Quaderni Itinerari interni 2.indd 1 22/11/2019 20:34:00 Quaderni Itinerari interni 2.indd 2 22/11/2019 20:34:00 Quaderni Itinerari interni 2.indd 3

SUPPLEMENTO AL NUMERO 7/2019 (2017/2019) SETTE PERCORSINARRATIVI PERIMMAGINI PORTFOLIO 22/11/2019 20:34:00 © Ministero dell’interno – Supplemento al numero 7/2019 di Itinerari Interni Percorsi normativi dell’amministrazione dell’interno

Sede legale, Direzione, Redazione e Segreteria Ministero dell’interno Ufficio Affari Legislativi e Relazioni Parlamentari Palazzo Viminale – P.zza del Viminale, 1 – 00184 – ROMA tel. 06.465.37522/06.465.37240 e-mail [email protected]

Il supplemento è consultabile all'indirizzo: www.sistemamodus.eu www.interno.gov.it Intranet Ufficio Affari Legislativi e Relazioni Parlamentari

Direttore responsabile Marco Valentini

Stampa Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato S.p.A. Finito di stampare nel mese di dicembre dell’anno 2019

Quaderni Itinerari interni 2.indd 4 22/11/2019 20:34:00 Quaderni Itinerari interni 2.indd 5 22/11/2019 20:34:01 Direttore responsabile Marco Valentini

Condirettore Franca Guessarian

Coordinamento generale Stefania Scintu

Segreteria di redazione Simona Cherubini, Federico Guerriero, Gianluca Manelli, Luca Tommolini

Fotografie Michele Ciavarella

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■ Portfolio: sette percorsi narrativi per immagini (2017/2019) Marco VALENTINI 10

■ 1 I palazzi delle Istituzioni Giuliano AMATO 16

■ 2 Foto di "Sapienza" con vissuto Eugenio GAUDIO 32

■ 3 Libri per la città Virginia RAGGI 46

■ 4 Libri in viaggio. Il treno nella cultura italiana tra Otto e Novecento Luigi CANTAMESSA 61

■ 5 Libri scolpiti Vittorio SGARBI 77

■ 6 L'arte di fare libri Massimo BRAY 93

■ 7 La cultura dell'Amministrazione e l'amministrazione della cultura Carlo MOSCA 109

■ Gli Autori 123

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 7 22/11/2019 20:34:01 Quaderni Itinerari interni 2.indd 8 22/11/2019 20:34:01 Portfolio: sette percorsi narrativi per immagini (2017/2019)

Marco Valentini

Quaderni Itinerari interni 2.indd 9 22/11/2019 20:34:01 PORTFOLIO: SETTE PERCORSI NARRATIVI PER IMMAGINI (2017/2019)

Marco Valentini

Gli analisti sociali svolgono un lavoro complicato, soprattutto quando viene richiesto loro di incamminarsi su sentieri predittivi. Non di rado, sono costretti a salire sulle montagne russe. Al tempo dell’esplosione della televisione commerciale, ad esempio, c’era chi dava per scontata la fine del cinema; con il diffondersi delle nuove tecnologie dell’informazione, altri hanno pronosticato la morte di libri e giornali; prima dell’avvento dell’alta velocità, era stato disegnato un futuro del mondo del trasporto di persone in cui treni e ferrovie, per come li abbiamo conosciuti, erano destinati ad andare in soffitta, salvo piccole tratte d’interesse locale. La fotografia non è stata risparmiata da questo processo. Le straordinarie possibilità del digitale e dei moderni smartphone avrebbero ben presto consegnato all’antiquariato – si pensava – le romantiche reflex, dotate di ottiche strabilianti, cui ci si era da tempo volentieri abituati. Un simile discorso pubblico, trasformatosi rapidamente in mainstream, messo a confronto con la realtà è sembrato, per una sorta di eterogenesi dei fini, dare forza a quell’atteggiamento scettico e disincantato che – probabilmente una minoranza – non aveva mai cessato di coltivare. Come Elena Ferrante, la celebre scrittrice di cui è ricercatissima la reale identità, che ci ha fatto sapere di non amare i tecnici della previsione, che “lavorano sul passato e nel passato vedono solo il passato che fa comodo vedere” mentre “niente è scritto, e ciò che accadrà non potrà che sorprenderci”. D’altro canto, la strada che va dal dagherrotipo alla reflex digitale è fatta di saliscendi, almeno quanto lo sono le peripezie degli analisti sociali. E tuttavia, come dimostrano le fotografie di Michele Ciavarella e lo storytelling che – numero dopo numero – ha inteso proporre ai Lettori di Itinerari Interni, attraverso quelle immagini, per nulla armamentario da soffitta, siamo nel pieno della contemporaneità, se contemporanea può definirsi, in ogni epoca, l’unicità dell’istante fissato dallo sguardo, l’irripetibilità dell’attimo raccontato. In questo senso, è interessante ricordare come Claude Monet decise, a un certo punto del suo itinerario artistico, di percorrere con i suoi strumenti espressivi una strada non dissimile. Nell’arco di un biennio, all’inizio degli anni novanta dell’ottocento, dalla sua casa di Giverny si sposta a Rouen e produce una serie sorprendente di tele – circa trenta – che rappresentano il medesimo soggetto, la

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bellissima e celebrata cattedrale gotica del capoluogo della Normandia, ritratta quasi sempre nella medesima prospettiva, ma in diverse ore del giorno e in differenti condizioni di luce. Va all’Hotel d’Angleterre e guarda dalla finestra;guarda dalla finestra e dipinge. Come Segantini, emblema del divisionismo, nell’Engadina innevata; come Vermeer che, pur innamorato dei suoi interni, non disdegna lo sguardo sulla Het Straatje dell’incantevole Delft. Ora, è senz’altro vero che l’interesse prevalente di Monet, maestro dell’impressionismo, fosse lavorare sulla mutabilità della luce e del colore, rendendone, con la sua arte, tangibili gli effetti sullo sguardo, cioè sulla percezione della realtà. Ma sono quelli gli anni in cui anche la fotografia, a seguito del succedersi della sperimentazione di numerose tecniche, stava strutturandosi come arte visiva, così proponendo, e al tempo stesso influenzando, la questione di una stabile relazione tra le due arti. Come non considerare, allora, che la fotografia, come l’esperimento di Monet, giochi su un terreno comune: richiedono entrambi una pausa di senso, l’attribuzione di un significato, il non voltare il capo di fronte all’attimo che, una volta fissato, sarà disponibile per l’osservatore un numero indefinito di volte. D’altro canto, le immagini sono anche un viaggio. Ecco spiegato il “percorso” narrativo che trasmette emozione e conoscenza a chi si acconcia a osservare in sintonia con il tempo e il luogo di quel fermo immagine. La letteratura, peraltro, non rinuncia a dire la sua. Quando Hermann Melville, scrittore newyorkese autore del monumentale Moby Dick, racconta che i veri luoghi non sono sulle mappe – non lo sono mai – entra anch'egli con lo spessore dell’intellettuale nella grande metafora dell’atto di vedere, che rappresenta un territorio unico, quello di una geografia emotiva che per il solo fatto di essere tale, aggiunge valore allo sguardo. Questo Quaderno raccoglie dunque i percorsi narrativi per immagini che hanno accompagnato due anni di vita di Itinerari Interni, con la ferma intenzione di essere parte integrante della Rivista, mai mero corredo estetico o documentale. Il volume che il Lettore ha adesso tra le mani, ne raccoglie sette, di storie, come i numeri finora pubblicati nella nuova serie di Itinerari Interni, che mantengono costante l'ispirazione del nostro lavoro editoriale: navigare nella cultura, rappresentare pensiero, ispirare teoria, condividere informazioni qualificate e competenze. Sono certo che le preziose introduzioni, affidate a straordinari interpreti – che colgo l’occasione di ringraziare, insieme a Michele Ciavarella, per la disponibilità dimostrata al nostro progetto editoriale – apriranno nuovi luminosi spazi di riflessione sugli orizzonti culturali messi in movimento dagli album del nostro Portfolio.

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 12 22/11/2019 20:34:04 “ Noi vorremmo soltanto che, se avete una macchina fotografica,

cerchiate di svolgere semplicemente un tema,

come nei bei tempi dell’infanzia... come se voi doveste,

parlando in termini fotografici,

stendere un’ideale sceneggiatura...

Guardate, cari amici, tutto è interessante,

a saperlo vedere con quel poco di emozione, di slancio,

che non manca mai,

quando si capisce che tutto quello che succede

non succede invano, ha sempre un peso, una conseguenza,

è sempre una manifestazione dei rapporti tra gli uomini e,

se non disturba l’espressione grossa,

è sempre storia. „

Cesare Zavattini

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 13 22/11/2019 20:34:05 “... abbiamo il privilegio di avere palazzi delle Istituzioni che sono in moltissimi casi carichi di storia. Non consideriamolo un privilegio di chi ha la ventura di abitarli, pretendiamo piuttosto da chi li abita comportamenti e scelte che non cancellino in noi la giusta percezione di avere in quegli stessi palazzi un patrimonio comune, frutto del lavoro, delle risorse, della creatività di italiani che hanno vissuto prima di noi ... „

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Giuliano Amato

Quaderni Itinerari interni 2.indd 15 22/11/2019 20:34:07 I PALAZZI DELLE ISTITUZIONI

