Anno VI, N. 12 dicembre 2019

SCIENZA

Rivista semestrale di nuova cultura Six-monthly magazine of new culture

ISSN 2385-1961

ArteScienza ® Anno VI, N. 12, dicembre 2019

Rivista semestrale telematica www.assculturale-arte-scienza.it

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Comitato di Redazione: Gian Italo Bischi Isabella De Paz Maurizio Lopa Piero Trupia

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Comitato Scientifico

Angela Ales Bello Patrizia Audino Luigi Balis Crema Stefano Bigliardi Luca Bindi Gian Italo Bischi Giordano Bruno Luigi Campanella Rino Caputo Fabio Cerroni Antonella Colonna Vilasi Marco Crespi Samuel Culbert Anna Maria Dell’Agata Isabella De Paz Mario De Paz Michele Emmer Franco Eugeni Donatella Gavrilovich Mauro Ginestrone Armando Guidoni Manuel Knoll Maurizio Lopa Alberto Macchi Paolo Mazzuferi Luca Nicotra Emanuela Pietrocini Teresa Polimei Paola Ronchetti Stefano Sandrelli Ezio Sciarra Costantino Sigismondi Piero Trupia Anna Maria Vinci

INDICE

Federigo Enriques tra filosofia e matematica. Parte II 5-36 di Luca Nicotra

L’arte nei musei di scienza 37-50 di Luigi Campanella

Elogio del gossip 51-72 di Isabella De Paz

Cinquant’anni dopo: ritorno sulla Luna 73-104 di Luigi Balis Crema e Antonio Castellani

Riscoprire Robert J. Flaherty per rifondare una nuova documentaristica 105-110 di Marco Crespi

La propaganda murale nella campagna elettorale del 1948 111-146 di Antonio Castellani

“Così il tempo presente. Omaggio al pensiero di Leonardo”. Un progetto, una mostra, un libro-documento 147-162 di Carlo Francou

Verso una filosofia del fitness 163-174 di Antonella Lizza

L’acqua tra mito, magia e scienza 175-196 di Mario De Paz

Glossario minimo fra arte e scienza. Parte VI 197-208 di Ugo Locatelli

Federigo Enriques: tra fi losofi a e matematica

Parte II

Luca Nicotra*

DOI:10.30449/AS.v6n12.101

Ricevuto 04-10-2019 Approvato 28-12-2019 Pubblicato 31-12-2019

La prima parte di questo articolo è stata pubblicata in «ArteScienza» N.10.

Sunto: Federigo Enriques è stato una delle fi gure di primo piano nel panorama culturale, non soltanto italiano ma anche europeo, della prima metà del secolo XX. Matematico, fi losofo e storico della scienza, grande didatta ha lasciato in ciascuno di questi campi opere che - come disse Guido Castelnuovo - «basterebbero da sole a riempire ed illustrare l’intera vita di uno scienziato». La letteratura su Federigo Enriques è immensa. Qui si vuole tratteggiare la sua fi gura di intellettuale a tutto campo, ponendo in evidenza la straordinaria varietà dei suoi interessi culturali, che ne fanno uno dei più notevoli riferimenti per il superamento delle barriere fra le cosiddette due culture, sempre unite nel pensiero dell’Enriques.

Parole Chiave: fi losofi a della scienza, Scientia, storia della scienza, razionalismo critico, principi della geometria, psicologia fi siologica.

Abstract: Federigo Enriques was one of the leading fi gures in the cultural landscape, not only Italian but also European, of the fi rst half of the twentieth century. Mathematician, philosopher and historian of science, great teacher has left in each of these fi elds works that - as Guido Castelnuovo said - “alone would be enough to fi ll and illustrate the entire life of a scientist”. The literature on Federigo Enriques is immense. Here we want to outli-

______* Direttore responsabile di «ArteScienza», del «Bollettino di Filosofi a delle Scienze Umane» e del «Periodico di Matematica».Ingegnere meccanico e giornalista, Presidente dell’Asso- ciazione culturale “Arte e Scienza”, accademico onorario della Nuova Accademia Piceno Aprutina dei Velati e dell’Accademia di Filosofi a delle Scienze Umane; luca.nicotra1949@ gmail.com.

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nehis intellectual fi gure in all areas, highlighting the extraordinary variety of his cultural interests, which make it one of the most remarkable references for overcoming the barriers between the so-called two cultures, always united in the thought of Enriques.

Keyword: philosophy of science, Scientia, history of science, critical rationalism, principles of geometry, physiological psychology.

Citazione: Nicotra L., Federigo Enriques: tra fi losofi a e matematica. Parte II, «Arte- Scienza», Anno VI, N. 12, pp. 5-36, DOI:10.30449/AS.v6n12.101.

5 - I tre volti di Federigo Enriques: matematica, fi losofi a e storia della scienza

Come scrisse Guido Castelnuovo (1947) nel necrologio pronun- ciato nella seduta dell’Accademia Nazio- nale dei Lincei in data 11 gennaio 1947, Federigo Enriques «ha coltivato con pari profondità tre indirizzi, la matematica, la fìlosofi a, la storia della scienza, ed ha scritto in ciascuno di essi opere che basterebbero da sole a riempire ed illu- strare l’intera vita di uno scienziato». Benché non sia possibile separare nella sua personalità i tre indirizzi,21 è forse possibile, almeno nella cronologia del- le sue opere scritte, distinguerli in tre periodi: 1893-1906 (matematica), 1906- 1922 (fi losofi a) e 1922-1946 (storia della Fig. 17 - Federigo Enriques. scienza). Ovviamente si tratta soltanto di una schematizzazione basata sulla pre- valenza in ognuno dei periodi suddetti di opere dell’uno o dell’altro indirizzo. Nella prima parte di questo lavoro è stata posta l’attenzione

21 Abbiamo già citato nella prima parte di questo articolo come l’interesse alla matematica fosse nato in Enriques da quello per la fi losofi a fi n dal liceo. La sua stessa opera matematica ha sempre portato l’impronta fi losofi ca.

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Fig. 18 - Lapide commemorativn nella casa natale di Federigo Enriques a . sulla personalità dell’Enriques come grande intellettuale e riforma- tore della cultura in Italia e nel più ampio scenario dell’Europa del suo tempo, facendo emergere, in particolare, il suo impegno per l’affermazione dell’interdisciplinarità, dell’unità della cultura e del riavvicinamento della fi losofi a alla scienza, nell’ottica di una visione dell’umanesimo comprensiva della scienza. In questa seconda parte, con riferimento ai tre indirizzi che hanno caratterizzato la sua opera, si cercherà, invece, di delineare il contributo di Federigo Enriques alla matematica, mentre nella terza e ultima parte quello alla fi losofi a e alla storia della scienza, compa- tibilmente con i limiti imposti dal carattere della presente Rivista e dallo spazio concesso. Prima, però, giova inquadrare le molteplici relazioni che Enriques seppe mantenere con scienziati e fi losofi in Europa, e in particolare con quelli francesi, risultando la Francia il Paese europeo più recettivo del suo pensiero sia come scienziato sia come fi losofo e storico della scienza.

6 - Federigo Enriques e l’Europa

Federigo Enriques fu tra i pochi intellettuali italiani del suo tempo a intessere ampi e intensi rapporti culturali con scienziati e fi losofi fuori d’Italia. I Paesi stranieri con i quali intrattenne scambi cultu-

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rali sono Francia, Germania, Regno Unito, Belgio, Russia, Svezia. Di essi si trovano testimonianze nella co- piosa corrispondenza epistolare che Enriques intrattenne con il cognato e collaboratore Guido Castelnuovo tra il 1894 e il 1905 (Bottazzini, Con- te, Gario, 1996). Fra gli studiosi stranieri coi qua- li Enriques ebbe scambi culturali sono da ricordare: Henri Poincaré, Emile Picard, Pierre Humbert, Emile Borel, Paul Emile Appell, Jacques Hadamard, Paul Painle- vé, Xavier Léon, Emile Meyerson, Héléne Metzger, Henri Berr, André Laland, Henri Bergson, Léon Brun- Fig. 19 - L’abitazione di Federigo schvicg, Louis Couturat, Edouard Le Enriques a Bologna: via D’Azeglio, 57 Roy, Lucien Lévy-Bruhl, Alexandre Fotografi a tratta dal libro di Giovanni Koyré, Georges Sarton, Charles Enriques, Via D’azaglio 57, Bologna, Singer, Wilhelm Ostwald, Max Noe- Zanichelli, 1983. ther, Felix Klein, Ernst Mach, Albert Einstein, Otto Neurath, Franz Brentano, Gösta Mittag-Leffl er, Oscar Zarisky. Fra gli italiani: Giovanni Vailati, Bernardino Varisco, Eugenio Rignano, Vito Volterra, Guido Castelnuovo, Giovanni Gentile, Bene- detto Croce, Alessandro Chiappelli, Giovanni Papini, Vittoria Notari Cuzzer, Giuseppe Bruni, Tullio Levi-Civita, Giuseppe Lombardo Radice, Alfonso Sella, Aldo Mieli, Giorgio De Santillana, , Oscar Chisini, Fabio Conforto, Corrado Segre, Gino Fano, Giovanni Battista, Carlo Emery, Gino Galeotti, Luigi Cremona, Attilio Frajese, Andrea Giardina, Antonio Dionisi, Vilfredo Pareto, Giovanni Vacca, Giuseppe Montalenti, Roberto Almagià. Con gli scienziati e fi losofi francesi, però, ebbe i contatti più intensi e frequenti, privilegiati anche dal fatto che il francese era la

8 Luca Nicotra Federigo Enriques: tra fi losofi a e matematica - Parte II ______seconda lingua madre per Enriques, essendo la madre22 di origini francofone. Si è già detto, nella prima parte di questo saggio, del grande nu- mero di suoi lavori pubblicati in francese. Lo stesso Enriques scrive a Xavier Léon: «... noi italiani attribuiamo il valore più alto al pensiero francese col quale – tranne qualche eccezione – ci sentiamo molto più in sintonia che con quello di altri paesi». (Nastasi T., 2012, p. 186). Particolare importanza ebbero i contatti con i matematici francesi Poincaré, Picard, Humbert, Borel, Appell e Léon.23 Un segnale chiaro dei diversi orientamenti fi losofi ci e culturali dell’Italia rispetto agli altri Paesi europei è dato dalla diversa par- tecipazione al III Congresso Internazionale di Filosofi a del 1908 ad Heidelberg, suddiviso in sette sezioni: “Storia della fi losofi a”, “Filosofi a generale, metafi sica e fi losofi a della natura”, “Psicologia”, “Logica ed epistemologia”, “Etica e sociologia”, “Estetica”, “Filosofi a della religione”. Nel resoconto del Congresso, il fi losofo statunitense George Stuart Fullerton (1859-1925) osserva esplicitamente che la sezione dedicata alla “Logica ed epistemologia” aveva avuto la maggior partecipazione di comunicazioni, tanto da esaurirla, mentre quelle dedicate all’”Estetica” e alla “Filosofi a della religione” ne avevano avute poche, concludendo che «Logic and epistemology enjoyed the center of attention, and the program of the section devoted to them was always full». Inoltre Fullerton rileva il grande interesse dei tedeschi e dei francesi verso l’epistemologia, e quello degli italiani verso l’etica, la sociologia e la religione:

«It is worthy of note that Germans and the French seemed especially absorbed in epistemolgical problems, while the Italians showed, on the whole, a greater interest in ethics, sociology and religion».(Nastasi T., 2012, p. 184).

Enriques partecipò al Congresso con una comunicazione della

22 Matilde Coriat, nata in Tunisia e, probabilmente come la sorella Fortunée, bilingue (italiano e francese). 23 Una approfondita analisi delle relazioni culturali di Enriques con gli ambienti fi loso- fi co-scientifi ci della Francia dei primi decenni del secolo XX si trova in (Nastasi T., 1912).

9 ArteScienza, anno VI dicembre 2019 N.12, ISSN 2385-1961 ______sezione “Logica ed epistemologia”, dal titolo Sul principio di ragion suffi ciente, il cui contenuto sarà da lui successivamente sviluppato nell’articolo Il principio di ragion suffi ciente nella costruzione scientifi ca, (Enriques, 1909 a) che fu molto apprezzato dal chimico e fi losofo Emile Meyerson in una lettera del 1 febbraio 1909:

Caro Signor Enriques, ho appena terminato lo studio del suo lavoro sul Principio di ragione suffi ciente e mi affretto a dirle che ha suscitato in me il più profondo interesse. Lei ha trattato il tema fondamentale in modo veramente magistrale; ho appreso enormemente e imparerò ancora, senza dubbio, perché mi propongo di ritornare ancora su questo studio, a tal punto mi paiono importanti le basi da lei poste. Evidentemente, avendo adottato un punto di vista differente dal mio, lei non poteva giungere a conclusioni identiche alle mie, ma i punti di contatto sono numerosi. Le sono particolarmente e molto profondamente riconoscente del modo estremamente amabile con il quale lei ha voluto parlare proprio dei miei sforzi. Venendo da un maestro del suo calibro, questi elogi mi sono infi nitamente preziosi (Nastasi T., 2012, p. 189).

Certamente il suo intervento dovette risultare controcorrente ri- spetto a quelli degli altri italiani e, forse per questo, tanto apprezzato da fruttargli l’incarico di organizzare il IV Congresso Internazionale di Filosofi a per il 1911 a Bologna (che si terrà dal 6 all’11 aprile), per il quale, però, Enriques incontrò notevoli diffi coltà, superate soprat- tutto grazie all’aiuto di Xavier Léon, come ampiamente documen- tato negli scambi epistolari fra i due (Quilici & Ragghianti, 1989). In Italia Croce e i suoi allievi manifestarono la loro ostilità verso il “matematico Enriques” al quale era stato dato “imprudentemente“ l’incarico di organizzare e presiedere il Congresso di Bologna, dando più spazio a scienziati che non a fi losofi (si noti l’“Enriquez” al posto dell’Enriques usato da Croce):

Il solo difetto reale dell’organizzazione mi sembra questo: che l’Enriquez ha introdotto nelle conferenze a sezioni riunite troppi scienziati puri, che non sono fi losofi .(Lettera del 3 febbraio 1910 di Croce a Gentile). . Il sodalizio con Léon fu molto importante per lo sviluppo stesso

10 Luca Nicotra Federigo Enriques: tra fi losofi a e matematica - Parte II ______delle idee di Enriques in campo fi losofi co. Molte le assonanze fra i due matematici. Léon fondò la “Società Filosofi ca di Francia” e la «Revue de Métaphysique et de Morale» che richiamano alla memo- ria la “Società Filosofi ca Italiana” e la «Rivista di Scienza, organo internazionale di sintesi scientifi ca» fondate da Enriques nel 1906 e nel 1907. Léon aveva le stesse idee di interdisciplinarità e nutriva gli stessi progetti di sintesi scientifi co-fi losofi ca di Enriques, lavorando con André Lalande e un gruppo interdisciplinare di logici, fi losofi e scienziati al famoso Vocabulaire technique et critique de la Philosophie. Un altro scienziato francese ebbe un ruolo importante per l’af- fermazione in Europa di Enriques come storico della scienza: Henri Berr (1863-1954), che nel 1925, a Parigi, aveva creato il “Centre In- ternational de Synthèse”, con lo scopo di «sviluppare e coordinare le ricerche di scienza pura e di rimediare agli inconvenienti delle specializzazioni troppo spinte». Nelle fi nalità del Centro di Berr si ritrovano le stesse parole scritte da Enriques nel 1907 nel Programma della «Rivista di Scienza». Le attività del Centro di Berr compren- devano seminari, laboratori e congressi sui fondamenti e sull’unità del sapere, e la pubblicazione di due riviste: «Revue d’Histoire des Sciences» e «Revue de Synthèse».

Fig. 20 - Federigo Enriques in villeggiatura con la famiglia ad Alagna (estate 1907). Fotografi a tratta dal libro di Giovanni Enriques, Via D’azaglio 57, Bologna, Zanichelli, 1983.

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Enriques collaborò ai lavori della sezione di storia della scienza del Centro di Berr, dove ritrovòAldo Mieli (1879-1950) e conobbee Hélène Metzger (1889-1944). La presenza di Enriques nel Centro di Berr era ritenuta importante per i francesi. Si può asserire che in nessun altra parte d’Europa Enriques trovò un ambiente culturale così consonante e così recettivo delle proprie idee come in Francia, Un altro personaggio europeo che ebbe importanza per la diffu- sione in Europa delle idee di Enriques sulla storia della scienza fu il belga George Sarton (1884-1956) con il quale Enriques ebbe svariati contatti nei congressi internazionali di Storia della Scienza.

7 - Federigo Enriques e la matematica

L’evoluzione dell’attività scientifi ca dell’Enriques nel campo della matematica si sviluppa secondo una linea logico-temporale cha va dallo studio delle curve algebriche alle superfi cie algebriche, ai fondamenti della Geometria Proiettiva, ai criteri psicologici in aggiunta a quelli logici nella scelta dei postulati della geometria, alla didattica e alla storia della matematica. La fama di Enriques come epistemologo, in particolare per i suoi studi sui principi della geometria, si diffuse subito in tutta Europa. Il grande matematico Felix Klein, nel 1898, creò la grande Encyklopädie der mathematischen Wissenschaften (Enciclopedia delle Scienze Matemati- che) e affi dò a Enriques (1907 b) la redazione dell’articolo Prinzipien der Geometrie, dedicato ai principi della geometria, il quale risulterà una vera e propria monografi a sull’argomento. L’esame critico della genesi dei principi della geometria portò inevitabilmente l’Enriques a sviluppare un forte interesse per la didattica della matematica, specialmente nell’insegnamento secon- dario, e per lo sviluppo storico del pensiero matematico. A quest’ul- timo interesse fu inevitabilmente condotto anche dalla sua visione storicistica dell’attività scientifi ca in generale di cui fu egli stesso grande protagonista. Federigo Enriques aveva studiato a Pisa con grandi maestri:

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Enrico Betti (1823-1892), (1845-1918), Luigi Bianchi (1856 -1928), Vito Volterra (1860-1940) e Riccardo De Paolis (1854-1892). Ancor prima di laurearsi, nel 1890, pubblica la sua prima memo- ria scientifi ca accademica: Alcune proprietà dei fasci di omografi e negli spazi lineari ad n dimensioni (Enriques, 1890).24 Nel 1891 si laurea in matematica con De Paolis, discutendo la tesi: Alcune proprietà metriche dei complessi di rette ed in particolare di quelli simmetrici rispetto ad assi. L’anno dopo segue un corso di per- fezionamento a Pisa e nel novembre dello stesso anno 1892 viene a Roma per seguire il corso di perfezionamento di Luigi Cremona, che con le “trasformazioni birazionali”, che portano il suo nome,25 aveva introdotto anche in Italia il nuovo indirizzo della geometria algebrica. Nel periodo del corso di perfezionamento a Roma (1892-1893) Enriques pubblica vari lavori accademici26 che gli fruttano, al suo completamento, nel 1894, l’incarico dell’insegnamento di geometria proiettiva all’Università di Bologna. Appena iniziato l’insegnamento si accorge di una lacuna nei fondamenti della geometria proiettiva: il teorema di Staudt, fonda- mentale per quel ramo della geometria, non aveva il rigore dovuto e ne fornisce subito una dimostrazione perfetta e semplice che inserisce nel suo trattato universitario Lezioni di geometria proiettiva (Enriques, 1894 b). Nello stesso anno pubblica pure le sue Lezioni di geometria descrittiva (Enriques, 1894 a).

24 La prima pubblicazione (non accademica) di F. Enriques è invece del 1885: la Tavola dei quadrati e dei cubi perfetti interi contenuti in 100000, Nistri, Pisa, 1885. Fascicolo in 16-esimi di 10 pagine. 25 Le trasformazioni cremoniane generalizzano le omografi e, in quanto, ad esempio, nel piano mutano rette non più in rette ma in curve d’ordine superiore. Sono dette “trasfor- mazioni birazionali” poiché a un qualunque punto dello spazio iniziale la trasformazione associa un altro punto dello spazio trasformato le cui coordinate sono funzioni razionali di quelle del punto di partenza. 26 Nel 1892: Le omografi e cicliche negli spazi ad n dimensioni; Le omografi e armoniche negli spazi lineari ad n dimensioni. Nel 1893: Sui gruppi continui di trasformazioni cremoniane nel piano; Sopra un gruppo continuo di trasformazioni di Jonquières nel piano; Una questione sulla linearità dei sistemi di curve appartenenti ad una superfi cie algebrica; Sui sistemi lineari di superfi cie alge- briche le cui intersezioni variabili sono curve iperellittiche; Sugli spazi pluritangenti delle varietà cubiche generali appartenenti allo spazio a quattro dimensioni; Ricerche di geometria sulle superfi cie algebriche; Le superfi cie con infi nite trasformazioni proiettive in se stesse.

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7.1 - La geometria algebrica

Il metodo delle coordinate introdotto da René Descartes e Pierre de Fermat nella prima metà del secolo XVII stabilisce una corrispon- denza biunivoca fra punti del piano (o dello spazio ordinario) e le loro coordinate x,y (o x,y,z), per modo che i punti divengono “im- magini geometriche” di coppie (o terne) ordinate di numeri reali, e viceversa queste ultime possono essere intese come rappresentazioni analitiche (numeriche) di punti. Questa semplice corrispondenza biunivoca crea un “ponte” fra geometria e algebra che consente di tradurre un problema geometrico in uno algebrico e viceversa. Infatti, i punti di una curva (o di una superfi cie), in quanto ad essa appar- tenenti, sono legati da una relazione geometrica “caratteristica” nel senso che di essa godono tutti e soltanto essi, ovvero costituiscono un luogo geometrico. In virtù del metodo delle coordinate è allora possibile tradurre tale relazione geometrica in una relazione fra le loro coordinate o, meglio, fra le coordinate x,y (o x,y,z) del generico punto della curva (o della superfi cie) addivenendo, in tal modo, a una equazione indeterminata in due (o tre) incognite. Tale equazione, per il modo stesso in cui è ottenuta, come traduzione algebrica della proprietà geometrica caratteristica della curva (o della superfi cie), è anch’essa “caratteristica”, nel senso che le sue radici sono tutte e soltanto le coordinate dei punti della curva (o della superfi cie). In tal modo nasce un nuovo tipo di geometria, detta analitica in quanto fa corrispondere ad ogni oggetto geometrico un oggetto algebrico (ana- litico) e viceversa: a punti corrispondono coppie (o terne) ordinate di numeri reali, a curve equazioni in due incognite x, y, a superfi ci equazioni in tre incognite x,y,z e viceversa. Cartesio, con la sua Géometrié è considerato, assieme a Pierre de Fermat, il creatore della geometria analitica. Ma in realtà lo scopo per cui scrisse questa opera non era esattamente quello di un moderno trattato di geomeria analitica. La Géometrié27 fu pubblicata nel 1637

27 Probabilmente però Cartesio già dal 1628, o un po’ dopo, dovette aver chiare le idee della geometria analitica. Fermat, indipendentemente da Cartesio e con approcci differenti, l’aveva introdotta probabilmente già nel 1629 in manoscritti circolati ma non pubblicati. Nel 1636 Fermat enunciò una proposizione che è il principio fondamentale della geometria

14 Luca Nicotra Federigo Enriques: tra fi losofi a e matematica - Parte II ______come una delle tre appendici del famoso Discours de la méthode pour bien conduire sa raison, et chercher la verité dans les sciences, perché con essa intendeva illustrare concretamente il suo metodo fi losofi co. Cartesio comprese perfettamente la corrispondenza biunivoca fra enti algebrici e geometrici senza privilegiare, come invece noi oggi facciamo con la geometria analitica, l’applicazione dell’algebra alla geometria. La sua Géometrié può a pari diritto chiamarsi “geometria analitica” così come all’inverso “algebra geometrica”. Egli infatti non aveva mostrato alcuna predilezione nè per l’algebra nè per la geometria, mettendo in evidenza difetti dell’una e dell’altra:

Accusava la seconda di dipendere eccessivamente da fi gure che affaticavano inutilmente l’immaginazione e stigmatizzava la prima defi nendola una tecnica confusa e oscura che ottenebrava la mente (Boyer, 1980, p. 390).

Lo scopo della sua Géometrié era soltanto quello di fornire un esempio del suo “metodo delle idee chiare e distinte”, liberando l‘eccessiva dipendenza della geometria dalle fi gure con la sua tra- sduzione in algebra e viceversa ritornando alla geometria con l’in- terpretazione geometrica delle soluzioni algebriche. La geometria algebrica sorta nel secolo XIX è un naturale svi- luppo della geometria analitica. «Il confi ne tra geometria analitica e geometria algebrica si attraversa probabilmente quando si passa dallo studio delle coniche a quello delle curve di grado 3. Ciò è stato fatto già nell’antichità: Diofanto (III secolo d. C.) ha studiato le equazioni di grado 3 con due variabili e ha usato alcune trasformazioni che, con terminologia moderna, coincidono con la duplicazione di un punto di una curva cubica considerata come varietà abeliana» (Ciliberto, Shafarevich, 1998, Concetti fondamentali di Igor R. Shafarevich). La geometria algebrica può essere considerata come il risultato della evoluzione della geometria analitica e della geometria pro- iettiva, e unisce l’algebra astratta (soprattutto quella commutativa) alla geometria. Infatti, l’oggetto principale di studio della geometria

analitica: «Ogniqualvolta in un’equazione fi nale compaiono due quantità incognite si ha un luogo, l’estremità dell’una descrivendo una linea retta o curva». (Boyer, 1990, p. 398)

15 ArteScienza, anno VI dicembre 2019 N.12, ISSN 2385-1961 ______algebrica sono gli “insiemi algebrici“ che in particolari condizioni28 si dicono “varietà algebriche”, entità geometriche che possono essere pensate come sottoinsiemi dello spazio a un numero n qualunque di dimensioni, defi niti come soluzioni comuni a n equazioni algebriche (ovvero polinomiali):

essendo f1, f2, ...fn polinomi nelle n variabili x1, x2, ....xn. I polinomi sono presenti nella matematica fi n dall’epoca degli antichi matematici greci e nelle ricerche successive fi no ai giorni nostri. Da questo punto di vista la geometria algebrica può essere considerata una delle branche più classiche della matematica. Tut- tavia, gli inizi del suo sviluppo “moderno”, caratterizzato dall’uso sistematico della geometria proiettiva del piano e dello spazio ordi- nario nello studio di proprietà di oggetti geometrici ed enti algebrici, risalgono, nella prima metà del secolo XIX, ai matematici francesi Gaspard Monge (1746-1818),Charles Julien Brianchon (1783-1864), Michel Chasles (1793–1880), Jean-Victor Poncelet (1788–1867) e ai matematici tedeschi August Ferdinand Moebius (1790-1868), Julius Plücker (1790-1868), Karl Georg Christian von Staudt (1798-1867), Jakob Steiner (1796-1863) e infi ne Hermann Günther Grassmann (1809-1877). Le varietà algebriche possono essere defi nite anche dalle radici di una sola equazione algebrica: e in particolare dalle radici di equazioni in due incognite, che rap- presentano curve algebriche:

28 Una varietà algebrica è un insieme algebrico irriducibile, ovvero un insieme algebrico che non può essere scritto come unione di due insiemi algebrici più piccoli.

16 Luca Nicotra Federigo Enriques: tra fi losofi a e matematica - Parte II ______e dalle radici di equazioni in tre incognite, che rappresentano su- perfi cie algebriche:

Alcune superfi cie algebri- che del secondo ordine, ovvero defi nite da equazioni algebriche di secondo grado, sono ben note a tutti: l’ellissoide (fi gura 21), il paraboloide ellittico (fi gura 22 A), il paraboloide iperbolico (fi gura 22 B), l’iperboloide iper- bolico (fi gura 23) e l’iperboloide ellittico (fi gura 24). Fig. 21 - Ellissoide oblungo.

Fig. 22 A - Paraboloide ellittico. Fig. 22 B - Paraboloide iperbolico.

Fig. 23 - Iperboloide iperbolico. Fig. 24 - Iperboloide ellittico.

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Nelle fi gure 25-28 invece sono riportate alcune celebri superfi ci algebriche di ordine superiore al secondo, con le relative equazioni. Come si può vedere le forme delle superfi ci algebriche diventano molto complesse e bizzarre non appena si supera il secondo ordine. Equazioni:

Ellissoide:

Paraboloide: ellittico:

Parabolide iperbolico:

Iperboloide iperbolico:

Iperboloide ellittico:

Fig. 25 - Superfi cie algebrica di F. Klein di ordine 3. (Da Le Superfi ci Algebriche. A project by imaginary. org - Dipartimento di Matematica e Fisica dell’Università Roma Tre, sotto la cura del Prof. L. Teresi).

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Fig. 26 - Superfi cie algebrica di E. Kummer di ordine 4 scoperta nel 1875. (Da Le Superfici Algebriche. A project by imaginary.org - Dipartimento di Matematica e Fisica dell’Università Roma Tre, sotto la cura del Prof. L. Teresi).

La nascita vera e propria e lo sviluppo della moderna geometria algebrica sono però una gloria quasi tutta italiana:

Gli sviluppi successivi prendono le mosse, all’inizio della seconda metà dell’Ottocento, dalle rivoluzionarie ricerche di B. Riemann da un lato e dall’emergere della fi gura di L. Cremona, il fondatore della scuola italiana di geometria algebrica, dall’altro. A Cremona si deve il merito di aver affi nato i metodi della geometria proiettiva con l’uso di tecniche algebriche raffi nate, dando un contributo decisivo alla realizzazione del linguaggio algebrico geometrico universale cui si è dianzi accennato e fondando in tal modo un metodo per la trattazione geometrica dei più svariati problemi algebrici. (Ciliberto, Shafarevich, 1998).

Fig. 27 - Superfi cie algebrica di H. Hauser, S. Gann e C. Stussak di ordine 6. (Da Le Superfi ci Algebriche. A project by imaginary. org - Dipartimento di Matematica e Fisica dell’Università Roma Tre, sotto la cura del Prof. L. Teresi).

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Fig. 28 - Superfi cie algebrica di W. Barth di ordine 6. (Da Le Superfi ci Algebriche. A project by imaginary.org - Dipartimento di Matematica e Fisica dell’Università Roma Tre, sotto la cura del Prof. L. Teresi).

La scuola italiana di geometria algebrica, divenuta famosa in tutto il mondo,29 fu creata da Luigi Cremona (1830-1903), Eugenio Bertini (1846-1933) e Corrado Segre (1863-1924), ma ricevette un for- te impulso soprattutto ad opera di Guido Castelnuovo (1865-1952), Federigo Enriques e Francesco Severi (1879-1961). Enriques, appena laureato, viene attratto dai nuovi studi geome- trici e durante il suo corso di perfezionamento a Roma, nel 1892-1893, si rivolge per avere consigli a Guido Castelnuovo, col quale stringerà subito un rapporto di amicizia che diverrà presto di collaborazione e anche di parentela, avendo Castelnuovo sposato Elbina Enriques, sorella di Federigo. Così Castelnuovo narra dei primi inconri con Enriques:

29 «Probabilmente il successo più rilevante mai ottenuto in geometria algebrica si deve al lavoro, effettuato tra la fi ne del XIX secolo e la prima metà del XX, dalla scuola italiana: G. Castelnuovo, F. Enriques, F. Severi e i loro allievi. Essi hanno creato quasi tutta la teoria delle superfi ci algebriche e le loro idee si sono fi nora dimostrate fondamentali anche in dimensione più alta» .(Ciliberto, Shafarevich, 1998).

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Venne perciò da me a chiedere consigli. Stavo per suggerirgli la lettura di libri e memorie, ma mi accorsi subito che non sarebbe stata questa la via più conveniente. Federigo Enriques era un mediocre lettore. Nella pagina che aveva sotto gli occhi egli non vedeva ciò che era scritto, ma quel che la sua mente vi proiettava. Adottai quindi un altro metodo: la conversazione. Non già la conversazione davanti a un tavolo col foglio e la penna, ma la conversazione peripatetica. Cominciarono allora quelle interminabili passeggiate per le vie di Roma, durante le quali la geometria algebrica fu il tema preferito dei nostri discorsi. Assimilate in breve tempo le conquist;e della scuola italiana nel campo delle curve algebriche, l’Enriques si accinse arditamente a trattare la geometria sopra una superfi cie algebrica. Egli mi teneva quotidianamente al corrente dei progressi delle sue ricerche, che io sottoponevo ad una critica severa. Non è esagerato affermare che in quelle conversazioni fu costruita la teoria delle superfi cie algebriche secondo l’indirizzo italiano. (Castelnuovo, 1947).

Quanto fosse rimasta stretta la collaborazione fra i due grandi matematici anche negli anni successivi al periodo romano di perfezio- namento dell’Enriques, è testimoniato dal nipote Federico Enriques:

Le passeggiate matematiche di Castelnuovo ed Enriques mi hanno fatto venire in mente quanto mi raccontò, a pochi mesi dalla morte, Emma Castelnuovo: «Negli anni ‘20, la famiglia Enriques aveva l’abitudine di fare una visita settimanale alla famiglia Castenuovo (abitavano vicini). In salotto le signore ed i giovani. Guido e Federigo discutevano di matematica nello studio di Guido». La zia Elbina temeva quelle serate, perché Guido non chiudeva occhio tutta la notte ripensando alle cose discusse con Federigo30

Ma sentiamo dalle sue stesse parole come Federigo Enriques defi niva la geometria algebrica:

La geometria algebrica - ove confl uiscono il metodo delle coordinate e quello delle proiezioni, tutti i diversi ordini di concetti suggeriti dallo studio delle curve - riesce ormai ad una dottrina qualitativa delle equazioni e delle funzioni algebriche, che costituisce il naturale prolungamento dell’Algebra e che vorremmo pur

30 Testimonianza resa dal prof. Federico Enriques tramite una sua e_mail di risposta alla mia richiesta di revisione del presente articolo.

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designare con questo nome, superando la signifi cazione più ristretta che vi attribuiscono gli specialisti (Enriques e Chisini, 1915-1918-1924-1934, prefazione in vol I, pp. VII-XIV).

Il geometra tedesco Max Noether (1844-1921), seguendo Luigi Cremo- na, studiò le proprietà delle varietà algebriche invarianti per le trasforma- zioni birazionali (Noether, 1870). Ma la memoria che conteneva tali studi, pur essendo importante, era piuttosto «oscura, dove alcune proprietà erano stabilite con dimostrazioni faticose che non gettavano luce sulla questione, altre erano intuite più che dimostrate. Fig. 29 - Federigo Enriques, Al contrario l’edifi zio di cui l’Enriques Ricerche di geometria sulle superfi cie algebriche (1893). tracciò in pochi mesi il disegno, ha i pregi dell’armonia e della spontaneità» (Castelnuovo, 1947). Prendendo le mosse dagli studi di Noether, Enriques studia a fondo le proprietà dei sistemi lineari di curve algebriche sopra una superfi cie, defi nendo, mediante una relazione funzionale, una operazione che permette di passare da un sistema lineare a un altro, detto il sistema aggiunto. Enriques scopre che il residuo di un siste- ma lineare rispetto al proprio aggiunto non dipende dal sistema di partenza: è invariante di fronte alle trasformazioni birazionali della superfi cie in un’altra e viene detto “sistema canonico”. Dall’esame di questo sistema e dalle relazioni tra un sistema lineare e il proprio aggiunto, Enriques ricava vari e tutti essenziali caratteri invarianti per trasformazioni birazionali, i generi: il genere geometrico pg, il genere aritmetico pa, il genere lineare e i plurigeneri. Raccoglie tali risultati nella memoria Ricerche di geometria sulle superfi cie algebriche scritta in pochi mesi, da gennaio a giugno 1893, data in cui viene presentata e subito pubblicata all’Accademia delle Scienze di Torino (Enriques, 1893). In tale memoria è stabilita la teoria generale dei sistemi lineari

22 Luca Nicotra Federigo Enriques: tra fi losofi a e matematica - Parte II ______di curve sopra le superfi cie algebriche, che consente di costruire gran parte del- la geometria sopra di esse. Nel 1896 ne redige una seconda edizione migliorata, dal titolo Introduzione alla geometria sopra le superfi cie algebriche pubblicata dalla Società Italiana delle Scienze detta dei XL (Enriques, 1896). Come disse Guido Castelnuovo (1947), «salvo lievi aggiun- te fatte più tardi, la teoria generale delle superfi cie algebriche ha in quest’ultimo lavoro un aspetto che è rimasto ormai nella scienza». Una terza trattazione ancor più compiuta viene pubblicata nel 1901 col titolo Intorno ai fondamenti della Geometria sulle superfi cie algebriche Fig. 30 - Federigo Enriques, Le superfi cie algebriche. (Enriques, 1901). Opera postuma a cura di Guido Non è possibile qui addentrarci sui Castelnuovo (1949). numerosi e importanti risultati originali ottenuti da Enriques nello studio delle curve e superfi cie algebriche e più in generale delle varietà algebriche. Oltre lo studio delle proprietà delle superfi cie algebriche, Enriques svolse, assieme a Castelnuovo, un immane lavoro sistematico di classifi cazione delle superfi cie al- gebriche in relazione ai valori dei generi, che portò avanti fi no agli ultimi anni di vita, scoprendo un gran numero di superfi cie algebri- che con proprietà singolari e impreviste. L’attività di Enriques e Castelnuovo, e poi anche di Severi, in questo settore fu talmente intensa e densa di importanti risultati scientifi ci, da meritare il riconoscimento a livello internazionale di una vera e propria scuola italiana di geometria algebrica, che annovera altri matematici italiani, molti dei quali furono allievi di Enriques: Giovanni Battista Guccia (1855-1914), Michele De Franchis (1875-1946), Annibale Comessatti (1886-1945), Oscar Chisini (1889- 1967), Giacomo Albanese (1890-1948) e Beniamino Segre (1903-1977). Le ricerche di Enriques in questo settore sono contenute in nu- merosissime pubblicazioni accademiche che poi riorganizzò, in anni

23 ArteScienza, anno VI dicembre 2019 N.12, ISSN 2385-1961 ______successivi, in vari volumi. Una prima raccolta delle ricerche enriquesiane sulle superfi cie algebriche fu curata dall’allievo Oscar Chisini in 4 volumi pubblicati rispettivamente nel 1915, 1918, 1924, 1934 col titolo Lezioni sulla teoria geometrica delle equazioni e delle funzioni algebriche (Enriques, Chisini, 1915, 1918, 1924, 1934). Una seconda raccolta fu curata dall’allievo Luigi Campedelli in due volumi, il primo uscito nel 1933 con il titolo Lezioni sulla teoria delle superfi cie algebriche, raccolte dal Dott. Luigi Campedelli (Enriques, Campedelli, 1933), e il secondo nel 1934 col titolo Sulla classifi cazione delle superfi cie algebriche, particolarmente di genere zero, lezioni raccolte dal Dott. Luigi Campedelli, nei Rendiconti del Seminario Matematico della Regia Università di Roma (Enriques, Campedelli, 1933). Una terza raccolta degli studi enriquesiani sulla geometria algebrica fu curata dall’allievo Fabio Conforto col titolo Le superfi cie razionali (Enriques, Conforto, 1939). Infi ne, grazie all’inte- ressamento dei suoi ultimi due allievi Giuseppe Pompily e Alfredo Franchetta, uscì postumo, nel 1949, Le superfi cie algebriche a cura di Guido Castelnuovo (Enriques, 1949), ultima sua opera matematica prima della morte.31

7.2 - Intuizione e formalismo. Il rigore matematico. Eclettismo contro purismo. Il metodo induttivo-deduttivo

Enriques, come Poincaré, era un fervido sostenitore dell’intu- izionismo in matematica, con una non celata avversione verso il formalismo spinto. Certamente la geometria, che fu il campo delle matematiche a lui più congeniale, era il terreno più adatto per mani- festare le sue grandi doti di intuizione. A questo riguardo il pensiero di Enriques è lo stesso di quello del Poincaré, che affermava: «Così la logica e l’intuizione hanno ciascuna la loro parte necessaria, tutte e due sono indispensabili. La logica, che può dare soltanto la cer-

31 Dopo la morte di Enriques furono trovati, per fortuna completati, i manoscritti delle sue ultime due opere pubblicate postume: Le dottrine di Democrito d’Abdera per cura di Manlio Mazziotti (1948) e Le superfi cie algebriche, per cura di Guido Castenuovo, A. Franchetta, G. Pompilj (1949).

24 Luca Nicotra Federigo Enriques: tra fi losofi a e matematica - Parte II ______tezza, è lo strumento della dimostrazione; l’intuizione, lo strumento dell’invenzione». (Poincaré, 1952, pp. 43-44). A proposito della opportunità didattica di avere una visione intu- itiva e geometrica anche di fatti analitici, così si esprimeva Enriques a commento della diffusa incomprensione della matematica anche da parte di uomini intelligenti:

Della formula (a - b)2 = a2 + b2 -2ab ciascuno acquisterà agevolmente l’intelligenza del signifi cato geometrico, (mentre) se gli venga presentata come espressione astratta di un calcolo algebrico, comunicata da un semplice ripetitore come una regoletta meccanica, solleverà ribellioni non del tutto ingiustifi cate. (Enriques, 1938 b, p. 171).

Certamente, se si intendono a, b come misure di segmenti, l’in- terpretazione geometrica della precedente formula del quadrato di un binomio diventa immediata e ne permette una facile memo- rizzazione: il quadrato costruito sulla differenza di due segmenti è equivalente alla somma dei quadrati costruiti sui segmenti stessi diminuita del doppio del rettangolo avente per lati quei segmenti. Dalle parole dello stesso Castelnuovo risulta chiaro il metodo di ricerca seguito da lui e dall’Enriques, basato sull’intuizione («Alla fi ne lo studio assiduo dei nostri modelli ci aveva condotto a divinare alcune proprietà») e sulla verifi ca («mettevamo poi a cimento queste proprietà con la costruzione di nuovi modelli»), quasi una replica del metodo sperimentale:

Avevamo costruito, in senso astratto s’intende, un gran numero di modelli di superfi cie del nostro spazio o di spazi superiori; e questi modelli avevamo distribuito, per dir così, in due vetrine. Una conteneva le superfi cie regolari per le quali tutto procedeva come nel migliore dei mondi possibili; l’analogia permetteva di trasportare ad esse le proprietà più salienti delle curve piane. Ma quando cercavamo di verifi care queste proprietà sulle superfi cie dell’altra vetrina, le irregolari, cominciavano i guai e si presentavano eccezioni di ogni specie. Alla fi ne lo studio assiduo dei nostri modelli ci aveva condotto a divinare alcune proprietà che dovevano sussistere, con modifi cazioni opportune, per le superfi cie di ambedue le vetrine; mettevamo poi a cimento queste proprietà con la costruzione di nuovi modelli. Se resistevano alla prova, ne cercavamo, ultima fase,

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la giustifi cazione logica. Col detto procedimento, che assomiglia a quello tenuto nelle scienze sperimentali, siamo riusciti a stabilire alcuni caratteri distintivi tra le famiglie di superfi cie. (Castelnuovo, 1928).

