I Da Corbetta: Una Bottega Di Intagliatori Nella Milano Del Cinquecento L-Art/02

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I Da Corbetta: Una Bottega Di Intagliatori Nella Milano Del Cinquecento L-Art/02 Corso di Dottorato di Ricerca in STORIA E CRITICA DEI BENI ARTISTICI E AMBIENTALI - XXV CICLO TESI DI DOTTORATO DI RICERCA I DA CORBETTA: UNA BOTTEGA DI INTAGLIATORI NELLA MILANO DEL CINQUECENTO L-ART/02 CARLO CAIRATI R08543 Tutor Chiar.mo Prof. GIOVANNI AGOSTI Coordinatore del Dottorato Chiar.mo Prof. GIANFRANCO FIACCADORI ANNO ACCADEMICO 2011/2012 Indice 1. I da Corbetta: stato degli studi e prospettive di ricerca p. 1 2. Una bottega di intagliatori nella Milano del Cinquecento p. 18 Tavole p. 47 3. I documenti p. 51 Bibliografia p. 322 A chi è stato, a chi è, a chi ci sarà accanto a me, sempre… 1. I da Corbetta: stato degli studi e prospettive di ricerca «Non è da tacere che non si dica alcuna cosa d’un virtuoso Milanese degno di molte lodi, che fù de’ primi virtuosi d’Italia nella sua professione, & grand’inventore di cose rare. Questo fù Giovanni Battista Corbetta scultore raro in statue di legno, & è stato il primo à far le statue di quei Crocifissi più grandi del naturale, che si veggono in Croce nelle Chiese con tanta eccellenza dell’arte; oltre che si veggono molti misterii di diverse figure, così in Milano, come fuori, tanto ben scolpite, & così imitatrici al naturale, che paiono à gli occhi de’ riguardanti, che siano viventi». Così Paolo Morigia celebra l’intagliatore Giovanni Battista da Corbetta, cui addirittura dedica un intero capitolo del quinto libro, incentrato sugli artefici milanesi, ne La Nobiltà di Milano1. L’erudito milanese e frate nel convento 1 MORIGIA 1595, p. 287. Paolo Morigia, nato da Damiano e Angela Migliavacca il 1° gennaio 1525, prende i voti nel 1542 nel monastero milanese di San Gerolamo, dove è avviato ad una fulgida e rapida carriera in seno all’ordine: a 28 anni è nominato maestro dei novizi, l’anno successivo è eletto vicario e a 30 anni ricopre addirittura la carica di priore. A lui spetta il merito di avere ristrutturato e ampliato la chiesa annessa al convento tra 1584 e 1589. Negli anni sessanta del XVI secolo, il religioso è capo della comunità lucchese gesuata e negli ultimi decenni del Cinquecento svolge la funzione di procuratore generale e di visitatore apostolico, col compito di preservare le norme stabilite dalle antiche costituzioni della congregazione (risalenti al 1425). Dopo la morte avvenuta nel 1604, è sepolto nella chiesa di San Gerolamo. Su di lui: GAGLIARDI 2005, ad indicem; GAGLIARDI 2012. Morigia è immortalato in un ritratto del 1596 della pittrice Fede Galizia, conservato presso la Pinacoteca Ambrosiana a Milano (inv. 110), su cui: G. Berra, in Pinacoteca 2006, pp. 149-153, n. 234. Sul monastero di San Gerolamo a Milano, da ultimo: ROSSETTI 2013c. 1 gesuato milanese di San Gerolamo ricorda che nel 1541, per l’ingresso di Carlo V nella capitale del Ducato, «il virtuoso» scultore ha realizzato un arco trionfale sopra il bastione di porta Romana «di tanta grandezza, e magnificenza, e tutto corrispondente in ogni sua parte all’Architettura con tanti ornamenti, che fù cosa mirabile». Tra i vari intagli apprezzati dallo stesso imperatore, in questo effimero allestimento spiccano – prosegue il religioso – dieci statue «che rappresentavano le Città di questo Stato e ciascuna haveva il suo significato, & erano