Giuliano Amato

Ragioni le più diverse (la giovinezza dello Stato, il ripudio drastico del passato di uno Stato pre-esistente, il cambio di collocazione della Capitale) possono spiegarci come mai in diversi paesi i palazzi delle Istituzioni, o almeno quelli delle Istituzioni più importanti, sono edifici moderni, anonimi e funzionali, alla stregua, mutatis mutandis, degli aeroporti. Entrando in ciascuno di questi palazzi, l’effetto è esattamente quello dell’aeroporto: se non ci fosse scritta la città in cui esso si trova, potrebbe essere ovunque. E non farebbe differenza alcuna. Da noi non è così. Da noi i palazzi delle Istituzioni (salvo qualche rara eccezione di stampo aeroportuale) hanno una lunga storia, ne recano le tracce e sono per questo non solo inconfondibili, ma inconfondibilmente italiani. Lo sono quelli che sono stati sedi di Istituzioni per secoli e hanno vissuto per ciò stesso i diversi assetti istituzionali che nei secoli si sono succeduti. Si pensi così al complesso del Campidoglio, al suo Palazzo Senatorio che risale addirittura alle Istituzioni comunali del XII secolo, alla piazza progettata da Michelangelo e ai due palazzi, il Palazzo dei Conservatori e il Palazzo Nuovo, che l’avrebbero affiancata. Si potrebbe dubitare, arrivando al Campidoglio, di essere a Roma (a parte la vista del Foro romano, che si gode dall’ufficio del sindaco)? Oppure si pensi al Quirinale, dove da una villa con vigna del cardinale Carafa, costruita nel tardo ‘400, papi diversi hanno fatto nascere, in successivi passaggi, quel formidabile edificio che fu loro residenza e che è ora la sede della Presidenza della Repubblica. E c’è anche l’edificio accanto, costruito nel '700 per la Sacra Congregazione della Consulta e della Segnatura dei Brevi, divenuto per poco tempo, nel 1849, sede della Repubblica Romana e poi, dopo l’arrivo a Roma dello Stato italiano, sede di Ministeri, sino ad ospitare, dal 1956, la Corte Costituzionale. Anche qui ci troviamo davanti a palazzi, che parlano d’Italia e di storia italiana. Chi li visita non a caso è indotto a chiedersi, e quindi a chiedere, che cosa c’è nel passato di ciò che sta vedendo. E cresce, con la conoscenza, il prestigio del luogo. Né la situazione è diversa per i palazzi che non hanno alle spalle queste esperienze plurime e che il nostro Stato volle edificare nei primi decenni della sua vita romana allo scopo precipuo di ospitarvi le sue Istituzioni: il Ministero, all’origine, delle Finanze, che Quintino Sella volle per collocarvi non solo gli uffici dello stesso Ministero, ma anche la Corte dei Conti e la Cassa Depositi Prestiti; gli altri ministeri che sorsero nello stesso periodo in via XX Settembre, il Viminale, voluto da Giolitti all’inizio del ventesimo secolo e destinato, prima ancora che agli Interni, alla Presidenza del Consiglio. E infine il palazzo forse meno fortunato di tutti, il Palazzo di Giustizia, voluto da Zanardelli per ospitare tutti gli uffici giudiziari di Roma, che

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avrebbe poi ospitato la sola Cassazione, anche perché il terreno alluvionale su cui fu costruito sconsigliò l’erezione del previsto terzo piano. Li si pensi, questi palazzi della Roma sabauda, nel loro insieme. Non hanno in sé, di certo, tutta la storia che traspare dagli altri. Ma si legge nella loro architettura, nell’insieme omogenea e sempre ricca di elementi classicheggianti, l’intento di nutrire proprio di storia l’autorevolezza delle nuove Istituzioni, oltre che quello, testimoniato in particolare dall’ampiezza e dall’articolazione degli edifici, di offrire allo stesso tempo una sistemazione appagante per gli uffici e quindi per le persone che le avrebbero incarnate. Si potrebbe continuare con un terzo genere di palazzi, quelli che nacquero come residenze private e divennero nel tempo, mantenendo la stessa struttura, sedi di Istituzioni pubbliche: da Palazzo Chigi, costruito dagli Aldobrandini, abitato a lungo dalla famiglia dei Chigi, banchieri di origine senese, e divenuto ambasciata di diversi Stati importanti prima di essere acquistato ai primi del Novecento dallo Stato italiano; a , nato come residenza del cardinale Bonelli nel tardo Cinquecento, comprato nell’Ottocento dal banchiere Vincenzo Valentini e quindi dalla Deputazione Provinciale di Roma nel 1873. Di storia italiana, e in questi casi non solo delle Istituzioni, ce n’è tantissima anche qui, così come c’è, e altrettanto trasparente, nelle sedi istituzionali che incontriamo nelle nostre città di provincia, in tantissimi dei nostri comuni, dove la sede municipale è spesso in bellissimi edifici medioevali, come a Roma. E allora, se è così, qual è l’atteggiamento che vogliamo tenere davanti ai palazzi delle nostre Istituzioni, in tempi in cui essi sono visti da molti come recinti dove si sono rinchiuse élite lontane dai sentimenti dei più, i palazzi dunque di un potere non amico, nei quali chi non ha accesso non trova ragioni né di orgoglio né di condiviso interesse? I motivi di tale ripulsa, che sono peraltro endemici in ogni società, si accentuano nelle fasi di sclerosi dei sistemi di governo e comunque quando sono diffusi gli interessi che si sentono ignorati dalla loro azione. È particolarmente in fasi del genere che si scava il solco fra chi vive nel palazzo e tutti gli altri, fra chi è per ciò stesso percepito come un abusivo fruitore di privilegi, intento soprattutto a conservarli, e chi sta fuori. E allora lo stesso palazzo può essere percepito come un bene che, fruito com’è da pochi, sarebbe addirittura meglio che neppure ci fosse; e che quei pochi, ammesso che lavorino, vadano a lavorare negli anonimi ambienti in cui lavorano tutti gli altri. Tutto questo è più che comprensibile e tanto più lo è per noi, che in Italia e altrove abbiamo vissuto anni nei quali è venuto maturando l’accentuarsi del distacco fra cittadini e Istituzioni e quindi della ripulsa ora descritta. Ma la soluzione è nella eliminazione del male, nella eliminazione cioè di quel distacco, non nella distruzione iconoclasta di un patrimonio che non è di alcuni, ma è e deve essere sentito di tutti. Il sentimento che i palazzi delle Istituzioni dovrebbero sempre suscitare è quello diffuso nelle comunità medievali che provvidero alla costruzione delle loro

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 17 22/11/2019 20:34:07 case comunali (che in molti casi sono tuttora le nostre): il sentimento di chi sta dedicando una parte del proprio lavoro e delle risorse che ne ricava alla creazione di un bene comune, di cui potrà essere orgoglioso davanti al mondo circostante e di cui trasmetterà l’orgoglio alle generazioni future. Esattamente come per le cattedrali e per le tante bellissime chiese sorte nei secoli nelle nostre città. Già – si potrà dire – ma le cattedrali erano poi destinate a loro, erano e sono edifici aperti a tutti, dove tutti, e non solo alcuni, trovano posto per partecipare alle funzioni religiose o più semplicemente per raccogliersi con se stessi e con la loro fede. È vero, questa differenza c’è, ma compito di chi governa è far sì che, in modi certo diversi, i palazzi delle Istituzioni siano sentiti come propri da tutti e déstino perciò lo stesso senso di appartenenza e di orgoglio comune. Dovrebbe essere ragione non di ostilità, ma di riconosciuto maggior valore che chi ci rappresenta e ci governa, prendendo decisioni che ci riguardano tutti, lavori in edifici diversi e, perché no, più belli di quelli in cui lavorano gli altri; e che lì li possiamo incontrare quando ci serve parlare con loro. Riappropriarsi dei palazzi del potere non significa allora distruggerli e sostituirli con parchi pubblici oppure trasformarli in dormitori. Significa pretendere – e almeno in democrazia (finché saremo capaci di goderne) questo è sacrosanto – che il potere sia affidato ad elite non sclerotiche, ma figlie di una effettiva concorrenza politico- elettorale e quindi aperte al rinnovamento delle persone e delle idee; e pretendere altresì che esso sia esercitato non solo nel nome di tutti, ma nell’interesse di tutti e fornendo a tutte le voci volta a volta rilevanti i modi per farsi sentire. È nell’inadeguatezza dei processi democratici – del loro input e del loro output direbbero i politologi – il male da curare. Quanto più lo si fa, tanto più l’ostilità verso gli stessi palazzi viene meno e si ripristina verso di essi il sentimento che essi meritano; compresi quelli nati come residenze e divenuti poi sedi di Istituzioni, dei quali, anzi, a maggior ragione, va creata la percezione che sono divenuti beni comuni. A questo fine, per la verità, c’è anche qualcos’altro che merita fare e che riguarda l’accessibilità stessa dei palazzi, oltre che il buon uso fattone da chi vi lavora nell’interesse collettivo. Non li si può aprire ogni giorno e in ogni loro angolo, altrimenti diventerebbero musei del presente e non più luoghi di lavoro istituzionale. Ma intanto devono essere accessibili, senza difficoltà, a chi ha pratiche in corso nei palazzi dove queste pratiche si sbrigano. Abbiamo voluto, quasi trent’anni fa, i responsabili dei procedimenti ed è essenziale che anche ad essi possano avere accesso, quando lo ritengono necessario, coloro che degli stessi procedimenti sono destinatari. Va aggiunto, fra l’altro, che non tutti siamo felici delle relazioni interamente e quindi esclusivamente informatiche, con i cittadini. Parlare con le persone in carne e ossa che si occupano di te dovrebbe essere sempre possibile. C’è poi l’accessibilità destinata alla conoscenza, conoscenza dei luoghi e delle persone che ci lavorano. Questa è praticata da tempo, esemplari sono le caserme ed esemplare è diventato il Quirinale, dove lavora (e non sempre vive) il Capo dello Stato. Da sola, certo non basta ed anzi, ove il clima sia di fastidio acuto verso le Istituzioni, rischia di essere vissuta come una presa in giro. Ma anche in questi anni