La matematica per Enriques era quella stessa di Galilei, imma- nente nella natura e non un’astratta arbitraria costruzione del pen- siero indipendente dalla realtà fi sica. In particolare il matematico livornese rimarca sempre la genesi psicologica dei concetti mate- matici, riportandola a quei dati sensoriali che invece da altri sono ritenuti ingannevoli (Enriques, 1938 b, p. 145):

Il signifi co scientifi co delle teorie matematiche ci riporta alla considerazione delle forme immanenti nella natura [...] Respingere le idee che hanno rapporto con l’occhio, o con l’orecchio, o col tatto, vedendo nelle sensazioni non le porte della conoscenza, ma soltanto l’occasione di errori peccaminosi, questo strano pudore dei logici matematici ci richiama alla memoria Plotino e quegli asceti cristiani del Medio Evo che si vergognavano di avere un corpo.

Queste due posizioni antitetiche per la matematica spesso sono etichettate con i termini “fuori di noi” e “dentro di noi”, separando drasticamente le rispettive posizioni. Per Enriques, invece, l’im- manenza della matematica nella natura non deve essere confusa con un pieno naturalismo matematico, che riconosce l’esistenza di enti matematici indipendentemente dallo spirito umano. Per lui la matematica è una costruzione dello spirito dell’uomo tratta da concetti immanenti nella realtà fi sica. La sua posizione risulta in tal modo intermedia fra il kantismo dell’”a priori” e l’empirismo dell’”a posteriori”, ovvero anche fra l’idealismo e il positivismo puro. In quest’ottica assume quindi un ruolo primario l’intuizione nella fase di ricerca, assegnando alla logica il compito successivo della dimo- strazione e formalizzazione.

La concezione del rigore matematico in Enriques32 è il «rigore

32 Che è stata anche dei suoi allievi e di molti matematici a lui seguiti nel tempo (mi rife- risco in particolar modo a Bruno de Finetti).

26 Luca Nicotra Federigo Enriques: tra fi losofi a e matematica - Parte II ______concepito come abito di correzione e di critica». È dunque connessa alla sua visione storicistica della scienza, per cui essendo questa sem- pre e soltanto un «grado di uno sviluppo, così diventa importante di esporre accanto alla verità le vie - spesso diverse - che vi conducono, senza escludere dal confronto dei metodi i procedimenti parziali o imperfetti, ed anzi col preciso intendimento di correggerli e chiarirli l’uno coll’altro, facendo risultare quanto vi sia di manchevole in ogni concezione parziale delle teorie». Il rigore, dunque, come punto di arrivo e non di partenza dell’insegnamento di una teoria matematica, conquista e non precetto “a priori”, «culto del rigore formale che - affettando di bandire ogni manchevolezza - talora riesce soltanto a nascondere le vere diffi coltà o le cause d’errore». (Enriques, Chisini, 1915-1918-1924-1934, prefazione in vol. I, pp. VII-XIV)

Collegata alla questione del rigore è anche quella delle generaliz- zazioni in matematica. L’aspirazione ad enunciazioni generali33 è la caratteristica della matematica ed esse stesse sono il punto di arrivo del metodo induttivo che caratterizza la fase di ricerca movendo da una moltitudine di casi particolari al caso generale che ne costituisce l’astrazione.34 Tuttavia, se dal punto di vista razionale e teorico il precetto della generalità è certamente valido, molto meno lo è dal punto di vista didattico, poiché «quest’abito ha diminuito l’effi cacia propulsiva di ottimi maestri, e merita di essere seriamente contrasta- to. Giacché in primo luogo, la forma troppo astratta dell’enunciato riesce ad oscurare il vero signifi cato del teorema nascondendone le origini, ed - in secondo luogo - crea nei giovani studiosi la lusinga delle facili generalizzazioni, puramente formali». (Enriques, Chisini, 1915-1918-1924-1934, prefazione in vol. I, pp. VII-XIV).

L’esperienza di ricerca nel campo della geometria algebrica è, per Enriques, una prova della fi ne dei metodi distinti per i vari rami della matematica propri del purismo a favore dell’utilizzo eclettico di essi:

33 Auspicate da Niels Henrik Abel (1802-1829) che invitava a «porre i problemi nell’aspetto più generale per scoprirne la vera natura». 34 Il “multiconcreto” per Bruno de Finetti.

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... la nostra epoca ha superato decisamente il purismo delle scuole analitiche e geometriche, traendo da ciascuna gli istrumenti della ricerca; il ravvicinamento dei metodi che risponde al programma eclettico (Clebsch) ha segnato un reale e fecondo progresso. (Enriques, Chisini, 1915-1918-1924-1934, prefazione in vol. I, pp. VII-XIV). . Certamente l’eclettismo che contraddistingue lo sviluppo della geometria algebrica è congeniale all’interdisciplinarità e all’idea dell’unità della cultura così radicate nel pensiero enriquesiano. E richiama il fusionismo di Klein, il matematico che più ebbe infl uenza su Enriques.

Enriques apprezza lo sforzo di John Stuart Mill35 per affermare l’importanza del metodo induttivo nella scienza, da lui delineato sul modello fornito da John Frederick William Herschel,36 ma rimprovera a Mill la mancanza di possesso del metodo matematico che gli fa, er- roneamente, considerare induzione e deduzione come processi netta- mente distinti: «un’ analisi approfondita del procedimento di questa scienza [la matematica] gli avrebbe appreso che la deduzione non va necessariamente dal generale al particolare, e che quindi — per questo riguardo — la distinzione tradizionale fra metodo deduttivo e induttivo, manca di fondamento» (Enriques, 1922, p. 236). Infatti «non vi è propriamente una deduzione, procedente dal generale al particolare, da contrapporre all’induzione che sale dal particolare al generale, perché ogni ragionamento procede in realtà, per analo- gia, dal particolare al particolare: infatti (come già osservava Sesto Empirico contro la logica aristotelica), la maggiore del sillogismo:

tutti gli uomini sono mortali, Socrate è uomo, dunque Socrate è mortale,

35 (1806-1873) fi losofo ed economista britannico, uno dei massimi esponenti del liberalismo e dell’utilitarismo. 36 (1792 –1871) astronomo, matematico e chimico inglese, fi glio del grande astronomo William Herschel.

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non potrebbe essere ritenuta vera, da chi prima non conoscesse anche la verità della conclusione. E così il sillogismo, lungi dal costi- tuire il tipo elementare del ragionamento, ne offre soltanto lo schema o la pietra di paragone» (Enriques, 1922, p.233). Inoltre, Enriques fa presente che «le scienze matematiche non riposano affatto, come si dice, sopra verità necessarie, ma soltanto sopra ipotesi e su taluni assiomi che costituiscono generalizzazioni dell’ esperienza» (Ibidem). Tuttavia Enriques riconosce a Mill il merito di avere rivalorizzato il ruolo del processo induttivo nella scienza: In conclusione però, la veduta che il Mill riprende da Telesio e da Bacone, che la scienza sia un progresso dal particolare al generale, acquista per tali considerazioni un valore più signifi cativo. Essa porge una rigorosa affermazione del carattere induttivo del sapere, contro il vecchio ideale dell’ordine deduttivo (Enriques, 1922, p.237).

Enriques condivide, invece, l’unifi cazione della deduzione e dell’induzione in un unico processo d’inferenza già sostenuta da William Stanley Jevons37 in The Principles of Science. A Treatise on Logic and scientifi c Method (1874):

La vera unifi cazione di questi due metodi, cioè la spiegazione loro come momenti subordinati del processo scientifi co, è stata offerta da W. Stanley Jevons: un compatriotta del Mill che fu, come lui, cultore delle scienze economiche e sociali, nelle quali tuttavia ha portato (dopo Cournot) il metodo matematico. Jevons descrive appunto il processo d’inferenza (‘), distinguendo i quattro momenti dell’osservazione preliminare (che può essere rimpiazzata dalla esperienza a cui mette capo un ragionamento precedente), dell’ipotesi, della deduzione e della verifi cazione.(Enriques, 1922, pp. 237-238)

Altrove Enriques, (1906, p. 129) precisa cosa intende per ipotesi:

Poiché in realtà la tappa del ragionamento induttivo che precede la deduzione, non è l’ipotesi enunciata per una misteriosa

37 (1835-1882) economista e logico britannico. Uno dei fondatori della economia neoclassica e della rivoluzione marginalista.

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divinazione dei fatti, ma il concetto, mediante il quale i fatti stessi si suppongono rappresentati, sorgente dalle osservazioni preliminari per un lavoro (spesso inconscio) di associazione e d’astrazione. Ogni concetto, così formato, contiene delle ipotesi, ma queste debbono essere rese esplicite da una critica, che enunci i resultati della visione immaginativa riferentesi ad esso. […] Contrapponiamo dunque allo schema logico di Jevons uno schema psicologico del ragionamento induttivo comprendente i quattro stadi dell’osservazione preliminare, del concetto che ipoteticamente la rappresenta, della deduzione e della verifi cazione. Ci avviciniamo così a cogliere nella sua realtà il procedimento di acquisto delle conoscenze, e a spiegarci le misteriose facoltà del genio, a cui si attribuisce il potere divino dell’antiveggenza.

Nella prefazione al primo volume delle Lezioni sulla teoria ge- ometrica delle equazioni e delle funzioni algebriche (Enriques, Chisini, 1915,1918,1924, 1934) più sinteticamente riafferma il carattere indut- tivo-deduttivo della scienza:

... infi ne approfondendo la veduta della scienza nel suo divenire, codesta critica oltrepassa l’opposizione fra metodo deduttivo e metodo induttivo, giungendo a considerare la deduzione stessa come fase d’un processo unico, che sale dal particolare al generale per ridiscendere al particolare.

Ma poiché la deduzione è il metodo dell’esposizione sistematica della scienza, nei trattati tradizionalmente concepiti, e d’altra parte, come appena visto, fa parte di un più ampio processo induttivo-de- duttivo che caratterizza la scienza intesa come ricerca, «questo con- cepimento dinamico del sapere» (il metodo induttivo-deduttivo) si chiede Enriques se «non debba comporre in qualche modo anche l’antitesi tradizionale fra ricerca ed esposizione sistematica, e così fra scienza e storia della scienza» (Ibidem). Nelle sue opere trattatistiche Enriques dà ampiamente prova di questa possibilità di ricomposizione, utilizzando il metodo indutti- vo-deduttivo, come lui stesso pone in evidenza nell’ introduzione all’ultimo capitolo del suo trattato postumo Le superfi cie algebriche scrivendo:

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Il lettore che abbia seguito gli sviluppi di questo trattato […] può averne ritratto l’impressione che l’autore abbia dato troppo posto ed esempi e casi particolari, lasciandosi in qualche modo guidare dal sentimento di curiosità del naturalista che raccoglie in un museo i più diversi tipi di animali, di piante e di minerali. Ma come il museo riesce a dare un’idea della ricchezza di forme della vita e conduce quindi a problemi generali della biologia, anche la raccolta di esempi, in questo campo delle matematiche, assume un signifi cato essenziale sotto l’aspetto euristico o storico-costruttivo della scienza. (Enriques, 1949, p. 427).

In chiusura mi sembrano molto appropriate queste parole di Bruno de Finetti che sono il miglior omaggio alle idee di Enriques riportate in quest’ultimo paragrafo, tutte riprendendole e rinnovan- dole con l’autorevolezza e l’affettività tipiche del grande matematico probabilista:

…la mania del rigore è spesso controproducente. Una dimostrazione ineccepibilmente logica, valida sotto condizioni estremamente generali, è in genere complicata e priva di prospettiva, nascondendo il concetto intuitivo essenziale nella foresta di minuzie occorrenti solo per includere o casi marginali o estensioni smisurate. È certo cosa migliore e più saggia (come diceva Enriques) fare acquisire una visione intuitivamente chiara e insieme logicamente rigorosa dei casi corrispondenti alle condizioni a ciò più idonee. Basterà poi informare, se del caso, e più o meno diffusamente, su cosa continua o non continua a valere sotto condizioni diverse (magari anche indicando – en passant – quella dimostrazione generale che si ritiene controproducente infl iggere come punto di partenza). Certe dimostrazioni lunghe e complicate non aiutano a capire il perché della validità del risultato ma obbligano soltanto ad accettarlo ‘obtorto collo’. Gli esempi al riguardo sarebbero numerosi. Non per dimostrare che si deve o può trascurare il rigore, ma per far rifl ettere che esso non va considerato ‘in vitro’, bensì in funzione della formazione nei discenti di una visione corretta, ma anche chiara e intuitiva, delle teorie studiate in astratto e delle loro pratiche applicazioni concrete. In particolare, occorrerebbe sempre curare di rendere le defi nizioni e dimostrazioni intuitive mediante esempi e controesempi e con espressive illustrazioni mediante fi gure (ben fatte!). Altrimenti le dimostrazioni si riducono a fi lastrocche verbali e a sequenze di passaggetti fatti perdendo di vista il fi lo conduttore (come di chi

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cammini badando ad ogni passo dove mettere il piede, senza alzare lo sguardo per vedere se, proseguendo arriva a una meta, e quale). (de Finetti, Nicotra, 2008, p. 180).

Ringraziamenti

L’autore esprime tutta la sua gratitudine ai proff. Federico e Lorenzo Enriques (nipoti di Federigo) e al prof. Pietro Nastasi per la preziosa revisione dell’articolo.

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36 L’arte nei musei di scienza

Luigi Campanella*

DOI:10.30449/AS.v6n12.102

Ricevuto 1-08-2019 Approvato 19-11-2019 Pubblicato 31-12-2019

Sunto: La produzione e il commercio degli strumenti ebbero origine da un’ampia gamma di altre attività, come l’orologeria, la tornitura, l’incisione e la fusione. Nel Rinascimento, infatti, un ristretto gruppo di coloro che esercitavano queste arti si dedicò alla fabbricazione degli strumenti, dando così origine a una manifattura specializzata. Fu questo un processo lento e l’associazione tra la fabbricazione degli strumenti e l’orologeria e, più in generale, la meccanica di precisione proseguì ben oltre il XVIII secolo, poiché la fabbricazione degli strumenti condivideva con queste ultime non soltanto le tecniche e le conoscenze, ma anche una parte del suo oggetto.

Parole Chiave: Museo,Arte e Scienza,Strumento scientifi co.Itinerari didattici.

Abstract: The production and the commerce of the scientifi c instruments had origin from a large variety of other activities such as jewelry,watch manifacture,design.turning,mel- ting,carving.On Renaissance few of them who exerted these arts dedicated their own work to the building of scientifi c instruments giving birth to a specialized manifacture.This process of interaction between two different fi elds went on till and after 18th century so leaving us as result the presence of art in scientifi c instruments. This process was also favoured by the infl uence of classic art on the culture of the period.

Keyword: Museum, Art and Science, Scientifi c Instruments, Didactic itineraries.

Citazione: Campanella L., L’arte nei musei di scienza, «ArteScienza», Anno VI, N. 12, pp. 37-50, DOI:10.30449/AS.v6n12.102.

______* Professore Ordinario di Analisi Chimica, di Chimica dell’Ambiente e dei Beni Culturali, di Chimica del Restauro, di Chimica degli Alimenti all’Università “Sapienza” di Roma e Presidente del MUSIS (Museo Multipolare della Scienza e dell’Informazione Scientifi ca); [email protected].

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1 - Arte e scienza negli strumenti scientifi ci

Il concetto di arte non riguarda solo il campo delle arti fi gurative ma può essere riferito anche a una poesia, a uno spartito musicale o ad un oggetto utilizzato nel campo scientifi co: oggetti didattici e artistici al tempo stesso che rappresentano un patrimonio storico-ar- tistico e scientifi co inestimabile, simboli dell’evoluzione scientifi ca legati a un concetto di bellezza durevole nel tempo, punto di incontro fra arte e scienza. Gli strumenti scientifi ci sono stati oggetto di interesse dei più grandi collezionisti a partire dal secolo XVI fi no al XVIII, esposti all’interno delle Wunderkammer per la loro bellezza e raffi natezza di lavorazione, esprimevano il gusto e gli interessi scientifi co-culturali dell’aristocrazia del tempo. Inizialmente non erano neanche utilizzati in campo scientifi co, perché considerati imperfetti e non in grado di rispondere alle teorie che avevano determinato la loro nascita, per cui era considerato maggiormente l’aspetto estetico, che rappresentava il vanto e la grande maestria artigianale degli artisti dai quali erano costruiti. Questi oggetti servivano alle misu-

Fig. 1 - Una sala del Museo Galileo a Firenze.

38 Luigi Campanella L’arte nei musei di scienza ______re relative alle scienze esatte: geometria, astronometria, geografia, cronometria e alle varie branche della fi sica. Oggi gli stessi strumenti, a parte le dimensioni, sono inve- ce costruiti con spirito puramente utilitario e applicativo. Ma una volta non era così. Molti scienziati al servizio di corti principe- sche ritenevano di dover fare costruire oggetti degni dello splendore dei loro mecenati e ne affi davano l’esecuzione ad artigiani di grande valore, essi stessi sovvenzionati dal signore del luogo. Fig. 2 - Gilberto Govi Nascevano così quei compassi d’ar- (1826-1889) gento dorato, quegli astrolabi cesellati e incisi, il cui lusso è ancora oggi apprezzato e fonte di grande sorpresa. È evidente che la loro funzionalità doveva prevalere sull’aspetto puramente decorativo, che invece doveva essere inteso soltanto come ab- bellimento, comunque studiato in modo da non impacciare mai l’operatore. La forma dell’oggetto così come ci si presenta non è mai casuale, ma deve seguire una serie di regole imposte dalla sua funzionalità. Per cui, da principio, sembra essere lontana da un concetto di bel- lezza. Lo studio della strumentazione scientifi ca in realtà contiene in sé un forte fascino estetico, ma è anche simbolo dell’evoluzione umana. Questo fascino estetico deriva anche dal ruolo che l’arte in quel periodo aveva,molto prima della disarticolazione fra arte e scienza che ha nociuto per tanto tempo alla cultura. Le arti fi gurative attraevano l’interesse del visitatore obbligando ogni oggetto per essere ammirato a possedere un contenuto anche estetico. te dalla sua funzionalità. La storia della produzione scientifi ca, in particolar modo in Ita- lia, è sempre stata ostacolata dalla mancanza di cultura scientifi ca e tranne in rari casi gli oggetti creati sono stati di scarso rilievo. Un quadro più accurato ci è presentato da Gilberto Govi1 nel 1873,

1 Gilberto Govi (1826.1889) fu un fi sico e patriota italiano. Fervente mazziniano partecipò ai moti del 1848, alla seconda guerra d’indipendenza italiana nel 1859 arruolandosi volon-

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Fig. 3 - A sinistra: una ricostruzione di Astrolabio Astronomico orientale. A destra: originale dell’Astrolabio Atronomico forse più antico fi nora ritrovato, di tipo planisferico (o piano) realizzato in bronzo fuso, porta il nome del suo creatore. L’iscrizione sul retro del kursi, o trono, è scritta in Kufi c, la più antica forma calligrafi ca delle varie scritture arabe, e afferma che l’astrolabio fu realizzato da Nastulus (o Bastulus) e indica la data di costruzione in lettere arabe (315) secondo il calendario islamico, corrispondente al 927 / 928 del nostro calendario. È conservato nella School of Oriental and African Studies presso l’Università di Londra. L’ Astrolabio Astronomico è un antico strumento tramite il quale era possibile calcolare rapidamente l’altezza dei corpi celesti e l’ora locale conoscendo la latitudine, o viceversa. L’invenzione dell’astrolabio piano è spesso attribuita al più grande astronomo dell’Antichità, il greco Ipparco di Nicea, (II secolo a.C.). Dalla Grecia si diffuse ad Alessandria d’Egitto, per merito del matematico Teone e con le migliorie introdotte dalla matematica, astronoma e fi losofa Ipazia. Successivamente il suo uso si diffuse fra gli arabi che lo perfezionarono e ne fecero largo impiego per le loro osservazioni atronomiche e per i calcoli astronomici. Le basi teoriche matematiche furono gettate dall’astronomo musulmano Muḥammad ibn Jābir al- Ḥarrānī al-Battānī (Albatenius nelle fonti latine) nel suo trattato Kitāb al-zīj (c. 920 d.C.). Era costituito da uno spesso cerchio metallico sul quale erano incise due scale diametralmente opposte; un’alidada munita di due traguardi permetteva di osservare gli astri e determinarne le altezze, mentre un anello girevole consentiva di tenerlo sospeso. Il suo notevole peso (circa 5-6 kg) ne assicurava la stabilità anche in presenza di vento.Per impiegarlo occorrevano tre persone: la prima sosteneva lo strumento, la seconda traguardava l’astro e la terza procedeva alla lettura della misurazione.

40 Luigi Campanella L’arte nei musei di scienza ______

Fig. 4 - Verso la fine del XV secolo venne in uso l’Astrolabio Nautico, utilizzato per la navigazione, derivato dal più antico e complesso Astrolabio Astronomico. L’originale più antico di Astrolabio Nautico fi nora trovato apparteneva probabilmente alla nave Esmeralda della flotta di Vasco de Gama, naufragata nell’Oceano Indiano nel 1503. La scoperta è avvenuta al largo delle coste dell’Oman. L’università di Warwick (Gb) lo data tra il 1495 e il 1500.

Fig. 5 - Quadrante di G. Hartmann- British Museum.

Il quadrante era uno strumento per misurare l’altezza degli astri. Consisteva in un quarto di cerchio costruito in legno o in metallo, con il bordo graduato, che recava su uno dei lati due traguardi per osservare l’astro, mentre un fi lo a piombo consentiva di misurame p’altezza

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Fig. 6 - Orologio cilindrico da tavolo con globo e automa, Andrea Krantz o Adam Klyzovicz, Germania orientale o Polonia, inzio del XVII secolo, tempo e suoneria delle ore, rame sbalzato, inciso e dorato, argento; Milano, Museo Poldi Pezzoli, Collezione Bruno Falck. (Da Gli orologi della collezione Falck al Museo Poldi Pezzoli di Luca Violo (https:// www.antiquariditalia.it › archivio › GA-57_I-2010-06- pp_32-37).

in una magistrale relazione sugli strumenti scientifi ci (Govi, 1888), in cui manifesta la necessità di dare inizio, anche nella nuova Italia unita, alle industrie degli strumenti scientifi ci. Govi osserva, però, che tale tipologia di industria nasce e assume importanza soprattutto nei luoghi dove le scienze pure o applicate si coltivano con amore, sono apprezzate dal pubblico, onorate e favorite dai governi. tario nell’esercito toscano col grado di uffi ciale del genio e alla presa di Porta Pia nel 1870. Nel periodo dell’esilio a Parigi (1848-1855) frequentò l’École Polytechnique e i laboratori di chimica e di strumentazione scientifi ca. Insegnò fi sica e tecnologia prima all’Istituo Tecnico Toscano, poi fi sica nel Regio Istituto di Studi Superiori a Firenze e fi sica sperimentale nelle università di Torino e Napoli. Fu un grande studioso di storia della scienza e in partico- lare dell’opera di Galileo Galilei e Leonard da Vini. È autore di circa 200 pubblicazioni, riguardanti la storia della scienza e argomenti di fi sica (ottica fi sica e geometrica, acustica, elettrologia, termologia), invenzioni di strumenti tra cui un fotometro, un megametro, due camere lucide, uno spettroscopio a visione diretta.

42 Luigi Campanella L’arte nei musei di scienza ______

Così a Venezia e Genova, dove il commercio alimentava gli studi della nautica, si cominciarono a costruire le migliori bussole, buoni astrolabi e carte di navigazione. E ancora, ai tempi di Galileo Galilei, nacquero e prosperarono buoni lavoratori di lenti e cannocchiali. In Germania invece gli orologi, ne- cessari per la gente divenuta economa del tempo, si fecero squisitamente in Allemagna e furono perfezionati nell’O- landa navigatrice. In Inghilterra, divenuta a sua volta la prima potenza sul mare, si imposero ottimi strumenti per l’astro- nomia e, dietro la spinta del genio Fig. 7 - Giovanni Battista Amici di Newton, si lavorarono prismi, (1786-1863). cannocchiali, telescopi a rifl essione, termometri, barometri, macchine pneumatiche, microscopi, che per molti anni non ebbero rivali. Jean-Baptiste Colbert,2 fondando il 22 dicembre 1666 l’Academie des Sciences, fece sorgere in Francia l’ndustria meccanica di precisione, che toccò il suo apogeo nella prima metà del XX secolo nelle offi cine del Gambey, del Lenoir, del Fortin, del Cauchoix, del Soleil, e altre ancora, quando a Parigi sedeva una pleiade di illustri scienziati, e alle intemperanze guerresche era succeduto un periodo di pace operosa e feconda. Nell’Italia intanto, esauritisi quegli antichi conati di Genova e di Venezia, e l’eccitamento momentaneo destato in Roma da Federico Cesi3 coi Lincei e in Firenze dal Granduca Ferdinando e dal principe Leopoldo II con l’Accademia del Cimento, non si stabilì mai una vera industria di meccanica di precisione dedicata agli strumenti scientifi ci.

2 Jean-Baptiste Colbert (1619-1683) fu un politico ed economista francese al servizio del cardinal Mazzarino. 3 Federico Cesi (Roma 1585- Acquasparta 1630) è stato uno scienziato e naturalista italiano, fondatore dell’Accademia dei Lincei e duca di Acquasparta.

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Fig. 8 - Carta nautica del Mar Caspio (34 x 48,5 cm), anno 1714. Academie des Sciences (France) Si fecero sforzi individuali, talvolta meravigliosi, si ebbe inge- gnosità somma e fecondità nell’ideare strumenti, ma, non essendo abbastanza diffusa, né suffi cientemente incoraggiata la cultura delle scienze, le offi cine dei costruttori non trovarono capitali per fondarsi e non sorsero, o morirono sul nascere, purtroppo specialmente in Italia. Giovan Battista Amici4 fu nella prima metà di questo secolo il

4 Giovanni Battista Amici (Modena, 25 marzo 1786 – Firenze, 10 aprile 1863) è stato un ingegnere, matematico e fi sico italiano. Si occupò di ottica, astronomia e scienze naturali. La sua fama rimane legata in particolare alle sue invenzioni in campo ottico: il prisma a visione diretta, che porta il suo nome e il microscopio con l’obiettivo a immersione omogenea che corresse le aberrazioni cromatiche, miglioramento della microscopia ottica che permise l’affermazione della teoria cellulare alla quale lo stesso Amici si interessò. Fu professore di algebra, geometria e trigonometria sferica nelle Università di Modena e Reggio Emilia. Fu nominato dal Granduca di Toscana Leopoldo II di Lorena direttore dell’osservatorio astronomico de “La Specola” e poi professore onorario di astronomia.

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Fig. 9 - Cannocchiale di Gaileo Galilei (1610). A sinistra particolare dell’originale conservato al Museo Galileo di Firenze (Inv.24289). più insigne fra i costruttori di microscopi e di camere lucide, ma neppure lui riuscì a creare una vera industria, non avendo mai avuto più di tre o quattro operai in un ristrettissimo laboratorio, così mal fornito degli arnesi necessari al lavoro, che le sue combinazioni di lenti, comprate avidamente dai francesi, dagli inglesi e dai tedeschi, venivano rimontate da loro su nuovi strumenti, lavorati con quella precisione che l’illustre scienziato non poteva conseguire nella sua modesta offi cina. I termometri e le altre vetrerie soffi ate dal canonico Angelo Bel- lani5 erano saliti in qualche reputazione fra noi, perché non avevano

5 Angelo Bellani (Monza, 1776 – Milano, 1852) è stato un fi sico e sacerdote italiano, studioso di fi sica. Inventò nuove tipologie di aerometri e fu il primo a utilizzare il termometrografo per gli studi di precisione in meteorologia.

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chi facesse meglio di lui, ma nessuno, se non forse qualche curioso, ne esportò mai, né se ne fece un ramo di commercio. Ebbe il merito di fon- dare la prima industria italiana produttrice di termometri a mercurio. I compassi di fabbri- ca milanese o padovana, quantunque ben lavora- ti, per il peso eccessivo non poterono mai com- petere vittoriosamente con quelli di Francia o di Svizzera, altrettanto precisi ma più leggeri e quindi più comodi tanto che l’offi cina Galilei di Fig. 10 - Antico microscopio inglese della fi ne del XVIII sec di ottone e legno modello Culpeper. Èun Firenze, fondata e diretta antico strumento ottico nel quale il tubo ottico a per qualche tempo dal forma cilindrica è retto da 3 supporti innestati compianto prof. Donati, su una base in legno con cassetto contenente gli dopo alcuni tentativi di accessori. Il microscopio è corredato della sua costruzione di qualche scatola originale in legno di mogano a forma di piramide. Altezza microscopio cm 31. Misure scatola strumento ottico, fi nì per larghezza cm 18x18 altezza cm 42. produrre specialmente contatori e apparecchi pei telegrafi . In Italia non sono mai nate fabbriche di orologi, malgrado la fama di Giovanni Dondi,6autore di un antichissimo planetario. Ne ebbe invece la Savoia, dove prosperano ancora, ma la perdemmo nel 1859 quando fu ceduta alla Francia in seguito alla Seconda Guerra di Indipendenza italiana..

6 Giovanni Dondi dall’Orologio (Chioggia, 1330 circa – Abbiategrasso, 1388) è stato un medico, astronomo, fi losofo, poeta, orologiaio e accademico italiano.

46 Luigi Campanella L’arte nei musei di scienza ______

«Per gli strumenti chi- rurgici invece, hanno anche gli italiani alcune offi cine nelle quali si lavorano indu- strialmente, e dalle quali si esportano con qualche pro- fi tto». Queste le parole di Gilberto Gori che indicano la situazione in cui si trova- vano ad operare i costrutto- ri degli strumenti scientifi ci in Italia e all’estero. I primi campioni-tipo di lunghezza furono creati rapportandosi alle membra umane. L’auna, che serve a misurare i tessuti, ripete il gesto del merciaio ed ha, se- condo i paesi, o la lunghez- za del braccio o quella delle Fig. 11 - Ricostruzione del telescopio rifl ettore due braccia distese. Il gomito di Isaac Newton. va dal gomito all’estremi- tàdel dito medio, e così via. Tra tutte queste unità, il piede fu quella più universalmente usata, e lo è ancora: il sistema più rapido e semplice per misurare le brevi distanze è, difatti, quello di percorrerle mettendo un piede dopo l’altro proprio come suggeriva il sistema di campionatura descritto nel 1522 dal geometra tedesco Jacob Koebel. La Cina, mille anni prima dell’era volgare, l’applicava anch’essa, fi ssando la lunghezza del piede a mille grani di miglio. Nella maggior parte dei paesi, veniva fi ssata una sbarra-cam- pione uffi ciale di bronzo, incastrata nel muro di un monumento o deposta in un edifi cio pubblico. In agrimensura ci si serviva dei multipli del piede: la tesa e la pertica. Le aree e i volumi erano calcolati in rapporto a questi cam- pioni-tipo.

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Per le capacità, che riguar- davano recipienti di forma im- precisa, ci si serviva di forme cilindriche di pietra. Alcune di esse sono ancora visibili presso la porta di certe chiese; a volte invece, i campioni-tipo erano di bronzo, conservati negli archivi delle città. Esistevano anche dei boccali per misurare il vino e la birra e della moggia per il grano. Per il peso si facevano, infine, dei campioni-tipo di bronzo, di pietra e persino di vetro, che hanno preceduto quelli di platino (es. le pile di Carlo Magno, scodellini di bronzo incastrati l’uno nell’al- Fig. 12 - Antica bilancia portoghese in tro, le cui somme successive cristallo e ottone. Altezza: 54 cm. costituiscono una scala che va da pochi grammi a parecchi chilogrammi). Lo strumento analitico più popolare, sia per la frequenza d’uso sia per avere legato la sua funzione alla gravimetria, il primo cro- nologicamente dell’analisi chimica, è certamente la bilancia, dei cui esemplari sono ricchi i musei. Per quanto riguarda le bilance com- merciali, la cui capacità va da qualche grammo a parecchi quinta- li,esse venivano decorate con particolare cura nei casi in cui la loro destinazione avesse un carattere uffi ciale. La perfezione della loro esecuzione è particolarmente apprezzabile in un’epoca in cui i ma- teriali erano ancora abbastanza rustici: certe bilance da gioielliere, vecchie di più di tre secoli, sono ancora funzionanti. Concludendo :quando si parla di Arte e Scienza si cerca di ricomporre un’unione che proprio i musei, con la loro molteplice caratterizzazione uffi ciale, avevano messo in discussione, senza

48 Luigi Campanella L’arte nei musei di scienza ______rendersi conto forse che nei musei scientifi ci c’è Arte come in quelli artistici c’è scienza

Fig. 13 - Telescopi antichi al Museo Galileo di Firenze.

49 ArteScienza, anno VI, dicembre 2019, N.12, ISSN 2385-1961 ______

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50 Elogio del gossip

Isabella De Paz*

DOI:10.30449/AS.v6n12.103

Ricevuto 15-01-2019 Approvato 18-12-2018 Pubblicato 31-12-2019

Sunto: Dare un valore alle voci di corridoio che diventano pettegolezzo non è facile ma utile, visto che svolgono un’indubbia funzione comunicativa oggi più che mai. Coinvolgono l’intero corpo sociale nella produzione di signifi cati, generano valori, stima, disistima, au- tostima e facilitano quel naturale meccanismo di trasmissione della memoria, che produce storia e cultura popolare. Il pettegolezzo è una cronaca partecipata, comprensibile a tutti e perciò, nel passaggio di bocca in bocca, si nutre di nuovi elementi (per lo più scadenti); ma riguarda quasi esclusivamente i numeri uno. Dà vita a una soap opera senza fi ne, ambientata nel mondo dei grandi della storia vediamo come.

Parole Chiave: Michelangelo Fake news Einstein ingiuria carisma.

Abstract: Giving a value to the rumors that become gossip is not easy but useful, since they play an undoubted communicative function today more than ever. They involve the whole social body in the production of meanings, generate values, esteem, disregard, self-esteem and facilitate that natural mechanism of transmission of memory, which produces history and popular culture. Gossip is a participatory chronicle, understandable to everyone and therefore, in the passage from mouth to mouth, it feeds on new elements (mostly poor); but it almost exclusively concerns the number one. It gives life to an endless soap opera, set in the world of the greats of history, let’s see how.

Keyword: Michelangelo Fake news Einstein insults charisma.

Citazione: De Paz I., Elogio del gossip, «ArteScienza», Anno VI, N. 12, pp. 51-72, DOI:10.30449/AS.v6n12.103.

______* Giornalista professionista, già docente universitaria di “Diritto dei Beni Culturali nell’U- nione Europea”; [email protected].

51 ArteScienza, anno VI, dicembre 2019, N.12, ISSN 2385-1961 ______

1 - Introduzione

Elogiare il gossip non è facile. Se ne sei autore hai sensi di colpa, se sei la vittima soffri e quando riguarda un estraneo ti annoia. Eppure è un rituale condiviso, presente da sempre nella storia dell’umanità e tutti i pettegolezzi un po’ sconci, nati ieri o arrivati da un passato remoto, sono cronache di pregio perché riguardano i numeri uno dell’arte, della politica, della scienza. Le dicerie sull’uomo qualunque, invece, durano quanto il respiro della falena: meno di un giorno. I vizi dei grandi interessano tutti forse perché, seguendo il genio sul suo cattivo sentiero, ci illudiamo di raggiungere alta quota di valore e la fama. Michelangelo è scontroso e poco attento all’igiene perso- nale anche nelle grandi fi ction storiche (compreso il fi lm di Andrei Koncialowsky, uscito nel 2019). Ma già all’epoca si diceva della sua sciatteria. I committenti, innamorati del suo genio, evitavano di incontrarlo spesso perché erano raffi nati signori amanti delle buo- ne maniere e chi era delegato a trattare con lui si limitò ai contatti strettamente necessari per via della sua poca creanza. La mancanza d’igiene e cortesia è il difetto che più ha creato gossip nella storia apparentemente vana delle chiacchiere. Tutti seppero del disordine e della trascura- tezza che regnava nell’ultima residenza del grande musicista Ludvig van Beethoven. Ma la grande anima di Gioacchino Rossini volle vedere in ciò una mancanza di cura da parte del Fig. 1 - Albert Einstein suona il violino. re e della corte tenuta, secondo Racconta Charles Chaplin che, durante le lui, a mantenere generosa- feste, animate da geni, artisti e musicisti di mente un sì alto cantore della prima grandezza, chiedeva ossessivamente patria e dell’impero. Leonardo al padrone di casa: «Ma io quando suono?» aveva fama d’importunare i giovinetti. Subì un processo per omosessualità, che ai suoi

52 Isabella De Paz Elogio del gossip ______tempi a Firenze era reato, ma fu giudicato con indulgenza per via del legame che lo legava ai Medici. E di ciò si bisbigliava alle sue spalle. Cesare era lodato dai soldati nei cori osceni dei canti trionfali per i suoi vizi e per i peccati. Einstein, distrat- to e sgraziato per tendenza, era un istrionico gaffeur. Racconta Charles Chaplin1 che, durante le feste, anima- te da geni, artisti e musicisti di prima grandezza, chiedeva ossessivamente al padrone di casa: «Ma io quando suono?», dimostrando che degli altri gli importava ben poco. Non è tutto. Sarebbe stato anche uno scontroso Fig. 2 - Albert Einstein: razzista? razzista. E qui a tradirlo ci sono i diari di viaggio da lui scritti e pubblicati postumi.2 Il suo giudizio sugli orientali, più volte espresso e ribadito, è negativo, grave, senza

Fig. 3 - Scheda del Federal Bureau of Investigation (FBI) su Albert Einstein.

1 Charles Chaplin, La mia autobiografi a, Fidenza, Mattioli editore, 1885, p. 231...... 2 Zev Rosenbranz (a cura di), Einstein papers project, Los Angeles, California University, 2018.

53 ArteScienza, anno VI, dicembre 2019, N.12, ISSN 2385-1961 ______appello e basato su osservazioni generiche. Bisogna dire, a onore del vero, che Albert Einstein esprimeva una personalissima opinione che non aveva intenzione di comunicare ad altri e divulgare. Tant’è, la grande folla degli uomini senza qualità non vede l’ora di imputare orribili incoerenze a un genio o al poeta che abitualmente canta sentimenti belli e nobili. Ugo Foscolo inciampò, a detta dei detrattori, in un imbarazzante incidente amoroso: l’epistolario poco galante con l’amica risanata nobildonna Antonietta Fagnani Arese. Questa, legalmente maritata, in seguito a contagio da sifi lide, accusò di contagio non il coniuge ma il poeta, che si affrettò a respingere al mittente l’insinuazione ottenendo acide repliche. Il peso delle chiacchiere non può essere relegato nel mondo dell’effi mero. C’è un pettegolezzo da sempre per ogni cosa e per ogni persona che ha i suoi cantori cronisti o storici in personaggi del livello di Svetonio, Tacito e Vasari. Il pettegolezzo, come molti altri fatti della vita ritenuti erroneamente privi d’importanza, può essere oggetto di studio in sociologia, nella letteratura e persino nella fi sica . È una delle forme del vivere sociale che funziona come una lente d’ingrandimento e consente di cogliere alcuni tratti dell’interazione umana. Attraverso questa rapida rifl essione le chiacchiere entrano di diritto nei cosiddetti mondi elevati dell’arte e della scienza. Ma c’è di più o, almeno così mi piace supporre qui e ora. Sono spesso strumenti nelle mani esperte di un creativo e ipotesi di studio quando un ricercatore le prende in considerazione.

2 - Gossip nella grande letteratura

Le voci di corridoio che diventano peƩ egolezzo svolgono, infaƫ , un’in- dubbia funzione comunicativa, coinvolgendo l’intero corpo sociale nella produzione di signifi cati. Generano valori, stima, disistima, autostima e facilitano quel naturale meccanismo di trasmissione della memoria, che produce storia e cultura popolare. Il pettegolezzo è una cronaca partecipata, comprensibile a tutti e perciò, nel passaggio di bocca in bocca, si nutre di nuovi elementi (per lo più scadenti).

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Chi racconta modifi ca la vicenda tingendola con le proprie reazioni emotive. I pensieri dei personaggi sono un po’ suoi e danno a ciò di cui si parla il valore che lui gli assegna. Chi sparla parla soprattutto di se ma è contemporaneamente pubblica accusa, avvocato d’uffi cio e giudice dell’imputato. Anche per questo motivo il gossip è da sempre al centro di pièce teatrali e romanzi. Vedi un po’ che ne scrive Alessandro Manzoni:

Una delle più gran consolazioni di questa vita è l’amicizia; e una delle consolazioni dell’amicizia è quell’avere a cui confi dare un segreto. Ora, gli amici non sono a due a due, come gli sposi; ognuno, generalmente parlando, ne ha più d’uno. Il che forma una catena, di cui nessuno potrebbe trovar la fi ne. Quando dunque un amico si procura quella consolazione di deporre un segreto nel seno d’un altro, dà a costui la voglia di procurarsi la stessa consolazione anche lui. Lo prega, è vero, di non dir nulla a nessuno; e una tal condizione, chi la prendesse nel senso rigoroso delle parole, troncherebbe immediatamente il corso delle consolazioni. Ma la pratica generale ha voluto che obblighi soltanto a non confi dare il segreto se non a chi sia un amico ugualmento fi dato e imponendogli la stessa condizione. Così, da amico fi dato in amico fi dato, il segreto gira e gira per quell’immensa catena, tanto che arriva all’orecchio di colui o di coloro a cui il primo che ha parlato intendeva appunto di non lasciarlo arrivar mai. Avrebbe però ordinariamente a stare un gran pezzo in cammino se ognuno non avesse che due amici: quello che gli dice e quello a cui ridice la cosa da tacersi. Ma ci son degli uomini privilegiati che li contano a centinaia e quando il segreto e venuto a uno di questi uomini, i giri divengono sì rapidi e sì moltepliciror gelar: Alla fi n trabocca e scoppia, to a uno di questi uomini, i giri divengon sì rapidi e sì molteplici, che non è più possibile di seguirne la traccia.3

Così nel melodramma dove la calunnia diventa una cavatina:

La calunnia è un venticello un’aurettta assai gentile. Che insensensibile, sottile, leggermente dolcemente incomincia a sussurrar:

3 Alessandro Manzoni, I promessi sposi, Milano, Mondadori, 2012 , p. 99.

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piano piano terra a terra. Sotto voce sibilando va scorrendo va ronzando; nelle orecchie della gente s’introduce destramente e le teste ed i cervelli fa stordire e fa gonfi ar dalla bocca fuoriuscendo lo schiamazzo va crescendo prende forza a poco a poco vola già di loco in loco. Sembra il tuono e la tempesta che nel sen della foresta va fi schiando, brontolando e ti fa d’orror gelar alla fi n trabocca e scoppia raddoppia, si propaga, si raddoppia e produce un’esplosione, come un fuoco di cannone un tremoto un temporale un tumulto generale che fa l’aria rimbombar e il meschino calunniato avvilito calpestato sotto il pubblico fl agello per gran sorte ha a crepar.4

Grande lirica, alta letteratura per il pettegolezzo, quindi. Eppure oggi, se dici gossip, pensi ai giornali scandalistici, alle fake news, alle trasmissioni radiotelevisive più popolari; cose che si suppon- gono lontane dall’arte e dalla scienza; pensi a prodotti deteriori che illuminano il lato oscuro dell’anima popolare. Ma non è così. Il pettegolezzo grande mistero in pena luce, è materiale dell’arte e motore della ricerca. È da sempre e per sempre dovunque (quasi come il diavolo e il buon Dio), e piace anche ai cattedratici, restii per tendenza a tesser lodi. E già!, a detta di un pull di scienziati della Oxford University, è ciò che ci rende umani e ci permette di sentirci bene e di vivere a lungo. Robin Dunbar, professore di psicologia evolutiva a Oxford, so- stiene che parlare degli altri quando sono assenti fa bene alla salute.

