Alexandre Deleyre, Agostino Paradisi il Giovane e la polemica letteraria del 1765 sulla (presunta) decadenza dell’Italia

di Piero Venturelli (Università di Bologna)

The present article takes into exam the French-Italian literary controversy that took place in 1765 and which, despite its brief duration, revived the national sentiment in wide portion of the Italian cultured world. The dispute began in response to an anonymous Lettre, although sent by the French Alexandre Deleyre (1726-1797), published on march 1765 in the Parisian journal Gazette littéraire de l’Europe: according to the controversial Encyclopedist, eighteenth century Italy was in full moral, cultural, political and economic decadence. The Italian poet Agostino Paradisi il Giovane (1736-1783) sent to the Venetian journal «La Minerva» a very well informed anonymous Epistola. It was printed on october 1765, and is to be considered the clearest and most thoughtful response from the Italian side to Deleyre’s denounces and accusations.

Keywords: Alexandre Deleyre; Agostino Paradisi il Giovane; French-Italian literary controversy of 1765; 18th century journals; Enlightenment

PREMESSA

Nel marzo del 1765, scoppia una veemente polemica letteraria italo-francese, la quale, nonostante la sua breve durata, ha il duplice considerevole effetto di contribuire a ravvivare il sentimento nazionale all’epoca un po’ assopito in una porzione non trascurabile del mondo colto degli Stati e staterelli preunitari, e di far crescere la coscienza dell’unità culturale e morale del Bel Paese1. Occasione di codesta querelle è l’uscita, nella conosciuta rivista parigina «Gazette littéraire de l’Europe», di una dura Lettre anonima ove l’Italia viene accusata di essere ormai da tempo in piena decadenza morale, culturale, politica ed economica2; il nome dell’autore di tale testo non rimane

1 Per un inquadramento di questa polemica letteraria fra Italia e Francia (e per sapere chi vi partecipa), cfr. Bédarida, 1928, pp. 368-371; Benassi (b), 1924, pp. 64-80; Venturi, 1962, pp. 721-723; Venturi, 1965b, pp. 804-810. 2 Posizioni analoghe vengono avanzate più volte nel corso del Settecento e dell’Ottocento, specie da stranieri: per una prima panoramica, cfr. Verga, 2002; Verga, 2009; Verga, 2011; Verga, 2013. Uno dei momenti più significativi del dibattito sulla decadenza ovvero non decadenza dell’Italia durante l’Età Moderna si ha all’inizio del XVIII secolo, in occasione della cosiddetta “polemica Orsi-Bouhours”, sulla quale vedi nota 47. Non tutti gli autori forestieri, però, criticano il Bel Paese: all’epoca a cui risale la polemica letteraria della quale stiamo per parlare, accanto alle valutazioni di Samuel Sharp, che manda alle stampe un travel book cordialmente infamante contro l’Italia (il celebre chirurgo inglese la percorre a cavallo tra la fine del 1765 e l’inizio del 1766, per poi pubblicare, circa sei mesi dopo essere tornato in patria, Sharp, 1766), libro che suscita una recisa confutazione di Giuseppe Baretti (cfr. Baretti, 1768 [poi, Baretti, 1769] e – soprattutto, per delucidazioni e approfondimenti contenuti nella prefazione e nel commento – Baretti, 2003), è possibile rinvenire giudizi alquanto meno pessimistici in diversi luoghi di scritti pubblicati da viaggiatori

1 celato a lungo: si tratta del philosophe Alexandre Deleyre, che in quel periodo è ospite presso la Corte ducale di Parma. Tra le prese di posizione avanzate dagli autori italiani contro suddetta Lettre, le più lucide e ragionevoli sono senza dubbio quelle del poeta emiliano Agostino Paradisi il Giovane, allora residente a Reggio (seconda città del Ducato estense di Modena), in un’Epistola che egli firma con le iniziali del suo nome e del suo cognome, e che fa pubblicare in un importante giornale veneziano, «La Minerva». Desideriamo riservare le pagine seguenti dapprima a Deleyre e a Paradisi, e poi ai giudizi e alle accuse che questi due personaggi formulano nell’ambito della disputa che li vede schierati su fronti opposti.

1. I DUE CONTENDENTI

1.1. Alexandre Deleyre

Alexandre Deleyre nasce il 5 o il 10 gennaio 1726 in Francia, e precisamente a Portets, paesino della Gironda a pochi chilometri da Bordeaux3. Dapprima gesuita, abbandona la Compagnia ed entra in contatto con il concittadino , che lo aiuta ad accedere a prestigiosi salons e clubs parigini (1748). Nella capitale francese, stretta amicizia con Jean-Jacques Rousseau, , Jean-Baptiste Le Rond d’Alembert e Paul-Henri Thiry d’Holbach, si fa presto notare come uno degli intellettuali più estremisti ed intransigenti della nuova generazione. Deleyre collabora con l’Encyclopédie, e sue sono le importanti e fortunate voci Épingle e Fanatisme, apparse – rispettivamente – nel volume V (1755) e nel volume VI (1756). Dalla lettura della prima, Adam Smith trarrà, nel 1776, l’esempio della fabbricazione degli spilli per mostrare la fondamentale rilevanza della divisione del lavoro nel mondo della produzione (An Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of Nations, libro I, cap. 1)4, e seguirà passo passo, riassumendolo e commentandolo, il testo dell’article dell’autore bordolese. Di Fanatisme, invece, si servirà ampiamente Voltaire nella voce omonima della sua progettata opera dal titolo L’Opinion par alphabet, i cui materiali rimasti manoscritti saranno per la prima volta pubblicati – postumi – nel 1784 all’interno delle Œuvres complètes di Kehl5. A ventinove anni d’età, nel 1755, Deleyre manda alle stampe tre tometti dal titolo complessivo di Analyse de la philosophie du chancelier François Bacon6, contribuendo a rafforzare l’immagine del pensatore britannico quale esimio antesignano del movimento illuminista tracciata un quadriennio prima da d’Alembert nel suo celebre Discours préliminaire dell’Encyclopédie. Tale opera del giovane bordolese ha una notevole diffusione e, un lustro più tardi, verrà tradotta in lingua russa. Nel 1756 Deleyre partecipa alla redazione di un volume scritto a più mani, La revue des feuilles de Mr. Fréron; di suo pugno è l’Analyse de quelques bons ouvrages philosophiques, précédée de réflexions sur la critique, ove sottopone ad esame – fra l’altro – il rousseauiano Discours sur

francesi come lo storico e uomo di lettere Pierre-Jean Grosley, importante Enciclopedista, e l’astronomo Joseph-Jérôme Lefrançois de Lalande. Del primo, allora freschissimo visitatore della Penisola, si veda Grosley, 1764; qui, per esempio, nel vol. I, p. 121 (ove si sta parlando di Milano), è dato leggere: «En général, le goût des études solides gagne beaucoup en Italie. Je trouvois à toute heure les bibliothéques publiques et particulières remplies des gens qui lisoient & fasoient des extraits. Plusieurs donnent avec succès dans les hautes sciences». Del secondo, che visita il Bel Paese nel 1765- 1766, cfr. Lalande, 1769 (all’opera sono dedicate sia alcune considerazioni, significative anche nel nostro ambito di discorso, in Venturi, 1973, pp. 1061-1064, sia una contestualizzazione e un’approfondita analisi, in Cecere, 2013). 3 Su questo personaggio, si vedano Aletto, 1978; Bédarida, 1928, pp. 364-376; Benassi (b), 1924, pp. 63-83; Labriolle, 1999; Shackleton, 1961, pp. 187 e 391-392; Venturi, 1962, pp. 721-722; Venturi, 1965b; Venturi, 1970, pp. 99-104; Wilson, 1957, pp. 235-236, 299, 300, 303, 307, 313 e 317-321. 4 Intorno al debito contratto da Smith nei confronti di Deleyre, cfr. Aletto, 1978, p. 79; Finzi, 2015, p. 199, nota 125; Venturi, 1965b, p. 794; Venturi, 1970, p. 99; Wilson, 1957, p. 236. 5 Vedi [D. Felice - R. Campi,] Tavola delle voci, in Voltaire, 2013, p. 3065. 6 Su Deleyre interprete di Bacone, cfr. Aletto, 1978, pp. 61 e 68-78; Venturi, 1965b, pp. 793-794.

2 l’origine de l’inégalité (1755) e contesta l’aspetto moralistico del pessimismo dell’autore ginevrino in nome della fiducia nella felicità e del fecondo intervento umano sulla realtà. Nel settembre dello stesso anno, egli diventa direttore del «Journal étranger», prestigiosa rivista mensile di carattere letterario pubblicata a Parigi dall’aprile 1754 al settembre 1762, prendendo il posto dell’acerrimo nemico del “partito enciclopedico” Élie Catherine Fréron, e cerca di conferire al foglio un tono “filosofico” sia nella scelta dei collaboratori sia nel rafforzamento del carattere cosmopolitico; si dimette dalla carica – a quanto pare – solo sei mesi più tardi, riconoscendosi incapace di rendere la rivista lo strumento europeo dell’enciclopedismo francese. Tre anni dopo la scomparsa del suo più illustre conterraneo, il quale – come detto – si era generosamente adoperato perché il giovane provinciale cominciasse a farsi conoscere nella capitale francese, Deleyre sente il dovere di consacrargli il volume Le génie de Montesquieu (1758), antologia degli scritti di quest’ultimo (i testi presentati, peraltro, provengono quasi tutti da De l’Esprit des lois [1748]). Trasferitosi a Liegi, entra subito a far parte della redazione del «Journal encyclopédique», quindicinale letterario fondato nel 1756; in tale rivista, appare – a puntate, partendo dal 1° agosto 1758 – un’ampia recensione anonima alle opere montesquieuiane, contributo la cui paternità risulta ancor oggi incerta, anche se ci sono molte probabilità che a vergarlo sia stato proprio l’ex gesuita. In quello stesso anno, Deleyre invia a Diderot il manoscritto di Le Père de famille, cioè la propria traduzione in francese della commedia goldoniana Il padre di famiglia (precisamente, della sua seconda edizione, pubblicata nel 1754). L’amico, d’accordo con Friedrich Melchior Grimm e senza avvisare il philosophe di Portets, decide di mandare alle stampe codesta traduzione e di lasciarla anonima (1758). Di fronte a siffatto modo di procedere di Diderot, l’ex gesuita interrompe ogni rapporto con lui. Risalgono probabilmente a questo periodo alcune sue romanze, che saranno in seguito messe in musica da Rousseau. Dopo aver ricoperto per alcuni mesi la carica di segretario dell’Ambasciata di Francia a Vienna, il 30 dicembre 1760 l’ormai trentacinquenne Deleyre giunge a Parma: è stato chiamato a quella Corte, che all’epoca costituisce senza dubbio il centro più brillante di cultura francese esistente a sud delle Alpi7, allo scopo di collaborare alla formazione del ragazzino don Ferdinando di Borbone, l’erede al trono, sotto la supervisione di Étienne Bonnot de Condillac, il quale ha appena messo a punto per il rampollo dei signori del Ducato un innovativo progetto pedagogico, finalizzato a coniugare filosofia e potere8. Trascorso poco tempo dal suo arrivo in Italia, l’ex gesuita fa uscire L’Esprit de Saint-Evremont (1761), ricca antologia delle opere dello scrittore francese Charles de Marguetel de Saint-Denis de Saint-Évremond. Durante la lunga permanenza presso la Corte parmense, Deleyre ricopre il ruolo di bibliotecario privato del sovrano Filippo e prepara alcune sintesi storiche destinate all’istruzione del principino, ma – a quanto è dato sapere – di esse Condillac preferisce non avvalersi. Le notorie posizioni radicali e i comportamenti anticonformisti dell’Enciclopedista bordolese (il quale ha fama – tutt’altro che immotivata – di ateo, e c’è chi lo accusa di non aver voluto far battezzare uno dei tre figli avuti dalla donna che ha sposato nel 1760) finiscono con il cagionarne l’irrevocabile allontanamento dal Ducato nel 1768. Nel corso del suo soggiorno nella Parma borbonica ove, sotto l’egida del potente ministro d’origine francese Léon Guillaume du Tillot, stanno operando anche i connazionali Auguste Guy Guinement de Keralio (letterato ed ex militare), François Jacquier (illustre scienziato) e Condillac (insigne filosofo, dianzi citato), nonché il dottissimo e intraprendente teatino torinese Paolo Maria

7 Su questo, cfr. Bédarida, 1928; Benassi (b), 1924, pp. 56-63. 8 Tutto ciò verrà poi presentato per iscritto dallo stesso Condillac in un organico Cours d’études. Per approfondimenti sulla composizione e sulle vicende editoriali di quest’ultimo, così come per un esame dettagliato intorno al modello educativo proposto dal filosofo francese, si vedano Bédarida, 1928, pp. 412 e segg.; Biondi, 2005; Dal Pra, 1969; Guerci, 1966; Guerci, 1978.

3

Paciaudi, Deleyre – ne abbiamo accennato nella Premessa e ce ne occuperemo approfonditamente nel § 2.1 – invia una sferzante epistola alla «Gazette littéraire de l’Europe», stimato e diffuso foglio culturale parigino che si presenta quale erede del «Journal étranger»: il testo appare, in forma anonima (scelta tutt’altro che inconsueta, nei fogli coevi), nel marzo 1765. In questo contributo, come si vedrà più avanti (§ 2.1), l’Enciclopedista di Portets descrive in maniera molto negativa l’Italia e la esorta a adottare con urgenza vigorose riforme capaci di farla tornare protagonista sulla scena internazionale. Subito scoppia la veemente polemica letteraria che abbiamo assunto quale oggetto di studio nel presente contributo. Tornato a Parigi, l’ex gesuita compone il volume XIX della Continuation de l’Histoire générale des voyages (1770), dedicato alla descrizione di avventure accadute nelle terre polari. Inoltre, egli riserva al mondo coloniale e soprattutto ai problemi sociali e politici dell’Europa (immensa arena, quest’ultima, dove da secoli gli paiono fronteggiarsi libertà e tirannia) un’appendice – il libro XIX – al volume VII dell’edizione dell’Aia, uscita nel 1774, dell’Histoire philosophique et politique des établissements et du commerce des Européens dans les deux Indes, opera monumentale – e, a quel tempo, di grande successo – dell’abate Guillaume-Thomas-François Raynal; il contributo di Deleyre viene ristampato a parte, lo stesso anno e in forma anonima, con il titolo di Tableau de l’Europe pour servir de supplément à l’histoire philosophique et politique des établissements et du commerce des Européens dans les deux Indes. Risale a questo periodo il suo saggio Idées sur la corruption morale de la langue française, nel quale domina l’auspicio di vedere presto comparire una forza nuova capace di ridare intensità e profondità ai valori umani più elementari ed essenziali, e dunque in grado di sradicare i mali e i vizi peggiori della società; il testo verrà pubblicato postumo, nel 1804. Nel 1777 manda alle stampe la biografia del noto chimico Augustin Roux (Éloge de M. Roux), suo amico di lunghissima data. Dopo due lustri di pressoché assoluto silenzio, lo si ritrova – sessantatreenne – a , dapprima impegnato con altri a preparare le elezioni agli Stati Generali, e subito dopo partigiano entusiasta della Rivoluzione all’interno dei circoli di quella città. Eletto deputato della Gironda alla Convenzione Nazionale, decide poi di sedere sui banchi della Montagna; vota a favore dell’esecuzione capitale del re Luigi XVI e, nel suo principale intervento alla Convenzione (tenuto nel 1793 e intitolato Idées sur l’éducation nationale), avanza idee che ispirano la nascita dell’École Normale, istituzione della quale egli – ormai settantenne – diventa uno dei due commissari. Muore a Parigi il 10 marzo 1797.

1.2. Agostino Paradisi il Giovane

Agostino Paradisi il Giovane (o iunior, o juniore) nasce il 26 aprile 1736 all’interno della rocca di Vignola9. Suo padre è Giammaria (o Gian Maria, o Giovanni Maria)10, nato in un borgo

9 Per approfondimenti su vita, opere e idee di questo personaggio, cfr. Alfieri, 1988, pp. 122-155 (testo) e 165-168 (riferimenti bibliografici in appendice); Alfieri, 1998; Alfieri, 2006; Armani, 2005b, pp. 41 e 43-53 (testo), e pp. 59-62 (relative note); Armani, 2005c; Balletti, 2008, pp. 18-24 (testo) e 143 (relative note); Barigazzi, 1983; Bianchini, 1988, pp. 61-68; Cafisse, 1988; Cagnoli, 1827 (poi, Cagnoli, 1830); Calore, 1986b; Cardosi, 1905-1908; Carducci, 1871, pp. XVII-XXXIII; Cavatorti, 1907; Cavicchi, 1980, pp. 127-128; Cerruti, 1986a; Croce, 1946, pp. 41-43 (poi, Croce, 1949, pp. 356-359); Dattero, 2014; Davoli, 1980; Donati (a), 1935, pp. 60-62 e 72; D’Orrico, 1980, pp. 228-233; Fido, 1998, pp. 545-547; Graziani, 1893a, pp. 484-488 (corrispondente a Graziani, 1893b, pp. 60-64); Intra, 1884-1885; Lari, 1937; Montaguti, 1983; Pigozzi, 1980, pp. 171-172; Predari, 1839; Reinert, 2010; Ricca Salerno, 1894; Rizzo, 1931, pp. 109- 111 e 186-188; Romano Cervone, 1975, specie pp. 72-99; Rombaldi, 1982; Rother, 2004, pp. 140-146 (testo) e 156-158 (relative note); Schedoni, 1789; Spaggiari, 1990; Tamassia, 1988; Tiraboschi, 1783; Tiraboschi, 1786, pp. 157-158; Turchi, 1985 (poi, Turchi, 1986); Vecchi, 1956; Venturelli, 2013; Venturelli, 2014; Venturelli, 2017; Venturi, 1962. Altri contributi su Agostino Paradisi il Giovane sono elencati nella bibliografia di Venturelli, 2014.

4 dell’Appennino Umbro-Marchigiano, Visso (al tempo, territorio appartenente allo Stato della Chiesa), ex abate e, da due anni, governatore generale e vice-marchese di Vignola in nome e per conto della famiglia Boncompagni Ludovisi, subfeudataria della casata estense, la quale ultima regge il Ducato di Modena; sua madre è Teresa Castaldi (o Gastaldi)11, figlia di Federico, un alto magistrato originario della Repubblica di Genova (e precisamente, del borgo di Rezzo) che in quel periodo sta ricoprendo la carica di uditore della Ruota a Bologna. Giammaria, alla nascita del figlio, è ricchissimo: ha infatti da pochi mesi ereditato quasi tutte le ingenti fortune del celebre zio paterno, anch’egli di nome Agostino, deceduto a Modena il 15 marzo 173512. Ad appena dodici mesi di vita, Agostino il Giovane lascia la città natale per la morte del padre, e si trasferisce – insieme con la madre, la sorella neonata Maria Francesca13 e il tutore don Fortunato Altimani, di Vignola – a Reggio Emilia (al tempo, chiamata ora Reggio di Modena, ora Reggio di Lombardia), trovandosi in quella città e nelle zone limitrofe gran parte dei beni che Giammaria ha ereditato dallo zio; va ad abitare in via Gabbi, a poca distanza dall’ampia chiesa di San Domenico. Paradisi si considererà sempre Reggiano e con questa qualifica firmerà spesso opere a stampa e manoscritte; e tale, non di rado, si definirà esplicitamente anche nella corrispondenza epistolare. Nel secondo centro del Ducato estense, egli trascorre pressoché tutta la fanciullezza. Compiuti gli undici anni d’età14, Paradisi viene mandato a Roma per frequentare il Collegio Nazareno, retto dagli scolopi, celebre e prestigioso vivaio di giovani dove le lettere sono viste come elemento unificatore di una nazione divisa in tanti Stati e staterelli15. Nelle classi dell’Istituto, vengono impartiti una rigorosa educazione classica e umanistica (si studiano approfonditamente lingue e letterature greca, latina ed italiana, retorica, grammatica, mitologia, storia, filosofia, diritto, geografia ecc.), e insegnamenti finalizzati a dar conto delle nuove conquiste dello spirito umano (i corsi di fisica e di astronomia, per esempio, affrontano argomenti “moderni” come il sistema copernicano, le osservazioni e il metodo galileiani, le teorie newtoniane e così via). In tale contesto, l’adolescente Paradisi coltiva con assiduità le lettere e, molto presto, inizia a comporre un gran

10 Giammaria, in Cavatorti, 1907, pp. 78-79; in Donati (b), 1990, si oscilla tra la forma Giovanni Maria (p. 351 e nota 17, e p. 352) e la forma Gian Maria (p. 351, nota 17, e p. 352, nota 19); Giovanni Maria, in Galli, 2007, pp. 134 e 224; Gian Maria, in Vannucci, 1930, p. 256, nota 16. 11 Castaldi, in Cavatorti, 1907, p. 78; Gastaldi, in Vannucci, 1930, p. 256, nota 16. Meno probabile è la forma Gestaldi (ovvero, Gostaldi), in Galli, 2007, p. 134 e nota 162. 12 Agostino Paradisi il Vecchio (o senior, o seniore, ma conosciuto anche come Taddeo Agostino Paradisi), nato nel 1655 a Civita Castellana (cittadina del Viterbese facente allora parte dello Stato della Chiesa), è un celebre giureconsulto e politico che trascorre gli ultimi venticinque anni di vita al servizio del duca estense Rinaldo I; grande notorietà internazionale gli dà l’Ateneo dell’uomo nobile, una sterminata opera erudita che però rimane incompiuta (infatti, ne escono soltanto i primi 5 tomi in folio, sui 10 previsti, dal 1704 al 1731, tomi poi ristampati postumi, nel 1740, in versione leggermente ridotta) e che, nelle sue intenzioni, avrebbe dovuto affrontare tutte le questioni concernenti la storia, l’etica, le funzioni, le prerogative e i segni di riconoscimento del patriziato. Per approfondimenti su vita, opere e idee di questo personaggio, cfr. Barigazzi, 1990; Barigazzi, 1993-1994; Cavatorti, 1907, pp. 73-78; Donati (b), 1988, pp. 300-303 (testo) e 313 (relative note); Donati (b), 1990. Si rimane ancora increduli e sconcertati di fronte all’assenza, in una pubblicazione del prestigio del Dizionario biografico degli Italiani (a cura dell’Istituto della Enciclopedia italiana), di una voce riservata a tale importante figura, nel Settecento famosa in tutta Europa. 13 In Cavatorti, 1907, c’è oscillazione tra la forma Francesca Maria (p. 79) e la forma Maria Francesca (p. 84); Maria Francesca Giovanna, in Galli, 2007, p. 135. 14 Il suo ingresso come convittore nell’Istituto avviene, per la precisione, la sera del 19 novembre 1747 (cfr. Vannucci, 1930, p. 256, nota 16). 15 Sul Collegio Nazareno, fondato a Roma il 1° gennaio 1630, cfr. Cavatorti, 1907, pp. 80-82; Leonetti, 1882; Vannucci, 1930. Alcuni anni prima di Paradisi, sono stati allievi del Nazareno – tra gli altri – Francesco Algarotti (nel 1724-1725) e Pietro Verri (nel 1744-1745): si fa riferimento ad entrambi (e pure a Paradisi), come convittori diventati poi illustri per dottrina, in Leonetti, 1882, p. 244, e in Vannucci, pp. 242 (testo) e 256 (relative note); in Vannucci, 1930, sono riportate le immagini dei ritratti a olio, esposti nella pinacoteca del Collegio, di Algarotti (p. 240) e di Verri (p. 241), entrambi raffigurati in età matura (a p. 242, si trova la riproduzione del ritratto a olio di Paradisi, anch’egli effigiato in età matura). Inoltre, un accenno alla permanenza al Nazareno di Algarotti è in Bonora, 1960, p. 356, mentre su quella di Verri ci si sofferma nel dettaglio in Capra, 2002, pp. 81-87.