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difficili, che alcune Istituzioni le hanno tuttavia risparmiate, le visite ai palazzi di queste sono state gradite da migliaia e migliaia di persone, che hanno fatto addirittura la fila per poterne usufruire. Il Quirinale è ancora il primo esempio e l’esperienza delle visite dimostra che l’interesse dei cittadini, oltre che alle bellezze offerte dal palazzo, va molto, e forse ancora di più, ai luoghi di lavoro del Presidente, alle sale dove incontra i capi di stato di altri paesi, a dove stavano, prima di lui, i papi e i re. È una forma anche questa di trasparenza del potere ed è grazie ad essa che si fa condividere dagli stessi cittadini, pronti a provarlo, l’orgoglio di veder ricevuti i leader stranieri in posti tanto belli, tanto espressivi del meglio che l’Italia può offrire. In questo senso la auspicata vicinanza dei cittadini al potere fa di sicuro un passo in più se è loro offerta la possibilità di affacciarsi al balcone dell’ufficio del sindaco di Roma, che ha davanti le meraviglie del Foro Romano. E, da quando ho fatto il ministro del Tesoro, ho sempre pensato che producesse lo stesso effetto far visitare ai cittadini il grande Ministero di via XX Settembre e, in esso, le sale di incontro con i ministri stranieri e i vertici delle Istituzioni finanziarie internazionali. Ricevere questi ultimi in luoghi di rappresentanza e di qualità anche artistica così elevata rafforza – era la mia riflessione – la nostra affidabilità di titolari di uno dei debiti pubblici più alti d’Europa; e farli vedere anche ai cittadini li può non solo gratificare, ma un po’tranquillizzare. In conclusione: abbiamo il privilegio di avere palazzi delle Istituzioni, che sono in moltissimi casi carichi di storia. Non consideriamolo un privilegio di chi ha la ventura di abitarli, pretendiamo piuttosto da chi li abita comportamenti e scelte che non cancellino in noi la giusta percezione di avere in quegli stessi palazzi un patrimonio comune, frutto del lavoro, delle risorse, della creatività di italiani che hanno vissuto prima di noi. Ed evitiamo in ogni caso di considerare la storia un fardello di cui liberarci. Ricordiamoci anzi che essa è parte, non solo delle nostre ricchezze attuali, ma anche dell’interesse che suscitiamo oggi nel mondo. Si viene da noi per vedere, in primo luogo, le vestigia di quella storia. E in paesi di antica civiltà come la Cina siamo preferiti ad altri interlocutori perché, seppure in misura minore della stessa Cina, abbiamo alle spalle una lunga storia. I palazzi dei quali abbiamo parlato sin qui innestano su questa lunga storia le nostre Istituzioni. Investono, per ciò stesso, di una grande responsabilità chi le Istituzioni le incarna. Ma chiedono anche ai cittadini di non avere soltanto domande e aspettative. Chiedono la loro responsabile disponibilità a riconoscere, distinguere e rispettare chi si è adoprato ieri e chi si adopra oggi perché le Istituzioni operino al loro servizio.

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 19 22/11/2019 20:34:07 Roma, Palazzo del Viminale, sede del Ministero dell'interno

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 20 22/11/2019 20:34:08 Roma, Palazzo Valentini, sede della Provincia e della Prefettura di Roma

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 21 22/11/2019 20:34:09 Roma, Palazzo Senatorio, sede del Comune di Roma

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 22 22/11/2019 20:34:11 Roma, Palazzo Montecitorio, sede della Camera dei Deputati

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 23 22/11/2019 20:34:12 Roma, , sede del Senato della Repubblica

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 24 22/11/2019 20:34:14 Roma, Palazzo di Giustizia, sede della Corte Suprema di Cassazione

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 25 22/11/2019 20:34:15 Roma, Palazzo Chigi, sede del Governo della Repubblica

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 27 22/11/2019 20:34:20 Roma, Palazzo del Quirinale, sede della Presidenza della Repubblica

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 29 22/11/2019 20:34:23 “... passando quasi sempre sovrappensiero davanti ai pilastri piacentiniani e sotto i ponti che collegano i padiglioni centrali, inevitabilmente si finisce per trascurare il lungo processo costruttivo di un complesso edilizio che ha dietro una storia elaborata e dunque un suo significato simbolico ... „

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Eugenio Gaudio

Quaderni Itinerari interni 2.indd 31 22/11/2019 20:34:24 FOTO DI "SAPIENZA" CON VISSUTO

Eugenio Gaudio

Sono tanti gli anni in cui ho percorso i viali della Città universitaria; la frequentazione è naturalmente aumentata da quando ho assunto il ruolo di Rettore. Il nuovo incarico mi ha messo nelle condizioni di osservarla e quasi “respirarla” molto più intensamente, anche se non sono molti i momenti che gli umanisti avrebbero chiamato di otium in cui mi sono soffermato a considerare il privilegio di trovarmi a lavorare in luoghi così carichi di storia e di architettura. Passando quasi sempre sovrappensiero davanti ai pilastri piacentiniani e sotto i ponti che collegano i padiglioni centrali, inevitabilmente si finisce per trascurare il lungo processo costruttivo di un complesso edilizio che ha dietro una storia elaborata e, dunque un suo significato simbolico. Stiamo parlando di un’architettura che è stata definita “razionalista” anche perché rivoluzionava un aspetto urbano delle città in cui imperavano le mode umbertine e liberty, con le loro libere forme di linee curve e volute. Si trattava di una reazione a quegli stilemi neobarocchi, volutamente ricchi e complicati che imperavano fin oltre la prima guerra mondiale. Un nuovo stile costruttivo che si impose, soprattutto nei paesi a regime totalitario, come arte antidecorativa, mirante all’essenziale e al funzionale, con linee rette e ortogonali anziché curve e involute. Marcello Piacentini, il più celebre architetto italiano del tempo e Preside della Facoltà di Architettura della Sapienza, riuscì a improntare molti centri storici della Bell’Italia con edifici monumentali e magniloquenti, visivamente invasivi, talora difficilmente ricomponibili con preesistenze e stratificazioni medioevali e rinascimentali lasciate in eredità dalla storia. Naturalmente nella cittadella degli studi – a ben vedere uno dei primi campus della storia universitaria – pur periferica all’epoca rispetto al centro della Capitale si potevano e dovevano sperimentare forme nuove. Quanti erano considerati al tempo i migliori architetti contribuirono a realizzare quelle città metafisiche come “la Nuova Sapienza” e poi l’EUR, già profeticamente raffigurate nelle pitture di De Chirico e Carrà: le forme tratte dalla romanitas e dunque gli spazi, le piazze e gli archi degli acquedotti ispiravano le nuove architetture d’epoca. Fin qui, il richiamo all’ispirazione monumentale della Città universitaria, ripresa con maestria dalle fotografie della Rivista Itinerari Interni. Esse riproducono quelle stesse architetture che acquistano una diversa vita per il taglio veramente originale del punto di vista. L’equilibrio di ombre e luci, vuoti e pieni e la sapiente correzione delle “linee cadenti” sono l’evidente risultato di un’elaborazione professionale di strumenti come il banco ottico, ma anche di particolari obiettivi funzionali ad un corretto allineamento della parallasse. Questo livello di elaborazione estetica

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colpisce tanto più oggi, in un tempo in cui la diffusione di ogni sorta di smartphone ha reso ogni abitante della Terra un fotografo, facendo però rimpiangere l’arte dei maestri del Bianco e Nero. Le foto che il Prefetto Valentini mi chiede di commentare sono un vero regalo al nostro Ateneo: lo sono una prima volta perché sono spesso mosse e rese vive dalla presenza di studenti e passanti e una seconda volta per essere il frutto di una passione professionale. L’artista sceglie l’ora giusta per cogliere con la luce opportuna l’atmosfera, a volte metafisica, degli spazi Sapienza. Ma certo non è un caso che il fotografo, tra le immagini che ci mostra, riproduca la chiesa borrominiana di Sant’Ivo che riallaccia, al fondo del cortile, le ali dell’antica sede dell’Università per poi risalire con gioco di concavo\convesso avvitandosi in forma spirale, fino al celebre cupolino. È un’architettura eloquente che, attraverso molti simboli sapienziali, vuole rappresentare la sede per eccellenza del sapere, della cultura e dell’insegnamento. Certo, la prima sensazione che si percepisce è il contrasto tra questa architettura, esempio massimo del barocco seicentesco, e quella “razionalista” della Città Universitaria, e le foto non mancano ovviamene di sottolineare una tale dissonanza. Dove lì sono tutte curve messe a contrasto per costruire spazi fantastici e quasi onirici, nella nuova città figurano solo linee rette e ortogonali caratterizzate da pilastri anziché da colonne. In largo anticipo rispetto ai più moderni studi, l’alto standard architettonico e dei servizi era infatti ritenuto portatore di un fattore qualitativo dell’insegnamento e della ricerca come anche di una positiva socialità degli studenti. Un riferimento preso a modello anche dall’architetto Marcello Piacentini per la sistemazione generale della Nuova Città Universitaria, pensata come modello italiano di nuova città moderna, frutto di una equilibrata miscela di tradizione e innovazione, e che orienta l’attuazione delle politiche di espansione edilizia dell’ateneo fino alla fine degli anni ’50. Nella fotografia che inquadra in primo piano la statua della Minerva, opera dello scultore Arturo Martini, divinità di antica tradizione greco-romana posta al centro della Città Universitaria, come in quella che ritrae i Dioscuri inseriti nel prospetto principale dell’edificio della Facoltà di Lettere e Filosofia, si può cogliere la sintesi del rapporto tra la più antica tradizione iconografica della cultura classica e la contemporaneità del linguaggio architettonico: da un lato le ragioni della modernità espresse dall’esperienza razionalista del Movimento Moderno internazionale, dall’altro il portato della cultura antica e rinascimentale del centro storico della città di Roma. Tradizione e innovazione nella contemporaneità: un tema fondamentale per la cultura italiana, che la fotografia del Museo dell’Arte Classica della Sapienza rende percepibile, ove viene ritratta una sala con i calchi in gesso di sculture greche dal periodo arcaico all’ellenismo. L’immagine, rendendo esplicita la presenza di giovani impegnati nello studio, comunica con immediatezza che alle funzioni museali della conservazione, della tutela, della ricerca e della didattica, si integra anche la funzione di sala ove si offre la possibilità di studiare in uno spazio che invita alla contemplazione della bellezza.

