasse? Questo principio altro non è che quel notissimo e vulgatissimo della condensazione e rarefazione dell’aria.”4 Torricelli getta le basi della “meccanicizzazione” dei venti, grazie alla reinterpretazione delle qualità sensibili dei quattro elementi – le due coppie “caldo-freddo”, “secco-umido” -, in proprietà meccaniche della fluidità contrapposta alla solidità.5 Torricelli, discepolo di Galilei, specifica la natura di ciascuno dei venti tramite la determinazione della sua direzione; la misura dell’intensità della sua velocità, la quale è proporzionale alla differenza fra la pressione alta e la pressione bassa. La sua “dotta ignoranza” gli permette, tuttavia, di cogliere le questioni lasciate aperte che forniranno gli argomenti delle ulteriori ricerche. Infatti le caratteristiche fisiche che accompagnano i venti erano state lasciate da parte. Da dove provengono le differenze di pressione da un luogo o un altro, indipendentemente dall’altezza dei posti osservati? Torricelli non trascurava quanto di essenziale contenevano le osservazioni antiche. “Se è pur vero l’opinione del Filosofo che per la generazione del vento, siano ugualmente necessari il calore e l’umidità.”6

1 ibidem, p. 606 2 Aristotele, I Meteorologici, I, 13, 349 e 16-17 3 Lecombard Euler, in tre comunicazioni negli Atti dell’Accademia di Berlino (1755) elaborò: il concetto di fluidità in quanto assenza di resistenza a qualsiasi forza di taglio; e il concetto di “pressione interna” da non confondersi con la pressione esterna studiata da Stevin 4 Torricelli, Settima Lezione..., op. cit. 603 5 Aristotele, De Generatione et Corruptione I, 10, cf. Hans Strohm, Untersuchunger zur Entwicklungsgeschichte der Aristotelischen Meteorologie, Lacipzig, 1935 6 Torricelli, Settima Lezione..., op. cit. 600

15 Il barometro è uno strumento locale. I processi aerodinamici operanti nella formazione dei venti richiedono una osservazione “sinottica” estesa a tempi e luoghi diversi. Due progressi allargarono i rilevamenti barometrici all’osservazione delle variazioni meteorologiche: il primo fu costituito dalla migliore conoscenza della terza proprietà dell’aria dopo le due prime già note, il peso e la pressione: l’elasticità. L’invenzione della pompa pneumatica ad opera di Otto von Guericke, nel 1661, condusse presto alla scoperta della legge di Boyle (1627-1691) Mariotte (1620-1684): “ volume e pressione di un gas sono inversamente proporzionali.”1 Più che una legge fisica, questo enunciato rappresenta la definizione implicita della perfetta compressibilità e corrisponde alla scoperta dell’elasticità quasi perfetta dell’aria, sia in compressione sia in espansione, nelle normali condizioni di temperatura. Boyle aveva anche notato che il riscaldamento aumenta la pressione di un gas racchiuso in un dato volume, senza però trarne conseguenze; il secondo fatto, altrettanto decisivo per la meteorologia, è costituito dalle prime indagini metodiche relative all’evaporazione. Furono condotte da Edmond Halley (1656-1742), l’astronomo inglese contemporaneo di Isaac Newton. Rimase sorpreso dalle sue prime osservazioni dell’evaporazione2: 1. quando il cielo è chiaro, avviene una forte condensazione di vapor acqueo; 2. durante le notti, l’atmosfera si rinfresca; una parte dell’umidità si trasforma in rugiada; 3. l’aria calda sopporta un maggior tenore di umidità dell’aria fredda. Il fatto più rilevante dello studio dell’evaporazione fu la scoperta della natura e delle proprietà fisiche del vapor acqueo, ben diverse da quelle dell’aria in quanto pochissimo comprimibile ed elastico e con un comportamento fisico differente rispetto alla pressione. Finora non si erano distinti i vari aeroformi; ormai la chiara distinzione dell’aria e del vapor acqueo rinnova la conoscenza fisica dell’atmosfera terrestre. Lo studio sperimentale dell’evaporazione condotto da Halley stabilì che il fattore climatico più determinante delle variazioni meteorologiche in un dato territorio è la sua distanza media da acque marine. Bisognerà aspettare i primi decenni del Settecento perché l’associazione del barometro con il termometro, dopo l’istituzione delle scale termometriche, diventi la strumentazione basilare delle osservazioni meteorologiche. Dalla meccanica dei venti si è passato infine alla fisica dell’atmosfera.

1 E. J. Dijksterhuis. “Il meccanicismo e l’immagine del mondo dai Presocratici a Newton”, vers. It. di Adriano Carugo, Milano, Feltrinelli, 1971 Cf. IV, 279-280: Robert Boyle (1627-1690). Opere di Robert Boyle vers. ital. a cura di Clelia Dighetti, U.T.E.T., 1977. Boyle pubblicò nel 1660 il suo primo trattato fisico sull’elasticità dell’aria: “New Experiments Phisico-Mechanicall touching the Spring of the Air, and its Effects. Boyle enunciò per la prima volta la legge che porta il suo nome, associato anche a quello di Mariotte, allo scopo di rispondere alle critiche del gesuita Linus Francis Hall nello scritto A defence of the Doctrine touching the Spring and the Weight of the Air. Boyle non attribuisce alla sua legge l’importanza ricevuta più tardi, cioè la prima relazione quantitativa stabilita nel campo della fisica dei gas 2 Asit K. Biswas History of Hydrology, North-Holland Publishing Company, 1970. Cf. Edmund Halley, 16-166, 207-208, 221-229

16 Si può attribuire, senza anacronismo, a Torricelli il merito di aver aperto la strada alla fondazione della scienza meteorologica? Torricelli termina le ultime pagine della sua Lezione accademica sul vento con l’esposizione di un nuovo concetto, quello di “circolazione generale dell’atmosfera”. Vi leggiamo: “Il vento sarebbe una circolazione, la quale non iscorrerebbe sopra più che ad una parte terminata della terra: e tanto durerebbe l’effetto della circolazione predetta quanto durasse la causa, cioè quel freddo d’una provincia, maggior che non dovrebbe essere in paragone di quello dei luoghi circonvicini. CIRCOLAZIONE la chiamo poi che nella parte superiore tutto il moto dell’aria concorre verso il centro della Provincia più del dovere raffreddata. Quivi poi sentendo quel medesimo freddo accidentale si condensa, s’aggrava e discende a terra: ove non reggendosi scorre da tutte le parti, e cagiona su la superficie del terreno un vento contrario a quello delle regioni sublimi. Che questa CIRCOLAZIONE non sia sogno chimerico ma effetto reale può quasi dimostrarsi.”1

Conclusioni W. E. Knowles Middleton nella sua monumentale Storia del Barometro2 antepone alla sua esposizione la citazione dedicatoria: “la scoperta del barometro (...) fece l’aspetto della fisica, come il telescopio quello dell’astronomia, la circolazione del sangue quello della medicina, la pila del Volta quello della fisica molecolare.”3 Gli ultimi mesi della vita di Galilei furono impegnati nella ricerca della soluzione di due problemi di misura: il primo: l’applicazione delle oscillazioni pendolari agli orologi per misurare il tempo; il secondo: l’applicazione del tubo torricelliano per misurare le variazioni della pressione atmosferica. Possiamo ragionevolmente supporre che Galilei abbia avuto con Torricelli conversazioni sulla questione della pressione atmosferica e sull’invenzione del tubo barometrico? Dobbiamo purtroppo ammettere che non disponiamo di prove documentarie relative al secondo problema, a differenza di quanto riguarda il primo. Infatti il giovane Vincenzo Viviani, della più ristretta cerchia dei discepoli di Galilei, giunse nell’ottobre del 1639 ad Arcetri, nel momento in cui il Maestro era sopraffatto dalle infermità e incomodità di salute. Il principe Leopoldo de’ Medici, fondatore dell’Accademia del Cimento gli ordinò una relazione intorno all’applicazione del pendolo all’orologio. “Viviani gliela consegnò in data del 20 agosto 1659.”4 Sempre per incarico del Principe Leopoldo scrisse il Racconto Istorico della Vita del Sig. Galileo Galilei5.

1 Torricelli, Settima Lezione..., op. cit., 604 2 W. E. Knowles Middleton, op. cit 3 Si tratta di una citazione presa da Vincenzo Antinori, nelle sue Notizie istoriche relative all’Accademia del Cimento, (Firenze, 1841). Middleton ha scritto The Experimenters, A Study of the Accademia del Cimento, The John Hopkins Press, 1971 4 Edizione Nazionale (cf. nota 8), vol. XIX, 648-659. Cfr. Bedini. The pulse of time, Olsenky, Firenze 5 E. N., XIX, 599-632

17 Perché il Racconto non accenna a discussioni sulla pressione atmosferica nell’ultimo anno della vita di Galilei? Indizi rendono plausibile che ebbero luogo. Da una lettera di Pier Francesco Renuccini a Leopoldo de’ Medici, siamo informati che Galilei, ormai prossimo alla fine, aveva “grandissima soddisfazione” nell’ascoltare le “dispute fisiche” del Torricelli con il giovane discepolo Viviani. L’allusione non è riferita esplicitamente al nostro argomento. Tuttavia rileviamo che Vincenzo Viviani collaborò con il Torricelli alla realizzazione dei primi esperimenti con il tubo riempito di argento vivo. Alla morte di costui nel 1647 ebbe in sorte di succedergli quale “filosofo e matematico del granduca di Toscana.” Fu inoltre membro dell’Accademia del Cimento fin dall’anno della fondazione (1657). In questa Accademia si proseguì un’intensa opera di sperimentazione che da almeno sedici anni si svolgeva alla corte di Toscana per lo stimolo ricevuto dal Granduca Ferdinando II. I lavori durarono dal 1657 al 1667. Non ci fu dunque discontinuità dopo la fine della vita di Galilei nel compimento del programma dovuto alle sue idee. Lorenzo Magalotti diede resoconto dei lavori dell’Accademia del Cimento nei Saggi di Naturali Esperienze1. Le esperienze sulla pressione dell’aria e sul vuoto, sul congelamento dei liquidi, nonché sugli effetti del caldo e del freddo circa la capacità dei vasi vi tengono un posto di grande rilievo. “ E’ nota oramai per ogni parte d’Europa quella famosa esperienza dell’argento vivo, che l’anno 1643 si parò davanti al grande intelletto del Torricelli, e noto parimenti è l’alto e maraviglioso pensiero ch’egli formò di essa, quand’ei ne prese a specular la ragione. Questa ei volle dire che fosse l’aria, la quale aggravandosi sopra tutte le cose a lei sottoposte, le costringa a uscire de’ loro luoghi ogni volta ch’ell’abbiano spazio voto in cui rifuggirsi, e particolarmente i liquori per la grande attitudine ch’egli hanno a muoversi.2” Perché Galilei non è menzionato? Nel Racconto Vincenzo Viviani insiste sulle sue indisposizioni: “nel tempo di trenta mesi ch’io vissi di continuo appresso di lui sino alli ultimi giorni della sua vita, essendo egli spessissimo travagliato da acerbissimi dolori nelle membra, che gli toglievano il sonno e ‘l riposo, da un perpetuo bruciore nelle palpebre, che gl’era di insopportabile molestia.”3 A questa prima motivazione si può aggiungere una seconda meno evidente. La misura della pressione atmosferica e le applicazioni barometriche costituivano una questione disputata assai diversa dalla misura del tempo. Mentre la proporzione della lunghezza del pendolo con la durata dei periodi delle oscillazioni si deduce da “ragioni necessarie” della geometria, i fenomeni che accompagnano la pressione atmosferica mettono in giuoco “esperienze sensate”. Lo statuto epistemologico della certezza sperimentale è differente da quello della certezza geometrica e meccanica. “Provando e riprovando” era il motto dell’Accademia dei Cimento. Lorenzo Magalotti lo commenta nel “Proemio a’ lettori” che compose a modo di avvertimento per i Saggi di Naturali Esperienze: “Non vi ha cui meglio rivolgersi che alla fede dell’esperienza, la quale non altrimenti di chi varie gioie sciolte e scommesse cercasse di rimettere ciascuna per ciascuna al suo incastro, così ella adattando effetti a cagioni e cagioni ad effetti, se non di primo lancio come la geometria tanto che provando e riprovando le riesce talora di dar nel segno. Conviene però camminar con molto riguardo che la troppa fede all’esperienza non ci faccia

1 Lorenzo Magalotti, Saggi di Naturali Esperienze, a cura di Teresa Poggi Salani, Milano Longanesi, 1976. Middleton li ha tradotti in inglese 2 op. cit., p.80 3 Viviani, Racconto storico..., E.N. XIX

18 travedere e n’inganni, essendo che alle volte, prima ch’ella ci mostri la verità manifesta dopo levati que’ primi vela delle falsità più palesi, ne fa scorgere certe apparenze ingannevoli ch’hanno sembianza di vero e sì lo somigliano.”1 Se, più di una generazione dopo la morte di Galilei, Geminiano Montanari riprende nel Discorso sul Vacuo (1678) e Le Forze d’ Eolo (1694) per dimostrare risultati ottenuti quarant’anni prima, si capisce il riserbo che trattenne Viviani e Torricelli di attribuire agli ultimi pensieri del Maestro in condizioni malferme conclusioni attendibili ma non ancora definitivamente assodate. Lo stesso Torricelli terminava la sua Lezione Accademica sul Vento con queste parole: “la considerazione de’ venti in questa stagione infiammata, è materia da godersi piuttosto in pratica, che da ventilarsi colla specolazione.”2 Ringrazio Loro per l’ascolto benevolo e paziente che hanno riservato al mio racconto della protostoria della meteorologia e rivolgo al Loro Ufficio Centrale auguri che vorrei georgici per le ricerche e i lavori di ecologia agraria.

