Roberto Ascione

IL FUTURO DELLA SALUTE Come la tecnologia digitale sta rivoluzionando la medicina (e la nostra vita)

EDITORE ULRICO HOEPLI MILANO Copyright © Ulrico Hoepli Editore, S.p.A. 2018 via Hoepli 5, 20121 Milano (Italy) tel. +39 02 864871 – fax +39 02 8052886 e-mail [email protected] www.hoepli.it

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ISBN EBOOK 978-88-203-8494-4

Progetto e realizzazione editoriale: Maurizio Vedovati – Servizi editoriali ([email protected])

Copertina: Sara Taglialegne

Realizzazione digitale: Promedia, Torino A mio padre, medico delle persone e maestro di vita SOMMARIO

Introduzione UNA RIVOLUZIONE INARRESTABILE

PARTE I RIFLESSIONI DIGITALI Capitolo 1 DEVICE Capitolo 2 DATA SCIENCE & ARTIFICIAL INTELLIGENCE Capitolo 3 OPEN INNOVATION & STARTUP Capitolo 4 INTERFACCE Capitolo 5 TELEMEDICINA E MONITORING A DISTANZA Capitolo 6 DO IT YOURSELF Capitolo 7 TERAPIE DIGITALI Capitolo 8 SERVIZI Capitolo 9 GENETICA Capitolo 10 SELF EMPOWERMENT

PARTE II RIFLESSIONI UMANE Capitolo 11 MEDICO VS PAZIENTE Capitolo 12 VECCHIO VS NUOVO Capitolo 13 FIDUCIA VS PAURA Capitolo 14 ESPONENZIALE VS INCREMENTALE

Conclusioni UNA RIVOLUZIONE POSITIVA Postfazione COME PROSEGUIRE L’autore Ringraziamenti Informazioni sul Libro INTRODUZIONE

Una rivoluzione inarrestabile CHI È ROBERTO ASCIONE

i occupo di medicina e tecnologia ormai da una ventina d’anni. Ho M studiato da medico, ma non ho mai praticato perché ero appassionato anche d’informatica. Ero quindi combattuto tra questi due elementi: la programmazione e la facoltà di medicina. In ambito sanitario mi resi conto che tutto era largamente analogico, e per molti versi lo è ancora. Mi venne quindi l’idea di combinare queste mie due passioni e di occuparmi di tecnologia e medicina. Capii molto presto che non esisteva un’azienda che se ne occupasse, e quindi fondai una società chiamata Healthware: crasi di Healthcare e Software. L’idea iniziale era molto semplice: creare software per la “medicina”. Un’idea completamente naif. Qual era la mia motivazione? Se avessi fatto il medico, se anche fossi stato molto bravo, avrei potuto avere un impatto limitato su poche migliaia di persone. Producendo software per il mondo sanitario, questo impatto sarebbe potuto essere molto più grande. Su questa base è nata Healthware: ha cominciato a crescere abbastanza rapidamente già durante i primi anni e, fondamentalmente 20 anni dopo, siamo ancora qui a parlarne. Healthware è nata nel Sud Italia, ed è presente in varie parti del mondo. Non siamo qui però per parlare di Healthware, bensì di quello che in piccolissima parte contribuiamo a perseguire, cioè la Salute Digitale. Partiamo da alcuni concetti che sono sicuramente ovvi, ma non così scontati. Il digitale è ubiquo, e molti aspetti della vita individuale sono già ampiamente legati a fenomeni social. La dimensione della nostra vita quotidiana è ormai totalmente legata a questi temi. Sono aspetti che hanno degli effetti su tutta una serie di processi: economici, produttivi e molto altro ancora. Per esempio, abbiamo una serie di piattaforme che hanno trasformato alcuni settori: oggi siamo ospitati in strutture alberghiere, però potremmo essere anche noi, domani sera, a ospitare qualcuno in casa nostra. Siamo allo stesso tempo sia produttori sia consumatori di servizi di ospitalità. Questi concetti iniziano a far capolino anche nella salute, o nella sanità, e ciò ovviamente cambia le cose rispetto a come le abbiamo conosciute fino a oggi. Tutto ciò messo assieme non è un cambiamento marginale, ma una trasformazione radicale della Salute che avrà una portata anche maggiore di quanto è avvenuto nella musica o nei viaggi. Pensiamo alla musica: non solo non si compra e non si vende più come si faceva prima ma, per le modalità con le quali si consuma, non si produce neanche più allo stesso modo. Non puoi più creare un album con due pezzi forti e altri di rincalzo. Ora si comprano uno per volta, quindi devi produrre 10 pezzi validi. Quando queste tipologie di archetipi arrivano nella salute, la cambiano radicalmente. Ciò è molto importante, perché il cambiamento marginale è una cosa, il cambiamento radicale è tutt’altro. La sfida che ci piace lanciare è questa: quando queste trasformazioni radicali arrivano, avviene un momento di cambiamento, un “prima” e un “dopo”. E nel dopo ci si può trovare dalla parte di quelle aziende, anche molto importanti, che avevano accesso a queste innovazioni, le avevano viste, vi erano entrate in contatto al momento giusto, ma non le avevano seguite, rimanendone travolte. Oppure, si può essere dalla parte delle aziende che invece hanno colto queste trasformazioni, magari partendo da zero, e oggi si trovano a giocare un ruolo che prima semplicemente non esisteva. Credo che la salute sia entrata in questa zona di trasformazione radicale e quello che vedremo tra cinque o 10 anni sarà incomparabile rispetto a quello che abbiamo conosciuto negli ultimi 40 o 50.

ORIZZONTE

Faccio alcune considerazioni, per inquadrare in quale mondo ci stiamo muovendo, e di conseguenza in quali correlazioni dovrà avvenire lo sviluppo digitale del settore salute. Proprio per cercare di anticipare necessità e tendenze, è sempre più comune da parte degli analisti lo studio dei cosiddetti megatrend, ovvero previsioni di tendenze che andranno ad affermarsi in un tempo medio-lungo. Prendendo le previsioni relative ai prossimi tre lustri, ovvero i megatrend relativi al 2030, un futuro che non è poi troppo lontano, si scoprono alcune cose che avranno un impatto decisamente molto forte. Intanto i demografi stimano che al 2030 la popolazione mondiale crescerà ancora, arrivando a 8,6 miliardi di persone, rispetto ai 7,4 miliardi del 2015. Una cifra mostruosa, che avrà impatti economici, industriali, alimentari, politici. Pensate innanzitutto all’allungamento dell’aspettativa di vita e alle conseguenti problematiche di salute connesse all’invecchiamento della popolazione, quindi alla necessità di organizzare i relativi meccanismi di care giving. E la gestione della salute di 8,6 miliardi di persone avrà un costo nettamente più alto rispetto a quella necessaria per 7,4 miliardi di persone: un incremento di costi che renderà insostenibile la forma e il livello attuale di cure. Tutto questo si trasformerà in un gigantesco elemento di pressione/accelerazione della trasformazione. In parallelo alla crescita globale della popolazione, già nel 2020 arriverà, però, a 5 miliardi il numero delle persone che hanno accesso a internet, con un incremento di 1 miliardo rispetto al 2017. E d’altra parte, il 2018 e il 2019 costituiranno il biennio della nuova banda larga mobile, il cosiddetto 5G, che potrà portare connettività anche in territori privi d’infrastrutture, consentendo per esempio l’accesso alla formazione scolastica per bambini in remote regioni dell’Africa e dell’Asia. Di concerto, potrà consentire in quelle stesse regioni i primi servizi di telemedicina. Il risultato sarà una popolazione sempre più preparata e curata sempre meglio. Più connettività significa quindi una sempre maggiore conoscenza della digitalizzazione della salute, di conseguenza una crescente richiesta di certi servizi, concretizzandosi in un altro elemento di pressione/accelerazione della trasformazione digitale della salute. Ma questa trasformazione non avverrà in modo statico. Sarà una vera e propria rivoluzione. E come tale, inarrestabile. Perché tutto si sta muovendo su scala e su tempi esponenziali, specie se ci soffermiamo a riflettere su concetti quali la velocità e i costi per la disponibilità della tecnologia, la diffusione e l’abitudine alla cultura digitale.