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 33 22/11/2019 20:34:24 Roma, Piazzale Aldo Moro, fontana

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 34 22/11/2019 20:34:25 Roma, Chiesa di Sant'Ivo alla Sapienza − particolare della cupola realizzata da Francesco Borromini

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 35 22/11/2019 20:34:26 Dipartimento di Fisiologia umana e Farmacologia medica "Vittorio Erspamer" − momento di pausa degli studenti

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 36 22/11/2019 20:34:27 Studenti alla Facoltà di Lettere e Filosofia

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 37 22/11/2019 20:34:27 Percorsi − Dipartimento di Fisica, edificio Marconi, visto da via Piero Gobetti

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 38 22/11/2019 20:34:28 Ingresso della Facoltà di Giurisprudenza. Sullo sfondo, la Facoltà di Scienze Politiche, Sociologia e Comunicazione

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 39 22/11/2019 20:34:28 Finestre del Dipartimento di Fisica

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 40 22/11/2019 20:34:29 Studenti all'interno del Museo dell'Arte Classica, presso la Facoltà di Lettere e Filosofia

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 41 22/11/2019 20:34:29 Roma, Università degli studi "La Sapienza", statua della Minerva di Arturo Martini

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 42 22/11/2019 20:34:30 Roma, Piazzale Aldo Moro, ingresso

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 43 22/11/2019 20:34:31 “... la nostra città promuove ‘luoghi della lettura’ anche molto diversi da quelli tradizionali; spazi che non rientrano nella cosiddetta ‘filiera del libro’ pur essendone comunque parte integrante. Penso al bookcrossing, alle biblioteche mobili che viaggiano sui bibliobus; penso alle biblioteche a cielo aperto o a quelle di condominio: tanti modi diversi che fanno circolare pensieri ... „

Quaderni Itinerari interni 2.indd 44 22/11/2019 20:34:31 Libri per la città

Virginia Raggi

Quaderni Itinerari interni 2.indd 45 22/11/2019 20:34:31 LIBRI PER LA CITTÀ

Virginia Raggi

È innegabile come, nel corso degli anni, il concetto di biblioteca si sia inevitabilmente evoluto. Dalla staticità della custodia e del possesso del bene librario si è passati al concetto dinamico di una biblioteca pubblica sempre più aperta alla produzione della cultura ma che, contestualmente, fosse stimolo di forte senso di appartenenza a una comunità. La grande biblioteca tradizionale è dunque stata chiamata – soprattutto dopo l’arrivo di internet – a rispondere alle nuove richieste di un’utenza diversa, che non era più solo quella di studiosi o ricercatori ma comprendeva un pubblico decisamente più ampio, che conosceva i nuovi media e ne faceva quotidianamente uso. Bisognava, quindi, non solo aprire il proprio patrimonio a pubblici sempre più vasti ma, più di ogni altra cosa, bisognava accettare la sfida del digitale. Dunque, è stato chiesto alla biblioteca di pensare a una diversa organizzazione di servizi e di spazi che implementassero e migliorassero l’offerta continuando a garantire informazione, promozione alla lettura e formazione che da sempre ne hanno fatto strumento di crescita per un territorio. È, in effetti, quello che è successo quando il linguaggio analogico ha cominciato a dialogare con il digitale; una ‘connessione’ cui la biblioteca pubblica ha risposto fornendo alla propria utenza gli strumenti necessari per orientarsi nella nuova realtà multimediale. Le mediateche e i corsi per l’accesso all’informazione digitale hanno rappresentato le prime risposte a questi nuovi bisogni e sono stati lo strumento indispensabile per garantire quell’accesso alla cultura che è parte fondante di una società democratica. Un messaggio culturale di apertura e di integrazione che ha permesso di riscoprire l’individuo come parte di una comunità, nella convinzione che la cultura si realizzi partendo proprio dal confronto e dalla relazione tra persone. Spazi fluidi dunque, quelli delle nuove biblioteche, dove la lettura si alterna alla proposta di film, musica, presentazioni di volumi, corsi di vario tipo; luoghi dove si può creare, dove ci si incontra, si partecipa a progetti divenendo attori del cambiamento e addirittura protagonisti attivi della vita culturale del territorio qualora si scegliesse di mettere le proprie competenze a disposizione di altri utenti. E una biblioteca che, col tempo, diventa sempre più ‘agorà’ e motore della vita di un territorio è parte importante di un processo culturale perché rivede i contesti in cui i tessuti urbani si sono sviluppati, ne mette in luce i cambiamenti e valorizza la rete di incontri e di confronti che li caratterizzano.

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 46 22/11/2019 20:34:31 Libri per la città

Ma questo riconsiderare il rapporto tra la novità e la tradizione e tra gli spazi e la cultura ha indotto alcuni a chiedersi se le biblioteche avessero ancora un senso o se invece, in particolare nell’era dei social, fossero realtà superate e inutili. La natura democratica della biblioteca pubblica, contribuendo a rimettere al centro della città il valore della cultura, utilizza quest’ultima come mezzo per superare quella perdita di valori di cui tutti soffriamo. E credo di non esagerare nel ritenere che, oggi più che mai, le biblioteche vadano tutelate con impegno perché beni comuni a salvaguardia di una crescita sana delle nostre comunità. Sono strumenti strategici che crescono grazie anche al lavoro paziente dei bibliotecari, guide dalle competenze preziose che sanno accompagnare l’utenza nella ricerca di risposte e nello sviluppo di nuove idee e progettualità. Roma da tempo riserva sempre maggiori spazi ai presidi culturali. Un desiderio evidente dimostrato anche dal fatto che la nostra città promuove ‘luoghi della lettura’ anche molto diversi da quelli tradizionali; spazi che non rientrano nella cosiddetta ‘filiera del libro’ pur essendone comunque parte integrante. Penso al bookcrossing, alle biblioteche mobili che viaggiano sui bibliobus; penso alle biblioteche a cielo aperto o a quelle di condominio: tanti modi diversi che fanno circolare pensieri raggiungendo anche quell’utenza che, pur non frequentando la biblioteca tradizionale, diventa comunque fruitrice di un bene pubblico prezioso. Come d’altro canto testimoniano le fotografie pubblicate nelle pagine che seguono.

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 47 22/11/2019 20:34:31 Roma, Viale Castro Pretorio, Biblioteca Nazionale Centrale

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 48 22/11/2019 20:34:32 Roma, quartiere di Torresina, Bibliocabina

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 49 22/11/2019 20:34:32 Roma, Lungotevere Castello, Bibliobar

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 50 22/11/2019 20:34:33 Roma, Palazzetto Mattei, Biblioteca della Società Geografica Italiana

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 51 22/11/2019 20:34:34 Roma, Terza Casa Circondariale Rebibbia, Biblioteca

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 52 22/11/2019 20:34:34 Roma, Sala della Biblioteca del Museo storico della liberazione nell’edificio di Via Tasso, già sede del carcere della Gestapo durante l’occupazione nazista

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 53 22/11/2019 20:34:35 Roma, aula dell'Istituto Comprensivo “Via Rugantino 91”, Plesso di Torre Maura

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 54 22/11/2019 20:34:35 Roma, Palazzo Viminale, Biblioteca Centrale del Ministero dell’interno

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 55 22/11/2019 20:34:36 Roma, Palazzo Viminale, Biblioteca Centrale del Ministero dell’interno

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 56 22/11/2019 20:34:36 Caprarola, , Sala Regia, trompe l'oeil che rappresenta un personaggio identificato come Fulvio Orsini

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 57 22/11/2019 20:34:37 “... anche l’odore e i rumori del treno e delle stazioni erano uguali, erano Italia ovunque si andasse; e per questo divenivano materia viva di una nuova rappresentazione, di un affresco che mescolava classi sociali e identità nel farsi della nazione. Il treno e il mondo della ferrovia entravano stabilmente nell’immaginario collettivo degli italiani, divenivano scenari, ambienti familiari nella vita delle persone e nell’elaborazione artistica e letteraria ... „

Quaderni Itinerari interni 2.indd 58 22/11/2019 20:34:38 Libri in viaggio. Il treno nella cultura italiana tra Otto e Novecento

Luigi Cantamessa

Quaderni Itinerari interni 2.indd 59 22/11/2019 20:34:38 Quaderni Itinerari interni 2.indd 60 22/11/2019 20:34:38 LIBRI IN VIAGGIO. IL TRENO NELLA CULTURA ITALIANA TRA OTTO E NOVECENTO