1 Lorenzo Magalotti, Proemio, op. cit. p.59 2 Torricelli, Settima Lezione..., p.606

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Padre Angelo Secchi e la meteorologia

Sabino Maffeo, S.J. (Specola Vaticana)

La mia relazione avrà due parti: nella prima tratterò del tema richiesto: "Padre Secchi e la Meteorologia», cercando di dire quanto avrebbe esposto il padre Casanovas 1, col quale ho parlato e del quale ho consultato gli appunti; nella seconda citerò alcuni brani da un carteggio Secchi-Denza, ancora inedito, gentilmente messo a mia disposizione dal Padre Domenico Frigerio, Barnabita del Collegio di Moncalieri (Torino): da esso si ricavano notizie interessanti sia su quanto il Padre Secchi si adoprasse per promuovere la ricerca meteorologica, sia, soprattutto, riguardo al suo stato d’animo negli ultimi anni della sua vita, a causa dell’incertezza in cui venne a trovarsi dopo l’occupazione di Roma del 1870 e dell’atmosfera anticlericale che lo circondava.

I Parte Il Padre Angelo Secchi, come tutti i suoi giovani confratelli gesuiti della provincia Romana, frequentò i corsi del Collegio Romano dove, avendo avuto un ottimo professore di fisica nella persona del Padre Giovanni Battista Pianciani, gli nacque una grande passione per questa materia, tanto che i superiori lo destinarono, dal 1840 al 1844, all’insegnamento della stessa nel nostro collegio-convitto di Loreto. Tornato a Roma per attendere agli studi di teologia, nel 1847, dopo essere stato ordinato sacerdote, dovette, insieme ai suoi confratelli, lasciare l’Italia per ragioni politiche. Dopo aver completato gli studi teologici in Inghilterra, fu destinato a insegnare matematica e fisica nel nostro collegio di Georgetown, a Washington, D.C. Qui, oltre l’amicizia col Padre Curley, direttore di quell’osservatorio astronomico, è importante ricordare la frequentazione che egli ebbe con il capitano Matteo Fontaine Maury, direttore dell’osservatorio navale di Washington, promotore della cosiddetta meteorologia dinamica che, a differenza della meteorologia statica, si occupa dei movimenti dell’atmosfera e studia i metodi più adatti per la previsione del tempo. Il Padre Secchi, come professore di fisica, si dedicò a esperienze di laboratorio riguardanti soprattutto l’elettricità e le sue applicazioni agli orologi e al telegrafo. Approfondì in modo particolare la legge di Ohm, scoperta solo qualche decennio prima. Sono infatti di questo periodo le pubblicazioni: Sugli orologi elettro-magnetici ; Descrizione di un nuovo apparato per trasmettere i segni nei telegrafi elettrici ; Sopra alcune esperienze di reometria elettrica, quest’ultimo pubblicato anche in inglese col titolo: Researches on electrical rheometry, Washington City, 1852. Chiamato nel 1850, a soli 32 anni, a succedere al Padre De Vico nella direzione dell’Osservatorio del Collegio Romano, il Padre Secchi, si occuperà di meteorologia e, soprattutto, di

1 Questo argomento doveva essere trattato dal p. Casanovas, il quale però non ha potuto mantenere l’impegno per ragioni di salute; sono stato quindi pregato di sostituirlo.

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astronomia. È però importante notare come, anche in questi rami principali della sua attività, l’impostazione di fondo e l’impronta che egli dette alla sua ricerca fu sempre quella del fisico. A questa sua passione si deve il fatto che egli si sia occupato dei campi più svariati della fisica: geodesia, spettroscopia stellare, fisica solare, geofisica, meteorologia, idraulica, lasciando in tutti un segno degno di nota. Non è a caso quindi che, per quanto riguarda l’astronomia, il Padre Secchi sia considerato un pioniere, se non il fondatore, dell’astrofisica e che, nel campo della meteorologia si sia occupato di meteorologia dinamica, alla ricerca delle leggi delle burrasche e, in particolare, dei fenomeni connessi con l’elettricità e il magnetismo come: campo magnetico terrestre, correnti telluriche, registrazione a distanza, spettri di aurore boreali e di scariche atmosferiche, nonché di parafulmini; e tutto questo sempre con la preoccupazione tipica del fisico di cercare di ricavare e studiare le correlazioni esistenti tra i fenomeni più disparati, come quelle tra l’attività solare, le correnti telluriche, il campo magnetico terrestre e le aurore boreali. Per mettere in evidenza gli aspetti ora accennati citerò alcuni passi dell’opuscolo«L’Astronomia in Roma nel Pontificato di Pio IX», che Padre Secchi pubblicò nel 1877, un anno prima della sua morte. Ecco quanto egli dice riguardo al passaggio dalla meteorologia statica a quella dinamica sotto l’influenza del capitano Maury: «Ma la meteorologia in questi ultimi anni è entrata in una fase novella; essa non si occupa solo della climatologia, ma della fisica generale dell’atmosfera e delle correnti aeree e del giro delle burrasche. Lo scrivente si trovava in America all’epoca delle grandi scoperte di Maury. Egli vide i suoi metodi, e dalla sua bocca stessa raccolse le sue idee, e fu sua cura informarne al ritorno i suoi compatrioti in una memoria inserita negli annali del Tortolini, Tom. 4. 1853. Circa il medesimo tempo il Maury si recava in Europa, e a Bruxelles faceva una conferenza ove discutevasi un progetto di studi generali sui movimenti dell’atmosfera. Gli Stati non concorrevano ancora ufficialmente, ma progettavasi fin d’allora la coalizione telegrafica per lo studio delle burrasche. All’osservatorio del Collegio Romano si prese parte attiva a questo studio, e nel 1856 si otteneva dal Governo Pontificio l’istituzione di una comunicazione telegrafica quotidiana tra le principali città della Stato, Roma, Ancona, Bologna, Ferrara, che continuò parecchi anni. Intanto il Leverrier veniva organizzando tra varii Stati la corrispondenza meteorologica telegrafica internazionale, e noi non fummo lenti ad aderirvi, e si cominciò fin dal 1857 a lavorarvi intorno. Ogni mattina si spediva a Parigi il telegramma delle osservazioni fatte alle 7 antimeridiane colle altre informazioni richieste, e si continua anche oggidì a spedirlo non solo a Parigi, ma a Firenze e Pietroburgo, oltre alla diffusione dei listini meteorologici nei giornali come si disse §. II. Le osservazioni raccolte dal Leverrier venivano poscia litografate e rinviate così raccolte agli osservatorii. Fu su questi bullettini che all’osservatorio si studiarono da principio le leggi delle burrasche. Avendo noi fatto costruire delle carte mute d’Europa, su di esse si fecero tracciare dal giovane signor Serra-Carpi le curve isobariche ed isotermiche, si riuscì a riconoscere la direzione ben definita che hanno in generale le burrasche ben circoscritte di natura ciclonica, da N-W verso S-E e si riconobbero queste linee di corso così marcate, che quando un «pozzo», ossia una notabile depressione si presentava nella Scozia, essa generalmente veniva difilata sull’Italia impiegando due o tre giorni ad arrivarvi: ma se essa erasi presentata più alta o più bassa, Roma non sentiva che gli effetti indiretti dei suoi contorni. Questi risultati forse contribuirono a fare che simili carte venissero poscia fatte costruire sistematicamente e pubblicate a Parigi dal Leverrier, che con quei mezzi che possiede

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Il meteorografo di Padre Angelo Secchi

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una ricca nazione poté diffonderle, donde nacque la teoria dei preavvisi delle burrasche come ora si usa» (p. 44). E quanto alla correlazione tra i fenomeni: «Durante tali ricerche meteorologiche riconoscemmo la grande importanza delle osservazioni del magnetismo terrestre in relazione colle vicende atmosferiche. Un magnetometro di declinazione era già stato eretto fin dal 1852 nella specola vecchia, che fu trasportato quindi nella nuova, ma l’angustia del sito e la mancanza degli strumenti complementarii non permettevano uno studio esatto di questo ramo di fisica. Cercammo pertanto di compiere questa lacuna in Roma e in Italia tutta, ove allora non esisteva nessun osservatorio magnetico completo» (p. 45). Nell’elenco delle varie osservazioni magnetiche fatte al Collegio Romano, il Padre Secchi cita in particolare: «una lunga serie comparativa delle fluttuazioni magnetiche colle correnti che hanno luogo in un filo telegrafico. Questo era esclusivo servizio dei Sacri Palazzi apostolici tra Roma e Porto d’Anzio, e fu per tale scopo lasciato in libera disponibilità all’osservatorio per molti anni» (p. 46). Fu ancora lo studio delle correlazioni tra fenomeni vari che indusse il Padre Secchi a inventare il suo «Meteorografo»: «In una lunga discussione [di dati] spettante a parecchi anni fu dimostrata la relazione che passa tra le burrasche e le perturbazioni magnetiche. Quest’ultima risultò dal confronto delle curve meteorografiche con quelle degli strumenti magnetici. E in verità lo studio completo tanto della meteorologia che del magnetismo non possono farsi con le sole cifre: per molti problemi la costruzione delle curve diviene indispensabile. Fu perciò che essendo noi riusciti ad inventare nel 1858 una sensibilissima forma di Barometro grafico sul principio della bilancia pesatrice della pressione, cominciò fin d’allora la costruzione delle curve su opportuna macchina, che poscia completata pel resto costituì il meteorografo. I successi avuti da queste prime ricerche furono molto ben ricevuti nella scienza e noi pubblicammo per varii anni al fine del Bull. Meteor. i risultati in figure ridotte col Pantografo del PADRE Mancini. In conseguenza di ciò il S. Padre ordinò che un meteorografo completo fosse costruito ed inviato all’esposizione generale di Parigi nel 1867. Il successo suo fu superiore all’aspettazione e fu coronato l’inventore di un gran premio e con medaglia d’oro di grande dimensione. [...] Essa [macchina] in una faccia disegna le indicazioni della direzione del vento, dell’ora della pioggia, la curva barometrica, quella della velocità del vento e del termografo metallico. Sopra un secondo quadro nella seconda facciata dà in iscala più grande il barometro, il termometro secco e il bagnato per il psicrometro, e l’ora della pioggia, e anche può dare la quantità di essa. Molti risultati di questa macchina sono inseriti nelle Memorie e nel Bullettino dell’Osservatorio mensilmente, quali sono i massimi e minimi barometrici, e la velocità media, e oraria del vento. Ogni quadro contiene una decade e alla fine del mese nello spazio di questo quadro che resta tra una curva meteorologica e l’altra, si disegnano le tre curve delle variazioni magnetiche cioè del Declinometro, del Bifilare e del Verticale. Avendo così su questi quadri a fronte i fenomeni meteorici e i magnetici è stato facile rilevare se fra essi vi era relazione. E questa sorse immediata. Benché la legge di relazione non sia semplice, si provò però che non accade burrasca grande che

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non sia accompagnata da cambiamenti magnetici. Anzi questi possono benissimo servire a prenunziare l’avviso della burrasca stessa. Sono ormai 18 anni che si osserva tale coincidenza, onde non può dirsi esser essa cosa fortuita od accidentale» (p. 46-47). Quanto all’utilità pratica della meteorologia, il Padre Secchi così prosegue: «Se non che la scienza è vana se non è utile, e la meteorologia è fortunatamente di quelle scienze da cui l’umanità può ricever grandi ed utili servigi. È vero che lo scienziato non può impedire la formazione delle burrasche, né variare il regime delle piogge, può però cogli avvisi prevenire molti danni delle tempeste e ciò non solo in terra, ma molto più in mare: e i nostri avvisi delle lontane burrasche hanno più volte impedito de’ disastri a Civitavecchia, e al litorale nostro. Inoltre le piogge sono un elemento che è manifestamente collegato coi lavori agricoli, e le qualità delle coltivazioni possibili in un dato clima; ma principalmente è legato col regime delle fontane che in paesi come i circostanti di Roma interessano i bisogni di tutti. Su questo il meteorologista può dare consigli non ispregevoli in moltissimi casi. Più volte perciò il Santo Padre ordinò al Direttore di ispezionare alcune sorgenti per servizio delle popolazioni e per dar consiglio sulle condutture e gli allacciamenti, onde non mettersi in ispese che riuscissero poi inutili» (p. 48).