di forma di smisurata grandezza gigantea, di modo che passavano braccia sedeci di longhezza, benissimo intese, con le sue proportioni». A completamento dei festeggiamenti, l’autore riferisce all’artista anche un modello in legno disposto «sopra una tavola» con «tutto il trionfo che li fù fatto, con ordinanza, tutto di figure picciole, cosa rarissima e lodatissima», su commissione del marchese del Vasto Alfonso d’Avalos (doc. 125). Il nobile rammenta anche che, similmente, il da Corbetta ha preso parte all’allestimento dei trionfi per l’entrata di Filippo II d’Asburgo nella capitale del Ducato (doc. 128)2. Proseguendo, Morigia continua a elogiare Giovanni Battista esaltando le qualità di suo figlio Gerolamo Sante, «il qual nella scoltura va imitando il padre, & è il primo che hoggidì vive nella nostra Città in quella professione di virtù, come dalle molte figure, che si veggono così nella Città, come nello Stato suo, si può giudicare, tutte lavorate dall’eccellente mano di questo Santo», autore di un Calvario «di grand’eccellenza, e maravigliosa bellezza», stimato «da gli giuditiosi & intelligenti di scoltura, & architettura, per la prospettiva della lontananza», messo in opera nel 1591 su un enorme architrave ligneo sorretto da due profeti all’imbocco del coro in Duomo e benedetto dall’arcivescovo Gaspare Visconti3. 2 Partendo dalla menzione di Morigia, BORA (1977, p. 49) e LEYDI (1990, pp. 14-41; LEYDI 2011b, pp. 262-270) hanno delineato un quadro più circostanziato dei trionfi allestiti per l’entrata di Carlo V (1541) e di Filippo II d’Asburgo (1548), in cui Giovanni Battista da Corbetta ha rivestito un ruolo di primo piano. Gli addobbi, gli archi trionfali e l’intero corteo asburgico sono riproposti in scala minore dall’intagliatore attraverso modellini per il banchetto nuziale offerto dal governatore Ferrante Gonzaga per celebrare il matrimonio della figlia Ippolita con Fabrizio Colonna, come ricorda Juan Cristoval Calvete de Estrella nel 1549 (doc. 131; LEYDI 1999, pp. 171-172). 3 MORIGIA 1595, p. 288; cfr. doc. 202. La commissione del gruppo (Cristo crocifisso, Maria e San Giovanni) accompagnato da due angeli e della trave sorretta dai profeti è la più prestigiosa ricevuta da Gerolamo Sante da Corbetta nel corso della sua carriera e rientra in un più ampio 2 La testimonianza dello storiografo è piuttosto circostanziata e si basa sulla conoscenza diretta dei due scultori, suoi contemporanei: alla data del 1595, quando è data alle stampe La Nobiltà di Milano, Giovanni Battista da Corbetta è deceduto da appena sei anni, come si apprende dal certificato di morte (doc. 199), e il figlio Gerolamo Sante è saldamente avviato a una sfavillante carriera nella Milano borromaica. Le precise notazioni che l’autore fornisce sulle statue dei due intagliatori tradiscono, inoltre, una sapienza e conoscenze tecniche tali da presupporre anche una attività artistica, finora non documentata. Alla luce di queste considerazioni, vanno riesaminati alcuni mandati di pagamento emanati dalla fabbriceria del Santuario di Santa Maria dei Miracoli a Saronno: tra 1558 e 1559 il «reverendo frate Paulo Morigia de Sancto Ieronimo de Mediolano» riceve 482 lire e 10 soldi per la fattura delle vetrate nella cappella del Sepolcro, in sacrestia e nell’antisacrestia «fatte de lavori bianchi per le figure et rosete»4. Questo altrimenti ignoto artista è lo stesso autore della Nobiltà di Milano, che, come numerosi suoi confratelli, era anche un vetraio5. Si spiegherebbe così, progetto di sistemazione del presbiterio della cattedrale milanese promosso da San Carlo Borromeo (SCHOFIELD 2010). Del complesso, smantellato nel corso settimo decennio del XIX secolo, è sopravvissuto solo l’enorme Cristo, oggi precluso alla vista dei visitatori perché issato a decine di metri d’altezza nel presbiterio in Duomo. Sull’opera e sulle sue vicende, da ultima: BIANCHI 2010. 