Luigi Cantamessa

Il treno e la cultura Italiana: una lunga storia che nasce con il sorgere dell’idea unitaria quando intellettuali, scrittori, economisti e scienziati, riuniti attorno alla rivista “L’Antologia” di G. P. Viesseux (1819), affascinati dalle notizie circa la nuova invenzione provenienti dall’Inghilterra, cominciarono a vedere nel nuovo mezzo di trasporto un potente fattore di promozione per una futura riunione dei territori italiani. Ma la frontiera di progresso che il nuovo mezzo dischiudeva non attirava solo illustri intellettuali e, in molti Stati italiani, si cominciarono fattivamente a progettare strade ferrate. Fu però, inaspettatamente, il Regno di Napoli ad aggiudicarsi il primato ferroviario: il 3 ottobre 1839 il primo sbuffante convoglio su “guide di ferro” percorreva i nove Km da Napoli a Portici, tra ali di folla plaudente, alla presenza del sovrano Ferdinando II di Borbone. La ferrovia, come fattore attivo dell’unificazione italiana, irromperà sullo scenario europeo nel 1846 con gli scritti di Camillo Benso conte di Cavour, seguiti da una serie di interventi di prestigiosi intellettuali, ormai schierati apertamente per l’unità e l’indipendenza italiana: Cesare Balbo, Cesare Cantù e, infine, Carlo Cattaneo. Quest’ultimo individuava nel treno la forza che avrebbe abbattuto, non solo barriere doganali, ma anche i residui ostacoli alla libera circolazione delle persone e delle idee, costituendo quel sistema circolatorio indispensabile per la crescita dell’organismo nazionale. Anche nella narrativa italiana il treno si affacciò, quasi subito, come elemento che forzava gli scenari immobili della società provinciale, aprendo le porte ad una conoscenza più profonda degli uomini e dei luoghi: nel 1856 un giovane scrittore toscano, Carlo Lorenzini – divenuto poi famoso con lo pseudonimo di Carlo Collodi – già volontario nel 1848 a Curtatone con il battaglione degli studenti, pubblicava un volumetto dal titolo “Un romanzo in vapore. Da Firenze a Livorno” nel quale descriveva il suo primo viaggio sulla macchina a vapore nel cuore della Toscana, unendo informazioni tecniche, osservazioni personali e curiosità sulle località toccate dalla ferrovia. Il volume fu venduto ai viaggiatori nelle stazioni della nuova linea ferroviaria “Leopolda”, che univa Firenze a Livorno, durante il primo anno di esercizio. Insomma, nasceva l’Italia ed il treno diveniva simbolo stesso dei progressi della giovane nazione. Nel 1871, in occasione dell’apertura della galleria ferroviaria del Frejus lunga quasi 13 Km, un primato italiano che sorprese il mondo, lo scrittore Edmondo De Amicis indirizzò pagine di cronaca commossa all’evento: la vittoria dell’uomo sulla

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 61 22/11/2019 20:34:39 natura, l’abbattimento di una barriera che si era sino ad allora opposta all’unione di popoli fratelli. Il treno, entrando stabilmente nell’immaginario letterario italiano dell’Ottocento, sollecitava risposte molteplici, forniva una materia nuova a riflessioni che oscillavano dall’iperbole retorica alla riflessione intimistica. Giosuè Carducci nel suo “Inno a Satana” assumeva il treno come fattore dirompente di progresso: il treno è “un bello e orribile mostro” che supera e piani, sorvola baratri uscendo indomito e segnalando al mondo il suo messaggio di ribellione e progresso. Diverso il tono di Giovanni Pascoli che nella poesia “la via ferrata” assume una posizione più sfumata, meno propensa a credere ciecamente al mito del progresso. Qui il treno diviene elemento che rompe l’idillio della natura, con i suoi rumori e con il luccichio dei suoi metalli. Il treno compariva per la prima volta anche in tante opere della pittura italiana: paesaggi solcati da sbuffanti locomotive (De Nittis), arrivi in stazioni affollate (Morbelli), interni di scompartimenti malinconici (Induno). Una società in formazione si specchiava nelle sue ferrovie; treni e stazioni divenivano luoghi di incontro di una collettività che cominciava a riconoscersi nella contiguità del viaggio, che si trovava assieme per la prima volta e, anche se per un tempo fugace, scopriva, nelle fisionomie, nel modo di parlare, nello scambio dei cibi, nella complicità degli sguardi e dei reciproci stupori, motivi di vicinanza. Ci si incontrava tra genti che parlavano lingue diverse e ci si scopriva più uguali su quelle panche che erano le stesse a Torino come a Napoli, circondati da quel mondo di orari, regolamenti, meccanismi che formavano una continuità ininterrotta, rassicurante, solidamente monotona dalle Prealpi lombarde alle coste siciliane. Anche l’odore e i rumori del treno e delle stazioni erano uguali, erano Italia ovunque si andasse; e per questo divenivano materia viva di una nuova rappresentazione, di un affresco che mescolava classi sociali e identità nel farsi della nazione. Il treno e il mondo della ferrovia entravano stabilmente nell’immaginario collettivo degli italiani, divenivano scenari, ambienti familiari nella vita delle persone e nell’elaborazione artistica e letteraria. Nel corso del Novecento, soprattutto dopo gli sconvolgimenti della Grande guerra e l’irrompere di nuove mitologie legate alla velocità, alla potenza, al fascino dirompente delle tecnologie, il treno diviene oggetto stesso di rappresentazione ideologica. La cultura italiana si misura con le forme nuove della tecnologia e della vita collettiva: treni e stazioni, assieme ad altre espressioni della modernità industriale, sono materia per una nuova rappresentazione simbolica ed estetica che rifiuta la continuità con il passato ottocentesco, con la rassicurante estetica borghese del Liberty e del Decò. Con il futurismo il treno diviene proiezione dirompente di un immaginario rivoluzionario, avanguardistico. La velocità, l’astrazione razionalistica della forma meccanica spogliata dagli orpelli della decorazione sono principi che influenzano fortemente la cultura espressiva italiana di quegli anni. Nei progetti di nuovi treni e stazioni si esercita una cultura originale in cui gli elementi della tradizione italiana vengono rivisitati, danno luogo a creazioni di alto valore estetico che propongono una nuova immagine dell’Italia nel

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 62 22/11/2019 20:34:39 Libri in viaggio. Il treno nella cultura italiana tra Otto e Novecento

mondo. Sono gli anni in cui Giuseppe Pagano, coadiuvato da un giovane Gio Ponti, progetta il nuovo ETR 200 – l’aereodinamico convoglio che, nel 1939, realizzò il record mondiale di velocità ferroviaria superando i 200 Km/h – e una nuova leva di giovani architetti, tra cui Angiolo Mazzoni e Roberto Narducci, si misura con la progettazione di nuove stazioni dalle forme razionali, quasi metafisiche. Se per la cultura tecnica la ferrovia continuerà, anche nel dopoguerra, ad essere uno dei cantieri dell’innovazione – si pensi all’innovativo progetto di Gio Ponti e Minoletti per il nuovo elettrotreno ETR 300 Settebello del 1952 – il cinema e la letteratura di quegli anni troveranno, di nuovo, nell’ambiente ferroviario un universo di atmosfere, figure umane e paesaggi che diverranno costanti narrative di una grande stagione della cultura italiana. Dal neorealismo alla commedia di costume al cinema di grande impegno sociale e politico, treni e stazioni saranno i luoghi dove verrà rappresentata la storia, a volte difficile e drammatica, di un nuovo percorso collettivo della società italiana alle prese con nuovi problemi, nuove ansie, nuove speranze. E anche i grandi autori della letteratura italiana del dopoguerra – Cassola, Bassani, Calvino, Vittorini – nello scavare in profondo la dimensione esistenziale di un epoca di grandi cambiamenti, ritroveranno nelle ambientazioni ferroviarie quei frammenti di vita quotidiana – il viaggio, un paesaggio suburbano, la campagna vista dal treno, gli sguardi anonimi nella penombra di uno scompartimento, i rumori di una stazione al mattino – che, come le tessere di un mosaico, si ricomporranno all’interno di complessi disegni narrativi: frammenti di una quotidianità che non è il banale e l’insignificante, ma l’essenza stessa della vita e della poesia. Un insieme di suggestioni, insomma, sulle quali il Lettore potrà spaziare sfogliando le immagini fotografiche dei “Libri in viaggio”.

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 63 22/11/2019 20:34:39 Merano, bibliofermata trasporto locale

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 64 22/11/2019 20:34:39 Roma, Lungotevere Oberdan, mercatino di libri

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 65 22/11/2019 20:34:39 Roma, Terrazza Termini, in attesa

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 66 22/11/2019 20:34:40 Roma, Stazione Centocelle, ferrovia regionale

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 67 22/11/2019 20:34:40 Roma, Stazione metro C San Giovanni, libri in viaggio

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 68 22/11/2019 20:34:41 Roma, finestra sulla Stazione Termini

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 69 22/11/2019 20:34:42 Roma, La galleria di Leonardo

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 70 22/11/2019 20:34:42 Roma, Il viaggio di Sofia

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 71 22/11/2019 20:34:43 Roma, Villa Borghese, libri in bicicletta

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 73 22/11/2019 20:34:43 “... la presenza non rara del libro nei monumenti non deve fare dimenticare che, prima dell’Ottocento avanzato, era oggetto tutt’altro che diffuso al di fuori delle cerchie colte, che di solito erano anche benestanti. In questa funzione di identificatore sociale, connotando per lo più una provenienza borghese, lo troviamo frequentemente nelle statue commemorative ottocentesche e primo-novecentesche ... „

Quaderni Itinerari interni 2.indd 74 22/11/2019 20:34:44 Libri scolpiti

Vittorio Sgarbi

Quaderni Itinerari interni 2.indd 75 22/11/2019 20:34:44 Quaderni Itinerari interni 2.indd 76 22/11/2019 20:34:44 LIBRI SCOLPITI