4 Il libretto dell’opera IL Barbiere di Siviglia di Gioacchino Rossini, rappresentata la prima volta a Roma nel 1816, è stato scritto da Cesare Sterbini.

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Ci tiene in vita.

La nostra rete sociale ha un enorme effetto sulla nostra felicità e sulla nostra energia. Il linguaggio si è evoluto in modo da funzionare come un olio sulla nostra rete sociale, permettendole di scorrere più facilmente. Ci dà la possibilità di raccontare storie, di sostenere conversazioni ed è importantissimo per la coesione della comunità. Fare gossip, dunque, non è altro che parlare con le persone e metterle al corrente del mondo in cui vivono loro e viviamo noi.5

Dunbar spiega meglio l’affermazione percorrendo una sorta di lungo ponte a ritroso tra l’oggi e il tempo che fu, dimostrando che la tendenza a spettegolare è motore della storia più antica. A mano a mano che il linguaggio si sviluppava, l’uomo riusciva a comunicare sempre meglio e a trasmettere informazioni utili agli altri. Ciò ha consentito di vivere in gruppi più grandi, di costruire legami e di imparare importanti nozioni. Questo è appunto l’umano. Così anche Yuval Noah Harari, professore di storia alla Hebrew University di Gerusalemme, nel corso di un’intervista al Daily Mail afferma:

Le capacità di linguaggio che gli uomini hanno acquisito millenni fa li hanno resi abili al gossip. Le informazioni affi dabili si diffondevano tra i vari gruppi facendoli in qualche modo crescere. Anche oggi, la maggior parte della comunicazione tra gli uomini, sia in forma di mail, di chiamate, di messaggi o di articoli giornalistici, è gossip. Si direbbe che il nostro linguaggio si sia evoluto a causa di questo proposito:

3 - Un gossip al giorno...

Spettegolare fa bene alla salute della nostra psiche, s’è detto, e svolge molte funzioni sociali: ci aiuta ad acquisire competenze, a son- dare il mondo e a sviluppare un’identità condivisa. Ma soprattutto ci consente di plasmare le gerarchie. Il pettegolezzo è un genere che ha alcuni celebri protagonisti. I più popolari sono Mimi Marchand, detta Rasputin dell’Eliseo, superpaparazza di Francia amicissima della

5 Robin Doubar, Gossiping is wath makes us humaman in www.telegraph.co.uk.

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première dame, che avrebbe aiutato Em- manuel Macron a districarsi nell’ affaire Benalla (rapporto del Senato francese nel febbraio 2019). Poi c’è Samantha Grant, autrice del Diario della sorella di una princi- pessa, scritto poco prima che la sorellastra Meghan Markle diventasse duchessa di Sussex ed è ancora contrita per non aver dato in anteprima la notizia del Megexit, fuga da corte della coppia Harry e Megan. Ma sono attuali anche i gossip su Cleopatra, riportati nel recente saggio Le orecchie lunghe di Alessandro Magno di Fig. 4 - Cleopatra, protagonista Federicomaria Muccioli, docente di Storia da secoli del gossip, ha ispirato greca all’Università di Bologna.6 L’acca- artisti e grandi registi. Nella demia accetta il punto di vista che vuole foto: Claudette Colbert nel fi lm Cleopatra, di Cecille B: De il pettegolezzo come impersonale autore Mille (1934). di processi sociali. Soddisfa il nostro bi- sogno di narrazioni. Ci aiuta ad acquisire competenze. Favorisce la creazione di legami e la coesione. Ci permette di defi nire i confi ni della cerchia di amicizie intime (dunque meritevoli delle nostre confi denze) e di esercitare il giudizio morale. Ma, questo è il punto, ci consente soprattutto di plasmare gerarchie. In pratica declassiamo l’altro per riabilitare noi stessi con il risultato di dargli una specie di primato quanto a visibilità. «Screditare qualcuno signifi ca togliergli valore», scrive la psico- loga Martina Paoletti.7 Serve a rendere quel qualcuno (e a percepirlo) meno minaccioso. La strategia è come suggerita anche dall’illusione che togliere valore all’altro possa farne acquisire a me. Ecco perché tutti quanti, in diversa misura e per ragioni differenti, parlano mol-

6 Federicomaria Muccioli, Le orecchie lunghe di Alessandro Magno, Bologna, Carocci editore, 2016. 7 Martina Paoletti nella prefazione di Il pettegolezzo o l’arte di dir male e come liberarsene, un’antologia di Giada Sanchini di brani letterari, da Svetonio a Shakespeare, da Goldoni a Pirandello, Miano, Bulgarini editore, 2018.

58 Isabella De Paz Elogio del gossip ______to degli assenti: serve a creare legami sociali e a fondare il sistema della reputazione all’interno di una comunità. Tant’è che siamo costantemente impegnati a gestire le impressioni che suscitiamo. Perciò selezioniamo intenzionalmente quanto esibire e quanto celare della nostra persona. Quello che gli altri pensano di noi ci importa al punto che, come hanno dimostrato i ricercatori dell’Università della California a Los Angeles, basta un occhio disegnato sul muro a metterci in imbarazzo e a farci cambiare condotta. Il pettegolezzo così si ritrova promosso, per così dire, a istitu- zione sociale primordiale. Nel passato accomunava popolazioni altrimenti diverse per età, etnia, classe sociale e cultura, le cui voci, si sa, sono incontrollabili. E così è diventato un atto comunicativo che può racchiudere aggressività, perché travalica il controllo di chi ne è oggetto, e competizione, perché «mette in scena una sorta di gara la cui regola principale è per i primi svelare ciò che l’altro nasconde», così ne parla Nicoletta Cavazza, psicologa sociale del Dipartimento di comunicazione ed economia dell’Università di Modena e Reggio Emilia, autrice del saggio Pettegolezzi e reputazione:

Parlare male degli assenti è una forma di aggressività socialmente compatibile rispetto alla lite o alla violenza; e in più garantisce l’incolumità fi sica dei rivali. Partiamo dall’idea che le persone sono sempre in competizione per il raggiungimento di risorse limitate: quindi, dal punto di vista sociale è importante avere un sistema capace di tenere a bada i comportamenti esplicitamente prepotenti. L’interesse per il pettegolezzo è fondante sia per gli antropologi che per gli psicologi sociali. La chiacchiera critica, lungi dall’essere un atto comunicativo singolo, avrebbe una sua sceneggiatura tipica e si confi gurerebbe come una sorta di narrazione a puntate con il taglio della soap opera, che ne è la quintessenza e che tocca personaggi immaginari ma familiari. I contenuti del gossip possono variare moltissimo perché sono riferiti alle norme implicite specifi che di ogni contesto sociale o culturale. Sono però sempre comportamenti inattesi, un po’ sorprendenti, in grado di dire qualcosa sul tipo di persona che li ha messi in atto. Inoltre, per potere interessare, devono contenere un’informazione sugli assenti che appaia attraente. Il gossip focalizza l’attenzione quand’è una storia, ha una trama, una suspense che lega gli eventi e aiuta gli interlocutori a costruire e

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condividere un’interpretazione comune di quello che solo qualcuno ha osservato.8

Inoltre gli assenti al centro della scena devono essere in qualche modo rilevanti per colui o coloro che parlano. Quelli di lavoro sono, quindi, gli ambienti ideali per il proliferare dei pettegolezzi:

Se rimaniamo sul piano del gossip comune, senza sconfi nare nelle forme patologiche del bullismo o del mobbing, essere oggetto di pettegolezzi segnala una certa centralità sociale. Non si chiacchiera sulle persone socialmente «invisibili» o marginali.9

A conti fatti essere un interessante argomento di conversazione non è un disonore. Tutt’altro. Il gossip permette di tenere letteralmente sott’occhio chi infran- ge le norme sociali, sanzionandolo e quindi disincentivando certi comportamenti. Ecco perché una maldicenza ha molto valore per l’individuo che l’ascolta: può metterlo al riparo da eventuali pericoli. Spiega Lorenzo Montali, del Dipartimento di Psicologia dell’Univer- sità degli Studi di Milano-Bicocca:

È un’allerta sugli altri. Che non sono mai completamente trasparenti, tanto che passiamo molto del nostro tempo a osservarli e a esaminarne le reazioni, domandandoci se il loro comportamento è dettato dalle circostanze o invece dalla loro persona. Da qui la convinzione che nel retroscena (guardacaso proprio l’ambito che si presta meglio al pettegolezzo) risiede l’autentica natura di una persona; tanto più che gli specchi sociali costituiti dai social media contribuiscono a darci l’illusione di poter mostrare un vero io svincolato dalle categorie a cui si è sempre ricorsi, costituite da gruppi di appartenenza come la professione, la provenienza, la posizione politica... Ma non è così. «Anche online veniamo sempre inquadrati esattamente secondo quelle categorie, perché la gente le cerca, le applica e le riconosce. Averne consapevolezza non può che aiutarci. Ci spinge, cioè, a scegliere continuamente. Decidendo a chi

8 Nicoletta Cavazza, psicologa sociale del Dipartimento di comunicazione ed economia dell’Università di Modena e Reggio Emilia, autrice del saggio Pettegolezzi e reputazione, Il Bologna, Il Mulino, 2018. 9 Ibidem.

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accordare credibilità, a chi dare fi ducia, noi individuiamo le buone fonti che diventano più importanti delle buone informazioni, che non saremmo in grado di valutare.10

Più che quella del pettegolezzo, allora, conta la «qualità» del pettegolo e il suo carisma. Il frivolo chiacchiericcio o il passaparola confi denziale procura un’identità condivisa e una certa scioltezza nell’esplorare il mondo e, a conti fatti, un grande godimento. «Il nostro interesse per le persone genera strani piaceri» scrive Paul Bloom, scienziato cognitivo dell’Università di Yale, nel suo libro La scienza del piacere. L’irresistibile attrazione verso il cibo, l’arte e l’amore:

E anche se oggi viviamo in una società costituita da migliaia, milioni o miliardi di persone, ci è rimasta quest’ossessione. Siamo affamati di informazioni sociali.11

L’attrazione per la vita altrui è una costante umana. Con la stessa curiosità con cui oggi si sfoglia una rivista leggera e con pari intento consolatorio, che è quello di avvicinare un mondo cui non si appar- tiene, gli antichi romani leggevano i derisori aneddoti di Svetonio sugli imperatori del passato nel suo Vite dei cesari. Secondo uno studio basato sulla risonanza magnetica della South China Normal University, il gossip ci fa sentire tanto meglio quanto peggiori sono le notizie apprese, perché abbiamo uno smodato bisogno di credere in un mondo più giusto. Di fronte all’ineguale distribuzione di vantaggi e svantaggi tra le persone, vogliamo ritrovare dei criteri di giustizia. E poiché ciascuno di noi valuta la propria situazione non in assoluto ma sempre in confronto ad altri, le notizie negative sulle persone importanti ci aiutano a pareggiare i conti e ritrovare quel senso di equilibrio fra la nostra situazione di persone comuni e quella di chi può sembrare troppo fortunato. Per chi si domanda se la diceria è meglio del pregiudizio una risposta precisa non c’è. Le informazioni sul nostro conto infl uen- zano il modo in cui gli altri si rapportano a noi, anche se l’incontro

10 Lorenzo Montali, Leggende tecnologiche, Milano, edizioni Avverbi, 2018. 11 Paul Bloom, La scienza del piacere. L’irresistibile attrazione verso il cibo, l’arte e l’amore, , Milano, Il Saggiatore, 2017.

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avviene per la prima volta. Così dicono gli studi focalizzati sulle dinamiche in atto durante le interazioni tra individui e sulle attivazioni neurali in presenza e in assenza di conoscenze a priori sulla reputazione dell’altro. Senza informa- zioni pregresse, l’interazione provoca l’attivazione dello striato, un’area del cervello che è parte del sistema dopa- minergico (che codifi ca le ricompense e l’apprendimento): è come se stessimo costruendo la reputazione del nostro interlocutore. Le stesse aree rimangono invece silenti se ci troviamo di fronte a qualcuno di cui abbiamo informazioni a priori: in questo caso è come se fossi- Fig. 5 - Michelangelo Buonarroti mo ciechi di fronte all’esperienza, cioè fu accusato di avere accoltellato un ragazzo per realizzare la scultura all’evidenza e alla vera identità di chi ci del Cristo nella Pietà. sta davanti. È bene, quindi, preservare le forme spontanee di socializzazione, evitando di farci condizionare dalle informazioni on line. Un recente studio apparso su «Science» mostra infatti come una diceria negativa su qualcuno modifi chi letteralmente il modo in cui lo ve- diamo, aumentandone la cosiddetta “salienza” che è l’importanza da lui assunta rispetto a un contesto.12 Resta il fatto che tutte le dicerie, at- tribuite a uomini e donne, buoni e cattivi, sono come colla, dove s’attaccano restano nei secoli dei secoli. Il sito web www.focus.it riporta una serie di pettegolezzi insistenti che, nel corso dei secoli, hanno ferito l’immagine di artisti, Fig. 6 - Giuglio Cesare politici, notabili, regnanti. La letteratura per bisex?

12 Science February 2018 American Association for the Advancement of Science, Wha- shington 2018.

62 Isabella De Paz Elogio del gossip ______ragazzi dedica largo spazio a questo tema, mantenendosi lieve e scherzosa ma non bigotta. Non potrebbe fare altrimenti, visto che le cronache pettegole sono da sempre piuttosto piccanti. Artisti molestatori di ragazzi, love story fasulle, sterminatori di gatti. Poveri potenti, fi niti nella mani dei chiacchieroni:

Michelangelo era un assassino Una diceria perfi da riguarda Michelangelo Buonarroti. Fu accusato di aver accoltellato un ragazzo per realizzare una scultura di Cristo nella sua meravigliosa «Pietà». Lo avrebbe fatto per seguire con precisione l’anatomia dei muscoli del cadavere. Ovviamente furono altri artisti invidiosi del successo di Michelangelo a mettere in giro la diceria. In realtà non si conoscono processi che lo riguardino o accuse di assassinio. Va ricordato che lo studio dell’anatomia di corpi di persone decedute ma non uccise dagli scultori, era una pratica comune tra gli artisti rinascimentali.

Giulio Cesare quasi gay Cicerone chiamò l’imperatore romano Giulio Cesare, portatore sano di quattro mogli e schiere di amanti, «marito di tutte le mogli e moglie di tutti i mariti». Uno degli amanti preferiti sarebbe stato Nicomede IV Filopatore, re della Bitinia, morto nel 74 a. C.. Cesare lo aveva conosciuto in occasione dell’assedio di Mitilene. Si era presentato ai Romani per chiedere le navi necessarie per affrontare il nemico.

Fungo per avvelenare Claudio Un altro pettegolezzo che ha attraversato la storia riguarda l’imperatore Claudio: sarebbe stato avvelenato con i funghi, di cui era ghiotto. Agrippina Minore, madre di Nerone e moglie dell’imperatore Claudio lo avrebbe eliminato così con una cena a base del suo cibo preferito.

Leonardo era un molestatore Il nome di Leonardo Da Vinci sarebbe comparso nel 1476 tra gli imputati nel fascicolo processuale di un’ inchiesta per sodomia, assieme ad altri allievi della bottega del Verrocchio. La vittima un apprendista orafo diciassettenne, Jacopo Satarelli, fece, però, una denuncia anonima, decaduta dopo breve tempo, che costò all’artista scienziato una breve incarcerazione.

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Le etrusche si godevano la vita Le donne etrusche sarebbero state defi nite donne facili dai maschi dell’epoca. Lo storico greco Teopompo (IV sec. a.C)racconta della loro abitudine di presentarsi nude ai bancletti pronte a concedersi alle altrui voglie.

Ludovico, Moro e fedifrago Si era appena sposato e già tradiva la moglie. Ludovico il Moro nel 1491 si era unito in matrimonio a Beatrice d’Este che aveva allora solo 16 anni. Dal matrimonio nacquero due fi gli, a dimostrare che il matrimonio era stato consumato, contraddicendo voci di impotenza del duca di Milano. Ma tutti parlavano della sua relazione Fig. 7 - Leonardo_da_Vinci. con la bella Cecilia Gallerani, che Presunto autoritratto (Biblioteca Leonardo ritrasse nel dipinto La Reale Torino). dama con l’ermellino. Il nome di Leonardo da Vinci figura nel fascicolo processuale Il padre «occulto» di Casanova di una inchiesta per molestie e Giacomo Casanova , noto a sodomia (1476). Venezia e altrove per il suo per il suo fascino irresistibile e per le molte conquiste, ( Venezia (1725-1798) non sarebbe stato fi glio dell’attore Gaetano Casanova, ma di Michele Grimani, che aveva avuto una relazione con Giovanna Farussi o Farusso, madre di Giacomo.

Vittorio Emanuele II sostituito nella culla Sarebbe stato Masimo D’Azeglio a lanciare dubbi sulla paternità di Vittorio Emanuele II (1820-1878). A pochi giorni dalla nascita del re, una nutrice avrebbe rovesciato, in distrazione, una candela sulla culla, provocando un incendio che avrebbe poi sorpreso nel sonno uccidendoli la donna e il piccolo . La tragedia si sarebbe svolta a Palazzo Pitti. Per rimediare garantendo la successione futura, sarebbe stato adottato, in tutta fretta, il fi glio di un macellaio, nato nello stesso giorno del delfi no.

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Mozart ucciso dal collega geloso Constance Weber, ambiziosa vedova di Mozart, mise in giro la voce che il marito fosse stato avvelenato dal compositore Antonio Salieri, invidioso per il successo del rivale. Lo avrebbe ucciso avvelenandolo. La rivalità già allora era causa di chiacchiere e la versione dell’omicidio si affermò più di qualunque altra versione dei fatti. Determinante fu la potente opera drammatica in versi, scritta dal poeta russo Aleksandr Sergeevi Puškin che nel 1830 scrisse in versi della terribile fi ne di Amadeus e di quel Salieri, nemico fatale.

Brahms uccideva i gatti Richard Wagner sostenne che il rivale Johannes Brahms traeva ispirazione dai miagolii dei gatti che egli stesso con sadico gusto colpiva, per poi copiarne i rantoli. E diffuse questa macabra maldicenza che era anche implicitamente un giudizio negativo sull’opera.

La love story fasulla della regina vergine Lui si chiamava Eric XIV (1533-1577), principe di Svezia con problemi di instabilità mentale, lei era Elisabetta I, regina d’Inghilterra (1533-1603), insensibile al fascino degli uomini. Si parla di una relazione nascosta e stramba, per via della pazzia di lui e della freddezza di lei. Un fondo di verità, ma solo un fondo, c’è: Eric avanzò trattative per una proposta di matrimonio alla sovrana, ma poi abbandonò il progetto. Ma nel sedicesimo secolo si parlò molto della loro reciproca attrazione.

4 - Gossip in cattedra

Tutte le brevi leggende piccanti inventate da “chissachi” vengono rese più credibili dai professionisti della narrazione che le personaliz- zano rendendole sorprendenti. Il risultato è una convincente diffama- zione. Oggi le riviste di gossip, i programmi televisivi e on line hanno un grande successo. Un successo che dura da almeno duemila anni. Per questo, anche gli storici si occupano di chiacchiere e invettive, ri- conoscendo loro un ruolo taumaturgico. Fanno il miracolo di consen- tire agli inferiori di condannare i capi con il consenso di questi ultimi. Negli accampamenti militari romani del I secolo d. C., la sera, si riunivano attorno al fuoco i legionari e ridevano tutti insieme rac-

65 ArteScienza, anno VI, dicembre 2019, N.12, ISSN 2385-1961 ______contando e talvolta inventando storie piccanti sul loro comandante. Alludevano al suo impegno a letto piuttosto che in battaglia. I «versi fescennini» (dalla città etrusca di Fescennium, dove sarebbero nati i primi carmina triumphalia) si declamavano dopo la vittoria, nel mo- mento incantato in cui ancora non si sa quali saranno le conseguenze politiche dell’azione militare ed è necessario distrarre l’opinione pubblica da temi politici.. Così scrive Alberto Chiesa:13

Il comandante accettava di essere preso in giro dai suoi uomini, che ne descrivevano i rapporti sessuali con schiavi o sottoposti. Queste chiacchiere, un po’ come oggi, erano incoraggiate dal potere perché distraevano dai veri problemi, per esempio dalla politica e dalle conseguenze della guerra. Anche per questo la donna, in quanto tentatrice, aveva spesso il ruolo di protagonista del gossip d’epoca. Persio e Giovenale, nel I secolo d. C. fecero del gentil sesso ritratti per nulla lusinghieri. La vittima preferita delle loro cronache fu Messalina. Di lei s’è detta qualunque cosa e il suo contrario, qualcosa di benevolo, comunque, mai. Costretta a sposarsi a quindici anni con il cinquantenne cugino della madre e diventata imperatrice di Roma nel 41dc, Messalina pare se la intendesse con tutti i sudditi più belli e, addirittura, vincesse gare di piacere con le prostitute più famose. «Se la tua morte sarà pianta da tutti i tuoi amanti, piangerà mezza Roma!», sentenziò il tribuno che l’uccise nel 48dc. I vizi, però, non hanno sesso e il potere per lo più è maschio. Così, le Vite dei Cesari di Gaio Svetonio Tranquillo (70-126 d. C.) più che una cronaca storicamente attendibile sono un catalogo di pettegolezzi e aneddoti. La cattiva fama di Caligola e Nerone si deve in gran parte all’astio di Svetonio, nostalgico della moralità repubblicana, che faceva poco caso alla storicità dei fatti, preferendo una chiave narrativa mirata a screditare gli aristocratici assolutisti. Lo stesso intento denigratorio guidò chi, sui muri di Pompei, intorno al 79 d. C. incise la scritta ancora leggibile: «Marcello Prenestina e non è considerato».

13 Paolo Chiesa, docente di Letteratura latina medioevale all’Università di Milano, lezione tenuta presso Università di MIlano secondo semestre 2018.

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5 - Gossip in laboratorio

L’ambiente scientifi co ovviamente non è immune da gossip, ma, siccome e popolato di menti lucide che tutto notano, annota- no e utilizzano, senza trascurare le coincidenze imbarazzanti. Le chiacchiere, quindi, come gli errori e gli incidenti, si usano qui come catalizzatori di nuova conoscenza. Prendiamo il caso paradigmatico dell’effetto Pauli. Pauli era un fi sico teorico cui, in seguito ad una serie di sfortunati eventi che si verifi carono a partire dal 1924 , fu attribuita la fama di guastare qual- siasi esperimento con la propria presenza. Il fi sico Otto Stern, celebre per gli studi sui fasci molecola- ri, per paura dell’effetto Pauli, lo pregò uffi cial- mente di non entrare Fig. 8 - Il fi sico teorico Wolfgang Pauli, noto per il suo “principio di esclusione” introdotto mella meccanica nel suo laboratorio. Se quantistica. L’ “effetto Pauli” è una espressione fosse reale, l’effetto Pauli scherzosa che si riferisce alla superstizione del potrebbe essere classifi - malfunzionamento di apparecchiature tecniche in cato come un fenomeno presenza di fi sici teorici. macropsicocinetico cioè parapsicologico. Wolfgang Pauli, comunque, secondo il suo biografo Charles P. Enz, era convinto che l’effetto fosse reale. Markus Fierz un suo collega e collaboratore, affermava:14

Altri studiosi della fi sica sperimentale – persone obiettive e realiste – condividevano l’opinione secondo cui la presenza di Pauli impediva la riuscita del progetto. generando ostacoli nella conduzione degli esperimenti : rivelava, diciamo così, la malignità delle cose. Era questo L’Effetto Pauli. Per questa ragione, il suo amico Otto Stern, celebre ‘artista dei fasci molecolari’, non l’ha mai lasciato

14 Markus Fierst, Gerolamo Cardano, matematico, medico, scienziato astrologo italiano, Berlino, Springer editore,1999.

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entrare nel proprio istituto. Non è affatto una leggenda, conoscevo benissimo Stern così come Pauli! Anche Pauli credeva assolutamente al suo potere negativo. M’ha raccontato come percepisse le sventure in anticipo nella forma di una spiacevole tensione e che, se poi il disagio preconizzato avveniva davvero, si sentiva bizzarramente libero e sollevato. Si può insomma considerare l’Effetto Pauli come un fenomeno sincronico. Lo stesso Pauli comunque credeva nell’esistenza dell’effetto. Poiché Pauli considerava la parapsicologia un metodo d’indagine serio, quest’affermazione è in accordo con iil suo pensiero scientifi co.15

In un ambiente diverso questi episodi avrebbero alimentato chiacchiere e disagio, persino allontanamento. Invece no. Pauli poté studiare le basi scientifi che dei suoi poteri in collaborazione con i colleghi scienziati, che ci tennero a sottolineare come l’effetto Pauli fosse legato alle grandi qualità del genio guastatore. Lasciarono perciò a lui l’onere di segnalare i tempi e i modi del suo potere. Un incidente avvenne nel laboratorio di fi sica dell’Università di Gottinga. Uno strumento di misura costoso, senza alcun motivo apparente, smise immediatamente funzionare. Il direttore dell’istituto informò dell’accaduto il suo collega Pauli, che si trovava a Zurigo, asserendo scherzosamente che il disastro non era dovuto all’effetto Pauli. Solo in seguito si seppe che Pauli, nel momento in cui era avvenuto il fatto, stava rientrando a Zurigo da Copenaghen e si trovava proprio alla stazione di Gottinga in attesa di una coincidenza.16 L’episodio è ripor- tato, tra gli altri, nel libro di George Gamow Trent’anni che sconvolsero la fi sica, 17dove si afferma anche che l’effetto è tanto più forte quanto il fi sico è talentuoso. Nel febbraio del 1950, quando Pauli si trovava all’Università di Princeton, il ciclotrone si incendiò ed egli si chiese se questo incidente fosse dovuto a questo effetto che prendeva da lui il nome. L’ultimo avvenimento spinse Pauli a scrivere il suo articolo Background-Physics, in cui prova a trovare relazioni complementari

15 Sincronicità e coincidenze signifi cative (Jung e Pauli), in Altrogiornale.org, 31 ottobre 2016. URL consultato il 3 novembre 2016. 16 Gino Segrè, Faust a Copeaghen, Milano, Raffaello Cortina, p.!24. 17 George Gamow, Trent’anni che sconvolsero la fi sica. La storia della teoria dei quanti, a cura di L. Felici, Bologna, Zanichelli, 1966, appendice.

68 Isabella De Paz Elogio del gossip ______tra fi sica e psicologia del profondo. Diverso è il discorso per i fi losofi che temono il gossip e lo detestano. Il loro pubblico non è disposto a perdonare la mancanza di coerenza a un pensatore. Vale la regola del pensa come vivi, vivi come pensi e scrivi: non si ammette dissonanza tra parole e fatti, teorie e comportamenti. Perciò un numero infi nito di defaillances vere o immaginate consentono un giudizio negativo sulla persona e sulla sua onestà culturale anche quando si tratta di accuse basate su fatti e prove esili. Un semplice indizio, se è tale da insinuare il dubbio, può essere considerato fatale. Si disse di Fig. 9 - Georg Wilhelm Friedrich Hegel. A Heghel Kant che il suo principale imperativo ca- i nemici rimproverarono tegorico fosse in realtà: «Suda poco, pian- la mancanza di coraggio: gi meno, non amare» e non si fosse mai, agli uomini potenti non si perciò, accoppiato (nemmeno una volta!) opponeva, per non perdere per risparmiare energie e umori, essendo la loro protezione. geloso delle proprie secrezioni.18 A Hegel fu rimproverata una mancanza di coraggio cronica che lo rese spesso ossequioso nei confronti di avversari del suo pensiero, se potenti. reazionari.19 L’immagine di Socrate perde smalto per quel suo rifi uto di salutare e abbracciare la moglie Xantippe, che egli congedò, senza un gesto affettuoso, prima di assumere la dose di veleno mortale. I Cinici nella Grecia antica, con Antistene e Diogene nel 300-200 a.c. camminavano scalzi con le chiome folte e scomposte, per dimostrare indifferenza alle convenzioni, mentre a Roma quattro secoli dopo erano sobri e rasati a zero al seguito dell’imperatore Marco Aurelio. Sciocchezze? Frédéric Pagès, autore di Les philosophes sorts à cinq heures si fa, al proposito, questa domande cui risponde rapido: «Je remarque seulement que, jusqu’à present on a beacoup parlé des

18 Frederic Pages Ler philosopphe sort ò cinq heures, Francois Burin ed-, 1993. 19 Ibidem.

69 ArteScienza, anno VI, dicembre 2019, N.12, ISSN 2385-1961 ______idées, e peu du poil».20 Parlare del pelo signifi ca spiegare come si agisce in patica per ottenere un risultato. Come dire che le teorie se non diventano un modo di vivere perdono forza, signifi cano poco. In effetti la fi losofi a non è o non dovrebbe essere una collezione di pensieri inchiodati al foglio dalla scrittura, ma un modo di vivere, di mangiare, di bere, di stare insieme, di accoppiarsi e vivere al mondo. Questa defi nizione nata e rispettata molto tempo fa, noi l’abbiamo persa di vista. I fi losofi sarebbero tenuti alla coerenza e un com- portamento contrario, denunciato da un detrattore per denigrare il saggio è un insopportabile vulnus. Epicuro certo fu di questo parere, perché decise di bandìre il pettegolezzo dalla sua Turris Eburnea, il locus più spirituale che fi sico dove la sua comunità di pensatori e discepoli si isolava per trovare e sperimentare il piacere della veri- tà. Diede corpo a un vero e proprio manifesto contro pettegolezzi e scandali, considerati un’illusione negativa, il demone da sconfi ggere. Diversa è oggi la visione condivisa a proposito di riservatezza, ve- rità e notorietà. Alla dichiarazione vagamente sprezzante di Andy Warhol, che predice a ognuno di noi, in questi tempi, un attimo di celebrità anche in assenza di talento, il popolo del ventunesimo secolo ha risposto cercando grande visibilità ad ogni costo. Spette- golato e felice, il fi losofo moderno come l’uomo comune non cerca la serenità ma il confl itto quotidiano, perché, sia chiaro, per dirla allo Voody Allen, spettegolare è come fumare sigarette: piacevole, ma poco sano, eppure c’è solo una cosa più sgradevole dell’essere oggetto di maldicenza: non esserlo mai. Quindi, lunga vita al pettegolezzo anche per i motivi indicati da Umberto Eco in un suo celebre corsivo, che ha ispirato queste brevi considerazioni e amabilmente le chiude:

Il pettegolezzo soddisfa il voyeurismo latente in ciascuno di noi per cui, sia pure per interposta maldicenza, cerchiamo di spiare quello che accade in camera da letto del macellaio o nella cucina dove costui litiga con la moglie. Le comunità di una volta vivevano sul sussurro quotidiano circa le marachelle o le disgrazie altrui, e di bocca in bocca le comari si passavano la notizia che il farmacista era cornuto, che la fi glia del droghiere non era sparita in campagna

20 Ibidem.

70 Isabella De Paz Elogio del gossip ______

per curare la zia malata bensì per celare il fatto che era gravida del fi glio della colpa o che il sindaco non lo diceva ma aveva un brutto male. Talora queste mormorazioni potevano rovinare la vita di una persona (si pensi a La patente di Pirandello) ma in genere rispondevano anche a un interesse quasi benevolo per la vita del nostro prossimo e in defi nitiva costituivano una forma di cemento sociale – anche quando il pettegolezzo da partecipazione dolente si trasformava in pubblica sanzione. Mostrami qualcuno che non spettegola mai e io ti dimostrerò che non è interessato alle persone.21

21 Umberco Eco, Siamo pettegoli ma in solitudine. La bustina di Minerva, «L’Espresso» 18 marzo 2011.

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Cinquant’anni dopo: ritorno sulla Luna

Luigi Balis Crema* Antonio Castellani**

DOI:10.30449/AS.v6n12.104

Ricevuto 29-09-2019 Approvato 27-11-2019 Pubblicato 31-12-2019

Sunto: Cinquant’anni fa l’uomo violò il suolo del nostro satellite. Poeti, artisti, fi losofi , che nei secoli avevano avuto nella Luna la loro divinità ispiratrice, espressero, al di là dell’ammirazione per l’audacia dell’impresa, tutto il loro turbamento nei confronti di un evento che a giudizio di molti avrebbe sconvolto il rapporto fra scienza e poesia. Col tempo le emozioni si sono attenuate, le gesta spaziali sono viste come un fatto quotidiano e la Luna continua ad illuminare con i suoi languidi raggi le notti del nostro pianeta. Ma dopo mezzo secolo la Luna torna ad essere al centro dei programmi dei viaggi umani nello spazio, non solo da parte della NASA, ma delle più avanzate potenze mondiali, dalla Cina, alla Russia, al Giappone… Si ripetono gli annunci che a breve il piede dell’uomo tornerà a battere il deserto lunare. Ma sarà una tappa intermedia, dalla quale spiccare il volo per il più ambizioso e problematico viaggio dell’uomo su Marte.

Parole Chiave: Ricerca spaziale, sbarco sulla Luna.

Abstract: Fifty years ago the man violated the ground of our satellite. Poets, artists, phi- losophers, who over the centuries had had their inspiring divinity in the , expressed, beyond the admiration for the audacity of the enterprise, all their distur-bance towards an event that in the opinion of many would upset the relationship be-tween science and poetry. Over time the emotions have diminished, the spatial deeds are seen as a daily occurrence and the Moon continues to illuminate our planet’s nights with its languid rays. But after half a century the Moon returns to be at the center of human travel programs in space,

______* Già professore ordinario di Strutture Aeronautiche all’Università “Sapienza” di Roma; [email protected]. ** Già docente all’Università “Sapienza” di Roma e ricercatore CNR di Ingegneria Aero- spaziale, autore di numerosi saggi di storia aeronautica; [email protected].

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not only by NASA, but by the most a-dvanced world powers, from China, to Russia, to Japan ... The announcements are repeated that soon the man’s foot will return to beat the lunar desert. But it will be an intermediate stage, from which to take fl ight for the most ambitious and problematic journey of man on Mars.

Keyword: Space research, landing on the moon.

Citazione: Balis Crema L., Castellani A., Cinquant’anni dopo : ritorno sulla Luna, «ArteScienza», Anno VI, N. 12, pp. 73-104, DOI:10.30449/AS.v6n12.104.

1 - L’interpretazione di letterati e poeti

La Luna, dalle origini della civiltà, è stata fonte di ispirazione poetica e fi losofi ca. Quella notte fra il 19 e il 20 luglio di cinquanta anni fa tra gli spettatori che in ogni parte del mondo seguivano dai monitor televisivi lo sbarco del primo uomo sulla Luna vi era il poeta Giuseppe Ungaretti, mae- stro e precursore dell’ermetismo, che aveva riunito nella sua casa romana di Via Sierra Nevada nel quartiere residenziale dell’EUR il giornalista del settimanale «Epo- ca» Giuseppe Grazzini e il fotore- porter Giorgio Lotti. «Epoca» fi no dagli inizi degli anni Cinquanta aveva dato ampio risalto al futuro dei viaggi spaziali e in particolare alla corsa alla Luna, una compe- tizione che rappresentò una delle sfi de più combattute della guerra fredda, dedicando molte copertine ai protagonisti e ai progetti che consentirono la conquista dello Fig,1 - Il n 983 di «Epoca» del 27 spazio. In occasione dello sbarco luglio 1969 contenente l’intervista al poeta Giuseppe Ungaretti. sul suolo lunare vennero pubblica-

74 Luigi Balis Crema, Antonio Castellani Cinquant’anni dopo : ritorno sulla Luna ______ti cinque numeri speciali ricchissimi di servizi e di fotografi e – Mondado- ri, editore della rivista, aveva stipulato un ac- cordo di esclusiva con la Nasa – a partire dal n. 981 del 13 luglio 1969, una settimana prima dell’impresa, dedicato alla missione dell’A- pollo 11, cui seguirono il n. 982 del 20 luglio Fig. 2 - Ungaretti brinda allo sbarco sulla Luna. («Parlano gli eroi della (Foto di Giorgio Lotti) Luna»), il n. 983 del 27 luglio («Armstromg vi parla dalla Luna»), il n. 984 («L’uomo sulla Luna») e il n. 985 del 3 agosto con tutte le foto fatte sul nostro satel- lite. Sul n. 983 vi è l’intervista di Grazzini ad Ungaretti Quella notte col grande Poeta, nella quale il poeta-soldato esprime tutta la sua am- mirazione per la storica impresa e brinda all’allunaggio sollevando una bottiglia di vino, ma nello stesso tempo si domanda: «Come si fa a distinguere nei pensieri e nei sentimenti mentre siamo atterriti dalla potenza del piccolo uomo cresciuto sino a diventare un titano e già pronto a sfi dare l’universo? Che cosa farà l’uomo di questa sua forza ormai smisurata? Sarà capace di usarla per essere più libero, più giusto, più felice?».

Fino a ieri soltanto il poeta poteva, per tutti gli altri, passare questa frontiera sulle ali di Icaro o sulla groppa dell’ippogrifo… Oggi è stato raggiunto l’irraggiungibile, ma la fantasia non si fermerà. La fantasia ha sempre preceduto la storia come una splendente avanguardia. Continuerà a precederla…

Ben presto però il poeta è ripreso dalle sue contraddizioni e dalle sue angosce, sembra temere per la Luna un oscuro pericolo e ne parla come si rimpiange un bene perduto:

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La Luna era un velo, un velo lieve, lieve... Era sopra di noi nelle notti della trincea, era sopra i nostri giovani pensieri, sopra le nostre speranze. Un velo lieve, lieve... E adesso, è diventata una cosa orrenda, mostruosa, compagine di materia…

Ma quando gli astronauti cominciarono a raccogliere i primi campioni del suolo lunare il vecchio poeta tornò a commuoversi:

Uno spettacolo prodigioso, prodigioso… Guardate, guardate questa luce straordinaria. ... In fondo quell’aspetto leggero di velo che mi sembrava perduto c’è ancora: e forse lo sento più profondamente adesso di quanto non l’abbia sentito mai prima. C’è ancora, c’è ancora.

Quella notte la «vergine luna», l’ «in- tatta luna», l’ «eterna giovinetta» del Canto notturno di un pastore errante dell’Asia del Po- eta di Recanati, Giaco- mo Leopardi, la «casta diva» della Norma bel- liniana era stata violata da quel primo passo di Armstrong, dalle centinaia di milioni di Fig. 3 - Anne-Louis Girodet de Roussy-Trioson (1767- passi dei terrestri che 1824), Il sonno di Endimione (1791). assieme agli astronauti Sulla sinistra Zefi ro e la dea Diana rappresentata da un raggio di luna. (Parigi, Museo del Louvre). partecipavano all’im- presa dagli schermi dei televisori. Un gesto che in pochi secondi aveva infranto il mito di Endimione che durava da migliaia di anni. La Luna non poteva perdere la propria verginità ed essere avvicinata da un uomo e quando si innamorò di Endimione, giovane di straordinaria bellezza, per poterlo vedere per sempre gli diede il sonno e la giovinezza eterni:

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…tra le ninfe eterne, ov’ebbe nome Selene dalle bianche braccia quando amava quel pastore giovinetto Endimione che tra le bianche braccia dormiva sempre.

Così cantava D’Annunzio nel Novilunio e così rappresentarono il mito pittori e scultori di ogni epoca: Endimione giace dor- miente nella selva o in un prato mentre viene a debita distanza spiato dalla Luna o accarezzato da un raggio luminoso. E quando il cacciatore Atteone si permise di posare lo sguardo su Diana che Fig. 4 - L’uomo ha violato la Luna. nuda prendeva il bagno, venne trasformato in un cervo e divorato dai propri cani, come canta Ovidio nel terzo Libro delle Metamor- phoseo. Ma quella notte Diana non si negò, non lanciò le sue frecce contro Armstrong e Aldrin e per la prima volta si fece sfi orare dall’uomo. Le impronte lasciate dagli astronauti sul suolo lunare erano il segno tangibile di tale violazione: Quelle «impronte di grossi piedi umani» che per Pier Paolo Pasolini «hanno una direzione: un’andata e una venuta. Prima e dopo c’è il nulla, da ricostruire. Il cuore si sente cadere nel passato, e ciò lo consola».1 Il Premio Nobel Eugenio Mon- tale si domandò sulle colonne del “Corriere della Sera” del 17 luglio 1969, mentre il razzo Saturno si stava dirigendo verso la meta, come avrebbe infl uito sulla poesia l’allunaggio degli astronauti:2

1 Pier Paolo Pasolini, Orme preistoriche, in «Tempo», n. 33 a. XXXI, 16 agosto 1969. 2 Eugenio Montale, Luna e poesia, in «Rapporto sull’era spaziale», supplemento del “Corriere della Sera”, 17 luglio 1969.

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…la luna, la fredda, buia, disabitata luna, il pianeta che forse si distaccò dalla terra quando questa era ancora in uno stato di semi- fl uidità, potrà ancora suggerire ai poeti le immagini della falce, del corno, del velo, dello specchio oscurato; e dalle varie fasi delle lunazioni i pescatori, gli aruspici e i viaggiatori sedentari potranno trarre presagi, auguri e tutto un vasto repertorio di ciò che in altri tempi fu detto «poesia».

Invece Primo Levi su “La Stampa” del 21 luglio espresse un’o- pinione pessimistica sul futuro della poesia:3

Pochi fra noi sapranno rivivere, nel volo di domani, l’impresa di Astolfo, o lo stupore teologico di Dante, quando sentì il suo corpo penetrare la diafana materia lunare, “lucida, spessa, solida e pulita”. È peccato, ma questo nostro non è tempo di poesia : non la sappiamo più creare, non la sappiamo distillare dai favolosi eventi che si svolgono al di sopra del nostro capo.