II Parte Dal carteggio Secchi-Denza Il Padre Francesco Denza, barnabita, già discepolo del Padre Secchi, era direttore dell’osservatorio meteorologico del Reale Collegio Carlo Alberto di Moncalieri (Torino). Le citazioni che seguono sono tutte prese da lettere di Padre Secchi a Padre Denza. In risposta al Padre Denza che si rammaricava della scarsa pubblicità che veniva data ai lavori del Padre Secchi: 29 febbraio 1864 La ringrazio dei suoi incoraggiamenti...... Poco importa del resto che i miei lavori siano o no apprezzati; a me basta che non si possa dire che nel clero non si fa quanto si fa dagli altri professori insegnanti. Le scoperte poi siano preterìte [trascurate, non pubblicate] o no non me ne curo. Il Padre Denza, che fu tra i primi in Italia a fare misure sistematiche dell’ozono nella bassa atmosfera, chiese consiglio al Padre Secchi il quale gli rispose con molta umiltà: 17 novembre 1865 Credo anch’io che sia meglio fare le osservazioni ozonometriche di 6 in 6 ore, visto l’incommodo da lei dimostrato. Ma io sono poco pratico di questa materia perché non ci vedo ancora chiaro in questo benedetto ozono...... Sulla priorità del servizio meteorologico telegrafico: 9 marzo 1866 La è una gran questione quella di dire chi abbia pel primo indicato il servizio meteorologico telegrafico. - Passioni senza fine si sono mescolate a questa semplice scoperta, che poteva venire in mente a tutti. Se parliamo di un servizio momentaneo eccezionale, molti possono avervi avuto merito - e credo che in America e in Inghilterra si sia fatto prima che in Europa. A desiderarlo e proporlo molti più! In Italia e in Europa sono stato io, il primo, ad

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Iscrizione rinvenuta su una parete durante il restauro della Biblioteca dell'UCEA

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effettuarlo tra Roma, Bologna, Ferrara ed Ancona, ma altri l’avea già progettato. Ma queste idee, chi e in quanti cervelli sono fiorite: meglio è che ognuno si faccia valere i suoi titoli e io non mi scalderò molto perché ho documenti sicuri di quel che ho fatto; che cosa siasi fatto prima lo lascio agli altri. PADRE Secchi comunica al Padre Denza di aver trovato il modo di osservare contemporaneamente lo spettro del sole e quello delle protuberanze: 14 agosto 1871 Ho fatto oggi una bella scoperta. Ho trovato il modo con cui vedere il sole e il suo spettro simultaneamente con quello delle protuberanze in modo da poter misurare l’altezza di queste, e la distanza del loro vertice dal lembo solare. Non le posso dire il come che sarebbe troppo lunga cosa: è una fortunata combinazione di pezzi che posseggo. Può dare notizia di questa scoperta nel suo prossimo bullettino, perché ho così adempito il voto degli astronomi di poter vedere il sole insieme colle sue protuberanze. Negli ultimi anni della sua vita, a causa della scomparsa dello Stato pontificio, il Padre Secchi non fa mistero della sofferenza che gli procurano sia l’incertezza sulla sorte sua e su quella dell’osservatorio, sia l’insorgere di manifestazioni anticlericali. 7 febbraio 1872 L’altra sera, durante l’aurora [boreale = cielo rosso a nord], un briccone da una delle logge vicine gridava a squarcia gola con voce stentorea buzzurresca queste parole: «Ah Secchi, Ah Secchi ! Guarda l’aurora boreale . È l’aurora boreale. È la commune di Parigi che viene. Roma dovrà avere la commune!» Ella vede che anche i buzzurri sono retrogradi abbastanza. 25 dicembre 1872 Ella può ben capire che nelle circostanze presenti io ho poca voglia di lavorare. Finora lavoravo volentieri, ma adesso me ne sento svogliato oltre modo. Sarà questo un benefizio del Signore per mettermi disgusto di queste cose, onde senta meno il dispiacere che mi minaccia? Desidero quasi che sia così. Preghi per me ..... 13 ottobre 1873 L’altro giorno, 9 a sera, abbiamo avuto un temporale orribile con scarica di acqua a torrenti dalle 5,30 alle 7,30. Caddero 100 mm d’acqua, lampi e tuoni continui e molti fulmini caduti. I magneti si turbavano poco prima della burrasca; e con questa occasione ho esaminato lo spettro del lampo. Il baleno dà lo spettro di 1° ordine dell’azoto. Il lampo dà quello di 1° misto a quello di 2°. In certe scariche si aveva una moltitudine di righe svariatissime, e brillarono quelle dell’idrogeno...... Qui stiamo aspettando di giorno in giorno la fatale sentenza di dispersione. Preghi per noi. 13 giugno 1875

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PADRE S. Quest’anno pare che i temporali e le grandini siano molto vessatorie. Anche a Grottaferrata e Frascati si ebbe nella settimana scorsa una grandine devastatrice molto fiera. Fu il giorno in cui andò colà Garibaldi, e non mancarono i commenti! Sulle osservazioni meteorologiche richieste ai Padri Passionisti di Monte Cavo sopra Rocca di Papa 22 febbraio 1876 Da molto tempo si cercò di far fare a quei frati [passionisti] qualche osservazione perché la stazione è molto importante. Cominciò a mia insinuazione un certo Padre Serra- Corsi, che portò colà alcuni mediocri strumenti. Ma dopo pochi mesi di osservazioni il Provinciale dei passionisti trovò che era una cosa distrattiva il fare tali osservazioni e per rimediare al dissipamento spirituale di un buon frate che se ne occupava con amore, lo levò di là e finì tutto. Alcuni anni sono io cercai di nuovo di metterle su, ma fu inutile. Sarà circa due anni che un buon priore assunse di fare le osservazioni pluviometriche e io gli feci pervenire il pluviometro del Ministero. Ma che cosa abbiano fatto nol so dire perché mandavano al Ministero di agricoltura certe liste che non mi parvero molto brillanti. Due anni fa io cercai di impegnarli a fare qualche cosa di più completo, ma mi risposero molto risolutamente dicendo che erano operazioni distrattive! Io non volli quindi contribuire alla dissipazione dello spirito religioso! Ma ecco che l’anno scorso viene a svegliarli un fulmine a ciel sereno. Si intima loro di sgombrare la casa entro 15 giorni, e andarsene. Allora mi viene una ansiosa lettera del curato di Rocca di Papa che mi prega di vedere di rimediare un poco alla intimazione allegando che qui pure hanno un pluviometro a cui badare! E sono disposti a fare di più. Io allora scrivo subito al Ministro del culto perché sospenda l’ostracismo, atteso che siamo in trattativa dell’osservatorio. Il Ministro Vigliani a posta corrente mi risponde che il mio voto è eseguito. Io allora vado dal generale dell’ordine per concertare le cose, e questo mi dà una salata risposta, che se avessi comunicata al Ministro li avrebbe cacciati tutti su due piedi: mille riserve, mille difficoltà: che non era roba per loro, che era un peso, che vedrebbero ecc. Infine dopo 8 giorni viene il rescritto (?) altissimo che si sobbarcherebbero ... Io volo a Monte Cavo, studio la posizione degli strumenti, li ordino a Parigi, e vado al Ministero per trattare la loro permanenza definitiva in quel locale. Trovo tutti molto ben disposti. Intanto essi trovano un altro appoggio, e io stesso li consiglio a valersene, e solo li prego a dirmi quando avranno assicurato la loro sorte, perché io mandi gli strumenti, poiché non vorrei mandarli senza esser sicuro che fossero impiegati. Ha ricevuto risposta la Sig. Vostra? Tanta ne ho avuta io! Questi frati adunque, spaventati, fecero mostra di fare qualche cosa. Ora che la paura è passata, perché il principe Colonna, nel cui terreno è il convento e di cui sono tributari, forse ha preso la loro protezione, non si curano più delle osservazioni e se io dessi loro gli strumenti che tengo in pronto, non ne farebbero nulla. Dico il vero la loro condotta mi ha stomacato, e io non me ne impegnerò più. Se Ella vi riesce, ne la feliciterò. Solo la prego a far uso dei miei strumenti perché mi costano qualche cosa. Se vuole osservazioni sicure le pigli a Grottaferrata ove i monaci Basiliani le fanno bene, e da oggi sarà servita. Le domandi pure a Padre Nilo di Gregorio che gliele manderà!

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Padre mio qui non siamo nei paesi del Piemonte. Qui non si conosce nei frati che la poltroneria, e perciò Iddio stanco di loro li ha fatti bastonare, ma poco li ha convertiti. Hanno un egoismo e commodismo esagerato, e ciò ha fatto la comune rovina. 2 marzo 1876 Ella ha ragioni da vendere per dire che anche i religiosi devono occuparsi di ciò che può essere utile alla società! Ma come farlo loro capire? Solo colla paura: se questa cessa per altri titoli, tutto è finito. Così fu a Monte Cavo...... 28 dicembre 1876 Il ritardo della spedizione [degli strumenti] è provenuto dai disturbi del Ministro dei culti che aveva dato ordine di espulsione pei frati [passionisti] un’altra volta, e io ho dovuto correre su e giù per salvarli. Spero che la casa e il locale tutto passerà al Ministero dell’istruzione per lo studio di meteorologia, e come luogo monumentale pel tempio di Giove Laziale. Lettera ultima, senza data: vi si parla del pendolo Tunnel per le misure di gravità nella galleria del Moncenisio Abbiamo anche quello [pendolo] degli inglesi, ma è un macchinone niente trasportabile, va a finire che ne faccio fare uno io! Se fossimo in tempo di pace non esiterei, ma a questi lumi di luna, si figuri che proprio è a proposito! Basta, in qualche modo faremo. Se pure non mi tocca prima a far fagotto, che allora addio pendolo tunnell e giocarelli. Se mi cacciano vado diritto in America in California, non mica a cercar l’oro ma per trovare un po’ di pace lasciando questa pazza e vecchia Europa. Più sopra ho accennato al fatto che ai dispiaceri e allo stato di depressione che afflissero il Padre Secchi negli ultimi anni della sua vita dovette contribuire anche l’atmosfera anticlericale da cui si vide circondato dopo il 1870. Più tardi, nel 1891, proprio per confutare le accuse di oscurantismo che, specialmente in Italia, massoni e anticlericali movevano contro la Chiesa, Leone XIII rifondò in Vaticano la Specola Vaticana. Per dare un’idea di quanto fosse diffuso in Italia questo spirito anticlericale, cito un episodio raccontato dal Padre Bellino Carrara in un discorso he egli tenne a Padova nel 1903 in occasione del venticinquesimo della morte del Padre Secchi: «Stava di questi giorni elucubrando il meglio che per me si poteva, questo povero mio lavoro d’elogio al PADRE Secchi, e mancandomi a casa ciò che all’uopo servir mi poteva, feci ricorso qui alla vicina Biblioteca della R. Università di Padova. Fra le altre mi fu gentilmente offerta la famosa opera del PADRE Secchi «l’Unità delle forze fisiche». Quel prezioso libro era stato da parecchi per lo avanti richiesto in lettura. Ma fra i lettori vi fu, si capì, il pretofobo, il quale, letto il libro, fu preso d’ammirazione per lo straordinario ingegno dell’autore; ma, riconosciutolo sacerdote, l’astioso di lui animo la vinse sopra ogni regolamento di pubblica biblioteca e sopra anche ogni buona regola di galateo, onde scrisse sul frontispizio «Grande ingegno, peccato sia un prete». Il libro è là, ma la frase non è purtroppo esclusiva ed originale di quel cattivello: essa è forse più comune che non si pensa. La massima dei settari è, che il prete, dotto od ignorante che sia, deve essere sempre denigrato. Calunniosamente si deplora e si piange sull’ignoranza dei preti; s’incontra poi il prete dotto e scienziato, questo è un peccato! Colla logica degli anticlericali è impossibile intenderci.»

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Il necrologio di Padre Angelo Secchi su "L'Osservatore Romano del 28 febbraio 1878

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Per quanto riguarda la sua tendenza a non contentarsi dei dati climatici ma a cercare la correlazione tra i fenomeni: - in particolare tra burrasche atmosferiche, variazioni del campo magnetico terrestre, e delle correnti telluriche, metodi di previsione del percorso delle burrasche atmosferiche; - relazioni tra l’attività solare e le aurore polari osservate contemporaneamente in vari luoghi della terra, e le correnti telluriche; - mettendo anche in evidenza i primati del Padre Secchi nel campo della ricerca meteorologica. - Il merito del meteorografo sta non tanto nell’automatizzazione delle letture, ma nel fatto di rispondere all’esigenza di poter vedere a colpo d’occhio le correlazioni tra i vari fenomeni meteorici.

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Aspetti della formazione scientifica del giovane Fermi: il ruolo di Filippo Eredia e dell’Ufficio Centrale di Meteorologia e Geodinamica Giovanni Battimelli (Dipartimento di Fisica, Università “La Sapienza”, Roma)

In questo anno 2001 si sono tenute numerose iniziative volte a ricordare la figura e l’opera di Enrico Fermi, a causa della ricorrenza del centesimo anniversario della sua nascita. Può peraltro apparire strano che se ne parli in questa circostanza; certamente la celebrità di Fermi non è legata a suoi particolari contributi all’ecologia agraria, né si può dire che, tra le istituzioni scientifiche con cui il grande fisico ebbe modo di interagire nel corso della sua carriera, l’Ufficio di via del Caravita abbia svolto un ruolo particolarmente significativo. Esiste tuttavia una ragione per cui parlare qui di Fermi non è del tutto fuori luogo: per quanto si tratti di una connessione relativamente labile, legata ad alcuni episodi giovanili dall’apparenza tutto sommato marginale, uno sguardo più attento a questa vicenda permette di gettare ulteriore luce su una fase importante della formazione scientifica e culturale del giovane Fermi, attraverso cui si possono comprendere meglio le radici di alcune caratteristiche del suo rapporto con la fisica e delle sue peculiari qualità di ricercatore.