Vittorio Sgarbi

Non possono considerarsi rare le rappresentazioni dei libri in scultura, specialmente in quella monumentale, visto che sono attributi ordinari non solo degli uomini di lettere, ma anche di quelli di genio, per non dire di profeti, santi e teologi quando ci si vuole riferire alla loro suprema virtù religiosa. Nel caso, per esempio, del celeberrimo Mosé di Michelangelo a , statua principale del travagliato progetto per la tomba di papa Giulio II, con la testa che ad anni di distanza dalla prima versione venne rivolta verso la fonte di luce da cui ancora risulta spettacolarmente illuminata a una certa ora del giorno, le tavole chiuse a libro rappresentano evidentemente la continuità e la validità nel tempo della legge divina conosciuta dal profeta sul Monte Sinai. Canonica, come si è detto, la presenza del libro nei monumenti che celebrano glorie letterarie locali e nazionali, come nel caso di quelli dedicati a Hakim Firdusi o Ferdowsi (940-1040), massimo poeta persiano, e Nizami Ganjawi (1141-1209), grande poeta azero, a Valle Giulia, Roma, nella zona riservata a scuole, accademie e istituti di cultura esteri. Il primo (1968) va collegato a uno analogo, di poco successivo monumento a Teheran dello stesso autore, il modernista Abolhassan Sadighi, oltraggiato, nei primi tempi del loro regime, dai khomeinisti che disconobbero anche l’esemplare romano. Solo in seguito, con il restauro e la riabilitazione di quella iraniana, le due statue poterono godere di una vita più tranquilla. La presenza non rara del libro nei monumenti non deve fare dimenticare che prima dell’Ottocento avanzato era oggetto tutt’altro che diffuso al di fuori delle cerchie colte, che di solito erano anche benestanti. In questa funzione di identificatore sociale, connotando per lo più una provenienza borghese, lo troviamo frequentemente nelle statue commemorative ottocentesche e primo-novecentesche dei cimiteri, venendo spesso associato a defunte, in allusione ad abitudini domestiche in cui la lettura corrispondeva sovente alla preghiera, come accade anche nella statua familiare oggi al Viminale, sede del Ministero dell’interno, collocata presso l’Ufficio Affari Legislativi e Relazioni Parlamentari. Uscendo dalla destinazione funebre, un’esemplificazione emblematica di certi costumi borghesi la rinveniamo nella compita Scrittrice del pavese Giovanni Spertini (1866, presente all’Esposizione milanese di Belle Arti del 1872), nella quale è peraltro incerto se la ragazza sia alle prese con un diario o con qualcosa di letterariamente più ambizioso. Fa da logica controparte della Scrittrice, trovandosi oggi nella stessa sala di Villa Reale a Milano, la precedente, più popolare Leggitrice del meneghino Pietro Magni (1856), termine che rispetto al più consueto e moderno “lettrice” potrebbe alludere al fatto che questa fanciulla, formalmente legata a certi modelli di Lorenzo Bartolini, poggiata di traverso sull’umile seggiola

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 77 22/11/2019 20:34:44 dalla seduta in paglia, la veste scollata e ampia come una bandiera che non riesce però a coprire un seno già rigoglioso così come le raffaellesche spalle e un piedino che vengono non meno maliziosamente denudati, sia intenta a compiere l’azione ad alta voce, come chi stesse imparando o stesse leggendo a beneficio di altri, magari analfabeti. In realtà, si tratta di un’opera a contenuto allegorico: l’adolescente, che sta leggendo una delle allora censurate tragedie anti-tiranniche del poligrafo e patriota Giovan Battista Niccolini, rappresenta un’Italia non ancora adulta che si prepara a emanciparsi, la Lombardia in testa, dall’infamia del dominio asburgico. Per il suo significato politico non meno che per il valore artistico, la statua di Magni, presentata nel 1862 all’Esposizione Internazionale di Londra, riscosse un buon successo anche al di fuori dei nostri confini. Se ne conoscono almeno due repliche: una, giunta alla National Gallery of Art di Washington, con la variante di una medaglia al collo con un ritratto di Garibaldi, idolo di Magni che lo aveva conosciuto di persona, mentre l’altra, nel padovano Museo Bottacin dove si trova raccolta la collezione omonima, sostituisce il testo di Niccolini con i meno compromettenti Promessi Sposi di Manzoni. Vi sono però anche ambiti più originali in cui il libro scolpito ha modo di manifestarsi. Fra le diverse fontane progettate nel 1927 dall’ingegner Pietro Lombardi per il neonato Governatorato di Roma (le Anfore a Testaccio, le Arti a Via Margutta, le Tiare al Colonnato, per ricordare solo le più conosciute), quella dei Libri in Via degli Staderari è probabilmente la più riuscita, con le cinque sfere sospese – le palle dello stemma Medici, antichi proprietari del dirimpettaio Palazzo Madama – sotto l’arco che riporta l’acronimo latino del comune, i libri disposti specularmente in modo da fare zampillare l’acqua dagli estremi delle coste e dai segnacoli delle pagine, alludendo alla vicina, antica Università della Sapienza, e la testa del cervo nel mezzo a simboleggiare il rione Sant’Eustachio (numerato normalmente con l’VIII, non col IV che appare fra le corna). Peccato che la fontana sia così poco notata dai romani e da turisti distratti che pure non mancano di servirsene in abbondanza. Concludiamo questo minimo percorso sui libri in scultura con un’opera per certi versi anomala nella produzione del contemporaneo, già transavanguardista, Mimmo Paladino: La conoscenza, esposta all’Expo di Milano (2015) per conto della Treccani, ora presso l’omonimo istituto di Piazza Paganica a Roma. Ci troviamo in una casa per eccellenza del libro, la sede dell’Enciclopedia Italiana – – dove la volle il fascismo e Giovanni Gentile nella fattispecie, grande promotore dell’iniziativa. Saremmo di fronte a qualcosa di piuttosto coerente con l’abituale poetica di Paladino (l’uomo stilizzato in modo tale da astrarlo metafisicamente, invece che secondo l’arcaismo antropologico più tipico dell’artista, rannicchiato a sostenere fra braccia e ginocchia un libro aperto con un globo al centro, il capo chino che viene oscurato dalla sfera nella visione frontale), se i libri poggianti sulla base del bronzo non fossero rappresentati in modo realistico, riportando fedelmente le sembianze di volumi dell’Enciclopedia Treccani. Non è, quindi, un’opera che simboleggia la conoscenza in assoluto, come tutto avrebbe detto all’infuori del particolare dei libri in basso, ma quella determinata dalla lettura delle pubblicazioni

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del noto editore. Col che, la scultura assume un carattere inevitabilmente diverso, come di un singolare manifesto pubblicitario scolpito che confida sull’essenzialità formalista degli elementi in gioco, quasi una via di mezzo fra Folon e Armando Testa. Fare della réclame in tre dimensioni, impiegando i materiali tradizionali con cui si è sempre scolpito: chissà che questa non possa essere una nuova strada per la scultura dei nostri tempi, sempre meno renitenti nei confronti delle logiche del commercio.

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 79 22/11/2019 20:34:44 Abolhassan Sadighi, statua del poeta persiano Ferdowsi, Roma, Valle Giulia

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 80 22/11/2019 20:34:45 Mimmo Paladino, La conoscenza, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana − Treccani

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 81 22/11/2019 20:34:45 Statua del poeta azero Nizami Ganjavi, Roma, piazzale Ferdowsi – Valle Giulia

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 82 22/11/2019 20:34:46 Particolare di scultura commemorativa, Roma, parco del cimitero monumentale del Verano

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 83 22/11/2019 20:34:46 Giovanni Spertini, La scrittrice (La fidanzata italiana), scultura in marmo, Milano, Galleria d’arte moderna (GAM)

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 84 22/11/2019 20:34:47 Pietro Magni, La leggitrice, scultura in marmo, Milano, Galleria d’arte moderna (GAM)

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 85 22/11/2019 20:34:48 Particolare di scultura commemorativa, Roma, parco del cimitero acattolico

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 86 22/11/2019 20:34:49 Anonimo, metà del XIX secolo, La Preghiera, scultura in marmo, Viminale, studio del Direttore dell’Ufficio affari legislativi e relazioni parlamentari

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 87 22/11/2019 20:34:49 Michelangelo Buonarroti, Mosè, Roma, Basilica di San Pietro in Vincoli

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 88 22/11/2019 20:34:50 Mimmo Paladino, La conoscenza, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana – Treccani

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 89 22/11/2019 20:34:50 “... la capacità di molti editori di interpretare ancora il libro come un oggetto di artigianato d’eccellenza ... testimonia l’ancora vivissimo interesse del pubblico per la dimensione materiale del libro cartaceo, per la sua bellezza di artefatto di pregio, per il piacere di sfogliare le pagine, di godere della qualità della stampa, delle immagini, dei dettagli, insomma di tutti quegli aspetti che, tuttora, distinguono il libro dal suo ‘rivale’ digitale ... „

Quaderni Itinerari interni 2.indd 90 22/11/2019 20:34:51 L'arte di fare libri

Massimo Bray

“... la capacità di molti editori di interpretare ancora il libro come un oggetto di artigianato d’eccellenza ... testimonia l’ancora vivissimo interesse del pubblico per la dimensione materiale del libro cartaceo, per la sua bellezza di artefatto di pregio, per il piacere di sfogliare le pagine, di godere della qualità della stampa, delle immagini, dei dettagli, insomma di tutti quegli aspetti che, tuttora, distinguono il libro dal suo ‘rivale’ digitale ... „

Quaderni Itinerari interni 2.indd 91 22/11/2019 20:34:51 Quaderni Itinerari interni 2.indd 92 22/11/2019 20:34:51 L'ARTE DI FARE LIBRI