Un altro poeta, Alfonso Gatto, ospite negli studi romani della RAI in via Teulada della tra- smissione sulla lunga notte della Luna affollata di scienzia- ti, scrittori, registi e attori, sperò di vedere sul Mare della Tran- quillità una barca con a bordo Fig. 5 - Il poeta Alfonso Gatto sua madre e le persone scompar- intervistato da Lello Bersani se alle quali aveva voluto bene, negli studi romani della RAI. cioè Giovanni XXIII, Marylin (RAI Teche). Monroe, il dottor Albert Schwei- tzer e Martin Luther King. Il regista “dell’incomunicabilità” Michelangelo Antonioni, anch’egli presente in quella trasmissione, seduto accanto all’attrice Monica Vitti, rivelò che nel ’63 Kennedy lo aveva invitato alla Casa Bianca per offrirgli di girare un fi lm sulla missione Apollo, ma il progetto non aveva avuto seguito. Per diversi autori il viaggio dell’Apollo ha tolto alla Luna ogni

3 Primo Levi, La luna e noi, ne “La Stampa”, 21 luglio 1969.

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suggestione poetica, trasformandola in un oggetto terrestre, quasi in un’appendice del nostro pianeta «un sobborgo, che per arrivarci basta allungare la mano».4 Anche per il giornalista e scrittore Virgilio Lilli «la Luna non c’è più». In un elzeviro sul “Corriere della sera” del 23 luglio 1969, quando gli astronauti stanno rientrando sulla Terra, dal titolo Teleluna, la Luna è «vestita con una tuta che costa duecento- cinquanta milioni di lire, con un serbato- Fig. 6 – La faccia butterata della Luna. io di ossigeno sulle spalle» In effetti quasi un miliardo di spetta- tori era rimasto incollato ai televisori per assistere alla “conquista” della Luna. In Gran Bretagna la copertura televisiva della missione fu assicurata, anche a colori, dai tre canali BBC1 , BBC2 e ITV e durò dal 16 al 24 luglio, compresa la lunga notte fra il 20 e il 21 luglio. La BBC accompagnò i suoi servizi dedicati all’allunaggio con la canzone Space Oddity della rockstar David Bowie, una delle più celebri can- zoni “spaziali”, ispirata probabilmente Fig. 7 - ll cantante rock David al fi lm di Stanley Kubrick Odissea nello Bowie. spazio:5

Ground Control to Major Tom Ground Control to Major Tom Take your protein pills and put your helmet on.

Ground Control to Major Tom Commencing countdown, engines on Check ignition and may God’s love be with you.

4 Dino Buzzati, Lunario, in “Corriere della Sera”, 20 luglio 1969. 5 Nel febbraio del 1970 venne pubblicata la versione italiana della canzone intitolata Ragazzo solo, ragazza sola, con un testo di Mogol in realtà non attinente a quello originale

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L’interesse dei musicisti per il nostro satellite non cominciò certo con l’Apollo 11, basta ricordare Fly Me To The Moon (1954) di Bart Howard immortalata da Frank Sinatra (1964). Fu la prima canzone suonata sulla Luna con un lettore di cassette portatile dall’astronauta Buzz Aldrin. In quelle trasmissioni spaziali la BBC mandò in onda in diretta anche una jam dei Pink Floyd, Moonhead, un’improvvisazio- ne live dei quattro membri della band. Ricorderà David Gilmour in un’intervista a “The Guardian”: «It was fantastic to be thinking that we were in there making up a piece of music, while the were standing on the moon. It doesn’t seem conceivable that that would happen on the BBC nowadays». Rimanendo ancora nel tema delle canzoni ispirate dallo sbarco sul suolo lunare, al Gruppo folk rock statunitense The Byrds si deve il brano Armstrong, Aldrin and Collins, quattro righe di testo e poco più di un minuto e mezzo di musica, inserito nell’album Ballad of Easy Ryder, colonna sonora del fi lm Easy Ryder (1969) di Dennis Hopper:

Armstrong, Aldrin and Collins were launched away in space Millions of hearts were lifted, proud of the human race Space control at Houston, radio command The team below that gave the go they had God’s helping hand

Le canzoni dedicate alla missione Apollo 11 si sono susseguite nel tempo, soprattutto per opera di artisti folk e country, e non è ov- viamente possibile enumerarle tutte. Si ricorda, a titolo d’esempio, For Michael Collins, Jeffrey and Me (1970) del Gruppo rock Jethro Tull dedicata all’astronauta rimasto sul modulo di comando mentre Ar- mstrong e Aldrin passeggiavano sulla Luna:

It’s on my mind I’m left behind When I should have been there. Walking with you.

E ancora: Armstrong, dell’australiano Reg Lindsay, Where Was I, di Jerry Jeff Walker, The Space Race is Over di Billy Bragg… canzoni nelle quali gli astronauti sono visti come moderni cow boy partiti all’attacco della Luna. Il primo sbarco sulla superfi cie del nostro satellite ha infatti con-

80 Luigi Balis Crema, Antonio Castellani Cinquant’anni dopo : ritorno sulla Luna ______tinuato a stimolare gli artisti anche oltre gli anni Novanta del secolo passato. La musica elettronica si impadronirà dell’ ”immaginario astronomico”, The Adventures Beyond the Ultraworld degli Orb sarà pieno di dialoghi dell’Apollo 11, gli esponenti della dance elettronica si chiameranno Cosmic Baby, Vapourspace… Ma anche il cantastorie catanese Ciccio Busacca, uno dei più ispi- rati “trovatori” siciliani, che girava l’Isola con la sua chitarra su una “Fiat 600 Multipla” andrà sulla Luna, ma non bardato da astronauta, ma da povero emigrante con le valige di cartone in cerca di fortuna:

Vi saluto cari amici partu ‘n cerca di fortuna aju pronti li valigi mi ‘nni vaju ‘nta la luna

‘Nta la luna ,’nta la luna ‘nta la luna si travagghia nun c’è nuddu ca varagghia li dinari fazzu ‘ddà

‘Ddà ci portu tutti i canti di la bedda terra mia ca sù tutti puisia e li fassu pazzià Fig. 8 - Alan Bean, Apollo 11, The ‘Nta la Luna, ‘ntà la Luna Beginning of the Beginning (1970). nun c’è nuddu ca cumanna nun ci sunu ‘sti latruna nun esisti la cunnanna

Nun ci sunu ‘sti rignanti nun ci sunu ‘sti ministri nun c’è carta nè registri tutti uguali semu ‘ddà

Semu ‘ddà tutti patruna pirchì è libera la terra nun c’è nuddu ca fa guerra c’è la vera libirtà c’è la vera libirtà c’è la vera libirtà.

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Neil Armstrong e Buzz Aldrin saranno ritratti da Alan Bean, il quarto astronauta ad aver passeggiato sulla Luna con la missione del no- vembre 1969, divenuto pittore specializzato in dipinti lunari. Nel quarantennale dell’allunag- gio il pittore astrattista sardo Fabrizio Sanna, in arte GOA, Fig. 9 - GOA, La storia siamo noi, Dipin- omaggerà il pittore Mario Schi- to su stampa digitale schermo Sony 22”. fano, esponente della Pop Art e creatore di dipinti fondati sullo schermo televisivo, con un quadro dedicato allo sbarco sulla Luna realizzato con la tecnica digitale su un monitor. Dino Buzzati, un autore particolar- mente sensibile al problema del rappor- to fra scienza e poesia, fu un prolifi co collaboratore del “Corriere della Sera” anche con articoli di argomento spazia- le.6 L’11 ottobre 1958 dalla base di Cape Canaveral un razzo a tre stadi Thor-Able cercò di inserire nell’orbita lunare una sonda Pioneer. Siamo agli albori di quella che veniva chiamata “era lunare”, dopo un analogo tentativo fallito nell’agosto precedente, ma anche questa volta la sonda, pur essendosi liberata della gra- vità terrestre, non riuscì a raggiungere la Fig. 10 - La sonda “Pioneer 3” nel 1958 non arrivò sulla luna. luna. Buzzati il 17 ottobre 1958 commentò l’impresa col titolo «Se si scoprisse che la

6 Rosanna Maggiore, Dialogo tra Buzzati, Leopardi e la luna. Strategie ironiche ed eloquenti in alcuni articoli di argomento lunare in «Studi buzzatiani», Rivista del Centro Studi Buzzati, Pisa – Roma, Fabrizio Serra Editore, anno XIX, 2014, pp. 31-51.

82 Luigi Balis Crema, Antonio Castellani Cinquant’anni dopo : ritorno sulla Luna ______luna è molto più lonta- na del previsto» e un sottotitolo «Per una di quelle reazioni senti- mentali che non è facile decifrare, a molta gente il fallimento del razzo “Pioneer” non ha fatto dispiacere». E nell’arti- colo spiegava che la sua Fig. 11 - Michael Collins, Neil esultanza era dovuta Armstrong e Buzz Aldrin. non allo scampato peri- colo della profanazione della dea Luna, ma all’aspettativa che il ragguardevole e inopportuno impegno fi nanziario destinato alle esplorazioni spaziali avrebbe più profi cuamente essere indirizzato alla costruzione di strade, dighe, scuole… Un’illusione, che potrebbe avverarsi

…se, durante i tentativi, si constatasse che il conto degli astronomi non torna e che i loro calcoli sono completamente sbagliati; se la Luna, anziché a 380.000 chilometri, risultasse di gran lunga più lontana, mettiamo a trecento milioni di chilometri e si dovesse ricominciare tutto da capo. Ma come sperarlo? Gli astronomi la sanno troppo lunga, purtroppo.

Anche Pier Paolo Pasolini, come al solito provocatorio se non aggressivo, pur riconoscendo che «l’uomo che raggiunge la luna e ci cammina sopra è indubbiamente un grande fatto storico» e che «è ingiusto che la partita Milan-Manchester susciti un maggiore interesse reale che la conquista della luna» («(Ma in Tanzania, per esempio, Paese tipico del Terzo Mondo, i giornali dedicano alle im- prese spaziali poche righe, mentre mettono in prima pagina, a grossi caratteri, le notizie che riguardano la loro vita nazionale così acerba e particolaristica»)), si dichiarò infastidito da quella operazione. Lo scrittore teneva sul periodico « Tempo» una rubrica che aveva come oggetto diversi temi: dalla politica, alla cultura, al costume. ma anche recensioni, risposte ai lettori e appunti di viaggio. Egli commentò l’evento lunare sul n. 32 del 9 agosto 1969, dove specifi cò le ragioni

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che lo tenevano lontano da quell’impresa:7

Mi infastidisce, tanto per cominciare, il nome “Apollo”, ridicolo e retorico residuo umanistico - pesantemente ipocrita - a fare da “segno” a un oggetto prodotto dalla più avanzata civiltà tecnologica; provo una strana antipatia per i tre astronauti, tipi di uomini medi e perfetti, esempio di come si deve essere, inestetici ma funzionali, privi di fantasia e passione, ma spietatamente pratici e obbedienti assolutamente privi di ogni capacità critica e autocritica, veri uomini del potere; sento una sgradevole repulsione per il background piccolo-borghese di questi tre uomini, quei fi glietti biondi, così carini e già così contrassegnati dal loro futuro completamente condizionato, quelle tre mogli che giocano con tanto spudorato candore il ruolo che viene loro richiesto: Penelopi, sì, Penelopi fedeli e un po’ brusche, che sanno ridurre tutto, al momento opportuno, al caffè e alle tartine da offrire (con in cuore la qualunquistica e rassicurante speranza che il loro uomo ritorni e smetta di fare l’eroe) alle vicine di casa; detesto poi tutta l’uffi cialità americana che c’è intorno all’impresa, con in testa quell’Agnew...8 Sono, tutte queste, idiosincrasie mie, di intellettuale eternamente scontento, viziato da un buon gusto che non ha più senso, amareggiato delle sue illusioni politiche irrealizzate? 9[…] Ciò che rende resistenti ad amare l’impresa lunare è che essa è una impresa del Potere. E non intendo solo dire del Potere capitalistico, ma anche del Potere sovietico. Le imprese spettacolari del Potere tendono a ridurci a uno stato infantile. Il Potere compie (fi nanziandole) le più grandi imprese, e noi tutti lì a bocca aperta ad ammirare […]

Il sospiro di sollievo col quale Buzzati accolse la notizia che la sonda Pioneer non era riuscita a infi larsi nell’orbita lunare non po- teva che durare poco, l’impresa era solamente ritardata. Rifacen- do il verso a Leopardi, Buzzati lanciò un avvertimento alla Luna:10 «tu non sai niente, tu navighi attraverso i neri spazi con la tua solita

7 Gli scritti di Pasolini pubblicati su «Tempo» dall’agosto del 1968 al gennaio del 1970 sono stati raccolti nel volume Il Caos, Roma, Editori Riuniti. 8 Spiro Agnew, Vice Presidente degli StatiUniti sotto la presidenza Nixon. 9 Sugli astronauti e sulle imprese spaziali Pasolini aveva scritto un altro articolo polemico sul n. 5 del 10 febbraio 1969 intitolato La Luna “consumata”. 10 Dino Buzzati, Se si scoprisse che la luna è molto più lontana del previsto, in “Corriere della Sera”, 17 ottobre 1958.

84 Luigi Balis Crema, Antonio Castellani Cinquant’anni dopo : ritorno sulla Luna ______immobile faccia piuttosto butterata, tu fi ssi enigmaticamente i pa- stori erranti nell’Asia, ti compiaci ancora di simili ridicoli giochetti e noi intanto ti stiamo preparando uno scherzo, ma uno di quegli scherzi». Quando gli astronauti sono a un passo dalla superfi cie del nostro satellite, il 17 luglio 1969, Buzzati immaginerà sul citato supplemento del “Corriere della sera” un dialogo tra una coppia che guarda la Luna, lui dalla televisione, smanioso nell’attesa che l’uomo stia per mettervi piede, lei al balcone a sperare che l’astro degli innamorati se ne vada. Il titolo dell’articolo è Non deluderci, Luna:

– No. L’ultima speranza, vuoi saperlo?, è che tra poco, questione di minuti, la Luna se ne vada. Che, avvicinandosi gli esploratori, i pionieri, gli ulissidi, gli eroi, improvvisamente tu, solinga, eterna peregrina, ti stacchi dall’orbita antichissima, tolga gli ormeggi e ti allontani, beata, via per gli spazi del cosmo. Vederti rimpicciolire a poco a poco, restringerti, giù per le profondità sconfi nate, in silenzio, diventare una palla, una pallina, un lume, un lumicino, un punto di luce, e poi più niente. Fig. 12 - Magritte, Il vestito – Ma non pensi che formidabile di notte. scandalo sarebbe, che colpo di scena, che rivoluzione? Per un poco i tre campioni dell’Apollo 11 si metterebbero a inseguirla, in groppa alla forza gravitazionale eccetera, poi da Capo Kennedy dovrebbero dargli l’ordine di rientro. Dietro front, senza nulla di fatto. E lei, la Luna... addio per sempre. – Coraggio, vecchia Luna, fatti coraggio. è l’ultima occasione. Non c’è un istante da perdere. Muoviti, ribellati, fuggi, non importa se fi nirai nella fornace di una stella, se ti scotterai un poco, sacrifi cati per noi che ti abbiamo voluto così bene, che ti abbiamo dedicato tante poesie, tante canzoni. — Non si è mossa, ahimè. Sta sempre lì, al suo solito posto. Povera disgraziata Luna, ebete, senza amor proprio, senza fantasia. E gli uomini non ci troveranno niente. Constateranno che non è fatta

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neppure di formaggio, come ci dicevano da bambini, di emmenthal, coi buchi. Pietre morte e basta. Neanche un moscerino. Non un segno di vita, una traccia di remota civiltà, uno spillo, un fi ammifero spento, un microbo fossile, un biglietto del tram. Niente di niente.

Nel citato articolo Lunario del 20 luglio 1969 Buzzati prevede con tagliente ironia i luoghi comuni con i quali sarà presentato il viaggio spaziale quando diverrà un fatto di cronaca quotidiana:

In orbita il grande Terminal Interplanetario – Perfi no un supermarket e una piscina ad acqua ionizzata. Sciopero ad oltranza delle linee aerospaziali. Drammatico week-end nel cielo – Tamponamenti a catena sulla rotta lunare n. 3 – La curiosa avventura di una giovane coppia in viaggio di nozze – Si invoca un più severo regolamento. Di nuovo in crisi i cosmodromi per l’esodo natalizio. Salvare il paesaggio selenitico: una benemerita crociata di Luna Nostra.

Ma il 22 luglio, quando la missione lunare è ormai compiuta, Buzzati commenterà l’evento nella prima pagina del “Corriere della Sera” col titolo Il momento sublime. Agli inizi del secolo scorso l’attore Carlo Gravina, che poi farà fortuna a Hollywood, riscuoteva grande successo con la strofetta dell’operetta Dalla terra alla luna di Offenbach (Le Voyage dans la lune, 1875):

Andremo un bel dì nella luna, là nella lu – u – na! Che cosa faremo lassù, là sulla lu – u – u – u – na!

Il pubblico andava in visibilio per quel prolungato “u” e tutto il teatro in coro lanciava un ululato “uuu…”, stridente come la sirena di mezzogiorno.11 Il pubblico di oggi è più smaliziato e lo scrittore partenopeo Domenico Rea si divertì a intervistare i suoi concittadini

11 Dino Falconi – Angelo Frattini, Guida alla rivista e all’operetta, Milano, Accademia, 1953, p. 46

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qualche giorno prima del lancio.12 Alla domanda: «Che ve ne sembra degli uomini che sbarcano sulla Luna?» un giornalaio rispose: «Dot- to’, voglio sperare che il giorno 20 si vendano più giornali di domenica scorsa perché domenica scorsa è sta- to un disastro».13 Male anche dal ta- baccaio: «Professo’, ma come, ancora ci debbono arrivare? E l’altra volta che cos’hanno fatto? Io ero convinto che già stavano sulla Luna». Non parliamo del barista: «Io per me non ci andrei nemmeno morto. No, per questa semplice ragione, che se uno cade, da come ho capito, tanto può fi nire sulla Luna, tanto sulla Terra, e tanto su un altro pianeta. Non è Fig. 13 - Locandina dell’operetta che uno cade sulla Terra e si trova il “Le Voyage dans la lune”. cadavere. Il cadavere è cadavere, e va rispettato». E così di questo passo, dalla casalinga («Non si scriveranno più canzoni sulla Luna») a un uffi ciale («Ho solo il timore e il terrore che dalla Luna, che si trova, per quanto si riesce a vedere, alta, si possa bombardare comodamente la Terra») a un venditore di macchinette accendisigari («Signò, la Luna è bella, è una sfi nge, è una donna, e sarà certamente più pulita di Napoli. Io sono pronta a sposarla »)… Poi ci sono gli scettici, come Don Ciccio il lustrascarpe che proclama: «Avvocà, debbo esservi sincero? Ebbene, a nome dell’amicizia che ci lega, io, mia moglie e

12 Domenico Rea, Io lassù ? Nemmeno morto, in “Corriere d’informazione”, 16 luglio 1969. 13 Il 5 luglio si era aperta la crisi del Governo di centro-sinistra presieduto dal democristia- no Mariano Rumor a seguito della scissione del Partito Socialista Unitaria. Dopo giorni di incertezze e diffi coltà, la domenica 13 luglio l’incarico per un nuovo Governo monocolore democristiano venne riaffi dato dal Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat allo stesso Rumor, per cui l’edicolante ritenendo che i cittadini napoletani, prima di andare al mare, si rifornissero di giornali per conoscere le sorti politiche del Paese, si era fatto lasciare il doppio delle copie di cui normalmente disponeva. Ma, a quanto pare, il risultato fu un fl op.

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i miei fi gli non ci credia- mo. Parliamoci chiaro, è tutto un trucco». Ma lo stesso Rea- anche lui partecipante alla maratona televisiva dagli studi di Napoli - non rimase affascinato dall’impresa lunare e dichiarò al quotidiano Fig. 14 - Cape Kennedy: da qui l’ uomo andò napoletano “Il Mattino” sulla Luna. del 21 luglio 1969 di non riuscire a vedere in Arm- strong, Aldrin e Collins degli scopritori, giacché essi erano più o meno telecomandati. Sullo stesso quotidiano partenopeo uscito in edizione straordinaria c’è questa dichiarazione di Pelè, il più famoso calciatore brasiliano: « Ho giocato nei cinque continenti e il solo stadio che manchi nella mia carriera è la Luna». Diversi intellettuali non si unirono al coro degli entusiasti e fra questi il delicato scrittore e umorista Giovanni Mosca che il 7 maggio 1966 aveva pubblicato sul “Corriere della Sera” un elzeviro intito- lato Capo Recanati, un piacevole racconto nel quale “Mr. Giacomo Leopardi, amico della Luna” è ricevuto a Cape Kennedy dove si sta preparando lo sbarco sul satellite. Durante la visita agli impianti il poeta chiede:

Non può essere, come io temo, che non si miri alla Luna per il naturale desiderio dell’uomo d’esplorar l’infi nito, ma per motivi di prestigio nazionale ? E che la luna sia solo un falso scopo, il vero consistendo nella postazione di piattaforme spaziali dalle quali si possa con l’atomica minacciare ogni parte della Terra ?

Per il poeta trevigiano Andrea Zanzotto, che ha nella luna uno dei temi dominanti della sua poetica – si veda in particolare il po- emetto Gli sguardi, i fatti e senhal, scritto subito dopo lo sbarco sulla luna - questo evento rappresenta un segno di violenza alla dea Diana

88 Luigi Balis Crema, Antonio Castellani Cinquant’anni dopo : ritorno sulla Luna ______e una manifestazione di arroganza delle due su- perpotenze nella lotta di prestigio per esprimere la propria forza distrut- tiva. Per il poeta di Pieve di Soligo l’avvenimento non è un fatto storico ma un episodio banale.14 Il fi losofo Nicola Ab- Fig. 15 - Una cintura di pannelli solari avvolgerebbe bagnano contestò su “La la superfi cie lunare. Stampa” del 20 luglio 1969 in un articolo dal titolo A fondo nel futuro l’euforia con la quale il primo allunaggio umano era stato accolto come la più alta volontà dell’uomo di supe- rare i propri limiti materiali. Un entusiasmo certamente giustifi cato dall’«amore per l’avven- tura, l’ammirazione per il coraggio, l’intelligenza e i organizzazione», tut- tavia «la ridda delle spe- culazioni sulle possibi- lità che la prima discesa sulla Luna sta per aprire all’uomo è diventata fre- netica» senza prendere in esame i limiti o gli ostacoli che tali possibi- lità possono incontrare. Margherita Hack, allora direttore dell’Os- Fig. 16 - LA PRIMA POESIA - Che fai tu, Terra, in ciel? servatorio astronomico Dimmi, che fai, Silenziosa Terra? triestino, su “Il Giorno (Clericetti, «Epoca» n. 983). del lunedì” del 21 luglio

14 Andrea Zanzotto, Poesie e prose scelte. Milano, Mondadori.

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1969 propose di attrezzare la Luna come una centrale elettrica rico- prendone il suolo con semiconduttori o pile solari. Una proposta anche oggi di grande attualità presso la NASA e altre nazioni spaziali. Nel commentare la missione l’astrofi sica fu dell’avviso che, al di là dell’indubbio valore umano degli astronauti, dal punto di vista della scienza si sarebbero ottenuti risultati analoghi con un robot. Fra tante voci, talune esageratamente elogiative, altre eccessiva- mente critiche, eccelle la delicata poetica di Gianni Rodari, uno dei più garbati scrittori per l’infanzia del ‘900, autore di quel piccolo gio- iello che è La Luna al guinzaglio. Il nostro satellite fu uno dei soggetti principali delle fi lastrocche e delle poesie di Rodari, come in Sospiri:

Volerei sulla Luna in cerca di fortuna… E voi ci verreste? Sarebbe carino, dondolarsi sulla falce facendo uno spuntino!

Alla domanda di un bambino «Perché gli scienziati vogliono an- dare sulla luna?» così rispose: « Per vedere com’è fatta. Per vedere le stelle da vicino. Per vedere la Terra, che di lassù sembrerà una luna azzurrina. E diranno così: Di qui si vede fi nalmente quanto piccola è la Terra: non c’è posto per fare la guerra, statevi in pace, gente con gente».15 Per Rodari i bambini di oggi sono gli astronauti di domani che voleranno sui pianeti, come recitano questi versi di Arrivederci sulla luna, ultima poesia della raccolta Il pianeta degli alberi di Natale:

Andranno sui pianeti e faranno “cucù” a noi poveri terrestri rimasti quaggiù.

Ma chi mandare sulla Luna? Rodari ce lo spiega in questa famo- sissima poesia Sulla luna:

Sulla luna, per piacere,

15 Nella raccolta delle risposte apparse sulle rubriche settimanali Il Libro dei perché (ago- sto 1955 - ottobre 1956) e La posta dei perché (maggio 1957 - giugno 1958) del quotidiano ”L’Unità” pubblicata dagli Editori Riuniti nel volume postumo del 1984 Il Libro dei perché.

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non mandate un generale: ne farebbe una caserma con la tromba e il caporale. Non mandateci un banchiere sul satellite d’argento, o lo mette in cassaforte per mostrarlo a pagamento. Non mandateci un ministro col suo seguito di uscieri: empirebbe di scartoffi e i lunatici crateri. Ha da essere un poeta sulla Luna ad allunare: con la testa nella luna lui da un pezzo ci sa stare… A sognar i più bei sogni è da un pezzo abituato: sa sperare l’impossibile anche quando è disperato. Or che i sogni e le speranze si fan veri come fi ori, sulla luna e sulla terra fate largo ai sognatori!

Termina qui questa rassegna dei commenti e delle azioni fatti per così dire “a caldo” da uomini di cultura, artisti, musicisti al verifi carsi del grande evento. Ma questo è il passato, forse ormai dimenticato. Ci possiamo domandare cosa è rimasto oggi di quei pensieri dopo cinquant’anni dall’allunaggio e quanto, se pure vi è stato, abbia in- ciso sulla nostra vita sociale. Ma soprattutto ci chiediamo se per la Luna, che da allora è rimasta inerte a illuminare le notti sulla Terra, ci sarà un futuro o il nostro Fig. 17 - Gianni Rodari satellite rimarrà impassibile fi no alla Sulla luna. fi ne dei mondi.

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È quanto si cercherà di rispondere nei successivi paragrafi .

2. Domande poste dai programmi di ritorno sulla Luna

Dopo i primi 50 anni di un apparente scarso interesse verso lo sviluppo di missioni con equipaggio sulla Luna in questi ultimi tempi si moltiplicano invece le proposte e i programmi concreti, alcuni già in corso di fi nanziamento, per un ritorno di equipaggi umani sulla Luna. Si prevede per la prima volta lo sbarco di una donna sulla Luna, poi il ritorno di uomini e poi ancora la costruzione di basi permanenti. Successivamente vedremo in estrema sintesi un panorama di

Fig. 18 - , , Jeanette Epps, Nicole Mann, Tracy Caldwello Dyson… Chi andrà per prima sulla Luna? questi programmi ma per ora affrontiamo una domanda di base: perché un ritorno umano sulla Luna e proprio nei prossimi anni ? Infatti è evidente che le condizioni particolari, dovute anche alla ricerca di prestigio e supremazia degli anni ’60, che hanno spinto al progetto che ha portato 50 anni fa allo sbarco degli uomini sulla Luna non esistono più. Il ritorno sulla Luna, anche in una forma complessa che porti a stabilire delle basi sulla Luna con una presenza continua di equipag- gi, avrà un ritorno di immagine ed anche di prestigio molto limitato senza un possibile confronto con quanto accaduto 50 anni fa. In realtà molti progetti sembrano puntare su di un obiettivo molto più ambizioso: facilitare con la presenza di basi lunari e con l’esperienza acquisita nelle missioni lunari la spedizione con equi- paggio su Marte. Vedremo in dettaglio questo aspetto relativo ai progetti di spe-

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Fig. 19 - Sia avvia la colonizzazione di Marte.

dizioni con equipaggio su Marte, anche in questo caso si pongono altre domande, la più immediata è certamente perché andare su Marte con un equipaggio e non con attrezzature automatiche che consentono sempre di più di ottenere risultati importanti con costi di molto inferiori per non parlare dei rischi gravi inerenti alla presenza dell’equipaggio ? La durata del viaggio Terra-Marte-Terra è tale (dell’ordine di 3 anni) da rendere il viaggio molto diffi cile dal punto di vista organizzativo e tecnologico, ma, più ancora, da rendere il viaggio molto pesante per gli esseri umani che vengono sottoposti ad uno stress enorme dal punto di vista fi sico e psicologico a partire da una evidente sensazione di solitudine ed abbandono che può risultare diffi cilmente controllabile. Come esempio si consideri che il Programma di Ricerca Uma- na, HRP, della NASA fi nanzia ricerche per valutare le misure che possono prevenire o ridurre gli effetti della Sindrome Neurooculare Associata al Volo spaziale, SANS, una alterazione che può ridurre gravemente la visione degli astronauti. Si tratta di uno dei molti possibili rischi che la NASA considera importanti per le missioni che vanno oltre all’orbita bassa intorno alla Terra e che si dovranno affrontare nell’ambito del programma Artemis. Si nota che anche nel caso di riuscire a realizzare una spedizione umana su Marte con esito positivo non si può pensare di ottenere un ritorno di prestigio ed un effetto di supremazia paragonabile a quello di 50 anni fa per lo sbarco sulla Luna. Anche i tempi lunghi richiesti dalla missione su Marte presumi- bilmente ridurranno gli effetti mediatici di questo programma che

93 ArteScienza, anno VI, dicembre 2019, N.12, ISSN 2385-1961 ______si concentreranno sulle quattro fasi: partenza dalla Terra, partenza dalla Luna, atterraggio su Marte, ritorno sulla Terra: queste fasi sono però distanziate nel tempo complessivamente di circa tre anni. Un tempo probabilmente talmente lungo, specialmente nel caso di suc- cesso della missione, da far apparire la missione, in modo del tutto ingiustifi cato, come una normale routine.

3. La spedizione verso la Luna e il programma Artemis della NASA

Il titolo del programma Artemis è Explore Moon to Mars accom- pagnato da una breve descrizione del programma:

Con Artemis la NASA guiderà un programma innovativo concretamente sostenibile di esplorazione, insieme con diversi partner commerciali ed internazionali, in modo da sviluppare l’espansione umana nel sistema solare e di riportare sulla Terra nuove conoscenze e nuove opportunità. . Questa dichiarazione è molto am- biziosa, ma stabilisce con chiarezza che il motivo principale del ritorno sulla Luna (almeno dal punto di vista della NASA) è legato alla possibilità di usare le basi lunari e l’esperienza acquisita dalle missioni lunari per l’esplorazione del sistema solare a partire dalla esplo- razione di Marte. La presenza umana sulle basi lunari dovrebbe anche permettere lo sviluppo da parte di compagnie private di una vera e propria economia lunare. Più in generale l’apertura dell’e- splorazione dello spazio a compagnie

Fig. 20 - Lo Space Launch private, già in corso con le missioni System. suborbitali e verso la Stazione Spaziale

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Internazionale, ISS, consente di prevedere un ulteriore sviluppo della economia spaziale. Il programma prevede di portare entro il 2024 la prima donna , ed il prossimo uomo, sulla Luna. Il programma conta di utilizzare tutte le esperienze e le conoscenze apprese con la permanenza sulla Luna ed in orbita intorno alla Luna per contribuire al nuovo obiet- tivo di portare degli astronauti su Marte. In sintesi gli obiettivi del programma Artemis sono:

1. mettere a punto nuove tecnologie e nuove possibilità economiche per le esplorazioni future; 2. confermare la leadership degli Stati Uniti con una pre- senza strategica sulla Luna; 3. sviluppare le partnership commerciali ed internazio- nali; 4. sviluppare l’interesse e le possibilità di impiego nel settore tecnologico e scientifi co STEM (Science, Tech- nology, Engineering and Mathematics).

Il nuovo vettore SLS () porterà gli astronauti a bordo della navicella spaziale in orbita lunare; gli astronauti eseguiranno il collegamento di Orion con il modulo lunare Gateway dove essi vivranno e lavoreranno in orbita lunare. L’equipaggio si sposterà dal modulo Gateway alla superfi cie lunare a bordo di un nuovo sistema per l’atterraggio sulla Luna prima di ritornare sul

Fig. 21- La navicella spaziale Orion.

95 ArteScienza, anno VI, dicembre 2019, N.12, ISSN 2385-1961 ______modulo Gateway infi ne il collegamento con Orion permetterà il ri- torno sulla Terra. Come si vede la schema è concettualmente analogo a quello della missione di 50 anni fa dove i protagonisti erano rispettivamente il vettore Saturno V, la navicella spaziale Apollo ed il modulo lunare ma naturalmente gli sviluppi tecnologici degli ultimi 50 anni rendono questa analogia più formale che sostanziale. Sono previste due missioni intorno alla Luna per provare i si- stemi di esplorazione spaziale: la missione , prevista per il 2020, sarà un volo senza equipaggio per provare il vettore SLS e la navicella spaziale Orion mentre la missione , prevista per il 2022, sarà un volo analogo ma con equipaggio e sempre in questo anno è prevista la missione del primo elemento del modulo Gateway. Nel 2023 si avrà la prova del secondo elemento del modulo Gateway. Infi ne la missione Artemis 3, prevista per il 2024, porterà gli astro- nauti sulla Luna. A seguire per il 2025 è prevista la missione Artemis 4, nel 2026 la missione Artemis 5, nel 2027 la missione Artemis 6, nel 2028 la missione Artemis 7 e infi ne dal 2028 è prevista una presenza umana costante sulla Luna. Come prospettiva più lontana, ma non troppo, negli anni 2030 si possono eseguire le prime missioni con astronauti su Marte. La spedizione lunare dà la possibilità di collaudare strumenti ed equipaggiamenti che possono essere impiegati per spedizioni su Marte compresi gli habitat umani ed i sistemi di sopravvivenza. Così il fatto di vivere sul modulo Gateway per dei mesi consentirà

Fig.22 - La piattaforma lunare Gateway della .

96 Luigi Balis Crema, Antonio Castellani Cinquant’anni dopo : ritorno sulla Luna ______anche di valutare come si comporta il corpo umano in un ambiente spaziale prima di iniziare un viaggio di alcuni anni su Marte. Naturalmente questa esperienza si aggiungerà a quella acquisita in 60 anni di esplorazioni spaziali compresi i 18 anni di presenza umana a bordo della Stazione Spaziale Internazionale. Più in generale gli obiettivi da raggiungere con le nuove missioni lunari sono:

1. trovare ed utilizzare l’acqua ed eventuali altre risorse necessarie per esplorazioni spaziali di lunga durata; 2. studiare dalla prospettiva lunare la Terra, il sistema solare ed il cosmo; 3. studiare come vivere e lavorare sulla superfi cie della Luna in un ambiente decisamente ostile ma dove gli astronauti si trovano, soltanto ,a 3 giorni di distanza dalla Terra; 4. convalidare le tecnologie successivamente messe a punto per poter spedire gli astronauti in missione su Marte per un viaggio che può richiedere 3 anni.

Si osserva che le missioni in orbita terrestre bassa, come quelle sulla Stazione Spaziale Internazionale, hanno una distanza di rife- rimento di 400 km dalla Terra, le missioni lunari una distanza di 400.000 km e le missioni su Marte una distanza di 400 milioni di km. In altre parole, dal punto di vista della distanza, c’è un fattore 1000 tra la missione lunare e quella in orbita bassa terrestre ed ancora un fattore 1000 tra la missione su Marte e quella sulla Luna.

Fig. 23 - Il logo del programma Artemis

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4. I programmi spaziali per l’esplorazione lunare di altri paesi

Il ruolo degli altri paesi nei programmi di esplorazione spa- ziale ed esplorazione lunare si preannuncia importante a partire dai programmi di Cina, India, Russia e Giappone. A questi paesi si aggiungono i programmi della Agenzia Spaziale Europea, ESA, e di altri paesi che hanno programmi autonomi o di collaborazione con la NASA. Per quanto riguarda la Cina si può senz’altro parlare di pro- grammi che hanno come obiettivo l’invio di astronauti sulla Luna e la costruzione di basi lunari. Intanto all’inizio del 2019 la agenzia spaziale cinese, China National Space Administration, ha annunciato l’atterraggio della sonda Change 4 sulla superfi cie della faccia nascosta della Luna. Così la Cina è diventata la prima nazione ad effettuare un atterraggio sul lato nascosto della Luna: è importante anche il punto di discesa che è stato scelto, la parte meridionale del cratere di Von Karman all’interno del Polo Sud-Aitken, una regione dove si è individuata la presenza di ghiaccio in superfi cie. Un luogo che si può considerare come adatto per la costruzione di una base lunare. Con questa missione la Cina, che è anche il terzo paese ad aver

Fig. 24 - La sonda cinese Chang’e 4.

98 Luigi Balis Crema, Antonio Castellani Cinquant’anni dopo : ritorno sulla Luna ______inviato nello spazio degli astro- nauti, che ha effettuato atter- raggi sulla Luna ed ha messo in orbita delle stazioni spaziali si candida ad assumere una posi- zione importante per il ritorno sulla Luna e per la costruzione di vere e proprie basi lunari. La prossima missione au- tomatica cinese verso la Luna, la CE-5 ha come obiettivo Fig- 25 - Il rover lunare della Toyota. principale il prelievo di cam- pioni lunari ed il trasporto dei campioni verso la Terra. Tra il 2020 ed il 2030 sono previste le missioni CE-6, CE-7, CE-8 con l’obiettivo, sempre con missioni automatiche di esplorare ed impostare delle costruzioni sulla Luna. Dal 2030 in poi sono previste delle missioni di esplorazione lunare, sia automatiche che con equipaggio per la costruzione di una base lunare. Nell’ambito dei programmi di esplorazione lunare del Giappone sembra interessante confrontare due programmi di rover lunari. Il lander della missione -R che sarà alla base del primo tentativo privato di esplorazione della Luna è il più piccolo rover lunare mai progettato, previsto per l’impiego dal 2021. Un accordo triennale tra l’agenzia spaziale governativa JAXA, Japan Aerospace eXplora- tion Agency, e la Toyota prevede un periodo di ricerca 2019-2021 con l’obiettivo di realizzare un rover lunare di grandi dimensioni, pressurizzato ed alimentato ad idrogeno che permetta di esplorare la superfi cie lunare ed anche con l’idea di sviluppare una versione del rover per l’esplorazione di Marte. Secondo il programma il rover potrebbe essere pronto per il 2029 per l’esplorazione delle regioni polari e la ricerca di acqua ghiacciata. Naturalmente anche la Russia è impegnata nell’esplorazione lu- nare ed il programma 2016-2025 prevede di porre le basi per svolgere ricerche ad ampio raggio sulla Luna dopo il 2025 e di arrivare allo sbarco del primo astronauta sulla Luna entro il 2030. Entro il 2028 è prevista la costruzione di un nuovo vettore con le capacità di carico

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Fig. 26 – Il robot cosmonauta russo Fyodor.

necessarie per costruire una base lunare orbitante. Sono previste di- verse missioni, dalla Luna-25 alla Luna-29 e nella missione Luna-29 verrà utilizzato un rover lunare. Nel periodo 2031-2035 sono previste altre missioni automatiche per rafforzare la presenza umana sulla Luna; dal 2040 il programma prevede la presenza stabile dell’uomo sulla Luna. Molta curiosità desta la presenza a bordo della Stazione Spazia- le Internazionale, dalla fi ne di agosto, di un robot che è un vero e proprio automa dalle fattezze umanoidi, chiamato amichevolmente Fyodor. Fyodor è dotato di intelligenza artifi ciale può interagire con l’equipaggio, può eseguire lavori di una certa precisione, può cammi- nare e salire le scale. A bordo della Stazione Spaziale Internazionale eseguirà alcuni esperimenti, a cura del cosmonauta russo Aleksandr Skvortsov, con compiti scientifi ci fi no ad ora riservati. Il programma spaziale dell’India ha lanciato il 22 luglio 2019 la missione Chandrayean 2 con l’obiettivo di portare un veicolo sul suolo lunare, tuttavia nella fase fi nale a poco più di due chilometri dal suolo lunare si è perso il collegamento ed il lander si è presu- mibilmente schiantato sul suolo lunare. L’agenzia spaziale indiana ISRO, Indian Space Research Organization, ha manifestato l’intenzione di portare un uomo sulla Luna nel 2022, due anni prima di quanto previsto dalla NASA con il programma Artemis. Elementi di particolare interesse caratterizzano la prima missione israeliana sulla Luna, che è la prima missione privata sulla Luna ed ha utilizzato come vettore un di Space X: anche se la mis-

100 Luigi Balis Crema, Antonio Castellani Cinquant’anni dopo : ritorno sulla Luna ______sione non è riuscita e la sonda si è schiantata sulla superfi cie lunare rappresenta tuttavia una tappa di un programma di esplorazione lunare in corso di sviluppo in Israele. Si nota poi che il vettore Falcon 9 di Space X utilizzato per la missione israeliana, è al centro dei programmi di Elon Musk per una spedizione privata su Marte. Naturalmente, come si è detto, altri programmi vengono svi- luppati in sede ESA o con singoli programmi nazionali spesso in collegamento anche con i programmi citati, ma quanto riportato è suffi ciente per rendersi conto degli sviluppi molto importanti che sono previsti per l’esplorazione lunare dei prossimi anni.

5. Risposte alle domande sui programmi lunari ed anche una domanda nuova

Sostanzialmente si è partiti da due domande fondamentali:

1. Perché un ritorno con equipaggio sulla Luna ? 2. Perché andare su Marte con equipaggio invece che con sistemi automatici ?

La risposta alla prima doman- da è molto diretta: essenzialmente le missioni con equipaggio sulla Luna sono previste per prepara- re la missione con equipaggio su Marte. Non è l’unico motivo alla base di questi progetti: prospet- tive economiche, indagini scien- tifi che, sviluppi tecnologici, dati che si possono raccogliere con i moduli Gateway, ricerca di nuovi materiali possono contribuire a questa scelta. Tuttavia il punto Fig. 27 - La sonda indiana fondamentale, come chiaramente Chandrayean 2

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indicato dal programma Ar- temis “Explore Moon to Mars” non lascia dubbi. Molto meno diretta è la risposta alla seconda do- manda: infatti l’esplorazione di Marte è certamente una logica conseguenza della esplorazione spaziale come si è sviluppata fi no ad oggi, tuttavia la spedizione su Marte è prevista negli anni 2030 ed i sistemi automatici di oggi sono già molto sofi - sticati ed è facile presumere che tra circa 20 anni saranno ancora più avanzati. La ne- cessità della presenza umana sembra quindi discutibile mentre è ben chiara la com- plessità che la presenza uma- Fig. 28 - Il vettore Falcon 9 di Space X. na aggiunge alla missione in particolare a causa della lunga durata della missione stessa. Certamente non mancano le opinioni di coloro, come ad esempio da parte di Stephen Hawking, che ritengono necessario per l’umanità di fondare colonie spaziali anche per tener conto delle possibilità per l’uomo di autodistruggersi con il danneggiamento dell’ambiente, la diffusione di virus come armi biologiche, una guerra nucleare o la costruzione di una intelligenza artifi ciale fuori controllo. La missione con equipaggio su Marte potrebbe rappresentare un piccolo passo verso lo sviluppo di colonie spaziali. In sostanza la missione su Marte potrebbe rappresentare la scialuppa di salvataggio dal naufragio della nave Terra: una prospettiva certamente non auspicabile e, speriamo anche, non molto probabile almeno in tempi vicini, ma di cui si può, o forse si deve, tener conto.