5 numero di versi latini e italiani. Inoltre, insieme con gli altri convittori, non manca di prendere parte alle recite organizzate nel teatrino del Collegio. L’Istituto romano ospita una vera e propria «Colonia arcadica», detta Incolta16. Per Paradisi, al principio degli anni Cinquanta, ha inizio ufficialmente l’esperienza d’Arcadia: potendo fregiarsi del titolo di «pastor arcade» (attribuito ad entrambi gli studenti scelti per rappresentare il Collegio nel ceto d’Arcadia) e assunto il nome di «Falimbo Tilangense», egli rivolge il proprio gusto al modello grande e solenne di Vincenzo Filicaia e Alessandro Guidi, avviando così un operoso cammino letterario che lo porterà a divenire il maggior «poeta-filosofo» italiano del suo tempo, l’indiscusso capofila dei versificatori «oraziani» estensi, un apprezzato autore di odi sacre (ben conosciute da Alessandro Manzoni) e un importante animatore della vita intellettuale e teatrale a Reggio, città dove è di nuovo documentato a partire dall’inizio del 175317 e dove si segnala ben presto come vice-custode della locale «Colonia arcadica» (battezzata Crostolia) e soprattutto come uno dei protagonisti, con l’appellativo di «Epitideo», della feconda attività dell’Accademia degli Ipocondriaci (iscrittovisi il 15 febbraio 1753, il 17 dicembre 1757 ne è eletto segretario perpetuo)18.

16 L’Accademia degli Incolti, istituita il 10 dicembre 1658, viene dichiarata a tutti gli effetti Colonia arcadica nel 1741, anche se già dal 1718 si scelgono periodicamente dal numero dei propri membri due giovinetti che, decorati del titolo e diploma di «pastori arcadi», sono chiamati a rappresentare il Collegio Nazareno nel ceto d’Arcadia. Nello stemma accademico, dominano i contrasti: è perfettamente riconoscibile, fra l’altro, un giardino incolto con due fontane, sotto un cielo per metà sereno e con il sole splendente, e per metà tempestoso; la leggenda intorno recita: Inculti prosperabuntur. A proposito di quest’Accademia, cfr. Cavatorti, 1907, p. 81; Leonetti, 1882, pp. 42-45, 76-79 e 223- 226; Vannucci, 1930, pp. 113-115 (testo) e 127-128 (relative note). 17 Infatti, «[a] dì 27 dicembre 1752 ammalata gravemente la signora di lui madre vien richiamato alla casa» (questo passo, tratto dai registri del Collegio, è riportato in Vannucci, 1930, p. 256, nota 16). In Cavatorti, 1907, p. 84, si parla di una partenza di Paradisi da Roma, di un suo arrivo a Reggio e della morte della madre come fatti avvenuti, rispettivamente, il 27 dicembre 1753, l’11 gennaio e il 29 marzo 1754, ma si tratta di refusi: le tre date vanno anticipate di un anno esatto. 18 L’Accademia degli Ipocondriaci è istituita ufficialmente il 1° maggio 1747 da otto ventenni votati alle belle lettere e desiderosi di svagarsi in maniera intelligente e conviviale: Francesco Azimondi, che prende il nome di «Eumetabolo»; Giampatrizio Cagnoli, «Erigmatide»; Francesco Delia, «Chezone»; Paolo Gattinari, «Ipolipero»; Michele Mellini, «Eucrasio»; Giacomo Regnani, «Metistico»; Gioseffo (o Giuseppe) Ritorni, «Memfimerunte»; Bartolomeo Salandri, «Crotalo». Costoro, autodefinitisi «maninconosi ed onorandi Messeri», sono guidati da Ritorni e adottano come proprio emblema il dio Saturno, sotto la cui effigie viene apposto il seguente verso: «Seconda l’affezion che a dir ci sprona» (risulta frutto della lieve modifica del verso 119 del canto XX del Purgatorio dantesco: «secondo l’affezion ch’a dir ci sprona»). All’atto dell’ammissione all’Accademia, il prescelto assume in forma esclusiva un nome estratto da un’urna contenente tutti gli attributi (tratti dalla lingua greca) che indicano gli aspetti peculiari dell’«ipocondria». Nel giro di alcuni mesi, il numero dei membri di tale istituzione si accresce notevolmente; ne entrano a far parte, fra gli altri, l’ormai anziano Lodovico Antonio Muratori («Enciclopedio») e un potente diplomatico e famoso letterato e attore tragico, il marchese reggiano Alfonso Vincenzo Fontanelli («Cariento»), nonché il giovane poeta – pure lui reggiano, e destinato a una vasta celebrità – Pellegrino Salandri («Eudemone»), fratello di Bartolomeo. Nel 1750 gli Ipocondriaci cominciano a godere della protezione del duca Francesco III. All’inizio della sua attività, l’Accademia si fa notare come associazione eminentemente letteraria (dedita, invero, soprattutto ai divertissements), ma non tarda molto una significativa “apertura” a temi morali, storici, religiosi e – dietro l’impulso, in special modo, di nuovi iscritti dotati di strapotente ingegno, come Bonaventura Corti («Pantolmo») e Lazzaro Spallanzani («Evergo») – anche scientifici. I suoi primi quattro lustri di vita sono senza dubbio i più floridi (con l’acme, senza dubbio, tra il 1754 e il 1763), e nel 1757 – allorché fissa la propria sede nel Palazzo del Collegio (le adunanze si tengono nella Cappella), ove del resto si trova pure quella dell’Università – si contano già oltre quattrocento membri: se la maggioranza di essi dimora – com’è facile intuire – a Reggio o a Modena, non sono pochi quelli che risiedono fuori del Ducato estense. Accademia e Studium appaiono indissolubilmente legati, anche perché moltissimi letterati e scienziati della città di Ariosto vivono d’insegnamento. È soprattutto per questo motivo che l’attività degli Ipocondriaci, già in evidente declino almeno dal 1766, subisce un vero e proprio tracollo all’indomani della chiusura dell’Ateneo di Reggio (1772), per poi estinguersi completamente con la calata delle truppe napoleoniche in Italia. I tentativi di far risorgere l’istituzione, dapprima nel 1811 e poi nel 1814, così come la proposta di trasformarla in «Regia Accademia Reggiana di Scienze, Lettere ed Arti» (1819), non danno i risultati attesi: né allora né in seguito, comunque, viene emesso alcun decreto che ne sancisca ufficialmente l’abolizione. Sulla storia e le caratteristiche di quest’importante aggregazione culturale, cfr. Cagnoli, 1839 (l’autore di tale pubblicazione, il combattivo e poliedrico uomo di lettere Luigi Cagnoli, modenese di nascita ma reggiano d’adozione, è l’ultimo segretario dell’Accademia, all’interno della quale figura con l’appellativo di

6

Nel Ducato di Modena, al pari che in buona parte del resto d’Italia, questi sono gli anni in cui le idee illuministe stanno cominciando ad influenzare sempre di più le persone di cultura. Il 16 novembre 1758 Paradisi sposa Massimilla Prini, che appartiene a una nobile famiglia reggiana impoverita e che è assai versata nelle lettere (specie nella poesia), onde verrà aggregata, con il nome di «Aglauro», all’Accademia degli Ipocondriaci19. In questo periodo, egli inizia a frequentare abbastanza assiduamente circoli intellettuali felsinei, legandosi soprattutto all’Accademia degli Indomiti, guidata dal celeberrimo poligrafo Francesco Algarotti, il quale si dimostra sempre prodigo di esortazioni e consigli nei confronti del nostro autore, e non esita a mettergli a disposizione la sua sceltissima rete di contatti con valenti uomini di cultura europei (compreso Voltaire). Uno dei vertici dell’attività poetica di Paradisi è costituito dalla raccolta Versi sciolti, apparsa a Bologna nel 1762: la nobile fierezza dei componimenti lì contenuti rappresenta un’attestazione mirabile di severa classica armonia; la rara purezza di quella lingua poetica, educata dalla lettura di Orazio e Lucrezio, è ugualmente lontana dalla discorsività e dalla pateticità, e corrisponde bene all’equilibrio di una cultura non superficiale che nella fiducia illuministica nel sapere trova la propria misura etica ed estetica. L’opera ottiene subito un certo successo e la sua fama cresce con il declinare del secolo (fra l’altro, ne uscirà un’edizione postuma, nel 1795, a Genova), arrivando ad influenzare anche illustri poeti della generazione successiva a quella di Paradisi, come Vincenzo Monti. Al letterato residente a Reggio, inoltre, si debbono sia uno sforzo ad amplissimo respiro finalizzato a rinnovare il gusto teatrale italiano e a mettere al centro un’idea del teatro come strumento per l’educazione filosofico-morale della società sia uno dei primi seri tentativi di promuovere la maturazione di uno stile e di un metro, nonché di una tradizione recitativa del verso, idonei a creare un teatro tragico nazionale in lingua italiana. In buona misura, questi suoi propositi sono condivisi dall’estroso marchese felsineo Francesco Albergati Capacelli, ricco ed instancabile “teatromane”; i due personaggi stringono presto amicizia e portano avanti per alcuni anni una feconda collaborazione, la quale dà importanti frutti anche nel teatro privato che il nobiluomo ha fondato nel 1754 all’interno della sua meravigliosa villa di Zola Predosa, nella campagna bolognese20. Per conseguire i propri obiettivi di riforma, Paradisi – specialmente nel contesto reggiano21 – si dedica a rinnovare i “cartelloni” teatrali e, di fronte alla carenza di attori in grado di recitare

«Episemo»; si tratta, peraltro, di un personaggio che ha un ruolo fondamentale per ciò che riguarda il recupero e la diffusione delle opere di Paradisi, in quanto raccoglie parecchi suoi autografi – passati, poi, al bibliofilo Giuseppe Turri e, da questi, alla BAP – e promuove la pubblicazione e la ripubblicazione di un gran numero di testi dell’intellettuale settecentesco); Cavatorti, 1907, pp. 33-67 (questa parte, che qui costituisce il cap. II, risulta già uscita in altra sede nel 1903); Cipolli, 1998, pp. 37-44. Va comunque tenuto presente che non è possibile dare un giudizio critico approfondito sull’effettivo valore delle innumerevoli dissertazioni pronunciate nel suo seno, in quanto sono purtroppo poche – e non di rado, semplici abbozzi – quelle giunte fino a noi (notizie sugli interventi di Paradisi sono contenute in Venturelli, 2014, § 1736-1758: nascita a Vignola, infanzia a Reggio Emilia, formazione a Roma e giovane letterato a Reggio e a Bologna, intorno a metà del testo e relative note 7 e 8). 19 A proposito di Massimilla Prini e dei suoi ascendenti (tra i quali figura Ludovico Ariosto), cfr. soprattutto Cavatorti, 1907, pp. 114-117; ma vedi anche Anonimo, 1941. Nelle Carte Paradisi della BEU, si trovano sue poesie manoscritte, compreso un fascicoletto che accoglie nove sonetti in morte del marito: per la descrizione di questi materiali, cfr. Catalogo, 1907, p. 30 (secondo l’attuale catalogazione, questi versi si trovano nei numeri 15, 16, 17 e 18 della busta VI; il fascicoletto con i nove sonetti è nel numero 15). 20 Per approfondimenti su questo personaggio, pure in rapporto a Paradisi, si vedano soprattutto Masi, 1857; Mattioda, 1993. Vanno comunque presi in considerazione anche Calore, 1990, pp. 377 (testo) e 383 (relativa nota 15); Casini- Ropa - Calore - Guccini - Valenti (a cura di), 1986 (specie Calore, 1986a e Calore, 1986c); Cavatorti, 1907, pp. 138- 139, 148, 243, 250, 262 e segg.; Cerruti, 1986b; Turchi, 1985 (poi, Turchi, 1986). A proposito della magnifica dimora degli Albergati a Zola, risalente alla seconda metà del Seicento e senza dubbio la più grandiosa dell’intero contado felsineo, vedi Cuppini-Matteucci, 1969, pp. 48-53 (Cuppini) e pp. 89-90 (Matteucci). 21 Va tenuto presente che, all’inizio degli anni Cinquanta, il duca di Modena Francesco III stringe una forte alleanza con l’imperatrice Maria Teresa e che, in seguito, sceglie di trascorrere lunghissimi periodi nella Lombardia austriaca,

7 tragedie, contribuisce alla nascita e all’istruzione di compagnie di dilettanti. In più, egli caldeggia la pubblicazione, in tre eleganti volumi, di una Scelta di alcune eccellenti tragedie francesi tradotte in verso sciolto (1764-1768); nell’ambito di quest’opera, che concorre ad aprire la strada alle esperienze alfieriane22, è lo stesso poeta emiliano a fare la “parte del leone”, tanto come traduttore (di testi di Voltaire, Prosper Jolyot de Crébillon e Pierre Corneille) quanto come autore di una tragedia originale in lingua italiana (Gli Epitidi): in entrambi i casi, ammiratissimi dai contemporanei sono l’appropriatezza del copioso lessico e la forma nitida e signorile dei suoi versi. In quel periodo, le traduzioni di Paradisi vengono utilizzate per rappresentazioni allestite, generalmente con successo, in diversi teatri dell’Italia settentrionale; pure la tragedia di suo pugno è messa in scena più volte anche fuori Reggio, riscuotendo di solito buoni consensi. Assai critico nei confronti della vecchia produzione drammatica e anelando a raccogliere ed interpretare l’esigenza di misura e di realismo proveniente dal ceto intellettuale borghese europeo, il poeta emiliano, allo scopo di affinare il gusto del pubblico e sprovincializzare gli ambienti culturali della seconda città del Ducato estense, assume Voltaire quale supremo modello tragico e Carlo Goldoni come principale punto di riferimento per la commedia: considerandoli entrambi grandissimi autori in grado di comporre testi dotati di perfetta solidità morale, egli contribuisce ad allestirne con regolarità diversi capolavori nei teatri reggiani. I suoi più importanti obiettivi polemici sono i comici dell’Arte, gli spettacoli larmoyants, Pietro Metastasio e le «fiabe» di Carlo Gozzi, nonché le «romanzerie» e le «commedie asiatiche» dell’abate Pietro Chiari; le opere di quest’ultimo, instancabile adulatore del pubblico, sono sovente disordinate, eclettiche e stracolme di esagerazioni e di evidenti plagi da drammi e romanzi stranieri allora in voga, e stanno ottenendo un notevole successo – fra l’altro – proprio a Modena (dove l’autore bresciano è, dal 1755, poeta di Corte). La rilevanza dell’azione riformatrice del teatro promossa da Paradisi viene riconosciuta dallo stesso Metastasio, che dichiara di stimarlo e di considerarlo un «rivale di sommo merito»23. Intorno alla metà degli anni Sessanta, nel corso della fiera polemica italo-francese sulla quale ci soffermeremo nelle prossime pagine, l’autore emiliano comincia a ridurre la mole dei suoi impegni teatrali (anche se nel 1765 accetta, su invito della principessa Enrichetta di Assia-Darmstadt, nata d’Este, la presidenza della sua Accademia teatrale, che ha sede a Borgo San Donnino, ora Fidenza), a comporre solo di rado versi e a dedicare poco tempo alla letteratura (conserva, comunque, la cattedra di Poesia Italiana presso le sempre più prestigiose Scuole del Seminario di Reggio, assegnatagli nel 1763 e intorno alla quale si sono gettate le basi della cosiddetta “scuola oraziana estense”, che già annovera tra i membri di punta, oltre a Paradisi, il suo quasi coetaneo amico Luigi Cerretti e il giovanissimo Francesco Cassoli), per rivolgersi in prevalenza agli studi storici con il duplice proposito di ricostruire l’autentica identità culturale dell’Italia plasmatasi lungo i secoli e di far luce sulle cause della sua decadenza, che egli ritiene essersi originata al morire del Quattrocento. morendo poi nel 1780 a Varese (circa alcuni aspetti e conseguenze di tale amicizia tra Estensi ed Asburgo nella seconda metà del XVIII secolo, ci si limita a rimandare al recente Palermo, 2013): dunque, deve delegare a uomini di sua fiducia la gestione ordinaria dello Stato. Anche approfittando della lontananza del sovrano, il governo cittadino di Reggio riesce a far sì che, nel 1760, egli gli conceda ufficialmente la libertà di decidere in autonomia la propria politica teatrale (per rimanere al contesto della seconda città degli Stati estensi, questo non è l’unico caso del genere: dieci anni prima, infatti, il ministro ducale Domenico Maria Giacobazzi ha convinto Francesco III a permettere la creazione di un Collegio presso il locale Seminario, Istituto che è stato aperto ai figli dei borghesi, diversamente dal Collegio San Carlo di Modena, al quale possono accedere solo i ragazzi di famiglia nobile). Per approfondimenti sul teatro a Reggio negli anni di Francesco III, con riferimenti diretti e indiretti a Paradisi, cfr. soprattutto Cavatorti, 1907, passim; Romagnoli- Garbero (a cura di), 1980 (in particolare, Cavicchi, 1980, pp. 120-131; Davoli, 1980; D’Orrico, 1980, pp. 226-233; Pigozzi, 1980, pp. 168-173); Rombaldi, 1957, specie pp. 82 e 86-88; Rombaldi, 1982. 22 Vedi Venturelli, 2014, § 1759-1764: poesia e teatro a Reggio e a Bologna, testo in fine e relativa nota 18. 23 Sono parole che troviamo nella missiva che l’intellettuale bolognese Giuseppe Antonio Taruffi invia all’amico Paradisi da «Vienna Imperiale» il 29 aprile 1770 e che oggi è conservata, insieme con molte altre lettere spedite al poeta emiliano, presso la BEU (quelle di Taruffi sono custodite nelle Carte Paradisi, busta IV, n° 15); nel testo al quale ci riferiamo, infatti, si legge che il «chiarissimo Sig. Abate Metastasio […] ama e stima il Sig. Agostino Paradisi quanto si può virtuosamente amare e stimare un rivale di sommo merito».

8

Alla base di queste ricerche vi è la ferma convinzione che la cultura italiana, intesa come cultura nazionale, possa e debba costituire un potente fattore per un riscatto collettivo che sia anche una rinascita etica e civile delle popolazioni che abitano a sud delle Alpi. Alcuni approdi di tali studi sono consegnati a due scritti che egli non manda alle stampe: il Saggio sopra le città libere d’Italia e il Saggio politico sull’ultima decadenza d’Italia (questo secondo contributo, che viene letto in pubblico – assente il suo autore, ammalato – il 24 aprile 1771 alla Reale Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Mantova, ottiene un notevolissimo successo). Mentre è impegnato in codeste gravose ricerche e riflessioni di carattere storico, Paradisi si dedica anche ad ambiti di tutt’altro genere: nel 1769, per esempio, egli fa uscire un interessante Saggio metafisico sopra l’entusiasmo delle belle arti e la fortunata ode La felicità della sapienza. Il primo testo trova spazio nell’«Estratto della Letteratura europea», rivista che – fondata nel 1758 a Berna e impressa tra il 1762 e il 1765 a Yverdon – in quel periodo viene stampata a Milano dall’editore Giuseppe Galeazzi (lo stesso di buona parte della seconda e ultima annata del defunto «Il Caffè»)24, e attorno alla quale orbitano diversi importanti illuministi dell’Italia settentrionale, a partire da Isidoro Bianchi, Giambattista Vasco e Pietro Verri; in tale scritto, l’autore emiliano dimostra di aderire a concezioni estetiche di carattere sensistico, anche se cerca di temperarle attraverso enunciazioni già neoclassiche. La poesia citata, invece, appare nel foglio veneziano «L’Europa letteraria» e riscuote subito larghissimi consensi; ne uscirà una nuova versione postuma (nel 1827) sotto il titolo – forse, non paradisiano – di A Minerva, ed è in tale stesura che l’opera verrà più volte riproposta, fino ai nostri giorni: si tratta di un’ode che, svolgendo con solenne decoro classico e ammirevole compostezza i temi illuministi dell’esaltazione della sapienza e della contemplazione dei misteri dell’universo, costituisce uno dei vertici assoluti della «poesia filosofica» italiana del Settecento, tanto da essere tuttora considerata dalla critica un componimento rappresentativo come pochi altri del clima culturale dell’epoca. Il conte Carlo Gottardo di Firmian, governatore imperiale della Lombardia, coglie l’occasione della prematura e improvvisa scomparsa del segretario perpetuo della Reale Accademia di Mantova, Pellegrino Salandri, avvenuta il 17 agosto 1771, per cercar di attirare il sempre più celebre e stimato autore emiliano nell’orbita teresiana: gli offre dunque la guida della rinomata istituzione, ma invano. Nel 1772, dopo quasi vent’anni consecutivi vissuti a Reggio, Paradisi si trasferisce nella capitale estense, dove viene insignito del titolo di conte ed è eretta per lui la cattedra di «Economia Civile» (in ordine cronologico, la terza di tale genere a vedere la luce in Italia e una delle prime in Europa)25 presso il riordinato Studium Mutinensis, che all’epoca sta per diventare uno dei principali

24 Un’inappuntabile sintesi della storia editoriale dell’«Estratto della Letteratura europea» è in Donà, 1995, p. 74 e nota 9. Per interessanti e puntuali approfondimenti su tale rivista, con particolare riguardo alla sua fase milanese, cfr. Gaspari, 1994. 25 La prima cattedra di questo tipo ad essere introdotta in Italia (e in Europa) è quella – «di Commercio e di Meccanica» – che viene affidata nel 1754, presso l’Università di Napoli, ad Antonio Genovesi; la seconda è quella – di «Economia Pubblica», altrimenti detta di «Economia Pubblica» o di «Scienze Camerali» – creata nel 1769 alle Scuole Palatine di Milano e tenuta inizialmente da Cesare Beccaria (il quale interrompe l’insegnamento già l’anno successivo e solo nel 1773 si decide di sostituirlo con Alfonso Longo, che rimane in carica – professando con regolarità il proprio corso – fino al 1782, data in cui la cattedra viene soppressa). Nel 1779, dunque sette anni dopo l’inizio delle lezioni di Paradisi, in Sicilia sono simultaneamente istituiti due insegnamenti di scienze economiche: l’uno, a Palermo, presso la Regia Accademia degli Studi San Fernando (cattedra di «Economia, Agricoltura e Commercio»); l’altro, a Catania, in concomitanza con la riforma dello storico Studium (cattedra di «Economia, Commercio e Agricoltura»). Per un quadro d’insieme (ma debitamente articolato e approfondito), cfr. Augello-Bianchini-Gioli-Roggi (a cura di), 1988. All’interno di tale volume, si vedano – soprattutto – Di Battista, 1988, sul contesto partenopeo; Bianchini, 1988, dedicato – in parte – agli ambienti ambrosiano ed estense (rispettivamente, pp. 48-61 e 61-68, con quest’ultima sequenza da noi già segnalata nella nota 9); Spoto, 1988, incentrato sul contesto siciliano. Ma occorre rimandare anche a Rother, 2004: a proposito di Beccaria professore a Milano e delle sue concezioni economiche, specie pp. 124-137 (testo) e 150-155 (relative note); su Longo, pp. 137-139 (testo) e 155 (relative note); intorno a Paradisi, come già indicato nella nota 9, pp. 140-146 (testo) e pp. 156-158 (relative note). È possibile ampliare l’orizzonte di ricerca e approfondire talune questioni in materia grazie a Wahnbaeck, 2004, ove l’attenzione risulta in buona misura focalizzata sugli ambienti toscano e lombardo.

