Il Personaggio
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Il personaggio Passaggio a Nord est Ennio Zaffalon ripercorre, con gli occhi di un fisioterapista di lungo corso, quasi quarant’anni di rugby, fra club del Veneto e Nazionale. Ennio, col tuo lavoro hai attraversato un periodo che per lo sport, in particolare per il rugby, corrisponde a vere e proprie “ere geologiche” diverse. Quando e dove hai cominciato, e poi, perché col rugby? “Nel 1982, quando studiavo per il diploma di fisiote- rapista e a rugby giocavo, dall’età di 15 anni, col Cus Padova, cominciai a collaborare col Mogliano, chia- mato da “Cesco“ Dotto, nell’anno della promozione del club alla serie A: per il mio lavoro fu un notevole salto di qualità. L’anno successivo, il nuovo allenatore del club, Gianni Tosato, mi propose come fisioterapi- sta alla Fir. Fui assegnato inizialmente alla Nazionale U19, con la quale andai in trasferta a Llanelli, mentre il mese dopo, con due Nazionali U15 finii ad Arras, nel nord ovest della Francia. Continuai con gli U21 di Pip- Stefano Bettarello, a sinistra, e Ennio Zaffalon, nel 1982. po Puglisi e, inaspettatamente, nel giugno del 1989, mi fu proposta la Nazionale maggiore per la tournée in Argentina, dove disputammo sei partite. “ Non solo rugby, però. “No. A settembre di quell’anno sottoscrissi un con- tratto, che si prolungò per quasi dieci, con la Sisley Volley di Treviso. Continuai anche col rugby e la Na- zionale maggiore, in occasione dei Giochi del Medi- terraneo del 1993 e, nel 1994, su richiesta dell’allora manager Giancarlo Dondi, presi parte alla storica tournée in Australia, dove gli Azzurri, guidati da Ge- orge Coste, sfiorarono la vittoria contro i Wallabies di David Campese nel primo test. Ho ricordo inde- lebile di quel tour in cui ero l’unico “fisio”. Coste e il suo vice Mascioletti erano allenatori infaticabili. Si giocava anche due volte alla settimana: sei vittorie e due sconfitte nei test, quella di Brisbane, per soli tre punti. La lunghezza degli allenamenti mi co- stringeva a lavorare a tarda sera. Molti giocatori si offrivano di aiutarmi in tutti i modi possibili, magari anche solo portandomi un caffè. Era uno dei tan- ti indicatori dell’unità di quel gruppo, guidato da Massimo Giovanelli e “plasmato” da Coste, francese del sud, emotivo, sanguigno e brusco nei modi ma 60 61 Una carica del n. 8 australiano (e del Milano dal ‘92 al ‘95 ), Tim Die hard, duri a morire... Gavin, nel test match di Merlboune, “In 38 anni ho conosciuto tantissimi nel 1994. Si riconoscono, alla sua giocatori e ciascuno con atteggiamenti sinistra, Massimo Giovanelli, Mark diversi: chi molto attento a curare gli in- Giacheri e, di spalle, Alessandro fortuni, chi incurante dei problemi fisici, Troncon. magari per paura di perdere il posto in Nel riquadro, George Coste. Nella pagina a fianco, dall’alto e squadra. Premetto che quando comin- da sinistra, Dominguez, Troncon, ciai con Treviso, nel 2002, la rosa era di Giovanelli, Goosen, Smith e Kingi. una trentina di giocatori. Oggi, compre- Sotto, un match tra Mogliano e si i “permit”, sono oltre cinquanta, con Petrarca, nel 1982. Si riconoscono, un paio di sostituti per ruolo. General- da sinistra: il mediano dei padovani mente, i giocatori che tendono a farsi Fulvio Lorigiola, Marino Barizza a terra, l’arbitro Campanile, Nando vedere poco sono gli stranieri, abituati Donà, il neozelandese Bruce Munro, per cultura a “stringere i denti”. In fisio Elio De Anna e Caio Benetton. c’è sempre qualcuno troppo assiduo e qualcun altro che non si vede quasi mai, o, altri che per fermarli devi “ab- batterli”. Penso ad alcuni di loro, come Franco Smith e Marius Goosen, oppu- re Braam Steyn, o Alessandro Troncon: giocatori che subivano innumerevoli colpi senza, apparentemente, accusarli. Franco, in un match contro il Petrarca, fu calpestato tanto da avere la schiena segnata profondamente: non fece una piega. Un altro lottatore, poco incline ai consulti medici, era Dion Kingi, capace profondo conoscitore del gioco e attaccatissimo ai e tutori per il post partita. Arrivati a destinazione, di giocare due partite, a nostra insapu- suoi uomini. Dondi, diventato presidente, nell’otto- vengono attrezzate subito le stanze destinate alla ta, con una lussazione acromio-claveare bre del 2000 mi propose ancora per la Nazionale. fisioterapia. I giocatori che hanno accusato qual- a una spalla, o restare in campo in con- Da quell’anno, il mio lavoro con la Fir continuò fino che problema in settimana, o vengono da periodi dizioni limite. Anche Giovanelli era un al Sei Nazioni del 2007. Nella stagione 2002/2003 di trattamenti, partecipano a una seduta di terapia incassatore formidabile: nella finale dei approdai anche al Treviso, dove sarei rimasto fino ripetuta spesso anche il giorno della partita. Dopo il Giochi del Mediterraneo del ’93, contro al 2019.” match, gli infortuni vengono valutati insieme ai me- la