102 Luigi Balis Crema, Antonio Castellani Cinquant’anni dopo : ritorno sulla Luna ______

Un’altra possibilità potreb- be essere legata alla prospettiva di una “presa di possesso di Marte” collegata ad una pre- senza continua di equipaggi su di una vera e propria colonia marziana. Naturalmente si può sem- pre fare riferimento alla spinta naturale del genere umano verso l’esplorazione e verso il superamento di limiti che pure sembrano al momento insor- montabili: andare oltre al mito delle colonne di Ercole. Una diversa prospettiva, molto più gradevole e speriamo molto più probabile, potrebbe Fig. 29 - Copertina del libro The Mars essere legata all’idea di associa- Project (1952) di Wernher von Braun. re alla missione su Marte una collaborazione internazionale, del tipo di quella sviluppata sulla Stazione Spaziale Internazionale. Le diffi coltà e i costi della missione su Marte potrebbero essere affrontati da un consorzio internazionale in grado di sviluppare la collaborazione tra diversi paesi. Le diffi cili prospettive internazionali di questo periodo rendono problematica questa ipotesi, ma d’altra parte proprio le diffi coltà attuali possono rendere necessario di svi- luppare il più possibile programmi di collaborazione che siano anche in grado di ridurre lo stato di tensione internazionale attualmente in minacciosa crescita. Un dibattito sulla opportunità di missioni con equipaggio nei confronti di missioni automatiche su Marte sembra al momento del tutto aperto, se non altro dal punto di vista temporale: forse gli anni 2030 sono troppo vicini e forse è molto più opportuno approfondire tecnologie e studi sul comportamento umano nello spazio per almeno un altro decennio utilizzando sistemi automatici.

103 ArteScienza, anno VI, dicembre 2019, N.12, ISSN 2385-1961 ______

Si possono concludere queste considerazioni con una nuova domanda: le idee ed i programmi in corso di defi nizione per le mis- sioni lunari contribuiranno certamente a rendere più importante l’economia legata alle attività spaziali, ma fi no a che punto? Si può addirittura immaginare che nei prossimi 20 anni l’eco- nomia legata alle attività spaziali assuma un ruolo determinante, almeno in alcune nazioni, e quindi richieda, anche dal punto di vista della preparazione a livello di scuola superiore ed universitaria, un ulteriore sviluppo nel settore tecnologico e scientifi co STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics).

104 Riscoprire Robert J. Flaherty per rifondare una nuova documentaristica

Marco Crespi*

DOI:10.30449/AS.v6n12.105

Ricevuto 13-09-2019 Approvato 25-11-2019 Pubblicato 31-12-2019

Sunto: Cercare un canone narrativo per la documentaristica scientifi ca oggi non è solo un vezzo estetico, ma rappresenta una necessità per il mondo della scienza e per la società nel suo complesso. In questo lavoro si propone un’analisi del lavoro di Robert J. Flaherty che ha messo le basi del documentario. La potenza narrativa delle sue opere nasconde un’idea che ancor oggi può risultare rivoluzionaria: la visione in soggettiva del mondo; la narrazione di una storia, di un’avventura, che prima di essere scientifi ca è, e sempre sarà, umana. La scienza oggi investe ancor di più le nostre vite, invade le nostre case, i nostri corpi. Consci o, più spesso, ignari di ciò i cittadini non sempre hanno a disposizione strumenti per comprendere la realtà. Da questa considerazione nasce la consapevolezza che lo sguardo “alla Flaherty” sia utilizzabile e sia soprattutto, fortemente necessario alla scienza per mostrarsi, ai cittadini per comprendere e, di conseguenza, alla democrazia.

Parole Chiave: documentario; R. J. Flaherty; divulgazione; cittadinanza scientifi ca.

Abstract: Looking for a narrative canon for scientifi c documentary today is not only an aesthetic touch, but represents a necessity for the world of science and for society as a whole. In this work we propose an analysis of the work of Robert J. Flaherty who laid the foundations for the documentary. The narrative power of his works hides an idea that even today can be revolutionary: the subjective vision of the world; the narration of a story, of an adventure, which before being scientifi c is, and always will be, human. Science today invests our lives even more, invades our homes, our bodies. Conscious or, more often, unaware of this, citizens do not always have tools available to understand reality. From this consideration comes the awareness that the “fl aherty” look is usable and above all,

______* Docente di matematica e fi sica nelle Scuole Secondarie Superiori; [email protected].

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strongly necessary for science to show itself, to citizens to understand and, consequently, to democracy.

Keyword: documentary; R. J. Flaherty; disclosure; scientifi c citizenship.

Citazione: Crespi M., Riscoprire Robert J. Flaherty per rifondare una nuova documen- taristica, «ArteScienza», Anno VI, N. 12, pp. 105-110, DOI:10.30449/AS.v6n12.105.

1 - Nascita o maturità del documentario

In un periodo in cui la scienza è sempre sotto i rifl ettori e investe ogni angolo del nostro quotidiano, ritrovare un canone di narrazione documentaristica può essere utile alla scienza e, di conseguenza, alla democraticità di scelte consapevoli. Per cercare di impostare un percorso in questa direzione, può essere utile andare ad analizzare alcune pietre miliari. Uno dei padri della documentaristica è sicu- ramente Robert J. Flaherty (1884-1951). Analizzare la sua opera, e il suo modo di vedere la realtà attraverso la macchina da presa, può aiutarci nella ricostruzione di un possibile modello narrativo. (Pinelli, 2001; Castelfranchi, 2002) Erano gli anni venti e l’industria hol- lywoodiana era in piena forma, densa di costruzioni narrative distanti dalla normale quotidianità del pubblico. La fascinazione per quelle macchine diaboliche era ancora alta ma fu proprio Flaherty, americano, a cercare un’altra strada. E l’occasione si pre- sentò come un desiderio. Voleva riprendere un suo viaggio nei paesi del nord e voleva fi ssare sulla pellicola la vita degli eschimesi. Questo era solo l’inizio. Riprese, riprese e ancora riprese. Ma a Flaherty tutto ciò non era suffi ciente. Non gli bastava riprendere Fig. 1 - Robert J. Flaherty da fuori la vita di quella gente mantenen- (1884-1951). do gli occhi di un qualunque occidentale

106 Marco Crespi Riscoprire Robert J. Flaherty ______gonfi o della sua cultura. Flaherty sentiva il bisogno di capire real- mente quella cultura e usare nelle riprese il loro sguardo, il modo in cui loro guardavano se stessi. Diede in mano a loro la cineprese. Registrò quello che loro volevano mostrare di se stessi. Purtroppo questo primo esperimento andò distrutto. Ma, nel 1920, quando una ditta di pellicce gli fi nanziò una nuova spedizione nel nord, lui cerco di riapplicare lo stesso metodo. Da questo viaggio ne venne fuori il lungometraggio Nanook of the north (Nanuk l’esquimese). È qui che la vita di un esquimese assume la potenza di un dramma poetico senza perdere nulla del realismo caro a Flaherty. Ogni azione dell’eschi- mese fu ripresa dal punto di vista del soggetto (non più oggetto) e, le riprese, mantennero l’esatta durata delle azioni così come veni- vano svolte. «Quello che conta per Flaherty di fronte a Nanook che caccia la foca è il rapporto fra Nanook e l’animale, l’ampiezza reale dell’attesa». (Bazin, 1999; Cecchi Paone, 2009)

2 - Il documentario come canone

Filosofi a e tecnica di Flaherty vanno via via affi nandosi: la realtà non deve essere manipolata e la rappresentazione non può essere una scelta a priori ma deve essere costruita strada facendo con l’in- terazione diretta tra il regista-operatore (fi gure che in Flaherty coin- cidono) e il protagonista della storia raccontata che entra a far parte delle scelte ed è coinvolto nella produzione. Per i suoi fi lm, acclamati come classici, Flaherty ha forgiato un nuovo genere e formalizzato un nuovo concetto di produzione cinematografi ca. Sarà proprio la sua rivoluzione che permetterà di far parlare per la prima volta di documentario.(Rondolino, 2000)

3 - L’importanza della narrazione

Su queste basi ideali si strutturano le fondamenta dei due docu- mentari che Flaherty realizzerà una volta tornato negli Stati Uniti, dopo la permanenza in Gran Bretagna negli anni Trenta: The land e

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Louisiana story. (International Film Seminars, Inc., n.d.) Il primo fu svolto per incarico della Dipartimento per l’agricol- tura degli Stati Uniti. Lo scopo iniziale di studiare e rappresentare la crisi dell’agricoltura in seguito alla meccanizzazione venne stravolto dall’occhio del regista. L’inquadratura si spostava sulla quotidianità della vita nei campi, con le sofferenze, le lotte e le diffi coltà che la natura stessa imponeva ai contadini. Al dramma umano tipico di Flaherty si aggiunge, grazie anche alla richiesta dei committenti, un contesto sociale e storico molto più preciso. In ugual modo, Lousiana Story del 1948, commissionatogli dalla Standard Oil Company, doveva essere una propaganda alle prime trivellazioni off-shore che la compagnia aveva avviato in quegli anni nel sud degli Stati Uniti. La macchina da presa in mano a Flaherty, e questo sarà l’ultima sua opera prima di morire nel 1951, inizia a raccontare un’altra storia. La storia del rapporto tra l’uomo e la na- tura a cui si aggiungono le macchine. Le macchine che a volte fanno paura ma sempre di più sono viste come il male necessario per il progresso. In questa lettura molti critici leggono l’ingenuità politica di Flaherty ma anche il suo atteggiamento puro, senza preconcetti. Questa sua sensibilità umana trova conferma nella scelta del prota- gonista: un bambino, in cui Flaherty rilegge anche la sua infanzia, segue la costruzione della trivella e nei suoi occhi si alternano paura e fascino verso la tecnica.

4 - Flaherty oggi: un’eredità persa?

In ambedue questi documentari la scelta stessa del tipo di nar- razione diventa centrale. Il tema si trasforma in una vera storia con i suoi protagonisti, e ognuno di essi ha il suo ruolo sociale da giocare, le sue emozioni e le sue contraddizioni. Chiamare le opere di Robert J. Flaherty dei semplici documen- tari è certamente riduttivo per la carica lirica e la bellezza narrativa su cui sono costruiti; d’altro canto possiamo ritornare proprio a Flaherty per defi nire la nascita di un genere e anche la sua massima espressione. Forse oggi, ancor più che negli anni quaranta, avremmo

108 Marco Crespi Riscoprire Robert J. Flaherty ______bisogno di un genere documentaristico meno asettico e più vicino al racconto di storie di vita. Certo negli ultimi vent’anni qualche esempio c’è stato, documentari sugli OGM, docu-fi ction su disastri ambientali, tutti con un briciolo di umanità ma senza la carica e la continuità narrativa di Flaherty. Oggi che la scienza si interseca così radicalmente con la società e con le vite di ognuno di noi non si può prescindere, nel raccontarla, dalle emozioni di timore e di fascino che crea così come dal contesto storico in cui si colloca. La scienza, insieme allo scienziato e al cittadino, non può più essere oggetto di ripresa ma deve diventare soggetto. È questo il punto sul quale i fi lm di Flaherty hanno ancora molto da insegnare.

Bibliografi a

BAZIN André (1999). Che cos’è il cinema? Milano, Garzanti. CASTELFRANCHI Yurij (2002). Scienziati in piazza. Scienza, politica e pubblico verso nuove osmosi. JCOM, n.2, vol. 1. https://doi. org/10.22323/2.01020901. CECCHI PAONE Alessandro (2009). Immagini dal mondo. Milano, UTET. INTERNATIONAL FILM SEMINARS, Inc. (n.d.). Flaherty. Explo- ring with fi lm, since 1954. https://thefl aherty.org/ PINELLI Carlo Alberto (2001). L’ABC del documentario. Roma, Dino Audino Editore. RONDOLINO Gianni (2000). Storia del cinema. Milano, UTET.

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La propaganda murale nella campagna elettorale del 1948

Antonio Castellani*

DOI:10.30449/AS.v6n12.106

Ricevuto 13-09-2019 Approvato 12-11-2019 Pubblicato 31-12-2019

Sunto: La comunicazione visiva espressa dai manifesti politici ha da sempre confi gurato una delle suggestioni più effi caci nell’orientamento della pubblica opinione. Nella durissima campagna elettorale per le elezioni politiche dell’aprile 1948 – le prime del dopoguerra – i manifesti elettorali costituirono forse lo strumento principale della propaganda dei partiti. I muri degli edifi ci vennero letteralmente ricoperti di immagini colorate, il cui messaggio immediato e aggressivo ebbe un ruolo centrale nell’esito del voto. I partiti politici mobili- tarono i migliori umoristi, disegnatori, vignettisti del momento per sedurre con slogan e, soprattutto, con la forza espressiva dell’immagine un elettorato in buona parte analfabeta. Un fruttuoso incontro fra la creatività degli artisti, la psicologia delle masse e la scienza della comunicazione. L’iconografi a presentata in questa breve rassegna dipinge una delle pagine di storia più diffi cili del nostro Paese attraverso un racconto a colori scritto sui muri e rievocato da immagini ed ideologie.

Parole Chiave: Storia politica del dopoguerra, Propaganda politica.

Abstract: The visual communication expressed by political posters has always confi gured one of the most effective suggestions in the orientation of public opinion. In the tough elec- toral campaign for the April 1948 political elections the electoral posters were perhaps the main ingredient of the propaganda of the parties. The walls of the buildings were literally covered with colored images, whose immediate and aggressive message played a central role in the outcome of the vote. Political parties mobilized the best humorists, designers, cartoonists to seduce with slogans and with the expressive power of the image a largely

______* Docente e ricercatore di Ingegneria Aerospaziale, autore di numerosi saggi di storia ae- ronautica e contemporanea. [email protected]

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illiterate electorate. A fruitful encounter between the creativity of the artists, the psycho- logy of the masses and the science of communication. The iconography presented in this review expresses one of the most diffi cult pages of history in our country through a color story written on the walls and recalled by images and ideologies.

Keyword: Post-war political history, Political propaganda.

Citazione: Castellani A., La propaganda murale nella campagna elettorale del 1948, «ArteScienza», Anno VI, N. 12, pp. 111-146, DOI:10.30449/AS.v6n12.106.

1 - L’Italia del 1948

A più di settant’anni dalle elezioni politiche del 18 aprile 1948, le prime nell’Italia repubblicana, la storiografi a è concorde nel ritenere che quel giorno ha segnato un punto di svolta per il futuro demo- cratico del Paese e per le sue aspettative di libertà e di benessere. I risultati sono noti, la Democrazia Cristiana ottenne un successo assoluto. Su una popolazione di poco più di 46 milioni di abitanti gli elettori superavano i 29 milioni e di essi andarono alle urne 26 milioni e ottocentomila, più del 92 per cento, una cifra record. Per la Camera dei Deputati alla Democrazia Cristiana andarono 12 milioni e settecento mila voti, il 48,50 per cento, corrispondenti alla maggioranza assoluta dei seggi (309 su 571). I suoi avversari diretti, Partito Comunista Ita- liano e Partito Socialista Italiano insieme nel Fronte Democratico Popolare uscirono da queste elezioni fortemente ridimensio- nati, con poco più di 8 milioni di voti (31 per cento, 183 seggi). Risultati analoghi per il Senato della Repubblica: 131 seggi su Fig. 1 - Elezioni politiche 18 nprile 1948. 237 alla Democrazia Cristiana, Folla di elettori davanti a un seggio 72 al Fronte. elettorale.

112 Antonio Castellani La propaganda murale nella campagna elettorale del 1948 ______

Le elezioni si erano svolte in un clima di forti tensioni sociali, in un Pa- ese povero e senza lavoro, castigato da un trattato di pace eccessivamente pena- lizzante. Nel 1948 la rico- struzione dalle ferite lascia- te dalla guerra procedeva fra mille diffi coltà e anche se con la mobilitazione di Fig. 2 - Un borghetto di baracche ai margini della tutte le risorse materiali e città: una soluzione alla crisi degli alloggi. morali del Paese si intrave- devano, almeno in alcuni settori, segnali di ripresa, che riportavano alla situazione prebellica, le conseguenze del confl itto erano ancora ben visibili. Fra i settori più colpiti v’erano l’edilizia e le comunicazioni. Quasi tre milioni di vani abitativi – oltre il dieci per cento della disponibilità complessi- va d’anteguerra – erano andati distrutti o gravemente danneggiati. Il problema del reperimento degli alloggi per decine di migliaia di senza tetto sembrava irresolubile: un quarto della popolazione occupava abitazioni o co-abitazioni promiscue – non meno di due persone per stanza – spesso prive di servizi, di acqua corrente, di gas. Molte famiglie, soprattutto nelle città, vivevano precariamente nei ricoveri pubblici, per non parlare di quelle che si sistemavano in solai, baracche, grotte. Ancora più pesanti i danni alle opere pubbli- che: le strade e le ferrovie erano interrotte per lunghi tratti, oltre 8000 ponti erano andati distrutti, il Po si attraversava su ponti di barche, quasi l’intero materiale Fig. 3 - L’assalto ai mezzi pubblici ferroviario (locomotive, carrozze nella Capitale. e vagoni merci, rotaie, linee elet-

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triche) oltre alle stazioni era inutilizzabile, i porti e gli aeroporti erano cimiteri di relitti corrosi e accartoc- ciati, la nostra fl otta mer- cantile, che prima della guerra era la quarta d’Eu- ropa, era stata decimata, gli aeroplani commerciali rievocavano il mito dell’a- raba fenice. I ferry-boat per il continente giacevano Fig. 4 - Il mercato nero delle sigarette americane. nei fondali dello Stretto di Messina e ci vorranno anni per il recupero e la ricostruzione. La produzione industriale è calata a meno di un terzo di quella del 1938, molte fabbriche sventrate dai bombardamenti sono ancora chiuse e da ricostruire. Il Paese è poverissimo (quasi il 12 per cento delle famiglie italiane vive nella miseria), la disoccupazione ha rag- giunto il suo massimo (nel maggio 1948 oltre 2,4 milioni di unità fra operai e salariati agricoli licenziati, reduci e giovani senza lavoro), gli squilibri sociali. particolarmente fra il Nord e il Sud, si aggravano accrescendo i rischi di sollevazioni popolari. Si riapre la valvola di sfogo dell’emigrazione, dal Meridione al Nord Italia, nelle miniere del Belgio ricco di carbone ma povero di mano d’opera fi no all’estre- mo Quinto Continente dove, cessato il confl itto, gli ex prigionieri di guerra possono richiamare le famiglie e i parenti. Le tensioni sociali dovute alla mancanza di lavoro e alla crescita vertiginosa del costo della vita sfociavano in vaste manifestazioni di protesta, nell’assal- to ai forni, nell’occupazione delle terre incolte dei grandi latifondi, spesso fi nite in sommosse cruente represse con inaudita violenza dalla “Celere”, la sezione della polizia espressamente dedicata agli interventi contro le manifestazioni. Il Ministro degli Interni, il de- mocristiano Mario Scelba bollato dall’opposizione come “sbirro” o Ministro della Polizia, aveva potenziato questa Unità rendendola un vero e proprio reparto armato con mitragliatrici e mortai in grado

114 Antonio Castellani La propaganda murale nella campagna elettorale del 1948 ______di sostenere azioni belliche che la guerra fredda rendeva non improbabili. Il problema più drammati- co è quello della distribuzione dei viveri ad una popolazione indigente e bisognosa delle più elementari necessità. La pro- duzione agricola è dimezzata rispetto al 1938, fi le di donne passano ore e ore davanti ai ne- gozi alimentari ma dalle cam- pagne arriva poco, i prodotti sono in mano ai borsari neri e raggiungono prezzi esorbi- tanti. I “pacchi” dell’UNRRA, organismo delle Nazioni Unite fi nanziato praticamente dagli Stati Uniti, non sono suffi cien- Fig. 5 - Arrivano gli aiuti USA ti. Quasi 4 milioni e mezzo di «La Domenica del Corriere» anno 48 n. 38 famiglie non si nutrono mai 15 dicembre 1946. di carne e più della metà degli italiani non possiede calzature decenti. L’exploit delle diete dimagranti è ancora sulle ginocchia di Giove, piuttosto servirebbero le diete ingrassanti. Più del 90 per cento delle famiglie non possiede il telefono, il 70 per cento non ha la radio, il 60 per cento non dispone di un mezzo di trasporto. La bicicletta è il veicolo più diffuso, costa un terzo di uno stipendio medio annuo ed è frequente oggetto di furto al pari di una “Panda” di oggi. Qualora il ladruncolo venga colto in fl agrante dalla folla inferocita rischia il linciaggio, come talvolta è avvenuto fi no alle estreme conseguenze. È diffi cile curarsi perché molti ospedali sono andati distrutti e mancano le medicine anche se con gli americani è arrivata la mira- colosa penicillina. Gli analfabeti sono il 13 per cento della popola- zione, gli iscritti all’università non arrivano a duecentotrentamila. La scuola stenta a riprendersi perché la guerra non ha avuto rispetto

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nemmeno per gli edifi ci scolastici. Mancano le aule, i banchi, i calamai. Ė ancora vivo il ricordo della strage di Gorla, quartiere della periferia nord occidentale di Mi- lano, quando il 20 otto- bre 1944 una squadra di bombardieri americani “B24 Liberator” sganciò il suo carico di morte su una scuola elementare Fig. 6 - Due manifesti di propaganda degli aiuti uccidendo 184 bambini americani. dalla prima alla quinta classe, oltre a insegnan- ti, personale scolastico e alcuni genitori che ai segnali d’allarme erano accorsi per riprendere i fi gli.

2 - La situazione politica

Anche il quadro internazionale non è meno oscuro. Finiti i sorrisi e le strette di mano con le quali i “tre Grandi” si salutavano a Teheran, Yalta, Potsdam quando si riunivano per decidere il nuovo ordine mondiale, ormai una “cortina di ferro” separa i paesi dell’Europa orientale e quelli dell’Europa occidentale in due blocchi contrapposti, il primo comunista sotto l’infl uenza sovietica, il secondo capitalista e democratico sotto l’infl uenza americana. L’Italia è in una situazione particolarmente delicata sia per la sua posizione critica di confi ne fra i due blocchi (con la Jugoslavia di Tito) sia per la presenza del più consistente e organizzato Partito Comunista del blocco occidentale. La spaccatura fra le due superpotenze Unione Sovietica e Stati Uniti d’America non degenerò in una guerra frontale per il pericolo di un ricorso alle armi atomiche, che ambedue i contendenti possedevano e che ostentavano in continui test nucleari. La contrapposizione fra

116 Antonio Castellani La propaganda murale nella campagna elettorale del 1948 ______i due blocchi si esplicò invece attraverso una “guerra fredda” cioè non combattuta con le armi ma politica, economica, ideolo- gica che ebbe rifl essi sostanziali nel nostro Paese. Per risollevarsi dalla depressione economica in cui era precipitata con la guerra l’Italia aveva assoluto bisogno dei cospicui aiuti americani, in particolare dei fondi del Piano Marshall (avviato nella prima- vera del 1948), per accedere ai quali la condizione necessaria era naturalmente la collocazione del Paese nel blocco occidentale guidato dagli Stati Uniti. Un Fig. 7 - Un manifesto contro l’ “asservimento” americano. presupposto che era una diretta conseguenza della “dottrina Tru- man” enunciata dal presidente americano Harry Truman, secondo la quale era dovere degli Stati Uniti sostenere fi nanziariamente i paesi liberi per mantenere in essi la stabilità economica e conseguente- mente la stabilità politica attraverso l’ordinato funzionamento di un regime democratico parlamentare al fi ne di contrastare il manifesto espansionismo dell’Unione Sovietica. Anche se il Piano Marshall non escludeva a priori i paesi dell’Est, ma Stalin che, pur avendo estre- mo bisogno di aiuti economici, non poteva sottostare all’ingerenza americana nell’economia sovietica di Stato né, soprattutto, aprire le porte dell’Europa orientale all’infl uenza dell’occidente, fu giocoforza obbligato a rifi utare gli aiuti del Piano Marshall, ordinando anche agli altri paesi del blocco sovietico di fare altrettanto. Di conseguen- za il Partito Comunista in Italia si oppose con durezza all’adesione all’iniziativa americana presentandola come una forma di asservi- mento all’imperialismo degli Stati Uniti. «Tutti uniti contro i servi di Truman» era l’appello rivolto dal PCI agli italiani, ma non bisogna dimenticare che nello stesso periodo Stalin aveva creato il Comin-

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form, l’organismo che riuniva i par- titi comunisti delle nazioni europee con funzioni di coordinamento e reciproco scambio di informazioni e in esso il PCI era un sorvegliato speciale. La sottomissione ai voleri del Cremlino non impedì, comun- que, ai comunisti italiani di ricevere un fi nanziamento di seicentomila dollari da Mosca (Vetta, 2017, p.36). In altre parole anche in Italia si combatte una guerra fredda paral- lela a quella internazionale. Ė fi nito il tempo dello spirito costituente che aveva visto al governo del Paese Fig. 8 - - Hai visto? La Madonna ha aperto gli occhi… tutti insieme i principali partiti che - E poi che cosa ha fatto? avevano partecipato alla Resistenza, - Li ha richiusi subito, disgustata… ideologicamente anche agli antipo- (Majorana, «Don Basilio», 1948). di, ma concordi nel predisporre la legge fondamentale dello Stato ita- liano, la Costituzione, che entrerà in vigore il 1 gennaio 1948. I Partiti maggiori, Democrazia Cristiana, Partito Comunista Italiano e Partito Socialista Italiano avevano costituito una coalizione politica fi no al 31 maggio 1947 quando, per il mutato quadro politico-ideologico inter- nazionale, per la divergenza sugli interventi risolutivi del perdurante disagio economico e, non ultime, per le pressioni del Vaticano i partiti della sinistra socialcomunista vennero estromessi dal Governo che si accentrò nelle mani della Democrazia Cristiana. Da questo momento le due fazioni divenute avversarie si guarderanno in cagnesco, la lotta politica elettorale si svilupperà nei mesi che precedono il 18 aprile 1948 senza esclusione di colpi, in un crescendo di agitazioni operaie ed agrarie alimentate dai due partiti di sinistra lasciati fuori dal Governo. Questo era presieduto dal trentino Alcide De Gasperi, esponente di spicco della Democrazia Cristiana, partito cattolico, fi loccidentale, interclassista ed era formato da una coalizione che comprendeva i partiti laici, di centro-sinistra e centro-destra, quali

118 Antonio Castellani La propaganda murale nella campagna elettorale del 1948 ______

Partito Liberale Italiano, Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (una costola del Partito Socialista guidata da Giuseppe Saragat separatasi da quest’ultimo in contrasto con la posizione fi lo-comunista di Nenni) e Partito Repubblicano Italiano: è il cosiddetto Quadripartito, che condizionerà per gli anni a venire la vita politica italiana. All’oppo- sizione il Partito Comunista Italiano guidato da Palmiro Togliatti e il Partito Socialista Italiano di Pietro Nenni, uniti per le elezioni nel Fronte Democratico Popolare, spiccatamente classista e fi lo-sovietico.

3 - La battaglia elettorale

In questo clima di forte tensione e di rigida contrapposizione si svolse la campagna elettorale per le elezioni politiche del 1948 che avrebbero portato a Montecitorio 574 deputati e a Palazzo Madama 237 senatori. Apparentemente i due schieramenti contavano su una popolazione di elettori più o meno equivalente, per cui la battaglia sembrava risolversi con la conquista dell’ultimo voto. La Democrazia Cristiana, che aveva costruito la propria base tra le masse contadine, i ceti medi e la borghesia imprenditoriale si concentrò soprattutto sullo spettro del comunismo al potere, prospettando l’eventua- lità che se dalle urne non fosse venuta una decisa risposta anti- comunista, non vi sarebbe stata una prova d’appello. Venne in appoggio a questa nera visione, nel febbraio 1948 a meno di due mesi dalle elezioni in Italia, il colpo di stato di Praga dove Klement Gottwald, leader del Partito Comunista Cecoslovacco era al governo assieme a una coalizione di partiti democratici e il cui ministro degli esteri Jan Masaryk si era espresso a favore Fig. 9- Il messaggio della Regina.

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dell’adesione al Piano Marshall. Sta- lin ovviamente troncò senza mezzi termini questa iniziativa e Gottwald, forte dell’appoggio del Cremlino, dopo avere occupato con i suoi uo- mini i centri vitali della Nazione (polizia, pubblica amministrazione, consigli di fabbrica), approfi ttando delle dimissioni dei rappresentanti dei partiti moderati che con questa mossa pensavano di mettere in crisi il governo, formò un nuovo gabinetto in cui i comunisti occupavano metà dei ministeri. Nei giorni successivi Fig. 10 - Il primo numero del procedette a ripulire il Paese di tutto «Don Basilio». ciò che poteva ostacolare l’esercizio del potere, reprimendo duramente qualche sporadica manifestazione popolare a favore dei partiti mo- derati. La Cecoslovacchia divenne di conseguenza una “repubblica popolare” al pari di Ungheria, Romania, Bulgaria, Polonia. Il colpo di stato che la aveva generata, pur essendo ai limiti fra legalità e illegalità, produsse grande impressione nel nostro Paese, dove si cominciò a temere che se la consultazione elettorale avesse favorito il PCI questi si sarebbe comportato in Italia allo stesso modo. L’emo- zione suscitata dall’evento, riportato con evidenza dalla stampa, fu aggravata dal suicidio del ministro Masaryk trovato sul selciato al di sotto della fi nestra del suo uffi cio, ma col più che legittimo sospetto di essere stato assassinato. La Democrazia Cristiana impiegò come simbolo elettorale il me- dievale scudo crociato con al centro la scritta Libertas, già appartenuto al Partito Popolare dal quale era originata. Venne facile ai parroci spiegare agli elettori di mettere una croce dove già ce n’era una. In un paese di tradizioni cattoliche ancora profondamente radi- cate la Democrazia Cristiana ha un formidabile alleato nel Vaticano, dal Papa ai Cardinali, Vescovi e giù giù fi no agli ultimi curati di parrocchie sperdute, che minacciano di non assolvere chi vota per

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il comunismo. Alla lista dei Comandamenti si aggiunse un nuovo peccato, quel- lo elettorale. La battaglia politica divenne quasi una guerra di religione quan- do Pio XII, che vedeva nel comunismo ateo l’origine di ogni male, mobilitò le coscienze degli elettori con l’aut aut «per Cristo o contro Cristo». Non si esi- tò ad arruolare la Vergine per la campagna elettorale. Si moltiplicarono le pro- cessioni per l’Italia della “Madonna pellegrina”, le peregrinationes Mariae, ed accrebbe vertiginosamente il numero di Madonne e di Santi che aprivano gli oc- chi, piangevano, spande- vano miracoli. Tutta la Chiesa si mobilitò con ogni mezzo in questa crociata elettorale. Si distribuivano “santini” come questo, intitolato “Il messaggio della Regina”:

Quando il voto avrai tu dato allo Scudo ch’è Crociato sentirai dentro del core che non hai commesso errore. Hai tu dato al Parlamento gente brava e di talento, hai mandato a governare gente tal che ci sa fare. Sta sicuro che ad Alcide la Madonna gli sorride, che votar per lui ti dice la potente Ausiliatrice.

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L’intervento, indubitabil- mente a tutto campo, del Va- ticano nella gestione politica del Paese, affiancato a quello economico degli Stati Uniti, scatenò ire furibonde da parte degli oppositori anticlericali che si avvalsero soprattutto del set- timanale satirico «Don Basilio» che con i suoi articoli e le sue Fig. 11 - Due manifesti del Fronte vignette raggiunse punte inusi- Popolare e della DC che esortano a tate nel nostro Paese, che non si votare e a non votare per il simbolo vedevano dai tempi de «L’Asi- garibaldino. no» di Galantara e Podrecca. Il 12 settembre 1946 uscì – e andò a ruba – il primo numero del setti- manale, il cui titolo di prima pagina era già tutto un programma: «De Gasperi è un fantoccio manovrato dalla Compagnia di Gesù». Sotto c’era una grande vignetta di Michele Majorana, uno degli animatori del giornale assieme a Furio Scarpelli e Ruggero Maccari, che raffi gurava il Papa Pio XII che accoglieva don Sturzo – defi nito il “fi ccanasone” per il suo naso piuttosto prominente - rientrato in Italia dagli Stati Uniti dopo l’allontanamento durante il Fascismo: «Benvenuto don Mario, so che siete tornato per fi nire i vostri giorni in patria, l’amatissimo De Gasperi è qui presente per esaudire que- sto vostro desiderio». E infatti il Presidente del Consiglio era ritratto alle spalle del prete con un ghigno diabolico e un grosso randello nelle mani pronto a colpire. La virulenta campagna del «Don Basilio» volta a pre- sentare un paese in mano a un Governo succube del Vaticano, Fig. 12 - Manifesto dei Comitati Civici: degli americani e degli affaristi «Disgraziato! Ma che fai!» speculatori che ruotavano intor-

123 ArteScienza, anno VI, dicembre 2019, N.12, ISSN 2385-1961 ______no a questi ambienti fu presa assai male dalla Chiesa e dalla Demo- crazia Cristiana. I collaboratori del giornale furono scomunicati ipso facto e il quotidiano del partito “Il Popolo” li bollò come «immondi, sudici, ipocriti, mascalzoni, anti- democratici, fascisti, vili, coprofa- gi, sordida chiavica». Il Partito Comunista – più in Fig. 13 Garibaldi scaccia Togliatti. generale il Fronte Popolare – nella sua veste di propugnatore della lotta di classe avrebbe attinto i voti dal suo elettorato tradizionale: operai al lavoro e disoccupati nelle città industriali, braccianti nei centri rurali soprattutto del Meridione, anche se non mancavano le adesioni dei ceti medi – in particolare nei confronti della componente socialista del blocco – quali piccoli imprenditori, statali, studenti universitari… verso i quali il Fronte si presentava come difensore della piccola e media proprietà, della donna, della famiglia, delle libertà religiose. Singolare fu l’adesione di gran parte del mondo della cultura, intellettuali, scrittori, arti- sti, personaggi dello spettacolo… motivata dal fatto che il Fronte era «per le libertà civili, per la pace, contro il privilegio» (il pittore Carlo Carrà), esprimeva «l’armonia verso la quale anela ogni animo aperto alla libertà e al progresso» (l’attore Fosco Giachetti), «aderisco al Fronte incandescente perché il fuoco purifi ca e fl uidifi ca» (lo scrit- tore Sem Benelli) (Avagliano e Palmieri, 2018, p. 38). Di- menticavano però le tendenze Fig. 14 - Garibaldi: «Bada De Gasperi, insurrezionaliste latenti, ma che nessun austriaco me l’ha mai fatta!». non troppo, in larghi strati del

124 Antonio Castellani La propaganda murale nella campagna elettorale del 1948 ______partito. Più spontanei i versi del poeta popolare Spartacus Picenus, al secolo Raffaele Offi dani (1890-1968), di fede “dura e pura”, che così inneggiò al Fronte Popolare (Picenus, 1967, p. 166):

Le elezioni le preparò Scarpia per schiacciare il Fronte Popolar. Viva il Ministro della Polizia che Mussolini volle superar!.

La calunnia non è un venticello quando vuole i rossi diffamar, ma un ciclone, un orrido fl agello che solo i preti sanno scatenar.

Preti e frati, ladri e stampa gialla, pescicani giunti d’oltremar, moribondi, defunti a Santa Galla: tutti contro il Fronte Popolar!

Negator di Dio, della famiglia, distruttore della civiltà: tali accuse dall’Alpe alla Sicilia son piovute sul Fronte Popolar.

Han tirato fuori il Padre Eterno Fame, guerra e bombe a volontà; han promesso le fi amme dell’inferno a chi vota pel Fronte Popolar.

Ci han dipinti peggio di una peste Che l’Italia vuole rovinar. Ci han promesso subito Trieste se non vince il Fronte Popolar.

Non è ver che Cristo stia con voi, traditori della Libertà. Foste sempre gli aguzzini suoi, ma lui sta col Fronte Popolar.

Stretti intorno al Fronte Popolare, per l’Italia, noi si vincerà. Viva sempre il Fronte Popolare! Viva il Fronte della Libertà.

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Il testo avrebbe dovuto essere cantato sull’aria dell’inno partigiano Fischia il vento. Il Fronte assunse come simbolo il volto di Giuseppe Garibaldi, la cui fi gura rappre- sentava il più popolare paladino dell’unità nazionale, anche se il Fascismo, nella sua esaltazione della retorica risorgimentale, e la stessa Repubblica di Salò lo avessero venerato come un eroe della rivoluzione sociale e un campione dell’idea repubblica- na. Ma per i comunisti era il contrassegno già usato dalle Brigate Garibaldi durante la Resistenza ed identifi cava i tre colori della Fig. 15 - De Gasperi bandiera nazionale: il viso bianco dell’Eroe “cecchino di Truman”. dei Due Mondi col tipico copricapo rosso era sovrapposto a una stella a cinque punte verde che rappresentava il lavoro e nello stesso tempo richiamava lo “stellone”, simbolo della storia unitaria del nostro Paese. Anche se spesso la stella a cinque punte era rossa, come nel contrassegno del Partito Comunista, simbolo della rivoluzione operaia nei cinque continenti. Il Fronte diffuse un manifesto col volto fi ero dell’eroe di Caprera che puntando l’indice prometteva: «Se voti per me voti per te». Naturalmente i democri- stiani non accettarono di essere attaccati da un Garibaldi comunista e contrappose- ro al precedente un analogo manifesto nel quale il condottiero invitava a non votare per lui in quanto non aveva mai aderito al Fronte Democratico Popolare. In un altro manifesto, dal simbolo di Garibaldi sulla scheda elettorale si leva un urlo che blocca la mano dell’elettore: «Disgraziato! Ma che fai!». Furono divulgati volantini di Fig. 16 - Un manifesto “diffi da” dove era scritto: annuncia un comizio di Togliatti in Piazza del Popolo a Roma.

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Caro Giuseppe Stalin,

vorrei sapere perché i tuoi comunisti italiani mi scambiano continuamente con te! Forse perché mi chiamo anch’io Giuseppe? Sarebbe troppo poco. Anche Mazzini si chiama Giuseppe, anche Verdi, persino Saragat. O forse mi scambiano con te perché fui detto il DUCE

DELLE CAMICIE ROSSE? Anche Fig. 17 - Attacchini al lavoro. questo accostamento mi sembra errato; perché io con le Camicie Rosse scacciai gli stranieri dall’Italia mentre tu ce li hai mandati e se io fossi ancora vivo e mi trovassi con i miei uomini oltre Trieste, come un giorno marciai verso Trento, non so se ad un eventuale richiamo del Presidente della Repubblica risponderei ancora con un telegrafi co: «Obbedisco». Ma allora, perché mi scambiano con te? Forse perché ai miei tempi fui nominato dittatore? Lo fui per così poco tempo e per misure così eccezionali! E poi, liberata l’Italia, io mi sono ritirato in buon ordine a Caprera a piantar cavoli, a fare il Cincinnato, senza accampare diritti per i miei meriti di partigiano, mentre tu, sbalzato lo Czar dal trono, hai occupato il suo posto e conti di starci il più possibile. Senza contare che se intravedi nei tuoi compagni di partito qualche concorrente, come lo furono Zinovief o Trotzky, lo fai fuori. Si può dunque sapere perché i tuoi seguaci italiani mi scambiano continuamente con te? Proprio non li capisco! tanto più che Carlo Marx, il tuo santone, mi defi nì un «insigne imbecille», come defi nì «bue», «infame cre- tino» e «vecchio asino» Giuseppe Mazzini. C’è un errore evidente nella scelta che il Fronte Democratico Popolare ha fatto. Ha sbaglia- to Giuseppe. Te, dovevano scegliere e non me. E questo valga come diffi da.

Giuseppe Garibaldi

E in aggiunta venne affi sso un grande manifesto in cui l’eroe dei due mondi a cavallo con la sciabola sguainata e seguito dalle Camicie Rosse carica Togliatti: «Va fuori d’Italia Va fuori stranier!». Ma il Garibaldi comunista replicò sprezzantemente con una vi- gnetta del disegnatore Raoul Verdini, una delle fi rme storiche del

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Fig. 18 - Sempre più su fi no al tetto.

«Marc’Aurelio», distribuita anche in volantini: «Bada De Gasperi, che nessun austriaco me l’ha mai fatta!». Alcide De Gasperi, originario del Trentino, all’epoca parte dell’Impero austro-ungarico, laureato a Vienna e deputato nel Parlamento austriaco venne violentemente aggredito dagli avversari per i suoi trascorsi politici, tanto che il Fronte Democratico Popolare affi sse un manifesto con la foto di Cesare Battisti penzolante sulla forca commentata dalla didascalia: «Quando lo impiccarono De Gasperi approvò». In un celebre ma- nifesto elettorale intitolato: L’ultima trasformazione «Cecchino di Truman» (ovviamente da “cecchino” austriaco), si invitava a votare il Fronte per battere un De Gasperi con l’elmo chiodato e la mazza ferrata per ricordare i suoi trascorsi al servizio del Parlamento di Vienna e oggi in divisa della Militar Police statunitense, cioè a dire venduto agli americani.

Fig. 19 - Manuali per attivisti democristiani (“Traguardo: 18 aprile!”) e del Fronte Popolare (“Quaderno dell’attivista” e “Cosa devi fare per la vittoria del Fronte”).