9 strumenti del coevo riformismo ducale; quest’ultimo è finalizzato all’accorta semplificazione del sistema normativo generale, alla modifica ragionata dell’ordinamento istituzionale dello Stato, al varo di più eque politiche in materia di tassazione ecc., e il sovrano Francesco III ritiene possa dare frutti migliori se al processo di rinnovamento di Modena concorrono funzionari pubblici preparati e consapevoli del proprio ruolo26. A giudizio del professore emiliano, chi studia l’«economia civile» (diremmo, oggigiorno, l’«economia politica»), neonata disciplina figlia delle idee illuministe, deve necessariamente possedere un vasto orizzonte di ricerca e di riflessione, così da essere in grado di spaziare con disinvoltura e competenza dai fattori di ordine naturalistico a quelli di ordine politico, da quelli di ordine sociale a quelli di ordine giuridico, da quelli di ordine storico a quelli di ordine etico, da quelli di ordine produttivo a quelli di ordine commerciale e a quelli di ordine monetario. Nella visione paradisiana, all’«economista civile» spetta il compito di fornire idee capaci di correggere il mondo sociale e migliorare l’esistenza degli individui nello stato presente; egli, dunque, deve rifuggire dall’indagine astratta di fenomeni indifferenti. Secondo l’intellettuale emiliano (e Francesco III), seguire un corso universitario improntato a tutte queste convinzioni risulta utilissimo per la futura classe dirigente ducale, giacché fa maturare negli studenti una coscienza riformatrice fondata su una connessione critica tra passato e presente, così come tra i molteplici ambiti della vita umana associata. All’inizio del primo anno accademico dell’Ateneo rinnovato, e per la precisione il 25 novembre 1772, Paradisi tiene un’orazione inaugurale, che è immediatamente stampata nella capitale estense sotto il titolo di Nel solenne aprimento della Università di Modena felicemente ristaurata, ed ampliata da S.A.S. Francesco III, duca di Modena, Reggio, Mirandola ec. ec. Ottenuto un notevole e subitaneo successo, il testo viene ripubblicato nel 1773 a Torino, con a fianco la traduzione in francese. Tale allocuzione rappresenta uno dei manifesti del moto riformatore italiano, fa trasparire l’influenza del modello costituito dal Discours préliminaire all’Encyclopédie di Denis Diderot e Jean-Baptiste Le Rond d’Alembert, scritto da quest’ultimo e collocato in testa al primo volume dell’opera (1751), e – insieme – mostra incontrovertibilmente l’adesione di Paradisi alla “scuola sperimentale estense” (in special modo, alle posizioni di colui che costituisce una sorta di “padre nobile” di buona parte della classe dirigente modenese della seconda metà del Settecento, ossia Lodovico Antonio Muratori)27. Il neoprofessore di Economia Civile pone qui in grande risalto il ruolo del sapere nell’assicurare la prosperità dello Stato e raffigura l’Università come il simbolo e lo strumento del regno della «filosofia» («filosofia», beninteso, nel senso illuminista che ha a quel tempo la parola francese philosophie28); chi studia deve mettere a disposizione della società le varie conoscenze delle quali entra via via in possesso, e di esse il sovrano si può servire per raggiungere il fine superiore di perfezionamento della natura umana, attingibile soltanto nello Stato e attraverso lo

26 Per un primo approccio ai caratteri del riformismo estense settecentesco e all’assetto imposto alla nuova Università di Modena nel 1772, ci si permetta di rimandare a Venturelli, 2014, § 1772-1783 e 1785-1983: professore di Economia Civile e di Storia Civile a Modena, ritorno a Reggio e morte; pubblicazioni postume, nota 27. Ai riferimenti bibliografici ivi segnalati desideriamo aggiungerne altri: circa Giovanni Gualberto de Soria (che era in contatto con gli ambienti culturali estensi), bisogna anche ricordare, rispetto al nostro ambito di discorso, Rotta, 1961, ove – fra l’altro – non si manca di porre in risalto la convergenza tra de Soria e Montesquieu in merito alla necessità di avere un giudiziario autonomo (cfr. p. 221); per approfondire, in un orizzonte vasto, la natura e le peculiarità dello spirito critico e sperimentale nel Ducato di Modena, è utile prendere in esame pure Bragagnolo, 2009, e Bragagnolo, 2017; intorno alla riforma legislativa estense del Settecento, si veda altresì Bonini, 1985, pp. 115-122 (alle pp. 115-117 ci sono brevi considerazioni dello studioso, mentre alle pp. 118-122 sono riportati brani tratti dal t. I del Codice di Leggi e Costituzioni per gli Stati di Sua Altezza Serenissima, pubblicato nel 1771; in Bonini, 1988, il contributo dell’autore e gli estratti dal Codice si trovano alle stesse pagine). 27 Per approfondimenti, cfr. nota 26. 28 Sul concetto di philosophie e sulle immagini del philosophe nel XVIII secolo, è d’obbligo il rinvio a Spallanzani (b), 2002. A proposito degli stessi temi, ma allargando il discorso fino a spaziare dall’area francese ad ambienti culturali di altri contesti europei dell’epoca, rimandiamo volentieri – tra i molti qualificati riferimenti bibliografici possibili – a Rother, 2005 (con sunto in Rother, 2014), e a Zanzi, 2009.

10

Stato. In questa sua orazione, l’autore emiliano non manca poi di celebrare l’ordine estense come un sistema politico nel cui ambito la ragione non è impedita nel conseguimento, attraverso le scienze e le arti «utili», della «pubblica felicità». Importante interprete delle teorie fisiocratiche e profondo conoscitore di quelle mercantilistiche, Paradisi diviene ben presto non solo il maestro di innumerevoli funzionari pubblici modenesi, ma anche un ricercato dispensatore – anche fuori del territorio ducale – di suggerimenti in materia di commercio, tassazione ecc. Mentre nella prima metà del XVIII secolo i viaggiatori si fermavano volentieri nella capitale estense prevalentemente per ammirare la splendida pinacoteca dei duchi e per conoscere di persona l’illustre Muratori, una volta avvenuta la “vendita di Dresda” (1746)29 e morto il grande storico ed erudito (1750) la loro presenza a Modena era assai diminuita. Nell’ottavo decennio del secolo, però, i soggiorni di natura culturale nella città geminiana vanno accrescendosi di numero grazie ai sempre più celebri corsi universitari di Paradisi, il quale nel 1778 affianca all’insegnamento dell’Economia Civile quello della Storia Civile: sono parecchi, infatti, i forestieri che giungono appositamente a Modena per assistervi. Ed egli tiene lezioni ove affiora l’ambizioso tentativo di cogliere in sintesi argomenti di respiro europeo e si manifesta un accentuato interesse per la storia delle formazioni politiche dall’Antichità ai suoi tempi (con particolare attenzione alle esperienze italiane) non meno che per alcuni importanti questioni di natura filosofica e filosofico-politica, come il concetto di libertà, il ruolo del potere civile, la natura delle leggi, il principio della divisione dei poteri, gli spazi d’intervento del legislatore, la teoria politica delle istituzioni, le forme di governo ecc. Nel corso paradisiano, inoltre, non mancano incisive descrizioni delle potenzialità insite nelle condizioni naturali dell’Italia, nel suo assetto politico policentrico e nella stratificazione storica delle arti; si tratta, a giudizio del professore emiliano, di opportunità che possono e debbono avere ricadute anche di tipo economico, considerato il gran numero di ospiti stranieri interessati alle cose della cultura30. Tra i meriti indiscussi del Paradisi economista e storico «civile», vanno riconosciuti quello di essere stato un precoce interprete “intelligente” delle concezioni di importanti pensatori coevi come i già menzionati Condillac e Rousseau, e come Claude-Adrien Helvétius e Charles-Louis de Secondat, barone di La Brède e di Montesquieu. Egli si dimostra anche uno dei primi studiosi europei a comprendere la rilevanza del metodo d’indagine di William Robertson, storico scozzese suo contemporaneo destinato a chiara fama anche sul continente e ad influenzare le elaborazioni teoriche di Karl Marx. L’autore nato a Vignola, poi, è tra gli artefici della “riscoperta” dell’opera storica di Donato Giannotti, grande repubblicano fiorentino del Cinquecento31. Paradisi, inoltre, sia in età giovanile sia in età matura celebra in Dante il massimo poeta italiano di tutti i tempi, in un’epoca nella quale numerose persone di cultura, anche nate a sud delle Alpi, non risparmiano i propri strali all’indirizzo della “disarmonia” della Commedia. Il letterato emiliano, infine, studia e promuove lo studio delle letterature e del teatro antichi (greci e latini) e moderni (in special modo,

29 Su questo fatto clamoroso, gravido di innumerevoli conseguenze di varia natura tanto nei domìni estensi quanto in Sassonia e oltre, cfr. Winkler (a cura di), 1989. 30 Si tenga presente che di queste fondamentali lezioni universitarie di Paradisi, eccezion fatta per alcuni brani e pagine stampati postumi in varie sedi (vedi, in primis, Venturi, 1965a, pp. 455-480), sono tuttora disponibili soltanto scartafacci e annotazioni sparsi in codici miscellanei (spesso autografi), e abbondanti materiali raccolti forse da un allievo (all’inizio del XIX secolo, questi ultimi vengono ricopiati in maniera ordinata dal reggiano Carlo Ferrarini [vero cognome: Ferrari], personaggio che ai nostri tempi è ricordato più per le esperienze politiche e per la carriera militare che non per il certo non indifferente contributo dato alle lettere). Tali manoscritti sono oggi custoditi presso la BEU (Carte Paradisi, busta VII, nn° 15-17; busta VIII, nn° 1-12; busta X, nn° 7 e 11: descrizione in Catalogo, 1907, rispettivamente alle pp. 37-38, 38-41, 54-55 e 55-56) e la BAP (Mss. Regg. E. 138; Mss. Regg. E. 139 [trascrizione di Ferrarini]; Mss. Turri. D. 30; Mss. Turri. G. 10: cfr. Armani, 2005c, pp. 64 [testo] e 78 [relativa nota 5], e p. 66; Venturi, 1962, p. 731, nota 55; Venturi, 1965a, p. 455, indicazioni a piè di pagina). 31 Tra gli ultimi studi dedicati a Giannotti, si segnalano Russo, 2016; Venturelli, 2009, soprattutto pp. 147-191; Venturelli, 2012, specie pp. 143-170.

11 italiani, francesi e inglesi), nella convinzione che solo attraverso un confronto a tutto campo con gli insigni autori europei del passato e del presente il ceto intellettuale italiano della seconda metà del XVIII secolo possa divenire consapevole dei propri meriti e della propria storia, ed essere in grado di partecipare da protagonista al nuovo movimento di civiltà in corso, ossia a quell’Illuminismo che all’epoca non ha ancora coinvolto appieno l’Italia. Due sono quindi i suoi obiettivi: da un lato, suscitare negli Italiani una genuina autocritica finalizzata all’abbandono di idee e consuetudini culturalmente deteriori; dall’altro, incitarli non tanto al servilismo nei confronti di ciò che proviene da oltralpe, quanto piuttosto all’emulazione e all’inesausto amore di superamento. Paradisi è membro di innumerevoli prestigiose istituzioni culturali (come le dianzi citate Accademia dell’Arcadia di Roma e Reale Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Mantova, e come l’Accademia della Crusca di Firenze, quella delle Scienze dell’Istituto di Bologna, quella degli Agiati di Rovereto e quella Etrusca di Cortona) e può contare sulla stima di molti eminenti autori suoi contemporanei: dai già menzionati Algarotti, Goldoni e Voltaire a Cesare Beccaria, Saverio Bettinelli, Carlo Denina, Innocenzo Frugoni e Lazzaro Spallanzani. Ascoltato consigliere di Francesco III e cardine dell’importante stagione del riformismo estense che precede l’avvento di Ercole III (1780), l’intellettuale emiliano è ammirato pure da sovrani d’oltralpe, non da ultimo per le sue considerevoli doti letterarie: il re di Prussia Federico II, ad esempio, gli indirizza un’epistola scritta di proprio pugno per lodare quello che è probabilmente il capolavoro a stampa di Paradisi, l’Elogio del principe Raimondo Montecuccoli, recitato nel solenne aprimento delle scuole il giorno 25 novembre 1775 nell’Università di Modena. Questa fortunatissima opera – che, nel giro di vent’anni, viene stampata quattro volte: due, a Bologna, in entrambi i casi nel 1776; una, a Venezia, nel 1782; una, a Parma, nel 1796 – costituisce uno dei più bei saggi di prosa aulica scritti nella nostra lingua durante l’intero XVIII secolo e, insieme, una tappa della maturazione negli Italiani della coscienza della loro vocazione ad essere un solo popolo in una patria unitaria. Il 19 febbraio 1783 la morte coglie Paradisi a Reggio, dove negli ultimi tre anni ha esercitato la funzione di presidente dei Pubblici Studi della città; viene sepolto nella chiesa di San Domenico. La sua ricca eredità culturale è raccolta da parecchi intellettuali del tardo Settecento e del primo Ottocento, specie in area padana; nel novero di essi, senza dubbio, figura anche il figlio primogenito Giovanni, uomo dotato di ingegno multiforme e oggigiorno noto soprattutto come poeta insigne (caro, fra gli altri, a Vincenzo Monti e a Giacomo Leopardi) e politico di primissimo piano32.

2. LE EPISTOLE DI DELEYRE E PARADISI

2.1. La Lettre écrite de Parme

Il 3 marzo 1765, nel supplemento mensile della rivista parigina «Gazette littéraire de l’Europe»33, viene stampata una Lettre écrite de Parme aux Auteurs de la Gazette littéraire, le 3 Janvier 176534.

32 Ai suoi tempi, Giovanni Paradisi (Reggio Emilia, 1760 - ivi, 1826) gode di grande fama, garantitagli in special modo da considerevoli meriti letterari e scientifici (poesia, storia, lingue greca e francese, eloquenza, diritto, fisica, geometria ecc.), e a un’intensa e prolungata attività politica (svolta dapprima sotto gli Estensi e poi sotto il regime napoleonico). Per approfondire questa figura, ci permettiamo di rimandare ai riferimenti bibliografici e alle osservazioni riportate in Venturelli, 2014, § 1736-1758: nascita a Vignola, infanzia a Reggio Emilia, formazione a Roma e giovane letterato a Reggio e a Bologna, nota 9, e suggeriamo altresì di consultare [G. Ghinassi,] Annotazioni alle lettere di uomini illustri scritte a Dionigi Strocchi (missive tutte contenute nel vol. II), in Aa.Vv., 1868, vol. II, pp. 234-277: 241-242; Rossi, 2014. 33 Su questo foglio, che esce dal 7 marzo 1764 al 1° marzo 1766, cfr. Landy, 1991; all’epoca in cui viene stampata la Lettre di Deleyre, ha cadenza settimanale e pubblica un supplemento una volta al mese. Voltaire in persona, già da tempo l’indiscusso “principe dei philosophes”, contribuisce a “lanciare” la «Gazette littéraire de l’Europe» mandando

12

È un testo non firmato, ma viene ben presto alla luce chi ne sia l’autore: si tratta dell’ex gesuita Alexandre Deleyre, il controverso philosophe bordolese che – come detto nel § 1.1 – da quattro anni sta prestando servizio presso la Corte ducale parmense. Questa Lettre contiene un veemente attacco all’indirizzo dell’Italia settecentesca e dà subito l’avvio ad un’accesa polemica culturale italo- francese, destinata peraltro ad esaurirsi – perlomeno, nelle sue forme più virulente – nel giro di alcuni mesi appena, non senza comunque aver generato nel frattempo effetti positivi su una parte della classe intellettuale italiana. La «Gazette littéraire de l’Europe», come molti dei più importanti giornali europei dell’epoca, esiste grazie alla continuativa collaborazione di dotti che risiedono in varie città del Vecchio Continente. Deleyre è uno di coloro che offrono il proprio apporto per mantenere in vita il foglio parigino e che, così facendo, contribuiscono ad animare il dibattito culturale del tempo. Leggendo le prime righe della sua Lettre, par di capire che egli l’abbia stesa per venire incontro a un’esplicita richiesta di corrispondenza letteraria da Parma giuntagli, direttamente o indirettamente, dalla rivista. Dopo questo brevissimo preambolo, il philosophe bordolese afferma che, se nei tempi antichi l’Italia fu gloriosa, le grandi scoperte geografiche rappresentarono l’inizio della sua profonda crisi economica e politica, la quale ancora perdura; inoltre, le menti e i cuori sono andati via via avvilendosi a causa della dominazione straniera e del potente influsso della Chiesa cattolica. Di tanto in tanto, nell’Italia settecentesca, la decadenza spirituale lascia sfuggire alcune scintille d’ingegno, le quali spesso si estinguono in un sonetto o in una dissertazione; e talvolta i forestieri si meravigliano nel vedere «des solitaires sous le sac et le froc agiter des questions dignes d’un Buffon ou d’un Rousseau, tenir la Bible d’une main et le téléscope de l’autre, et sonder à la fois les profondeurs de la nature et de la révélation»35. Nella Penisola, comunque, di veri sapienti se ne contano pochissimi, secondo Deleyre; forse sono soltanto sei: Jacquier, Le Seur, Maire, Boscovich, Gerdil e Frisi36. A ben vedere, peraltro, le menti geniali, seppure fiorite in Italia, sono quasi tutte alla redazione diversi suoi brevi testi, che vedono la luce in alcuni dei primi numeri (e precisamente, nel periodo marzo- novembre 1764). 34 Deleyre, 1765a. Ne esiste un’edizione pirata, con testo pressoché identico: Deleyre, 1765b. 35 Deleyre, 1765a, p. 342. 36 Si tratta di François Jacquier, Thomas Le Seur, Christopher Maire, Ruggero Boscovich, Hyachinte-Sigismond Gerdil e Paolo Frisi. Il primo, nato a Vitry-le-François (vicino a Châlons-en-Champagne, nell’attuale regione francese Champagne-Ardenne) nel 1711 e morto a Roma nel 1788, è un frate dell’Ordine dei Minimi; matematico, fisico, astronomo e ingegnere idraulico, ha una perfetta conoscenza delle lingue greca, latina ed ebraica; già docente – per pochi mesi – di Matematica e Astronomia al Collegio della Sapienza (1745) e subito dopo – brevemente – di Fisica all’Università di Torino (1745-1746), è in seguito professore di Fisica Sperimentale presso il Collegio Romano (sino al 1763) e poi si occupa – sotto la regìa di Condillac – dell’educazione scientifica di don Ferdinando a Parma (su questo “esperimento” formativo, cfr. § 1.1 e nota 8). Thomas Le Seur (o Leseur: Rethel [vicino a Charleville-Mézières, nell’attuale regione francese Champagne-Ardenne], 1703 - Roma, 1770), frate dell’Ordine dei Minimi, matematico che diventa celebre soprattutto per aver collaborato con Jacquier – sotto la direzione del matematico e astronomo Jean- Louis Calandrini (Ginevra, 1703 - ivi, 1758) – alla preparazione di un’edizione riccamente annotata dei Principia mathematica newtoniani (16871, 17132, 17263), dedicata alla Royal Society di Londra e uscita a Ginevra tra il 1739 e il 1742 (in 3 tomi di 2 volumi l’uno) sotto il titolo di Philosophiæ naturalis principia mathematica. Auctore Isaaco Newtono; la sua notorietà in seno alla comunità scientifica si accresce ulteriormente allorché analizza, insieme con Jacquier e Ruggero Boscovich, la stabilità del “Cupolone” di Roma e ne dà alle stampe i risultati, nel 1743 e in luogo ignoto, con il titolo di Parere di tre mattematici [sic] sopra i danni, che si sono trovati nella cupola di S. Pietro sul fine dell’anno MDCCXLII. Christopher Maire, nato in Inghilterra (vicino a Durham) nel 1697 e morto in Belgio (a Gand) nel 1767, è un gesuita che, dopo avere studiato e insegnato a Liegi, vive nella Città Eterna dal 1744 al 1757 (sino al 1750, è rettore del Collegio Anglicano); importante matematico, cartografo ed astronomo, diventa famoso pubblicando, con Boscovich (nel 1755, forse a Bologna), De litteraria expeditione, ove si presentano i risultati della misurazione dell’arco di meridiano tra Rimini e Roma, compiuta fra il 1750 e il 1752 dai due scienziati, i quali, grazie ai dati raccolti, possono confermare che la forma della Terra risulta leggermente schiacciata ai Poli. L’appena menzionato Ruggero Giuseppe Boscovich, astronomo, geodeta, fisico e matematico, nasce a Ragusa di Dalmazia (Dubrovnik) nel 1711 e muore a Milano nel 1787; è uno degli scienziati europei più insigni e influenti del suo tempo. Gesuita, dopo i primi studi al Collegium Ragusinum, passa al Collegio Romano e vi tiene la cattedra di Matematica dal 1740 al 1759; tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta, soggiorna a Vienna, in Francia, in Inghilterra, a

13 straniere. È inutile sottolineare, a suo giudizio, che il popolino si dimostra in ogni Paese sempre rozzo e ignorante. Mentre in Inghilterra la poesia si è innalzata alla metafisica, denuncia l’ex gesuita, nella Penisola vengono dedicati versi soltanto a soggetti frivoli. Inoltre, laddove i Francesi celebrano Montesquieu, gli Italiani ripudiano un proprio scrittore che vuole che in Europa esista proporzione tra i delitti e le pene, e che si domanda se per diminuire il numero dei malfattori non sia meglio cancellare l’atrocità dei supplizi37. Pur dopo Locke e Condillac, vige nelle scuole italiane la teoria delle idee innate. A sud delle Alpi, la conoscenza dei Paesi lontani avviene solo attraverso le relazioni dei missionari; invece, il re di Danimarca manda in Arabia un gruppo di scienziati con il compito di approfondire lo studio della storia naturale38. Le Accademie di scienze esatte sono rigogliose in molti Stati europei, mentre in Italia prevalgono di gran lunga quelle di vana letteratura; pur tuttavia, secondo l’intellettuale bordolese, bisogna riconoscere che è degno di venerazione l’Istituto di Bologna, dove si tengono importanti lezioni pubbliche e sono custoditi mirabili capolavori d’anatomia artificiale e collezioni di storia naturale, anche se la fama di cui tale Istituto gode, a giudizio di Deleyre, deriva in larga misura dal contributo

Costantinopoli e a San Pietroburgo; dal 1764 al 1768 insegna Matematica all’Università di Pavia e poi si sposta alle Scuole Palatine di Milano, dove intraprende la costruzione della nuova specola di Brera, della quale diventa direttore. Soppressa la Compagnia di Gesù (1773), dopo un soggiorno a Venezia, si stabilisce in Francia (è direttore d’Ottica della Marina francese) per poi tornare in Italia nel 1782, risiedendo nella Repubblica Serenissima (per lo più, a Bassano). Tra i suoi molti significativi contributi scientifici, vanno ricordati almeno: una teoria della struttura della materia, sintesi originale tra il dinamismo leibniziano e il meccanicismo newtoniano; nel campo dell’ottica, l’eliminazione dell’aberrazione cromatica delle lenti e la rilevazione dell’aberrazione sferica e la costruzione del micrometro ottico; in campo astronomico, un metodo per la determinazione delle orbite delle comete e dell’orbita di Urano, e la rilevazione delle perturbazioni nelle orbite di Giove e Saturno; in campo matematico, la creazione di un metodo grafico per la risoluzione dei triangoli sferici, quattro formule differenziali di geometria sferica, e indagini sulla possibilità di geometrie non euclidee. Boscovich è inoltre parecchie volte consulente di apprezzata competenza in varie questioni tecniche: dalla bonifica delle paludi pontine alla stabilità della cupola di San Pietro a Roma e della Biblioteca cesarea a Vienna, dalla rettifica della carta dello Stato pontificio alla misurazione dell’arco di meridiano tra Roma e Rimini per la risoluzione del problema newtoniano della figura della Terra. Il barnabita Hyachinte-Sigismond (o Giacinto Sigismondo) Gerdil, nato a Samoëns (in Savoia) nel 1718 e morto a Roma nel 1802, celebre seguace della filosofia di Nicolas Malebranche, è all’epoca professore di Teologia Morale presso l’Università di Torino, cattedra affidatagli nel 1754; l’anno che precede l’uscita della presente Lettre, egli pubblica a Ginevra un fortunatissimo pamphlet, dal titolo Réflexions sur la Théorie, & la Pratique de l’Éducation contre les Principes de Mr. Rousseau. Par le P. G.B., dove attacca con veemenza l’Émile (1762) dello scrittore ginevrino. Paolo (al secolo, Giuseppe Maria) Frisi, padre barnabita, è nato nel 1728 a Melegnano e muore nel 1784 nella stessa cittadina del Milanese; scienziato e filosofo, studia a lungo – fra l’altro – la forma, la grandezza e il moto diurno della Terra, e le sue indagini su tali questioni lo rendono celebre in tutta Europa; a Milano, è uno degli animatori della Società dei Pugni; ha una fitta rete di contatti con eminenti uomini di cultura del suo tempo. 37 Ovviamente, Deleyre si riferisce al trattatello Dei delitti e delle pene, uscito per la prima volta anonimo (a Livorno, dalla Tipografia Coltellini, nel 1764), ma composto dal marchese milanese Cesare Beccaria, allora appena ventiseienne; com’è noto, in quest’opera viene propugnata una radicale riforma in senso umanitario del diritto penale vigente. Rapidamente il libro ha grande diffusione al di là delle Alpi, anche grazie alle numerose traduzioni, e diventa uno dei pilastri del pensiero illuminista europeo. Va sottolineato che, in special modo dalla fine degli anni Sessanta all’inizio degli anni Settanta, furono abbastanza stretti i rapporti tra Paradisi e Beccaria, che non mancarono di scambiarsi vicendevolmente tributi di stima; è interessante osservare che, in una lettera del 12 novembre 1770 datata da Reggio e indirizzata al nobiluomo milanese, il poeta emiliano lo saluta come il Montesquieu italiano (VBA, Carte Beccaria, B. 232, ins. 139; a proposito di questa missiva, cfr. Venturi, 1962, p. 729 e nota 50, che è alle pp. 729-730). 38 Federico V (1723-1766), re di Danimarca e di Norvegia dal 1746 alla morte, finanzia una spedizione composta di scienziati e letterati avente il compito di esplorare vaste zone del Medio Oriente. La missione dura dal 1761 al 1767: dopo aver visitato l’Egitto, per Suez giunge nello Yemen e di là, decimata dai disagi, dalle fatiche e dalle malattie, a Bombay; da questa città, dopo una permanenza di quattordici mesi, può ripartire un unico studioso, il geografo tedesco Carsten Niebuhr (1733-1815), che torna a Copenhagen attraverso la Persia, la Siria, Cipro, la Palestina e l’Anatolia. I risultati scientifici dell’impresa vengono da lui consegnati al volume Beschreibung von Arabien (1772), ai due dal titolo Reisebeschreibung von Arabien und anderen umliegenden Ländern (1774 e 1778) e all’ultimo, curato dalla figlia, Reisen durch Syrien und Palästina (postumo, 1837).