E’ un tratto distintivo di Fermi, sempre ricordato e giustamente enfatizzato nelle varie biografie, quello di essere stato, in fisica e più in generale in campo scientifico, sostanzialmente un autodidatta. In un’Italia in cui le nuove teorie prodotte oltralpe sulla struttura della materia alla scala microscopica stentavano a penetrare ed erano praticamente sconosciute, Fermi si costruì da solo una solida competenza in matematica e fisica studiando autonomamente queste materie. E’ noto che un ruolo importante, nell’indirizzarlo verso questi studi e nel suggerirgli i testi da approfondire, fu svolto dall’ingegnere Adolfo Amidei, un amico di famiglia che aveva evidentemente saputo riconoscere ed apprezzare le eccezionali qualità del ragazzo. Un ruolo analogo fu certamente quello giocato dal suo insegnante di fisica durante gli anni trascorsi al liceo Umberto (ora Pilo Albertelli); proprio negli anni in cui Enrico Fermi (e con lui l’amico, e futuro collega Enrico Persico) transitò come studente per il liceo, vi insegnò fisica il direttore della sezione presagi dell’Ufficio Centrale di Meteorologia e Geodinamica, Filippo Eredia. Le tracce dell’influenza esercitata da Eredia sulla formazione di Fermi sono documentate grazie alla fortunata circostanza che Enrico Persico conservò sia la corrispondenza scambiata con il compagno di studi durante quegli anni che gli appunti delle esercitazioni di laboratorio che essi svolsero (probabilmente su iniziativa autonoma, ma certamente sostenuti dalle indicazioni e dai consigli del loro insegnante) in quello stesso periodo, verso il termine dei loro studi liceali. Parte della corrispondenza scambiata tra i due giovani è pubblicata in appendice alla biografia di Fermi scritta da Emilio Segrè1. Egli ricorda come i due si dedicassero, negli ultimi anni di liceo, a misure di precisione di cose come l’accelerazione di gravità a Roma, la densità dell’acqua marcia, il campo magnetico terrestre. In particolare, intorno all’estate del 1917 i due amici costruirono un barometro ad

1 E. Segrè, Enrico Fermi, fisico, Zanichelli, Bologna 1971; la seconda edizione, del 1986, contiene in appendice numerosi documenti inediti non riprodotti nella prima.

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acqua e se ne servirono per effettuare misure dopo avere determinato le procedure per la calibrazione dello strumento e calcolato con accuratezza i termini correttivi da apportare alle letture.

Il barometro era simile a un normale barometro di Torricelli, ma faceva uso di acqua anziché di mercurio; la parte superiore del cannello (in genere vuoto) era sostituita da un recipiente contenente dell’aria satura di vapor d’acqua. Questo strumento poteva perciò essere usato solo se si misuravano con accuratezza sia l’altezza della colonna d’acqua, che la temperatura; la calibrazione non era affatto semplice. I due ragazzi avevano calcolato una formula che permetteva di ottenere la pressione in funzione della temperatura e dell’altezza della colonna d’acqua.1

Una menzione diretta di questa attività (e del ruolo attivo di consulente scientifico svolto da Eredia) si trova nel seguente passo di una lettera inviata da Fermi a Persico verso il termine delle vacanze estive:

Io vado tutte le mattine alla Vittorio Emanuele. Qualche giorno fa sono stato dal prof. Eredia per fare graduare il barometro ma non l’ho ancora graduato perché, dietro consiglio del professore, farò sette o otto letture che poi confronterò con le pressioni che si sono avute, in modo da ottenere una media più esatta.2

Nelle carte di Enrico Persico sono ancora conservati alcuni fogli di appunti e alcune tabelle di dati relativi a quelle osservazioni. Anche dalle poche tracce documentarie che ne sono rimaste, quello che sorprende in questa attività dei due giovani non è tanto il fatto che si dilettassero in ricerche non strettamente richieste dal curriculum scolastico, quanto il livello relativamente sofisticato dell’attrezzatura sperimentale da essi realizzata e delle esperienze svolte con essa; i due futuri professori di fisica teorica stavano acquisendo una confidenza con la manualità sperimentale e con la pratica di laboratorio che, in particolare nel caso di Fermi, avrebbero poi costituito un tratto distintivo della loro personalità scientifica matura. Certamente, il fatto che queste tabelle di dati e foglietti di appunti, piuttosto insignificanti come valore scientifico intrinseco, siano stati gelosamente conservati da Persico fino alla morte è un buon indicatore dell’importanza che soggettivamente i due ragazzi attribuivano a quelle esperienze nel proprio percorso formativo di fisici in erba.

Nell’estate del 1918, terminati gli studi liceali, Fermi studiò intensamente per prepararsi agli esami di ammissione alla Scuola Normale Superiore di Pisa. Un passaggio fondamentale nella sua preparazione fu lo studio del trattato di fisica di O. D. Chwolson, professore dell’Università Imperiale di San Pietroburgo, nell’edizione francese pubblicata, in nove volumi, tra il 1906 e il 1914. E’ verosimile che a Roma esistessero solamente due copie dell’opera; la prima, nella biblioteca dell’Istituto di Fisica di via Panisperna diretto da Pietro Blaserna, era inaccessibile al giovane liceale, ma una seconda copia si trovava (e si trova tuttora) nella biblioteca dell’Ufficio Centrale di

1 E. Segrè, op. cit. p. 247. 2 E. Fermi a E. Persico, 7 settembre 1917; la lettera è in E. Segrè, op. cit., p. 191.

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Meteorologia e Geodinamica, e fu messa a disposizione di Fermi dal suo insegnante Eredia (non è da escludere, anzi appare altamente probabile, che sia stato lo stesso Eredia, una volta saputo dell’intenzione di Fermi di concorrere all’esame per la Normale, a suggerirgli di prepararsi sul testo dello Chwolson). Fermi trascorse buona parte dell’estate nella sede dell’Ufficio in via del Caravita immerso nella lettura dell’imponente trattato. Verso la metà di agosto scriveva in merito all’amico Enrico Persico:

La lettura dello Chwolson procede rapidamente e prevedo che fra tre o quattro giorni sarà finita; è uno studio che sono molto contento di aver fatto perché ha approfondito molto le cognizioni di fisica che già avevo e mi ha insegnato molte cose di cui non avevo nemmeno un’idea. Con queste basi credo che potrò concorrere a Pisa con una certa probabilità di riuscita…1

E’ un eccellente indicatore delle qualità del tutto particolari del giovane Fermi il fatto che sia riuscito nel giro di un mese o poco più ad assimilare a fondo un trattato di quelle dimensioni (e che non si sia trattato semplicemente di una lettura superficiale è ampiamente provato dal livello di competenza nei più vari settori della fisica dimostrato da Fermi già nei mesi immediatamente successivi, a cominciare dal celebre saggio sui caratteri distintivi del suono prodotto per l’ammissione alla Normale). A parte la stazza considerevole, una caratteristica del trattato dello Chwolson è l’accoppiamento di completezza e modernità; sono discussi esaurientemente, con un attento equilibrio tra gli aspetti matematici e formali e la presentazione della fenomenologia rilevante, tutti i vari capitoli canonici della fisica classica, ma a questo si accompagna (e la cosa non è usuale per un trattato di quell’epoca) una singolare attenzione agli sviluppi più recenti, sia sul piano teorico che sperimentale. Le “molte cose di cui non avevo nemmeno un’idea” sono con grande probabilità le basi della teoria della relatività e delle recenti concezioni sulla struttura della materia che Fermi apprese dalla lettura dello Chwolson, che segna quindi una tappa fondamentale della sua formazione scientifica. E va ascritto a credito di Filippo Eredia l’aver intuito le potenzialità del suo giovane allievo, e averlo indirizzato allo studio di un trattato così avanzato e così particolare. Del ruolo svolto dallo studio dello Chwolson nel formare alcuni tratti distintivi del modo di fare fisica del Fermi maturo ha scritto Carlo Bernardini:

Credo con gran convinzione che questo vecchio e sapiente librone di Chwolson racchiuda il segreto della formazione del Fermi “fenomenologo”, che abbiamo imparato a conoscere attraverso le sue ricerche e il suo peculiare modo di intuire le spiegazioni dei problemi: né assiomatico né totalmente empirico, ma molto plausibilmente fondato su rappresentazioni mentali assai potenti dei fenomeni… Nel vecchio Traité russo nulla è pregiudizialmente accantonato, di ciò che può aiutare a capire: né le descrizioni accurate degli apparati né le sottigliezze della matematica avanzata dell’epoca e nemmeno certe proposizioni suggestivamente sagge, da epistemologo divulgatore… Ed è proprio questa profonda commistione di ogni argomento “buono per capire” che mi sembra determinante nella formazione di Fermi come fenomenologo autodidatta.2

1 E. Fermi a E. Persico, 18 agosto 1918; la lettera è in E. Segrè, op. cit., p. 191. 2 C. Bernardini, “Fisico matematico o sperimentale?”, Lettera Matematica Pristem 39-40 (Marzo-Giugno 2001), pp.69-71.

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Fermi sostenne le prove del concorso di ammissione alla Scuola Normale Superiore di Pisa presso l’università di Roma, tra il 12 e il 15 novembre del 1918. E’ stato questo, almeno per quanto è dato accertare dalla documentazione disponibile, il suo ultimo incontro con Filippo Eredia, che era uno dei tre membri della commissione giudicatrice, presieduta da Giulio Pittarelli, professore a Roma di Geometria descrittiva. Dai verbali dei lavori della commissione apprendiamo che la parte di fisica dell’interrogazione di Fermi fu svolta essenzialmente dal suo professore di liceo; certamente la memoria delle esperienze fatte col barometro poco più di un anno prima suggerì ad Eredia una parte delle domande, e contribuì al brillante successo del candidato:

Il prof. Eredia interroga il candidato sui seguenti argomenti: formula caratteristica dei gas, formula delle lenti, formule del prisma, correnti alternate – trasformatori, riduzione della pressione barometrica a 0° e al mare, teoria della pila.1

Si comprende quindi come due almeno delle caratteristiche che unanimemente verranno riconosciute dai colleghi e dai biografi al Fermi maturo prendano forma proprio nel corso di queste vicende giovanili direttamente collegate all’influenza del professor Filippo Eredia e, per suo tramite, dell’Ufficio Centrale di Meteorologia e Geodinamica: la peculiare convivenza, in Fermi, di eccelse capacità di teorico con spiccate attitudini sperimentali (al punto che egli viene sovente indicato come l’ultimo esemplare di fisico ancora in grado di eccellere contemporaneamente nei due campi), e la padronanza completa di tutti i settori della fisica, dalle regioni più avanzate della ricerca di frontiera ai più tradizionali capitoli della fisica classica (e può essere interessante notare, per quest’ultimo aspetto, che, oltre al corso di Fisica Teorica di cui era titolare, Fermi ebbe per quattro anni a via Panisperna, a partire dall’anno accademico 1928-29, l’incarico dell’insegnamento di Fisica Terrestre).

Un ulteriore legame, sia pure molto indiretto, tra Fermi e l’UCEA può essere rintracciato attraverso l’influenza scientifica da lui verosimilmente esercitata, come professore all’Istituto di via Panisperna, sulla formazione di giovani studiosi che in seguito svilupparono la loro carriera scientifica nei settori di competenza dell’Ufficio, e vi svolsero parte della propria attività. In un caso significativo, questo legame è documentato: tra gli studenti che seguirono il corso di Fisica Teorica di Fermi intorno alla metà degli anni Trenta c’era Ezio Rosini, che, laureatosi in Matematica e Fisica nel 1937, diede un importante contributo allo sviluppo della climatologia italiana operando inizialmente presso il Servizio Meteorologico dell’Aeronautica Militare, e a cui si deve un successivo impulso agli studi e alle attività di agrometeorologia, in particolare negli anni in cui ricoprì la carica di direttore dell’UCEA, tra il 1970 e il 1979.2 Tuttavia, a parte queste influenze indirette, dopo l’incontro con Eredia in occasione dell’esame di ammissione alla Normale di Pisa non ci sono più tracce di un rapporto successivo di

1 Parte dei verbali della commissione è riprodotta nella Appendice documentaria, curata da Roberto Vergara Caffarelli,, del volume, a cura di S. D’Agostino e A. Rossi, Enrico Fermi e l’Enciclopedia Italiana, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 2001. Il passo citato è a p. 167. 2 Devo le informazioni su Rosini alla cortesia della Dr.ssa Maria Carmen Beltrano dell’UCEA e del direttore dell’Ufficio, Dr. Domenico Vento, che ringrazio per la segnalazione.