È ANCHE UNA QUESTIONE DI SOLDI

La trasformazione digitale che sta già investendo il settore salute, e finirà per rivoluzionarlo, è inarrestabile anche per una questione economica: questo ambito vale davvero molti soldi. Ma proprio tanti. Solo gli investimenti su Startup del settore Salute Digitale, dal 2016 a oggi, sono cresciuti di 9,2 miliardi di dollari. Il trend per il 2018 e gli anni immediatamente successivi indica un livello di investimenti che potrebbe eccedere i 12-14 miliardi di dollari l’anno. A questo si aggiungeranno gli investimenti in acquisizioni e consolidamento di aziende. Certo, si tratta di stime, ma le dimensioni contano e la massa d’interessi in gioco è tale da rendere questa tendenza, appunto, inarrestabile. Da considerare anche che, poiché la salute è un interesse generale, sono sviluppi e investimenti che potenzialmente vedono come mercato l’intero mondo, trasversale a qualunque latitudine, e qualunque situazione politica, credo religioso e censo. E il digitale assomma strumenti che sono per definizione senza confini, ovvero possono essere adottati e utilizzati in qualunque Paese. Certamente, come sempre per cambi di paradigma di questa portata, non esiste un interruttore on-off, e non esiste un momento nel quale la salute è pensata analogicamente e un istante dopo è concepita digitalmente: la trasformazione, poiché comporta sia l’adeguamento dei sistemi sanitari sia anche e soprattutto un’evoluzione culturale, si realizzerà su un periodo medio lungo e procederà a macchia di leopardo. Ma quando interessi di questa portata si mettono in moto, è impossibile che si fermino. L’impatto delle tecnologie digitali sull’intero sistema sanitario è destinato a essere epocale e di lungo periodo. PARTE I

Riflessioni digitali CAPITOLO 1

Device DALL’INDOSSABILE ALL’INGOIABILE

orse il caso più eclatante, da un punto di vista mediatico, è stato il F lancio dell’Apple Watch, il 9 settembre 2014. In realtà il mercato dei dispositivi indossabili e connessi alla rete era già in piedi da tempo, soprattutto nel settore sportivo: i “braccialetti intelligenti” in grado di calcolare i passi compiuti in una giornata, le calorie consumate, la quantità e la qualità del sonno e tutta una serie di altri dati, erano già sul mercato ben prima che Apple si lanciasse nell’impresa. Secondo Forbes il mercato dei “wearable” nel 2016 è valso circa 12 miliardi di euro: nel gruppo sono compresi smartwatch, fitness tracker, braccialetti e tutti quegli oggetti indossabili che controllano l’attività fisica o altri parametri vitali. E questo valore, secondo le stime, è destinato a crescere nei prossimi anni. Lo sviluppo tecnologico sta portando a una progressiva miniaturizzazione dei componenti, a tal punto che sono già disponibili, in ambito medico professionale, dispositivi basati su nanotecnologie, ossia su strutture tecnologiche inferiori a un nanometro (un miliardesimo di metro), che consentono un’analisi diagnostica più precisa e meno invasiva, o addirittura realizzano terapie d’intervento a livello molecolare. Come spesso accade nel campo della tecnologia, se da un lato gli strumenti prodotti diventano via via più potenti e complessi, dall’altro il loro costo di produzione diminuisce sempre più rendendo i vari dispositivi accessibili a una fascia di consumatori sempre più ampia. L’enorme duttilità dei materiali prodotti permette d’integrare processori e sensori in quasi ogni oggetto di uso quotidiano: scarpe, magliette, elettrodomestici, giocattoli, palloni, racchette… tutto può essere reso “smart” e connesso al costo di pochi euro. E nel campo della salute? L’adozione di device digitali è un processo naturale e inevitabile. La possibilità di monitorare a distanza i vari dispositivi connessi alla rete, la miniaturizzazione dei componenti e l’evoluzione dei vari sensori, sempre più precisi e affidabili, consentono la realizzazione di dispositivi indossabili in grado di tracciare diversi parametri vitali senza risultare scomodi per chi li indossa. In questo modo si riduce (o addirittura si azzera) la necessità di un paziente di recarsi in ospedale o da un medico per eseguire controlli costanti. Per esempio un medico può monitorare le condizioni di salute di un paziente da remoto, accedendo in tempo reale ai dati trasmessi da un pacemaker (o da un qualsiasi analogo strumento di monitoring digitale, in relazione alla patologia) collegato al suo cellulare. Ma sono tantissime le altre declinazioni possibili in campo medico. Proteus Digital Health, per esempio, per aiutare il paziente a seguire la terapia che gli è stata prescritta, ha messo a punto una pillola con un micro-sensore incorporato: ingoiata la pillola, il microcircuito invia segnali a un cerotto sulla pelle del paziente, che a sua volta li invia allo smartphone e all’app dedicata. Ed è un’invenzione tutta italiana quella del PD-Watch (Parkinson’s Disease Watch), una sorta di orologio “controlla vibrazioni” da impiegare per supportare la diagnosi della malattia di Parkinson in soggetti a rischio monitorandone il decorso temporale e quantificandone gli effetti terapeutici del piano di cura in atto.

LA VISIONE DI ROBERTO

Siamo passati dal portare con noi pesantissimi e costosissimi laptop dalla potenza di calcolo oggi ridicola, ai computer palmari, agli smartphone, ai tablet, ai dispositivi indossabili… e il processo sta continuando con la miniaturizzazione e l’economia di questi dispositivi, fino ad arrivare ai casi nei quali sono addirittura ingeribili. La diffusione di questi strumenti permette di raccogliere una quantità d’informazioni prima impossibile. E queste informazioni, via via che si accumulano e che impariamo ad elaborarle traendone delle conseguenze, cominciano ad assumere un valore sempre più alto dal punto di vista medico. Assistiamo, così, a un’ampia diffusione di strumenti di tracciamento, nati nel mondo wellness o sportivo, che stanno trovando una nuova vita e una nuova applicazione in altri ambiti. Si stanno infatti analizzando grandi quantità di dati con algoritmi più potenti di quelli iniziali, e si stanno creando delle correlazioni tra le patologie più diffuse e i dati che sono raccolti in grandissime quantità. Su queste basi è nata una nuova categoria di marcatori chiamati Digital biomarkers, che si cominciano a studiare esattamente come si studiano le normali analisi del sangue. S’iniziano cioè a monitorare quei segnali che possono essere correlati a particolari disturbi e a validarli con l’idea di avere in futuro dei marcatori di particolari patologie nati digitalmente: per i disturbi dell’attenzione e l’Alzheimer esistono già applicazioni di questo tipo ora in fase di studio clinico. Naturalmente si può parlare di trasformazione di alcuni normali processi come li conosciamo oggi, solo nel momento in cui si individui un marcatore digitale effettivamente valido e scientificamente sostenibile. Un esempio: esiste una sperimentazione che si occupa di capire se un certo tipo di elettrocardiogramma continuo, fatto con sensori a bassissimo costo che potrebbero essere in futuro incorporati all’interno di normali t-shirt, sia predittivo di eventi cardiaci maggiori, come per esempio un infarto. Immaginiamo che ciò accada, che la sperimentazione prosegua e che nei prossimi anni i sensori siano così a basso costo che qualsiasi t-shirt possa fare questo tipo di predizione. Allora la gestione di un avvenimento molto critico come l’infarto (che richiede un intervento laddove avviene e nel minore tempo possibile, perché in correlazione con l’esito), potrebbe diventare un’operazione routinaria di angioplastica. Il sensore sarebbe infatti in grado di segnalare la probabilità di sviluppare una determinata patologia, e quindi spingere l’individuo a prenotare una visita specialistica. Questo cambierebbe completamente la gestione e la cura di una patologia così come ce la immaginiamo oggi. Sono in atto delle trasformazioni importanti che riguardano la gestione dei dati personali di ognuno di noi: basti pensare alle ultime versioni dei sistemi operativi iOS e Android, nelle quali sono state introdotte delle vere e proprie cartelle cliniche informatizzate dedicate al consumatore/paziente. Il “diario dei sintomi” è un’app già incorporata nei sistemi operativi che permette di raccogliere una grande quantità d’informazioni in modo strutturato e quindi successivamente elaborabile. Un numero considerevole di sperimentazioni cliniche ha già accesso a una base dati molto più ampia di prima: si tratta di dati generati dai partecipanti proprio grazie alla presenza di queste applicazioni integrate su gran parte degli smartphone.

QARDIO

Qardio è uno strumento wireless per il rilevamento della pressione arteriosa sistolica e diastolica, della frequenza cardiaca e dei battiti cardiaci irregolari. E fin qui sembrerebbe una delle tante “macchinette” misura pressione presenti sul mercato. Quel che rende Qardio uno strumento molto utile e interessante per chi abbia problemi cardiaci (o per chi voglia monitorare le proprie attività, in relazione a determinate patologie o per la loro prevenzione) è l’integrazione dell’app Qardio con Apple Salute e Apple Watch. Ciò permette di avere una visione panoramica estremamente facile e intuitiva dei dati. Permette anche di condividerli automaticamente con amici e familiari, o d’inviarli direttamente al proprio medico via email. In particolare quest’ultima integrazione, è una scorciatoia importante nella filiera della comunicazione medico-paziente e permette di rendere più efficiente il processo informativo, a tutto vantaggio della salute dell’utilizzatore di Qardio. Tutte le misurazioni registrate dal dispositivo sono memorizzate automaticamente in un apposito spazio cloud, e rese disponibili per la consultazione tramite grafici e tabelle di facile lettura: in questo modo si ha a disposizione uno storico sempre aggiornato dell’andamento delle misurazioni, delle anomalie e dei momenti di “sofferenza” cardiaca.

