Autobiografie Della Leggera Emarginati, Balordi E Ribelli Raccontano Le Loro Storte Di Confine Autobiografie Della Leggera

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Autobiografie Della Leggera Emarginati, Balordi E Ribelli Raccontano Le Loro Storte Di Confine Autobiografie Della Leggera “QUI IL PARLANTE-SCRIVENTE MI PARE ABBIA PIENA COSCIENZA DI QUEL QUALCOSA DI SPECIALE, CHE È LA ‘RIEVOCAZIONE DELLA PROPRIA VITA': E CE LA METTE TUTTA, IN QUESTO MITO IN CUI ESALTA, FURBESCAMENTE, 0 PATETICAMENTE, CON FRAMMENTI DI PURA POESIA, L’AVVENTURA DEL PROPRIO PASSAGGIO SULLA TERRA.” Pier Paolo Pasolini DANILO MONTALDI AUTOBIOGRAFIE DELLA LEGGERA EMARGINATI, BALORDI E RIBELLI RACCONTANO LE LORO STORTE DI CONFINE AUTOBIOGRAFIE DELLA LEGGERA La “leggera”OO in linguaggioO OO Ogergale O è un mondo ai marginiO della legalità e della produttività, ma incapace di azioni violente e di veri crimini. Nelle autobiografie di Montaldi troviamo il pescatore e il cacciatore di frodo, che negli anni sessanta viveva in una baracca sul Po decorata con la falce e martello; troviamo Cicci, prima piccola prostituta e poi moglie di un contadino; e poi ne troviamo tanti altri ancora che si raccontano con spavaldo pudore e con orgogliosa dignità. Resistendo alla travolgente avanzata della criminalità moderna fatta di droga e kalashnikov, dove candore e sincerità appaiono come una bestemmia. DANILO MONTALDI (1929-1975), scrittore, saggista e intellettuale “scomodo”, ha pubblicato Autobiografie della leggera (1961, Bompiani 1998) e Militanti politici di base (1970). Sono usciti postumi: Korsch e i comunisti italiani. Contro un facile spirito di assimilazione (1975) e Saggio sulla politica comunista in Italia 1919-1970 (1976). Nel 1994 è stato pubblicato il volume Bisogna sognare. Scritti 1952-1975, che raccoglie gli articoli pubblicati su riviste e giornali e alcuni inediti. 1. Il mondo agrario in Italia, non diversamente da altrove, è stato considerato troppo sovente come un mondo di rap­ porti che si reggono sulla stabilità, sulla disciplina dell’ob­ bedienza, e, infine, sui riconosciuti caratteri della rassegna­ zione. In realtà, almeno per quanto riguarda la Valle pa­ dana, la dissoluzione di queste caratteristiche tradizionali data dal periodo in cui - condannato a morte dalla trasfor­ mazione contemporanea - il mondo contadino subiva una profonda metamorfosi sotto la spinta della prima industria­ lizzazione delle campagne, iniziata al fine di un accresciuto sfruttamento delle risorse naturali per poter far fronte alle esigenze del mercato nazionale e mondiale, che comportava l’intensificata creazione di un proletariato rurale portatore di una visione dei rapporti diversa da quella ereditata. Comunque, nonostante questa trasformazione nel tes­ suto economico e sociale della Valle padana, le forme di vita anteriori alla nuova situazione industriale erano desti­ nate a permanervi ancora per decenni e decenni influendo sui costumi e sugli usi quotidiani, accompagnandosi al di­ venire della vita rurale che si svolgeva, nei suoi momenti determinanti, in seno alla grande azienda capitalista. La letteratura che si riferisce al mondo contadino e ru­ rale tende a esaltare le forme di vita arcaiche e in realtà esterne all’economia industriale vigente nelle campagne del Nord, in quanto l’isolamento nelle cascine, influenzando e condizionando il comportamento umano, sembra svi- 7 luppare o comunque mantenere - in contraddizione con l’accentramento e l’estensione del mercato - atteggiamenti individuali e collettivi non nuovi, non contemporanei, ma ripetuti e ripetibili come a esprimere una perenne situazio­ ne sociale, un ritmo che non concede varianti, che non si sviluppa negli stessi tempi con il resto, ma tende a irrigidire i modi di vita secondo un modello anteriore. Le crisi agrarie nella Valle padana hanno soprattutto prodotto l’emigrazione; in grado estremamente minore la mendicità e il vagabondaggio. Attorno alle città, strati di abitatori delle rive del Po, barcaioli, pescatori, boscaioli, avevano un’altra origine, di mestiere a tipo libero anche se tramandato; l’insufficienza professionale di questi gruppi rappresenta il limite e il punto di separazione tra gli strati subordinati agrari e gli strati sottoproletari della città. In quanto tali, essi riflettevano nella loro particolare e disar­ monica indipendenza le relazioni e le opposizioni delle due esperienze, che vengono illustrate nel loro comportamento; questo comportamento, fissandosi, diventava infine un co­ dice di condotta pratica. La diffidenza e lo scherno della «gente di città» nei confronti dei «paesani» venivano qui portati fino allo scontro diretto, all’aggressività. A partire dalla constatazione dell’esistenza di «storie» scritte da questi uomini, la presente ricerca si basa su rac­ conti autobiografici già scritti, e memorie e «vite» dettate direttamente nel corso di incontri fissati su appuntamen­ to per questa ragione precisa. In genere, questi documen­ ti sono la produzione culturale non sempre elaborata di elementi che sono rimasti fuori dall’evoluzione contem­ poranea. Fuori da un’esperienza strettamente proletaria o rurale, essi offrono un interesse sociologico che porta ad avvicinare, su questo particolare terreno, i rapporti tra città e campagna. Il non adattamento al lavoro indu­ striale da parte di questi uomini, si accompagna spesso a un profondo sentimento d’ingiustizia, di evidente origine contadina. 