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le misure termo - barometriche effettuate da Fermi e Persico in casa Persico nel mese di settembre 1917

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Fermi con l’ambiente scientifico che gravitava intorno a via del Caravita. Chi invece ebbe ancora contatti con Filippo Eredia fu il suo compagno di studi liceali Enrico Persico, che, mentre Fermi faceva i suoi studi universitari a Pisa, seguì il corso di laurea in fisica all’università di Roma. Qui Eredia – che a Roma aveva ottenuto la libera docenza nel 1912 - tenne corsi liberi di Meteorologia negli anni accademici dal 1913-14 al 1916-17 e poi nel 1920-21 e 1921-22. Persico frequentò uno di questi ultimi due corsi tenuti dal suo ex professore di liceo, e prese accurati appunti che sono ancora custoditi tra le sue carte personali. In quegli anni, Eredia – che si occupava, ricordiamo, di climatologia e in particolare delle questioni legate alle previsioni atmosferiche - stava studiando le idee della meteorologia dinamica sviluppate dalla scuola norvegese, che poi avrebbe contribuito a diffondere negli ambienti scientifici italiani. Dello stato dell’arte nel campo delle previsioni del tempo troviamo indicazione negli appunti presi da Persico durante le lezioni di Eredia:

Allo stato attuale della scienza si può indicare, due o tre giorni prima, la direzione e la forza del vento in un luogo, con buona approssimazione e quasi assoluta certezza, e con una certa probabilità si può prevedere lo stato del cielo e le precipitazioni. Presagi a lunga scadenza non sembrano, per ora, possibili.1

Gli sviluppi successivi della meteorologia come scienza di previsione costituiscono un’affascinante storia, nella quale né Fermi né Persico prenderanno parte. Un ruolo decisivo sarà svolto, in questa vicenda, dalla possibilità, offerta dalle macchine calcolatrici a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, di effettuare in tempi rapidi calcoli altrimenti proibitivi e di simulare il comportamento e l’evoluzione di modelli matematici della dinamica dell’atmosfera. Può essere allora interessante ricordare, come nota di chiusura di queste osservazioni sul rapporto di Fermi con il mondo della meteorologia, che un contributo determinante all’utilizzo del calcolatore come strumento di simulazione è stato dato proprio da Fermi in uno dei suoi ultimi lavori, svolto in collaborazione con i matematici J. Pasta e S. Ulam nel corso degli anni 1952-53, e pubblicato come rapporto interno dei laboratori di Los Alamos solo nel maggio 1955 (dopo la scomparsa di Fermi).2 L’importanza di questo lavoro è stata lungamente trascurata, fino ad essere rivalutata pienamente in tempi più recenti grazie alla rinascita dell’interesse per il comportamento dei sistemi non lineari e all’utilizzo della simulazione al computer come strumento chiave per lo studio e la comprensione di questi processi. Un ruolo

1 E. Persico, Appunti di Meteorologia dalle lezioni del prof. F. Eredia, 1921(?), Archivio Persico, Dipartimento di Fisica, Università “La Sapienza”, Roma. 2 E. Fermi, J. Pasta, S. Ulam, “Studies of non Linear Problems”, Los Alamos Sci. Lab. Rep. LA-1940 (1955), ripubblicato in E. Fermi, Note e Memorie (Collected Papers), vol. II, Accademia Nazionale dei Lincei e University of Chicago Press, 1965.

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determinante per questa rinascita è stato svolto dal lavoro di un meteorologo, Edward Lorenz, che nel 1961 ha “lanciato” l’idea del caos deterministico; si può essere allora tentati di vedere nell’ultimo lavoro di Fermi (che peraltro si occupa del comportamento su tempi lunghi di catene di oscillatori non lineari, riprendendo con i nuovi mezzi offerti dai calcolatori un antico interesse per alcune questioni di meccanica statistica, e che quindi nulla ha a che fare direttamente con la meteorologia) la possibilità di istituire un collegamento, seppure indiretto, con gli sviluppi successivi , e, operando una piccola forzatura, leggervi un lascito e un contributo involontario all’ambiente che aveva fatto da brodo di coltura della sua prima formazione scientifica.

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Appendice

In occasione della celebrazione del 125° anniversario della fondazione dell'Ufficio Centrale di Ecologia Agraria oltre ai dotti interventi programmati, sono state organizzate altre manifestazioni che hanno completato la giornata.

Il Sig. Renzo Lay ha curato l'organizzazione e l'allestimento di una mostra iconografica sull'attività scientifica svolta al Collegio Romano da alcuni componenti della Compagnia di Gesù, che con i loro studi favorirono lo sviluppo delle conoscenze nel campo dell'astronomia e della geofisica in Italia. In particolare la mostra è stata dedicata soprattutto all'attività di Padre Angelo Secchi, che ha ricoperto un ruolo importantissimo nello sviluppo della meteorologia. Il materiale raccolto e sistemato ha dato esito ad un lavoro pregevole per i contenuti e per la ricchezza iconografica. In particolare, ha riscosso vivo interesse la presentazione dei posters sulla storia dell'attività astronomica svolta presso il Collegio Romano dalla fondazione dell'Osservatorio al suo passaggio allo Stato Italiano. Nell'occasione è stata anche allestita un'esposizione delle pubblicazioni e degli scritti di maggior pregio appartenenti al patrimonio bibliografico dell'Ufficio, selezionate tra le tante che delineano le tappe storiche dell'attività dell'Ufficio e testimoniano la permanenza e il passaggio di illustri personaggi al Collegio Romano. Tra le molteplici opere, anche il " Traité de Physique di O. D. Chwolson (cinque volumi, sette tomi), sul quale Enrico Fermi, nel 1918, approfondì le sue conoscenze, preparandosi all'esame di ammissione alla Normale di Pisa. La Biblioteca dell’Ufficio Centrale di Ecologia Agraria (UCEA) appare oggi come la maggiore delle raccolte italiane specializzate nelle scienze dell’atmosfera e si configura come la principale memoria storica della tradizione meteorologica e geofisica italiana dell’età moderna. Accanto a queste opere sono state presentate, per gentile concessione della Biblioteca Nazionale e della Biblioteca Gregoriana, alcune opere di grande interesse che attestano l'attività degli insigni personaggi cui è dedicata la giornata. Si ringraziano le Istituzioni che hanno consentito di arricchire la documentazione esposta. Infine una breve annotazione presenta il contesto storico e scientifico in cui nacque l'Ufficio Centrale di Ecologia Agraria, accennando alla situazione dei servizi meteorologici e degli studi di meteorologia agricola italiana negli anni che hanno immediatamente preceduto la costituzione dell’Ufficio.

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Astronomia al Collegio Romano

George Coyne s.j.; Sabino Maffeo s.j.: L’Osservatorio del Collegio Romano. Gli astronomi della Compagnia di Gesù fino alla soppressione della medesima. (Adattamento a cura di Renzo Lay)

L'Osservatorio del Collegio Romano. Gli astronomi della Compagnia di Gesù Sin dai giorni della su fondazione, avvenuta per opera di Gregorio XIII, il Collegio Romano era stato un luogo di profondi studi anche nel campo della matematica, della fisica e dell'astronomia. Qui il p. Clavio scrisse i suoi tre volumi in difesa del calendario gregoriano e si adoperò, insieme ai suoi confratelli, a confermare le scoperte sensazionali di Galileo e a convincere le autorità ecclesiastiche della loro esattezza. Qui il p. Scheiner aveva osservato con diligenza instancabile le macchie del Sole per scrivere la sua grande opera Rosa Ursina, adoperando per il suo cannocchiale la montatura equatoriale usata per la prima volta dal p. Grienberger. Qui il p. De Cottignies osservò le macchie su Giove e le grandi comete del 1664, 1665 e 1668. Qui finalmente lavorò come insegnante rinomatissimo il p. Boscovich, che eseguì per la prima volta in Italia una misura geodetica di un arco di due gradi, e portò a compimento l'opera iniziata dal p. Lagrange, s.j., per la fondazione dell'osservatorio di Brera a Milano. Inventò il micrometro ad anello e propose un esperimento assai importante per la ricerca sulla natura fisica della luce: esperimento, eseguito più tardi con successo dall'Airy, che consiste nel misurare come varia il fenomeno dell'aberrazione della luce quando si osservano le stelle con un telescopio pieno di acqua. Nei primi due secoli non si poteva parlare di un vero osservatorio del Collegio Romano. I corpi e i fenomeni celesti si osservavano dalle finestre e dalle logge meglio che si poteva. Ma naturalmente le cose non riuscivano sempre secondo il desiderio e la necessità. Per esempio, la posizione della grande cometa del 1744 era così sfavorevole che non la si poteva vedere dalle logge. Questo fatto suscitò nel giovane Boscovich l'idea di erigere sul tetto della Chiesa di S. Ignazio, annessa al Collegio, un osservatorio vero e proprio. Il progetto, però, benché approvato dal Papa Benedetto XIV non poté essere eseguito a causa degli avvenimenti che si andavano profilando all'orizzonte, così fatali per l'esistenza dell'ordine dei gesuiti. Boscovich però non si perdette d'animo: nel Museo Kircheriano egli collocò un settore zenitale e un quadrante murale con un orologio a pendolo con cui poté fissare il punto sud per la triangolazione dell'arco Roma - Rimini. Per questi lavori la sala bastava, anche se non si poteva osservare il resto del cielo. Così questo luogo si può considerare come il primo inizio dell'osservatorio del Collegio Romano.

L'Osservatorio passa al clero secolare Dopo la soppressione della Compagnia di Gesù, sancita dal Papa Clemente XIV nel 1773, gli studi nel Collegio Romano furono affidati al clero secolare. Già nell'anno seguente, il 14 luglio 1774, Clemente XIV, con un Motu proprio, ordinò la fondazione dell'Osservatorio Pontificio del Collegio Romano. Il canonico Giuseppe Calandrelli, professore di astronomia fu nominato direttore; tuttavia

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La Torre Calandrelli ieri e oggi

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l'osservatorio rimase soltanto sulla carta. Finalmente nel 1786, per impulso del già vecchio Boscovich, furono ripresi i suoi piani primitivi. Egli stesso promise di provvedere con mezzi propri per gli strumenti, ma quando morì nell'anno seguente gli eredi non si ritennero legati a questa promessa. In ogni modo il card. Zelada fece costruire a spese del Collegio una torre alta 125 piedi e comprò a sue spese alcuni piccoli strumenti. Ma l'attrezzatura e la situazione finanziaria dell'osservatorio lasciavano ancora molto a desiderare. Le cose migliorarono solo quando Papa Pio VII si interessò personalmente dell'osservatorio: l'11 febbraio del 1804, il Papa vi si recò per ammirare una grande macchia solare. Sotto l'impressione di questo evento straordinario promise un'attrezzatura adatta e una dotazione adeguata per l'osservatorio. E mantenne la parola. Quando nello stesso anno Pio VII andò a Parigi per incoronare Napoleone, approfittò dell'occasione e acquistò per il suo osservatorio un cannocchiale acromatico e un buon orologio a pendolo di Ponce. Più tardi acquistò ancora un buono strumento dei passaggi di Reichenbach (Monaco di Baviera) e un orologio a pendolo compensato da Bréguet. Un altro orologio fu donato dal cardinale Litta. Con questi mezzi, per quanto ancora modesti, Calandrelli e il suo collega Andrea Conti, ai quali si associò nel 1816 Giacomo Reichenbach, cominciarono i loro studi astronomici. Negli otto volumi dei loro Opuscoli astronomici (1803-1824) descrivono osservazioni eseguite sul Sole, su pianeti e comete e su occultazioni di stelle, triangolazioni in Roma e nei dintorni; fanno delle considerazioni teoriche sull'aberrazione della luce; calcolano l'orbita di pianeti e di comete; danno delle tavole particolareggiate della parallasse della luna; eseguono ricerche strumentali e fanno ancora regolari osservazioni meteorologiche. Il padre Angelo Secchi riconobbe che il valore del lavoro scientifico di questi dotti astronomi sorpassava di molto la povertà dei mezzi di cui erano forniti. Ma tutto ciò non poté far dimenticare che l'osservatorio non corrispondeva alle esigenze della scienza.

Tornano i Gesuiti Nell'anno 1824 il Collegio Romano - chiamato in seguito anche "Università Gregoriana" - e l'annessa Chiesa di S.Ignazio, furono restituiti alla ristabilita Compagnia di Gesù. Leone XII, con la Lettera Apostolica Quod divina sapientia, dette in quell'anno un ordinamento allo studio delle scienze nelle Università dello Stato della Chiesa. Furono anche date delle norme per i direttori degli osservatori: essi devono osservare il cielo senza posa, compilare e pubblicare i bollettini. Devono inoltre mettersi in corrispondenza con i più celebri astronomi, per essere così al corrente delle nuove scoperte che dovranno essere esaminate e sfruttate per utilità degli studenti, per il bene non solo delle scienze naturali, ma anche di quelle soprannaturali. Riconsegnando il Collegio ai gesuiti il Papa desiderava che il benemerito Calandrelli rimanesse alla direzione dell'osservatorio. Egli però preferì ritirarsi insieme ai colleghi e portò i suoi strumenti al Collegio S. Apollinare, nuova sede del Seminario Romano, ma la morte improvvisa, nel 1827, pose fine ai suoi piani scientifici.

P. Etienne Dumouchel (1824-1838) Nuovo direttore dell'osservatorio del Collegio Romano fu nominato il padre Etienne Dumouchel, che aveva ricevuto la sua istruzione scientifica al Politecnico di Parigi. Trovò l'osservatorio in uno stato miserando: era stato privato dei migliori strumenti, la torre eretta nel 1787 era così poco stabile che non vi si poté collocare neppure uno strumento mobile dei passaggi e meno ancora uno qualunque fisso. Il

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nuovo direttore non cessò di richiamare l'attenzione dei superiori sulla necessità di una nuova costruzione e dell'acquisto degli strumenti indispensabili. Nel 1825 il Padre Fortis, Generale della Compagnia di Gesù, donò all'osservatorio un cannocchiale di Cauchoix montato azimutalmente, un capolavoro dell'ottica per quei tempi. Nel 1842 il padre Generale Roothaan procurò un circolo meridiano di Ertel. Ma la torre malferma rimase in uso fino al 1850. Nella storia dell'astronomia il padre Dumouchel è conosciuto per avere di nuovo scoperto la cometa di Halley nel suo ritorno del 1835, scoperta che egli comunicò il 6 agosto all'editore delle Astronomische Nachrichte, allora il periodico più diffuso del genere. L'onore di questa scoperta appartiene però al suo giovane assistente padre De Vico il quale, in base alle determinazioni dell'orbita della cometa disponibili dalle apparizioni precedenti, calcolò la posizione probabile e la inserì in una carta del cielo. Si deve solo a questo aiuto e al lavoro instancabile dei collaboratori che presero parte nella ricerca, se la grande cometa si poté osservare il 5 agosto 1835 col grande rifrattore di Cauchoix, molto tempo prima che gli altri osservatori la potessero vedere. De Vico continuò le sue osservazioni ancora fino all'aprile dell'anno seguente, e in base ad esse, ne determinò l'orbita con maggiore precisione.