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4 - La guerra dei manifesti

In anni in cui il mezzo televisivo era ancora di là da venire le tribune elettora- li si svolgevano soprattutto nelle piazze dove i galoppini dei partiti allestivano impalcature più o meno imponenti e corredate di diffusori acustici a seconda del calibro dell’oratore. La gente assi- steva in massa fra bandiere e cartelli ostentati dagli attivisti, ma non erano infrequenti i disturbi provocati dalla fazione avversa. Uno dei più adottati era quello di improvvisare in una piazza contigua un comizio del partito anta- Fig. 20 - Appello al voto cristiano contro il divorzio e il libero gonista trasformando la lotta politica amore. in una guerra di decibel. Per non farsi soverchiare dagli altoparlanti avversari ogni oratore (urlatore) do- veva alzare il volume dei propri megafoni, col risultato che alla fi ne non si sentivano né gli uni né gli altri e i raduni si concludevano in risse fra gli opposti schieramenti. Molto diffusi furono i cosid- detti comizi volanti improvvisati da militanti opportunamente ad- destrati dagli organi di propagan- da dei partiti,1 defi niti con termi- ne bolscevico agit-prop, che sobil- lavano capannelli di persone nei luoghi più affollati delle città, ac cendendo dibattiti sugli argo- Fig. 21 - Manifesto dei Comitati Civici menti del giorno che spesso fi - contro l’astensionismo. nivano in energici contraddittori

1 Fra gli strumenti formativi della Democrazia Cristiana vi furono un Manuale dell’attivista dove si elencavano gli argomenti per contestare le posizioni degli avversari e una serie di bollettini periodici. A sua volta il Partito Comunista distribuì fra i militanti il quindicinale «Quaderno dell’attivista».

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con gli avversari. Ricordo che qualche giorno prima delle elezioni – allora non avevo l’età per votare e non vivevo ancora a Roma - passavo sotto la Galleria Colonna nella Capitale – oggi Galleria Alberto Sordi – e mi fermai a curiosare in uno dei tanti crocchi che attaccavano briga sotto quei portici. Mi af- fascinavano quei duelli verbali, che speravo fi nissero sempre in una solenne scazzottata. Un facinoroso in una specie di tuta blu da stagnino stava aizzando i suoi ascoltatori Fig. 22 - Un altro sciorinando una litania di epiteti contro De manifesto contro l’astensionismo. Gasperi defi nito «crucco austriaco… lacchè del Vaticano… servo pagato dall’Ameri- ca…», quando gli passò vicino un prete tutto nero, come andava di moda allora, con la tonaca abbottonata fi no ai piedi e in testa il classico “saturno”. L’energumeno interruppe di colpo il suo sproloquio per lanciare un’invettiva all’ecclesiastico: «Ah bagarozzo!...». Il religioso non cadde nel tranello, gli lanciò un’oc- chiataccia e svicolò per Largo Chigi. Io mi avvicinai a quell’esagitato e timidamente gli chiesi: «Scusi, non sono di Roma, che gli ha urlato a quel prete?». «Ah, nun ce lo sai?» sogghignò. «Jò ddetto bagarozzo, che vor dì scarafaggio!».2 Rimasi sconcertato, io che allora frequen- tavo gli Aspiranti dell’Azione Cat- tolica, da tale fi nezza di linguaggio nella propaganda politica. Ma la forma di propaganda che più direttamente arrivava alla mente e alla pancia degli elettori era ottenuta con i manifesti eletto- rali. Poche parole, slogan e soprat- tutto immagini parlanti, destinate Fig. 23 - Due manifesti dei a lanciare il messaggio politico Comitati Civici per esortare al voto.

2 Ovviamente la corruzione romanesca di bacherozzolo.

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con immediatezza e incisività. Squadre di attacchini si aggiravano nottetempo nelle città con lunghe scale e bidoni di colla fatta con la farina di grano integrale, in una gara a imbrattare o a staccare i manifesti della parte avversa e a sostituirli con i propri. Una vera e propria guerra che sovente fi niva a botte e talvolta tragicamente. La quantità di mani- festi impiegati in quella campagna elettorale fu incredibile, i muri delle case, degli edifi ci pubblici, dei monumenti storici vennero let- teralmente tappezzati di immagini colorate Fig. 24 - Un divertente e, per evitare che venissero strappate o rico- manifesto dei Comitati Civici. perte, vennero attaccate più in alto possibile, fi no ai tetti. Nella propaganda i partiti impegneranno decine di milioni di volantini, manifesti, striscioni, cartoline, opu- scoli… oltre ad eserciti di decine di migliaia di attivisti. Il Partito Comunista si avvaleva di un’organizzazione capillare diffusa in tutto il territorio, a capo della quale vi era uno dei “duri” del Partito, il vicesegretario Pietro Secchia. La Democrazia Cristiana si era dotata fi no dal 1945 di una specifi ca Sezione propaganda e stampa (Spes) diretta da Giorgio Tupini, che sarà eletto deputato e nominato Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio per la stampa e le informazioni. Tuttavia la debolezza organizzativa della DC in relazione alla poderosa capacità di penetrazione del PCI presso le grandi masse popolari, indusse il Vaticano, per intervento dello stesso Pontefi ce, a creare una struttura parallela, uffi cialmente non politica, formata da ani- matori del mondo cattolico e denominata Comitati Civici, costituiti nelle principali città. La nuova istituzione, che prese il via Fig. 25 - Manifesto nel febbraio 1948, fu affi data al presidente “Via col voto”.

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Fig. 26 - Manifesti di incitamento al voto. degli Uomini di Azione Cattolica, il medico genetista Luigi Gedda – dal 1949 ne diverrà il presidente generale – che avvalendosi della collaborazione di tutte le strutture religiose, fi no alle più remote par- rocchie, e laicali sparse sul territorio, mobilitò i cattolici alla difesa dell’ideologia cristiana nelle imminenti elezioni. Le fi nalità indicate dai Comitati Civici furono essenzialmente la lotta all’astensionismo e l’appello al “voto cristiano” per sconfi ggere il comunismo, due obiettivi “contro” e non a favore di questo o quel partito. Ma anche se non venne mai reso esplicito l’invito a votare Democrazia Cristiana, questa ebbe nell’azione dei Comitati Civici un sostegno determinan- te. La propaganda della squadra di Gedda si svolse principalmente attraverso manifesti e volantini caratterizzati da slogan e immagini di straordinaria effi cacia. Questo materiale veniva creato in un ap- posito Uffi cio Psicologico diretto dal regista e autore teatrale Turi Vasile, che si avvaleva di disegnatori del rango di Gino Boccasile e Benito Jacovitti. Oltre alla propaganda murale i Comitati Civici si prodigarono in altre iniziative, fra le quali fu essenziale l’impegno

Fig. 27 - Manifesti elettorali che invitano a votare Democrazia Cristiana.

132 Antonio Castellani La propaganda murale nella campagna elettorale del 1948 ______dei militanti per portare gli elettori ai seggi al momento del voto. Come si è detto uno dei temi principali della campagna elettorale dei Comitati, e più in generale dei partiti moderati, fu la lotta all’a- stensionismo perché si paventava che una considerevole massa di potenziali elettori si sarebbe astenuta mentre era certo che i comunisti avrebbero votato in blocco. Si disse che una spinta ad andare a votare sia stata data dal “Totalvoto”, un concorso a premi promosso dai Comitati Civici, consistente nell’azzeccare l’esatto numero di seggi che ciascuna lista avrebbe ottenuto alla Camera dei Deputati. Per il ritiro del premio il vincitore avrebbe dovuto presentare il certifi cato di voto timbrato. Per contrastare l’astensionismo i Comitati Civici prepararono un cartellone molto suggestivo nel quale spiccavano due conigli immo- bili, con la pelliccia arruffata, simbolo dell’inerzia dell’elettore, con la scritta: «essi non votano perché sono due conigli». Si fecero anche manifesti con un coniglio solo e la didascalia: «non andrà a votare perché è un coniglio» e si coniò lo slogan «coniglio chi non vota» per smuovere gli animi assonnati, cui i comunisti risposero sarcasti- camente con un «chi vota DC è un coniglio». Si attinge dal mondo animale e così un altro manifesto ritrae un somaro che raglia: «io non voto», mentre su una lavagna si leggono alcuni ammonimenti: «chi si astiene dal votare tradisce se stesso e la sua famiglia», «il voto è una conquista dell’uomo libero», «astenersi dal voto può essere una viltà». Vennero scomodati anche un pappagallo che garriva: «non voto, non voto, non voto» e un pimpante galletto assoldato per suonare la sveglia ai dormi- glioni il giorno del voto. In un derisorio manifesto si vede una coppia di mezza età: lei grassa con cappellino e abbondante rossetto regge tra le mani un pallone variopinto; lui barbuto Fig. 28- Due manifesti e occhialuto, cravatta verde, in della Democrazia Cristiana un girello per infanti, agita un che sfruttano la fi gura della madre.

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sonaglietto. La didascalia: «essi non votano perché non hanno ancora raggiunto l’età della ragio- ne». Sono immagini domestiche, rassicuranti, con le quali si vuole convincere il cittadino benpensan- te a sommergere con una valanga di voti Togliatti e Nenni che in- vano tentano di ripararsi sotto Fig. 29 - Lo scudo crociato difende un ombrellino rosso ma debbono l’Italia (a sinistra), o gronda sangue (a destra). prendere la via di Mosca, come raffi gurato nel manifesto Via col voto, parodia del fi lm Via col vento giunto in quei giorni sui nostri schermi. Ma si impiegò anche un’iconografi a meno bonaria e più mi- nacciosa per sgomentare i cittadini e indurli a votare. Il tema era ovviamente il pericolo di fi nire con la vittoria del Fronte sotto il tal- lone sovietico: «vota o sarà il tuo padrone» (uno scheletro in divisa dell’Armata Rossa), «difendi il frutto dei tuoi sudori» (un’ordinata fattoria che si difende dalle grinfi e dell’URSS con una barriera di voti che recinge lo spazio della proprietà privata), «salvati! vota» (da una bomba innescata con una falce e martello), «vota: per il tuo Paese!» (mentre una mano strappa la bandiera sovietica mostrando il vessillo tricolore), «difendilo vota! In Russia i fi gli sono dello Stato» (rivolto a un padre con il fi glioletto in braccio)… A proposito di bambini circola la leggenda già diffusa durante la Repubblica Sociale che i comunisti li deporterebbero in Siberia per poi mangiarseli. Indubbi fenomeni di cannibalismo vi furono nell’Unione Sovietica durante le micidiali care- stie degli anni Venti e Trenta o nella Leningrado lungamente assediata nella Seconda Guerra Mondiale, Fig. 30 - Il manifestino con i due che contribuirono ad alimentare la volti di Garibaldi-Stalin.

134 nomea che «i comunisti mangiano i bambini» e a rappresentare Stalin con le sembianze dell’ “orco rosso del Cremlino”. Ma è altrettanto indubbio che nessun bambino del nostro Paese fu deportato in Russia, anche se la leggenda fu sfruttata dalla propaganda per in- timorire l’opinione pubblica sulle

Fig. 31 - Giano bifronte e il nefandezze dell’inferno comuni- Fronte bifronte Garibaldi-Stalin. sta. Tanto che il citato Spartacus Picenus inserì nel Valzer di Mosca, uno sviscerato inno d’amore alla capitale del suo credo, i seguenti versetti:(Picenus, 1967, p. 135)

Ė di Mosca felice e gaia la gioventù, generosa, gentile e devota alla patria e al lavoro; ma i tesori più belli che si miran laggiù sono i bimbi che tanto adorò Gesù.

Anche le fake news sono sfruttate per demonizzare l’avversario e fra queste trovò largo riscontro la visione di San Giovanni Bosco nella quale il fondatore delle congregazioni dei Sale- siani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice profetizzava tempi di affl izione per la Chiesa di Roma: «I cavalli dei cosacchi si abbevereranno nelle fontane di San Pietro», un’immagine minacciosa che raffi gurava i moderni cavalieri dell’A- pocalisse che avrebbero aperto la stra- da ai barbari dell’Armata Rossa pronti a seminare terrore e distruzione in Va- Fig. 32 - Manifesti di ticano. Una leggenda che ha dato adito ammonimento a diverse interpretazioni – naturale il a non votare Garibaldi. ArteScienza, anno VI, dicembre 2019, N.12, ISSN 2385-1961 ______

riferimento ad Attila fermato sulle rive del Mincio da Leone Magno – ma che venne abilmente sfruttata dalla pro- paganda anticomunista per allarmare il pubblico sul pericolo che il Paese, e Roma in particolare, avrebbe potuto essere profanato da orde di invasori barbarici, che avrebbero portato in Ita- lia dittatura, miseria, e morte. Tutta la campagna elettorale della Democrazia Cristiana sarà decisamente orientata sul voto anticomunista presentato come un baluardo contro il bolscevismo ateo, illiberale, guerrafondaio. Una scelta di campo senza mezze misure, fra il bene Fig. 33 - Manifesto di esortazione e il male, espressa con estrema effi cacia a votare Garibaldi. dalla comunicazione visiva. In un ma- nifesto elettorale di Plinio Codognato è raffi gurato un giovane che richiama un patriota risorgimentale, con un occhio tumefatto, la capigliatura scomposta, avvolto in una bandiera tricolore, con la scritta: «Salvate l’Italia dal bolscevismo! Votate Democrazia Cristiana». Un secondo manifesto - questo però dei Comitati Civici – vede un guantone da boxe tricolore lanciare un pugno a un guantone rosso con il simbolo della falce e martello e la scritta: «Forza Italia! Vota anticomunista». Un manifesto più minaccioso mostra un soldato con colbacco, frusta e pugnale fra i denti e con l’interrogativo: «Ė lui che aspettate?» e un altro altrettanto fosco ritrae un sinistro fi guro con tanto di falce e

Fig. 34 - Manifesti del Fronte e manifesti contro il Fronte.

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Fig. 35 - Manifesti di propaganda della Democrazia Cristiana. martello e un piede scalzo nell’atto di calpestare l’Italia, con l’ammo- nimento: «Attenzione. Il comunismo ha bisogno di uno stivale». Del genere strappalacrime, ovvero «i comunisti mangiano i bambini», il manifesto della mamma che protegge col suo corpo due bambini, con la didascalia: «Madre! Salva i tuoi fi gli dal bolscevismo! Vota De- mocrazia Cristiana». Il ricorso alle madri era frequente, la propaganda era ben consapevole di stimolare i sentimenti più radicati della nostra gente, quindi si moltiplicarono i manifesti come quello di Marcello Dudovich che vede in primo piano una mamma con in braccio un bam- bino e la scritta: «Per l’avvenire dei vostri fi gli votate Democrazia Cri- stiana» o quello con la mamma sullo sfondo del fi glio morto in battaglia e l’ammonimento: «Non avremmo avuto la guerra se tu madre avessi potuto votare». Un’iconografi a che fece rapida presa sugli elettori, visto Fig. 36 - Manifesto il risultato del voto. antiamericano: La Democrazia Cristiana fece “Quello che il governo ricorso anche ad immagini meno De Gasperi non dice”.

137 ArteScienza, anno VI, dicembre 2019, N.12, ISSN 2385-1961 ______crude e più accattivanti, in particolare facendo risaltare in primo piano il suo simbolo, lo scudo crociato, che ripara dall’aggressione di una falce e di un martello l’Italia turrita che invoca: «Difendete- mi!». Sul manifesto viene rispolverato il motto mazziniano “patria famiglia libertà”. Il Fronte Democratico Popolare, tirato in ballo da queste continue accuse di presunte aggressioni, si difese attaccando con un manifesto dove la croce con la parola libertas sullo scudo nascondeva in realtà un pugnale grondante sangue. Decisamente divertente il volantino con il viso di Garibaldi che, capovolto, diventava il volto di Stalin. Di stampo analogo il mani- festo di Giano bifronte con il doppio volto di Garibaldi e Stalin e la scritta: «Chi vota Fronte vota Bifronte». Diffi dare del richiamo ga- ribaldino fu uno dei temi più martellanti della campagna elettorale della Democrazia Cristiana, che ammoniva ad ogni angolo di strada che dietro a quel simbolo si imboscava il bolscevismo e il voto dato a quest’ultimo equivaleva a un tradimento della patria. Naturalmente il Fronte Popolare rispose per le rime con ma- nifesti che non solo mettevano in guardia contro le mire eversive della Democrazia Cristiana che avrebbe comunque cercato di prendere il potere anche senza i voti ma a suon di randellate («È cominciata la Santa Crociata per la salvezza della civiltà occidentale. La D.C. vincerà con e senza i voti. Contro il fascismo vota Garibaldi!») ma che allettavano gli elettori con promesse di prosperità: «Per la pace la libertà il lavoro votate Garibaldi» era lo slogan ammiccante che occhieggiava ad ogni angolo di muro, ma che la Democrazia Cristia- na controbatteva con «pace perduta

Fig. 37 - Manifesto tratto da una libertà soppressa lavoro forzato» e vignetta di Giovannino Guareschi con il muso del lupo nascosto dietro su «Candido». l’agnello.

138 Antonio Castellani La propaganda murale nella campagna elettorale del 1948 ______

La Democrazia Cristiana si rivolse al suo elettorato tradizio- nale (coltivatori diretti, impiegati statali…) con manifesti che pro- mettevano anch’essi pace e libertà, garantita dagli aiuti americani, in particolare dal grano. La replica fu immediata: «Il governo De Gasperi non dice che… invece delle migliaia di tonnellate di materie prime che ci vengono negate, gli americani ci impongono di acquistare polvere di uova essiccate, polvere di piselli… frutta secca e fresca (mentre in Sici- lia e nel Mezzogiorno per il rifi uto Fig. 38 - Un celebre manifesto del governo a esportare nei paesi elettorale di Guareschi. di nuova democrazia marciscono tonnellate di ottimi prodotti italiani), Coca-Cola (mentre alla S. Pellegrino l’orario di lavoro si è dovuto ridurre alle 24 ore settimanali); … prima di darci gli aiuti gli ame- ricani ci hanno preso 137 miliardi di carta moneta, 300 miliardi di immobili e materiale requisito, 30 miliardi di prodotti forestali…; … che in cambio degli aiuti gli americani si impadroniscono di quella parte della nostra industria che fa loro comodo (L’industria petroli- fera italiana è dominata dal capitale americano… Sei delle otto linee aere italiane sono state monopolizzate dagli americani…); … che fi lm italiani (come Paisà, Suscià, ecc.) pur lodati dalla critica mondiale sono stati esclusi dalle nostre sale perché così vuole il monopolio ci- nematografi co americano;… che gli americani impongono al governo di smobilitare quei complessi industriali che disturbano i loro piani. Anche il Fronte socialcomunista ebbe il suo scandalo da sbandie- rare come esempio della corruzione democristiana. Quarantacinque giorni prima delle elezioni, il 3 marzo 1948, viene arrestato in Vatica- no il monsignore triestino Edoardo Prettner Cippico, alto funzionario della Santa Sede, accusato di traffi co clandestino di valuta e di furto di gioielli a lui affi dati. Il Fronte fu preso in contropiede perché la

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Fig. 39 - Manifesti elettorali tratti da vignette di Guareschi su «Candido».

notizia, sia pure laconicamente, venne anticipata dall’ “Osservatore Romano” proprio per prevenire il clamore dello scandalo. Ma il caso venne comunque cavalcato dai giornali del Fronte che battezzarono l’ex-prelato “monsignor Cagliostro” e bollarono la Santa Sede come centrale di frodi valutarie. Naturalmente lo scandalo venne sfruttato per attaccare la Democrazia Cristiana. Nei manifesti sotto il volto dell’accusato fu scritto: «Questi avrebbe votato DC» oppure: «DC = Don Cippico». E così lo scandalo Cippico divenne l’epicentro della propaganda comunista nelle ultime infuocate giornate della cam- pagna elettorale.

5 - Un caso emblematico: Giovannino Guareschi

Lo scrittore, umorista, disegnatore Giovannino Guareschi (1908- 1968) che proprio nel marzo 1948, a un passo dalle elezioni politiche, aveva pubblicato la raccolta di racconti Mondo piccolo. Don Camillo, si era buttato corpo e anima nella agitata campagna elettorale ab- bracciando senza incertezze la causa dei partiti fi looccidentali. Dalle pagine del settimanale «Candido» Guareschi esternava tutto il suo anticomunismo viscerale con vignette, articoli, rubriche che per la loro carica espressiva si collocano fra le realizzazioni più graffi anti della stampa satirica italiana. Su tutti gli slogan propagandistici pre- valse la didascalia della vignetta pubblicata sul n. 11 di «Candido» del 14 marzo 1948 nella quale si vedeva un elettore che, al chiuso

140 Antonio Castellani La propaganda murale nella campagna elettorale del 1948 ______

Fig. 40 - Da «Candido» n.43 – 26 ottobre 1947. della cabina elettorale, stava tracciando la sua croce sulla scheda. Dall’alto giungeva un ammonimento: «Dio ti vede, Stalin no!» diretto a rassicurare tutti coloro che erano stati intimiditi dalla aggressiva campagna elettorale del Fronte Popolare: vota senza timore, loro non ti vedono. Un secondo manifesto di grande effi cacia, sempre di Guareschi, mostrava lo scheletro di uno dei “100.000 prigionieri italiani non tornati” dalla Russia che supplicava: «Mamma, votagli contro an- che per me!». La vignetta, pubblicata sul n. 12 di «Candido» del 20 marzo 1948, esprimeva le angosce legate alla sorte di quasi un milione di uomini ancora in prigionia, le cui condizioni, a supporto della propaganda anticomunista, erano descritte nelle memorie del fuoriuscito sovietico Viktor Andrijovyč Kravčenko, la cui edizione italiana col titolo Ho scelto la libertà era stata pubblicata in quei gior- ni, che contenevano scioccanti rivelazioni sulla collettivizzazione, i campi di prigionia e l’uso del lavoro forzato nei paesi oltrecortina. Il cartellone tratto da questa vignetta fu oggetto di deturpazione e di distruzione da parte dei “frontagni” – i compagni del Fro-De-Pop secondo la defi nizione di Guareschi.

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Lo scrittore emiliano era dotato di un fi uto giornalistico ec- cezionale che gli consentiva di intuire con immediatezza i gusti e gli orientamenti dei lettori e di sfoderare ogni sette giorni disegni, battute, brevi articoli che condensavano una inventiva inesauribile. I comunisti venivano raffi gurati con tre narici (“trinariciuti”) dove la terza narice serviva a fare uscire la materia grigia del cervello per farvi entrare le direttive del partito e prenderne il posto. Celebre la vignetta seriale intitolata “Obbedienza cieca pronta assoluta” in cui si sbeffeggiavano i trinariciuti pronti a credere a qualunque notizia pubblicata su “L’Unità”, il quotidiano del Partito Comunista, anche se inverosimile per un refuso di stampa. Togliatti si infuriò per que- sta dissacrante derisione degli adepti al partito e insultò Guareschi durante un comizio a Bologna appellandolo «tre volte cretino», rincarando la dose in un altro comizio a La Spezia defi nendolo «tre volte idiota moltiplicato per tre». Per tutta risposta Guareschi scrisse su «Candido»: «Ambito riconoscimento».

6 - Conclusioni

Il risultato elettorale del 18 aprile 1948 premiò in modo anche troppo generoso il Centro moderato a discapito dei partiti della sinistra. Si era in un certo senso ripetuto quanto già avvenuto agli inizi degli anni Venti quando i ceti medi, i reduci di guerra, gli am- bienti militari, gli agrari videro nel Fascismo il baluardo contro la paventata importazione della rivoluzione bolscevica e la garanzia per il ripristino dell’ordine sociale ed economico. In cambio allora fu pagato un prezzo salato: una dittatura ventennale e una guerra che distrusse tutto, anche il buono che si era fatto. Questa volta le aspettative sono di democrazia, libertà e prosperità. Una valutazione i cui effetti furono determinanti per tutti gli anni a venire, cui sicu- ramente contribuì la capacità di convincimento della propaganda murale nei confronti di quegli elettori – la maggioranza – indecisa sino all’ultimo momento sulla preferenza politica. E se avesse vinto il Fronte Popolare? La storia si fa anche con i “se” perché non è diffi cile prevedere che in tal caso l’Italia, non

142 Antonio Castellani La propaganda murale nella campagna elettorale del 1948 ______

Fig. 52 - Guareschi, «Candido» n. 17, 25 aprile 1948.

ostante la declamata “via italiana al socialismo”, peraltro contrasta- ta da Stalin, sarebbe divenuta una repubblica popolare satellite di Mosca, al pari di Polonia, Germania Est, Romania, Bulgaria, Ceco- slovacchia… Lo zoccolo duro del Partito Comunista non si rassegnò supinamente alla sconfi tta elettorale e restò in attesa dell’ “ora X” che avrebbe segnato l’avvio del “piano K” per la presa del potere con la rivoluzione. Ora X che peraltro non arrivò – anche se si andò molto vicino dopo l’attentato a Togliatti del luglio 1948 - perché buona parte dell’arsenale che avrebbe costituito il braccio armato della rivolta – cannoni, mitra, fucili, bombe a mano… - era stato smantellato dalla polizia di Scelba prima delle elezioni. Baffone non venne e ci si sfogò col canto (AA.VV., 1998):

Operai e contadini abbiamo perso le elezioni, è stata colpa dei traditori che han tradito la libertà.

Si son lasciati comperare da quei signori capitalisti e han tradito i comunisti, i suoi compagni lavorator.

Voialtre mamme dell’Italia che ancora un giorno si pentiranno e i lor fi gli ancor vedranno abbandonare il suo casolar.

143 ArteScienza, anno VI, dicembre 2019, N.12, ISSN 2385-1961 ______

Cosa dirà poi Mario Scelba con la sua celere questura ma i comunisti non han paura difenderanno la libertà.

Forza compagni lavoratori, che sempre uniti noi saremo e tutti in coro noi canteremo «Bandiera rossa la trionferà».

Un successo che dura ancora oggi fu la canzone del contadino comunista Lanfranco Bellotti Vi ricordate quel 18 aprile composta l’indomani della sconfi tta del Fronte popolare, incisa anche dalla straordinaria voce di Giovanna Daffi ni, ex mondina, indimenticabile interprete di canzoni politiche, della Resistenza e di protesta:3

Vi ricordate quel diciotto aprile d’aver votato democristiani senza pensare all’indomani a rovinare la gioventù

O care madri dell’Italia e che ben presto vi pentirete i vostri fi gli ancor vedrete abbandonare lor casolar

Che cosa fa quel Mario Scelba con la sua celere questura? Ma i comunisti non han paura difenderanno la libertà

E operai e compagni tutti, che sempre uniti noi saremo e tutti in coro noi canteremo: »Bandiera rossa trionferà!«

Le elezioni politiche del 18 aprile 1948 misero defi nitivamente all’angolo il Partito Comunista che rimarrà all’opposizione fi no alla

3 CD Compilation, L’amata genitrice, I dischi del mulo, 300 004-2, 1991.

144 Antonio Castellani La propaganda murale nella campagna elettorale del 1948 ______seconda metà degli anni Settanta quando a seguito della crisi eco- nomica-energetica, della disoccupazione, degli scioperi e del terro- rismo culminato con l’assassinio di Aldo Moro le tensioni sociali e politiche tornarono ad acuirsi al punto da far temere una soluzione del tipo cileno. Per superare il momento di grave crisi istituzionale fu prospettato il progetto di coinvolgere l’opposizione in un gover- no di solidarietà (il cosiddetto “compromesso storico”) e il Partito Comunista, allora guidato da Enrico Berlinguer, tornò ad avere parte attiva nella guida della nazione attraverso la fi ducia concessa al Governo Andreotti, un quadripartito DC, PSDI, PSI e PRI (marzo 1978-marzo 1979). Ma le divergenze politiche e nella gestione del rapimento Moro, soprattutto con il PSI di Bettino Craxi, si fecero ben presto più acute e il PCI si ritrovò di nuovo all’opposizione e nel decennio successivo rimase completamente isolato, anche se alle ele- zioni europee del 1984 operò il sorpasso della Democrazia Cristiana con il 33,33% dei consensi. Nel novembre 1989 la caduta del muro di Berlino e il conseguente crollo dei regimi comunisti portarono allo scioglimento del Partito Comunista Italiano e alla creazione di una nuova formazione politica di stampo socialdemocratico. A sua volta la Democrazia Cristiana logorata da più di mezzo secolo di potere, sarà travolta a metà degli anni Novanta dagli effetti della cosiddetta “Tangentopoli” che segnerà il trapasso del Paese dalla Prima alla Seconda Repubblica.

145 ArteScienza, anno VI, dicembre 2019, N.12, ISSN 2385-1961 ______

Bibliografi a

AA.VV. (1998). Avanti popolo - Due secoli di canti popolari e di protesta civile, Roma, Ricordi. AVAGLIANO Mario, PALMIERI Marco (2018). 1948 Gli italiani nell’anno della svolta, Bo-logna, Il Mulino. PICENUS Spartacus (1967). Il Fronte Popolare in Canti comunisti, Milano, Edizioni del Calendario del Popolo. VETTA Valerio (2017). 18 aprile 1948 La Puglia al voto, Ospedaletto (PI), Pacini editore.

146 “Così il tempo presente. Omaggio al pensiero di Leonardo”

Un progetto, una mostra, un libro-documento

Carlo Francou*

DOI:10.30449/AS.v6n12.107

Ricevuto 12-09-2019 Approvato 6-11-2019 Pubblicato 26-12-2019

Sunto: Una rifl essione sul tempo, sviluppata dall’artista sperimentale Ugo Locatelli partendo da uno scritto di Leonardo da Vinci contenuto nel Codice Trivulziano 2162 (1478-1493). Il progetto è stato realizzato attraverso una mostra nella sede del Museo ge- ologico “G. Cortesi” di Castell’Arquato e un libro-documento. Castell’Arquato (Piacenza) è situato in una delle aree più signifi cative sotto l’aspetto paleontologico e Leonardo da Vinci fu il primo a parlare dei fossili del Piacentino. Nel suo Codice Leicester parla delle conchiglie fossili che ebbe modo di vedere quando lavorava a Milano per Ludovico il Moro.

Parole Chiave: Leonardo da Vinci, tempo, fossili, Castell’Arquato.

Abstract: A refl ection on the passage of time, developed by the experimental artist Ugo Locatelli starting from a script by Leonardo da Vinci contained in the Trivulziano Code 2162 (1478-1493). The project was carried out through an exhibition in the Geological museum “G. Cortesi” in Castell’Arquato and a book-document. Castell’Arquato (Piacen- za) is situated in a very famous area for their paleontological heritage. Leonardo da Vinci was the fi rst one who wrote about the fossils of Piacentino. In the Leicester Code, he spoke about the Castell’Arquato fossil shells he had the opportunity to see once he worked for Ludovico il Moro in Milan.

Keyword: Leonardo da Vinci, time, fossils, Castell’Arquato.

______* Direttore scientifi co del Museo Geologico “G. Cortesi” di Castell’Arquato (Piacenza) e già coordinatore del Museo di Storia Naturale di Piacenza.

147 ArteScienza, anno VI, dicembre 2019, N.12, ISSN 2385-1961 ______

Citazione: Francou C., “Così il tempo presente. Omaggio al pensiero di Leonardo”. Un progetto, una mostra, un libro-documento, «ArteScienza», Anno VI, N. 12, pp. 147-162, DOI:10.30449/AS.v6n12.107.

Un frammento del pensiero di Leonardo tratto da un suo scritto contenuto nel Codice Trivulziano 2162 (1478-1493) è all’origine del titolo e l’idea-guida del progetto concepito e realizzato dall’artista sperimentale Ugo Locatelli. Un itinerario culturale veicolato attra- verso una mostra e un libro-documento pluridisciplinare che lo costituiscono, ma soprattutto grazie alle percezioni di visitatori e lettori, che ne garantiscono l’estensione e l’apertura: «L’acqua che tocchi de’ fi umi è l’ultima di quella che andò e la prima di quella che viene. Cosí il tempo presente». La citazione ci indica che nel divenire del mondo, come nello scorrere dell’acqua di un fi ume, i contrari possono coincidere e che ogni fi ne è anche un inizio attraverso le metafore attive che si gene- rano. I diversi saperi ed elementi del progetto ne fanno in pratica un “ready made aperto” in continuo divenire, un crocevia di relazioni: in ogni tempo e in ogni sguardo l’insieme si ridisegna in una prospet- tiva originale. Locatelli sperimenta l’osservazione partecipante a varie qualità

Fig. 1 - A sinistra: Leonardo da Vinci, Studio di proporzione dell’occhio. Biblioteca Reale Torino 1489-1490. A destra: Ugo Locatelli, Sfaccettature. 2018.

148 Carlo Francou “Così il tempo presente. Omaggio al pensiero di Leonardo“ ______di un uomo – il Leonardo artista, scienziato e fi losofo - mediante l’esplorazione di alcune delle innumerevoli sfaccettature della sua mente, del suo disegno e della sua scrittura; con diversi possibili punti di vista e sguardi mirati. I temi sono le metafore dell’acqua, del fi ume e del tempo, che la rifl essione e la ricerca del genio vinciano suggeriscono. Con la mostra, allestita nella primavera scorsa nel salone d’onore del locale Museo geologico “G. Cortesi”, il Comune di Castell’Ar- quato ha inteso celebrare i 500 anni dalla scomparsa di Leonardo. Al progetto hanno collaborato il Collegio Alberoni di Piacenza, la Fondazione di Piacenza e Vigevano e il Museo Ideale Leonardo Da Vinci che ha sede a Vinci. Il libro-documento, edito per i tipi di UniversItalia, si avvale di una serie di contributi pluridisciplinari di Pascal Barrier (geologo e professore presso UniLaSalle di Paris-Beau- vois), Carlo Confalonieri (critico cinematografi co), Eleonora Fiorani (epistemologa e saggista), Luca Nicotra (presidente dell’associazione “Arte e Scienza” e direttore editoriale della casa editrice UniversIta- lia), Patrizia Soffi entini (giornalista e storica dell’arte), Franco Toscani (fi losofo e saggista) e Alessandro Vezzosi (critico d’arte, leonardista e direttore del Museo Ideale Leonardo Da Vinci). L’esposizione è stata sviluppata attraverso 21 tavole, ognuna

Fig. 2 - Una delle tavole della mostra. L’immagine a sinistra presenta il disegno di Leonardo da Vinci Vecchio di profi lo che studia vortici di acqua. Castello di Windsor, Royal Library, ca. 1513. A destra la sequenza delle 21 tavole.

149 ArteScienza, anno VI, dicembre 2019, N.12, ISSN 2385-1961 ______con l’immagine al reale di un disegno di Leonardo e, a lato, la ri- produzione in scala ridotta degli altri disegni esposti. Lo schema di una delle tavole intende suggerire, con sequenze di fotogrammi a destra, un tessuto fi lmico: non opere-fi nestre, ma proiezioni in atto di sguardi, di immagini fl usso. Una mostra che ha messo in evidenza l’azione divulgativa che può essere svolta da parte di un artista nei confronti di tematiche di carattere scientifi co, come appunto quella del rapporto tra lo scorrere del tempo e le testimonianze fossili di un luogo quale è appunto il sito di Castell’Arquato. Ugo Locatelli è interessato a progetti riguardanti l’arte speri- mentale e di ricerca, l’osservazione del mondo oltre le apparenze e le abitudini, il dialogo fra pensiero e immagine, l’intreccio dei sa- peri. La ricognizione per mezzo della fotografi a inizia nel 1962, con esperienze sulla possibilità di sottrarre elementi del reale a sguardi superfi ciali. Alcuni progetti vengono realizzati con altri autori, come l’artista francese Ben Vautier del Gruppo Fluxus per il “Festival Internazionale Non-Art” nel 1969 e lo scrittore Sebastiano Vassalli per “Teatro Uno. Il Mazzo. Il gioco del teatro del Mondo”, esposto alla Biennale di Venezia nel 1972. Come sottolinea Luca Nicotra nel suo saggio nel libro documento (Nicotra, 2019):

Leonardo è la personifi cazione della massima sintesi fra immaginazione artistica e scientifi ca. Nei suoi straordinari disegni di macchine, di fi gure umane, di animali, di piante, nei suoi dipinti, nella sua stessa opera d’architetto militare, scienza e arte sono un tutt’uno, l’una non può essere separata dall’altra, così come accadrà un secolo dopo anche con Galileo Galilei, la cui opera letteraria e scientifi ca è un tutt’uno inseparabile. Già Dante Alighieri riconosceva l’imporanza del metodo sperimentale [...] Ma Leonardo va oltre Dante, perché reputa necessario accostare all’esperienza la matematica, divenendo così il più chiaro precursore del metodo scientifi co moderno, fondato sulla fusione fra esperimento e matematica. I richiami all’uso dell’esperienza e della matematica sono numerosi negli sparsi frammenti degli scritti leonardeschi e costituiscono una inequivocabile anticipazione del metodo fi sico-matematico che contraddistinguerà la scienza moderna da Galilei in poi.

150 Carlo Francou “Così il tempo presente. Omaggio al pensiero di Leonardo“ ______

Perché una mostra su Leonardo a Castell’Arquato e in un museo che ha come argomento di ricerca lo studio dei fossili? Il visitatore che raggiunge Castell’Arquato dal fondovalle, scorge lungo il viale che affi anca la collina del basso paese una bancata di biocalcareni- te, testimonianza tangibile di quel braccio di mare che fi no a circa 1,2 milioni di anni fa occupava l’attuale Pianura Padana. Su quei sedimenti poggia le proprie fondamenta l’intero borgo medioevale. Diversi edifi ci, muraglioni, gradini del centro abitato più antico sono stati infatti costruiti in epoca medioevale utilizzando proprio conci d’arenaria cementata all’interno dei quali si possono vedere chiaramente frammenti di conchiglie. Fu Leonardo da Vinci alla fi ne del XV secolo a riconoscere per primo l’origine organica di questi resti, confutando le teorie che a quel tempo indicavano il Diluvio Universale quale loro origine. L’artista e

Fig. 3 - Una veduta d’insieme del borgo di Castell’Arquato. studioso ebbe modo di vedere diverse conchiglie fossili provenienti dalla Valdarda e dalle aree limitrofe mentre si trovava a Milano dove stava lavorando alla statua equestre di Francesco Sforza. Proprio a lui si deve la più antica citazione dei fossili locali, riportata nel suo celeberrimo Codice Leicester (Codice Leicester,

151 ArteScienza, anno VI, dicembre 2019, N.12, ISSN 2385-1961 ______folio 9 verso)1:

Vedesi nelle montagne di Parma e Piacenzia le moltitudine de’ nichi e coralli intarlati, ancora appiccicati alli sassi; de’ quali, quand’io facevo il gran cavallo di Milano, me ne fu portato un gran sacco nella mia fabbrica da certi villani, che in tal loco furon trovati; fra li quali ve n’era assai delli conservati nella prima bontà.

Fig. 4 - La bancata calcarenitica costituita dai sedimenti del mare pliocenico affi orante lungo il viale delle Rimembranze. Su di essa poggia le proprie fondamenta l’intero borgo medioevale.

È sempre Leonardo, nel medesimo Codice, a contestare le cre- denze che in quell’epoca indicavano il diluvio noetico come causa della presenza di resti marini su montagne e colline (Codice Leicester, folio 10 recto):

Della stoltezza e semplicità di quelli che insistono nell’affermare che questi animali (marini) si trovino in luoghi così distanti dal mare

1 Il Codice Leicester fu redatto da Leonardo tra il 1506 e il 1510, l’avvenimento a cui si riferisce il maestro nel folio 9 verso è sicuramente antecedente il 1493, anno nel quale il colossale modello in creta del cavallo venne esposto pubblicamente. La statua però non venne mai realizzata perché il bronzo necessario alla fusione non era disponibile essendo stato utilizzato per realizzare dei cannoni. All’arrivo delle truppe francesi nel 1499 il mo- dello, lasciato a se stesso nel Castello Sforzesco, venne preso di mira dalle soldataglie che lo distrussero completamente.

152 Carlo Francou “Così il tempo presente. Omaggio al pensiero di Leonardo“ ______

perché qui trasportati dal Diluvio; come della stoltezza di quell’altra setta di ignoranti che affermano la natura o gli astri siano la causa della loro creazione, dovuta a infl ussi celesti...

Lusus naturae, materia pinguis, aura seminalis, spiritus lapidifi cus, succus lapidescens, l’epoca di Leonardo è costellata di astruse teorie che, come abbiamo visto, già in precedenza avevano animato le cronache medioevali e che persisteranno ancora per secoli. Del re- sto non bisogna dimenticare che ancora nel 1775 G. W. Knorr e J. E. Walsch pubblicarono una signifi cativa opera paleontologica in più volumi riccamente illustrati sulle Lapides diluvii universalis testes (Ac-

Fig. 5 - Resti di gasteropodi fossili rinvenuti nell’area orientale della provincia di Piacenza ancora inglobati della matrice sabbiosa. cordi, 1984). Fu soprattutto dalla fi ne del Settecento che nei terreni argillosi e sabbiosi dell’area orientale dell’Appennino piacentino, ed in particolare lungo le ripide pareti dei calanchi e nelle incisioni di piccoli rii delle valli del Nure, Chiavenna, Arda e Ongina, vennero alla luce le testimonianze fossili più signifi cative di quello che viene abitualmente chiamato il “mare pliocenico”. Chi contribuì maggiormente alla ricerca e alla conoscenza del Pliocene locale fu Giuseppe Cortesi, consigliere del tribunale di Pia- cenza e successivamente professore onorario di geologia all’Universi- tà di Parma. A lui si devono i ritrovamenti di grandi resti di balene e

153 ArteScienza, anno VI, dicembre 2019, N.12, ISSN 2385-1961 ______delfi ni, studiati e ammirati anche dal paleontologo francese Georges Cuvier che descrisse i preziosi fossili rinvenuti in Val Chiavenna e in Val d’Arda visitando personalmente la collezione di Cortesi. È lo stesso Cortesi nei suoi scritti a riferire di resti scheletrici fos- sili venuti alla luce in quegli anni e attribuiti dalla fantasia popolare alla presenza in loco di ipotetici draghi (Cortesi, 1814, p. 66):

Siffatte ossa furono anche in parecchi luoghi, per ignoranza o per superstizione, risguardate, ora come ossa di giganti, ora come spoglie di enormi mostri che infestavano le provincie, e che la potenza miracolosa di un qualche Santo aveva fatto perire; onde ebbero talvolta l’onore di essere esposte ne’ Templj; come testimonj preziosi di grazie ricevute.

L’importanza e la grande varietà di esemplari, specialmente per quanto riguarda la malacologia, richiamarono a più riprese l’attenzio- ne di numerosi studiosi italiani e stranieri. Allo studioso svizzero Carl Mayer si deve l’istituzione nel 1858 di un piano geologico che prende il nome dalla provincia di Piacenza - il Piacenziano - utilizzato ancora oggi per indicare quelle “argille azzurre” di cui proprio la Val d’Arda è la zona più signifi cativa. Ancora una volta è Leonardo da Vinci ad offrirci, attraverso una visione paleogeografi ca straordinariamente esplicativa, quello che doveva essere il paesaggio dell’attuale Pianura Padana nel Piacenziano (Codice Leicester, folio 10 verso):

Nel bacino del Mediterraneo […] il livello delle acque lambiva le falde dei monti che lo circondavano; e le cime dell’Appennino si trovavano in questo mare, spuntando come isole, strette da acque salate. […] Anche sopra le pianure d’Italia, dove oggi volano a stormi gli uccelli, i pesci erano soliti muoversi in numerosi branchi.