Figura 1.1 – Qardio, Il monitor intelligente per la misurazione della pressione arteriosa (credits: www.qardio.com).

PROTEUS DIGITAL HEALTH

La Proteus Digital Health, azienda americana fondata nel 2001 con sede a Redwood City in California, si era data un obiettivo ambizioso: ideare e creare farmaci “digitali”. Per raggiungere questo scopo si è concentrata sullo sviluppo di prodotti, servizi e sistemi di dati basati sull’integrazione di farmaci ingeribili e cloud computing. All’inizio del 2017, in collaborazione con Otsuka Pharmaceutical, Proteus ha messo a punto una pillola chiamata “Abilify MyCite” che incorpora al suo interno un micro-sensore grande come un granello di sabbia, contenente rame, silicio e magnesio, che è eliminato senza problemi attraverso l’intestino. È stata la prima “pasticca digitale” a ricevere l’ok della Food and drug administration (Fda), l’autorità americana che si occupa di nuovi farmaci e trattamenti medici. È un prodotto anti-psicotico a base di “aripiprazolo”, una molecola utilizzata nella cura di disordini bipolari e di schizofrenia. La versione digitale messa a punto dalla Proteus contiene al suo interno un sensore attivato dagli acidi gastrici nello stomaco in grado d’inviare un messaggio a un cerotto applicato alla pelle del paziente, sulla cassa toracica. Il messaggio a sua volta è inviato a uno smartphone. A questi dato possono accedere, previo consenso, il medico, i familiari o addirittura gli amici. Non è un caso che la prima applicazione della pillola digitale riguardi le malattie mentali, dove la mancata aderenza alla terapia è spesso un problema serio. Secondo gli esperti, la cosiddetta “non-aderenza” ai trattamenti ordinati dai medici (ossia non prendere le medicine o non farlo a sufficienza) costerebbe, solo negli Stati Uniti, circa 100 milioni di dollari.

Figura 1.2 – Il primo farmaco “intelligente” che contiene un sensore per il monitoraggio della corretta assunzione delle dosi (credits: www.abilifymycite.com).

APPLE WATCH Apple Watch non è stato certo il primo strumento sul mercato tra gli “indossabili”. Tuttavia è stato in questo campo una delle chiavi di volta nella rivoluzione sanitaria. Non solo per le funzioni integrate, ma anche per gli scenari che apre, proponendosi come interfaccia comune a numerose app dedicate alla salute che con esso possono comunicare. Ecco quindi che l’Apple watch si rivela strumento importantissimo per aumentare l’aderenza alla cura da parte di un paziente. Infatti, app specifiche (o altri strumenti wireless, come nel caso di “Abilify MyCite”, la pasticca digitale citata nel capitolo precedente) possono inviare alert per ricordare di assumere un determinato medicinale, oppure usare la rete di sensori dell’Apple watch per elaborare previsioni su determinate patologie e consigliare controlli medici specifici.

Figura 1.3 – L’app Cardiogram (credits: www.cardiogr.am).

Tra le tante app che svolgono questa funzione possiamo citare Cardiogram: un recente studio condotto su oltre 6.000 partecipanti ha dimostrato come questa app, sfruttando i sensori dell’Apple Watch, sia stata in grado di rilevare l’apnea nel sonno su 1.016 partecipanti e l’ipertensione su 2.230 persone. Gli sviluppatori dell’app Cardiogram hanno spiegato di aver usato le reti neurali per interpretare i dati e per fornire risposte adeguate in caso di problemi legati all’ipertensione e all’apnea nel sonno. Il sistema, denominato DeepHeart, è gestito tramite una serie di stringhe di dati cardiaci catturati monitorando l’utente in modo continuo. I responsabili dello studio hanno così dimostrato come l’Apple Watch possa essere usato per monitorare costantemente la salute delle persone, avvisandole in caso di problemi.

THYNC

Thync è un piccolo dispositivo che si appoggia sul collo e che, gestito via app per smartphone, permette di scegliere uno dei due programmi disponibili mirati a ridurre l’ansia e ad assicurare un sonno piacevole. Negli Statu Uniti si dà molta importanza al pericolo derivante dallo stress, in particolare, secondo gli studi del’American Psychological Association, è in questi momenti che si registra il numero più elevato di stati ansiosi nella storia della popolazione americana. Thync è stato sviluppato da un team di neuroscienziati del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ed è passato attraverso 5 anni di sperimentazioni e migliaia di sessioni di test. Lo strumento messo a punto sfrutta l’elettrostimolazione per alterare lo stato del cervello e aiutare a scaricare stress e ansia senza per forza ricorrere all’uso di medicinali ansiolitici. Il dispositivo triangolare va posizionato sul collo, nella parte posteriore della testa, o sulla fronte, e poi attivato: Thync, tramite delle piccole scariche elettriche, “interagisce” con il sistema nervoso aiutando chi lo indossa a recuperare l’equilibrio psicofisico e a migliorare la salute. “La neurostimolazione si fonda sul collegamento tra i nervi presenti nella parte posteriore del collo e due aree del cervello, che vanno a influenzare stress e sonno” – come spiega lo stesso Isy Goldwasser, Ceo dell’azienda. Ma i ricercatori vogliono spingere Thync oltre i confini della sua progettazione, verso obiettivi ancora più ambiziosi. Sono partiti dal presupposto che nella letteratura scientifica sempre più spesso si evidenzia il ruolo importante che il sistema nervoso svolge nella regolazione della risposta immunitaria in malattie come la psoriasi, il lupus, l’IBD e l’artrite reumatoide. Ciò ha portato, nel 2017, alla prima sperimentazione di Tynch nella cura proprio della psoriasi. Figura 1.4 – Thync (credits: www.thync.com).

Nello studio in cieco, 28 soggetti hanno seguito un programma di trattamento (o un programma placebo) ogni giorno per 10 minuti nell’arco di 4 settimane. Dopo questo tempo, 15 dei 18 soggetti nel gruppo di trattamento (l’83% del totale) hanno riportato almeno una riduzione del 50% dei sintomi della psoriasi. Mentre 6 soggetti su 18 hanno mostrato una riduzione di più del 75% di questi sintomi. In confronto, solo 2 soggetti su 10 (il 20% del totale) nel gruppo di controllo con il programma placebo, hanno evidenziato una riduzione del 50% dei sintomi e nessuno un miglioramento del 75% (p = 0.0005). Attualmente Thync, in collaborazione con l’università di San Francisco, sta conducendo studi clinici per validare ulteriormente la modulazione non invasiva come trattamento per la psoriasi a placche. IL PERSONAGGIO

MARC BERREBI CEO DI eDEVICE eDevice ha iniziato a occuparsi dell’Internet of Things nel 1999. Molto in anticipo rispetto ai tempi. Troppo. Per questo motivo l’azienda è stata sul punto di chiudere i battenti nel 2008: a volte arrivare per primi non è un vantaggio.

Figura 1.5 – Marc Berrebi, cofondatore e CEO di eDevice (a destra) con Alex Vieux, Publisher e CEO di Red Herring (credits: eDevice). “La nostra visione doveva essere capita, proponevamo una tecnologia attraente ma il mercato non era ancora in grado di capire il valore di oggetti che comunicano e trasmettono dati tra di loro... Poi finalmente abbiamo risposto con un oggetto che funzionava davvero e che avevamo sviluppato direttamente in Francia, a Mérignac: a quel punto, quando l’Internet of Things stava per esplodere, eravamo molto avanti rispetto ai nostri competitor che erano ancora fermi alla fase di progettazione”. eDevice produce HealthGO, un hub di sensori medici in grado di acquisire, monitorare e trasmettere dati medicali (pressione sanguigna, SpO2, peso, glucosio e altro) alle applicazioni RPM (un cloud per il controllo remoto del paziente), consentendo così ai professionisti del settore sanitario di gestire in modo efficiente i pazienti con malattie croniche ed episodiche. CAPITOLO 2