Massimo Bray

Pochi oggetti, nel corso della storia dell’uomo, hanno acquisito e mantenuto stabilmente un valore intrinseco e quasi sacrale come il libro. Manufatto per eccellenza dotato della peculiarità di aver conservato sostanzialmente identici l’aspetto e il modo d’uso per decine di secoli, l’oggetto libro è stato investito in passato persino di un notevole valore apotropaico tanto che tutt’oggi, nella società del consumismo e dello spreco indiscriminato, si assiste a una sorta di resistenza, di profonda riluttanza quasi, quando si tratta di buttare i libri, persino se si tratta di romanzetti ammuffiti e tarmati trovati in cantina. Da dove nasce questo profondo e, si potrebbe dire, quasi innato rispetto per il libro in quanto prodotto, prima ancora che per il suo contenuto? La percezione del libro come oggetto d’arte risale, senza dubbio, alle origini della sua storia artigianale, che rimanda ai miniatori medievali, ai conciatori di pergamene, ai maestri che con sapienza chimica creavano inchiostri e colori; ma non bisogna dimenticare che, anche agli albori della sua fase di produzione industriale, il libro nasce come prodotto artistico. Gli stampatori umanisti, primo tra tutti il veneziano Aldo Manuzio, avevano infatti, come obiettivo primario, quello di competere con la bellezza dei manoscritti e di creare manufatti la cui perfezione estetica rispondesse al valore intellettuale del loro contenuto. Certamente, dal Rinascimento in poi, anche l’industria libraria è stata coinvolta, e anzi ha saputo con precocia dominare l’evoluzione tecnologica che, attraverso la rivoluzione industriale e la catena di montaggio, ha condotto fino all’attuale era digitale. Le nuove tecnologie, infatti, hanno guadagnato molto terreno in pochissimo tempo in ambito editoriale, e questo va riconosciuto senza insistere in una ormai sterile contrapposizione tra supporto cartaceo e supporto digitale: una contrapposizione sulla quale si è abbondantemente soffermato il dibattito intellettuale italiano, ma che a ben guardare non ha la portata drammatica che alcuni vorrebbero attribuirle; cartaceo e digitale, lungi dall’escludersi l’un l’altro, possono infatti essere in grado di interagire e sostenersi a vicenda per incoraggiare l’attitudine alla lettura, specie tra i più giovani, per veicolare contenuti culturali e per riportare alla luce anche testi lontani dal nostro presente, attribuendo loro una veste tutta nuova in grado di attrarre un bacino di utenti assai più vasto di quanto ci si sarebbe potuti aspettare fino a poco tempo fa. E anzi, le tecniche più all’avanguardia nel campo dell’editoria elettronica, dell’elaborazione delle immagini e dei testi hanno persino, forse inaspettatamente, incentivato la riscoperta dell’artigianalità dei mestieri del libro. Pensiamo ad esempio alle riproduzioni facsimilari, nelle quali l’Istituto della Enciclopedia Italiana “Giovanni Treccani” ha trovato uno degli ambiti di sviluppo

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 93 22/11/2019 20:34:51 più interessanti degli ultimi anni: la complessa tecnica facsimilare, infatti, combina le più moderne tecnologie di cattura ed elaborazione fotografica ai saperi artigianali, alla cura meticolosa dell’aspetto materiale del libro, alla scelta della carta, alla ricostruzione delle legature antiche. D’altro canto, la capacità di molti editori di interpretare ancora il libro come un oggetto di artigianato d’eccellenza – pensiamo alle tante case editrici specializzate in edizioni pregiate e libri d’arte, ma anche ai tanti editori per ragazzi che producono spesso piccoli capolavori di grafica – testimonia l’ancora vivissimo interesse del pubblico per la dimensione materiale del libro cartaceo, per la sua bellezza di artefatto di pregio, per il piacere di sfogliare le pagine, di godere della qualità della stampa, delle immagini, dei dettagli, insomma di tutti quegli aspetti che, tuttora, distinguono il libro dal suo ‘rivale’ digitale. Sottolineo che ho usato la parola ‘rivale’ con intento in un certo senso provocatorio, perché sono invece convinto che il sodalizio tra i due supporti sia stato in grado, negli ultimi anni, di aumentare la conoscenza e la visibilità dell’editoria tradizionale e in particolare dell’editoria di pregio, grazie alla comunicazione via web e social, alla possibilità di profilazione degli utenti in base ai loro interessi e alla creazione di vere e proprie community virtuali dedicate alla promozione e al commercio di questo tipo di prodotti. La storia dell’editoria di pregio è infatti complessa e caratterizzata da una continua ricerca estetica sempre in sospeso fra tradizione e innovazione, ma generalmente poco nota al di fuori della ristretta cerchia degli esperti e degli appassionati. Si pensi ad esempio alla lunghissima e prestigiosa tradizione che sta alle spalle di editori storici che rappresentano un inestimabile patrimonio della cultura italiana: penso ad esempio alle Officine grafiche Giannini di Napoli, fondate da Francesco Giannini nel 1856 – nel cui stabilimento sono state scattate le foto che seguono questo testo – che alla lunga storia litografica e tipografica affiancano oggi le ultime acquisizioni in campo di editoria digitale; oppure alla casa editrice fondata da un personaggio di assoluto rilievo nel panorama dell’editoria italiana del Novecento come è stato Alberto Tallone. Nata nel 1938 a Parigi, la Tallone Editore, che tra l’altro fu una delle case editrici di riferimento di Pablo Neruda, si distingue tutt’oggi per l’intento di celebrare e alimentare la ‘bibliodiversità’ in un’epoca come la nostra, caratterizzata da omologazione e concentrazione di capitali e gruppi editoriali, ricercando la specificità, anzi l’unicità di ogni edizione attraverso un progetto grafico ad hoc, e con l’utilizzo di caratteri appositamente selezionati, tra cui un carattere disegnato dallo stesso Tallone all’inizio degli anni Cinquanta e definito dal critico Jean Loize «un elzeviro che si priva degli ornamenti superflui, […] ove nulla distrae l’occhio tra il segno e il pensiero». Ha scritto a tal proposito Giorgio Montecchi che, «così come era stato per Aldo Manuzio, per gli Estienne, per Christophe Plantin, per William Caslon, per John Baskerville, per Giambattista Bodoni, per i Didot e per tutti gli altri che nei secoli hanno rinnovato l’immagine del libro adattandola ai gusti, agli occhi e alla mente dei loro contemporanei, nel Novecento a tenere aperto il dialogo con questa tradizione tipografica italiana ed europea, ma anche a intessere

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 94 22/11/2019 20:34:51 L'arte di fare libri

un serrato confronto con i contemporanei hanno contribuito in sommo grado i libri di Alberto Tallone e dei suoi continuatori1». Un’eredità, quella dell’arte libraria italiana, che come si diceva merita di essere più ampiamente promossa e sostenuta anche da parte delle Istituzioni, e non solo dal punto di vista della tutela e della trasmissione di un sapere materiale, artigianale e artistico, di inestimabile valore, ma anche da quello della diffusione della cultura e della conoscenza. È infatti evidente che l’avvento di un sistema di reperire informazioni come quello online debba dare nuova forza alla funzione fondamentale dell’editore, che è sempre stata – e deve divenire oggi ancor di più – innanzitutto quella di filtro, di mediazione e di scelta, a maggior ragione in un momento in cui la possibilità per chiunque di pubblicare qualsiasi cosa su internet e la presenza in rete di una quantità enorme di informazioni spesso non controllate e quasi mai criticamente vagliate rendono davvero cruciale questa assunzione di responsabilità. Senza contare che, immersi come siamo in un flusso ininterrotto di immagini e video a schermo, ci deve risultare ancora più evidente l’irrinunciabile funzione di organizzazione, conservazione e divulgazione della conoscenza fornita dal libro cartaceo; dobbiamo essere consapevoli che il poter apprezzare la sua tangibilità, la sua materialità, è un valore insostituibile, che deve essere ribadito e trasmesso, soprattutto alle generazioni più giovani, quelle dei cosiddetti ‘nativi digitali’, che hanno il diritto di imparare ad apprezzare le qualità di una stampa cartacea e a crescere in un mondo in cui il valore del libro e dell’arte di fare i libri continui ad essere universale e condiviso.

1 Cfr. G. Montecchi, Settant’anni di tipografia di qualità, in Bibliologia, 4, 2009, pp. 113-136.

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 95 22/11/2019 20:34:51 In tipografia, tra passato e presente

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 96 22/11/2019 20:34:52 Margini in piombo per la composizione a banco

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 97 22/11/2019 20:34:52 Macchina da stampa tipografica a stella

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 98 22/11/2019 20:34:52 Comunicazione del prefetto di Napoli di conferimento dell'onorificenza di Grand'Ufficiale dell'Ordine della Corona d'Italia a Nicola Giannini – 23 aprile 1925

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 99 22/11/2019 20:34:53 L'arte della stampa tra gli scaffali della biblioteca storica

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 100 22/11/2019 20:34:53 Pressa arrotondangoli per legatoria

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 101 22/11/2019 20:34:54 Linea di raccolta della brossuratrice

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 102 22/11/2019 20:34:54 Particolare della linea di brossura

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 103 22/11/2019 20:34:55 Particollare della macchina da stampa quattro colori led

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 105 22/11/2019 20:34:56 “... sono peraltro convinto, perlomeno da quando ho iniziato ad approfondire il significato delle Istituzioni della democrazia repubblicana, che ogni pubblica amministrazione debba radicare nella cultura uno dei suoi pilastri fondanti e debba ritenere vantaggiosa la citata alleanza, considerandola come la più produttiva in termini di accrescimento della qualità del servizio nell’interesse generale e di irrobustimento dell’esercizio di responsabilità e fedeltà alla missione del prendersi cura del bene dei cittadini ... „

Quaderni Itinerari interni 2.indd 106 22/11/2019 20:34:57 La cultura dell'Amministrazione e l'amministrazione della cultura

Carlo Mosca

“... sono peraltro convinto, perlomeno da quando ho iniziato ad approfondire il significato delle Istituzioni della democrazia repubblicana, che ogni pubblica amministrazione debba radicare nella cultura uno dei suoi pilastri fondanti e debba ritenere vantaggiosa la citata alleanza, considerandola come la più produttiva in termini di accrescimento della qualità del servizio nell’interesse generale e di irrobustimento dell’esercizio di responsabilità e fedeltà alla missione del prendersi cura del bene dei cittadini ... „

Quaderni Itinerari interni 2.indd 107 22/11/2019 20:34:58 Quaderni Itinerari interni 2.indd 108 22/11/2019 20:34:58 LA CULTURA DELL’AMMINISTRAZIONE E L’AMMINISTRAZIONE DELLA CULTURA