Una raffi gurazione che bene evidenzia ciò che un immaginario osservatore avrebbe potuto cogliere dell’antico mare padano e di cui la biocalcarenite citata in precedenza, ricca di detrito conchigliare, costituisce uno degli ultimi lembi. All’interno di questa bancata giallastra - come è possibile osservare anche nei conci dello stesso materiale utilizzati per la costruzione dei più antichi edifi ci del borgo quali ad esempio la Collegiata dell’Assunta - abbondano resti fossili

154 Carlo Francou “Così il tempo presente. Omaggio al pensiero di Leonardo“ ______di bivalvi, alghe calcaree e coralli. Nel Pliocene superiore circa 2,5 milioni di anni fa, la calotta glaciale artica è ormai completamente formata. Gli effetti connessi al graduale raffreddamento del nostro emisfero sono ben evidenti anche nelle successioni marine padane quali gli affi oramenti lungo il torrente Arda, dove, oltre ad un ulteriore ritiro del mare, si regi- stra la defi nitiva scomparsa degli organismi ad affi nità tropicale. Nel bacino padano l’abbassamento del livello del mare è inoltre amplifi cato dagli effetti di un impulso orogenetico che tra circa 2,4 e 2,2 milioni di anni fa dà luogo ad un generalizzato sollevamento del margine appenninico. Le conseguenze di questo nuovo evento sono particolarmente evidenti nei sedimenti dell’area emiliana, dove la regressione marina è accompagnata da un sensibile arretramento della linea di costa che, in breve tempo, si posiziona al piede dell’at- tuale sistema collinare. Lentamente il paesaggio cambia radicalmente e il mare lascia gradual- mente posto ad un acquitrino fango- so. La primitiva fauna della Pianura Padana si caratterizza per la presenza di elefanti, rinoceronti, ippopotami, bovidi e varie specie di cervi i cui resti sono stati a più riprese rinvenuti anche lungo il torrente Arda, a poche centi- naia di metri da Castell’Arquato. Al termine dell’ultimo episodio glaciale, circa 10.000 anni fa, la temperatura si alza e il clima si fa più mite. Cresce così l’azione dell’uomo che inizia a modifi - care gli equilibri naturali trasforman- Fig. 6 - Un concio di calcarenite do l’ambiente alle proprie necessità. della facciata della Collegiata dell’Assunta con ben visibili Una trasformazione che, soprattutto alcuni resti fossili. dopo l’avvento dell’era industrializ- zata, ha portato ad una accelerazione esponenziale nei processi legati ai cambiamenti climatici le cui con- seguenze sono sotto i nostri occhi. Fra tanti esempi il problema del

155 ArteScienza, anno VI, dicembre 2019, N.12, ISSN 2385-1961 ______surriscaldamento climatico che ha portato in certe aree del pianeta alla desertifi cazione e alla sensibile riduzione di specchi d’acqua indispensabili alla sopravvivenza delle popolazioni locali, come nel caso del lago Ciad che in 50 anni ha ridotto a un decimo la propria superfi cie (Fiorani, 2019). Il medesimo surriscaldamento sta provo- cando un sensibile ritiro dei ghiacci e la riduzione della calotta artica, con conseguente innalzamento del livello marino degli oceani e con il

Fig. 7 - A sinistra: Leonardo da Vinci, Studio di proporzione del volto, Biblioteca Reale Torino, ca. 1489. A destra: Ugo Locatelli, Il presente del passato 1, 2018. concreto rischio che interi atolli vengano completamente sommersi. Lo studioso scozzese Charles Lyell (1797-1875), considerato il padre della geologia moderna, nei suoi Principi di geologia ci aiuta a renderci consapevoli del tempo e dello spazio in una visione ben più ampia di quella legata alla fi nitudine umana.2

Invano aspiriamo a fi ssare dei limiti alle opere della creazione nello spazio, che oggetto del nostro esame sia il cielo stellato o che sia, invece, quel mondo di minuscoli insetti che ci viene rivelato dal microscopio. Siamo perciò ben preparati ad accorgerci che anche nel

2 Nel 1830 venne pubblicato il primo volume dei Principi di geologia, poi seguito dal secondo (1832) e dal terzo (1833), in cui l’autore esponeva le proprie osservazioni e deduzioni sui principi alla base della formazione ed evoluzione della superfi cie terrestre.

156 Carlo Francou “Così il tempo presente. Omaggio al pensiero di Leonardo“ ______

tempo i confi ni dell’universo sono al di là della portata della nostra stirpe mortale.

Questa rifl essione da sempre accompagna il pensiero dell’uomo, che in ogni epoca e luogo, non cessa di interrogarsi sul proprio esiste- re. Scriveva nelle Confessioni a questo proposito Agostino d’Ippona (354-430 d.C.):

Dunque, che cos’è il tempo? Se nessuno me lo chiede, lo so; se voglio però spiegarlo a chi me lo chiede, allora non lo so più. Comunque posso dire con sicurezza di sapere che, se non passasse nulla, non esisterebbe un tempo passato; se nulla dovesse venire, non esisterebbe un tempo futuro; se non esistesse nulla, non esisterebbe un tempo presente.

Mille anni dopo Leonardo da Vinci riprende indirettamente le parole di Agostino con un’intensa e rivelatrice defi nizione del tempo che scorre, mettendolo in relazione all’acqua e alla contemporaneità (Leonardo da Vinci, Codice Trivulziano):3

L’acqua che tocchi de’ fi umi è l’ultima di quella che andò e la prima di quella che viene. Così il tempo presente.

Poche righe, annotate su un manoscritto in grado di aprirci mille orizzonti di conoscenza. Un punto di partenza per Ugo Locatelli che, ancora una volta, ha sviluppato un progetto multidisciplinare che fa seguito a precedenti eventi espositivi nell’ambito delle scienze. Se con Rilucere. Oltre l’apparenza (2014) l’indagine riguardava in particolare il campo astronomico, con Plantae. Sentieri sensibi- li”(2015-2016)4 l’osservazione del mondo vegetale e Quasicristalli. Intrecci segreti fra natura, scienza e arte (2017-2018)5 quella del mondo apparentemente inanimato delle scienze geologiche, l’Omaggio a Le-

3 Il Codice Trivulziano 2162 è una raccolta di disegni e scritti di Leonardo da Vinci, com- prendente 51 carte databili tra il 1478 e il 1493, attualmente conservato nella Biblioteca Trivulziana presso il Castello Sforzesco di Milano. 4 Le due mostre sono state allestite nel Museo Civico di Storia Naturale di Piacenza. 5 La rassegna è stata allestita nel 2017 nel Museo Civico di Storia Naturale di Piacenza e nel 2018 nel Museo Geologico “G. Cortesi” di Castell’Arquato.

157 ArteScienza, anno VI, dicembre 2019, N.12, ISSN 2385-1961 ______onardo costituisce una sintesi dei precedenti percorsi, aprendosi nel contempo a nuovi spazi di ricerca, come è solito procedere Locatelli nei suoi oltre cinque decenni di attività di promozione culturale nel campo delle arti visive, e non solo. L’artista-ricercatore, anche in questa occasione, predilige un ap- proccio rigoroso ma al tempo stesso aperto, aiutandoci a leggere con uno sguardo diverso una delle fi gure più emblematiche del nostro Rinascimento. E questo, in un’epoca nella quale sembra che l’umanità stia sempre più perdendo di vista il proprio ruolo di “custode della terra”,6 non è poca cosa.

La più importante lezione che la geologia può impartirci è quella dell’immensità del tempo. Non è diffi cile per noi trarre conclusioni a livello intellettivo: l’età della Terra, quattro miliardi e mezzo di anni, esce facilmente dalle nostre labbra. Tuttavia per capire il valore reale dell’astrazione numerica costituita dai quattro miliardi e mezzo di anni, dobbiamo ricorrere alla metafora e considerare quanto sia stata insignifi cante la durata dell’intero processo dell’evoluzione umana rispetto al tempo passato dalla nascita della Terra, per non parlare di quel cosmico nanosecondo che è la nostra vita. Stephen Jay Gould.7

Il tema del tempo che scorre, come abbiamo letto nelle parole di Gould, è centrale nell’ambito delle scienze della Terra per quanto riguarda l’evoluzione dei viventi ma non solo. La geologia infatti vede anche il paesaggio stesso, nel suo insieme, in modo sempre dinamico, mai statico come potrebbe sembrare un colle. Non solo in un cielo attraversato dalle nubi o nel fl uire dell’ac- qua in un torrente, ma anche fermando lo sguardo davanti a un sequenza di monti apparentemente immota è possibile cogliere l’impercettibile movimento che ne caratterizza il continuo processo orogenetico, purtroppo ben testimoniato dai tanti eventi sismici di cui proprio l’Appennino rappresenta un’area particolarmente attiva.

6 «La terra ci precede e ci è stata data», scrive a questo proposito papa Francesco nella Lettera enciclica Laudato si’, 2015. 67. 7 Stephen Jay Gould (New York 1941 – 2002) è stato un biologo, zoologo, paleontologo e storico della scienza. Docente di zoologia e geologia all’Università di Harvard e studioso di evoluzionismo.

158 Carlo Francou “Così il tempo presente. Omaggio al pensiero di Leonardo“ ______

Fig. 8 - Il torrente Arda a Castell’Arquato. La lenta azione dell’acqua nel suo fl uire mette a nudo, giorno dopo giorno, le antiche testimonianza fossili di cui parla Leonardo da Vinci.

Un paesaggio che, al di là dei disastri naturali legati a terremoti o dissesti idrogeologici, muta nel suo aspetto anche attraverso l’azione delle acque meteoriche o addirittura del vento. Frammenti di roccia rotolano lungo i pendii e vengono raccolti dal fi ume che ne modella i contorni e li spinge sempre più a valle, fi no alla foce dove fi niranno in mare per essere a loro volta piccole particelle che tra milioni di anni andranno a costituire nuovi rilievi montuosi in un continuo divenire. Così il tempo presente.

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Verso una fi losofi a del fi tness

Antonella Lizza*

DOI:10.30449/AS.v6n12.108

Ricevuto 30-10-2019 Approvato 8-12-2019 Pubblicato 20-12-2019

Sunto: Il fi tness non è un ambito legato esclusivamente alla attività fi sica ma spazia oltre i confi ni del corpo per proporsi come stile di vita e fi losofi a. Dai tempi della antica Grecia non era sfuggita questa profonda connessione corpo e anima e con la nascita della moderna psicoanalisi è diventato sempre più evidente che la stessa malattia non è altro che una denuncia corporea del disagio interiore spesso non riconosciuto razionalmente. Da Freud in poi ci siamo resi conto sempre più come la psicosomatica sia scienza. Il fi tness, in questa concezione più ampia, può diventare risorsa preziosa che riporta mente e cuore, anima e corpo in dialogo e in riequibrio

Parole Chiave: Benessere Psicosomatica Fitness Filosofi a

Abstract: Fitness is not an area exclusively linked to physical activity but it goes beyond the boundaries of the body to present itself as a lifestyle and philosophy. From the times of ancient Greece this profound body and soul connection had not escaped and with the birth of modern psychoanalysis it has become increasingly evident that the same disease is nothing but a bodily denunciation of inner discomfort that is often not rationally reco- gnized. From Freud onwards we have become increasingly aware of how psychosomatics is science. Fitness, in this broader conception, can become a precious resource that brings back mind and heart, soul and body in dialogue and re-equilibrium

Keyword: Psychosomatic Wellness Fitness Philosophy

Citazione: Lizza A., Verso una fi losofi a del fi tness, «ArteScienza», Anno VI, N. 12, pp. 163-174, DOI:10.30449/AS.v6n12.108.

______* Creatrice e Direttrice della “Academy Alta Formazione Fitness”, Comitato Nazionale ACSI (CONI); fi [email protected].

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1 - Perché una fi losofi a del fi tness

Mi piace la concezione di fi losofi a così come la vede Plato- ne: “l’uso del sapere a vantaggio dell’uomo” (Platone, Eutidemo) Nonostante l’origine del termine e il suo signifi cato epistemologico siano più controversi, la visione di Platone mi risulta particolarmente amichevole e in un certo senso più adeguata quando si deve parlare del “sapere per il benessere”. Filosofi a: termine che deriva dal greco antico: φίλείν (fi lèin), “amare”, e σοφία (sofìa), “sapienza”, ossia “amore per la sapienza”, un campo di studi che tenta di studiare e defi nire le possibilità e i limiti della conoscenza. Fitness philosophy quindi come studio della conoscenza che porta al benessere psicofi sico ma anche come studio delle complesse rela- zioni e reazioni che condizionano il nostro modo di essere e di vivere subordinatamente al mondo esterno e a come lo interiorizziamo. Dire che il nostro corpo e la nostra mente sono strettamente con- nessi, consciamente e inconsciamente, è una affermazione assoluta- mente non originale. Ovunque lo si legge, chiunque lo dice: il fi tness è uno stile di vita; mente e corpo si infl uenzano a vicenda; benessere fi sico e benessere psicologico sono interdipendenti; siamo quello che pensiamo. Non c’è bisogno di scomodare campioni olimpici o premi nobel, nessuno si sognerà di dire il contrario. Molto più diffi cile è vivere realmente in modo fi tness, cosa che non ha nulla a che vedere con allenarsi tutti i giorni, oppure con il seguire diete meticolose costantemente. Nel mio personale approccio la visione fi losofi ca del fi tness ha come tensione costante l’“equilibrio”, ovvero la capacità di bilanciare costantemente psiche e corpo. Tradotto nella mia vita di atleta e campionessa di livello mon- diale questo signifi ca: una pratica costante nel tempo, che permette di vivere una profonda passione senza che questa diventi esclusiva e omnicomprensiva, né come attività né come pensiero. Come in ogni campo dove primeggia il talento innato (musica, arte, pittura, canto, danza ecc.) facilmente una passione sfi ora pic- chi di tale intensità da assorbire molte energie. Pertanto il confi ne

164 Antonella Lizza Verso una fi losofi a del fi tness ______tra avere un talento eccezionale che ci porta a perseguire il nostro sogno e restare avvolti da una specie di ossessione può diventare molto sottile. Lavoro da oltre trenta anni come formatrice, insegnando non solo a sportivi ma agli stessi istruttori, e ho creato una scuola nazionale che non si occupa solo di tecnica, ma diffonde anche il messaggio educativo ed esistenziale profondo portato dallo sport e dal bisogno di “educare” corpo e mente, anche attraverso il movimento. Sussistono molti dubbi, perplessità e imprecisioni quando si parla di fi tness.

2 - Che cosa e’ il fi tness

Di “fi tness” si sente parlare tanto, a volte troppo visto che ormai è il termine più utilizzato per reclamizzare di tutto...anche a sproposito. Defi niamo meglio questo termine e che cosa implica “fare” o “essere” fi tness. Nel mondo delle palestre questo vocabolo può indicare tre aspetti: 1. Uno “stile di vita” improntato su sane abitudini (alimenta- zione, sonno, prevenzione malattie, ecc.), sull’attività fi sica e sul benessere anche psicologico. 2. Un approccio di “allenamento” fi nalizzato a un ottimale condizionamento fi sico. 3. Un “settore agonistico specifi co”, le cui gare prevedono sia la valutazione dell’ aspetto fi sico, dal punto di vista muscolare, sia la valutazione di abilità ginnico-motorie sia la valutazione dell’aspetto estetico complessivo.

3 - Concentriamoci sul fi tness come stile di vita

Gli etruschi si allenavano con i pesi. In Grecia, patria delle olim- piadi, le terme erano un complesso che prevedeva anche palestre, campi da gioco, biblioteche, giardini e opere d’arte.

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Nella Roma imperiale i cittadini erano soliti passare il tempo libero frequentando le terme, qui si trovavano bagni di vapore, pi- scine e massaggi e l’allenamento preferito erano corse, giochi con la palla, esercizi con manubri (altere) a cui si dedicavano anche le donne. Jèròme Carcopino, nella sua ricostruzione della vita di Roma (Carcopino, 1973), parla di uno sdegno per il puro atletismo che allontanava i giovani dall’arte del guerreggiare, per dedicarsi alla bellezza del corpo, ma anche di una diffusa pratica degli esercizi in palestra, considerati necessari per la salute. Questo è il più chiaro esempio di un amore per la cura del cor- po e dello spirito, che ben esprime l’essenza del concetto di fi tness, concetto che Giovenale esprime nel conosciutissimo distico «mens sana in corpore sano». La cultura classica ci ha trasmesso i valori della “forza” e della “perfezione fi sica” in chiave mitologica e artistica e noi possiamo attingere dalle esperienze dell’antichità gli aspetti positivi e miglio- rarli grazie al sapere e alla cultura dei nostri tempi. Cosi possiamo promuovere un concetto di «mens sana in corpore sano» per tutti, che non guarda differenze né di genere, né di età, né di ceto sociale. Soprattutto, possiamo smettere di continuare a dividere i dibattiti fi losofi ci tra “materialismo e spiritualismo” (de La Mettrie, 2015; Cousin, 2001) e i talk show incentrati su “essere” e “apparire”, perché nessuno ormai mette in dubbio che tutto è correlato e che per vivere più sereni dobbiamo prenderci cura sia del corpo che della mente. Il concetto fi tness esprime la condizione di benessere psico-fi sico desiderabile come ottimale. Si tratta di un vocabolo inglese che noi possiamo tradurre come: essere adatto, capace, sano, in forma; quindi il fi tness è un “modo di essere”, che si raggiunge attraverso uno stile di vita che ha come obiettivi la salute fi sica e psicologica. Succede spesso che questo termine venga usato per designare una specifi ca attività, piuttosto che il risultato che da questa si può ottenere; praticamente si confonde il mezzo (esercizio fi sico) con il risultato (effi cienza fi sica), generando quella confusione che porta a chiedere di “fare del fi tness” piuttosto che di “essere fi tness”. Noi possiamo continuare a fare in palestra attività che ci vengono vendute come fi tness, ma se vogliamo “essere fi tness”, cioè raggiunge-

166 Antonella Lizza Verso una fi losofi a del fi tness ______re una condizione di benessere completo, dobbiamo chiederci quali sono le effettive necessità di una buona funzionalità fi sica e mentale. Passando a un approccio più tecnico e alle metodologie per il raggiungimento del fi tness, possiamo dividere le componenti del be- nessere in risultati fi sici e risultati psicologici, dove il livello di forma che si vuole ottenere deve essere quello che ci rende potenzialmente idonei ad affrontare il nostro tipo di vita. Dal punto di vista pratico questo signifi ca che la perfetta forma di una persona non coincide necessariamente con quella di un’altra: un ragazzo, un anziano, un atleta, un impiegato, hanno differenti necessità in termini di energia, abilità e rendimento mentale, rispetto alle attività che sono soliti svolgere. Ognuno, quindi, deve aspirare a migliorare il proprio benesse- re, in base alle sue condizioni e ai suoi bisogni, e non seguendo un modello standard di riferimento. A ben guardare la percezione della condizione psico-fi sica è spesso inferiore ad una stima reale di ciò che sarebbe opportuno fare od essere. Riprendendo l’esempio dell’impiegato si potrebbe pensare che, per un lavoro prevalentemente sedentario e intellettua- le, l’effi cienza fi sica non debba avere importanza, e questo porta a un progressivo deterioramento di abilità e condizioni di benessere; il fi tness è, al contrario, proprio il mantenimento e lo sviluppo di queste condizioni.

4 - La connessione mente - corpo e il benessere

Parlando dell’aspetto psicologico dell’essere fi tness ci riferiamo a una condizione ottimale di salute mentale, non in senso psichiatrico, ma come sinonimo di assenza, o meglio di controllo dello stress. Un po’ di stress, cioè di tensioni emotive, fa bene perché stimola il nostro sistema nervoso (studi scientifi ci provano che il cervello che “lavora” si mantiene più giovane), ma troppo stress fa male. Il fi tness, in questo senso, va inteso come capacità di eliminare e/o dominare le situazioni che incidono sulla nostra serenità e sul nostro equilibrio interiore. È importante raggiungere una condizio-

167 ArteScienza, anno VI, dicembre 2019, N.12, ISSN 2385-1961 ______ne di fi ducia e sicurezza di sé, rafforzando processi di autostima e migliorando il proprio rendimento mentale e la vitalità. L’appagamento interiore è sicuramente l’obiettivo più elevato di ogni azione umana. Per questo penso che quando si decide di praticare uno sport o di iscriversi in palestra, bisogna scegliere una attività che si trova piacevole. Esiste un legame molto forte tra ciò che pensiamo a livello razionale, le emozioni inconsce e la fi sicità. L’aspetto esteriore dà una impressione a chi ci circonda, ma quando noi visualizziamo il nostro corpo diamo una impressione a noi stessi:

• se prevale la sfera mentale, noi vediamo quello che pensiamo di essere; • se prevale l’inconscio, noi vediamo quello che sentiamo di essere; • se prevale la sfera materiale, noi ci consideriamo in base a quel- lo che vediamo.

Queste tre sfere di coscienza si alternano continuamente in ogni persona, a volte con effetti destabi- lizzanti, e si arriva a una percezione confusa di insicurezza e frustrazio- ne, altre volte con effetti sinergici, e la propria consapevolezza si svi- luppa e rafforza attraverso stimoli continui sia psichici che fi sici. Sigmund Freud (1901, 1914, 1915, 1917) per primo teorizzò che paralisi, cecità, attacchi epilettici, perdita della memoria e perdita di sensibilità in varie parti del corpo non erano altro che l’espressione corporea di esperienze infantili di Fig. 1 - Sigmund Freud. dolore e di paura, che la mente ave- va rimosso.

168 Antonella Lizza Verso una fi losofi a del fi tness ______

Wilhelm Reich (1975, 1976, 1981), paziente e allievo di Freud, introdusse nella psicoanalisi anche l’osservazione del corpo, come l’espressione degli occhi e del viso, la qualità della voce e i vari tipi di tensioni muscolari. Descrisse per primo quello che noi oggi chiamiamo linguaggio del corpo. Nello stesso modo in cui Freud notò una spaccatura fra memoria conscia e inconscia, Reich notò una scissione fra le varie espressioni del corpo, per esempio, una persona può ridere ma non essere consapevole che l’espressione del suo viso, invece, è triste. Fig. 2 - Wilhelm Reich. Reich osservò che, appena questi pazienti iniziavano la terapia, le tensioni muscolari cambiavano, l’unità di mente, corpo ed emozioni diven- tava più chiara, il paziente cominciava a sembrare più vivo, la sua pelle più rosea, i movimenti più spontanei, gli occhi più luminosi. Era come se avesse più energia. Era proprio così e Reich la chiamò “energia organismica”. Alexander Lowen (1978, 1994), paziente e allievo di Reich, co- niò per essa il termine “bioenergia”, allargò gli scopi del lavoro sul corpo e introdusse il lavoro bioenergetico per sbloccare le tensioni muscolari che impedivano il libero scorrere dell’energia. Per esempio, un diaframma cronicamente contratto inter- rompeva l’onda respiratoria, provocando una respirazione superfi ciale: diminuiva l’ap- porto di ossigeno e il livello energetico calava. Questo modo superfi ciale di respi- rare è uno dei sistemi che noi usiamo per controllare le Fig. 3 - Alexander Lowen.

169 ArteScienza, anno VI, dicembre 2019, N.12, ISSN 2385-1961 ______nostre emozioni, migliorando la respirazione si aumenta l’energia e si rimuove l’emozione negativa. Secondo Lowen, una persona il cui fl usso energetico è bloccato perde una parte della sua vitalità e della sua personalità. Questa perdita fa sì che si senta depressa, sia sempre in lotta e usi costante- mente la forza di volontà per eseguire i compiti quotidiani. Diventa diffi cile mettersi in relazione con gli altri o provare piacere, la vita perde i suoi colori e diventa grigia. Gli interventi in Analisi Bioenergetica prevedono l’analisi del profondo, secondo un approccio che procede partendo sia dal ver- sante psichico sia da quello corporeo. Partendo dal piano mentale e affettivo, si lavora sui problemi fi sici, mentre partendo dalla respirazione, dal movimento e dall’e- spressione corporea si permette l’emergere di vissuti emotivi incon- sci, consentendone quindi anche il recupero e l’elaborazione a livello mentale e affettivo. Tutta la medicina psicosomatica pone in relazione la mente con il corpo, ossia il mondo emozionale e affettivo con il soma (il distur- bo), occupandosi nello specifi co di rilevare e capire l’infl uenza che l’emozione esercita sul corpo e le sue affezioni. In passato si parlava di psicosomatica in relazione a quelle ma- lattie organiche la cui causa era rimasta oscura e per le quali si pen- sava potesse esistere una genesi psicologica. Oggi si considera che ogni malattia si manifesta a livello organico come sintomo e a livello psicologico come disagio, dove i fattori psico-sociali, sotto forma di emozioni e di confl itti attuali o remoti, sono determinanti. Basti pensare alle malattie che seguono, a breve distanza di tempo, alcune situazioni ambientali di grande risonanza affettiva, quali il pensio- namento, i lutti, le delusioni sentimentali o nel campo lavorativo. Si distingue tra :

• sintomi psicosomatici, che si esprimono attraverso il corpo, coinvolgondo il sistema nervoso autonomo e forniscono una risposta vegetativa a situazioni di disagio psichico o di stress senza portare a una malattia conclamata (es. l’insonnia); • malattie psicosomatiche, con genesi psicologica da cui si viene

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a realizzare un vero e proprio stato di malattia d’organo con segni indiscutibili di lesione.

Sono psicosomatici:

• i disturbi dell’alimentazione, che si evidenziano intorno ai due eccessi rappresentati dall’anoressia e dalla bulimia con conse- guente obesità; • malattie a carico del sistema gastrointestinale: colite ulcerosa, ulcera gastro-duodenale, rettocolite emorragica, gastrite croni- ca, iperacidità gastrica, pilorospasmo, colon irritabile o spasti- co, stipsi, nausea e vomito, diarrea (da emozione, da esami); • malattie a carico del sistema respiratorio: asma bronchiale, sin- drome iperventilatoria, dispnea, singhiozzo; • malattie a carico del sistema cardiovascolare: le aritmie, le crisi tachicardiache, le coronopatie (angina pectoris, insuffi cienza co- ronarica, infarto), l’ipertensione arteriosa essenziale, la cefalea emicranica, la nevrosi cardiaca, le algie precordiali; • malattie a carico del sistema cutaneo: psoriasi, eritema pudico (rossore da emozione), acne, dermatite atopica, prurito, neuro- dermatosi, iperidriosi, orticaria, canizie, secchezza della cute e delle mucose, sudorazione profusa; • malattie a carico del sistema muscoloscheletrico: cefalea ten- siva, crampi muscolari, torcicollo, mialgia, artrite, dolori al rachide (cervicale e lombo-sacrale), cefalea nucale; • malattie a carico del sistema genito-urinario: dolori mestruali, disturbi minzionali, enuresi, impotenza; • malattie a carico del sistema endocrino: ipopituitarismo, iper o ipotiroidismo, ipoglicemia, diabete mellito.

Più emblematiche le teorie che vedono le malattie come messag- gio della psiche, una manifestazione del disagio esistenziale espresso in chiave somatica. Dethlefsen e Dalkhe (1986) – rispettivamente psicologo e medico – leggono ogni malessere e ogni evento nefasto come un destino che la persona si crea inconsciamente per manifestare il suo malessere

171 ArteScienza, anno VI, dicembre 2019, N.12, ISSN 2385-1961 ______psichico. In questo approccio rientrano i casi di persone che vanno incontro a incidenti ripetuti e per i quali non può essere invocata come giustifi cazione solo la sfortuna. Alcuni esempi: un infarto è il risultato di una vita in cui non si è stati capaci di vivere appieno sentimenti e amore; una frattura è il frutto di un atteggiamento e di un pensiero estremamente rigido. La malattia quindi, o l’evento negativo, serve per colpire la coscienza e risvegliarla attraverso la domanda: cosa mi impedisce di avere e cosa mi obbliga ad avere questa malattia? In che momento della vita mi sta capitando? In psicoanalisi e in medicina il processo di guarigione viene affi dato al medico e al terapeuta, a esercizi e terapie specifi che, ma nella vita di ogni giorno non c’è bisogno di una laurea in medicina, fai una cosa e “senti che stai bene”, che “ti senti meglio”… così il bisogno di fare attività fi sica è il nostro istintivo percorso di cura. La sapienza naturale che scorre nelle nostre cellule compie da sé il suo percorso. Fare sport, come ballare, passeggiare nei boschi, fare yoga o training autogeno, qualunque attività coinvolga il corpo, una volta iniziata, diventa per chi la pratica irrinunciabile. Ogni giorno la vita porta un piccolo carico di cose da affrontare, problemi, tensioni; ogni giorno mezz’ora di attività fi sica può neutralizzare gli effetti psicologici negativi di queste tensioni. La vita mi ha messo di fronte molte prove personali: la morte, le malattie gravi, la perdita di persone alle quali ero profondamente legata, incidenti, furti, grandi problemi economici. Non ho mai smesso di allenarmi. Qualcuno può pensare che chi fa cosi è un “patito” dei muscoli; deve essere una malattia bellissima se ti fa tornare il sorriso e cura il cuore e l’anima!

172 Antonella Lizza Verso una fi losofi a del fi tness ______

Bibliografi a

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173 REICH Wilhelm (1981). Esperimenti bionici sull’origine della vita (1936), tr. Giovanna Agabio. Milano, SugarCo. L’acqua tra mito, magia e scienza

Mario De Paz*

DOI:10.30449/AS.v6n12.109

Ricevuto 2-12-2019 Approvato 10-12-2019 Pubblicato 24-12-2019

Sunto: Analizzando gli aspetti che rendono sacrale l’immagine dell’acqua nella mente degli uomini, si fanno notare credenze e fatti realmente accaduti per dimostrare come tale sacralità infl uenzi perfi no grandi scienziati inducendoli a credere in eventi miracolosi e inspiegabili. L’autore stesso ammette di aver sperimentato di persona situazioni incredibili e indimostrabili scientifi camente. Si tratta di accettare o no l’esistenza di fatti come questi, onestamente descritti da persone disinteressate, accettando l’idea che non tutto possa essere provato scientifi camente. Ciò non nega per nulla la necessità di distinguere la differenza fra realtà fattuali e metodi scientifi ci per dimostrare l’esistenza o meno di fenomeni come la memoria dell’acqua o altre ipotesi su possibili strutturazioni interne che la rendano suscettibile di fenomeni di trasferimento d’informazione per via elettromagnetica come vorrebbero recenti studi pubblicati da Montagnier.

Parole Chiave: acqua, realtà fattuali, metodi scientifi ci, Luc Montagnier.

Abstract: Analyzing the aspects that make sacred the image of water in the minds of men, we note the true beliefs and facts to show how this sacredness infl uences even great scientists causing them to believe in miraculous and inexplicable events. The author himself admits to having experienced in person incredible and scientifi cally unprovable situations. It is about accepting or not the existence of facts like these, honestly described by disinterested people, accepting the idea that not everything can be proved scientifi cally. This in no way denies the need to distinguish the difference between factual realities and scientifi c methods to prove the existence or not of phenomena such as the memory of water or other hypotheses on possible internal structuring that render it susceptible to phenomena of information transfer electromagnetically as recent studies published by Montagnier would like.

______* Già docente di fi sica all’Università degli Studi di Genova; [email protected].

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Keyword: water, factual realities, scientifi c methods, Luc Montagnier.

Citazione: De Paz M., L’acqua tra mito, magia e scienza, «ArteScienza», Anno VI, N. 12, pp. 175-196, DOI:10.30449/AS.v6n12.109.

1 - Introduzione

L’acqua è un bene essenziale per la vita sulla Terra, elemento imprescindibile per l’esistenza dell’Umanità. Per questo, essa esercita sull’uomo una specie di magia che lo contagia. Per molti versi, l’acqua è considerata un mistero e suscita sensazioni che vanno oltre le sue proprietà fi siche e chimiche. In quest’articolo si esaminano i diversi aspetti del mito dell’acqua che coinvolge perfi no gli scienziati e la scienza, come avremo modo di mostrare nella descrizione di alcune esperienze in cui l’autore è stato coinvolto di persona e altre, i cui aspetti sono dimostrazione di quanto detto. Infi ne, si esegue un raf- fronto fra modelli teorici e fatti sperimentali riguardanti le possibili strutture dell’acqua.

2 - I riti dell’acqua

Da un elenco compilato da una classe di studenti sardi, Classe prima C I.C «Gramsci – Rodari» Sestu A. Sc. 2014-2015. pubblicato in https://www.slideshare.net/classeterza/i-riti-dellacqua:

1. L’acqua che disseta, scioglie le sostanze, le modifi ca e le pulisce è un elemento ricorrente nelle religioni di tutto il mondo. 2. L’uomo, ha sempre tenuto questo elemento nella massima considerazione, come un dono divino, al quale l’ha spesso paragonato. Questo dono prezioso ha contribuito, associandolo a una divinità, a creare dei riti che si sono poi tramandati giungendo fi no a nostri tempi. 3. Il suo potere magico e misterioso è in grado di rigenerare persone, luoghi e situazioni. In particolare l’acqua che

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sgorga dalla terra assume un valore sacrale, poiché è l’elemento primordiale, che deriva dalla terra concepita come madre divina e feconda. 4. L’acqua è per gli Ebrei e per i Cristiani all’origine della creazione. Essa può essere creativa o distruttiva, sorgente della vita come della morte. 5. Nella religione ebraica come nella maggior parte delle religioni pagane, l’uso dell’acqua signifi ca «purifi cazione». Tutto l’antico testamento esalta il segno di benedizione dell’acqua: il diluvio universale e il passaggio attraverso il Mar Rosso segnano la sua forza distruttrice ma anche la rinascita dell’umanità. 6. Per la religione cattolica, il rituale del battesimo esprime bene il signifi cato rigeneratore e di purifi cazione. La materia del Battesimo, infatti, è l’acqua naturale benedetta e il suo uso è simbolo della purifi cazione dell’anima. 7. I musulmani possono compiere la loro preghiera rituale solo in uno stato di purezza e in un passo del Corano si legge: «Nessuno può rifi utare l’acqua in eccedenza senza peccare contro Allah e contro l’uomo». Per questo popolo del deserto, il libero accesso all’acqua è, infatti, un diritto di tutta la comunità. 8. In India e nei paesi del sudest asiatico si usa schizzare d’acqua le statue sacre e i fedeli prima della preghiera. In questo paese l’acqua svolge un’importante funzione nelle cerimonie dei pellegrinaggi. 9. Bagnarsi in un fi ume sacro, fa parte di un rito purifi catorio. Le acque del Gange, per gli induisti hanno questo grande potere. 10. Per gli Egiziani l’acqua era un simbolo che si limitava alle “libazioni” (offerte di bevande versate a scopo sacrifi cale) e alle “abluzioni” (atti liturgici che si compiono a scopo di purifi cazione). 11. Per questo popolo l’acqua era il frutto di Osiride, sinonimo di due grandi entità: il Nilo, l’acqua delle inondazioni, e il Nun, l’acqua della vita. Il Nun, infatti, era l’oceano primordiale da cui erano nate tutte le forme di vita. 12. La casa – tempio del Faraone, era il luogo dove si celebravano i riti legati al Nilo. Nello stesso tempio, era situata un‘immensa vasca, dove il Faraone assistito dai sacerdoti offi ciava e implorava la divinità affi nché soddisfacesse i desideri e le preghiere dei fedeli.

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13. Oltre che in Egitto, lo stesso culto si diffuse poi, in tutto il mondo di allora, arrivando fi no a Roma dove la cultura egizia era stata importata. 14. Roma, culturalmente molto avanzata, era legata al culto delle acque come tutte le città del mondo antico, tra cui la Sardegna, una terra in cui anche un elemento povero ma prezioso come l’acqua può essere divinizzato e accostato a credenze magiche. Ma, soprattutto, rispettato.

A questo elenco possiamo aggiungere la sacralità attribuita alle acque di Lourdes, considerate miracolose, nelle quali s’immergono milioni di persone ogni anno. In 160 anni, la Chiesa ha riconosciuto settanta miracoli avvenuti a Lourdes. Torneremo su questo a propo- sito dei miracoli e del loro signifi cato. Per certo, all’acqua si attribu- iscono proprietà speciali rispetto a qualsiasi altro ente naturale, per il riconoscimento universale che l’acqua è la culla della vita. Miti, sacralità e magia sembrano quindi assumere una partico- lare importanza nel caso dell’acqua, contro le concezioni scientifi che assolutiste che negano con forza l’importanza di tali aspetti. Non sempre con ragione.

3 - Il rabdomante

Fin dai tempi antichi, la ricerca di sorgenti d’acqua ha assunto un’importanza enorme per l’uomo. L’acqua è un bene essenziale per la vita. Per questo, anche in tempi preistorici assunsero importanza i rabdomanti, stregoni ca- paci di trovare l’acqua con metodi magici. L’attrezzo tradizionale dei rabdomanti, nella forma più semplice, è un bastoncino di legno a forma di forcella a tre rami, due dei quali sono tenuti con le mani dal rabdomante e il terzo ramo si muove verso il basso quando la sorgente d’acqua si trova sotto l’attrezzo. Il movimento dipende dalla sensibilità del mago che utilizza il bastoncino. Che ci si creda o no, questa magia è sopravvissuta fi no ai tempi nostri e l’offerta di prestazioni di questo tipo si trova perfi no su Internet: https://www. youtube.com/watch?v=yM8jwhvxIrw; https://www.youtube.com/ watch?v=JOtll-ro_us.

178 Mario De Paz L’acqua tra mito, magia e scienza ______

Il rabdomante Farabollini afferma di trovare l’acqua, indicando a quale profondità e con quale portata, individuando con precisione il punto in cui scavare per ottenere un pozzo! Per far questo si serve di bacchette metalliche, una forcella di legno d’olmo, e pendolini di vario peso. La scienza non è in grado di spiegare questo metodo per cer- care l’acqua e i rabdomanti sono spesso presentati come truffatori, anche se la loro esistenza dimostra che non sempre la cattiva fama è accompagnata da insuccessi. Personalmente, da scienziato abituato a misurare ciò che suc- cede per ricavarne informazioni riproducibili, ho avuto una sola esperienza di rabdomanzia che mi accingo a raccontare, non tanto per sostenere che il metodo sia sempre giusto, ma per rilevare la pos- sibilità che esistano capacità miracolose, non sempre riproducibili, per spiegare fenomeni che avvengono veramente. Quando conobbi Giulio Cesare N. avevo poco più di quarant’an- ni. Egli era un uomo molto sicuro di sé e incline ad atteggiamenti reboanti non sempre corrispondenti a doti effettive. Una volta, quando, al telefono, mia fi glia, gli chiese chi fosse, egli rispose: «Sono Giulio Cesare!» con una forza tale che lei, dotata di humour, rispose ridendo: «Ed io sono Napoleone!». Facezie a parte, Giulio Cesare ed io entrammo in amicizia e un giorno fui invitato con la mia famiglia presso una cascina di campagna in Piemonte che apparteneva alla sua famiglia. Durante quella visita, egli mi accompagnò a visitare le sue vigne e, durante la passeggiata, alla mia richiesta riguardo alle sorgenti d’acqua presenti nei terreni sui quali stavamo camminando, egli affermò che le sorgenti c’erano e che era possibile mostrarle fa- cilmente con la rabdomanzia. Incuriosito e convinto che si trattasse della solita vanteria, gli domandai come ciò fosse possibile, ed egli immediatamente strappò un virgulto dalla siepe che affi ancava il sentiero su cui camminavamo e me lo mise tra le mani. Poi, col suo fare sicuro, mi chiese di piegarlo su se stesso più volte fi no a ottenere una specie di archetto elastico la cui parte ricurva si protendeva in avanti. Mi chiese poi di avanzare sul sentiero tenendo fermo l’archetto e, con mia grande sorpresa, vidi che l’attrezzo si piegò verso terra, anche se io non avevo esercitato alcun cambiamento alla forza eser-

179 ArteScienza, anno VI, dicembre 2019, N.12, ISSN 2385-1961 ______citata sul virgulto. Gli chiesi allora se là sotto ci fosse una sorgente. Rispose che in quel punto scorreva l’acqua sottoterra e che, se mi fossi girato all’indietro, avrei visto l’archetto muoversi verso l’alto. Ancora più incredulo, mi girai e l’archetto si mosse verso l’alto! Più tardi, mia moglie volle provare a sua volta con un altro vir- gulto nella stessa zona e il fenomeno si ripetette anche con lei! Sono costretto, mio malgrado, a riconoscere che forse la rab- domanzia ha qualche fondamento reale: è uno dei tanti misteri che sembrano circondare l’acqua. E non sembra una semplice leggenda. A rincarare la dose, recentemente ho scoperto che perfi no Albert Einstein praticava la rabdomanzia ed era convinto della sua effi ca- cia., come troviamo nel libro di Maurizio Armanetti Albert Einstein “Rabdomante” del quale si citano le seguenti frasi:

La cosa più bella che noi possiamo provare è il senso del mistero: esso è la sorgente di tutta l’arte e di tutta la scienza.

Magnifi ca presentazione della nostra rivista «ArteScienza»!

So molto bene che molti scienziati considerano la rabdomanzia simile all’astrologia, come un tipo di antica superstizione. Secondo la mia convinzione questo è, tuttavia, ingiustifi cato. La bacchetta del Rabdomante è un semplice strumento che mostra la reazione del sistema nervoso umano a determinati fattori che ci sono sconosciuti in questo momento.

Per fi nire, nella prefazione di questo libro, il professor Bertocchi, ex preside di liceo, racconta la propria esperienza di rabdomanzia in termini molto simili a quanto successo a me e mia moglie.