Data science & Artificial Intelligence L’USO DEI BIG DATA PER FARE SCREENING DI MASSA E PREVENZIONE

erum scire est scire per causas, il vero sapere è sapere attraverso le V cause. Lo scriveva Tommaso d’Aquino, riprendendo uno dei capisaldi della filosofia aristotelica. Ed è in questa direzione, sulla scoperta e il disvelamento del meccanismo che è causa di un fenomeno, che si è orientato il metodo scientifico fino a oggi. Intendiamoci, lo fa ancora, ma l’analisi dei big data ha mandato in tilt questo metodo procedurale. La scienza dei big data causa, secondo il parere di molti, un mutamento di paradigma decisivo col passato, basato su uno stile di ragionamento scientifico totalmente diverso dai precedenti. È possibile tracciare un percorso lineare nella storia della scienza: a un approccio quasi esclusivamente empirico, consistente nella mera osservazione dei fenomeni naturali e nella loro descrizione, è seguito quello teorico, basato sulla costruzione di modelli e sulla spiegazione complessiva dei fenomeni tramite leggi generali. L’ultima fase, nata qualche decennio fa, è quella computazionale, che ha come cardine la simulazione di fenomeni complessi tramite modelli informatici. Lungo questa linea, la data driven science si pone come una nuova fase, un nuovo tassello, una nuova milestone dove esperimento, teoria ed elaborazione dei dati sono sintetizzati nella statistica. L’uso dei big data per fare screening di massa e prevenzione si basa sull’individuazione di pattern, di regolarità, di ripetizioni cicliche, di correlazioni su larga scala che permettano di elaborare una predizione di cosa si potrà riscontrare con grande probabilità nel reale in contesti simili. Nella scienza medica, in particolare, questa tecnica predittiva è resa possibile sia dagli enormi progressi in campo tecnologico e biomedico degli ultimi anni (e l’accelerazione avvenuta in questa direzione è spaventosa) sia dalla possibilità di accesso a un’enorme mole di dati, una cosa fino a poco tempo fa impensabile. Basti pensare che ora siamo in grado di “manipolare” una quantità impressionante d’informazioni provenienti da varie fonti, dell’ordine di grandezza di svariati petabyte (1 petabyte corrisponde a 1.000.000 di gigabyte. Il computer che ha permesso l’allunaggio del modulo lunare Apollo aveva una memoria nell’ordine di 104 byte, e basterebbe questo piccolo confronto per capire la portata dell’accelerazione avvenuta nel campo dell’elaborazione dati). Di contro, in questa metodologia applicata alla salute esistono alcune evidenti criticità. Il primo ostacolo è la difficoltà oggettiva nel governare questa enorme massa di dati, soprattutto quando sono usati e applicati in modo differente rispetto allo scopo iniziale previsto dalla loro raccolta. Poi esiste ovviamente un ostacolo legato alla privacy, alla consapevolezza o meno che l’utente-raccoglitore abbia dell’uso che può essere fatto dei suoi dati. Questi sono dilemmi etici e di trasparenza che non possono essere trascurati e ai quali sarà obbligatorio dare una soluzione. Entro il 2020, poi, l’Artificial Intelligence (AI) entrerà prepotentemente nelle nostre vite, specie in campo sanitario, con applicazioni e software in grado di allestire in autonomia piani di trattamento e di cura per i pazienti. Permetterà anche di coadiuvare al meglio il lavoro dei medici, ai quali riuscirà a dare informazioni “ragionate” consentendo loro di prescrivere la miglior cura possibile. Già oggi varie aziende sparse per il mondo stanno costruendo strumenti da impiegare nell’assistenza sanitaria basati sull’AI: Deepmind Health, azienda controllata da Google, è una di queste, e ha sviluppato un programma di AI in grado di capire ed elaborare in pochi minuti migliaia di dati e d’informazioni mediche, per poi tradurle in servizi. Anche IBM si sta muovendo da anni in questo campo con IBM Watson Paths. È una tecnologia basata su sofisticati algoritmi d’Intelligenza Artificiale che ha trovato applicazione anche in campo sanitario, dove la capacità di comprensione del linguaggio naturale della macchina, unita alle sue abilità di apprendimento e di generare ipotesi, la stanno rendendo molto utile ai medici. Infatti, la usano per prendere decisioni cliniche corrette in tempi, rispetto al normale, molto ridotti.

LA VISIONE DI ROBERTO

Un conto è trasformare l’industria dei viaggi (siamo passati dalle agenzie di viaggio ai metamotori di ricerca in grado suggerirci la struttura migliore al miglior prezzo) o della musica (dal negozio di dischi all’iTunes store il passo è stato enorme), un conto è, invece, trasformare il mondo della salute, perché è un tema che ci tocca da vicino, tocca la nostra stessa umanità. Oggi siamo noi gli integratori del sistema sanitario, perché siamo noi che ci rechiamo in un centro medico e generiamo una cartella clinica. E una volta raccolti quei dati, se volessimo riutilizzarli, dobbiamo richiederli e ritirarli fisicamente. Ma grazie alle nuove tecnologie l’integrazione col sistema sanitario diventerà data driven: sarà il paziente a collezionare direttamente una mole enorme di dati e informazioni e a renderli disponibili per se stesso e per l’analisi e lo screening di massa. La sua cartella clinica sarà sempre immediatamente disponibile per lui, per il suo medico, per la struttura sanitaria dove dovrà recarsi e sarà sempre aggiornata nei vari parametri vitali. E magari messa a disposizione della comunità scientifica per l’elaborazione su larga scala di pattern predittivi di questa o quella patologia. L’innovazione tecnologica sta rendendo sempre più veloce l’analisi dei dati e la loro interpretazione, a tutto vantaggio, per esempio, di una maggiore attenzione al rapporto diretto tra medico e paziente. Già oggi i cosiddetti big data sono dappertutto, anche in posti in cui non ce li aspetteremmo, e possono essere analizzati e studiati per tematiche inerenti la salute. In Svizzera un epidemiologo digitale ha sostanzialmente tracciato in modo geolocalizzato i tweet su temi legati alla salute: in solo due settimane di analisi è stato in grado di disegnare una mappa geografica con indicata la frequenza e la distribuzione dei messaggi, riuscendo a trarne utili informazioni sulla propagazione di una determinata infezione o malattia. Si tratta di un uso molto semplice di big data provenienti da Twitter, eppure ne è scaturito uno strumento sorprendente, nonché estremamente utile per il medico. Se innalziamo il livello di complessità d’analisi, allora, appare chiaro come le predizioni potrebbero essere di ben più alto livello: l’elaborazione di questi e di altri dati potrebbe far nascere numerosi altri aspetti fondamentali relativi alla salute di ognuno di noi.

ONE DROP

One Drop è un sistema integrato formato da un glucometro wireless dalle linee essenziali e futuriste. È anche un’app disponibile su iOS e Android in sette lingue diverse, tra le quali il russo, l’arabo e il cinese, usata in oltre 200 paesi in tutto il mondo da persone affette da diabete. Figura 2.1 – One Drop, il monitor intelligente per la misurazione e la gestione della glicemia e del diabete (credits: www.onedrop.com).

Grazie a One Drop gli utenti possono impostare avvisi per l’assunzione di farmaci, visualizzare i dati di glicemia e la loro evoluzione nel tempo, ottenere delle medie statistiche, definire obiettivi, tenere traccia dell’andamento della variazione di peso, avere approfondimenti basati sui dati registrati, e fornire e ricevere supporto dagli utenti della community che possono elargire suggerimenti e consigli per aiutarli nella gestione del diabete. La piena integrazione con Apple Salute, Google Fit, Dexcom e Fitbit consente agli utenti utilizzatori di One Drop d’incrociare i propri dati della glicemia, con quelli relativi al fitness, alla nutrizione e ad altre informazioni utili per la loro salute generale. La possibilità d’integrare le rilevazioni permette di ridurre la necessità di una continua attenzione al monitoraggio manuale delle funzioni legate ad attività fisica, durata e qualità del sonno e frequenza cardiaca. Dal canto suo, One Drop, per approfondire ulteriormente il proprio livello di conoscenza, sfrutta l’enorme potenziale del proprio database, arrivando a fornire alla community che si è andata a costruire dietro questo rivoluzionario progetto, indicazioni più dettagliate. Uno degli obiettivi più importanti per il prossimo futuro, almeno negli USA, è quello di collegare alla rete informativa di One Drop anche i medici, ai quali fornire un quadro più dettagliato sulla situazione dei pazienti, in modo da poterli aiutare a stabilire trattamenti personalizzati. One Drop, perché questa tecnologia sia fruibile al maggior numero possibile di persone, propone i propri servizi e forniture per il diabete anche in abbonamento mensile, permettendo così alle persone di poter disporre degli strumenti di gestione quotidiana di cui hanno bisogno senza l’obbligo di un’assicurazione, di prescrizioni, di appuntamenti o di altro. I piani di abbonamento includono il glucometro wireless per la misurazione della glicemia, la consegna a casa di forniture per test glicemici e il supporto in- app 24 ore su 24 (e 7 giorni su 7) di diabetologi esperti. One Drop è disponibile negli Stati Uniti, in Canada, nei paesi dell’Unione Europea e nel Regno Unito, e ha aiutato molte persone a migliorare il modo di affrontare questa malattia.