P. Francesco De Vico (1839-1848) Negli ultimi anni il padre Dumouchel aveva già in gran parte lasciato la direzione dell'osservatorio al suo competente collaboratore, padre De Vico, che nel 1839 fu nominato ufficialmente direttore. Comincia così un'epoca nella quale l'osservatorio del Collegio Romano acquisterà fama mondiale. Le osservazioni del padre De Vico sui satelliti di Saturno, Mimas ed Enceladus, suscitarono giustamente grande interesse, e in principio furono persino considerate come allucinazioni. E ciò si capiva. Anche Herschel aveva potuto osservarli soltanto poche volte in condizioni favorevolissime, e il padre De Vico, benché facesse le sue osservazioni con uno strumento tanto piccolo, ardiva di fissare persino i periodi delle loro rivoluzioni. E' certo che De Vico fece uso di un piccolo artifizio: introdusse cioè un piccolo dischetto opaco nel campo visivo dell'oculare in modo da coprire il pianeta il cui splendore ostacolava l'osservazione dei satelliti vicini. Questi diventavano così visibili anche con strumenti più piccoli, come il De Vico dimostrò ad alcuni colleghi a Parigi. "Il padre De Vico calcolò una copiosa effemeride della cometa di Halley, accompagnata da una carta, sulla quale era tracciata la via della cometa. Fu dovuto a questo lavoro, dice il p. Secchi, che gli astronomi del Collegio ebbero la fortuna di rivedere la cometa per primi il 5 agosto 1835, molto innanzi che potesse essere veduta negli altri osservatori" (Stein 1941, 12). Gli anni 1844-1847 furono ricchi di comete, otto delle quali vennero scoperte al Collegio Romano; a una di queste, con periodo di circa 67,5 anni, fu dato il nome del padre De Vico. La scoperta delle prime sette fu riconosciuta ufficialmente e premiata dal re di Danimarca. Il frate Bernardino Gambara, aiutante del padre De Vico come custode dell'osservatorio ed osservatore meteorologico, ebbe grandi meriti in queste scoperte: con assidua costanza sorvegliava il cielo col cercatore di comete, e, data l'eccellente conoscenza delle costellazioni che si era acquistata, difficilmente si lasciava sfuggire uno di questi rari visitatori. Il padre De Vico fece anche numerosissime osservazioni per la determinazione del periodo di rotazione di Venere, che però non furono coronate da successo.

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Accanto a queste ed altre osservazioni occasionali, il padre De Vico aveva concepito il grandioso disegno di compilare un catalogo del cielo settentrionale, che doveva contenere tutte le stelle fino all'undicesima grandezza e doveva essere un mezzo per rendere più facile la scoperta di comete e di nuovi pianeti. Cominciò la grande opera con alcuni suoi collaboratori. Aveva già osservato le zone fino ad una distanza zenitale di 52° quando, per gli avvenimenti del 1848, dovette interrompere il lavoro. L'ardito progetto non ebbe più seguito per la morte prematura del padre De Vico, avvenuta nello stesso anno. La rivoluzione del 1848 si rivolse particolarmente contro i gesuiti i quali, secondo il consiglio di Papa Pio IX, si dispersero per qualche tempo in tutto il mondo. Anche il padre De Vico seguì i suoi confratelli nell'esilio quantunque i nuovi dirigenti dello Stato Pontificio desiderassero che egli rimanesse al suo posto. Per la sua fama e per i suoi meriti nel mondo scientifico, avrebbe anzi ricevuto la nomina di Consigliere di Stato ma egli partì per Parigi e Londra, poi si recò negli Stati Uniti, in quello che fu un vero viaggio trionfale, al punto che fu anche ricevuto dal Presidente. L'America gli piacque tanto che decise di stabilirvisi. Ma prima tornò in Europa per cercare, tra i suoi confratelli dispersi, dei collaboratori che potessero aiutarlo nel nuovo compito di direttore dell'osservatorio astronomico del Collegio di Georgetown. Il suo fisico però, indebolito dalle fatiche del viaggio, perdette ogni resistenza al punto che, colpito da una ribelle malattia di petto, il 15 novembre morì a Londra a soli 43 anni.

P. Angelo Secchi (1850-1878) Dopo la breve parentesi della Repubblica Romana, alla fine del 1849 i gesuiti, rientrati in Roma, riaprirono l'osservatorio del Collegio Romano. Il padre De Vico morente aveva proposto come suo successore nella direzione dell'osservatorio il giovane fisico e matematico padre Angelo Secchi, già suo alunno, di cui aveva conosciuto ed apprezzato l'alta capacità e l'amore per questo genere di studi. I superiori accettarono il suggerimento e nel 1850 assegnarono al p. Secchi la direzione dell'osservatorio. Il nuovo direttore, che allora aveva 32 anni, si mise all'opera con energia. Ma anche i suoi piani sarebbero falliti come quelli dei suoi predecessori se il suo assistente, il padre Rosa, con l'aiuto dell'eredità paterna, non avesse acquistato un equatoriale di Merz di 24 cm. di apertura e 435 cm. di distanza focale, strumento ottimo per quei tempi. Avuto il telescopio, fu necessario trovargli un posto adatto. Il padre Secchi riprese l'antica idea del Boscovich, di trasferire l'osservatorio sopra la chiesa di S. Ignazio e il padre generale Roothaan lo incoraggiò ad elaborarne il progetto. I robusti muri della chiesa e quattro poderosi pilastri che, secondo il progetto originario dell'architetto della chiesa, mai realizzato, dovevano portare una cupola con 17 metri di diametro, offrirono un fondamento che per un osservatorio non si poteva desiderare migliore. Grazie all'energia del padre Secchi, all'aiuto dei superiori dell'ordine e alla grandiosa munificenza del Papa, l'osservatorio fu eretto in un anno e Pio IX volle che gli fosse riconfermato l'attributo Pontificio. Questo osservatorio, famoso per le scoperte del padre Secchi, fu certamente più noto a tante generazioni di romani per un semplice ma pratico servizio reso loro ogni giorno: quello di dare l'ora esatta. Infatti, Pio IX, dopo aver abolito, per suggerimento del padre De Vico, la vecchia usanza del tempo "all'italiana", che consisteva nel fissare le ore 24 a mezz'ora dopo il tramonto, stabilì che a mezzogiorno medio se ne desse avviso alla città con un colpo di cannone dal Forte di Castel S. Angelo. L'osservatorio del Collegio Romano fu incaricato di darne il segnale ogni giorno, con la caduta della famosa palla lungo un'asta issata sul tetto della chiesa di S. Ignazio: usanza che fu a poco a poco imitata in altre capitali d'Europa.

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L’Osservatorio astronomico di Roma Collegio Romano, sulla chiesa di Sant’Ignazio in due stampe d’epoca.

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Il padre Secchi, per la sua cultura scientifica e per le sue doti, era soprattutto un fisico, e soltanto per il desiderio dei suoi superiori, che lo destinarono come successore del De Vico, si dedicò all'astronomia, nella quale si rivelò poi così eminente. Osservò stelle doppie, nebulose, pianeti e comete. Di queste ne scoperse tre negli anni 1852-1853. Studiò il magnetismo terrestre e la meteorologia e curò una nuova misurazione della base trigonometrica sulla Via Appia. Accanto alle sue grandi opere sul Sole, sulle stelle fisse e sull'unità delle forze fisiche, pubblicò nelle diverse riviste scientifiche circa 730 piccoli trattati. Aveva una particolare predilezione per il Sole, i cui molteplici problemi lo attirarono fino al termine della sua vita. Quotidianamente osservò e notò il numero, il movimento e l'aspetto delle macchie, ne disegnò le più interessanti stando al cannocchiale. Quando lo Janssen nel 1861 trovò nello spettroscopio un mezzo per osservare le protuberanze del Sole anche senza un'eclisse, il padre Secchi si mise subito su questa nuova via e ben presto trovò la connessione fra le protuberanze e le macchie solari. I suoi magnifici disegni delle immense fiamme rosse d'idrogeno, che prorompono dalla superficie solare in forme fantastiche e sempre cangianti, sono diventati classici nella letteratura astronomica. In seguito, seguendo l'esempio di Fraunhofer e di Respighi, diresse il suo spettroscopio verso le stelle. Collocando un prisma circolare davanti all'obiettivo del rifrattore di Cauchoix, esaminò gli spettri di più 4000 stelle, giungendo ad una scoperta la cui portata neppure egli stesso poté intuire. Nonostante tutte le diversità degli spettri delle singole stelle, trovò molte rassomiglianze, in base alle quali poté raggruppare le stelle, secondo i loro spettri, in quattro classi. per questa scoperta il padre Secchi è considerato il padre della classificazione degli spettri stellari: questa infatti si è rivelata strumento potentissimo per le ricerche sull'origine e la struttura dei sistemi stellari. La vita del padre Secchi subì un brusco mutamento a seguito dell'occupazione di Roma nel 1870. Nel 1873 il Collegio Romano con l'osservatorio furono espropriati e dichiarati proprietà dello Stato Italiano, però, in seguito alle proteste del padre Secchi, l'Osservatorio, col suo personale, restò alla Santa Sede. Il trattamento di riguardo fatto al p. Secchi non durò oltre la sua morte avvenuta il 26 febbraio 1878.1 Nel 1879, l'osservatorio del Collegio Romano, fu annesso al Reale Ufficio Centrale di Meteorologia.

1 Non sembra esatta tale affermazione, dal momento che il Governo Italiano decise di erigere un busto per commemorare la figura dell’illustre astronomo gesuita. A tutt’oggi si può ammirare tale busto sul punto culminante del Pincio, nel luogo dove lo stesso p. Secchi volle apporre una “mira” per il suo telescopio, affiggendo ad un albero dei tasselli bianchi e neri per mettere a punto il suo cannocchiale.

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Itinerario storico bibliografico dell'Ufficio Centrale di Ecologia Agraria Maria Carmen Beltrano, Stanislao Esposito, Luigi Iafrate

L’Ufficio Centrale di Ecologia Agraria storicamente, si configura come il depositario principale dell’eredità scientifica della tradizione meteorologica e geofisica italiana. Oltre che per le collezioni di strumenti meteorologici e sismici storici, l’UCEA si distingue in tal senso per le pregevoli raccolte di libri e periodici di meteorologia, geofisica e geologia possedute. Raccolte che sono gelosamente custodite negli ambienti dell’Ufficio adibiti a Biblioteca. La Biblioteca dell’Ufficio Centrale di Ecologia Agraria (UCEA) appare oggi come la maggiore delle raccolte italiane specializzate nelle scienze dell’atmosfera e si configura come la principale memoria storica della tradizione meteorologica e geofisica italiana dell’età moderna. Le origini del suo fondo si fanno storicamente risalire agli anni immediatamente successivi all’erezione, in seno al vasto complesso edilizio del Collegio Romano, della famosa Specola cinquecentesca dei Padri Gesuiti (1572). La Biblioteca deriva infatti dalla raccolta di scienze della Terra di quest’ultima, in seguito integrata dal fondo di meteorologia e geodinamica dell’Osservatorio Meteorologico ivi impiantato, per merito dell’abate Giuseppe Calandrelli, nel 1782. Ma perché le raccolte della Specola e dell’Osservatorio divenissero il nucleo dell’odierna Biblioteca fu necessario tuttavia attendere la sistemazione, datata al 1879, del Regio Ufficio Centrale di Meteorologia (decretato nel novembre del 1876, frutto dell’accentramento sotto un’unica direzione, dei quattro differenti Servizi di Stato a quel tempo operanti nel settore della meteorologia) nell’ala del Collegio Romano già sede dei locali dell’Osservatorio Meteorologico. La confluenza delle raccolte di meteorologia e climatologia dei Servizi appena unificati nelle collezioni della Specola e dell’Osservatorio ivi conservate segnò di fatto la nascita della Biblioteca di meteorologia e geofisica dell’Ufficio Centrale di Ecologia Agraria. D’ora in avanti la sua storia verrà esattamente ad identificarsi con quella dell’Ufficio di Meteorologia anzidetto, essendone l’UCEA l'erede ultimo. Primo esempio italiano di ente governativo deputato alla centralizzazione dei Servizi tecnici di meteorologia, l’Ufficio ha, dal 1887 e fino al 1939, altresì avuto la responsabilità del Servizio geodinamico nazionale (Regio Ufficio Centrale di Meteorologia e Geodinamica). Rilevanti furono in quel periodo gli effetti sulla Biblioteca. l’incremento del fondo di sismologia, vulcanologia e geologia della Biblioteca è stato considerevole. L’accrescimento del fondo di sismologia, vulcanologia e geologia (quello ereditato dall’Osservatorio Meteorologico, per intenderci) si palesò difatti considerevole. Ciò grazie alle diverse raccolte di libri e periodici che, dall’Italia e dall’estero, continuamente vi pervenivano. Nel frattempo, collezioni molto importanti di meteorologia (sinottica, dinamica, agraria), climatologia ed aerologia, molte delle quali a carattere periodico, affluivano alla Biblioteca da ogni parte del mondo, incrementando sempre più la sezione corrispondente. E’ da rilevare come, poco alla volta, la Biblioteca si sia arricchita di libri antichi di pregio, manoscritti originali (principalmente ottocenteschi), interessanti raccolte miscellanee, tra cui quelle