14 dei suoi membri stranieri39. Da qualche anno, egli ammette, Torino vanta un manipolo di uomini solerti e ingegnosi che da soli valgono Accademie intere; nondimeno, sottolinea l’ex gesuita, essi sembrano appartenere alla Francia piuttosto che all’Italia. Nella Penisola, chi governa i diversi Stati e staterelli ha generalmente dimostrato, secondo Deleyre, di non essere in grado di conferire ai talenti quella gloria che non può che moltiplicarli. I vari dotti sparsi nelle principali città italiane, «semblables à ces Hébreux errans par toute l’Europe, ils ne forment point un corps; trop de capitales les tiennent dispersés: ils ne communiquent pas assez entr’eux pour rivaliser»40.

39 Il riferimento è a una delle strutture culturali più interessanti e originali dell’Italia moderna, il prestigioso Istituto delle Scienze di Bologna, sorto nel 1711 su iniziativa del conte Luigi Ferdinando Marsili (o Marsigli: Bologna, 1658 - ivi, 1730), scienziato, viaggiatore, diplomatico e generale asburgico che vi fa confluire tutto il materiale da lui raccolto (libri, collezioni naturalistiche, strumenti scientifici e armi) nel corso dei suoi viaggi e delle sue campagne militari. L’Istituto, che trova sede all’interno di Palazzo Poggi, nel centro di Bologna, si arricchisce nel tempo di preziosi manoscritti, libri, cere anatomiche e collezioni di esemplari botanici, zoologici ecc., arrivando a disporre di una biblioteca e di una serie di laboratori, officine e musei di straordinaria ampiezza e di enorme interesse, oltre che di una specola per le osservazioni celesti. Negli anni centrali del Settecento, l’Istituto costituisce già uno dei punti di riferimento più significativi a livello europeo per la discussione, la verifica e l’irradiamento di gran parte delle nuove idee scientifiche. Al 1714 risale la fondazione dell’Accademia delle Scienze dell’Istituto: ha legami stretti sia con questo Istituto sia con l’Ateneo felsineo, e raccoglie saltuariamente i propri Atti in «De Bononiensi scientiarum et artium Instituto atque Academia commentarii» (7 tt., 1731-1791). Per approfondimenti su tutto ciò e anche sul contesto culturale (specie scientifico) felsineo a cavallo tra il XVII e il XVIII secolo, si vedano Aa.Vv., 1986-1993; Aa.Vv., 1987-1988: sull’Istituto, in special modo gli interventi di Andrea Emiliani e di Franco Farinelli (vol. I), e quelli di Franca Arduini, Alessandro Braccesi, Marta Cavazza, Giorgio Dragoni, Franco Farinelli, Carlo Gentili, Giorgio Gualandi, Viviana Lanzarini, Silvio Leydi, Renato Roli, Franco Ruggeri, Mariafranca Spallanzani, Walter Tega, Sandra Tugnoli Pattaro (vol. II); Cavazza, 1979; Cavazza, 1990; Cremante-Tega (a cura di), 1984: sull’Istituto e l’Accademia, soprattutto i contributi di Walter Tega, Marta Cavazza (una seconda versione di tale testo è in Cavazza, 1990), Mariafranca Spallanzani, Enrica Baiada, Corrado Dollo, Vincenzo Pallotti. 40 Deleyre, 1765a, p. 345. Circa questo tema, interessanti sono le argomentazioni esposte nella Lettera seconda di Bettinelli, 1766, pp. V-X. In tale testo, capita di leggere, fra l’altro: «Quell’esservi un centro di tutto il Regno [di Francia], dove fan capo tutti i capricci, e gl’ingegni della nazione, presenta un mercato universale, dove ognuno può scegliere, e forma un sistema riunito, e raccolto di pensare, per cui sapete presso a poco il giudizio dei più, e dei migliori; ma in Italia ogni Provincia ha un parnaso, uno stile, un gusto, e secondo il genio del clima, un partito, una lega, un giudizio separato dall’altre» (p. V); e inoltre: «se […] l’Italia tutta avesse un centro, un punto d’unione, sarebbe più ricca d’assai nell’arti, nelle lettere, e forse nelle scienze, che non qualunque altra Nazione. Ma questo disgregamento, che produce poi la discordia, la gelosia, l’opposizione d’un paese coll’altro, fa parere a chi non esamina, che gl’Italiani siano più poveri che non sono, e più ridicoli» (p. VI). Su tutto ciò, vedi anche la Lettera quarta: Bettinelli, 1766, pp. XX-XXVI. Qualche anno dopo, peraltro, l’anziano Voltaire afferma: «Dans les capitales des provinces, dans celles même qui ont des académies, que le goût est rare! ⁋ Il faut la capitale d’un grand royaume pour y étabilir la demeure du goût» (Voltaire, 1771, pp. 296-297; edizione più recente: Voltaire, 2013, p. 1792, con traduzione italiana a p. 1793). È forse il caso di ricordare che, in un suo testo risalente al 1721 e non destinato alla pubblicazione, Lodovico Antonio Muratori, con la bonomia appena ironica che gli è consueta, giudica inopportuna – e comunque, irrealizzabile – la proposta di riunire in un’unica città tutti i letterati operanti a sud delle Alpi, poiché egli ritiene che, per il ben noto temperamento suscettibile e ambizioso degli Italiani, una scelta del genere non farebbe altro che moltiplicare le occasioni di litigio derivanti da rivalità e invidie personali (cfr. Muratori, 1964, pp. 33-34). Anche Francesco Algarotti affronta più volte alcune di tali questioni; lo fa, per esempio, allorché si sofferma sul tema della lingua italiana all’interno della dedica dei propri Dialoghi sopra l’ottica neutoniana: «Notre langue n’est, pour ainsi dire, ni vivante ni morte. Nous avons des auteurs d’un siècle fort reculé que nous regardons comme classiques; mais ces auteurs sont parsemés de tours affectés et de mots hors d’usage. Nous avons un païs où la langue est plus pure que dans aucune autre contrée de l’Italie [l’allusione è alla Toscana]; mais ce païs ne sauroit donner le ton aux autres, qui prétendent l’égalité, et même la superiorité à bien des égards. Sans capitale et sans cour il nous faut écrire une langue presqu’idéale, craignant toujours de choquer ou les gens du monde, ou les savans des académies; et dans cette carrière on n’a pour guide que le goût, dont il est si difficile de fixer les loix. Si l’Italie avoit eû ces derniers tems des Princes, tels que le Nord en voit aujourd’huy, notre langue ne seroit plus incertaine, et comme autrefois elle seroit universelle» (Algarotti, 1977, p. 5; citazione tratta da Au Roi, che è la dedica, scritta in francese e – in quest’edizione Einaudi – riportata in tutto corsivo, a Federico II di Prussia, datata «à Potzdam ce 14 Nov. 1752», pp. 3-7). Il poligrafo veneziano tocca quest’argomento pure nella lettera a Voltaire datata «Dresda, 10. dicembre 1746» e scritta in italiano: cfr. Algarotti, 1794, pp. 82-87.

15

Afferma Deleyre che, a sud delle Alpi, c’è chi legge ciò che proviene dall’estero; ma solo assai di rado Francesi, Inglesi e Tedeschi si occupano dei libri italiani. Egli ribadisce che, ad osservare con attenzione, nelle città della Penisola il genio non scarseggia affatto: a mancare, piuttosto, sono la libertà, la gloria e le ricompense che ne costituiscono l’anima e lo sprone. Presso gli Italiani, «la théologie mène à tout et la philosophie à rien»41. Un terzo delle città risulta occupato da chiese e conventi, e dappertutto ha autorità il «tribunal monastique»42. L’intellettuale bordolese sostiene che, in tale contesto, amor di patria, senso di umanità, zelo e nitore dei costumi non possono che venir meno, anche perché sembrano essere al centro di tutto certe pratiche deleterie della religione; e ben rari sono gli scritti di morale significativi. Spostandosi sul terreno economico, l’Italia può contare su poche miniere. Scarse, poi, risultano le manifatture, le quali, secondo Deleyre, sono quasi tutte concentrate in Toscana, dal momento che «le souvenir de l’ancienne liberté conserve encore dans les esprits le germe des grandes choses»43. A sud delle Alpi, raramente ci s’imbatte nel buon gusto letterario: è scandaloso notare, afferma il philosophe bordolese, come Ariosto venga preferito a Tasso, la tragedia appaia subordinata alla musica e la commedia risulti il regno dell’imbecillità buffonesca degli istrioni. Poveri Italiani, egli sentenzia, ridotti a divertirsi con gli arlecchini e a lasciar spazio alle donne nelle Accademie e nelle Università! Se in campi quali la musica e l’antiquaria la Penisola non ha perso terreno, affinché torni a giocare un ruolo di primo piano nell’ampio e variegato consesso culturale europeo essa avrebbe bisogno di essere rischiarata dagli altri Paesi europei (specialmente dalla Francia), e così facendo arrossirebbe dinanzi ai discendenti di quei Barbari che già l’avevano vista arrossire quando l’ebbero sottomessa con la caduta di Roma. In Italia, a giudizio di Deleyre, devono circolare ancora più capillarmente pubblicazioni di valore: trattati, riviste e versi (fra questi ultimi, egli menziona – in particolare – le «Odes martiales de l’Amazone de Saxe»44). Per fortuna, aggiunge il philosophe, la lingua francese è già abbastanza conosciuta a sud delle Alpi, e cominciano ad apparirvi traduzioni di buone opere straniere, anche inglesi. Risollevare l’Italia e rilanciarne il ruolo culturale in seno al Vecchio Continente, secondo Deleyre, sarà possibile solamente quando i sovrani dei vari Stati e staterelli nella quale è divisa, comportandosi da buoni legislatori, vareranno riforme sociali, economiche e civili in grado di arginare la potenza ecclesiastica e i tipi di dominio propri del mondo feudale. Inoltre, dovranno abbandonare le arti machiavelliche e stringersi in «cette Confédération que la paix de Westphalie a bornée à l’Allemagne et qu’il seroit temps d’étendre à toute l’Europe, si toutefois l’equilibre des puissances ne se trouve pas être une idole philosophique qui n’a jamais eu d’influence dans le cabinet des souverains»45. Qui finisce la Lettre di Deleyre.

41 Deleyre, 1765a, p. 347. 42 Assai dure sono, in particolare, le parole di Deleyre contro l’Inquisizione, che egli considera – in qualche misura – il suggello alla decadenza italiana degli ultimi secoli e alla passività dei suoi abitanti: «Un tribunal monastique établi dans toute l’Italie, quoiqu’il eût plus ou moins d’influence, selon la situation des lieux et le caractère des princes, gênoit la police et captivoit la raison, remplissoit les cloîtres et dépeuploit les campagnes, grossissoit le nombre des mendians, volontaires ou forcés, en comblant la paresse d’immunités et le travail de surcharges» (Deleyre, 1765a, p. 342). 43 Deleyre, 1765a, p. 348. 44 Deleyre, 1765a, p. 350. Si allude ai versi di una poetessa brandeburghese che gode allora di grande fama, Anna Louisa Karsch (1722-1791), meglio conosciuta come die Karschin. 45 Deleyre, 1765a, pp. 352-353. La pace di Vestfalia (1648), com’è noto, mette fine alla lacerante e sanguinosa guerra dei Trent’Anni. La Lettre allude agli accordi stipulati in quella sede per approdare a uno stabile equilibrio tra le potenze contraenti: la Baviera ottiene l’Alto Palatinato e la conferma dell’elettorato; si costituisce un nuovo elettorato nella regione del Basso Palatinato; il Brandeburgo (la futura Prussia) può contare su un allargamento territoriale; la Svizzera, i Paesi Bassi e il Portogallo vennero riconosciuti Stati indipendenti dall’Impero; in Germania, gli Stati membri dell’Impero si assicurano una vera autonomia di governo nei rispettivi domìni e la facoltà di contrarre alleanze; è stabilito che all’imperatore occorra il consenso della Dieta dell’Impero per fare la guerra e la pace, per arruolare milizie e per imporre tasse.

16

Poniamo ora brevemente in risalto, isolandoli, i tratti più significativi del testo. L’autore bordolese raffigura qui l’Italia settecentesca a tinte assai fosche. A suo modo di vedere, la situazione della cultura, della società, dei costumi e dell’economia appare talmente rovinosa che i governanti e i dotti degli Stati e staterelli nei quali è frazionato il Paese non possono dilazionare oltre l’introduzione di profonde riforme nei diversi ambiti della vita civile e intellettuale. Molti, secondo Deleyre, sono gli ostacoli che si frappongono al miglioramento delle condizioni materiali degli Italiani e al ritorno alla gloria dei suoi figli migliori: la teologia e il potere ecclesiastico risultano oppressivi; il monachesimo dilaga; il retaggio feudale resiste; l’educazione pubblica è di gran lunga inadeguata; non esiste lo spirito d’emulazione; mancano le manifatture, le miniere e uno sbocco pratico alla philosophie; l’innatismo cartesiano trionfa sull’empirismo lockiano, onde – si legge fra le righe – non è possibile ottenere i tanti frutti conoscitivi che si stanno raccogliendo al di là delle Alpi, ove invece prospera da tempo la scienza sperimentale; i dotti, pur non difettando, appaiono dispersi e non formano un gruppo organizzato. Vari passaggi polemici di questa Lettre colpiscono senza dubbio nel segno, benché essa appaia dominata da una troppo assoluta visione materialistica della storia e contenga parecchie esagerazioni e forzature. Le reazioni, com’è facile intuire, non si fanno attendere. Tra il fronte italiano e quello francese, tuttavia, non hanno luogo semplici scaramucce, ma prende forma una vera e propria polemica letteraria, abbastanza veemente e talora assai argomentata, la quale, pur nella sua breve durata, ha il considerevole effetto di contribuire a ravvivare il sentimento nazionale all’interno del ceto riflessivo degli Stati e staterelli posti a sud delle Alpi. Sarà tuttavia solo da lì a qualche tempo che la classe intellettuale italiana cercherà, con sempre maggiore risolutezza e coordinamento, di far nuovamente primeggiare il Bel Paese in seno al gran consesso europeo delle lettere, delle scienze e delle arti. Occorre segnalare che le risposte più organiche all’intervento di Deleyre giungono da autori d’origine emiliana46, il che è forse dovuto al fatto che l’anonimo estensore del testo dichiara di risiedere a Parma; non va comunque dimenticato che, tra il Po e l’Appennino, sono all’epoca ancora presenti “focolai” di misogallismo sviluppatisi al principio del secolo (cioè, in occasione della cosiddetta “polemica Orsi-Bouhours”47).

46 Cfr., per esempio, note 50 e 51. 47 Su questa celebre contesa letteraria, che al principio del XVIII secolo estende il dibattito all’Italia (e sui successivi sviluppi della questione nell’intera Penisola), una querelle che – fra l’altro – determina una certa sprovincializzazione del dibattito culturale italiano nei primi due decenni del secolo, cfr. Asor Rosa, 2009, vol. II (Dalla decadenza al Risorgimento), pp. 167-174; Battistini, 2000; Battistini, 2011; Benassi (a), 1991; Bruni, 2010, pp. 419 e segg.; Cottignoli, 1984; Cottignoli, 1988; Cuaz, 1998, pp. 72-78; Folena, 1983, passim; Fubini, 1946; Gensini, 1987; Gensini, 1993; Graziosi-Accorsi, 1989; Madonia, 1998; Matarrese, 1993, pp. 119-125; Puppo, 1975, pp. 135-140 (ma si veda anche, per intero, il cap. I: pp. 11-134); Toffanin, 1946; Verga, 2002, soprattutto pp. 9-10, 17-21 e 25-31; Verga, 2009, pp. 174-185; Verga, 2013, pp. 92-100; Viola, 2000; Viola, 2001; Viscardi, 1947; Vitale, 1988. In tale fertilissima temperie intellettuale, Lodovico Antonio Muratori delinea l’ambizioso piano di riforma della cultura italiana, un progetto che egli comincia ad illustrare nel suo volumetto I primi disegni della Repubblica letteraria d’Italia rubati al segreto, e donati alla curiosità de gli altri eruditi da Lamindo Pritanio, In Napoli, s.e., 1703 (si tratta, però, di una falsa indicazione: in realtà, il piccolo libro esce al principio del 1704 nel territorio della Repubblica Serenissima, o a Venezia [come, da sempre, si è soliti affermare] o a Padova [com’è stato di recente scritto: vedi Ulvioni, 2008, p. 103]); in quest’opera, viene affermato l’ideale di una comune cultura nazionale che possa inserirsi armonicamente nel contesto europeo. In buona misura nel solco dei Primi disegni e testimoni della medesima ansia di rinnovamento, sono due trattati muratoriani: Della perfetta poesia italiana, che circola manoscritto fin dal 1703, ma che viene impresso solo tre anni dopo, in 2 volumi, a Modena, da Bartolomeo Soliani (qui l’autore offre una specie di summa dei problemi della letteratura italiana alla quale tutto il Settecento fa poi spontaneo riferimento); Delle riflessioni sopra il buon gusto nelle scienze e nelle arti, esplicitamente collegato ai Primi disegni, riproposti come premessa alla prima parte (cioè: al vol. I) del libro, apparsa a Venezia, da Luigi Pavino, nel 1708 (la seconda parte [cioè: il vol. II] tarda ad uscire fino al 1715: reca l’indicazione, per metà falsa, di «In Colonia [ma: Napoli], Per Benedetto Marco Renaud»). Tra coloro che più precocemente e convintamente adottano il piano di riforma proposto da Muratori, figurano diversi dotti operanti in territorio veneto; alcuni di essi, soprattutto su impulso di Apostolo Zeno, Scipione Maffei e Antonio Vallisneri (o Vallisnieri) il Vecchio, danno vita nel 1710 al «Giornale de’ letterati d’Italia»: per approfondimenti su

17

In Paradisi, come dicevamo nella Premessa, va sicuramente individuato colui che commenta con maggiore ponderatezza le durissime accuse contenute in tale Lettre écrite de Parme. La sua risposta, e lo stiamo per vedere, è ben argomentata e decisa nel tono, anche se a tratti alquanto ottimistica nella descrizione delle reali condizioni dell’Italia del tempo. Negli anni successivi, l’intellettuale emiliano tornerà in diverse occasioni sugli argomenti affrontati in quest’Epistola contro l’autore bordolese, e avrà sovente cura di problematizzare e arricchire le proprie riflessioni anche alla luce degli studi storici ed economici che andrà conducendo con zelo e spirito critico crescenti.