SENSELY.COM

Negli Stati Uniti un team di scienziati ha lavorato (e sta continuando a farlo) per portare un volto umano alla telemedicina. Si tratta di Sense.ly, una startup medica di San Francisco che ha sviluppato un’infermiera virtuale in grado di aiutare medici e pazienti a monitorare e gestire la salute dei pazienti in un modo nuovo ed efficiente. L’avatar progettato da Sense.ly, che ha un volto sorridente e una voce piacevole, è un’interfaccia informatica che utilizza, per supportare i malati cronici tra una visita e l’altra dal dottore, il machine learning, ed è in grado di dialogare con i pazienti in maniera incredibilmente realistica. Figura 2.2 – Molly, l’infermiera avatar messa a punto da Sense.ly (credits: www.sensely.com).

L’infermiera avatar, amichevolmente soprannominata “Molly”, è stata progettata in modo da avere accesso agli archivi del paziente e successivamente porre domande appropriate relative alla sua storia passata o alle sue nuove richieste. Molly ha un modo di fare gentile e zelante in grado di mettere a proprio agio l’interlocutore, e interagire con lei è un processo sorprendentemente naturale. Molly risponde alle richieste dei pazienti, interagisce nei discorsi, ed è in grado d’interpretare i movimenti del corpo di chi le si rivolge. Quando un paziente deve essere “visitato” da Molly si pone davanti a un sensore Kinect (un accessorio sensibile al movimento del corpo umano originariamente sviluppato da Microsoft per la console Xbox 360) in grado di catturare la sua immagine e la sua posizione relativa nello spazio e inviarla a Molly. Una volta fatto, dichiara quale sia il suo problema. Supponiamo che il paziente stia seguendo una terapia per la riduzione di una borsite: può alzare il braccio colpito e mostrare a Molly se la terapia stia ottenendo i risultati sperati. Le capacità di tracciamento scheletrico del sensore Kinect permettono a Sense.ly di misurare il raggio di movimento del paziente e di calcolare i cambiamenti rispetto alla sua ultima visita. Inoltre, dal momento che il sensore Kinect registra una visione chiara del paziente, Molly può guidarlo attraverso esercizi terapeutici opportuni. Un numero crescente di medici e ospedali sta riconoscendo il valore di applicazioni come Sense.ly. Il San Mateo Medical Center, in California, è uno dei numerosi ospedali americani che hanno recentemente “assunto” Molly nel proprio staff. Il valore aggiunto di tali soluzioni è particolarmente evidente nel trattamento di pazienti che soffrono di condizioni patologiche a lungo decorso, e che richiedono quindi un monitoraggio frequente di alcuni parametri come la pressione sanguigna o la glicemia. Il trattamento di un paziente da remoto è meno costoso e generalmente più efficiente rispetto all’assistenza in loco. Per questo soluzioni come Sense.ly offrono, per i fornitori e per gli assicuratori, anche un chiaro vantaggio in termini di costi. Un recente studio ha evidenziato come Sense.ly abbia ridotto le chiamate dei pazienti ai medici del 28%, e abbia liberato, per i medici coinvolti nel programma, quasi un quinto della loro giornata. Ma soprattutto, l’infermiera di Sense.ly offre la promessa di risultati migliori, di un monitoraggio medico più frequente e di un maggior coinvolgimento dei pazienti nelle loro È cure. È qualcosa a cui pensare la prossima volta che si è in attesa nella sala d’aspetto del proprio medico...

iCARBONX iCarbonX è una società cinese che opera nel campo delle biotecnologiche nata da un’idea del medico Wang Jun, ex CEO del Beijing Genomic Institute.

Figura 2.3 – Wang Jun durante la presentazione di “Meum”, la piattaforma di gestione digitale sanitaria basata su icarbonX (credits: www.icarbonx.com).

L’obiettivo di iCarbonX è chiaro: gestire la vita digitale e sanitaria delle persone attraverso l’interpretazione del genoma. Wang Jun, il cui studio del DNA umano ha assorbito più di 15 anni della sua carriera scientifica, ha lavorato per riuscire a fondere i due mondi che sono racchiusi nel nome della società: la “i” di Internet e la “X” di DNA. L’idea di Wang è quella di creare un “avatar digitale” di un paziente che possa essere usato per curare la persona vera, anche a distanza. L’avatar che iCarbonX ha in mente di costruire è il risultato della somma dei vari dati derivati dall’analisi genetica di campioni biologici di un individuo (come per esempio la saliva) con i dati ambientali all’interno dei quali l’individuo normalmente si trova, come la qualità dell’aria, lo stile di vita e la tipologia di dieta. Una volta costruito un avatar, questo è sottoposto all’analisi di complessi algoritmi sviluppati dalla stessa azienda cinese in grado di analizzare i dati, e successivamente di consigliare programmi su misura per il benessere, scelte alimentari e, eventualmente, medicinali da assumere. Quella di iCarbonX è una delle nuove frontiere dell’e-health su cui investono le migliori aziende specializzate in biotecnologie e healthcare, un business che già oggi vale 15 miliardi di dollari ma che è destinato a raddoppiare entro il 2020 e, complice l’invecchiamento della popolazione, ad avere una crescita esponenziale nei prossimi 20 anni. Sono molti gli investitori che credono nel progetto di Wang: il gigante Internet cinese Tencent e Zhongyuan Union Cell & Gene Engineering Corp, un’azienda specializzata nella ricerca cellulare, hanno investito milioni di dollari in iCarbonX, facendola diventare una delle startup del settore healthcare più promettenti della Cina con un valore già oggi di circa 1 miliardo di dollari. Non a caso in Cina nel 2015, secondo dati Bloomberg, il settore della ricerca sulla salute e il miglioramento della qualità della vita ha generato circa 30 miliardi di dollari di giro d’affari (+70% rispetto al 2014), ed esistono almeno altre 10 startup in questo settore che hanno un valore attorno al miliardo di dollari.

CONVERSA HEALTH

Conversa, fondata nel 2014 con sede a San Francisco, in California, ha messo a punto un nuovo metodo, semplice ed efficace, per far comunicare tra loro i pazienti e il team di assistenza medica. Conversa ha creato una libreria di oltre 50 programmi di conversazione intelligente su molte tematiche mediche tra le quali l’asma, la broncopneumopatia cronica ostruttiva, l’insufficienza cardiaca congestizia, il diabete, l’ipertensione e molte altre, grazie alla quale può offrire esperienze di conversazione medico-paziente automatizzate e personalizzate. Queste portano a relazioni più informate e significative con i pazienti, a una loro gestione efficiente, a migliori risultati clinici e, ultimo, ma non meno importante, permettono un notevole risparmio economico nelle cure. Grazie a Conversa e ai dati ricavati da oltre 400 dispositivi biometrici, combinati con i dati clinici dei pazienti e i feedback da loro ricevuti, i team medici riescono a elaborare i dati in tempo reale, rendendo più efficiente la distribuzione delle risorse mediche e adeguando i piani di cura continuamente laddove necessario. I controlli digitali di Coversa utilizzano, per generare domande cliniche, promemoria e avvisi personalizzati per ogni profilo di ciascun paziente, degli algoritmi basati sui dati. Tutti i dati ricevuti (e generati) dai pazienti sono inseriti nella cartella clinica elettronica del paziente stesso e nel sistema di gestione della sua assistenza sanitaria, cosa che permette ai team medici di rispondere rapidamente alle esigenze che si presentano di volta in volta e di monitorare nel tempo la salute delle persone.

Figura 2.4 – Conversa health (credits: www.conversahealth.com). A oggi sono diverse le strutture sanitarie americane che, per offrire esperienze di conversazione intelligenti, automatiche e basate sul profilo del paziente, usano la piattaforma di Conversa, tra queste la Northwell Health, l’Ochsner Health System, la Citrus Valley Health Partners e la Penrose-St. Francis Health Services. I risultati ottenuti sono a quanto pare impressionanti, come per esempio la riduzione del 20% delle cure per i pazienti che avevano subito la sostituzione dell’articolazione, che ha portato a un risparmio medio di 3.400 dollari per paziente nell’arco di 90 giorni. Oltre l’80% dei pazienti, usando l’esperienza di conversazione automatica di Conversa, ha dichiarato di sentirsi più coinvolto nella cura. IL PERSONAGGIO

JEFF DACHIS CEO DI ONE DROP

Jeff Dachis è uno dei personaggi più noti della scena tecnologica americana: nel 1994 ha co-fondato Razorfish e, secondo la più consolidata delle immagini del sogno americano, ha trasformato la classica azienda nata in un garage in un colosso da oltre 2.000 dipendenti.

Figura 2.5 – Jeff Dachis (credits: Jeff Dachis).