4 - Il miracolo dell’acqua e la bestemmia di un angelo decaduto

Maurizio Sentieri scrive in «Doppiozero» (https://www.dop- piozero.com/materiali/il-miracolo-dellacqua) titolando Il miracolo dell’acqua e la bestemmia di un angelo decaduto: :

180 Mario De Paz L’acqua tra mito, magia e scienza ______

L’acqua è sostanza indispensabile alla vita, inodore, incolore, insapore. È più o meno questo che generazioni di maestre hanno insegnato a generazioni di scolari. A queste verità elementari tutti abbiamo poi sovrapposto le conoscenze sui passaggi di stato che fanno conoscere l’acqua come vapore, liquido e solido. Altri, per via dell’istruzione o perché nati in anni più recenti, avranno aggiunto conoscenze sul ph, sulle sue caratteristiche di dipolo dalle deboli cariche elettriche e sulla sua natura di solvente. Altri, ancora più fortunati, avranno infi ne studiato e compreso il suo ruolo nelle minute e infi nite reazioni cellulari all’origine dei meccanismi della vita, avranno rifl ettuto che esiste una fame specifi ca per l’acqua, unica “fame selettiva” certa fra tutte le sostanze nutritive, unica fame per la quale esiste anche un nome, sete. Nessuno probabilmente nel frattempo ci avrà detto che almeno in Occidente, per tutta la sua storia, l’acqua è sempre stata data per scontata. Laddove c’era civiltà, e la storia dell’Occidente è storia di civiltà, l’acqua è stata presenza scontata perché abbondante. Cioè, così abbondante da diventare alla lunga “invisibile”, e non per le sue caratteristiche chimico-fi siche, non perché incolore. Lo dice tutta la nostra storia e lo dicono anche i Vangeli, anzi lo dice in particolare un miracolo, il primo di Gesù. È “la camminata sull’acqua” quel primo miracolo. Cristo ne compierà poi un altro, più noto e più citato, in cui l’acqua sarà protagonista nella sua trasmutazione in vino durante le nozze di Cana. Un miracolo curioso, quello della passeggiata sulle acque del lago di Tiberiade, perché il miracolo, “il sacro”, qui coincide col calpestare l’alimento più prezioso e più sacro. Un elemento quasi inspiegabile, se non fosse appunto che nella nostra civiltà l’acqua è sempre stata abbondante tanto da essere paradossalmente “invisibile”, almeno quando non si ha sete. Quel “camminare sulle acque”, quel primo miracolo di Gesù, prima di ogni possibile veridicità storica dei Vangeli ci riporta a come l’abbondanza di acqua sia stata la normale verità della nostra civiltà, la sua prima condizione, essenziale quanto scontata. Ma non è diffi cile temere ed immaginare che in un futuro prossimo – siamo già alla vigilia di un cambiamento epocale – l’abbondanza dell’acqua non sarà più tale. Oggi che l’acqua in molte zone del mondo è diventata una risorsa strategica e causa di possibili confl itti; oggi che le acque di falda si stanno esaurendo o sempre più spesso risultano inquinate.

181 ArteScienza, anno VI, dicembre 2019, N.12, ISSN 2385-1961 ______

È un cambiamento epocale quello di cui intravediamo i contorni ma non ancora tutte le nefaste conseguenze.

Poi, se avventuriamo lo sguardo ancora oltre, dove la storia che sarà si può solo immaginare, non è impossibile pensare che in un futuro lontano, dentro i tempi di una fantascienza dai tratti medievali, quel primo miracolo di Gesù verrà inserito in un Vangelo apocrifo ancora da venire e infi ne scomparirà dai testi sacri, rimosso e cancellato perché diventato incomprensibile al comune sentire. Non è poi neppure impossibile immaginare che in quello stesso futuro, ancora più lontano, si perda infi ne ogni ricordo del miracolo e del suo senso: resterà una camminata sull’acqua come la bestemmia di un angelo decaduto, come quella di un Dio sconosciuto.

5 - La memoria dell’acqua

È la presunta capacità dell’acqua di conservare la memoria delle sostanze prima diluite in essa perfi no dopo un numero arbitrario di diluizioni seriali. Per chiarire questo punto, riporto un problema da me posto molti anni fa ai miei studenti di chimica, la cui risoluzione non mi è mai pervenuta:

• Immaginate di prendere 58 grammi di sale da cucina (cloruro di sodio, NaCl) e scioglierli in un litro d’acqua distillata; • prelevate 1 centimetro cubo (cc) di soluzione, equivalente a un millesimo di litro, e scioglietelo in un litro d’acqua; • ripetete l’operazione con la soluzione ottenuta; • quante volte potrete ragionevolmente diluire di mille volte le soluzioni ottenute?

La risposta immediata fu: «Quante volte voglio!». Vediamo, però, cosa succede. I 58 grammi iniziali di sale formano una “mole” di sale che, grazie a un italiano chiamato Amedeo Avogadro, sappiamo corrispondere a seicentomila miliardi di miliardi di molecole. Un numero enorme, destinato a diminuire con le diluizioni successive. È come scrivere 6 seguito da 23 zeri, brevemente, 6. 1023:

182 Mario De Paz L’acqua tra mito, magia e scienza ______

• Dopo la prima diluzione, nel litro di soluzione vi saranno mille volte molecole in meno, ovvero 6. 1020; • dopo la seconda, 6. 1017; • dopo la terza, 6. 1014; • dopo la quarta, 6. 1011; • dopo la quinta, 6. 108; • dopo la sesta, 6. 105 ; • dopo la settima, 6. 102 = 600 molecole.

A questo punto, la diluizione successiva ci pone di fronte a un problema: nel cc di soluzione che preleviamo, può non esserci alcuna molecola o forse più di una, dipende dal caso. Qualunque sia il caso, nelle diluizioni successive non dovrebbe trovarsi casualmente alcuna molecola di sale. Queste diluizioni sarebbero dunque senza senso, ma nessuno è mai venuto a dirmi che non aveva senso: il concetto di memoria è più forte di ogni logica! Ora, chi sostiene l’esistenza della memoria dell’acqua è convinto che queste soluzioni da un punto di vista razionale senza molecole, conservino nell’acqua il ricordo del sale e possano esercitare tutte le azioni che il sale stesso potrebbe esercitare se fosse presente. Il fatto che i miei studenti non abbiano risolto il problema come mi sarei aspettato, indica che la mente umana rifi uta la perdita di me- moria dell’acqua e la tendenza a credervi contro ogni ragionamento. L’effetto importante di questo modo di pensare è la fi ducia in certi rimedi omeopatici ottenuti diluendo principi medicinali oltre il limite descritto. Non solo, ma si sostiene che sia importante il numero di rove- sciamenti dei contenitori dopo ogni diluizione. Se si mescola rovesciando poche volte, l’effi cacia del rimedio è ridotta. Personalmente, mi riesce diffi cile accettare una simile prescrizio- ne riferita alla preparazione del rimedio. Eppure si vendono rimedi omeopatici con l’indicazione di quante volte sono stati rovesciati nella preparazione. Molto diversa è la situazione di un rimedio omeopatico basato

183 ArteScienza, anno VI, dicembre 2019, N.12, ISSN 2385-1961 ______sull’uso di un farmaco in piccole dosi (non nulle) agente per favorire un sintomo che si vuole combattere. Tutta la materia dell’omeopa- tia va riconsiderata senza pregiudizi, tenendo presente che curare omeopaticamente certi mali come il cancro è molto pericoloso, poi- ché induce ad abbandonare terapie farmacologiche la cui effi cacia è provata. Tornando alla presunta memoria dell’acqua, occorre ricordare che, verso la fi ne degli anni ’80, uno scienziato francese Jaques Ben- veniste (Benveniste, 1988) pubblicò sulla rivista «Nature» uno studio che, a suo dire, dimostrava l’esistenza della memoria dell’acqua. L’editore del giornale John Maddox , pur essendo scettico riguar- do a tale conclusione, invitava la comunità scientifi ca a sospendere il giudizio in attesa di controllare la riproducibilità degli esperimenti descritti da Benveniste. Nessun gruppo di ricerca impegnato a tal fi ne fu in grado di riprodurre i risultati in condizioni controllate. Per la scienza, un risultato deve essere riproducibile, altrimenti non può essere preso in considerazione. Analizzando più a fondo l’esperimento di Benveniste, si scopre che la supposizione di memoria era basata su una reazione allergica di basofi li umani alla presenza di un antigene in precedenza diluito con la tecnica descritta, quindi una reazione diffi cile da misurare. Gli oppositori di Benveniste conclusero che eventuali osservazioni potevano presentarsi a causa di tracce presenti sulle superfi ci dei recipienti in cui erano osservate. Comunque sia, la memoria secondo Benveniste non è mai stata validata dalla scienza uffi ciale. Ancora più inquietante è la vicenda che riguarda il premio Nobel Luc Montagnier (Tufano, n.d.), il quale negli ultimi anni ha affermato di poter trasmettere la memoria dell’acqua, tramite onde elettromagnetiche la cui forma e frequenza possono essere addirittura spedite via internet e ricostruite a migliaia di kilometri di distanza. Nel suo esperimento di partenza, Montagnier afferma di aver misurato le frequenze emesse da molecole di DNA e di aver trasmes- so queste stesse frequenze a un campione d’acqua posto vicino al contenitore del DNA. Egli afferma che l’acqua così esposta diventa a sua volta capace

184 Mario De Paz L’acqua tra mito, magia e scienza ______di emettere le stesse onde ricevute, come se le avesse memorizzate. Purtroppo, l’intero esperimento presenta un difetto fondamen- tale molto importante. Secondo Montagnier, infatti, il segnale emesso dal DNA non dipende da quanto DNA è immesso nella provetta. Ciò signifi ca che raddoppiando o quadruplicando la quantità di DNA, il segnale emesso rimane d’intensità costante. Secondo Montagnier, il segnale c’è se il DNA è presente e non c’è se è assente, ma non dipende dalla quantità di sostanza. Mi pare che questo non sia né possibile né ragionevole, comun- que del tutto contrario rispetto al comportamento fi sico di qualsiasi sistema reale. Se raddoppio il materiale generatore, deve almeno aumentare il segnale, anche se non raddoppia necessariamente. Anche nel caso di Montagnier, comunque, la scienza uffi ciale non ne accetta i risultati, perché non riproducibili. In questo caso, l’effetto prodotto a distanza sarebbe una reazione di sintesi fra aminoacidi indotta dalla presenza di tracce di polime- rasi. L’acqua simulerebbe la polimerasi tramite i segnali trasmessi. Un altro problema riguardo all’attendibilità di Luc Montagnier sorge proprio riguardo alla sua scoperta del virus dell’HIV per cui è stato insignito del premio Nobel nel 2008. A distanza di dieci anni da questo riconoscimento, Montagnier afferma che la prova dell’e- sistenza del virus non esiste e che egli non è mai stato in grado di purifi carlo. Ciò appare strano e contraddittorio, tanto da far dubitare della sua affi dabilità. A parte gli aspetti poco credibili di questa vicenda che assume sempre di più le caratteristiche di un’invenzione stravagante, l’idea di misurare le onde emesse dal DNA appare invece geniale, poiché offrirebbe ampi panorami nell’interpretazione di come la vita si sia formata sulla Terra e come si sia evoluta nel tempo, Tuttavia, tale misura non può essere compiuta con i metodi primitivi adottati da Montagnier e collaboratori, le cui osservazioni non possono in alcun modo attribuirsi al DNA, non avendo le carat- teristiche essenziali di proporzionalità e riconoscibilità dell’origine. In altre parole, con un sistema come quello descritto da Mon-

185 ArteScienza, anno VI, dicembre 2019, N.12, ISSN 2385-1961 ______tagnier, non è possibile distinguere fra i debolissimi segnali even- tualmente emessi dal DNA e i molto più intensi segnali di fondo inevitabilmente presenti. Separare il segnale debole da quello di disturbo implica l’adozione di tecniche molto più raffi nate, come la modulazione in frequenza dell’emettitore, la separazione dei segnali, l’amplifi cazione e l’uso della statistica, tutte cose assenti dallo studio di Montagnier. Vorrei, infi ne, far notare che, se le asserzioni di Montagnier fossero vere, la polimerasi tenderebbe a propagarsi, sia pure lenta- mente, in tutte le acque della Terra. E non sarebbe l’unica molecola memorizzata nelle acque di tutto il mondo! Ma sulla memoria dell’acqua ci sono altre fantasie su cui sono dubbioso. Il giapponese Masaru Emoto nel suo sito Internet, all’indirizzo: https://www.masaru-emoto.net/en/crystal/pubblica le imma- gini di cristalli di ghiaccio ottenuti, a suo dire, in diverse condizioni emotive. Egli associa l’ordine dei cristalli ai buoni sentimenti, mentre quelli negativi produrrebbero solidi disordinati. Anche questo e altri esperimenti di Emoto non sono stati ripro- dotti da altri e lo stesso Masaru ha rifi utato di ripeterli in condizioni controllate, nonostante un premio promesso di un milione di dollari

Fig. 1 - Cristalli di ghiaccio (da Office Masaru Emoto, LLC.)

186 Mario De Paz L’acqua tra mito, magia e scienza ______in caso positivo. Belle immagini di cristalli di ghiaccio si trovano nel sito https://www.pinterest.it/giuseppinascanga/cristalli-di-ghiac- cio/

6 - Storia della “Poliacqua”

Fig. 2 - Cristalli di ghiaccio dal sito di Giuseppina Scanga: https://www.pinterest.it/ giuseppinascanga/cristalli- di-ghiaccio/

Anche nella letteratura scientifi ca dell’ultimo mezzo secolo si è mostrato il fascino che l’acqua esercita sugli scienziati. Infatti, all’ini- zio degli anni sessanta, un ricercatore russo, Nikolai Fedyakin, con- densando l’acqua dentro a capillari di vetro, si convinse che si fosse formata una sostanza nuova con proprietà molto diverse dall’acqua, defi nita “poliacqua”. Essendo la composizione chimica identica a quella dell’acqua, si dedusse che doveva trattarsi di una forma ano- mala dell’acqua, strutturata in modo diverso. Della presunta scoperta s’impossessò un altro russo molto più noto di Nikolai Fedyakin, il professor Boris Deryagin, il quale migliorò la tecnica di preparazio- ne utilizzando capillari di quarzo con lo scopo di evitare possibili contaminazioni indotte dal vetro (Derjaguin, Zorin, Rabinovich, 1974). Egli notò che l’acqua si condensava nei capillari preparati da poco,

187 ArteScienza, anno VI, dicembre 2019, N.12, ISSN 2385-1961 ______anche in condizioni che teoricamente non avrebbero consentito la condensazione, come se le pareti di quarzo agissero da punti attivi di sintesi. I campioni ottenuti nel quarzo non solidifi cavano allo stesso modo dell’acqua, ma molto più lentamente e per variazioni della temperatura molto più ampie. Sempre secondo Deryagin, il liquido anomalo poteva essere distrutto col riscaldamento a più alte dell’ebollizione di acqua pura, dando luogo esclusivamente a vapor d’acqua. Tutto ciò sembrava confermare la natura polimerica della nuova sostanza, molto più diffi cile da evaporare e con struttura complessa. Queste affermazioni crearono grande scalpore nel mondo scientifi co, innestandosi nella competizione fra il mondo vicino alla Russia sovietica e quello occidentale, legato agli Stati Uniti. Comunque sia, per diversi anni molti ricercatori europei e ame- ricani s’impegnarono a ripetere gli esperimenti di Deryagin, spesso senza successo, ma anche con episodi in cui l’esistenza della poliac- qua sembrava confermata. Ricordo che, nel clima di competizione

Fig. 3 - Cristalli di ghiaccio dal sito di Giuseppina Scanga: https://www.pinterest.it/ giuseppinascanga/cristalli- di-ghiaccio/

fra Est e Ovest, il Presidente dell’Associazione Chimica statunitense, prof. Lippincott, al Congresso dell’Associazione stessa nel 1969, si presentò con una provetta in mano contenente una grossa quantità di poliacqua preparata nel suo laboratorio, un liquido vischioso

188 Mario De Paz L’acqua tra mito, magia e scienza ______

Fig. 4 - Cristalli di ghiaccio dal sito di Giuseppina Scanga: https://www.pinterest.it/ giuseppinascanga/cristalli- di-ghiaccio/

quasi trasparente! (Lippincott, Stromberg, Grant, Cessac, 1969). Secondo Lippincott e collaboratori, l’analisi di quel liquido non mostrava la presenza d’impurità oltre l’acqua. In quel periodo, ero impegnato ormai da anni in ricerche che comportavano l’uso degli spettrome- tri di massa, strumenti sensibilissimi che permettevano di rilevare l’eventuale presenza di sostanze diverse dall’acqua, oltre all’acqua stessa, le cui specie ioniche avevo appena fi nito di studiare nel Labo- ratorio di Brookhaven, Dipartimento di Chimica, con il dottor Lewis Friedman. Presso l’Istituto di Fisica di Genova, in cui lavoravo dal 1960 sotto la direzione del prof. Giovanni Boato, erano disponibili tre spettrometri di massa che usavo abitualmente per le ricerche svolte in quel laboratorio. Perciò, in breve, mi misi all’opera coadiuvato dal tecnico Agostino Pozzo e dalla prof. Maria Emilia Vallauri, per analizzare campioni d’acqua preparati allo stesso modo descritto in letteratura. In pochi giorni ebbi a disposizione diversi capillari di quarzo e nel loro 10% si era formato un liquido di condensa il cui comportamento al variare della temperatura era identico a quello descritto da Boris Deryagin. Notai tuttavia, che i campioni riscaldati tendevano a evaporare lasciando un piccolo residuo osservabile al microscopio, per cui immaginai subito che dovesse esserci qualche impurità disciolta. In pochi giorni di lavoro fummo in grado di sottoporre i nostri campioni ad analisi in uno degli spettrometri di

189 ArteScienza, anno VI, dicembre 2019, N.12, ISSN 2385-1961 ______massa e rilevammo immediatamente la presenza di Silicio nei cam- pioni. Essendo il quarzo formato da Ossido di Silicio, deducemmo inizialmente che si trattasse di qualche composto formato dall’acqua con il silicio del quarzo e pubblicammo comunque il risultato su un importante giornale scientifi co statunitense, nel 19705. In seguito, fummo in grado di dimostrare che la sostanza da noi rilevata era un composto organico del Silicio, ascrivibile all’olio di silicone, eviden- temente utilizzato nelle macchine con cui è prodotto il tubo di quarzo dal quale erano stati ricavati i capillari. Comunque sia, oltre al nostro

Fig. 5 - Cristalli di ghiaccio dal sito di Giuseppina Scanga: https://www.pinterest.it/ giuseppinascanga/cristalli- di-ghiaccio/

modesto lavoro, da ogni parte del mondo giunsero evidenze contro l’esistenza della poliacqua che tante polemiche aveva suscitato. Oggi, nessuno sostiene l’esistenza di questo fantomatico liquido. Rimane un mistero il fatto che per qualche anno noti scienziati non si fossero accorti della falsità di certe prove a favore della po- liacqua e che abbiano probabilmente scartato le prove contro la sua esistenza. Il caso della poliacqua dimostra che il desiderio di credere in un fenomeno nuovo può talvolta superare la necessità di prove sicure e ben controllate. Ancora una volta i misteri dell’acqua avevano trascinato l’Uomo in vicoli ciechi. E io ero rimasto intrappolato in uno di essi, pagando

190 Mario De Paz L’acqua tra mito, magia e scienza ______un altro contributo al mito dell’acqua.

Fig. 6- Cristalli di ghiaccio dal sito di Giuseppina Scanga: https:// www.pinterest.it/giuseppinascanga/cristalli-di-ghiaccio/

7 - Perle d’acqua

Il ricercatore francese A. Meessen ha pubblicato recentemente un articolo teorico (Meessen, 2018) nel quale ipotizza la formazione di perle d’acqua sferiche aggregate in presenza di campi elettrici, che a loro volta si aggregherebbero in complessi lineari conferendo all’acqua capacità di memorizzare strutture molecolari complesse. Tutto questo, con l’intenzione di valorizzare le già citate ricerche sulla memoria dell’acqua compiute una ventina d’anni fa da Benveniste. Si dà il caso che di associazioni fra molecole e ioni dell’acqua

191 ArteScienza, anno VI, dicembre 2019, N.12, ISSN 2385-1961 ______l’autore abbia studiato sia sperimentalmente sia teoricamente, du- rante gli ultimi anni ’60, negli Stati Uniti presso il laboratorio diretto dal dr. Lewis Friedman nel Dipartimento di Chimica del Brookhaven National Laboratory. La tecnica di studio era la doppia spettrometria di massa (fi gura) in cui la sorgente primaria era costituita da ioni H+ e OH- variamente idratati con molecole d’acqua fi no a complessi contenenti sei molecole d’idratazione (De Paz, Leventhal, Friedman, 1969; De Paz, Giardini, Friedman, 1970; De Paz, Ehrenson, Friedman, 1970) . Questi complessi erano poi fatti collidere contro atomi di elio in una camera di reazione secondaria in cui era possibile misurare l’energia degli ioni risultanti dalla frammentazione dei complessi idratati con analisi in massa dei frammenti. Dai dati sperimentali su questi complessi emersero evidenze a favore della formazione di catene con un numero limitato di mole- cole d’acqua collegate allo ione primario tramite legami con energie prossime a quella del legame idrogeno, leggermente superiori per gli ioni positivi rispetto a quelli negativi. È comunque opportuno osservare che questi complessi riguar- derebbero soltanto una frazione piccolissima delle molecole presenti nell’acqua, essendo la concentrazione di OH- e H+ dell’ordine di 10-7 a pH neutro. Dai nostri dati non emerge alcuna evidenza di perle d’acqua come quelle descritte nel lavoro teorico di Meessen, anche se non si esclude la possibilità che si formino catene molto rare e relativamente stabili all’interno dell’acqua.

8 - Il mito dell’acqua, la nascita (racconto di fantasia)

Lucy vagava nel terreno desertico attraverso il quale si era decisa ad avventurarsi la sera prima, allontanandosi dalla palude dove abi- tualmente era vissuta fi no ad allora. La palude le aveva permesso di trovare il cibo che le serviva per calmare la fame e le donava anche l’acqua per calmare la sete, anche se l’acqua era di gusto cattivo e dif- fi cile da ingoiare. non sapeva nemmeno il proprio nome, anche perché non poteva sapere che quel nome glielo avrebbero dato nel futuro, oltre tre milioni di anni dopo. Forse, nel futuro, quel nome lo

192 Mario De Paz L’acqua tra mito, magia e scienza ______avrebbe inventato qualche altro vivente disceso da lei che, nel ventre, stava già maturando la nascita del quarto fi glio, dal quale sarebbero discesi altri suoi simili per oltre centomila generazioni. Ora Lucy ave- va un aspetto molto diverso da quello dei suoi discendenti lontani: era alta poco più di un metro, camminava in modo eretto, aveva un cranio poco sviluppato, caratteri del volto scimmieschi e aveva il corpo coperto da una fi tta peluria scura. Aveva meno di venti anni, ma era ormai vecchia, usurata da una vita condotta tra mille diffi coltà, il cibo scarso e l’acqua poco disponibile, portata avanti tra i continui pericoli e i rapporti non sempre sereni con i suoi simili, specie di sesso diverso. Tuttavia, Lucy aveva più sviluppato più dei suoi simili la curiosità per l’ignoto. Ignara d’ogni cosa, cercava in quel deserto qualcosa di nuovo che potesse migliorare la sua vita e quella dei suoi tre fi gli e di quello in arrivo, guardando con speranza le colline che si ergevano oltre il deserto. Mentre avanzava a piedi nudi sul duro terreno desertico, percepiva l’intensa azione del sole sul suo corpo peloso e la sofferenza per la sete si era fatta lancinante. Giunse con fatica alle prime propaggini di una collina apparentemente arida e incominciò a salire verso un gruppo di rocce che avrebbero potuto offrirle ombra e riposo. Lucy notò che in alto, verso un pianoro fra le rocce, appariva indistinta una macchia verde che poteva rappresen- tare l’esistenza di una sorgente d’acqua. In breve, raggiunse quella zona e l’umidità divenne più evidente. Con frenesia ed entusiasmo, Lucy si chinò verso terra nel punto più umido e incominciò a scavare il terreno aiutandosi con un sasso appuntito. A un certo punto, nella buca praticata da Lucy apparve l’acqua e, continuando a scavare, si vide una polla d’acqua sorgente limpidissima. Lucy, felice, ne raccol- se più che poteva unendo le mani in modo da formare una specie di tazza e bevve avidamente il liquido fresco e ristoratore. Negli istanti che seguirono quell’atto spontaneo e liberatore, Lucy percepì per la prima volta un sentimento di gratitudine per un Ente Supremo che era corso in suo aiuto e provò un senso di venerazione per l’acqua. In breve, incominciò a radunare sassi che dispose intorno alla sorgente in forma circolare, quasi ad indicare in tal modo la presenza di una cosa da rispettare. Quando ebbe fi nito, si trovò inginocchiata a terra con il viso stretto fra le mani, in adorazione. Ora doveva tornare

193 ArteScienza, anno VI, dicembre 2019, N.12, ISSN 2385-1961 ______alla palude e convincere i suoi simili a seguirla fi no a quella fonte d’acqua meravigliosa. Era soltanto la prima volta che un ominide riconosceva la sacralità dell’acqua: i suoi gesti, la sua emozione non potevano più disperdersi. Era nato il mito dell’acqua.

9 - Miracoli e Scienza

Siamo inevitabilmente caduti in un dilemma che fa parte della vita di tutti gli uomini: “Dobbiamo credere a un Creatore oppure credere che tutto quanto è spiegabile con la Scienza?” In entrambi i casi dobbiamo credere in qualcosa. In entrambi i casi, tuttavia, dobbiamo credere nei miracoli. Infatti, al di là delle proprietà miracolistiche dell’acqua che, in fondo, sono poca cosa, assistiamo al più grande miracolo della Natura che è la VITA. E la VITA è nata nell’Acqua. La creazione casuale della Vita è un miracolo, ma non l’unico. Che dire della differenziazione delle cellule e della costruzione di organismi complessi con organi differenti contro ogni ragionamento probabilistico? Questi miracoli, per ora , non sono riproducibili in condizioni controllate, perciò non rientrano nella Scienza, ma esistono senza dubbio. Perciò, è possibile che i miracoli accadano, pur non essendo dimostrabili scientifi camente, eventi rarissimi ma possibili.

10 - Conclusioni

Miti, credenze e fantasie sembrano nascere spontaneamente ri- guardo all’acqua, non sempre in accordo con le evidenze scientifi che. L’enorme importanza dell’acqua per la vita dell’uomo giustifi ca que- sta tendenza a far nascere il mistero intorno a essa e alle sue proprietà. Le risposte della scienza tendono invece a cancellare quest’alone di mistero, ignorando l’esistenza di fatti miracolosi la cui esistenza è testimoniata anche da persone disinteressate e oneste, perfi no da scienziati come Einstein. I miracoli sono unici, quindi indimostrabili

194 Mario De Paz L’acqua tra mito, magia e scienza ______scientifi camente. Ciò non signifi ca che non possano accadere. Riman- gono, infi ne, fenomeni inspiegabili con le nostre conoscenze attuali ma diffi cilmente archiviabili come illusioni di visionari. La loro spiegazione potrebbe giungere nel futuro, quando l’o- rigine di forze ignote fosse fi nalmente messa in luce, al pari, per esempio, della materia oscura scoperta recentemente dagli astrofi sici.

195 ArteScienza, anno VI, dicembre 2019, N.12, ISSN 2385-1961 ______

Bibliografi a

DE PAZ M. , LEVENTHAL J.J. , FRIEDMAN L. (1969). «J.Chem. Phys»., 51, 3748. DE PAZ M. , GIARDINI A. , FRIEDMAN L. (1970). «J.Chem. Phys.», 52, 687. DE PAZ M. , EHRENSON S., FRIEDMAN L. (1970). «J.Chem. Phys.», 52, 3362. DE PAZ M., POZZO A., VALLAURI M.E. (1970). Mass spectro- metric evidence against “polywater”. In «Chem. Phys. Letters», 7. DERJAGUIN, B. V., ZORIN, Z. M., RABINOVICH, YA. I., et al. (1974). Results of analytical investigation of the composition of “anomalous” water. In «Journal of Colloid and Interface Science». 46 (3): 437–441. BENVENISTE J. (1988). «Nature», vol.333, n.6176, pp.816-818, 2. LIPPINCOTT E. R. , STROMBERG R. R. , GRANT W.H. , CESSAC G. L. (1969). Polywater. In «Science» , 164, 1482. TUFANO E. (n.d.). Tesi di laurea, https://amslaurea.unibo. it/4199/ In questa tesi vengono descritti gli esperimenti e le dedu- zioni di Montagnier con molti dettagli. MEESSEN A. (2018). «Journal of Modern Physics», 2018, 9, 2657- 2724

196 Glossario minimo fra arte e scienza

Parte VI

Ugo Locatelli*

DOI:10.30449/AS.v6n12.110

Ricevuto 5-01-2020 Approvato 7-01-2020 Pubblicato 29-12-2019

Sunto: Questo glossario aperto e pluridisciplinare promuove rifl essioni su diversi livelli di realtà, da una pluralità di punti di vista e di interazioni fra arte, scienza e fi losofi a. Lo scopo è offrire alcune possibilità di schiudere la capacità di meravigliarsi oltre l’apparenza e attivare l’apprendimento per scoperta, favorendo scambi fruttuosi tra i saperi (cross fertilization).

Parole Chiave: arte, attenzione, conoscenza, realtà, scambi fra i saperi, scienza.

Abstract: This open and multidisciplinary glossary promotes refl ections on different levels of reality, from a plurality of points of view and interactions between art, science and philosophy. The purpose is to offer some possibilities to overcome the ability to marvel over appearance and to activate discovery learning by encouraging (cross fertilization).

Keyword: art, attention, knowledge, reality, exchanges between the knowledge, science.

Citazione: Locatelli U., Glossario minimo fra arte e scienza, Parte VI, «ArteScienza», Anno VI, N. 12, pp. 197-208, DOI:10.30449/AS.v6n12.110

______* Architetto e artista sperimentale con interesse per il dialogo fra pensiero e immagine; [email protected], www.ugolocatelli.it.

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Dualità

Il nostro corpo e la nostra mente non sono due e non sono uno. Se pensi che il tuo corpo e la tua mente sono due, sbagli; se pensi che sono uno, sbagli ancora. Il nostro corpo e la nostra mente sono insieme due e uno. (S. Suzuki, Mente Zen. Mente del principiante, Astrolabio, Roma, 1976).

Fig.1 - U. Locatelli, Oneiros, fotogramma dal video, Piacenza, 1985.

Ecologia delle immagini

La forza delle immagini fotografi che deriva dal fatto che esse sono in realtà materiali in sé, depositi riccamente informativi lasciati sulla scia di ciò che le ha emesse, potenti mezzi per capo- volgere la realtà, per trasformare questa in ombra. Le immagini sono insomma più reali di quanto chiunque avesse supposto. E poiché sono una risorsa illimitata, tale da non poter esaurirsi con lo spreco consumistico, è ancor più necessario applicare il rimedio conservativo. Se potrà esserci un modo migliore per permettere al mondo reale di includere in sé quello delle imma- gini, esso richiederà un’ecologia non soltanto delle cose reali, ma anche delle immagini stesse. (S. Sontag, Sulla fotografi a. Realtà e

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immagine nella nostra società, Einaudi, Torino, 1978).

Esordio

Si tratta di una voce dotta presa in prestito nel Trecento dal verbo latino exordiri, che vuol dire ‘iniziare’, ma con un peculiare signifi cato proprio: ‘iniziare la tessitura’. Qui il prefi sso ex-, che indica un andar fuori e quindi evo- ca lo stacco di una partenza, si installa sul verbo ordiri, che pure da sé varreb- be come ‘iniziare’, ma che in maniera trasparente ci racconta innanzitutto un Fig. 2 - U. Locatelli, Erbario ordire: la sistemazione dell’ordito su areale, fotocollage (part.), cui s’intreccia la trama è l’inizio della Piacenza, 2015. tessitura. (dal sito https://unaparola- algiorno.it/)

Fanciulli

I fanciulli trovano il tutto nel nulla, gli uomini il nulla nel tutto. (G. Leopardi, Zibaldone, 1832).

Fig. 3 - U. Locatelli, Fotogramma, Piacenza, 2013.

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Filosofi a estetica

Scriveva Wittgenstein, cento anni fa, nel suo Tractatus: gli aspetti più importan- ti delle cose sono nascosti, non nel senso che sono sotto o fuori, ma che sono nella loro semplicità e quotidianità; a loro volta semplicità e quotidianità nascondono tali aspetti. L’evidente e il più visto non ci colpiscono ed è qui che la fi losofi a deve intervenire gettando luce, guardando nuo- vamente. La fi losofi a, come un guardare attraverso, descrive il senso, lo guarda in quanto tale, muove dalla meraviglia e dallo stupore. La fi losofi a è, così, estetica.

Fig. 4 - U. Locatelli, Attraverso, Piacenza,2015.

Giardino

“Ciò nonostante bisogna coltivare il nostro giardino”. (Vol- taire, Candido o l’ottimismo, 1759).

Infi nito

1. La diffi coltà di confrontarsi con un concetto di questa portata si nota anche nella parola, che non è descrittiva, ma formata per negazione essendo composta dal prefi s- so ‘in’ e dal sostantivo ‘fi nito’; anche in greco il termine utilizzato à peiron è costituito dal prefi sso privativo ‘a’ e dal sostantivo ‘peirar’ che signifi ca limite, confi ne. 2. Il linguaggio, sulla linea della morte, rifl ette se stesso: in- contra qualcosa come uno specchio; e per fermare questa morte che lo fermerà, dispone di un solo potere: quello

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di far nascere in sé la propria immagine in un gioco di specchi il quale, a sua volta, non ha limiti. (M. Foucault, “Il linguaggio all’infi nito” in Scritti letterari, Feltrinelli, Milano, 1971). 3. Il nome del progetto dell’Archimuseo A. Accat- tino “Scrivere all’infi nito” è trascritto qui su una striscia di pellicola trasparente, della quale sono poi state incollate fra loro le due estremità , previa una ro- Fig. 5 - U. Locatelli, Pensieri e tazione-torsione di 180° di immagini, nastro di Moebius, una rispetto all’altra. Si è Piacenza, 2018. così ottenuto un nastro di Moebius (dal nome del matematico che nel 1850 lo ha studiato a fondo) invece di un nastro o anello regolare che si ha incollando le estremità della striscia senza fare la torsione. Nel nastro cilindrico normale si possono osservare separazioni e distinzioni: una faccia esterna e una interna, un bordo superiore e uno inferiore, mentre quello di Moebius ha una sola faccia e un solo bordo, percorribili all’infi nito in un continuo divenire. Forse in futuro scopriremo che qualche forma di rotazione-tor- sione ad hoc potrebbe generare un’apertura di passaggio tra fi nito e infi nito. (U. Locatelli, Pensieri e immagini, dal contributo al progetto “Scrivere all’infi nito” di AA.VV. a cura di Adriano Accattino, Archimuseo, Ivrea, 2018).

Mondo dell’immagine

1. Una società capitalistica esige una cultura basata sulle immagini. Ha bisogno di fornire quantità enormi di svago per stimolare gli acquisti e anestetizzare le ferite di classe, di razza e di sesso. E ha bisogno di raccogliere

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quantità illimitate d’informazioni, per meglio sfruttare le risorse naturali, aumentare la produttività, mantene- re l’ordine, fare la guerra e dar lavoro ai burocrati. La duplice capacità della macchina fotografi ca, quella di soggettivare la realtà e quella di oggettivarla, è la risposta ideale a queste esigenze e il modo ideale di rafforzarle. Le macchine fotografi che defi niscono la realtà nelle due maniere indispensabili al funzionamento di una società industriale avanzata: come spettacolo (per le masse) e come oggetto di sorveglianza (per i governanti). La pro- duzione di immagini fornisce inoltre un’ideologia domi- nante. Al mutamento sociale si sostituisce un mutamento nelle immagini. La libertà di consumare una pluralità di immagini e di beni viene identifi cata direttamente con la ‘libertà’. (S. Sontag, Sulla fotografia. Realtà e immagine nella nostra società, Einaudi, Torino, 1978). 2. L’autore dichiara un “dia- logo fra pensiero e immagi- ne” aprendo all’abisso e allo scarto della loro differenza e consonanza, alle enigmatiche Fig. 6 - U. Locatelli, Volumen, copertina relazioni che tra essi si isti- ebook, Piacenza, 2013. tuiscono e al modo di essere pensiero delle immagini e a quello di essere immagine del pensiero, e quindi alle loro associazioni e dissonanze, ai mutamenti di rotte che producono. (E. Fiorani, Mappe visive e della mente, in U. Locatelli, “Volumen. Dialogo fra pensiero e immagine”, 10.2! International research contemporary art, eBook, Milano 2013).

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Nastro di Moebius

Il Consiglio Naziona- le delle Ricerche (Cnr) ha titolato la sua news del 19/08/2016: “Scoperta la più antica raffi gurazione del na- stro di Moebius”. L’articolo descrive il mosaico di Aion e lo Zodiaco, del III secolo d.C., proveniente dall’antica città di Sentinum, ora parte del comune di Sassoferrato nelle Marche. Scritto da due fi sici teorici, Julyan Cartwright Fig.7 - U. Locatelli, Pensieri e immagini, dell’Università di Granada, in “Scrivere all’infi nito”, mosaico del III in Spagna, e Diego Gonzalez, secolo d.C. Ivrea, 2019. del Cnr e dell’Università di Bologna, e pubblicato su “Mathematical Intelligence” (Vol. 38 n.2), nel quale illustrano come questo mosaico sia il più antico esempio conosciuto di una fi gura geometrica molto speciale, il Nastro di Moebius, che contorna la fi gura di Aion. Questi, per Platone è ‘un’immagine mobile dell’eternità’ mentre nella cul- tura moderna Gilles Deleuze scrive che secondo Aion il futuro e il passato dividono all’infi nito, ad ogni istante, il presente, in passato e futuro.

Natura

Se desideriamo acquisire una percezione vivente della na- tura, dobbiamo mantenerci in formazione e plastici seguendo l’esempio ch’essa stessa ci dà. (J. W. Goethe, La metamorfosi delle piante, 1790).

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Numerologia

Nella visione taoista la numerologia apre l’accesso a vari livelli di corrispondenze e classifi cazioni sorprendenti, dal punto di vista occidentale, soprattutto perché i numeri vi acquistano importanza in quanto non servono, essenzialmente, a collocare delle entità in un ordine calcolabile astratto, bensì rappresentano esseri, cose ed eventi concreti e le ripartizioni variabili entro le quali questi oggetti possono essere distribuiti. In altri termini, i numeri ai quali si ricorre al fi ne di rendere manifesto un ordine intrinseco al mondo, servono a determinare, più che una quan- tità, una qualità di ciò cui sono riferiti. (A. Tagliaferri, Il taoismo, Tascabili Newton, Roma, 1996).

Onda

Il mare è appena increspato e piccole onde battono sulla riva sabbiosa. Il signor Palomar è in piedi sulla riva e guarda un’onda. Non che egli sia assorto nella contemplazione delle onde. Non è assorto, perché sa bene quello che fa: vuole guardare un’onda e la guarda. Non sta contemplando, perché per la contemplazio-

Fig. 8 – U. Locatelli, Lomografi a, Trapani, 2005.

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ne ci vuole un temperamento adatto, uno stato d’animo adatto e un concorso di circostanze esterne adatto: e per quanto il signor Palomar non abbia nulla contro la contemplazione in linea di principio, tuttavia nessuna di quelle tre condizioni si verifi ca per lui. Infi ne non sono “le onde” che lui intende guardare, ma un’onda singola e basta: volendo evitare le sensazioni vaghe, egli si prefi gge per ogni suo atto un oggetto limitato e preciso. Il signor Palomar vede spuntare un’onda in lontananza, crescere, avvicinarsi, cambiare di forma e di colore, avvolgersi su se stessa, rompersi, svanire, rifl uire. A questo punto potrebbe convincersi d’aver portato a termine l’opera- zione che s’era proposto e an- darsene. Però isolare un’on- da separandola dall’onda che immediatamen- te la segue e pare la sospinga e ta- lora la raggiun- ge e travolge, è molto difficile; Fig. 9 – U. Locatelli, Banco di prova, ex orfanotrofi o, Viggiù, 1944. così come sepa- rarla dall’onda che la precede e che sembra trascinarsela dietro verso la riva, salvo poi magari voltarglisi contro come per fermarla. Se poi si considera ogni ondata nel senso dell’ampiezza, parallelamente alla costa, è diffi cile stabilire fi n dove il fronte che avanza s’estende conti- nuo e dove si separa e segmenta in onde a sé stanti, distinte per velocità, forma, forza, direzione. Insomma, non si può osservare un’onda senza tener conto degli aspetti complessi che concorrono a formarla e di quelli altrettanto complessi a cui essa dà luogo. Questi aspetti variano continuamente, per cui un’onda è sem-

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pre diversa da un’altra onda; ma è anche vero che ogni onda è uguale a un’altra onda, anche se non immediatamente contigua o successiva; insomma ci sono delle forme e delle sequenze che si ripetono, sia pur distribuite irregolarmente nello spazio e nel tempo. (I. Calvino, Palomar, Einaudi, Torino, 1983).

Soluzione

In Orazio una soluzione, l’unica forse, al problema della fe- licità la trovi. Rinuncia, è il suo fondamento. Quel che c’è di più affettuoso, di più cordiale nel rotolo dell’Ecclesiaste è l’assenza di qualsiasi soluzione. Non averla trovata, non averla messa gene- rosamente a nulla, lasciando l’Essere essere l’Essere, e il destino umano senza una testa, un tronco, una coda, eppure doloroso e frenetico animale, signifi ca veramente aver visto, compreso tutto. (“Qohélet e gli altri Ecclesiasti”, in Qohélet o L’Ecclesiaste, a cura di Guido Ceronetti, Einaudi, Torino, 1980).

Fig. 10 – P. Otlet e H. La Fontaine, Schema della Classifi cazione Decimale Universale, in Mundaneum, Bruxelles, 1905.

206 Ugo Locatelli Glossario minimo fra arte e scienza. Parte VI ______

Tempo

Ha la sua ora tutto e il suo tempo ogni cosa sotto il cielo Il tempo di nascere e il tempo di morire Il tempo di piantare e il tempo di spiantare Il tempo di uccidere e il tempo di curare Il tempo di demolire e il tempo di costruire Il tempo delle lacrime e il tempo delle risa Il tempo dei gemiti e il tempo dei balli Il tempo delle pietre scagliate e il tempo delle pietre raccolte Il tempo delle braccia abbracciate e il tempo delle braccia lontane Il Tempo del cercarsi e il tempo del lasciarsi Il tempo di tenere e il tempo di gettare Il tempo di lacerare e il tempo di ricucire Il tempo di tacere e il tempo di parlare Il tempo di amare e il tempo di odiare Il tempo della guerra e il tempo della pace (Qohélet o L’Ecclesiaste, a cura di G. Ceronetti, Einaudi, Torino, 1980).

Zibaldone

La stesura della raccolta ‘fl essibile’ di pensieri e appunti Zibaldone impegna Giacomo Leopardi, in modo più o meno con- tinuo, dal 1817 al 1832. Un diario intellettuale impressionante di 4526 pagine manoscritte, nelle quali si trovano considerazioni e pensieri relativi a questioni fi lologiche, linguistiche, fi losofi che, letterarie, ed anche abbozzi poetici, pagine saggistiche, note psicologiche e autobiografi che. Attraverso un fi tto sistema di rimandi interni l’Autore collega rifl essioni anche lontane, ri- prendendo, per completarle, rifl essioni avviate in precedenza.

207 ArteScienza, anno VI, dicembre 2019, N.12, ISSN 2385-1961 ______

Fig. 11 - C. Giorgetti, Acquainted with the night (a distant memories wall), dattiloscritto con Olivetti Lexicon 80 su carta copiativa, Firenze, 2015.

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