2.2. L’Epistola ai Signori Compilatori della Minerva

Paradisi risponde a Deleyre con un’Epistola che, datata «R.… 11. Sett. 1765» e firmata «A…. P….», vede la luce nell’ottobre 1765 in un importante foglio mensile pubblicato a Venezia, «La Minerva o sia Nuovo giornale de’ letterati d’Italia», venendo anzi a costituire una sorta di condensato o manifesto programmatico di quel foglio48. Nella sua Epistola, Paradisi afferma che della Lettre hanno già fatto «dottamente la censura» due autori, «[u]n Anonimo Parmigiano, e il Padre Abbate Pozzi»49, ossia Andrea Mazza50 e Cesareo Pozzi51. quest’importantissimo e imitatissimo foglio, cfr. Bellocchi, 1974-1980, vol. IV (1975), pp. 44-46; Berengo, 1962, pp. XI-XV (una sorta di documentata recensione, di ampio orizzonte, a Berengo, 1962, così come all’annessa antologia, è Torcellan, 1963 [corrispondente a Torcellan, 1969], ove tuttavia sono molto pochi i riferimenti al «Giornale de’ letterati d’Italia»); Del Tedesco (a cura di), 2012; De Michelis, 1979, pp. 37-65 (anche sulla figura del suo primo direttore, Apostolo Zeno); Dooley, 1982; Dooley, 1991; Fattorello, 1933, vol. I, pp. 3-49; Gaeta, 1966, vol. I, pp. 186-187; Generali, 1984; Maffei, 2009; Paesano, 2014, p. 42; Piccioni, 1894, pp. 80-106; Ricuperati, 1976, pp. 117-164; Saccardo, 1942, pp. 17-19; Ulvioni, 2008, pp. 106 e segg. Le tesi muratoriane circa la costituzione di una vera e propria «Repubblica dei letterati d’Italia» esercitano a lungo una certa influenza: per esempio, echi inequivocabili di esse si ritrovano, oltre che in questa Epistola di Paradisi e in altri suoi scritti, nelle idee e nei testi dei membri della Società (o Associazione) dei Pugni, che è attiva a Milano dal 1761 al 1766 e che dal giugno 1764 al maggio 1766 cura la pubblicazione della celebre rivista «Il Caffè»; a proposito del dotto cenacolo e del loro foglio, dei quali il principale animatore è – come si sa – Pietro Verri, cfr. Aa.Vv., 1993. 48 Paradisi, 1765, con data e firma a p. 120 (sulla «Minerva», mensile impresso dal marzo 1762 all’agosto 1767, ci permettiamo di rimandare – anche in rapporto all’Epistola della quale stiamo parlando – a Venturelli, 2015 [poi, Venturelli, 2016]). Esiste un’altra versione dello scritto, che è inserita in Paradisi, 1767, e che risulta quasi identica alla precedente: tra le pochissime differenze, solitamente di assai scarso rilievo, uno dei più evidenti esempi di modifica si rinviene nella preferenza data, tanto nell’intitolazione quanto nelle righe iniziali e finali del testo (collocato alle pp. V- XVI), alla forma «Lettera»/«Lettere» piuttosto che alla forma «Epistola»/«Epistole». Rispetto a Paradisi, 1765, poi, in Paradisi, 1767 vi è un’unica aggiunta (ad essa si allude, nell’intitolazione dell’opuscolo, con le parole «alcune Osservazioni») ed è costituita dalla breve premessa Al Leggitore (pp. III-IV). Esiste anche una terza versione, postuma: Lettera ai Signori Compilatori della Minerva sopra una lettera francese scritta in biasimo dell’Italia, in Paradisi, 1827, t. II, pp. 167-186. Qui l’uso delle iniziali maiuscole è molto più raro di quanto non sia nelle edizioni del 1765 e del 1767; anche i segni di punteggiatura risultano meno numerosi. La forma «Epistola» (ed «Epistole») della prima stesura è assente: mentre nella seconda – come detto – troviamo «Lettera» (e «Lettere»), qui si opta per «lettera» (e «lettere»). Nella terza versione, è possibile riscontrare qualche modifica testuale rispetto alle due precedenti, ma si tratta quasi sempre di cambiamenti scarsissima rilevanza, spesso semplici ritocchi grafici; le uniche quattro differenze importanti sono: la mancanza sia dell’epigrafe iniziale (da Fedro, IV, 7) sia della citazione in lingua greca al principio della nota asteriscata (vedi la nostra nota 57) sia – alla fine – delle iniziali del nome e del cognome dell’autore, ognuna delle quali seguita da puntini, e la presenza – alla fine – di una data senza abbreviazioni. 49 Paradisi, 1765, p. 99 (il corsivo è nell’originale). 50 Poco dopo l’uscita della Lettre di Deleyre, fa il suo ingresso nella querelle italo-francese un noto storico e filologo attivo a Parma e appartenente alla Congregazione Cassinese dell’Ordine di San Benedetto, Andrea Mazza (al secolo, Giuseppe Antonio Maria: Parma, 1724 - ivi, 1797), fratello di quell’Angelo (Parma, 1741 - ivi, 1817) che nel 1765 sta muovendo i primissimi passi nel mondo delle lettere e che presto diventerà uno dei maggiori poeti italiani del tardo Settecento. Andrea Mazza, il quale dalla metà del 1764 gode dello status di «Pensionato Letterato della R. Corte» e ha l’incarico di inviare gli estratti delle opere più importanti che escono in Italia alla «Gazette littéraire de l’Europe»,

18

Il poeta emiliano afferma che il quadro offerto nella Lettre è troppo ingeneroso e malevolo, e che più volte vi si avanzano tesi «tali da eccitar riso in qualunque Leggitore, fosse anche Catone»52, in quanto la stragrande maggioranza dei dotti europei coevi sa che, pure a sud delle Alpi, sono presenti Istituti, Università, Accademie, laboratori ecc., dove moltissime persone, grazie allo studio assiduo delle lettere, del teatro, delle scienze e di ogni genere di arte, stanno ottenendo risultati di prim’ordine nei processi di sviluppo delle conoscenze, di affinamento del gusto e di maturazione di ordinamenti socio-economici equilibrati e floridi, processi – questi – che investono numerosi campi, dalla poesia alla prosa, dalla drammaturgia all’eloquenza, dall’anatomia alla chirurgia, dalla giurisprudenza alla geologia, dall’algebra alla chimica, dalla biologia alla fisica, dalla storia alla stende subito un ruvido intervento contro i punti di vista espressi nell’epistola francese, intervento che è pubblicato con ogni probabilità da lì a poche settimane: cfr. Mazza, 1765. In tale sede, egli reagisce – con una certa enfasi retorica – alle accuse d’ignoranza indirizzate agli Italiani da Deleyre, attirando l’attenzione sull’esistenza nella Penisola sia di innumerevoli letterati, filosofi (anche di scuola sensistica), artisti e scienziati di valore sia di parecchie Università e Accademie di primissimo piano; a suo avviso, poi, la Chiesa cattolica non sta per nulla ostacolando il fiorente sviluppo degli studi allora in atto in Italia; loda, ma con qualche riserva, Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria; non fa comparire quello di Carlo Goldoni nella nutrita serie di nomi di glorie italiane passate e presenti. Nello stesso numero della «Minerva» in cui appare l’Epistola di Paradisi, si dà notizia della recente pubblicazione di Mazza, 1765, rimproverando al suo autore di aver menzionato personaggi italiani non sempre importanti e perfino di essere stato tutt’altro che esaustivo nel riportare i nomi dei più significativi intelletti operanti al tempo nella sua città: vedi Anonimo (a), 1765, pp. 161-164, nota a piè di pagina. Già due mesi prima, il 16 agosto, di Mazza, 1765 è stato offerto un «estratto», sotto forma di corrispondenza da Parma: cfr. Anonimo (b), 1765; in quella sede, fra l’altro, si è chiamato per nome l’autore (alla col. 523 si può infatti leggere «il nostro P. Mazza») e si è conclusa la serie di lunghe citazioni dal testo con le seguenti parole: «Si dicono poi molte altre belle cose attissime a illuminare chi è cieco nell’Istoria Letteraria d’Italia, e a renderlo saggio finalmente e prudente» (coll. 525-526, con nostra piccola riforma nella punteggiatura). Va segnalato che Mazza manda all’intellettuale residente a Reggio due missive private di felicitazioni per la risposta di quest’ultimo all’attacco di Deleyre (entrambe sono custodite nelle Carte Paradisi della BEU [busta IV, n° 28]): la prima è spedita da Parma con data del 3 gennaio 1766 (ovviamente, si riferisce al testo pubblicato nella «Minerva»); la seconda viene inviata dalla badia di Torchiara con data del 27 aprile 1767 (il letterato benedettino, fra l’altro, dapprima vi ringrazia il celebre poeta per avergli fatto recapitare alcune copie di Paradisi, 1767, opuscolo allora fresco di stampa che egli confessa di aver riletto più e più volte, e poi non perde l’occasione di attaccare nuovamente il «Cachistarco francese», come ribattezza l’Enciclopedista di Portets). 51 Il monaco olivetano Cesareo Pozzi (Bologna, 1718 - ivi, 1782), professore di Matematica alla Sapienza di Roma e filosofo, pubblica un opuscolo (Pozzi, 1765) per rispondere alle accuse lanciate da Deleyre. In quelle sue pagine, egli non nega che la povertà sia diffusa negli Stati e staterelli italiani del Settecento, ma prende posizione contro ogni possibile determinismo economico nei riguardi della storia culturale della Penisola, contestando qualsiasi influsso della ricchezza pubblica sul fiorire delle lettere e delle arti nelle età dei Comuni, dell’Umanesimo e del Rinascimento, e ritenendo anzi che la miseria renda gli intelletti migliori e più inventivi. Del resto, secondo il dotto monaco, benché sovente gli uomini di cultura italiani siano sparsi e raminghi per il Bel Paese e benché ivi difettino mecenati e premi, ciò non ha impedito a importanti filosofi e giuristi come Giambattista Vico, ad insigni eruditi e storici del calibro di Lodovico Antonio Muratori e a un celebre letterato quale Scipione Maffei di operare e affermarsi a livello internazionale; peraltro, egli non manca di elencare i nomi di molti suoi contemporanei che stanno dando lustro alla Penisola coltivando mirabilmente le lettere, le scienze, la filosofia, la musica e le arti. Nella sua Lettera, inoltre, Pozzi considera trascurabili gli effetti sull’Italia delle grandi scoperte geografiche e della dominazione straniera; protesta che l’élite intellettuale a sud delle Alpi conosce e stima i pregi della cultura forestiera; liquida Dei delitti e delle pene come un cumulo di idee mal digerite che l’autore ha tratto dal Contrat social di Jean-Jacques Rousseau. L’uscita di tale risposta all’attacco di Deleyre è annunciata, fra l’altro, da Anonimo (c), 1765a (ma vedi anche Anonimo [c], 1765b), il quale offre un sostanzioso riassunto dell’opera, accompagnandolo con considerazioni piene di tatto e mostrando un certo spirito conciliatore. Un cenno a Pozzi, 1765 appare anche in Anonimo (a), 1765, p. 161, ove si vuole sottolineare che tanto il monaco bolognese quanto Mazza «poteano scrivere meglio». 52 Paradisi, 1765, p. 101 (l’integerrimo Marco Porcio Catone Uticense [95-46 a.C.] fin dall’età infantile ben raramente arriva a distendere i tratti del volto anche solo in un lieve sorriso [cfr. Plutarco, Vita di Catone Minore, I, 5; tuttavia, si veda ivi, XIII, 5]). In Al Leggitore (Paradisi, 1767, p. III), così scrive il poeta emiliano: «Le grandi pazzie fanno piangere i domestici, e ridere gli estranj. I Franzesi dovrebbero piangere per il loro Signor D…., se la pazzia di un meschino individuo potesse perturbare una Nazione così colta e sensata. Che noi Italiani ne rideremo alcun poco, e tanto meglio, quanto che egli si è avvisato di umiliarci. Per tal fine, e non altro, io scrissi questa Lettera; non già, come alcuno crederà forse, per difendere l’Italia, che non ha bisogno di me e non fa caso di lui. Niuno adunque vi cerchi ciò, che verrebbesi esigere in una maturata Apologia».

19 morale, dalle belle arti alla musica. L’autore nato a Vignola non si astiene né dall’indicare oltre venti figure di indiscusso prestigio e merito53, le quali stanno tenendo alto a livello internazionale il nome dell’Italia, «nostra commune Patria»54, né dal segnalare la presenza di «ottimi Giornali»55 che danno conto e discutono dei principali libri pubblicati di recente in Europa, né dal mettere in evidenza che al di là delle Alpi si stampano un po’ dappertutto fogli periodici che parlano diffusamente dei non rari libri di qualità che escono via via dalle numerose tipografie attive in parecchie città della Penisola: egli scrive tutto ciò per dimostrare con ancora maggiore chiarezza che non è altro che un imperdonabile mistificatore chi descrive l’Italia come culturalmente arretrata e marginale al cospetto delle progredite potenze del Vecchio Continente, e come popolata di gente misoneista, gretta, oziosa e ignorante. È inoltre opportuno, secondo Paradisi, porre in risalto e stigmatizzare la cecità assoluta dell’estensore della Lettre nei riguardi dei molti importantissimi centri della cultura italiana, in quanto a sud delle Alpi «l’amor del sapere [è] quasi per tutto radicato altamente, e fecondo di succosi germogli»56: città come Torino, Milano, Parma, Modena, Bologna, Padova, Pisa, Firenze,

53 Tra queste, desideriamo qui ricordarne almeno tre, già menzionate in precedenza. In Paradisi, 1765, pp. 103-104, si ricorda il filosofo ed economista Antonio Genovesi, nato vicino a Salerno (a Castiglione, ora Castiglione del Genovesi) nel 1713 e morto a Napoli nel 1769, un autore che influenza il letterato estense soprattutto quando questi comincia ad occuparsi di «economia civile». Ivi, p. 114, viene citato il drammaturgo Carlo Goldoni (Venezia, 1707 - Parigi, 1793), il quale – fra l’altro – vanta un ottimo e costruttivo rapporto con Paradisi (i due personaggi si stimano a vicenda, tanto che, in alcuni casi, il primo decide di sottoporre al secondo stesure non ancora definitive di propri testi; dal canto suo, l’intellettuale nato a Vignola legge in anteprima qualche brano di Gli Epitidi, l’unica tragedia da lui conclusa e rappresentata, all’autore veneziano quando questi fa tappa a Reggio (26 giugno 1762) durante il lungo viaggio che lo sta portando a Parigi; inoltre, Goldoni manda alle stampe nel 1763 la propria commedia Lo spirito di contradizione [sic], accompagnandola con una dedica all’amico emiliano ove il drammaturgo veneto lo celebra come grande poeta e fine traduttore. Ivi, p. 108, è fatto il nome di Lazzaro Spallanzani (Scandiano [RE], 1727 - Pavia, 1799), che in quel 1765 sta per diventare uno più eminenti naturalisti e fisiologi europei della sua epoca, e che da un decennio vanta ottimi rapporti con Paradisi (oltretutto, dal 1753 al 1763, data in cui lo scienziato si trasferisce a Modena per insegnare al Collegio dei Nobili di San Carlo, entrambi costituiscono punti di riferimento essenziali nel programma di allargamento culturale della Reggio estense). A proposito di Paradisi e Spallanzani, limitandoci al campo naturalistico, interessante è lo scambio epistolare che essi, nel 1769, hanno a proposito delle “rigenerazioni animali”, un settore di ricerca che negli anni precedenti è stato assai coltivato dal secondo). Il poeta emiliano, in questo piccolo carteggio, che si compone di sei lettere (quattro di Spallanzani e due di Paradisi), descrive diffusamente metodi e risultati delle proprie esperienze con lumache e salamandre. Queste missive sono state stampate in Spallanzani (a), 1986, pp. 231-237 (ma a p. 232 c’è la riproduzione della nota incisione di Paradisi realizzata da Caterina Piotti-Pirola e pubblicata per la prima volta nel 1838 o nel 1839), e sono seguite da due brevi lettere di Spallanzani del 1770 su altri temi, la seconda delle quali riporta la data del «17 Settembre 1769», anche se l’anno corretto è quello successivo. Gli originali degli otto testi sono custoditi presso la BAP, Mss. Regg.: missive di Spallanzani, B. 211 [2] e – solo l’ultima, quella con l’anno sbagliato – B. 448/198 (1); missive di Paradisi, B. 214 (1). Suddetto scambio epistolare viene esaminato in Monti, 2005, pp. 177-179 e 339. (Quel genere di interessi, all’epoca abbastanza di moda, non è ignorato da Voltaire, il quale nel 1768 manda alle stampe, senza rivelare il proprio nome, Les Colimaçons du Révérend Père l’Escarbotier, una brochure sotto forma di lettere nella quale si fa il resoconto, a tratti farsesco, di esperimenti scientifici compiuti sulle lumache.) Quest’attenzione di Paradisi per le scienze naturali non è occasionale: egli, ad esempio, prende appunti e riflette sulle più recenti osservazioni microscopiche che riguardano gli “animaletti” delle infusioni (alcune sue annotazioni sul fondamentale saggio spallanzaniano del 1765 dal titolo Saggio di osservazioni microscopiche concernenti il sistema della generazione de’ signori di Needham e Buffon si possono ancora leggere all’interno di un fascicolo autografo non datato, ma presumibilmente redatto alla fine degli anni Sessanta, oggi custodito presso la BEU (Carte Paradisi, busta VII, n° 6; una sua descrizione, purtroppo non impeccabile, è in Catalogo, 1907, p. 35). In Paradisi, 1765, pp. 107-108, il poeta emiliano menziona l’inglese John Turberville Needham (Londra, 1713 - Bruxelles, 1781) e il francese Georges-Louis Leclerc, conte di Buffon (Montbard [in Borgogna], 1707 - Parigi, 1788), e accenna al contributo da loro dato alla scienza (a p. 107, si utilizza la forma «Bouffon», così come a p. 117, allorché viene di nuovo nominato tale personaggio; invece, sia in Paradisi, 1767, pp. X e XV sia in Paradisi, 1827, t. II, pp. 175 e 184, è impiegata la forma «Buffon»; peraltro, negli appunti di cui al testé citato fascicolo della busta VII, n° 6, Paradisi preferisce la forma «Bouffon» alla forma «Buffon», ma non nel titolo dell’opera di Spallanzani collocato in testa ad essi). 54 Paradisi, 1765, p. 100. 55 Paradisi, 1765, p. 103. 56 Paradisi, 1765, p. 111.

20

Roma e Napoli, infatti, contano innumerevoli dotti che si stanno mettendo in luce sul più ampio proscenio letterario, scientifico e artistico del Vecchio Continente. Una delle accuse che l’intellettuale emiliano considera più fuori luogo è la seguente:

Udiste mai, Eruditi Signori, che la Poesia ad altro servir non debba che alla sola Metafisica? Pur egli lo afferma, e pretende farsi ragione coll’esempio degl’Inglesi. E che? Se il Pope sopra i materiali di Mylord Bolinbrooke compose un suo Saggio dell’Uomo, tutti i Poeti, tutte le nazioni dovranno comporre il lor Saggio dell’Uomo? Platone, certamente miglior Metafisico di questo Censore, che non è nemmen loico, altra opinione portava. Il Poeta, dic’egli, se Poeta ha da essere, convien che favole scriva, e non discorsi57.

Non solo. Paradisi, diversamente da Deleyre, vuole celebrare le donne di cultura che stanno contribuendo a rendere stimata e onorata l’Italia a livello internazionale:

Ma l’audacissimo uomo ha in pronto una Improvvisatrice Tedesca per nome Karsch, la quale si trae in mezzo per far arrossire la patria de’ Romani, e si vuol dipoi che la patria de’ Romani arrossisca, perché dà luogo alle Donne nelle Accademie, e nelle Cattedre. Se gl’Improvvisi della Signora Karsch vanno in giro su quelle terribili Gazzette di Parigi, che istruir debbono e sbalordire l’Europa, e perché negherem noi un Arcadico nome alla Morelli che ultimamente rallegrò le feste d’Ispruk con melodie Toscane; alla dotta Tagliazucchi, alla elegante Fenaroli, all’arguta Buongiovanni? E l’Improvvisatrice

57 Paradisi, 1765, pp. 114-115 (i corsivi sono nell’originale). Nella nota asteriscata a piè di pagina, il cui rimando è collocato subito dopo l’ultima parola di questa nostra citazione, lo scrittore settecentesco inserisce, in greco, una breve citazione tratta da Platone, Fedone, 61b: la sua traduzione in italiano, ineccepibile, si trova in corsivo alla fine del brano che abbiamo riportato a testo. Com’è risaputo, quelli indicati nel luogo da noi riportato dell’Epistola sono due dei più celebri e influenti personaggi inglesi del primo Settecento: il poeta Alexander Pope (1688-1744) e Henry Saint-John, I visconte Bolingbroke (1678-1751), filosofo e politico che viene qui ribattezzato «Bolinbrooke». In questo passo, l’intellettuale emiliano allude ad An Essay on Man, opera di Pope apparsa nel 1734 e costituita di quattro epistole pubblicate singolarmente fra il 1733 e il 1734; sotto forma di teodicea in versi, il libro rispecchia in maniera esemplare l’ottimismo filosofico-morale del primo Illuminismo (in tale sede, l’autore si dimostra influenzato, fra gli altri, proprio dall’amico Bolingbroke, destinatario fittizio delle epistole). L’accoglienza di An Essay on Man è subito calorosa, e non solo in Inghilterra; l’opera viene presto tradotta in tutte le lingue più importanti ed esercita un considerevole influsso in mezza Europa. Al di là di quanto afferma qui Paradisi, il Pope “poeta-filosofo” non può non costituire un decisivo punto di riferimento per lui, che sta iniziando ad essere riconosciuto come il maggior “poeta-filosofo” italiano del suo tempo. Va inoltre segnalato che, a partire dal 1759, l’intellettuale emiliano appronta la traduzione di alcuni testi del collega inglese: su questo, cfr. Cavatorti, 1907, pp. 123-124, ove – però – non si menziona la lettera che Taruffi invia da Bologna il 1° maggio 1760 a Paradisi, nella quale il primo scrive al secondo di mandargli il lavoro di traduzione dall’«illustre Pope» che Paradisi medesimo ha compiuto (questa missiva è contenuta nel già citato n° 15 della busta IV delle Carte Paradisi, custodite presso la BEU); nella stessa sede, capita di leggere: «La lingua inglese, e l’italiana son due contegnose sorelle, che vanno amarsi e vi pregiano ambedue di bella fase nella poesia a differenza della francese. Vostra Illustrissima lo ha detto, e le muse lo confermano» (ai fini della nostra presente indagine, ha qualche interesse quanto Taruffi dichiara poco prima delle righe appena riportate: «per non so qual destino, sembra, che lo spirito nazionale sia del tutto estinto ne’ nostri petti, e che la Francia ne abbia rapiti, e trasportati entro il suo vortice. Purtroppo i libraj franzesi hanno invaso tutta l’Italia, e affascinato gli occhi, e l’intelletto delle persone con quelle lor ciance dorate. Chi non ne adorna le proprie scanzie, chi non le sparge nella leggiadra conversazione vien riguardato da’ moderni buongustaj qual Senocrate, che non ha mai sacrificato alle Grazie. E in tanto si trascura lo studio de’ Classici, e la nostra generosa favella si va miseramente sformando. E, quel che è peggio, i Francesi adoperan con noi come la civetta, e le cicisbee co’ loro amanti più passionati. Ci maltrattano, ci vanno vibrando delle punture, e quel prepotente del Voltaire conduce la schiera de’ nostri sprezzatori» [per il riferimento a Senocrate, si vedano Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, IV, 2, e Claudio Eliano, Storie varie, XIV, 9]). Sia Pope sia Paradisi si mostrano persuasi che versi autenticamente “filosofici” possano offrire un contributo conoscitivo insostituibile nel mondo moderno: a loro avviso, infatti, la “poesia filosofica” possiede un contenuto ideale ispirato dai grandi problemi dell’esistenza e riesce a far “sentire” le verità filosofiche, diffondendo negli animi la certezza di queste tramite i sentimenti che da esse derivano. Secondo i due autori, pertanto, la “poesia filosofica” è chiamata a compiere e ingrandire la ragione umana, aggiungendo a essa ciò che le manca, illuminando della sua luce le regioni inesplorate dell’anima e della vita universale; intese a questo modo, la ragione e la poesia, lungi dall’escludersi e dall’usurparsi a vicenda le funzioni loro proprie, si armonizzano in una superiore unità.

21

di Sassonia farà vergognare l’Italia, che può contrapporle una Agnesi, il cui splendido corso di Algebra riportò pubblica approvazione all’Accademia delle Scienze; e una Bassi che trae fin dalla Grecia discepoli alla sua scuola, e alle Ode Marziali dell’Amazone di Sassonia può mostrar per ricambio lucubrazioni profondissime di Fisica e di Geometria?58

A proposito di «arrossire», secondo Paradisi, a farlo dovrebbero essere i «Compilatori della Gazzetta Letteraria», in quanto essi,

sedendo a scranna sopra lo scibile, non si avveggono poi di essere aggirati da’ loro corrispondenti. Se voleano novelle d’Italia, e le voleano da penna Francese, non ci era un Chauvelin familiare colle Muse egualmente che co i Principi? Non ci era un Condillac quel sommo Metafisico, che ha colorito i disegni di Loke? A questi conveniva ricorrere, che ricchi di propria lode, non avean bisogno di procacciarsi un nome dalla maldicenza59.