8 Le autobiografie raccolte nello svolgimento della ricerca sono opera di adulti, la cui mancata assimilazione ha favo­ rito il mantenimento di tutte le forme di vita e gli atteggia­ menti relativi e la mitologia tradizionali dell’ambiente, che è quello dei lavoratori irregolari e occasionali, degli sradi­ cati, degli ex carcerati. Nell’attuale periodo è sempre più intenso, nella Valle pa­ dana, il sistematico abbandono della vita rurale da parte di strati che si orientano verso le città. Contemporaneamente, l’ambiente trattiene, pur nella trasformazione delle strutture, generi di vita superati. Le differenze di sviluppo in questa situazione, nella quale la spinta economica capitalista è de­ terminante, s’incrociano nei vasti limiti città-campagna, e la ricerca deve tener conto delle complessità ambientali, che si riassumono nella realtà di profonde sopravvivenze e si illu­ strano attraverso lo studio di fenomeni sociali e umani che portano ad avvicinare la legge generale del processo, dalla quale conoscenza non possono essere escluse le forme contin­ genti, transitorie, aberranti, prodotte dalle crisi, se non si vuo­ le trascurare la reale ed estrema complessità dei fatti sociali. E molto spesso a partire da tali aberranti sopravvivenze che una cultura estranea sia all’indagine sociologica sia al metodo dialettico tende a portare l’attenzione sulle presun­ te immutabili costanti del mondo agrario, il quale, come qualsiasi altra realtà storica, si sviluppa, si afferma, entra in crisi, si trasforma. L’instabilità della vita rurale era originata per le passa­ te generazioni anche dalla stessa influenza delle stagioni, la successione delle quali modificava il modo di vita e com­ portava un cambiamento nei tipi di occupazione, e di con­ seguenza anche nel modo di nutrirsi e di riposare. Per poter far fronte alle difficoltà della vita e stabilire un equilibrio economico si sviluppava il gusto per il risparmio, inteso come primaria necessità. Qui, da parte di strati sociali composti da muratori che d’inverno si trasformavano in norcini, da fabbri che 9 diventavano mietitori o macchinisti nei periodi stagionali, da segantini che d’estate lavoravano come braccianti, la situazione dell’operaio della città era vista come una situa­ zione privilegiata perché, «piovesse o nevicasse», garanti­ va un salario fisso. Famiglie contadine orientavano i figli verso il mestiere del muratore nella considerazione che il lavoro della terra è il più duro e il peggio pagato. Successivamente con l’intervento sistematico dell’indu­ strializzazione, da una parte il lavoro nelle campagne anda­ va trasformandosi, dall’altra si intensificava l’inserimento di giovani nelle categorie operaie e artigiane. Il lavoratore agricolo che emigra dal mondo rurale della Valle padana tende a entrare in relazione con una situazio­ ne sociale organica e si ritrova più spesso operaio o sotto- proletario nelle città, anziché rimanere o ricadere nei limiti di rapporti imposti dall’esterno ma messi in crisi dalla real­ tà, dalle esigenze, dai bisogni attuali. Quei rapporti e quei limiti, sociologicamente rilevabili e verificabili, presumono un mondo che è invece inesorabil­ mente perduto e abbandonato. Questa ricerca si dà per tema di considerare determinati aspetti dell’uomo contemporaneo, seguito in un ambiente che ha subito un’intensa trasformazione. L’analisi della di­ versità del comportamento, dei meccanismi nella condotta dell’uomo che permane alla base dell’attuale società si inte­ gra nello studio dei dinamismi storici generali, e contribui­ sce alla conoscenza delle relazioni che intercorrono fra la struttura sociale e forme d’esistenza a carattere storico in quanto il loro modo di costituirsi e di dissociarsi è sempre il risultato del funzionamento della società. Le norme di condotta, i bisogni, i valori che si manife­ stano lungo queste autobiografie sono parte di un divenire il cui fattore d’origine consiste nell’apparizione sul piano storico del salariato e, più lontano, della proprietà privata. Processo di formazione moderno, quindi, di modi partico­ lari a certi strati i quali tuttavia non sembrano aver relazio­ 10 ne con i modi di comportamento di fronte alle medesime situazioni storiche e circostanze della vita che appartengo­ no ad altri strati o gruppi sociali. 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