Curazia Dei Santi Pietro E Paolo 1798 Ottobre 10 - 1909 Gennaio 19

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Curazia Dei Santi Pietro E Paolo 1798 Ottobre 10 - 1909 Gennaio 19 Ente Curazia dei Santi Pietro e Paolo 1798 ottobre 10 - 1909 gennaio 19 Luoghi Imer Archivi prodotti Ufficio parrocchiale dei Santi Pietro e Paolo di Imer, 1798 ottobre 10 - 1909 gennaio 19 Storia Con decreto vescovile del 10 ottobre 1798 la cappellania di Imer veniva staccata dalla curazia di Mezzano, alla quale era stata unita fino dal 1698, ed eretta in curazia indipendente. Il primo curato fu don Carlo Tomaso Benedetto Piazza, nativo di Imer e già attivo nella comunità come cappellano esposto dal 1758 al 1798.<br>La decisione di elevare Imer a curazia indipendente da Mezzano venne sottoposta alla ratifica dell'autorità civile. Il Capitanato circolare si pronunciava a favore della proposta, ma solo a condizione che il mantenimento del curato fosse pagato in prevalenza dalla comunità di Imer e che pesasse il meno possibile sul fondo di religione; accettava inoltre che la comunità avesse libera scelta del curato, a patto che il prescelto fosse in possesso delle caratteristiche prescritte dalle leggi ecclesiastiche (studi religiosi e condotta morale) e che dovesse, prima di essere ufficialmente nominato, legittimarsi anche di fronte all'Ufficio vicariale del Circolo (1).<br>La necessità che il curato fosse mantenuto dal comune veniva più volte ribadita nel momento in cui si stipulavano gli accordi (2).<br>Il curato stipulava infatti con il comune un contratto nel quale venivano definiti gli oneri che gli spettavano dal punto di vista pastorale, ossia la celebrazione delle messe "pro populo", dei legati comunali, le predicazioni, le processioni in onore del santo patrono, e i diritti economici che gli venivano in cambio riconosciuti, consistenti nel diritto di abitazione, nel diritto a ricevere la congrua, nei diritti di stola e nelle entrate legate agli incerti e a funzioni diverse.<br>Per la curazia di Imer sono conservati altri due documenti di questo tenore risalenti al 1859, stipulati tra il comune e il curato entrante don Nicola Guadagnini; a questa data il comune, oltre ad accollarsi le spese per l'acquisto dell'ulivo per la settimana santa, accordava al curato don Guadagnini l'aumento della congrua, ma chiedeva in cambio la celebrazione gratuita delle messe "pro populo" (3).<br>Nel corso del 1829 il curato di Mezzano inviava un reclamo al vescovo di Trento e lamentava l'ingerenza del parroco e decano di Fiera don Giovanni Battista Braito nelle celebrazioni spettanti di diritto al curato, in virtù degli accordi che erano stati stipulati ancora nel 1698, quando Imer era divenuta cappellania di Mezzano. Il decano veniva accusato non solo di "portarsi agli obiti di Mezzano e di Imer, ma che vi cantava ben anche la messa dei funerali e che faceva sua l'offerta che suol farsi nelle medesime", inoltre il decano sarebbe andato nelle medesime curazie anche a celebrare matrimoni (4).<br>Il parroco di Fiera don Braito si difendeva rispondendo punto per punto alle accuse, ricordando che la curazia di Imer era stata legata a Mezzano per cento anni e ne aveva condiviso i diritti curaziali. Il parroco insisteva in particolare sul valore "permissivo" e non "privativo" degli accordi tra curazia e parrocchia; accusava poi lo stesso don Carlo Piazza di Imer di predicare apertamente ai suoi fedeli di non invitare il parroco di Fiera agli obiti e di arrogarsi i diritti, che non erano stati concessi, di benedire gli arredi sacri, di compilare i certificati di stato libero e di concedere dispense matrimoniali, il tutto approfittando della protezione che gli veniva dalla sua potente famiglia. Il parroco, rivendicando a questo punto i diritti che da sempre aveva esercitato nei confronti delle curazie, chiedeva "l'incerto del vitello" per il primo battesimo dell'anno che veniva celebrato nella curazia e l'obbligo di pubblicare i matrimoni celebrati a Imer e a Mezzano anche nella parrocchiale di Fiera; chiedeva inoltre che i diritti di stola nera venissero riservati ai curati solo nel caso in cui alle celebrazioni degli obiti non partecipassero sacerdoti estranei, perché in tal caso i diritti avrebbero dovuto essere incassati dal parroco.<br>Tali rimostranze venivano liquidate dalla curia arcivescovile nell'anno successivo, con un invito a dirimere la questione in maniera amichevole; le richieste del parroco venivano tuttavia considerate "non indiscrete" e si chiedeva alle parti di arrivare ad un accordo scritto, copia del quale avrebbe dovuto essere consegnato alla curia arcivescovile di Trento (5).<br>La questione era ancora aperta nel 1840, quando nuove accuse sull'ingerenza dei parroci 1/3 nella gestione della curazia di Imer venivano presentate insieme alle lamentele per l'obbligo imposto ai curati di recarsi nella chiesa parrocchiale di Fiera per partecipare alle processioni, che i curati consideravano troppo lunghe e troppo lontane. I vecchi curati nel frattempo erano morti e la questione era rimasta sospesa, quindi il parroco di Fiera si diceva disposto a rinunciare a presenziare agli obiti in cambio di un'offerta annuale da parte della curazia.