58 Paradisi, 1765, pp. 115-116 (i corsivi sono nell’originale). Sulla «Signora Karsch», cfr. nota 44. La «Morelli» a cui si fa riferimento, è forse la più celebre poetessa estemporanea (vale a dire, improvvisatrice) europea dell’intero XVIII secolo; nata a Pistoia nel 1727, le è imposto il doppio nome di Maria Maddalena; ha circa vent’anni quando viene ascritta all’Arcadia, a Roma, con l’appellativo di «Corilla Olimpica» (da quel momento in poi, è sotto tale nome che viene di solito conosciuta); soggiorna in diverse città del Vecchio Continente (in questo passo della sua Epistola, Paradisi allude alla presenza della poetessa a Innsbruck, presso la Corte imperiale, nell’agosto 1765: lì, fra l’altro, ella ha l’ambito onore di esibirsi in occasione delle fastose nozze di Pietro Leopoldo con l’infanta di Spagna, Maria Luisa di Borbone), e muore a Firenze nell’anno 1800. La «dotta Tagliazucchi» è la poetessa, drammaturga e pittrice Veronica Cantelli, nata intorno al 1716 da una famiglia originaria del primo Appennino modenese, e precisamente del borgo di Monteorsello, facente allora parte del Marchesato di Vignola; con ogni probabilità figlia di un nipote dell’insigne geografo e cartografo Giacomo Cantelli (Monteorsello di Guiglia [MO], 1643 - Modena, 1695), bibliotecario dell’importante «Ducal Libreria» modenese, ella fa presto ingresso nel ceto d’Arcadia sotto il nome di «Oriana Ecalidea», e in Italia riceve via via crescenti tributi di stima da non poche persone di cultura, specie per le sue qualità di poetessa estemporanea; verso la metà del Settecento, comunque, diviene piuttosto famosa pure al di là delle Alpi, anche perché ha occasione di vivere, esibirsi e operare in svariate Corti europee (molto a lungo, presso quella prussiana di Federico il Grande, dove si conquista la stima – fra gli altri – di Voltaire; a Parigi, inoltre, viene esaltata da Marivaux), seguendo nei suoi spostamenti il consorte, l’apprezzato uomo di lettere Giampietro (o Giovan Pietro) Tagliazucchi (di antica famiglia modenese, ma nato nella Bassa reggiana [a Brescello] nel 1716), prima di far con lui ritorno nel Ducato estense (1762), nel cui territorio ella probabilmente muore una ventina di anni più tardi (il marito, invece, è già mancato da tempo: si spegne, infatti, nel 1768, a Reggio, poco dopo essere stato nominato governatore di quella città); famoso poeta è un nipote della Cantelli (figlio di sua sorella Silvia), quel Luigi Cerretti (Modena, 1738 - Pavia, 1808) che abbiamo menzionato nel § 1.2 come esponente della “scuola oraziana estense”. L’«elegante Fenaroli» è Camilla Solar d’Asti Fenaroli, una poetessa nata a Brescia nel primo decennio del Settecento e morta nella stessa città nel 1769. L’espressione «arguta Buongiovanni» rimanda a Pellegra Bongiovanni, poetessa nata nei primissimi anni del XVIII secolo a Palermo e morta nel 1770 a Roma; altresì conosciuta con il nome arcadico di «Ersilia Gortinia», ella coltiva anche la pittura e la musica. Maria Gaetana Agnesi, donna dotata di cultura enciclopedica, nasce a Milano nel 1718 e muore nella stessa città nel 1799; ottiene fama europea soprattutto nello studio delle matematiche; le sue Instituzioni analitiche ad uso della gioventù italiana (1748, in due volumi), l’opera alla quale allude qui Paradisi, hanno una vastissima circolazione; quando questo libro è ancora in bozze, l’Istituto delle Scienze di Bologna (cfr. nota 39) le offre l’aggregazione; nel 1750, in omaggio al desiderio del papa Benedetto XIV, il Senato accademico dell’Università petroniana la nomina professoressa di Matematica, ma ella rinuncia alla cattedra; a partire da due anni dopo e fino alla morte, si dedica quasi esclusivamente ad opere di beneficenza. Laura Bassi (Bologna, 1711 - ivi, 1778) nel 1732 si laurea in Filosofia presso l’Ateneo felsineo (è la seconda donna laureata d’Italia) e lì ha la cattedra di Biologia e Fisica (è la prima professoressa universitaria al mondo) e viene accolta come socia nella locale Accademia delle Scienze; significativi sono, in special modo, gli studi che ella dedica, spesso in collaborazione con il marito e collega Giuseppe Veratti (o Verati: Bologna, 1707 - ivi, 1793), a questioni inerenti al campo della fisica elettrica. 59 Paradisi, 1765, pp. 116-117 (corsivi nell’originale). Per quanto riguarda il primo personaggio menzionato qui, ci sono molte possibilità che Paradisi alluda all’abate Henri-Philippe Chauvelin (Parigi, 1714 - ivi, 1770), canonico della cattedrale parigina di Notre-Dame e membro del Parlamento di Parigi, pubblicista francese noto soprattutto per i suoi scritti contro i gesuiti. Il secondo personaggio citato dal poeta emiliano è, ovviamente, il celebre filosofo francese Étienne Bonnot de Condillac (Grenoble, 1715 - Beaugency [vicino ad Orléans], 1780), che all’epoca – come detto più volte in precedenza – si trova a Parma. Il decennio (1758-1767) da lui trascorso in questa città la porta ad essere al centro degli interessi culturali europei, in quanto egli applica lì all’educazione del giovane principe don Ferdinando (1751-1802, duca di Parma, Piacenza e Guastalla dal 1765 alla morte), l’unico figlio maschio di Filippo di Borbone

22

Proseguendo nelle sue argomentazioni, Paradisi sottolinea che sono innumerevoli i religiosi italiani che stanno concorrendo in maniera rilevantissima all’avanzamento degli studi nei campi più disparati, a dispetto delle sprezzanti valutazioni espresse dall’anonimo scrittore intorno alla Chiesa e ai tonsurati, come se l’una e gli altri fossero costitutivamente pigri, misantropi, subdoli e avversi al sapere, e dunque come se, nella Penisola, si contassero pochissimi ecclesiastici colti, franchi, socievoli e impegnati a collaborare alla crescita delle conoscenze e della felicità terrena del genere umano. Altroché un Paese caduto in uno stato deplorevole d’inerzia e disdegnato dai grandi intelletti europei, dunque! A giudizio del poeta emiliano, la «decadenza della nostra Letteratura» è solo «sognata»60 dall’anonimo estensore del testo francese, così come appare evidente che le scienze e le arti italiane siano tutt’altro che in rovina; il commercio dei vari Stati e staterelli collocati a sud delle Alpi, poi, si dimostra più che sufficiente a soddisfare i bisogni della popolazione61.

(1720-1765, duca dal 1748 alla morte), un innovativo progetto pedagogico, finalizzato a coniugare filosofia e potere; su questo, cfr. § 1.1 e nota 8. Paradisi stima molto Condillac: subito dopo la pubblicazione, nel 1776, del trattato Le Commerce et le Gouvernement, considérés relativement l’un à l’autre dell’autore francese, egli se ne procura una copia e ne rimane talmente impressionato che decide di adottarlo come testo-base del suo corso di Economia Civile, accantonando così le proprie lezioni; con sollecitudine, lo traduce e inizia a commentarlo (questa sua versione integrale dal francese, arricchita di sporadiche note, non verrà mai stampata: sotto il titolo di Il Commercio e il Governo considerati nelle loro scambievoli relazioni, si può comunque leggere in un codice autografo delle Carte Paradisi [busta VII, n° 16] custodite alla BEU: per la sua descrizione, vedi Catalogo, 1907, pp. 37-38). Il terzo personaggio menzionato dal poeta emiliano è, naturalmente, il filosofo inglese John Locke (Wrington [nel Somersetshire], 1632 - Oates [nell’Essex], 1704); non risulta inusuale, nell’italiano dell’epoca, la forma «Loke» («Loke» è tanto in Paradisi, 1765, p. 117 quanto in Paradisi, 1767, p. XV, mentre in Paradisi, 1827, t. II, p. 183 si ha «Locke»). 60 Paradisi, 1765, p. 118. 61 In quest’ultimo ambito di discorso, ci paiono di grande interesse alcune considerazioni paradisiane, che qui riteniamo non inutile riportare integralmente: «Per buona sorte l’Italia è ancor florida, e se il commercio suo è tenue e secondario, almen non ha bisogno di mendicar di che vivere oltre la Linea [l’Equatore] e il Gange, come le Nazioni dominatrici dell’Oceano. Signora di due mari, favoreggiata dal benefico clima, e dalla fecondità del docil terreno, ritrae dalle stesse sue produzioni di che fornire all’esorbitanza del proprio Lusso. Se mancan le miniere d’oro, l’oro non manca agli erarj. Son questi abbastanza pingui perché la leziosità de’ privati nella imbandigione de’ conviti gareggi cogli Apicj, e co i Luculli; perché fin nelle Città minori rari non sieno i Palagi emulatori della reale magnificenza; perché l’indolente popolo sicuro di un agiato vivere impoltrisca ridendo nell’ozio, e perché fastidiosi stranieri carpiscano immense ricchezze in mercede di simettrizzar le nostre Parrucche, e di atteggiarci nella discioltura del minué. Trattanto tra l’Alpe, e i Pirenei i Gentiluomini superbi delle perdute Viscontee tremano per le mandorle e per gli ulivi, e quanto più strettamente si travagliano della povertà, i Gazzettieri gli ricreano colla magnifica ricordanza di Pondicherì, e della Martinica. Così, credo io, quelle duemila persone che sogliono ogni anno perir di fame in Londra, non si riconforteranno per niente ne’ loro languori di qualche Provincia di più conquistata in America dalle armi Britanniche, che appunto per questa soprabbondanza di ricchezze reso vile l’oro, rincarano duramente le sostanze necessarie alla vita, massime dove la Terra non ne sia liberal producitrice» (Paradisi, 1765, pp. 109-111; Marco Gavio Apicio, nato verso il 25 a.C. e morto non oltre il 37 d.C., fu il celebre gaudente romano che scrisse una raccolta di ricette gastronomiche, il De re coquinaria, del quale ci resta un rifacimento in latino volgare, forse del IV secolo d.C., mentre Lucio Licinio Lucullo, nato nel 117 a.C. e morto nel 56, dopo essere stato uno dei più insigni politici e comandanti militari romani del suo tempo, compiuti da poco i cinquant’anni d’età, decise di abbandonare quasi del tutto gli affari pubblici per condurre un’esistenza all’insegna del fasto, delle frivolezze, dei divertimenti e dello sperpero, tanto che ancor oggi sono proverbiali la prodigiosa moltitudine e l’estrema ricercatezza delle vivande che componevano i pranzi e i banchetti da lui offerti; Pondichéry è il nome francese di una città indiana situata sulla costa sudorientale del Deccan, fondata dai Francesi nel 1673, occupata dagli Olandesi tre lustri dopo durante la guerra della Lega d’Augusta, restituita ai Francesi nel 1697 con la pace di Rijswijk e, infine, ottenuta dagli Inglesi nel 1763 grazie al trattato di Parigi, accordo che segna l’inizio della rovina dell’Impero coloniale francese; la Martinica è un’isola caraibica delle Piccole Antille, colonizzata dai Francesi nel 1635, diventata nel 1664 possedimento della Compagnia delle Indie Occidentali, entrata a far parte nel 1674 del dominio della Corona francese e conquistata nel 1762 dagli Inglesi, ma da essi restituita appena un anno più tardi). Anche se questa non è la sede adatta per commentare un brano così significativo e ricco di spunti, qui vorremmo comunque almeno mettere in risalto: la precoce “sensibilità” da economista di Paradisi, che si dimostra attento alle tesi mercantilistiche e che, forse, è memore del trattato muratoriano Della pubblica felicità, oggetto de’ buoni prìncipi, uscito a Venezia nel 1749; la sua diffidenza nei confronti di uno spirito di commercio che tende a

23

Non meritano commenti, secondo Paradisi, le considerazioni che si trovano alla fine della Lettre: è davvero possibile trovare qualcuno convinto che un’Italia che «faccia concordati per limitare l’autorità Ecclesiastica», che «edifichi un nuovo Codice di Leggi» e che «inviti i Principi ad una confederazione che sia ordinata al modo della pace di Westfaglia» progredirà e sarà ammirata da tutti? Eppure, «quella gran mente» dell’autore anonimo sembra crederlo sul serio: in tal modo, a suo giudizio, il Bel Paese «ricovrerà l’onestà sbandita dal Machiavellismo» e pubblicherà grandi libri; e quest’ultima sarà una fortuna, ironizza il poeta emiliano, perché così finalmente l’Italia «co’ proprj Scrittori potrà occupare un angolo della Gazzetta Letteraria»!62 Paradisi non nega che sia gradevole lo stile utilizzato da chi ha composto la Lettre. Invita, però, a non farsi ingannare e, dunque, a prestare grande attenzione al contenuto del testo prima di esprimere un giudizio su quest’ultimo: «Che se egli [l’estensore anonimo dell’epistola francese] conserva per tutto una certa facilità e leggerezza di scrivere, non è da stupire: tali Autori son come le bestie da carico, che quanto meno di peso portano, tanto più camminano speditamente»63. Come abbiamo potuto vedere, quella di Paradisi è una risposta ferma e circostanziata che, pur nella polemica sferzante (il testo di Deleyre viene fra l’altro definito, senza mezzi termini, un’«Epistola insultatrice» piena di «assurdi», «calunnie» ed «errori»64), non risulta affetta da “passatismo” e non intende tagliare i ponti con la cultura d’oltralpe. Tali aspetti differenziano con nettezza l’intervento del poeta emiliano dalle coeve prese di posizione avanzate, sia pubblicamente sia privatamente, contro la Lettre anonima da altri autori del Bel Paese. La sua Epistola, in ogni caso, viene senza dubbio a costituire una tappa nel processo di maturazione negli Italiani della coscienza della loro vocazione ad essere un solo popolo in una patria unitaria.

BIBLIOTECHE

BAP: Biblioteca “Antonio Panizzi”, Reggio Emilia. BEU: Biblioteca Estense Universitaria, Modena. VBA: Veneranda Biblioteca Ambrosiana, Milano.

BIBLIOGRAFIA

(I titoli ove compare il nome «Agostino Paradisi», quando da noi non indicato altrimenti, si riferiscono ad Agostino Paradisi il Giovane, e non ad Agostino Paradisi il Vecchio.)

degradarsi in spirito di conquista (come a dire, di sopraffazione, perché diretto all’estensione armata su tutto il pianeta dei domini delle varie Corone europee), in una temperie culturale come quella settecentesca che registra frequenti autorevoli condanne di suddetto spirito di conquista (basti pensare alle incisive prese di posizione in materia contenute nelle opere di Beccaria, Bentham, Condorcet, Kant, Mably, Montesquieu, Muratori, Paine, Rousseau, l’abbé de Saint Pierre, Vattel, Voltaire ecc.) e che individua nel principe conquistatore il peggiore sovrano possibile (onde, le accuse rivolte a colui che, all’epoca, viene sovente considerato la pressoché perfetta incarnazione storica di quel modello, vale a dire Carlo XII di Svezia); le suggestioni esercitate su di lui dall’“anti-mito” inglese che, in quegli anni, sta cominciando a diffondersi nell’Europa continentale. 62 Paradisi, 1765, pp. 118-119 (il corsivo è nell’originale). 63 Paradisi, 1765, p. 119. 64 Paradisi, 1765, p. 118; ma vedi anche pp. 99-100 e 102.

24

Testi della contesa scritti da Deleyre e Paradisi

Deleyre, 1765a: [A. Deleyre,] Lettre écrite de Parme aux Auteurs de la Gazette Littéraire [sic, con la l maiuscola], le 3 Janvier 1765, «Gazette littéraire de l’Europe» (Paris [edizione originale]), a. II (1765), t. IV, n° 64 (3 marzo), pp. 337-353. Deleyre, 1765b: [A. Deleyre,] Lettre écrite de Parme aux Auteurs de la Gazette Littéraire [sic, con l maiuscola], le 3 Janvier 1765, «Gazette littéraire de l’Europe. Augmentée de plusieurs Articles qui ne se trouvent pas dans l’Edition de Paris» (Amsterdam [edizione pirata]), a. II (1765), t. IV, n° 4 (aprile), pp. 243-265. Paradisi, 1765: A…. P…., Epistola ai Signori Compilatori della Minerva sopra una Epistola Francese scritta in biasimo dell’Italia, «La Minerva o sia Nuovo giornale de’ letterati d’Italia», a. IV (1765), t. XV, n° 44 (ottobre), pp. 99-120. 2a edizione: Paradisi, 1767; 3a edizione (postuma): Paradisi, 1827. Paradisi, 1767: Sopra lo stato presente delle Scienze e delle Arti in Italia. Lettera di A.P. contra [sic] una Lettera Francese del Signor D… Seconda Edizione accresciuta di alcune Osservazioni, In Venezia, Appresso Antonio Graziosi, 1767. 1a edizione: Paradisi, 1765; 3a edizione (postuma): Paradisi, 1827. Paradisi, 1827: Poesie e prose scelte del conte Agostino Paradisi, 2 tt., Reggio [Emilia], Per Pietro Fiaccadori, 1827. 1a edizione: Paradisi, 1765; 2a edizione: Paradisi, 1767.

Altri testi settecenteschi

Aa.Vv., 1993: Aa.Vv., «Il Caffè» 1764-1766, a cura di G. Francioni e S. Romagnoli, Torino, Bollati Boringhieri, 1993. Algarotti, 1794: Opere del conte Algarotti. Edizione Novissima, 17 tt., [a cura di F. Aglietti,] In Venezia, Presso Carlo Palese, MDCCXCI-MDCCXIV, t. IX (Lettere varie. Parte prima, MDCCXIV). Edizione anastatica: Verona, Scripta, 2014 (in quell’anno, sono usciti tutti e 17 i tomi, con in più il seguente tomo: C. Lo Giudice [a cura di], Indici). Algarotti, 1977: F. Algarotti, Dialoghi sopra l’ottica neutoniana, a cura di E. Bonora, Torino, Einaudi, 1977. Questo scritto dell’autore veneziano appare nel 1752 e costituisce la versione ampliata di Il Newtonianismo per le dame ovvero Dialoghi sopra la luce e i colori, impresso nel 1737. Anonimo (a), 1765: Anonimo, recensione a Dell’Agricoltura, dell’Arti, e del Commercio in quanto unite contribuiscono alla felicità degli Stati. Lettere di Antonio Zanon Cittadino ed Accademico d’Udine, e dell’Accademia de’ Risorti di Capo d’Istria, t. IV, In Venezia, Appresso Modesto Fenzo, 1764 (7 sono i tomi complessivi dell’opera, usciti dallo stesso stampatore fra il 1763 e il 1766), «La Minerva o sia Nuovo giornale de’ letterati d’Italia», a. IV (1765), t. XV, n° 44 (ottobre), pp. 154-171. Anonimo (b), 1765: Anonimo, estratto relativo a Mazza, 1765, «Novelle letterarie», t. XXVI (1765), n° 33 (16 agosto), coll. 520-526. Anonimo (c), 1765a: Anonimo, recensione a Pozzi, 1765, «Gazette littéraire de l’Europe» (Paris [edizione originale]), a. II (1765), t. VI, n° 13 (15 giugno), pp. 55-64. Anonimo (c), 1765b: Anonimo, recensione a Pozzi, 1765, «Gazette littéraire de l’Europe» (Amsterdam, [edizione pirata]), a. II (1765), t. IX, n° 9 (settembre), pp. 27-40. Baretti, 1768: An Account of the Manners and Customs of Italy; with Observations on the Mistakes of some Travellers, with Regard to that Country. By Joseph Baretti, 2 voll., London, T. Davies, in Russel Street, Covent Garden; and L. Davies and C. Rymers, in Holborn, MDCCLXVIII. 2a edizione corretta e ampliata: Baretti, 1769. Baretti, 1769: An Account of the Manners and Customs of Italy; with Observations on the Mistakes of some Travellers, with Regard to that Country. By Joseph Baretti, 2 voll., London, T. Davies, in Russel Street, Covent Garden; and L. Davies and C. Rymers, in Holborn, MDCCLXIX. 1a edizione: Baretti, 1768. Baretti, 2003: G. Baretti, Dei modi e costumi d’Italia, traduzione italiana e commento di M. Ubezio, prefazione di M. Mari, Torino, Aragno, 2003. È la traduzione di Baretti, 1769.

25

Bettinelli, 1766: S. Bettinelli, Dodeci [sic] Lettere Inglesi sopra varj Argomenti, e sopra la Letteratura Italiana, in appendice a Versi sciolti dell’abate Carlo Innocenzio Frugoni del conte Francesco Algherotti e del padre Xaverio Bettinelli con le Lettere di Virgilio dagli Elisj. Seconda edizione, si aggiungono Dodeci [sic] Lettere Inglesi sopra varj Argomenti, e sopra la Letteratura Italiana principalmente nuove ed inedite, In Venezia, Presso Giambatista Pasquali, MDCCLXVI, pp. iii-vii (dedica), viii (premessa dell’editore) e I- C (opera vera e propria). Grosley, 1764: [P.-J. Grosley,] Nouveaux mémoires, ou observations sur l’Italie et sur les Italiens, par deux Gentilshommes Suédois. Traduits du Suédois, 3 voll., À Londres, Chez Jean Nourse, M.DCC.LXIV. Lalande, 1769: [J.-J. Lefrançois de Lalande,] Voyage d’un François en Italie, fait dans les Années 1765 & 1766 [...], 8 voll. e un atlante, À Venise, et se trouve à Paris, chez Desaint, libraire, rue du Foin, M.DCC.LXIX. 2a edizione, corretta e accresciuta: 8 voll., Yverdon, s.e., 1769-1770; 3a edizione (definita, però, 2a), corretta e accresciuta, 9 voll., À Paris, Chez la veuve Desaint, Libraire, rue du Foin, M.DCC.LXXXVI ([Paris,] J. Ch. Des Aint, imprimeur, rue Saint-Jacques, 25 fevrier 1786). Maffei, 2009: S. Maffei, Letterati d’Italia. Introduzione al «Giornale» (1710), con un saggio di C. De Michelis, Venezia, Marsilio, 2009. Mazza, 1765: [A. Mazza,] Lettera di un Parmigiano de’ 19 Aprile 1765 agli eruditi, e dotti Autori della Gazzetta Letteraria di Europa, s.n.t. [ma: Parma, Filippo Carmignani, 1765]. Muratori, 1964: L.A. Muratori, Intorno al metodo seguito ne’ suoi studi. Lettera all’illustrissimo signore Giovanni Artico conte di Porcìa, in Opere di Lodovico Antonio Muratori, 2 voll., a cura di G. Falco e F. Forti, Milano-Napoli, Riccardi, 1964, vol. I, pp. 6-38. Questa lunga e celebre lettera, datata «Modena, 10 novembre 1721», viene data per la prima volta alle stampe solo nel 1872. Pozzi, 1765: C. Pozzi, Lettera del P. abate D. Cesareo Pozzi agli Autori della Gazzetta Letteraria d’Europa li 9 d’Aprile 1765, In Roma, Appresso Francesco Komarek, 1765. Sharp, 1766: S. Sharp, Letters from Italy describing the Customs and Manners of that Country in the Years 1765 and 1766, London, R. Cave, 1766. Spallanzani (a), 1986: L. Spallanzani, Carteggi con Lucchesini… Quirini, vol. VI della Parte prima (Carteggi), per intero a cura di P. Di Pietro, dell’Edizione nazionale delle opere di Lazzaro Spallanzani, Modena, Mucchi, 1986. Voltaire, 1771: [Voltaire,] voce Goût, in [Id.,] Questions sur l’Encyclopédie, par des amateurs, 9 parti [cioè: voll.], [Genève, Cramer,] 1770-1772, parte [cioè: vol.] VI, pp. 280-298. Voltaire, 2013: Voltaire, Dizionario filosofico. Tutte le voci del Dizionario filosofico e delle Domande sull’Enciclopedia, traduzione italiana con testo originale a fronte, a cura di D. Felice e R. Campi, introduzione di R. Campi, Milano, Bompiani, 2013.