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ponderose per autore (oltre cinquanta) ed autorevoli lettere autografe di carattere scientifico (carteggi del Tacchini e del Palazzo in particolare); nonché di un fondo speciale costituito dalle pubblicazioni periodiche dell’Ufficio Centrale di Meteorologia stesso. Degno di nota è come alla vigilia del primo conflitto mondiale la Biblioteca presentasse già una configurazione molto prossima all’attuale. Ben fecondo si era in effetti rivelato l’interessamento dei primi direttori dell’UCEA (e quindi della Biblioteca stessa), Pietro Tacchini (1838-1905) e Luigi Palazzo (1861-1933), per siffatta istituzione. Acquisti, scambi con istituzioni meteorologiche e geofisiche tra le più prestigiose (al livello soprattutto internazionale), e lasciti di studiosi risultano essere i canali di cui si sarebbero entrambi avvalsi per aumentarne mano a mano la consistenza. Con il passaggio del Servizio Geodinamico alle dipendenze dell’Istituto Nazionale di Geofisica (ING), decretato nel gennaio del 1939 e istituito nel 1936, anche la corrispondente sezione della Biblioteca, fondo di geologia compreso, dovette essere in parte ceduta al nuovo ente. Va comunque evidenziato che, nonostante la cessione di parte delle sue collezioni all’Istituto Nazionale di Geofisica (art. 2 e 6 della Legge 5 gennaio 1939, n° 18), la Sezione di geofisica e geodinamica endogena della Biblioteca dell’UCEA possiede ancora libri e periodici di sismologia, vulcanologia e geologia di valore storico e scientifico elevato. Lo smembramento bibliografico che seguì con l’indirizzarsi, dagli anni Quaranta in poi, dell’Ufficio verso gli studi e le attività di agrometeorologia, impresse alla Biblioteca in parola il carattere di raccolta specializzata nelle sole scienze dell’Atmosfera ed in agrometeorologia. Una specializzazione destinata sempre più a consolidarsi in avvenire, cosicché la Biblioteca dell’UCEA appare oggi come la maggiore del genere in Italia, oltre che una delle più prestigiose al livello mondiale per la Storia della meteorologia stessa (fig. 1). Di qui la recente definizione di Biblioteca Centrale della Meteorologia Italiana1. E’ da rilevare come, poco alla volta, la Biblioteca si sia arricchita di libri antichi di pregio, tra cui cinquecentine e seicentine, manoscritti originali (principalmente ottocenteschi), interessanti raccolte miscellanee, tra cui quelle ponderose per autore (oltre cinquanta) ed autorevoli lettere autografe di carattere scientifico (carteggi del Tacchini e del Palazzo in particolare); nonché di un fondo speciale costituito dalle pubblicazioni periodiche dell’Ufficio di Meteorologia stesso, vale a dire i suoi Annali2, il Bollettino Meteorico Giornaliero e relativo Supplemento e la Rivista Meteorico-Agraria (fascicoli decadici). I testi della Biblioteca sono attualmente in fase di recupero, riordino e catalogazione informatizzata.

1Cfr. L. Iafrate, Il Mistero del tempo e del clima (a cura di S. Palmieri), Napoli, CUEN, 2000, p. 212. 2 Continuazione dal 1879 della Meteorologia Italiana, gli Annali del Regio Ufficio Centrale di Meteorologia e Geodinamica (Geofisica dal 1923) appaiono divisi in tre parti, di cui la prima, descrittiva, contiene i lavori di meteorologi e geofisici di chiara fama.

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La Biblioteca dell’Ucea Foto G. Dal Monte Frontespizi del Bollettino del Vulcanismo Italiano e di una Cinquecentina sul Terremoto

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Verso un ufficio meteorologico centrale anche in Italia? (Dai primi fermenti organizzativi alla sua istituzione governativa: Regio Decreto n° 3534 del 26 novembre 1876)

Luigi Iafrate - Ufficio Centrale di Ecologia Agraria (Collaboratore esterno)

La storia che segue nasce dal proposito di illustrare i momenti e gli aspetti più significativi della costituzione del primo ente di Stato per il coordinamento della meteorologia in Italia, il Servizio meteorologico centrale del Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio, alla luce di un approccio il più possibile critico. Non diversamente dagli altri Stati, l’Italia della prima metà dell’Ottocento vedeva le osservazioni e gli studi di meteorologia ancora appannaggio degli osservatori astronomici. Realizzate nella più completa autonomia, tali misure ed indagini apparivano per lo più circoscritte ai parametri utili all’astronomo per la determinazione delle altezze degli astri, quali la temperatura, la pressione ed il vento, al fine di spogliarle dell’effetto della rifrazione atmosferica. Agli astronomi, infatti, la meteorologia interessava essenzialmente per le possibili applicazioni ai loro studi, per cui si limitavano alle sole osservazioni di pertinenza. In altri termini, vedevano nella scienza dei fenomeni atmosferici una disciplina collaterale, o di supporto, alla propria. Di qui la necessità di istituire osservatori per soli scopi meteorologici, deputati semplicemente allo studio dei fenomeni atmosferici. Soltanto così l’atmosfera sarebbe stata regolarmente indagata in tutte le sue manifestazioni, e queste in tutta la loro estensione. Avvertita dagli stessi astronomi, se non altro dai più sensibili al problema, tra cui il celebre Francesco Carlini (Osservatorio di Brera), quest’esigenza incominciò, tra gli anni ’20 e ’30 del XIX secolo, ad essere finalmente soddisfatta, sebbene tra non poche difficoltà. Ma perché simili osservatori, con le loro misure giornaliere, giovassero all’avanzamento della meteorologia in senso rigorosamente scientifico, tale da recare al consorzio umano una qualche utilità, occorreva istituire un ente che ne curasse l’ordinamento in rete e si ponesse alla loro guida. Il Congresso degli scienziati italiani del 1839 (Pisa), il primo di una lunga serie, si rivelò l’occasione propizia per richiamare l’attenzione dei fisici al riguardo. L’idea di dare un assetto centralizzato e coordinato alle varie iniziative meteorologiche esistenti parve loro quanto mai opportuna, e pertanto nei congressi successivi, in quelli di Padova, Lucca, Milano e Napoli in special modo, ignorando ogni divisione politica interna, si procedette alla definizione di un adeguato programma di coordinamento per l’intero territorio. Il Museo di Fisica e Storia Naturale di Firenze era designato a centro comune di raccolta e di ordinamento delle osservazioni meteorologiche del Paese. Di grande attualità, l’iniziativa appare riconducibile al clima più generale di risveglio economico e culturale sperimentato in Italia, sia pure in misura modesta, a quel tempo. La mancanza negl’italiani di una coscienza meteorologica moderna e le note vicissitudini storiche del periodo impediranno tuttavia al piano di tradursi felicemente in atto; cosicché gli osservatori continuarono, di fatto, ad operare in modo del tutto indipendente fra loro. Se la costituzione di una siffatta organizzazione era dunque risultata impossibile, non mancarono però altri sforzi in tal senso, sebbene su scala più ridotta (regionale). Tra questi era quello del p. Angelo Secchi (1818-1878), una delle personalità scientifiche maggiori dell’Ottocento. Al suo nome è addirittura legato il primo esempio italiano di servizio meteorologico di moderna concezione. Assunta la direzione dell’osservatorio astronomico e meteorologico del Collegio Romano (1850), egli,

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con l'autorizzazione del ministro del Commercio dell’allora Stato Pontificio, attuò un piano coordinato di osservazioni giornaliere sincrone all’interno stesso del territorio della Chiesa. A Roma (Collegio Romano), Ancona, Bologna, Ferrara, Pesaro, Perugia e Urbino erano le stazioni principali. Provviste di telegrafo, le prime tre si scambiavano ogni giorno i dati allo scopo di trarne indizi utili per la previsione delle tempeste in loco. Il loro compito era, infatti, quello di prevederne, per quanto possibile, il passaggio sulla vicina area costiera, una volta nota l’evoluzione più probabile, così come estrapolata dal Secchi a partire dall’andamento della pressione e della temperatura in Europa. Tutto ciò al fine di allertare le autorità portuali e prevenire quindi i possibili danni alla navigazione. Operativa sin dal 20 giugno 1855, la corrispondenza telegrafica pontificia entrò nel 1857 a far parte di un’organizzazione per la previsione delle tempeste di ben più ampio respiro: il servizio meteorologico internazionale, con sede a Parigi, creato da Urbain Jean Joseph Le Verrier (1811-1877), astronomo e meteorologo francese di chiara fama. Per “circostanze affatto indipendenti dalla scienza” (cfr. Denza, 1883, p. 416), il suo periodo di attività fu però breve. Mi preme, per amor di verità, soggiungere che a suggerire al p. Secchi l’idea di una tale organizzazione sarebbe stata l’astronoma e meteorologa Caterina Fabbri-Scarpellini (1808-1873) della specola del Campidoglio (cfr. op. cit., p. 416). Al nome di Angelo Secchi è inoltre legata la pubblicazione del Bullettino Meteorologico dell’Osservatorio del Collegio Romano (1862-1879), periodico destinato a rendere di pubblico dominio i risultati delle osservazioni e gli studi di meteorologia e fisica terrestre. L’iniziativa romana fu di lì a breve seguita da un’altra parimenti importante. Di carattere privato, questa era però concepita per soli fini di climatologia. Suo artefice era un discepolo provetto del Secchi, il barnabita padre Francesco Denza.(1834-1894). Dopo aver impiantato un osservatorio meteorologico in Moncalieri, al Collegio Carlo Alberto (1859), egli si era dato pena di associare quanti in Italia, separatamente, si interessavano ai rilevamenti di meteorologia, nell’intento di coordinarne, dal punto di vista operativo, gli sforzi; contribuendo così ad agevolare l’opera di “ordinamento ufficiale” della meteorologia stessa (cfr. op. cit., p. 435). Non pochi erano gli studiosi del settore che, entusiasti dell’iniziativa, dovevano raccogliersi intorno a lui! Il risultato fu la creazione di una fitta rete di stazioni, estesa da un capo all’altro della Penisola, vale a dire dalla chiostra delle Alpi alle nostre isole maggiori di Sicilia e Sardegna (ben 140 era il loro numero nel 1879). All’impianto delle stazioni di montagna molto concorse la collaborazione del Club Alpino Italiano (CAI), con le sue sezioni locali. Nota, dal 1873, come Corrispondenza Meteorologica Italiana delle Alpi e degli Appennini, la rete del Denza recava in sé il germe della futura Società Meteorologica Italiana (1882). Anche la Corrispondenza aveva un suo periodico specializzato: il Bullettino Meteorologico dell’Osservatorio del Real Collegio Carlo Alberto in Moncalieri (1865-1880). È a questo punto evidente che, in Italia, sforzi organizzativi nel settore della meteorologia erano stati intrapresi ancor prima della sua unificazione politica, con risultati in generale stimolanti. La necessità di adeguare le osservazioni meteorologiche a standard comuni (adozione di strumenti e modalità di rilevamento uniformi), da tempo avvertita negli ambienti scientifici, finì, con l’unità d’Italia, per imporsi anche all’attenzione dei politici, e, cosa molto importante, come una delle questioni più urgenti da risolvere. Compresa l’utilità che la scienza meteorologica avrebbe recato al progresso della Nazione, attraverso i suoi principali obiettivi, quali, in particolare, la definizione dei caratteri climatici del Paese e la previsione del tempo, il nascente governo italiano si mise all’opera per dare alle osservazioni anzidette assetto unitario ed un ordinamento istituzionale centralizzato. La costituzione, in seno all’allora Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio, di una prima organizzazione meteorologica ufficiale rappresentò il primo passo concreto in tal senso. A

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promuoverla era il capo stesso del dicastero, il senatore Luigi Torelli (1810-1887), con circolare del 14 gennaio 1865. “Prezioso è il concorso che l’Italia potrebbe rendere alla migliore intelligenza della fisica terrestre, quando essa, ad imitazione di ciò che già compiesi in alcuni dei primari Stati d’Europa, avesse ad istituire numerosi osservatorii meteorologici in punti opportunamente trascelti e coordinati, che mediante il telegrafo facessero quasi istantaneamente convergere ad un centro i risultamenti delle loro indagini. Né v’è contrada che per la sua giacitura e per la sua conformazione meglio dell’Italia si presti ai diversi fini cui mira la meteorologia. Un paese infatti, che, come il nostro, si distende per oltre 11 gradi di latitudine, circondato da tre mari, fiancheggiato da numerosi gruppi d’isole, assai variamente atteggiato per rilievo e per direzione di monti, per corso d’acque, per natura di suolo e vegetazione, con terre che sono da un lato aperte alle correnti infuocate dell’Africa e dall’altro lato difese per mezzo dell’immensa muraglia delle Alpi dalle correnti nordiche, dove percorse per lungo tratto dagli Appennini che partono le correnti orientali dalle occidentali, dove spianate in una gran valle corsa da uno dei maggiori fiumi dell’Europa ed ingemmata di tiepidi laghi, che nella plaga alpina anticipano la temperia meridionale, è per la sua varietà più atto ad osservare le feconde contraddizioni […] di cielo e di clima ”. Ritratto molto poetico dei lineamenti climatici della Penisola, la citazione che precede non è che la parte introduttiva della circolare menzionata. Nelle considerazioni del ministro sull’opportunità di istituire una moderna rete di osservatori anche in Italia, sull’esempio delle nazioni europee più evolute, quali il Regno Unito, la Francia, il Belgio l’Austria e la Germania, appare, in sintesi, racchiuso il disegno di un primo servizio meteorologico governativo per il Paese. I suoi compiti dovevano essere la caratterizzazione meteo-climatica, su base scientifica, della Penisola e la formulazione di presagi (oggi previsioni) circa l’evoluzione del tempo, specie all’approssimarsi dei grandi sistemi perturbati, “non foss’altro” per “rendere”, si legge nella circolare, “utili servizi” a settori della vita del Paese quali l’agricoltura e la navigazione marittima, oltre che agli studi demografici e l’igiene pubblica.