Francia “ufficiale”, uscì quasi sfigurato Ennio, raccontaci un po’ del “dietro le quinte” del la- dici in spogliatoio: quando ci sono casi importanti dai colpi più o meno proibiti, ma giocò voro dei fisioterapisti per portare in campo al meglio da trattare immediatamente capita di rimanere in le squadre. sala fisio fino a notte fonda.” fino alla fine. Uno dei primi professioni- “Il lavoro dello staff medico-fisioterapico è poco sti veri che conobbi, Stefano Bettarello, visibile all’esterno ma è di importanza vitale per che giocò un anno a Mogliano, era quasi una squadra. Negli ultimi anni le Società esigono maniacale nella cura della condizione fi- dagli atleti prestazioni sempre di più elevate. Agli sica, della postura, persino del vestiario, staff medici sono richieste prontezza ed efficacia, come Diego Dominguez, molto attento frutto di una preparazione di alto livello e di spazi non solo alla tecnica, che certo non gli adeguati per gli interventi. In Nazionale, a Roma, mancava. In Nazionale il giorno prima come nelle altre capitali del rugby, durante il Sei delle partite andava a calciare allo stadio Nazioni avevamo già a disposizione stanze enormi e pretendeva l’assistenza di un fisiotera- per la fisioterapia. Su indicazione del medico fede- pista: serviva a prevenire - e curare - le rale, Vincenzo Ieracitano, venivano allestite piccole contratture, infortunio molto frequente sale di pronto intervento per i singoli giocatori. In fi- per aperture e calciatori. Molti si rivolge- sioterapia niente è standardizzato. Ogni atleta è un caso con problematiche specifiche e va ascoltato, vano a noi in continuazione, a volte per valutato, compreso. Il lavoro preparatorio è decisi- problemi di piccola entità ma, alla fine, vo. A Treviso, prima dei match in trasferta, si confe- al momento di scendere in campo, nes- zionano i materiali - in abbondanza - da portare per suno si tirava indietro. In questo sport o massaggi e medicazioni, con bendaggi di tutti i tipi combatti, in tutti i sensi, o non giochi.” 62 63 I fisioterapisti in tante squadre sono un po’ i “confessori” A sinistra, Santiago Dellapé, dei giocatori. seconda linea della Nazionale dal “Una volta la nostra figura era quella di una sorta 2002 al 2011, assistito durante il match con gli All Blacks a Roma. di factotum. Quando il medico non c’era, si faceva Sotto, Zaffalon e Ieracitano anche la sua parte, ovviamente con i limiti del caso. soccorrono Mark Giacheri rimasto Con i giocatori c’era spesso un rapporto di amicizia. a terra a Twickenham nel 2003. Il professionismo ha cambiato questo rapporto: oggi A destra, Alex Garozzo, terza linea del Benetton, alle prese tutto è finalizzato al risultato: se sbagli, perdi subito con un crampo; nel riquadro, lo credibilità, anche nei rapporti personali. Ancor oggi, staff del Treviso al Flaminio, dopo molti giocatori si confidano ma la riservatezza non la vittoria nella finale Scudetto può mai essere violata. In tutte le Società in cui sono 2008/2009 contro il Viadana. Da stato, ho sempre mantenuto un buon rapporto con sinistra, i fisio Fabio Presotto, Arturo Cenedese e Ennio Zaffalon, i medici tutti cercando di non sbilanciarmi mai, di non andare Roberto Saccocci e Pier Francesco mai sopra le righe nella gestione di tali rapporti. Ho Galzignato, e Franchino Properzi, cercato di entrare in sintonia con i giocatori, senza videoanalyst. però entrare troppo nel privato.” Pallavolo e rugby: quali le differenze per due sport con percentuali di vittorie ben diverse. “Dal mio punto di vista, l’approccio non cambiava molto. L’obiettivo, anche se con una casistica di trau- mi e infortuni molto diversa, era di mettere in campo i giocatori al meglio. Certo, preferivo vincere, ma an- che nel rugby qualche risultato è venuto, in Nazio- nale e nel Club. La vera differenza era nell’ambien- te. Nella Sisley, una squadra simbolo, c’erano dodici “galletti in un pollaio.” Nel volley non c’è il contatto, i princìpi sono diversi. Nel rugby c’è più amicizia, coe- sione, un vissuto post-partita. Dal punto di vista degli infortuni, l’entità di piccole lesioni (come una vescica a un piede) nel volley provocano effetti significativi nella dinamica del gioco. Nel rugby, direi che nessuno bada a problemi simili e la percezione del dolore, in questo ambito, è totalmente differente. Ricordo, per esempio, che Santiago Dellapè, non si curava di una pesante fascite plantare che lo affliggeva durante la Coppa del Mondo in Australia e continuava a usare scarpe poco adatte. Ci volle l’intervento di Kirwan che, a forza, mi obbligò a portarlo a comprarsi quel- le giuste. Potrei citare molti altri esempi simili di tale “trascuratezza”. Come è cambiata la tipologia dei giocatori, dal punto di vista fisico, e degli infortuni? “In questi anni la traumatologia è divenuta via via sempre più importante. Nel tempo il rugby si è velo- cizzato sempre più, con collisioni ad altissimo impat- to fisico.