Letteratura critica e contributi vari

Aa.Vv., 1868: Lettere edite ed inedite del cavaliere Dionigi Strocchi ed altre inedite a lui scritte da uomini illustri raccolte e annotate a cura di Giovanni Ghinassi, 2 voll., Faenza (RA), Dalla Tipografia di Pietro Conti, 1868. Aa.Vv., 1986-1993: Aa.Vv., Anatomie accademiche, 3 voll., Bologna, Il Mulino, 1986-1993 (vol. I: W. Tega [a cura di], I Commentari dell’Accademia delle Scienze di Bologna, 1986; vol. II: Id. [a cura di], L’Enciclopedia scientifica dell’Accademia delle Scienze di Bologna, 1987; vol. III: A. Angelini [a cura di], L’Istituto delle Scienze e l’Accademia, 1993). Aa.Vv., 1987-1988: Aa.Vv., I laboratori storici e i musei dell’Università di Bologna, 2 voll., 1987-1988 (vol. I: La città del sapere, s.l. [ma: Milano], Silvana, 1987; vol. II: I laboratori storici e i musei dell’Università di Bologna, s.l., s.e., 1988). Aletto, 1978: C. Aletto, Un interprete di Francis Bacon: Alexandre Deleyre, in Pa. Rossi (a cura di), Filosofia scienza politica nel Settecento francese. Saggi ricerche testi, Firenze, CLUSF, 1978, pp. 61-83. Alfieri, 1988: L.M. Alfieri, Aspetti della cultura economica modenese nella seconda metà del XVIII secolo: Agostino Paradisi e Ludovico Ricci, in Fornaciari Davoli (ricerca diretta da), 1988, pp. 117-170.

26

Alfieri, 1998: L.M. Alfieri, Il contributo del pensiero economico di Agostino Paradisi alla evoluzione degli strumenti economici del Ducato Estense, «Il diritto dell’economia», a. VI (1998), fasc. 2, pp. 377-380. Alfieri, 2006: L.M. Alfieri, Gli scritti di Agostino Paradisi (1736-1783) e la pubblica felicità, «Bollettino Storico Reggiano», a. XXXIX (2006), n° 132, pp. 53-89. Anonimo, 1941: Anonimo, voce Paradisi Prini Massimilla, in M. Bandini Buti (a cura di), Poetesse e scrittrici, 2 voll., Roma, EBBI Istituto Editoriale Italiano Bernardo Carlo Tosi, 1941-1942, vol. II (1941), pp. 112-113. Armani, 2005a: G. Armani, Un’idea di progresso. Da Beccaria a Galante Garrone, Reggio Emilia, Diabasis, 2005. Armani, 2005b: G. Armani, Le idee illuministe nei territori estensi (1979), in Armani, 2005a, pp. 37-62. Armani, 2005c: G. Armani, L’Economia civile di Agostino Paradisi (1983), in Armani, 2005a, pp. 63-79. Asor Rosa, 2009: A. Asor Rosa, Storia europea della letteratura italiana, 3 voll., Torino, Einaudi, 2009. Augello-Bianchini-Gioli-Roggi (a cura di), 1988: M.M. Augello - M. Bianchini - G. Gioli - P. Roggi (a cura di), Le cattedre di economia politica in Italia. La diffusione di una disciplina «sospetta» (1750-1900), introduzione di P. Roggi, presentazione di P. Barucci, Milano, Franco Angeli, 1988. Balletti, 2008: A. Balletti, Il pensiero economico nei Ducati Emiliani e negli Stati Pontifici dalle origini al 1848, con glosse di L. Cossa, introduzione, trascrizione e edizione critica a cura di M. Mosca, presentazione di M. Bianchini, Reggio Emilia, Diabasis, 2008. 1a stampa del manoscritto del 1890-1892, conservato nella BAP. Barigazzi, 1983: C. Barigazzi, Agostino Paradisi. Vita e opere di uno dei protagonisti più originali dell’Illuminismo europeo, «Reggio Storia», N.S., a. VI (1983), n° 21 [cioè: fasc. 3 dell’a. VI], pp. 70-74 (1a parte); n° 22 [cioè: fasc. 4 dell’a. VI], pp. 57-59 (2a parte). Barigazzi, 1990: C. Barigazzi, Agostino Paradisi… indaga, «Reggio Storia», N.S., n° 49 (1990) [cioè: a. XIII, fasc. 4], pp. 10-15. Qui si parla di Agostino Paradisi il Vecchio. Barigazzi, 1993-1994: C. Barigazzi, Il cavaliere e la morte. Agostino Paradisi seniore, precursore di Beccaria e traduttore di Graciàn [sic, per «Gracián»], «Il Carrobbio», aa. XIX-XX (1993-1994) [ma: 1994], pp. 173-184. Come indica il titolo, qui l’oggetto d’indagine è Agostino Paradisi il Vecchio. Battistini, 2000: A. Battistini, Il Seicento nella polemica Orsi-Bouhours, in Id., Il Barocco. Cultura, miti, immagini, Roma, Salerno Editrice, 2000, pp. 253-261. Battistini, 2011: A. Battistini, Bologna 1703. Alla ricerca di un’identità nazionale, in S. Luzzato - G. Pedullà (a cura di), Atlante della letteratura italiana, 3 voll., Torino, Einaudi, 2010-2012, vol. II (E. Irace [a cura di], Dalla Controriforma alla Restaurazione, 2011), pp. 571-576. Bédarida, 1928: H. Bédarida, Parme et la de 1748 à 1789, Paris, Champion, 1928. Bellocchi, 1974-1980: U. Bellocchi, Storia del giornalismo italiano, 8 voll., Bologna, Edison, 1974-1980. Benassi (a), 1991: S. Benassi, Definizione di gusto: la polemica Orsi-Bouhours, in Id. (a cura di), Estetica e Arte. Le concezioni dei “moderni”, Bologna, Nuova Alfa Editoriale, 1991, pp. 107-126. Benassi (b), 1924: U. Benassi, Una guerra letteraria italo-francese del secolo XVIII, «Giornale storico della letteratura italiana», a. XLII (1924), nn° 247-248 [cioè: vol. LXXXIII, fascc. 1-2], pp. 54-83. Berengo, 1962: M. Berengo, Introduzione a Giornali veneziani del Settecento, antologia – a cura dello medesimo studioso – di scritti pubblicati in rivista, Milano, Feltrinelli, 1962, pp. IX-LXIV. Bianchini, 1988: M. Bianchini, Una difficile gestazione: il contrastato inserimento dell’economia politica nelle università dell’Italia nord-orientale (1769-1866). Note per un’analisi comparativa, in Augello- Bianchini-Gioli-Roggi (a cura di), 1988, pp. 47-92. Biondi, 2005: C. Biondi, Un “philosophe” alla corte di Parma: Étienne Bonnot de Condillac precettore di don Ferdinando, in A. Mora (a cura di), Un Borbone tra Parma e l’Europa. Don Ferdinando e il suo tempo (1751-1802), Atti del Convegno (Fontevivo [PR], 12-14 giugno 2003), Reggio Emilia, Diabasis, 2005, pp. 51-61. Bonini, 1985: R. Bonini, Crisi del diritto romano, consolidazioni e codificazioni nel Settecento europeo, Bologna, Pàtron, 1985. 2a edizione ampliata: Bonini, 1988. Bonini, 1988: R. Bonini, Crisi del diritto romano, consolidazioni e codificazioni nel Settecento europeo, Bologna, Pàtron, 19882. 1a edizione: Bonini, 1985.

27

Bonora, 1960: E. Bonora, voce Algarotti, Francesco, in Dizionario biografico degli Italiani, vol. II, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1960, pp. 356-360. Bragagnolo, 2009: M. Bragagnolo, Lodovico Antonio Muratori. Giurista e politico, Tesi di dottorato, tutor P. Carta, XXI ciclo di dottorato, Università di Trento, Scuola di dottorato in Studi giuridici comparati ed europei, Curriculum di Storia del diritto e del pensiero giuridico europeo, Anno Accademico 2007-2008, discussa il 27 marzo 2009. Bragagnolo, 2017: M. Bragagnolo, Lodovico Antonio Muratori e l’eredità del Cinquecento nell’Europa del XVIII secolo, Firenze, Olschki, 2017. Bruni, 2010: F. Bruni, Italia. Vita e avventure di un’idea, Bologna, Il Mulino, 2010. Cafisse, 1988: M.C. Cafisse, Agostino Paradisi teorico delle belle arti, in A. Fraschetti (a cura di), Letteratura e arti figurative, 3 voll., Atti del Convegno (Toronto, Hamilton e Montreal, 6-10 maggio 1985), Firenze, Olschki, 1988, vol. II, pp. 749-759. Cagnoli, 1827: [L. Cagnoli,] Elogio del conte Agostino Paradisi recitato nel solenne aprimento delle scuole di Reggio il dì XXV novembre MDCCCXI, in Paradisi, 1827, t. I, pp. V-XLVII. 2a edizione corretta ed ampliata: Cagnoli, 1830. Cagnoli, 1830: Elogio del conte Agostino Paradisi recitato nel solenne aprimento delle scuole di Reggio il dì XXV novembre MDCCCXI da Luigi Cagnoli, in Poesie scelte del conte Agostino Paradisi con l’elogio dell’autore, Milano, Dalla Società Tipografica de’ Classici Italiani, MDCCCXXX, pp. VII-LXVIII. 1a edizione: Cagnoli, 1827. Cagnoli, 1839: [L. Cagnoli,] Memorie per l’Accademia degli Ipocondriaci di Reggio, Milano, Dalla Società Tipografica de’ Classici Italiani, 1839. Calore, 1986a: M.C. [M. Calore], voce Francesco Albergati Capacelli (1728-1804), in Casini-Ropa - Calore - Guccini - Valenti (a cura di), 1986, vol. I, pp. 24-39. Calore, 1986b: M.C. [M. Calore], voce Agostino Paradisi (1736-1783), in Casini-Ropa - Calore - Guccini - Valenti (a cura di), 1986, vol. I, pp. 183-185. Calore, 1986c: M. Calore, «O virtuosi tutti o tutti ciarlatani». Il teatro al tempo di Francesco Albergati, in Casini-Ropa - Calore - Guccini - Valenti (a cura di), 1986, vol. I, pp. 378-417. Calore, 1990: M. Calore, I marchesi Albergati e i loro rapporti con la Polonia, in R.C. Lewanski, Laudatio Bononiæ, Atti del Convegno (Bologna, 26-31 maggio 1988), Varsavia, Istituto Italiano di Cultura, 1990 (numero speciale del «Bollettino di Studi Italiani»), pp. 374-388 (a pp. 387-388, tavole). Capra, 2002: C. Capra, I progressi della ragione. Vita di Pietro Verri, Bologna, Il Mulino, 2002. Cardosi, 1905-1908: F.S. Cardosi, La scuola oraziana nel Ducato Estense. Contributo alla storia della letteratura italiana del sec. XVIII, «Classici e neo-latini», aa. I-IV (1905-1908), interventi apparsi in fascc. diversi (la sez. I, dal titolo Agostino Paradisi, è nel fasc. 2 dell’a. I). Poi, tutti i testi raccolti in volumetto (estratti): La scuola oraziana nel Ducato Estense, Aosta, Marguerettaz, 1908. Carducci, 1871: G. Carducci, La lirica classica nella seconda metà del sec. XVIII, introduzione a Lirici del secolo XVIII. Savioli, A. Paradisi, Cerretti, Rezzonico, Cassoli, Mazza, Fantoni, Lamberti, G. Paradisi, a cura del medesimo studioso, Firenze, G. Barbèra, 1871, pp. V-CXXXVII (Nota, pp. CXXXVIII- CXXXIX). Casini-Ropa - Calore - Guccini - Valenti (a cura di), 1986: E. Casini-Ropa - M. Calore - G. Guccini - C. Valenti (a cura di), Uomini di teatro nel Settecento in Emilia e Romagna. Il teatro della cultura, 2 voll., Modena, Mucchi, 1986 (vol. I: Prospettive biografiche; voll. II: Prospettive documentarie). Catalogo, 1907: Catalogo delle Stampe e dei Manoscritti di Agostino e Giovanni Paradisi (1735-1826). Annessivi altri Documenti e Stampe di vario genere conservati fino al 1899 presso gli eredi Paradisi in Reggio d’Emilia. Compilato dal dott.r Giuseppe Cavatorti, Villafranca (VR), Tipo-litografia Luigi Rossi, 1907. Questo libro fornisce l’inventario delle Carte Paradisi anteriore alla catalogazione che quei materiali ebbero una volta entrati nella BEU, dove sono attualmente conservati; di conseguenza, l’odierna catalogazione in buste non appartiene a Cavatorti. Cavatorti, 1907: G. Cavatorti, Agostino Paradisi (1736-1783). Monografia. Parte I (1736-1764), Torino, Carlo Clausen - Hans Rinck (Villafranca [VR], Tipo-litografia L. Rossi), 1907. Unico volume uscito, e privo del testo delle note cui via via si rimanda, di un’opera che avrebbe dovuto essere costituta di 2 volumi.

28

Cavazza, 1979: M. Cavazza, Verso la fondazione dell’Istituto delle Scienze: filosofia «libera», baconismo, religione a Bologna 1660-1714, in Aa.Vv., Sull’identità del pensiero moderno, Firenze, La Nuova Italia, 1979, pp. 97-146. Parzialmente: in Cavazza, 1990. Cavazza, 1990: M. Cavazza, Settecento inquieto. Alle origini dell’Istituto delle Scienze di Bologna, Bologna, Il Mulino, 1990. I testi dei capitoli del libro sono precedentemente usciti, in versioni mai identiche, sotto forma di articoli di rivista o di contributi inseriti in opere collettive (talora, in volumi che raccolgono Atti di Convegni). Cavicchi, 1980: A. Cavicchi, Musica e melodramma nei secoli XVI-XVIII, in Romagnoli-Garbero (a cura di), 1980, pp. 97-133. Cecere, 2013: I. Cecere, Il Voyage en Italie di Joseph-Jérôme de Lalande, prefazione di G.C. Sciolla, Napoli, Luciano Editore, 2013. Cerruti, 1986a: M. Cerruti, L’esperienza teatrale di Agostino Paradisi: fra traduzione e invenzione, in Davoli (a cura di), 1986, pp. 75-95. Cerruti, 1986b: M. Cerruti, Appunti per un riesame dell’esperienza teatrale di Francesco Albergati Capacelli, in G. Nicastro (a cura di), Istituzioni culturali e sceniche nell’età delle riforme, Atti del Convegno (Catania, 11-12 aprile 1985), Milano, Franco Angeli, 1986, pp. 121-135. Cipolli, 1998: C. Cipolli, L’Università e la cultura reggiana, Reggio Emilia, Edizioni San Lorenzo, 1998. Cottignoli, 1984: A. Cottignoli, Giovan Gioseffo Orsi corrispondente muratoriano fra «buon gusto» e «autorizzamento», in R. Cremante - W. Tega (a cura di), Scienza e letteratura nella cultura italiana del Settecento, introduzione di A. Santucci, Bologna, Il Mulino, 1984, pp. 511-519. Cottignoli, 1988: A. Cottignoli, «Antichi» e «moderni» in Arcadia, in M. Saccenti (a cura di), La Colonia Renia. Profilo documentario e critico dell’Arcadia bolognese, 2 voll., Modena, Mucchi, 1988, vol. II (Momenti e problemi), pp. 53-69. Cremante-Tega (a cura di), 1984: R. Cremante - W. Tega (a cura di), Scienza e letteratura nella cultura italiana del Settecento, Bologna, Il Mulino, 1984. Croce, 1946: B. Croce, Verseggiatori del grave e del sublime (sez. VI della rubrica Note sulla letteratura del Settecento), «Quaderni della “Critica”», vol. II (1946), n° 5 (cioè: fasc. 2 del vol. II), pp. 38-46. 2a edizione: Croce, 1949. Croce, 1949: B. Croce, Verseggiatori del grave e del sublime, in Id., La letteratura italiana del settecento. Note critiche, Bari, Laterza, 1949, pp. 352-362. 1a edizione: Croce, 1946. Cuaz, 1998: M. Cuaz, L’immagine dell’Italia nella cultura europea del Settecento, «Geographica antiqua», vol. VIII (1998) [n° monografico dal titolo L’idea di Italia. Geografia e storia], pp. 67-88. Cuppini-Matteucci, 1969: G. Cuppini - A.M. Matteucci, Ville del Bolognese, con la collaborazione di M. Fanti, presentazione di F. Clemente e C. Volpe [due brevi testi: uno, scritto dal primo studioso; l’altro, dal secondo studioso], Bologna, Zanichelli, 19692. 1a edizione: 1967. Dal Pra, 1969: M. Dal Pra, Il “Cours d’études” di Condillac nuova enciclopedia del sapere, in Aa.Vv., Atti del convegno sul Settecento parmense nel 2° centenario della morte di C.I. Frugoni (Parma, 10-12 maggio 1968), Parma, Deputazione di Storia Patria per le Province Parmensi, 1969, pp. 25-47. Dattero, 2014: A. Dattero, voce Paradisi, Agostino, in Dizionario biografico degli Italiani, vol. LXXXI, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 2014, pp. 281-286. Davoli, 1980: S. Davoli, Agostino Paradisi uomo di teatro, in Romagnoli-Garbero (a cura di), 1980, pp. 247- 262. Davoli (a cura di), 1986: S. Davoli (a cura di), Civiltà teatrale e Settecento emiliano, Atti del Convegno Settecento e civiltà teatrale in Emilia (Reggio Emilia, 21-23 marzo 1985), premessa di S. Romagnoli, Bologna, Il Mulino, 1986. Del Tedesco (a cura di), 2012: E. Del Tedesco (a cura di), Il «Giornale de’ letterati d’Italia» trecento anni dopo. Scienza, storia, arte, identità (1710-2010), Atti del Convegno (Padova, Venezia e Verona, 17-19 novembre 2010), presentazione di M. Zorzato, premessa di C. De Michelis, Pisa-Roma, Fabrizio Serra, 2012. De Michelis, 1979: C. De Michelis, Letterati e lettori nel Settecento veneziano, Firenze, Olschki, 1979. Di Battista, 1988: F. Di Battista, Per la storia della prima cattedra universitaria d’economia. Napoli 1754- 1866, in Augello-Bianchini-Gioli-Roggi (a cura di), 1988, pp. 31-46.

29

Donà, 1995: C. Donà, «Giornali di Berna» e giornalisti veneziani a metà Settecento, «Quaderni Veneti», n° 22 (1995) [cioè: a. XI, fasc. 2], pp. 71-103. Donati (a), 1935: B. Donati, Lodovico Antonio Muratori e la giurisprudenza del suo tempo. Contributi storico-critici seguiti dal testo della inedita dissertazione di L.A. Muratori De Codice Carolino, sive De novo Legum Codice instituendo, Modena, “Pubblicazioni della Facoltà di Giurisprudenza” presso l’Università degli studi (Premiata Società tipografica modenese Antica tipografia Soliani), 1935. Donati (b), 1988: C. Donati, L’idea di nobiltà in Italia. Secoli XIV-XVIII, Roma-Bari, Laterza, 1988. Donati (b), 1990: C. Donati, Nobiltà e arti meccaniche in Italia nel primo Settecento: l’Ateneo dell’uomo nobile di Agostino Paradisi, in L. Avellini - A. Cristiani - A. De Benedictis (a cura di), Sapere e/è potere. Discipline, Dispute e Professioni nell’Università Medievale e Moderna. Il caso bolognese a confronto, Atti del 4° Convegno (Bologna, 13-15 aprile 1989), 3 voll., Bologna, Comune di Bologna - Istituto per la Storia di Bologna, 1990 [ma: 1991], vol. III (A. De Benedictis [a cura di], Dalle discipline ai ruoli sociali, introduzione di P. Schiera), pp. 345-367. Ovviamente, qui si parla di Agostino Paradisi il Vecchio. Dooley, 1982: B. Dooley, The «Giornale de’ letterati d’Italia» (1710-1740): Journalism and Modern Culture in the Early Eighteenth-Century Veneto, «Studi Veneziani», N.S., vol. VI (1982), pp. 229-270. Dooley, 1991: B. Dooley, Science, Politics, and Society in Eighteenth-Century Italy. The Giornale de’ letterati d’Italia and its World, New York - London, Garland, 1991. D’Orrico, 1980: A. D’Orrico, Il teatro reggiano del Settecento: dal modello ducale all’utopia giacobina, in Romagnoli-Garbero (a cura di), 1980, pp. 223-245. Fattorello, 1933: F. Fattorello, Il giornalismo veneto del Settecento, 2 voll., Udine, Istituto delle Edizioni Accademiche, 19332. 1a edizione: 2 voll., Udine, La rivista letteraria, 1932. Fido, 1998: F. Fido, L’Illuminismo centro-settentrionale e lombardo. Pietro e Alessandro Verri. Cesare Beccaria, in E. Malato (diretta da), Storia della letteratura italiana, 13 voll. (con in più il vol. XIV: Bibliografia della letteratura italiana – Indici, 2004), Roma, Salerno Editrice, 1995-2005, vol. VI (Il Settecento, 1998), pp. 495-567. Finzi, 2015: R. Finzi, Due vie all’abbondanza? «Le regole seguite dalla Natura sono adeguate ad essa. Quelle seguite dall’uomo sono adeguate per l’uomo», «Montesquieu.it», n° 7 (2015), pp. 161-204. Folena, 1983: G. Folena, Il rinnovamento linguistico nel Settecento italiano (1965, ma senza le note), in Id., L’italiano in Europa. Esperienze linguistiche del Settecento, Torino, Einaudi, 1983, pp. 5-66. Fornaciari Davoli (ricerca diretta da), 1988: M.L. Fornaciari Davoli (ricerca diretta da), Economisti emiliani fra il XVI e il XVIII secolo, coordinamento di L.M. Alfieri, Modena, Mucchi, 1988. Fubini, 1946: M. Fubini, Vico e Bouhours (1940), in Id., Stile e umanità di Giambattista Vico, Bari, Laterza, 1946, pp. 159-172. Gaeta, 1966: G. Gaeta, Storia del giornalismo, 2 voll., Firenze, Vallardi, 1966. Galli, 2007: A. Galli, Storia Antica e Moderna di Vignola. Sino all’anno 1806, a cura di M. Bazzani, Savignano s.P. (MO) - Modena, Tipolitografia F.G., 2007. Si tratta della 1a edizione di una cronaca manoscritta stesa in buona parte fra il 1800 e il 1809, con piccole aggiunte fatte negli anni successivi. Gaspari, 1994: G. Gaspari, Introduzione a P. Verri, Del fulmine e delle leggi. Scritti giornalistici 1766-1768, a cura del medesimo studioso, Milano, All’insegna del pesce d’oro di Vanni Scheiwiller, 1994, pp. 7-33. Generali, 1984: D. Generali, Il «Giornale de’ letterati d’Italia» e la cultura veneta del primo Settecento, «Rivista di storia della filosofia», N.S., a. XXXIX (1984), fasc. 2, pp. 243-281. Gensini, 1987: S. Gensini, Motivi linguistici in Arcadia. La polemica con Bouhours, in Id., L’identità dell’italiano. Genesi di una semiotica sociale in Italia fra Sei e Ottocento, Casale Monferrato (AL), Marietti, 1987, pp. 3-35. Gensini, 1993: S. Gensini, Polemiche linguistiche in Arcadia: Orsi vs. Bouhours, in Id., Volgar favella. Percorsi del pensiero linguistico italiano da Robortello a Manzoni, Scandicci (FI), La Nuova Italia, 1993, pp. 51-97. Graziani, 1893a: Le idee economiche degli scrittori emiliani e romagnoli sino al 1848, «Memorie della R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Modena. Sezione di Scienze», S. II, vol. IX (1893), pp. 425-613. In volume a sé (estratto): 1893b.