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…….“ i dati meteorologici rilevati presso l’Ufficio Centrale Meteorologico venivano pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale”…..

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Al ministro doveva essere chiaro, così come il testo della circolare dà a intendere, che conoscenze via via più approfondite del clima italiano avrebbero trovato applicazioni utili, oltre che in ambito agricolo e nei trasporti marittimi, anche in campo medico, particolarmente nell’igiene, e nella statistica demografica, e che fondate previsioni di tempesta avrebbero, se diramate in tempo, anch’esse giovato all’agricoltura ed alla “marina mercantile” (cfr. Circolare), preservando da non pochi danni soprattutto quest’ultima. Concepito per soddisfare esigenze sia di climatologia che di previsione, tale servizio era, nel disegno del Torelli, da porre alle dirette dipendenze del suo dicastero, che era deputato all’amministrazione di attività, quali l’agricoltura, l’industria ed il commercio, direttamente influenzate dai fenomeni dell’atmosfera. Da quanto esposto si può affermare che il ministro Torelli, da uomo di grande intelletto e cultura qual era, doveva avere molto a cuore l’organizzazione, per il Paese, di un servizio meteorologico ufficiale, completo e con ordinamento centralizzato. A giudicare dallo stralcio di circolare citato, la creazione di una rete meteo adeguata doveva apparire all’uomo di Stato come il primo grande passo da compiere, sebbene non mancasse in lui la consapevolezza dell’impossibilità di riuscirvi, data la scarsa dotazione di bilancio del suo dicastero. Non pochi, del resto, erano i problemi impellenti, tra cui quelli legati alla lotta contro la malaria, che il ministro Torelli doveva affrontare, cosicché spese per l’impianto di nuovi osservatori non erano in quel momento sostenibili. La soluzione migliore da adottare, gli parve, allora, quella di ricorrere a studiosi del settore già impegnati nelle attività di rilevamento, nella prospettiva di coordinarne l'operato attraverso un ufficio centrale, da costituire presso la Direzione di Statistica del ministero: di qui l’idea ispiratrice della circolare in parola. Egli si servì della circolare per esortarli, tutti, ad inviare presso tale direzione i dati giornalieri delle osservazioni raccolte; per posta, al termine di ciascuna decade, oltre che via telegrafo qualora rilevati in condizioni di tempo particolarmente perturbato (tempeste o burrasche). Compito della Direzione di Statistica era quello di provvedere all’elaborazione (lavoro di correzione e riduzione) e confronto delle misure, alla pubblicazione, in quadri decadici e mensili, dei risultati ("Meteorologia Italiana"), alla formulazione, infine, di “pronostici” sul tempo in caso di possibili tempeste, sulla base anche dei presagi degli “osservatori esteri”. “Gli immediati raffronti” delle condizioni atmosferiche di “molti e discosti punti”, che si sarebbero fatti per fini di climatologia e meteorologia prognostica, avrebbero giovato alla scienza meteorologica “assai più dei voluminosi registri d’osservazioni” pubblicati dalle singole specole (cfr. Circolare). Ventuno furono gli studiosi, tutti a capo di proprie stazioni (cfr. Palazzo, p.5, 1911), che fin da principio, con “prontezza” e “diligenza”, come scrisse il Torelli (da Denza, p. 419), aderirono a quest’iniziativa. Ne conseguì che a meno di due mesi dall’emanazione della circolare, dal 1° marzo per la precisione, questo primo Servizio meteorologico ufficiale era già regolarmente operativo. Alla guida della Direzione di Statistica era allora il pubblicista Pietro Maestri, noto in ambito meteorologico per essere stato il braccio destro del ministro nell’organizzazione del Servizio; mentre a dirigere quest’ultimo era Giovanni Cantoni (1818-1897), scienziato ed uomo politico ad un tempo. Docente di fisica all’università di Pavia, Cantoni stabilì la sede operativa del Servizio presso l’osservatorio stesso dell’ateneo; era lì che, mediante l’uso di calcolatori, si elaboravano i dati delle osservazioni trasmesse. Circa l’attività di rilevamento, essa doveva svolgersi conformemente alle norme proposte dal meteorologo tedesco Heinrich Wilhelm Dove (1803-1879). Tre erano le ore designate per le

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osservazioni ordinarie, le 9 del mattino, le 3 del pomeriggio e le 9 della sera. Nella Circolare si raccomandava vivamente l’uso di strumenti omogenei e “comparati tra loro”. Un'organizzazione così strutturata non aveva nulla da invidiare ai servizi meteorologici centrali degli altri stati. Ma l’idea che un tale servizio facesse capo al solo dicastero dell’Agricoltura non incontrò il favore dell’altro organo di governo a quel tempo impegnato nella costituzione di una struttura analoga, il Ministero della Marina. Così, con R. Decreto n° 2235 del 9 aprile 1865, questo avocò a sé il diritto di gestire il settore del Servizio meteorologico dell’Agricoltura che più gli interessava: la sezione dei cosiddetti “presagi”. Ciò prima ancora che il dicastero dell’Agricoltura espletasse le “pratiche di franchigia” (cfr. Circolare Torelli) necessarie per porla in funzione (franchigia per l’utilizzo del telegrafo) e formalizzasse con decreto l’istituzione del Servizio stesso. Interessato alle previsioni del tempo in mare, difatti, il Ministero della Marina, aveva, l’anno precedente, incaricato il fisico (1811-1868), all’epoca ispettore generale dei telegrafi, di organizzare un servizio telegrafico per l’accentramento dei dati meteo rilevati presso le Capitanerie e la successiva diramazione degli avvisi di tempesta ai porti italiani (i principali, s’intende). La struttura del dicastero della Marina ufficialmente istituita nel 1865, o Servizio meteorologico telegrafico1, era stata opportunamente concepita per le previsioni del tempo, segnatamente delle tempeste, ad uso dei naviganti. Sebbene il Servizio fosse in principio strutturato in maniera rudimentale, esso riuscì fin d’allora ad acquisire elementi prognostici utili sulla dinamica delle perturbazioni nei cieli della Penisola. A formulare le previsioni era l'ufficio centrale del Servizio, la cui sede era a Firenze presso l’Osservatorio del Museo di Fisica e Storia Naturale, sulla base delle osservazioni della rete della Marina e dei presagi a carattere internazionale di Londra e Parigi. A fruirne erano tutte le stazioni di prima classe (ubicate nei porti principali del Regno) e le più importanti di seconda. Il Servizio incominciò a funzionare regolarmente il primo aprile del 1866, a quasi un anno dalla sua istituzione. A dirigerlo venne chiamata la persona stessa che ne aveva curata l’organizzazione, Carlo Matteucci (fig. I). L'istituzione di un servizio per i “presagi” presso il Ministero della Marina ebbe ripercussioni negative sul nascente organismo meteorologico dell’Agricoltura, limitando le competenze del Servizio alla sola climatologia e precludendo la sua organizzazione in servizio unitario. È evidente come, in Italia, la gestione della meteorologia di Stato sia stata fortemente settoriale fin da principio. Al dualismo organizzativo degl’inizi si fanno storicamente risalire le origini dell’attuale suo frazionamento in servizi indipendenti. Un’altra rete di stazioni meteorologiche, pluviometriche per l'esattezza, era l'anno dopo impiantata anche dal Ministero dei Lavori Pubblici, nelle valli e nei bacini idrografici maggiori, allo scopo di studiare le precipitazioni e l'idrografia della Penisola. Ciò nell’interesse di provvedere ad un servizio di preavviso delle piene. Operativa a quel tempo era anche una quarta rete governativa, composta dagli osservatori meteorologici annessi agl'istituti universitari e d'istruzione secondaria; questa faceva capo ad un altro dicastero ancora, il ministero della Pubblica Istruzione (allora dell’Istruzione Pubblica). Agli inizi del 1870 erano dunque quattro le istituzioni meteorologiche governative cui osservatori e stazioni facevano capo, ciascuna con modalità e tempi di rilevamento propri.

1Era questa, all’epoca, la sua denominazione corrente.

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Il Congresso degli scienziati italiani del 1875, tenutosi nel capoluogo siciliano, offrì al governo l’occasione di convocare, in seno alla sessione di scienze fisiche e matematiche, dal 30 agosto al 6 settembre, i più insigni meteorologi del Paese (commissione presieduta da Giovanni Cantoni), con l’incarico formale di predisporre un piano organico di gestione unificata delle quattro organizzazioni governative del settore. Nell'evidenziare la necessità di dare alle osservazioni ed agli studi di meteorologia un indirizzo unitario, gli scienziati dell’atmosfera esortarono gli operatori delle stazioni della Marina e dei Lavori Pubblici, nonché della Pubblica Istruzione, ad uniformarsi al “programma” di rilevamento adottato dal Servizio di meteorologia del ministero dell'Agricoltura (cfr. Palazzo, p.11), il quale, precedendo analoghe istituzioni straniere, aveva nel frattempo intrapreso anche osservazioni di carattere agrometeorologico (presso le nascenti stazioni agrarie sperimentali di Asti, Milano, Firenze, Pesaro, Roma, Caserta e Gattinara, in particolare). Ma il contributo concreto all’unificazione dei Servizi doveva venire da quel Cantoni più volte nominato. Merito soprattutto suo fu lo storico accentramento delle organizzazioni di meteorologia della Marina, dei Lavori Pubblici e della Pubblica Istruzione sotto la direzione del Servizio meteorologico del dicastero dell’Agricoltura1, in quanto unico servizio italiano che operativamente soddisfaceva agli standard di lavoro adottati dal primo Congresso meteorologico internazionale (Vienna, 1873). Lo sforzo del Cantoni -a quel tempo anche rappresentante italiano presso il Comitato meteorologico internazionale- era però destinato a non riuscire del tutto. Per quanto l'accentramento avviato si traducesse nell’assunzione da parte del Servizio meteorologico dell’Agricoltura del ruolo di Ufficio Centrale di Meteorologia (cfr. Khrgian, p. 118), formalmente decretata nel novembre 1876 (R. Decreto n° 3534), l’istituzione che ne derivò, per gli egoismi delle amministrazioni interessate, mai riuscì però a diventare un servizio meteorologico centrale veramente effettivo. Fu solo grazie a Pietro Tacchini (1838-1905), l’astronomo e geofisico che subentrò al Cantoni nella direzione del nascente Ufficio, se le stazioni dei servizi appena centralizzati, pur conservando piena autonomia, operarono per qualche tempo (fino agl'inizi del 1900) in modo sinergico e tra loro coordinato. Con l'agosto del 1880, l’Ufficio Centrale di Meteorologia appariva definitivamente costituito, e, con sede presso il Collegio Romano, dove l’anno precedente era stato trasferito2, incominciava anche ad emettere previsioni a breve scadenza. Dall'agosto 1880, infatti, con l'accentramento presso l'Ufficio anche del Servizio della Marina, le sue attribuzioni si erano estese alla preparazione delle carte sinottiche ed al lavoro di prognosi3. ***** Il Servizio meteorologico del ministero dell’Agricoltura, dal 1876 Ufficio Centrale di Meteorologia (denominazione in seguito mutata in Ufficio Centrale di Meteorologia e Geodinamica, Ufficio Centrale di Meteorologia e Geofisica, Ufficio Centrale di Meteorologia e Climatologia, Ufficio Centrale di Meteorologia e di Ecologia Agraria) vanta come discendente diretto proprio l’attuale Ufficio Centrale di Ecologia Agraria (UCEA). Compreso nel gruppo degl’istituti ed enti del nascente Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura (Decreto Legislativo 29.10.1999, n° 454),

1 Direzione, vale la pena ricordarlo, alla quale egli era da tempo preposto. 2 Con la proclamazione di Roma capitale, la sede del Servizio meteorologico del dicastero dell’Agricoltura era stata trasferita presso il ministero insieme con i calcolatori di Pavia ed il materiale scientifico pertinente. 3 Per uno studio storico approfondito dell’Ufficio Centrale di Meteorologia rimando il lettore alla pubblicazione “120° Anniversario dell’UCEA”, Speciale di “Agricoltura”, a. XLIV, n° 277, Roma, Ministero delle Risorse Agricole, Alimentari e Forestali, 1996.

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l’UCEA svolge principalmente il ruolo di Servizio agrometeorologico nazionale (istituzione finalizzata alla risoluzione dei problemi agricoli legati alle vicende del tempo).

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Ringrazio sentitamente la dott.ssa M. C. Beltrano per l’accurato lavoro di revisione della bozza e la sua disponibilità.

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