Carlo Mosca

Mi è capitato, anche di recente, di andare con la mente alle vicende complesse e delicate vissute, dalla fine degli anni sessanta alla metà degli anni novanta, dall’intero Paese e dall’Amministrazione dell’Interno in particolare, sul versante della sopravvivenza delle Istituzioni repubblicane in difficoltà per la virulenta aggressione prima del terrorismo e poi del crimine organizzato. Nella circostanza, non ho esitato a sostenere che, proprio quando i fatti sembravano spingere verso una gravitazione sul versante dell’esercizio delle funzioni di polizia con il rischio di una configurazione prevalente di un ministero di polizia, si cominciò a consolidare l’esigenza di accreditare in ogni sede, soprattutto negli ambienti più sensibili alla democrazia delle Istituzioni, l’urgenza di consolidare l’antica cultura del Ministero dell’interno, quella fondata sulla garanzia dell’esercizio dei diritti. Questo ritrovando nelle stesse radici della storia le fondamenta da cui risalire alla ricerca di una rinnovata cultura basata sulla tutela sostanziale e non solo formale dei diritti di libertà e dei diritti sociali costituzionalmente proclamati. Fu così che venne ad affermarsi l’importanza di riscoprire il tratto identitario di un Ministero contraddistinto, sin dalle sue origini, dai valori della libertà, dell’uguaglianza e della solidarietà e da un elevato senso del dovere e della disciplina dei Suoi appartenenti. Si trattava di difendere una già precisa identità culturale che andava amministrata e valorizzata per evitare di lasciarla affievolire, rincorrendo nella quotidianità i fatti. Da qui l’alleanza strategica tra ultura e Amministrazione, questione di cui da giovane funzionario avevo sentito parlare da parte di prestigiose figure dell’Amministrazione le quali insistevano sull’utilità di preservare e rafforzare la cultura dell’Amministrazione e, al contempo, di non trascurare mai di amministrarla e di coltivarla quella cultura legata al territorio e ai problemi vissuti su di esso dai cittadini che pretendono attenzione ai loro bisogni. Sono peraltro convinto, perlomeno da quando ho iniziato ad approfondire il significato delle Istituzioni della democrazia repubblicana, che ogni pubblica amministrazione debba radicare nella cultura uno dei suoi pilastri fondanti e debba ritenere vantaggiosa la citata alleanza, considerandola come la più produttiva in termini di accrescimento della qualità del servizio nell’interesse generale e di irrobustimento dell’esercizio di responsabilità e fedeltà alla missione del prendersi cura del bene dei cittadini.

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 109 22/11/2019 20:34:58 Non desidero ovviamente accreditare l’immagine o prefigurare l’obiettivo di un’Amministrazione di intellettuali, anche se ho sempre apprezzato questi ultimi per la capacità di formulare idee e progetti, illuminando con il loro pensiero l’operatività di un’Amministrazione, in quel circuito kantiano di teoria e prassi, così proficuo per i due ambiti. Esaltare la cultura dell’Amministrazione, occuparsi e preoccuparsi di amministrare tale cultura significa essere interprete della missione affidata all’Istituzione, nonché comprendere con più consapevolezza il ruolo da svolgere con la migliore professionalità possibile nella società complessa in cui si vive. I valori della cultura consentono peraltro di traguardare nuovi obiettivi per l’Amministrazione e di disporre delle risorse necessarie da cui trarre alimento nei momenti di difficoltà che si possono affrontare solo possedendo le necessarie conoscenze derivanti dai caratteri identitari e dalla capacità di lettura dei fenomeni sociali e dei modi per affrontare e governare i problemi anche sotto il profilo scientifico e pragmatico. L’alleanza Amministrazione-Cultura è in grado poi di offrire un efficace sostegno al rapporto dialettico con la Politica, prospettando a quest’ultima nuove opportunità di adeguamento degli ordinamenti, di modifica di quello che risulta necessario cambiare stando al passo con i tempi e con le esigenze che esprime la Comunità, offrendo così risposte adeguate a tali esigenze. Grazie al rinnovamento di questa cultura, innanzitutto identitaria, è stato, infatti, possibile lo sviluppo dell’intero Dicastero che ha potuto progressivamente contare su una nuova Amministrazione civile, su una moderna Amministrazione della pubblica sicurezza, su un’efficiente Amministrazione dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile e, infine, su un’Amministrazione delle libertà civili, tutte attraversate da un radicato senso dello Stato e dell’interesse generale, tutte tese a ricomporre l’unitarietà ministeriale e a puntare sulla formazione come strumento rapido ed efficace per trasmettere la cultura dell’intera Amministrazione in uno spirito di rinnovata fedeltà costituzionale in termini di disciplina ed onore, come prescritto dall’articolo 54 della Carta. Uno dei momenti significativi della predetta strategia culturale è stato rappresentato dalla scelta di editare, nei vari comparti ministeriali, riviste istituzionali e di riconoscerle come strumenti in grado di alimentare la partecipazione alla crescita della cultura dell’Amministrazione e alla stessa vita democratica di quest’ultima, nell’intento, peraltro non celato, di una condivisione di sapere, di conoscenze, di informazioni e di riflessioni, indispensabile per essere consapevoli e responsabili, pronti all’ascolto e al confronto, alla proposta e alla discussione dei propri convincimenti e dei progetti elaborati. Una scelta, quindi, in grado di alimentare una grande curiosità intellettuale e una significativa apertura mentale. Non solo. Pure capacità di comunicare all’esterno gli itinerari compiuti o progettati dall’Amministrazione.

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 110 22/11/2019 20:34:58 La cultura dell'Amministrazione e l'amministrazione della cultura

In questo senso risultano quanto mai incisive le affermazioni di Marco Valentini che, nella prefazione ad una ricerca bibliografica sul prefetto e sul Ministero dell’interno condotta da Michele Meloni, ha osservato come il senso della cultura istituzionale e del pensiero critico dell’Amministrazione e dei suoi appartenenti è contenuta nelle tante pubblicazioni realizzate e distribuite dai Dipartimenti ministeriali e dalle loro articolazioni amministrative e operative, come Amministrazione Civile, Libertà civili, Itinerari Interni, Per aspera ad veritatem, Obiettivo Sicurezza, Polizia Moderna, Noi Vigili del fuoco; ma pure formative come Instrumenta, Veientana news, Rivista trimestrale della Scuola di perfezionamento per le Forze di Polizia, Quaderni di scienza e di tecnica dell’Istituto Superiore Antincendi; e dalle realtà associative, come Amministrazione Pubblica e Notiziario Anfaci; infine, delle Prefetture, come “Per Roma”. Tante pubblicazioni interpreti e paladine della cultura dell’Amministrazione, luoghi di saggi, riflessioni, approfondimenti, confronti, pronti a cogliere ogni innovazione della società e dei cittadini, con coraggio e insieme con determinazione e sincera passione civile. In tal senso, ho molto apprezzato la raccolta di foto, belle e ricche di significato, con cui vengono riproposte, nei luoghi di lavoro dell’Amministrazione e tra le mani di coloro che ad essa appartengono o fanno riferimento, le immagini delle innumerevoli riviste, qualcuna purtroppo non più edita, le quali sono l’espressione più autentica di quanto e di come si possa e si debba amministrare la cultura dell’Amministrazione dell’Interno.

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 111 22/11/2019 20:34:58 Amministrazione civile – Rivista del Ministero dell'interno

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 112 22/11/2019 20:35:00 Itinerari Interni – Percorsi normativi dell'Amministrazione dell'interno

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 113 22/11/2019 20:35:01 Amministrazione pubblica − Rivista di cultura istituzionale dei funzionari dell'amministrazione civile dell'interno

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 114 22/11/2019 20:35:03 Per aspera ad veritatem − Rivista di intelligence e di cultura professionale

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 115 22/11/2019 20:35:05 Libertà civili – Bimestrale di studi e documentazione sui temi dell'immigrazione

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 116 22/11/2019 20:35:06 Instrumenta – Rivista di cultura professionale della Scuola Superiore dell'Amministrazione dell'interno

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 117 22/11/2019 20:35:07 Rivista trimestrale della Scuola di Perfezionamento per le Forze di Polizia

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 118 22/11/2019 20:35:10 Polizia Moderna – Mensile ufficiale della Polizia di Stato

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 119 22/11/2019 20:35:11 Per Roma – Rivista trimestrale della Prefettura di Roma

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 120 22/11/2019 20:35:13 Noi vigili del fuoco – Rivista ufficiale dei Vigili del Fuoco

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 121 22/11/2019 20:35:15 Quaderni Itinerari interni 2.indd 122 22/11/2019 20:35:15 Gli Autori

Giuliano Amato Giudice costituzionale

Massimo Bray Direttore Generale dell'Istituto della Enciclopedia italiana fondata da Giovanni Treccani

Luigi Cantamessa Direttore Generale della Fondazione FS Italiane

Eugenio Gaudio Magnifico Rettore dell'Università degli Studi di Roma "La Sapienza"

Carlo Mosca Prefetto, Consigliere di Stato

Virginia Raggi Sindaca di Roma Capitale

Vittorio Sgarbi Storico e critico dell'arte

Marco Valentini Prefetto, Direttore dell'Ufficio Affari Legislativi e Relazioni Parlamentari del Ministero dell'interno

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 124 22/11/2019 20:35:15 “... D’altro canto, le immagini sono anche un viaggio. Ecco spiegato il “percorso” narrativo che trasmette emozione e conoscenza a chi si acconcia a osservare in sintonia con il tempo e il luogo di quel fermo immagine ... „

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Quaderni Itinerari interni 2.indd 125 22/11/2019 20:35:15 Quaderni Itinerari interni 2.indd 126 22/11/2019 20:35:15 Quaderni Itinerari interni 2.indd 127 22/11/2019 20:35:15 La riproduzione totale o parziale degli articoli pubblicati nel presente supplemento non è ammessa senza preventiva autorizzazione della Direzione. I contenuti e i pareri espressi negli articoli sono da considerare opinioni personali degli autori: non impegnano, pertanto, la Direzione della rivista.

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