4 Archivio del Santuario di Saronno (d’ora in poi ASS), C1R, Mastro n. 2, ff. 19d, 22d, 23d, 26d, 25d, 27s, pubblicati da SALA 1995, pp. 44-45, nota 70; SALA 2003, pp. 36-37, nota 27; SALA 2004, p. 38, nota 131, dove erroneamente è trascritto il nome di frate Paolo Mongia. Il religioso realizza 3 finestre per la sacrestia, una per l’antisacrestia e amplia l’oculo nella parete di fondo nella cappella del Sepolcro. Le opere rientrano in una più generale trasformazione del santuario saronnese occorsa nella seconda metà del Cinquecento, su progetto dell’architetto milanese Vincenzo Seregni (REPISHTI 1996; cfr. anche, da ultimo: SALA 2004, pp. 34-40, 95-112). Il SALA (2003 p. 31) riferisce allo stesso frate anche le prime vetrate commissionate sempre per la cappella del Sepolcro (1530). Il lavoro non può essere stato realizzato dallo stesso Morigia per la cronologia: alla data del 1530 è un ancora un bambino (è nato nel 1525). Dovrebbe trattarsi, invece, del frate Gerolamo Legnani che due anni dopo congeda le vetrate per gli oculi del tiburio (RADICE 1974, p. 82; ROSSETTI 2013c, p. 184, nota 13). 5 Nell’austera religiosità gesuata, oltre allo studio delle Sacre Scritture e la contemplazione quotidiana della Passione di Cristo, era prevista anche un’intensa attività lavorativa: GAGLIARDI 2005, pp. 203-209. I frati della congrega nel corso del tempo si sono specializzati nella realizzazione di vetrate dipinte (CAFFI 1891) e nella produzione e commercio di pigmenti e acquavite. A Milano, sono appannaggio della comunità di San Gerolamo parte della vetrata di 3 meglio, la familiarità esibita dallo storiografo nel trattare le opere d’arte e forse andrebbe riconsiderata la genesi del quinto libro del trattato, interamente dedicato agli artisti lombardi6. La menzione d’eccellenza di fine Cinquecento del gesuato costituisce anche la prima attestazione a stampa della fortuna di Giovanni Battista e Gerolamo Sante da Corbetta. La “fama” di quest’ultimo è tramandata anche dalle guide milanesi sei-settecentesche di Carlo Torre, Pietro Antonio Frigerio, Serviliano Latuada e Carlo Bianconi, che ricordano l’impresa dell’architrave del Duomo con il Calvario, ricalcando in parte il testo del Morigia7. Giuseppe Mongeri, inoltre, San Giovanni Evangelista in Duomo, iniziata tra 1475 e 1476 e realizzata con l’intervento di Cristoforo de Mottis. I frati sono anche coinvolti nella fornitura di vetri destinati al cantiere di Santa Maria presso San Celso: ROSSETTI 2013c, pp. 183-184, nota 13. Su Cristoforo de Mottis e sulla genesi della vetrata di San Giovannni Evangelista nella cattedrale milanese: BUGANZA 2013. A Saronno Paolo Morigia ha sicuramente visto i gruppi lignei realizzati da Andrea e Giovanni Battista da Corbetta per il Santuario. Si può ipotizzare che il religioso faccia allusione a queste statue quando ricorda nel testo i «molti misteri di diverse figure, così in Milano come fuori».
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