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Dante e Giotto Due linguaggi a confronto nell’Italia del

Realtà e verosimiglianza Pochi momenti della storia dell’arte e delle lettere hanno conosciuto tanti cambiamenti quanto i secoli XIII e XIV. In questa fase del Medioevo, geni come Giotto, , Guido Guinizzelli, , , compiono una vera rivoluzione copernicana che ha a oggetto una nuova

1 raffigurazione artistico-letteraria mimetica della realtà. Nasce così una nuova tradizione, rispondente al desiderio di rappresentare gli uomini e il mondo, così come si rendono visibili agli occhi di ognuno nella propria individualità. In altre parole, la mano del pittore, la penna del poeta, compiono un balzo in avanti nella loro capacità di riprodurre la realtà in maniera sempre più verosimile, tanto nella rappresentazione dei temi sacri quanto in quella dei temi profani. II paragone tra Dante e Giotto ha un fondamento storico: Giotto, nato presso Firenze verso il 1266, è stato un coetaneo, un concittadino e, stando alla tradizione, un amico di Dante. Tuttavia, è stato giustamente osservato (Battisti) che, tra il poeta e il pittore, le divergenze prevalgono sulle analogie.

Le radici del pensiero e dell’opera dei due autori Proprio perché operano in ambiti e con intenti diversi, tuttavia, Dante e Giotto sono i due grandi pilastri di una nuova cultura, consapevole delle proprie radici storiche. La loro opera ha valore di summa, di sintesi di grandi esperienze culturali, di sistema. Il sistema di Dante ha una struttura dottrinale e teologica modellata sul pensiero di San Tommaso; il sistema di Giotto ha una struttura etica che discende dall'altra sorgente della vita religiosa del , San Francesco.

Giotto e i letterati Gli scrittori del Trecento, cominciando proprio da Dante, sentono l'enorme importanza di Giotto: non è più il sapiente artigiano che opera nel filo di una tradizione al servizio dei supremi poteri religiosi e politici, ma il personaggio storico che muta la concezione, i modi, la finalità dell'arte esercitando una profonda influenza sulla cultura del tempo. Pertanto non si loda solo la sua perizia nell'arte, ma il suo ingegno inventivo, la sua interpretazione della natura, della storia, della vita. Dante, così fiero della propria dignità di letterato, riconosce in Giotto un eguale, la cui posizione, rispetto ai maestri che l'hanno preceduto, è simile alla propria rispetto ai poeti del Dolce Stil Novo, come viene affermato chiaramente in XI, vv.94-99. Quindi Dante stesso si pone quale autentico mentore di questa rivoluzione, essendo stato il divin poeta testimone e, a sua volta, eccezionale protagonista di quest’arte della realtà proprio nei versi della Commedia.

La Mimesis In particolare, traendo spunto da un altro verso dantesco “Non sembiava imagine che tace” (Purg. X, 39) si può iniziare a ragionare sul tema della mimesis.

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Nel Purgatorio Dante è rimasto attonito di fronte a una serie di bassorilievi plasmati da mano divina, quindi tanto perfetti da apparire figure umane e viventi in grado di parlare. Il riferimento concreto a questa immagine della Commedia è offerto da veri bassorilievi, quelli di Arnolfo di Cambio e Giovanni Pisano, entrambi raffiguranti l’Annunciazione, uno degli esempi di umiltà rappresentati dai bassorilievi del Purgatorio dantesco: entrambe le opere risalgono all’ultimo decennio del XIII secolo e colpiscono per la spiccata dinamicità della figura dell’Angelo, un’immagine dall’espressività più umana che divina, che parla a una Vergine Maria incredula, anch’essa profondamente umana. Sarà proprio con la pittura di Giotto che questo realismo prenderà i connotati della tridimensionalità, grazie a un sapiente uso del chiaroscuro e della luce naturale. Le figure umane diverranno allora espressive e personalmente caratterizzate, così come gli sfondi saranno perfettamente riconoscibili

3 come spazi reali della quotidianità. Nel realismo medioevale rientrano anche le rappresentazioni del male, della violenza e della disperazione, di cui l’Inferno dantesco è il fulcro dell’ispirazione. Colpisce in tal senso ancora Giotto, la cui rappresentazione del Giudizio universale (in alto) nella Cappella degli Scrovegni a Padova appare come un vero spazio unitario, un avvenimento più che mai reale, e per questo impressionante, in contrapposizione ai Giudizi dei decenni immediatamente precedenti – tra cui spicca l’opera di Coppo di Marcovaldo – più vicini al manifesto teologico e all’allegoria.

Il realismo per condurre a Dio In ultima analisi, il realismo dell’arte dei secoli XIII-XIV non è fine a sé stesso ma, in un itinerario costellato di luce, vuole condurre al cuore di Dio. L’attenzione alla realtà fisica dell’arte duecentesca risponde al desiderio di comprenderne il segno nella sua concretezza e di scoprire la verità delle cose, guardandole con i propri occhi. Un segno trascendente che prende corpo è, ad esempio, l’angelo dell’Annuncio a Gioacchino (p. 3) di Giotto, sempre nella Cappella degli Scrovegni, la cui figura sembra tuffarsi dall’interno di una nuvola: è il sublime confine tra il visibile e l’invisibile, tra le realtà terrene e quelle celesti. O ancora, nel già citato Giudizio giottesco, l’Angelo dell’Apocalisse intento ad arrotolare il cielo blu dello spazio e del tempo, all’interno di un drappo rosso, colore simboleggiante l’amore di Dio che avviluppa e racchiude l’intera storia umana.

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