Nel 2008 ha fondato Dachis Group, azienda in grado di usare una tecnologia di analisi dei dati proprietaria per aiutare i brand a ottimizzare le loro performance nel social marketing. Nel 2014 il gruppo è stato acquisito da Sprinklr. Ma la vera svolta nella vita di Jeff Dachis c’è stata nel 2013, allo scoccare del suo quarantasettesimo anno di vita, quando gli è stato diagnosticato il diabete di tipo 1. “Ricordo di essere andato dal medico e di aver parlato con l’infermiera per alcuni minuti. Poi mi hanno dato una penna per insulina, una prescrizione e una pacca sulla spalla. Mi sono sentito davvero trascurato”. Da quel momento Jeff Dachis si è dato una missione: usare le nuove tecnologie per migliorare la vita di ogni persona affetta da diabete. Il risultato è stato One Drop, un’app che si pone l’obiettivo di aiutare le persone con diabete a registrare, imparare e condividere informazioni per gestire la malattia. Ma la visione di Jaff Dachis si spinge oltre: “Sensori pervasivi sempre più economici, smartphone sempre più potenti e giganteschi ambienti di cloud computing trasformeranno l’assistenza sanitaria così come la conosciamo ora. Non solo saranno drasticamente modificate le interazioni tra i pazienti e gli operatori sanitari ma, grazie all’accesso in tempo reale ai dati biometrici dei pazienti, anche il lavoro di medici e paramedici sarà migliore e più efficiente. Proprio grazie alla possibilità, senza precedenti, di avere a disposizione in tempo reale l’accesso alla telemetria dei propri dati biometrici, l’intera modalità di erogazione dell’assistenza sanitaria subirà una travolgente trasformazione. Questo enorme ‘salto evolutivo’ trasformerà il ruolo del medico in qualcosa di molto diverso da quello che conosciamo oggi, con una buona parte del lavoro che sarà svolto dalla potenza di calcolo del cloud computing. Ciò sarà possibile sia per il volume sia per la qualità dei dati a disposizione, combinati con la capacità di poter dar loro un significato intellegibile tramite algoritmi di Intelligenza Artificiale. Questi dati potranno essere confrontati con quelli della letteratura medica, e con tutte le conoscenze a riguardo (soprattutto quando sarà possibile consultare quelli resi anonimi dei vari registri sanitari digitali permettendo diagnosi su scala globale). Le tecniche di assistenza sanitaria saranno migliorate, il costo delle cure diminuirà drasticamente, il personale medico e paramedico sarà impiegato in maniera migliore e più efficiente. E tutto questo avverrà grazie a una migliore elaborazione dei dati”. CAPITOLO 3

Open Innovation & Startup COME SI MUOVONO LE AZIENDE; LA VELOCITÀ E L’INTUIZIONE DEI PICCOLI SOGGETTI

a qualche anno, in realtà da più di un decennio, il modello D tradizionale d’innovazione delle aziende è entrato in crisi. Fino agli inizi del nuovo millennio quello tradizionale era uno dei principali con il quale un’azienda poteva costruire un vantaggio sul mercato nei confronti delle altre imprese concorrenti. In cosa consisteva questa strategia d’innovazione? Proviamo, per avere lo scenario completo all’interno del quale si sta consumando la rivoluzione dell’innovazione, a riassumerla in poche righe. La tendenza delle grandi aziende, fino a un recente passato, era quella di realizzare innovazione all’interno del perimetro delle proprie mura, creando strutture di ricerca e di sviluppo ad hoc per poter avere, in questo modo, un vantaggio sulla concorrenza: tutto quello che veniva ideato e creato era di proprietà dell’azienda e nulla poteva sfuggire all’esterno. Questo modo di fare innovazione fu in seguito ribattezzato “innovazione chiusa”. La recente fluidità del mondo del lavoro ha, però, portato all’evoluzione di un nuovo modo di fare innovazione. Si è passati quindi da un’innovazione chiusa a una aperta. La definizione di “open innovation” si deve al professor Henry Chesbrough, che attualmente ricopre la carica di direttore del Centro per la Open Innovation della Haas School of Business dell’università della California, che per primo la descrisse all’interno del suo libro The era of open innovation (2003): cardine del ragionamento erano i grandi centri di ricerca e sviluppo gestiti dalle corporation che non erano più strutture efficienti per innovare e rimanere competitivi in mercati sempre in accelerazione. In effetti l’innovazione chiusa produce un vero vantaggio solo al verificarsi di determinate condizioni, ossia quando il gruppo di lavoro interno all’azienda è sufficientemente ampio e ben formato da avere la capacità di sviluppare prodotti con una certa continuità. Se questa condizione non si verifica, il vantaggio non si concretizza, e la soluzione più pratica e decisamente più redditizia per un’azienda per creare un flusso d’informazioni in grado di condurre a obiettivi più ambiziosi, è guardare all’esterno, coinvolgendo startup preparate e motivate, gruppi di lavoro universitari o istituzioni. Sulla bontà dell’open innovation si sono spesi fiumi d’inchiostro, e non mancano certo gli esempi di come questo tipo di approccio abbia contribuito al successo di numerose grandi aziende (Apple, Google e Netflix) e abbia invece condannato chi, in maniera miope, era rimasto ancorato ai vecchi paradigmi d’innovazione (Kodak, Nokia e Blackberry per citare i più tristemente noti). Ideo, la storica azienda di consulenza di Palo Alto che dal 1991 ha contribuito a lanciare centinaia di prodotti e servizi di successo, ha stilato una fondamentale lista di caratteristiche che un’azienda, per definirsi davvero innovativa, deve possedere: avere uno scopo, ossia il motivo per cui l’azienda esiste al di là dell’arricchire gli investitori; la capacità di fare sperimentazione, e quindi di realizzare rapidamente nuove idee a un prezzo contenuto; la collaborazione tra i comparti aziendali e tra chi ne fa parte; e la capacità di trasformare semplici concept in prodotti belli e facili da usare. Oltre a tutto questo, però, deve avere, secondo Ideo, la capacità “di guardare fuori”, il che ovviamente include tutte quelle attività che sono abitualmente classificate come “open innovation”. Un’indagine condotta nel novembre del 2016 dal Politecnico di Milano ha evidenziato come in Italia il numero d’imprese che adotta consapevolmente e in modo sistematico approcci di open innovation sia ancora limitato, ma chi lo fa ne è soddisfatto e non abbandona questo tipo di approccio. La maggior parte delle imprese italiane utilizza il metodo dell’Inbound Open Innovation (ossia una modalità orientata a integrare stimoli esterni d’innovazione all’interno dei processi dell’impresa), sviluppa collaborazioni con Università e Centri di Ricerca, e svolge azioni di Startup Intelligence. Tuttavia dall’analisi emerge anche come le principali difficoltà incontrate nell’intraprendere questo tipo di trasformazione risiedano nelle imprese stesse, imbrigliate in inerzie organizzative e culturali, ostaggio di modelli operativi burocratici e lenti.

Appare chiaro che quello dell’open innovation è un tema al quale le grandi aziende, se vogliono rinnovarsi con successo, non possono sfuggire: chi imbocca questa via spesso si rivolge alle giovani imprese innovative, le quali a loro volta traggono vantaggio da questa sorta di “contaminazione” con le grandi, cogliendo possibilità di crescita non solo professionale, ma anche finanziaria. Un circolo virtuoso che, vista la crescente importanza del digitale in medicina, può produrre risultati molto interessanti, specie nel settore sanitario. E il motore fondante dell’innovazione della salute sono le startup. L’innovazione digitale sta trasformando la salute da un semplice “stato” a una prassi quotidiana che passa attraverso strumenti digitali. Questo rovesciamento paradigmatico del concetto di salute permette alle startup di proporsi come veri e propri driver di trasformazione, capaci di cogliere le necessità del mercato e di trasformarle in progetti dall’alto valore innovativo. Sempre più spesso le case farmaceutiche e le aziende del settore salute potranno adottare modelli e approcci incentrati sulla persona, e le startup rappresentano in modo peculiare un nuovo metodo per mettere in pratica quella strategia di business che sta già rivoluzionando il metodo di concepire e praticare la salute.