<br>Per quanto riguarda invece il rapporto con il comune, i curati di Imer avevano via via assunto una serie di obblighi vincolanti, tra i quali quello di celebrare la messa "pro populo", per la quale nel 1888 il nuovo curato don Clemente Benetti aveva chiesto istruzioni all'Ordinariato vescovile (6).<br>La messa "pro populo" faceva parte degli accordi stipulati nel 1798, al momento dell'erezione di Imer a curazia, quando il comune si era fatto onere del mantenimento del curato che, in cambio di diverse concessioni e regalie, si era impegnato a celebrare ogni domenica la messa per il popolo; riguardo al pagamento di quest'ultima, il comune si era obbligato a provvedere solo con qualche offerta sporadica. La celebrazione della messa "pro populo" era stata abbandonata da don Guadagnini nel 1859, perché era divenuta pratica quasi gratuita, che il curato non intendeva portare avanti. Il comune si impegnò quindi a versare un quota annua per garantire le messe "pro populo", ma nel 1883 interruppe i pagamenti e i curati vennero tacitamente esentati dall'onere.<br>A partire dal 1829, grazie ad un generoso lascito di don Francesco Antonio Piazza (che era stato l'ultimo curato di Mezzano - Imer) appartenente all'importante famiglia Piazza di Imer e fratello del primo curato don Francesco Antonio, fu possibile mantenere a Imer un secondo sacerdote, un cooperatore, il cui compito precipuo non era quello di aiutare il curato nell'adempimento dei suoi doveri, ma piuttosto accollarsi diverse funzioni religiose per garantire al meglio le pratiche spirituali. Don Piazza aveva disposto che il cooperatore celebrasse più di 60 messe all'anno: l'onere risultava gravoso per lo stesso cooperatore (poiché nel tempo il lascito aveva una rendita sempre minore) e impossibile da assumersi da parte del curato o del parroco. Questo legato venne quindi trascinato per tutto l'Ottocento tra periodi di presenza del cooperatore e richieste da parte dei curati al vescovo di Trento essere esonerati dall'onere; nel corso Novecento il legato Piazza divenne talmente gravoso che, dopo la seconda guerra mondiale si chiese al vescovo, e si ottenne, la possibilità di affrancarlo (7).<br><br><br>ELENCO DEI CURATI (8)<br><br>1798-1806 don Carlo Tomaso Benedetto Piazza da Fiera<br>1806-1819 don Angelo Grandi da Mezzano<br>1820-1834 don Silvestro Gobber da Gobbera (Canal San Bovo)<br>1834-1838 don Vincenzo de Anesi da Telve<br>1838-1846 don Giovanni Battista Dorigato da Castel Tesino<br>1846-1850 don Venanzio Facchini da Viarago (Pergine Valsugana), vicario curaziale<br>1850-1856 don Domenico Zampedri da Mala (Sant'Orsola), vicario curaziale<br>1856-1858 don Baldassare Pasotti da Almazzago (Commezzadura), vicario curaziale<br>1858-1859 don Vigilio Martinelli da Rumo, vicario curaziale<br>1859-1862 don Nicola Guadagnini da Transacqua<br>1862-1863 don Giacobbe (Giacomo) Orsingher da Canal San Bovo, vicario<br>1863-1883 don Stefano Zanoni da Cloz, provvisore curato<br>1883-1887 don Clemente Ferrai da Telve<br>1887-1888 don Benedetto Furlani da Torcegno, delegato del decano<br>1888-1889 don Clemente Maria Benetti da Borgo Valsugana<br>1889-1901 don Giuseppe Giovannini da Trento<br>1901-1906 don Giacomo Depellegrin da Panchià<br>1906-1909 don Giacobbe (Giacomo) Loss da Canal San Bovo, curato e parroco dal 1909-1935 Funzioni, occupazioni e attività Con il termine "curazia" si indica un territorio definito all'interno del più vasto contesto pievano o parrocchiale, che ha una propria chiesa o cappella, possiede propri beni o redditi, nel quale un sacerdote, che assume il titolo di curato, esercita la cura d'anime sottraendo in parte i fedeli alla giurisdizione del parroco e della chiesa matrice.<br>Alle chiese filiali e alle cappelle sorte sul territorio della pieve o parrocchia, vennero inizialmente garantite alcune celebrazioni o la predicazione in determinati periodi dell'anno da parte di un cappellano esposto, inviato dal medesimo pievano o parroco. La necessità di un sostegno religioso stabile portò le cappelle esposte a richiedere dei propri curatori d'anime, che garantissero la presenza continua nella comunità; molte chiese ottennero quindi la possibilità di avere un curatore d'anime stabile, al quale vennero via via riconosciuti diversi diritti che potevano essere conferiti direttamente dal vescovo con il decreto di nomina, acquisiti per consuetudine o, in alcuni casi, stabiliti da accordi specifici concordati con il parroco medesimo.<br>I diritti delle curazie nei confronti della chiesa matrice non erano omogenei, il curato poteva essere autorizzato a celebrare una parte dei sacramenti oppure tutti o - come nel caso di Mezzano e Imer - ottenerli in tempi diversi.<br>Il curato manteneva diversi obblighi nei confronti della chiesa parrocchiale: doveva prendere parte alle celebrazioni solenni e alle processioni, doveva pagare la primizia e contribuire in diversi modi al mantenimento del parroco; il parroco poi si riservava nei confronti della curazia il diritto a presenziare a diverse funzioni o a celebrare i sacramenti.
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