30

Graziani, 1893b: Le idee economiche degli scrittori emiliani e romagnoli sino al 1848. Memoria premiata al Concorso Cossa [1892] dalla R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Modena, Modena, Coi Tip. della Società tipografica Antica Tipografia Soliani, 1893. In rivista: 1893a. Graziosi-Accorsi, 1989: E. Graziosi - M.G. Accorsi, Da Bologna all’Europa: la polemica Orsi-Bouhours, «La Rassegna della letteratura italiana», a. XCIII (1989), fasc. 3, pp. 84-136. Guerci, 1966: L. Guerci, La composizione e le vicende editoriali del “Cours d’études” di Condillac, in Aa.Vv., Miscellanea Walter Maturi, Torino, Giappichelli, 1966, pp. 188-220. Guerci, 1978: L. Guerci, Condillac storico. Storia e politica nel “Cours d’études pour l’instruction du Prince de Parme”, Milano-Napoli, Ricciardi, 1978. Intra, 1884-1885: G.B. Intra, Agostino Paradisi e l’Accademia mantovana (da carteggio inedito), «Atti e memorie della R. Accademia virgiliana di Mantova», aa. XVI-XVII (1884-1885) [ma: 1885], pp. 49-78. Anche, con lo stesso titolo: «Archivio storico lombardo», S. II, vol. XII (1885), fasc. 2, pp. 110-137. Labriolle, 1999: M.-R. de Labriolle, voce Deleyre, Alexandre (1726-1797), in Sgard (sotto la direzione di), 1991-1999, t. II, vol. 1 (A-J), pp. 286-289. Dal 2011, disponibile anche in formato elettronico, con qualche lieve ritocco grafico, all’interno dell’Édition électronique revue, corrigée et augmentée du Dictionnaire des journalistes (1600-1789), < http://dictionnaire-journalistes.gazettes18e.fr/journaliste/217-alexandre-deleyre > (ultimo accesso, 4 agosto 2018). Landy, 1991: R. Landy, voce Gazette littéraire de l’Europe 1 (1764-1766), in Sgard (sotto la direzione di), 1991-1999, t. I, vol. I (A-I), pp. 516-517. Dal 2011, disponibile anche in formato elettronico, con qualche lieve ritocco grafico, all’interno dell’Édition électronique revue, corrigée et augmentée du Dictionnaire des journaux (1600-1789), < http://dictionnaire-journaux.gazettes18e.fr/journal/0572-gazette-litteraire-de- leurope-1 > (ultimo accesso, 4 agosto 2018). Lari, 1937: U. Lari, Agostino Paradisi nel secondo centenario della nascita. Discorso tenuto in Vignola il 26 Aprile 1936-XIV, «Studi e documenti. R. Deputazione di Storia Patria per l’Emilia e la Romagna. Sezione di Modena», vol. I (1937), fasc. 1, pp. 99-113. Leonetti, 1882: [A. Leonetti,] Memorie del Collegio Nazareno eretto in Roma da S. Giuseppe Calasanzio per volontà e per opera di Michelangelo Tonti cardinal di Nazaret, Bologna, Tipografia Pont. Mareggiani, 1882. Madonia, 1998: F.P.A. Madonia, Osservazioni in margine alla polemica Orsi-Bouhours, «Esperienze letterarie», a. XXIII (1998), fasc. 1, pp. 77-89. Masi, 1857: E. Masi, La vita i tempi gli amici di Francesco Albergati commediografo del secolo XVIII, In Bologna, Presso Nicola Zanichelli successore alli Marsigli e Rocchi, MDCCCLXXVII. Matarrese, 1993: T. Matarrese, Il Settecento, Bologna, Il Mulino, 1993. Mattioda, 1993: E. Mattioda, Il dilettante «per mestiere». Francesco Albergati Capacelli commediografo, Bologna, Il Mulino, 1993. Montaguti, 1983: S. Montaguti, Agostino Paradisi (1736-1783). Letterato, storiografo, economista… nell’età dei lumi, in Id. - G. Armani, Agostino Paradisi. 1736-1783, Vignola (MO), Centro di documentazione, 1983, pp. 1-37. Monti, 2005: M.T. Monti, Spallanzani e le rigenerazioni animali. L’inchiesta, la comunicazione, la rete, Firenze, Olschki, 2005. Paesano, 2014: P. Paesano, I giornali dei dotti. I periodici di Antico Regime della Biblioteca Angelica, prefazione di A. Postigliola, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2014. Palermo, 2013: V. Palermo, Il Palazzo Estense di Varese, «Deputazione di storia patria per le antiche provincie modenesi. Atti e Memorie», s. IX, vol. XXXV (2013), pp. 97-114 (con 11 illustrazioni alle pp. 103-108). Piccioni, 1894: L. Piccioni, Il giornalismo letterario in Italia. Saggio Storico-Critico, vol. I (Primo periodo. Giornalismo Erudito-Accademico), con lettera di A. Graf, Torino-Roma, Ermanno Loescher, 1894. Non sono usciti altri volumi dell’opera. Pigozzi, 1980: M. Pigozzi, Scenografia e scenografi dal Rinascimento al Settecento, in Romagnoli-Garbero (a cura di), 1980, pp. 159-179. Predari, 1839: F. Predari, Agostino Paradisi, in Iconografia dei celebri vignolesi. Opera edita per cura di Francesco Selmi, Modena, A spese di Giuseppe Lupi librajo, 1839, pp. I-VIII (l’opuscolo consta di 7

31

piccole dispense, ognuna delle quali presenta una numerazione di pagine a sé e, spesso, note tipografiche parzialmente diverse da quelle che si trovano nel frontespizio del volumetto rilegato, per esempio la dicitura «Presso il libraio Giuseppe Luppi»; esiste un’edizione anastatica dell’Iconografia dei celebri vignolesi, con testi introduttivi inediti di vari autori, Savignano sul Panaro [MO], Gruppo Industriale FG, 2017). Il breve testo è apparso altre due volte (in entrambi i casi, con il medesimo titolo): in Aa.Vv., Iconografia italiana degli uomini e delle donne celebri dall’epoca del Risorgimento delle scienze e delle arti fino ai nostri giorni, 4 voll., Milano, Presso l’editore Antonio Locatelli, 1837 [in realtà: vol. I, 1837; vol. II, 1839; vol. III, 1842; vol. IV, 1843; si tratta della periodica raccolta in volume di piccole dispense pubblicate individualmente dal 1836 al 1843], vol. II, fasc. XXXIV [cioè: fasc. XVI della Classe III. – Letterati], dispensa identica a quella inserita nella suddetta Iconografia dei celebri vignolesi, pp. I-VIII; in G. Rovani (a cura di), Storia delle lettere e delle arti in Italia giusta le reciproche loro rispondenze ordinata nelle vite e nei ritratti degli uomini illustri dal secolo XIII fino ai nostri giorni, 4 tt., Milano, Per Borroni e Scotti [tt. I e II], poi Per F. Sanvito (succ. alla ditta Borroni e Scotti) [tt. III-IV] 1855-1858, t. III (1857), pp. 239-246. Puppo, 1975: M. Puppo, Critica e linguistica del Settecento, Verona, Fiorini, 1975. Reinert, 2010: S.A. Reinert, Lessons on the Rise and Fall of Great Powers: Conquest, Commerce, and Decline in Enlightenment Italy, «The American Historical Review», vol. CXV (2010), fasc. 5, pp. 1395- 1425. Ricca Salerno, 1894: G. Ricca Salerno, Agostino Paradisi e Gherardo Rangone, «Nuova Antologia di scienze, lettere ed arti», S. III, vol. LIII [cioè: CXXXVII dell’intera raccolta] (1894), fasc. 20, pp. 605-632. Ricuperati, 1976: G. Ricuperati, Giornali e società nell’Italia dell’«ancien régime» (1668-1789), in V. Castronovo - G. Ricuperati - C. Capra, La stampa italiana dal Cinquecento all’Ottocento, introduzione di N. Tranfaglia, Roma-Bari, Laterza, 1976, pp. 71-372 (questo è il vol. I di V. Castronovo - N. Tranfaglia [a cura di], Storia della stampa italiana, 7 voll., Roma-Bari, Laterza, 1976-1994 [vol. VII: La stampa italiana nell’età della TV. 1975-1994, 1994, più volte ristampato negli anni successivi; testo interamente riveduto: La stampa italiana nell’età della TV. Dagli anni Settanta a oggi, 2002; con il medesimo titolo del 2002 e una nuova premessa: 2008]). Rizzo, 1931: T.R. Rizzo, Dal Sei all’Ottocento, Torino-Milano-Firenze-Roma-Napoli-Palermo, G.B. Paravia & C., 1931. Romagnoli-Garbero (a cura di), 1980: S. Romagnoli - E. Garbero (a cura di), Teatro a Reggio Emilia, 2 voll., Firenze, Sansoni, 1980, vol. I (Dal Rinascimento alla Rivoluzione francese). Rombaldi, 1957: O. Rombaldi, Profilo della Storia del Teatro in Reggio Emilia, dal 1568 al 1857, in Aa.Vv., Il teatro a Reggio Emilia. I° [sic] Centenario del teatro Municipale, s.l. [Reggio Emilia], s.e. (Tecnostampa), s.d. [molto probabilmente, 1957], pp. 57-97. Rombaldi, 1982: O. Rombaldi, Il Teatro del Collegio e Agostino Paradisi, «Il Pescatore Reggiano», vol. CXXXVI (1982), pp. 121-133. Romano Cervone, 1975: A.T. Romano Cervone, La scuola classica estense, Roma, Bonacci, 1975. Rossi, 2014: L. Rossi, voce Paradisi, Giovanni, in Dizionario biografico degli Italiani, vol. LXXXI, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 2014, pp. 288-290. Rother, 2004: W. Rother, The Beginning of Higher Education in Political Economy in Milan and Modena: Cesare Beccaria, Alfonso Longo, Agostino Paradisi, «History of Universities», vol. XIX (2004), fasc. 1, pp. 119-158. Rother, 2005: W. Rother, Filosofo und uomo illuminato, in Id., La maggiore felicità possibile. Untersuchungen zur Philosophie der Aufklärung in Nord- und Mittelitalien, Basel, Schwabe, pp. 29-62. Rother, 2014, Il “filosofo” nella cultura italiana del Settecento, «Giornale critico della filosofia italiana», S. VII, vol. X [cioè: a. XCIII (XCV)] (2014), fasc. 3 [ma: 2015], pp. 610-619. Rotta, 1961: S. Rotta, Idee di riforma nella Genova settecentesca e la diffusione del pensiero di Montesquieu, «Il movimento operaio e socialista in Liguria», a. VII (1961), fascc. 3-4, pp. 205-284. Russo, 2016: F. Russo, Donato Giannotti pensatore politico europeo, Napoli, Guida, 2016. Saccardo, 1942: R. Saccardo, La stampa periodica veneziana fino alla caduta della Repubblica, s.l. [ma: Padova], Tipografia del Seminario di Padova, 1942.

32

Schedoni, 1789: Elogio del Conte Agostino Paradisi. Del dott. Pietro Schedoni, Modena, Presso la Società Tipografica, 1789. Poi, migliorato e accresciuto due volte: 17932, 18193 (quest’ultima versione, però, è: Elogio del conte Agostino Paradisi scritto dal sig. Pietro Schedoni, Modena, Per gli eredi Soliani tipografi reali). Sgard (sotto la direzione di), 1991-1999: J. Sgard (sotto la direzione di), Dictionnaire de la presse, 2 tt., 1991-1999 (t. I: Dictionnaire des journaux. 1600-1789, 2 voll., Paris, Universitas, 1991; t. II: Dictionnaire des journalistes. 1600-1789 [1976], 2 voll., Oxford, Voltaire Foundation, 1999). Dal 2011, disponibile anche in formato elettronico, con qualche lieve ritocco grafico, all’interno dei Dictionnaires de la presse classique, < dictionnaire-journalistes.gazettes18e.fr/dictionnaires-presse-classique-mise-en-ligne > (ultimo accesso, 4 agosto 2018) Shackleton, 1961: R. Shackleton, Montesquieu. A Critical Biography, Oxford, Oxford University Press, 1961. Spaggiari, 1990: W. Spaggiari, La diffusione del Dei delitti e delle pene in area estense (1979) e Paradisi, Beccaria e la poesia filosofica (1977), in Id., L’Armonico Tremore. Cultura settentrionale dall’Arcadia all’età napoleonica, Milano, Franco Angeli, 1990, rispettivamente pp. 35-56 e 57-69. Spallanzani (b), 2002: M. Spallanzani, Filosofi. Figura del philosophe nell’età dei lumi, Palermo, Sellerio, 2002 (saggio introduttivo della studiosa, pp. 11-59; antologia di testi in lingua francese di autori settecenteschi, con relative schede introduttive e annotazione sempre a sua cura, pp. 63-287). Spoto, 1988: L. Spoto, Le cattedre di economia politica in Sicilia nel periodo 1779-1860: dal riformismo borbonico alla lotta ideologica contro il regime borbonico, in Augello-Bianchini-Gioli-Roggi (a cura di), 1988, pp. 93-137. Tamassia, 1988: F. Tamassia, Le idee di filosofia politica e giuridica di Agostino Paradisi, in Fornaciari Davoli (ricerca diretta da), 1988, pp. 172-259. Tiraboschi, 1781-1786: Biblioteca modenese o Notizie della vita e delle opere degli scrittori natii degli Stati del serenissimo signor duca di Modena raccolte e ordinate dal cavaliere ab. Girolamo Tiraboschi […], 6 tt. (il VI, in 2 voll.), In Modena, Presso la Società Tipografica, MDCCLXXXI-MDCCLXXXVI. Edizione anastatica: Bologna, Forni, 1970 (in quell’anno, sono usciti tutti e 6 i tomi). Tiraboschi, 1783: G. Tiraboschi, Paradisi Conte Agostino Reggiano, in Tiraboschi, 1781-1786, t. IV (MDCCLXXXIII), pp. 33-38. Tiraboschi, 1786: G. Tiraboschi, [Giunte e correzioni al] Tomo IV. [della Biblioteca modenese], in Tiraboschi, 1781-1786, t. VI (Che contiene il supplemento a’ tomi precedenti e le notizie degli artisti, MDCCLXXXVI), vol. 1 (Prima parte), pp. 155-186. Toffanin, 1946: G. Toffanin, L’Arcadia. Saggio storico, Bologna, Zanichelli, 1946. Torcellan, 1963: G. Torcellan, Giornalismo e cultura illuministica nel Settecento veneto, «Giornale storico della letteratura italiana», a. LXXX (1963), fasc. 2 [cioè: vol. CXL, n° 430], pp. 234-253. 2a edizione: Torcellan, 1969. Torcellan, 1969: G. Torcellan, Giornalismo e cultura illuministica nel Settecento veneto, in Id., Settecento veneto e altri scritti storici, Torino, Giappichelli, 1969, pp. 177-202. 1a edizione: Torcellan, 1963. Turchi, 1985: R. Turchi, Amici per il teatro: Francesco Albergati Capacelli - Agostino Paradisi, in Ead., La commedia italiana del Settecento, Firenze, Sansoni, 1985, pp. 213-227. 2a edizione, con modifiche: Turchi, 1986. Turchi, 1986: R. Turchi, Amici per il teatro: Francesco Albergati Capacelli e Agostino Paradisi, in Davoli (a cura di), 1986, pp. 97-114. 1a edizione: Turchi, 1985. Ulvioni, 2008: P. Ulvioni, «Riformar il mondo». Il pensiero civile di Scipione Maffei. Con una nuova edizione del Consiglio politico, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2008. Vannucci, 1930: P. Vannucci, Il Collegio Nazareno MDCXXX-MCMXXX, Roma, s.e. (Grottaferrata [RM], Scuola tipografica italo-orientale «S. Nilo»), 1930. Vecchi, 1956: A. Vecchi, Un giudizio di Agostino Paradisi sul Machiavelli, «Atti e memorie della Accademia di scienze, lettere e arti di Modena», S. V, vol. XIV (1956), pp. 118-135. Venturelli, 2009: P. Venturelli, Teorie e immagini del governo “misto” nel Cinquecento: i casi di Gasparo Contarini, Donato Giannotti, Paolo Paruta e Traiano Boccalini, Tesi di dottorato, tutor D. Felice, XXI

33

ciclo di dottorato, Università di Bologna, Scuola di dottorato in Filosofia, Anno Accademico 2009-2010, discussa il 9 maggio 2009. Venturelli, 2012: P. Venturelli, La costituzione mista e il “mito” di Venezia nel Rinascimento. Alcune considerazioni sugli scritti etico-politici di Donato Giannotti e di Gasparo Contarini, in D. Felice (a cura di), Studi di storia della cultura. Sibi suis amicisque, Bologna, CLUEB, 2012, pp. 135-182. Venturelli, 2013: P. Venturelli, Verso il Risorgimento. Agostino Paradisi junior (1736-1783): vita, opere e patriottismo culturale di un grande illuminista italiano, «Il Pensiero Mazziniano», N.S., a. LXVIII (2013), fasc. 3 [ma: 2014], pp. 11-40. Venturelli, 2014: P. Venturelli, Agostino Paradisi iunior (1736-1783). Uomo di lettere e di teatro, storico ed economista, «Bibliomanie», a. X (2014), n° 35, < http://bibliomanie.it/agostino_paradisi_iunior_pietro_venturelli.htm >, senza paginazione (ultimo accesso, 4 agosto 2018). Venturelli, 2015: P. Venturelli, Un giornale letterario del Settecento: «La Minerva», «Il Pensiero Mazziniano», N.S., a. LXX (2015), fasc. 1, pp. 108-117. 2a edizione accresciuta: Venturelli, 2016. Venturelli, 2016: P. Venturelli, «La Minerva o sia Nuovo giornale de’ letterati d’Italia», rivista mensile impressa a Venezia dal 1762 al 1767, «Bibliomanie», a. XII (2016), n° 41, < http://bibliomanie.it/minerva_giornale_letterati_italia_venturelli.htm >, senza paginazione (ultimo accesso, 4 agosto 2018). 1a edizione: Venturelli, 2015. Venturelli, 2017: P. Venturelli, Agostino Paradisi il Giovane. Un importante illuminista italiano. Consigliere del duca Francesco III e molto ammirato anche dai sovrani d’oltralpe, Paradisi è il cardine dell’importante stagione del riformismo estense [titolo redazionale], «Il Ducato. Terre Estensi», a. XVI (2017), n° 44, pp. 200-213. Venturi, 1962: F. Venturi, Ritratto di Agostino Paradisi, «Rivista storica italiana», a. LXXIV (1962), fasc. 4, pp. 717-738. L’articolo è ripreso, senza intitolazione, in Id., Settecento riformatore, 5 voll., Torino, Einaudi, 1969-1990, vol. V (L’Italia dei lumi [1764-1790], 1987-1990), t. 1 (La rivoluzione di Corsica. Le grandi carestie degli anni sessanta. La Lombardia delle riforme, 1987), pp. 592-615 (cap. III: Gli uomini delle riforme: la Lombardia, pp. 425-834). Venturi, 1965a: F. Venturi, Agostino Paradisi, in Aa.Vv., Illuministi italiani, 6 voll. finora usciti (voll. I-III e V-VII), Milano-Napoli, Ricciardi, 1958-, vol. VII (Aa.Vv., Riformatori delle antiche repubbliche, dei ducati, dello Stato pontificio e delle isole, a cura di G. Giarrizzo, G. Torcellan e F. Venturi, 1965), pp. 435- 480 (la Nota introduttiva, alle pp. 435-453, rappresenta una versione più breve [e sprovvista di note] di Venturi, 1962; alle pp. 455-480, invece, è riportata una piccola porzione del corso paradisiano di Economia Civile, tratta dalla trascrizione ottocentesca di Carlo Ferrarini, contenuta nel Mss. Regg. E. 139 della BAP). Venturi, 1965b: F. Venturi, Un enciclopedista: Alexandre Deleyre, «Rivista storica italiana», a. LXXVII (1965), fasc. 4, pp. 791-824. Venturi, 1970: F. Venturi, Da Montesquieu alla Rivoluzione, in Id., Utopia e riforma nell’illuminismo, Torino, Einaudi, 1970, pp. 89-117. Venturi, 1973: F. Venturi, L’Italia fuori d’Italia, in R. Romano - C. Vivanti (coordinatori), Storia d’Italia, 6 voll., Torino, Einaudi, 1972-1976, vol. III (Dal primo Settecento all’Unità, 1973), pp. 987-1481. Verga, 2002: M. Verga, Decadenza italiana e idea d’Europa (XVII-XVIII secc.), «Storica», a. VIII (2002), n° 22, pp. 7-33. Verga, 2009: M. Verga, «Nous ne sommes pas l’Italie, grâce a Dieu». Note sull’idea di decadenza nel discorso nazionale italiano, «Storica», a. XV (2009), nn° 43-45, pp. 169-207. Verga, 2011: M. Verga, Decadenza, in A.M. Banti - A. Chiavistelli - L. Mannori - M. Meriggi (a cura di), Atlante culturale del Risorgimento. Lessico del linguaggio politico dal Settecento all’Unità, Roma-Bari, Laterza, 2011, pp. 5-18. Verga, 2013: M. Verga, Tra decadenza e Risorgimento. Discorsi settecenteschi sulla nazione degli italiani, in B. Alfonzetti - M. Formica (a cura di), L’idea di nazione nel Settecento, Atti del Convegno (Bologna, [30 maggio - 1° giugno,] 2011), Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2013, pp. 89-109. Viola, 2000: C. Viola, Muratori e le origini di una celebre ‘querelle’ italo-francese, in E. Elli - G. Langella (a cura di), Studi di letteratura italiana in onore di Francesco Mattesini, Milano, Vita e Pensiero, 2000, pp. 63-90.

34

Viola, 2001: C. Viola, Tradizioni letterarie a confronto. Italia e Francia nella polemica Orsi-Bouhours, Verona, Fiorini, 2001. Viscardi, 1947: A. Viscardi, Il problema della costruzione nelle polemiche linguistiche del Settecento, «Paideia», a. II (1947), fascc. 4-5, pp. 193-214. Vitale, 1988: M. Vitale, Proposizioni teoriche e indicazioni pratiche nelle discussioni linguistiche del Settecento (1984), in Id., La veneranda favella, Napoli, Morano, 1988, pp. 355-387. Wahnbaeck, 2004: T. Wahnbaeck, Luxury and Public Happiness. Political Economy in the Italian Enlightenment, Oxford, Clarendon Press, 2004. Wilson, 1957: A.M. Wilson, Diderot. The Testing Years, 1713-1759, New York, Oxford University Press, 1957. Winkler (a cura di), 1989: J. Winkler (a cura di), La vendita di Dresda, Modena, Panini, 1989. Zanzi, 2009: L. Zanzi, Albrecht von Haller. Un “illuminista eclettico” tra laboratori della scienza e sentieri delle Alpi, s.l., Fondazione Enrico Monti (Anzola d’Ossola [VB]) - Fondazione Maria Giussani Bernasconi, 2009 (Ornavasso [VB], Tipolitografia Saccardo Carlo & Figli, 2009).

35