LA VISIONE DI ROBERTO

Open Innovation vuol dire fare innovazione servendosi di processi che avvengono all’esterno delle grandi aziende. Questo metodo è efficace soprattutto nel settore del digitale, dove il rischio del cambiamento è più elevato, proprio per la velocità con il quale esso s’innesca. Affidarsi a processi d’innovazione che avvengono esternamente alle grandi aziende, consente, per chi sviluppa i progetti, un maggior grado libertà e una maggiore predisposizione alla sperimentazione e al pensiero creativo. Le grandi organizzazioni, per raggiungere un risultato, non possono permettersi di mettere in cantiere tanti progetti e procedere attraverso un percorso lungo e complesso del tipo “trial-and-error”. Eppure è proprio così che si genera novità. Ed ecco il valore delle startup: una startup, al contrario di una grande azienda, vive dei flussi innovativi che riesce a generare, dispone di una maggiore flessibilità organizzativa e può assumersi i rischi connessi alla verticalizzazione in uno specifico ambito produttivo. La grande organizzazione può sfruttare questa opportunità accelerando i processi di sviluppo delle startup più promettenti e integrarle nei propri flussi operativi. È un modello vincente, l’unico attraverso il quale si può pensare d’innovare il settore sanitario. Un esempio recente viene dalla Spagna: una piattaforma chiamata AlmirallShare, lanciata dal gruppo farmaceutico spagnolo Almirall, punta, per affrontare e risolvere problemi dermatologici, a raccogliere i contributi di scienziati e addetti ai lavori di tutto il mondo. In particolare patologie quali psoriasi, dermatite atopica, acne e rosacea potranno essere ulteriormente valutate e affrontate grazie a questo atto di “innovazione condivisa”. Il fiorire di tutte queste applicazioni in ambito digital health degli ultimi anni è favorito dall’intensità di finanziamento che il mondo del funding sta dando a questo settore. Solo nel 2016 sono stati investiti in startup legate alla digital health circa 10 miliardi di dollari a livello globale, di cui quasi il 90% negli Stati Uniti. Certo non è l’unico metodo con il quale si può fare innovazione, però sicuramente il funding mirato e di grande qualità, su iniziative importanti, aiuta in modo incontrovertibile lo sviluppo di queste iniziative. Molte di queste trasformazioni non stanno arrivando dalle grandissime organizzazioni, che sono infatti molto forti nel loro ruolo, ossia in quello della ricerca incrementale e quindi nel migliorare qualcosa che già si conosce. Ma come in tutti gli altri settori che sono stati completamente trasformati, l’innovazione radicale viene proprio dalle startup, dai team che nascono con circa il 90% di probabilità di fallire: ma è proprio questa forte pressione evolutiva che permette loro di sperimentare in direzioni proibite alle grandi organizzazioni che, come detto, sono già centrate sul loro business. E dal punto di vista della Digital health questo movimento ormai conta nel mondo oltre 20.000 realtà che stanno effettivamente innovando da tanti angoli diversi: provando a reinventare tutti gli aspetti dei processi di cura e di educazione, e provando a immaginare come questi possano funzionare. Per farsi un’idea del brulicare di idee basta consultare DigitalHealthStoryMa, un sito web aggiornato con cadenza settimanale: è sufficiente cliccare l’organo del corpo umano che è rappresentato graficamente per scoprire quante e quali startup se ne stiano in quel momento occupando. Probabilmente oggi è facile avere delle idee, la vera sfida è rendere queste idee una realtà. Esiste un numero sconfinato di idee, e da questo punto di vista, per chi si proponga in questo campo, c’è uno spazio enorme, soprattutto in una dimensione locale o addirittura “iperlocale”.

STARTUP HEALTH

StartUp Health è un’organizzazione nata nel 2011 per supportare le imprese sanitarie di ambito digital e aiutarle nel loro percorso di crescita. Ha sede a New York, e ha organizzato numerosi incontri tra imprenditori e potenziali investitori per discutere delle sfide e delle opportunità che si profilano all’orizzonte. L’obiettivo che si pone per i prossimi 25 anni è molto ambizioso: migliorare il benessere di tutti gli abitanti del pianeta. Per riuscire nell’intento ha creato una rete mondiale di oltre 30.000 soggetti tra innovatori, leader del settore e investitori impegnati, per reinventare la salute e il benessere, a sostenere gli imprenditori. Recentemente StartUp Health ha beneficiato di nuovi investimenti, tra i quali uno particolarmente sostanzioso (5 milioni di dollari) da parte di Aurora Health Care, una delle principali reti ospedaliere no-profit degli Stati Uniti. Secondo Nick W. Turkal, presidente e amministratore delegato di Aurora Health Care la collaborazione con StartUp Health è importante e significativa perché permette d’identificare rapidamente per i pazienti le soluzioni di prossima generazione. “Viviamo in un’epoca dove ogni aspetto delle nostre vite sta per essere reinventato dalla tecnologia – ha dichiarato Turkal … è il momento di capire come queste innovazioni possano essere applicate per migliorare la salute e il benessere dei nostri pazienti. Con StartUp Health potremo farlo più velocemente e più efficacemente”. Per Unity Stoakes, cofondatore e presidente di StartUp Health, ogni aspetto dell’assistenza sanitaria sta subendo un profondo processo di rinnovamento, e il modo migliore per velocizzarlo è affinare la collaborazione tra i vari soggetti, fornendo sia agli imprenditori sia agli innovatori supporto, competenze e risorse per far crescere il loro business. Attualmente sono più di cento le aziende presenti nel portfolio di StartUp Health. Tra le più interessanti e promettenti c’è Kuveda, una big data platform progettata per sviluppare trattamenti personalizzati per la cura di vari tipi di cancro. Al contrario delle consuete procedure che richiedono un’analisi manuale dei risultati e si concentrano su alcuni biomarcatori noti, Kuveda è un sistema intelligente che analizza automaticamente geni, proteine e relative vie metaboliche, in un continuo processo di apprendimento che ha lo scopo di fornire agli oncologi un report il più dettagliato e specifico possibile. Hindsait, altra azienda che ha beneficiato della collaborazione con StartUpHealth, ha invece creato un’intelligenza artificiale che, al fine di rintracciare tendenze e connessioni impossibili da vedere per l’occhio umano, processa grandi insiemi di dati. Una volta trovate, elabora la terapia più veloce e meno dispendiosa possibile, eliminando inutili passaggi intermedi che fanno lievitare i costi e non portano ad alcun miglioramento del quadro clinico del paziente. Figura 3.1 – StartUp Health (credits: www.startuphealth.com).

HEALTHWARE LABS

Healthware Labs è, nel portare il digitale all’interno dell’assistenza sanitaria, una delle aziende più attive negli ultimi 20 anni. I suoi punti di forza sono l’innovazione della tecnologia digitale a supporto del settore farmaceutico, la riconosciuta leadership nel campo della salute digitale, le tante partnership e l’accesso diretto a migliaia di startup, tutti messi a disposizioni di nuove aziende che desiderino implementare su larga scala l’innovazione della salute. Oggi Healthware Labs, grazie alla collaborazione con la più grande rete di startup terapeutiche digitali del mondo, è specializzata nel co-sviluppo di progetti votati alla prevenzione. Per le grandi aziende produrre innovazione con i sistemi tradizionali è difficile, oppure troppo rischioso, tanto che i processi di cambiamento e rinnovamento non avvengono quasi mai al loro interno. Al contrario, startup e investitori sono in grado di produrre un flusso continuo d’innovazione che crea nuovi mercati o intercetta in maniera dirompente quelli esistenti. Ecco quindi il vantaggio offerto da aziende come Healthware Labs: qualsiasi azienda che voglia convertirsi all’open innovation deve connettersi all’ecosistema di avvio, e Healthware Labs in tal senso rappresenta un centro di eccellenza. Lo è poiché fornisce alle aziende tutti gli strumenti necessari per introdurre metodologie d’innovazione all’interno del modello di business esistente, con un pool di consulenti che sperimenta costantemente tendenze innovative, pensa a come applicarle nel campo della salute, e a come svilupparle in condivisione con l’azienda.

Figura 3.2 – L’home page di Healthware Labs (www.healthwarelabs.com)

BAYER GRANTS4APPS

Oggi il concetto di salute e benessere sta vivendo un profondo mutamento reso possibile dall’implementazione di nuove tecnologie e di un cambio di paradigma con l’ideazione di prodotti e servizi che si focalizzano sempre più su persone, animali e piante. Figura 3.3 – “What We Are Looking For” (credits: www.grants4apps.com).

Bayer Grants4Apps è un programma internazionale che supporta le startup innovative di tutto il mondo che operano nei settori Life Sciences. Il network di Grants4Apps ha sede a Berlino, e ospita l’acceleratore dedicato alla Digital Health. Ora è cresciuto e prevede programmi dedicati nelle città di Barcellona, Shangai, Tokyo e Mosca. Altre sedi internazionali sono protagoniste nella loro città con iniziative, eventi e attività correlate. In Italia è attivo Grants4Apps Italy, un osservatorio dedicato all’innovazione digitale, punto d’incontro e luogo virtuale di aggregazione di startup, esperti di salute digitale e innovatori in ambito agricoltura e salute. Un vero e proprio hub per l’innovazione tecnologica e digitale delle scienze che si occupano di uomini, animali e piante. Una vetrina virtuale permette alle startup ospitate su Grants4Apps Italy di presentarsi al pubblico e agli investitori, promuovendo i loro progetti innovativi e ampliando le conoscenze, segnalando che si è in cerca di finanziamenti o investimenti, di spazi di lavoro o di personale e molto altro ancora. In questo modo la piattaforma di Bayer, grazie anche all’organizzazione di eventi sul territorio italiano, nonché alla promozione delle iniziative globali del progetto a cui anche le startup Italiane del network potranno partecipare, mette in relazione gli startupper con l’intero ecosistema. Su Grants4Apps Italy gli utenti hanno modo di leggere le storie provenienti dal mondo delle startup che operano nei settori delle Life Sciences. Come precisa Daniele Rosa, responsabile dei contenuti editoriali del sito e Direttore Comunicazione di Bayer “Una redazione dedicata si prenderà cura del progetto editoriale con articoli di scenario sulle direzioni evolutive del settore, e racconterà le storie delle persone dietro alle startup, i loro sogni, i loro traguardi e gli ostacoli incontrati sul percorso”.

VERTICAL HEALTH ACCELERATOR

Vertical, azienda finlandese con sede a Helsinki, si propone come “startup accelerator”, ossia come punto di contatto privilegiato tra le aziende e gli innovatori. Il compito di Vertical è quello di trovare i partner più adatti per una startup, e di consentire ai loro esperti di lavorare in collaborazione con i migliori imprenditori sul mercato.

Figura 3.4 – Il network d’innovazione sanitaria di Vertical (credits: www.vertical.vc). Secondo una loro stessa definizione, Vertical è il collante tra le esigenze di un’azienda e le offerte delle varie startup: dalla loro unione è possibile portare sul mercato soluzioni in grado di cambiare la vita delle persone. Una delle iniziative più interessanti di Vertical è il periodico “Vertical Health Accelerator”, un programma che ospita e riunisce startup provenienti da tutta Europa in grado di offrire soluzioni che vanno dal servizio nutrizionale al monitoraggio del fitness a quello della salute cardiovascolare e così via. Durante il programma, che di solito dura qualche mese, Vertical offre ai team un ambiente per sviluppare e far crescere la propria attività insieme ai partner selezionati, uno spazio di co-working all’avanguardia, un programma di formazione che punta a passare dal “prodotto pensato” al “prodotto realizzabile” organizzando finanziamenti, assistenza legale e collegamenti all’interno del marketing e delle varie relazioni internazionali. Alla fine del programma Vertical sceglie di destinare 150.000 euro ai team e ai progetti più promettenti. Vertical Health Accelerator ha fino a oggi ricevuto oltre 140 proposte di applicazioni da startup di 23 Paesi del mondo. Un numero enorme che ha sorpreso lo stesso Sébastien Gianelli, responsabile del programma: “Siamo stupiti per l’interesse internazionale nei nostri confronti, e anche per l’alta qualità delle squadre che competono per un posto nel nostro acceleratore. Ciò testimonia chiaramente come la Finlandia si stia evolvendo come centro di gravità per lo sviluppo di soluzioni sanitarie di prossima generazione”. Uno dei partner di Vertical è HUS, il distretto ospedaliero di Helsinki e Uusimaa. Secondo Karoliina Halmesmäki, medico chirurgo di HUS, “La digitalizzazione, la tecnologia sanitaria e i nuovi concetti di servizio resi possibili da Vertical offrono enormi opportunità nel campo della salute”. IL PERSONAGGIO

UNITY STOAKES CO-FONDATORE E PRESIDENTE DI STARTUP HEALTH

Unity Stoakes è il Co-founder e Presidente di StartUp Health. L’azienda sta organizzando e investendo in un esercito globale di trasformatori della salute. StartUp Health ha il più grande portafoglio al mondo di aziende che operano nella salute digitale: sono sparse su 18 Paesi e 6 continenti.

Figura 3.5 – Unity Stoakes (credits: www.startuphealth.com).

“Alla StartUp Health crediamo che con la giusta mentalità e spirito imprenditoriale tutto sia possibile. Sappiamo anche che, quando riunisci persone accumunate dalla stessa passione di migliorare la vita di tutti e le spingi a raggiungere un obiettivo comune, accade qualcosa di magico. Viviamo in un momento unico nella storia dell’assistenza sanitaria, dove convivono soluzioni che se concertate a dovere possono migliorare l’accesso alle cure (a costi sempre minori) per miliardi di persone. Quel che serve ora è, per collaborare e lavorare insieme come un ecosistema unico, supportare chi abbia una mentalità innovatrice nel campo della salute. Intelligenza artificiale, realtà virtuale, connettività mobile e avanzate soluzioni di analytics predittive stanno cambiando l’assistenza sanitaria, e ciò sta creando un’ondata d’innovazione come non abbiamo mai visto. Ci definiamo un’azienda d’innovazione sanitaria, ma le persone ci chiedono: ‘sì, bene, ma di che si tratta?’ Abbiamo un’accademia che aiuta a far crescere le aziende e abbiamo il più grande portafoglio di aziende di salute digitale, quindi siamo un mashup tra un investitore, un incubatore, una rete aziendale e una scuola per imprenditori. Monitoriamo enormi quantità d’informazioni e dati su dove scorra il denaro, su quali modelli di business funzionino, su chi investa in quali sotto-settori e in quali regioni, e come le aziende possano accedervi. Nel mondo della tecnologia, quando siamo partiti col nostro progetto, c’erano Y Combinator e Techstars, due acceleratori tecnologici: proponevano programmi di 12 settimane, un po’ di soldi e un giorno dimostrativo. Abbiamo capito che nel settore sanitario quel modello non avrebbe funzionato. Abbiamo quindi lanciato l’idea di aiutare nei prossimi 10 anni la nascita di 1.000 aziende. Ciò vuol dire che non ci sarà una sola azienda ‘stile Uber’ che risolverà l’assistenza sanitaria, ma centinaia o migliaia di aziende che risolveranno ciascuna un aspetto diverso del sistema e, insieme, diventeranno ciò che trasformerà l’intero settore. È in atto una grande trasformazione che riguarda l’elaborazione di un’enorme mole di dati. Dobbiamo trasformare quei dati in intuizioni reali che cambieranno risultati e comportamenti. Ecco perché recentemente si stanno verificando così tanti investimenti in piattaforme per analizzare dati. Le aziende si stanno chiedendo: ‘Siamo in grado di monitorare l’intero genoma di qualcuno? Possiamo ottenere tutte queste informazioni? Esiste una piattaforma in grado di rendere tali dati significativi per me come consumatore o paziente?’ Per creare un futuro dove tutti nel mondo possano avere accesso alle cure che meritano e di cui hanno bisogno, è nostro dovere sfruttare al massimo questo momento d’innovazioni”. CAPITOLO 4

Interfacce EVOLUZIONE DELLE INTERFACCE

l mondo in cui viviamo è un ambiente cacofonico”. Questa curiosa “I definizione è di David Rose, ricercatore all’MIT Media Lab di Cambridge, Massachusetts, attento osservatore di come si svolga la vita quotidiana in un ambiente pieno di oggetti digitali. La “cacofonia” cui fa riferimento Rose è data dall’enorme quantità d’interfacce e di dati con cui la tecnologia negli ultimi anni ci sta investendo. Rose, designer esperto, inventore seriale e imprenditore, è anche autore del libro Enchanted Objects, nel quale descrive una possibile direzione che potrebbe prendere il design. Se ciò avvenisse, il mondo sarebbe meno cacofonico, un mondo popolato da oggetti quotidiani resi più utili e intuitivi da un sapiente mix di Internet of Things, intelligenza artificiale e, secondo la sua personale visione del futuro, “un tocco di magia”. Il libro esplora quanto la computazione pervasiva, ridistribuendo alcune delle cose utili che la tecnologia digitale può fare per noi e integrandole nei manufatti ordinari che già ci circondano, possa diventare parte delle vite quotidiane. Il team di David Rose, per esempio, ha messo a punto dei contenitori intelligenti per le pillole, che grazie a costanti e gentili promemoria, sotto forma di luce e suoni, hanno dimostrato di migliorare l’aderenza del paziente a una determinata terapia. In effetti non è difficile immaginare delle strade attraverso le quali prodotti ben progettati e con interfacce facili, intuitive e, perché no, belle, potranno aiutare le persone a diventare dei pazienti migliori, i medici a prendere le corrette decisioni e gli ospedali a essere più efficienti. Ma ogni medaglia ha il proprio rovescio, e quello di tutte le tecnologie pervasive si chiama “privacy”: registrare una massiccia quantità d’informazioni personali e caricarle sui propri social network, o inviarle tramite servizi cloud-based per farle processare, pone in tal senso seri problemi. Per non parlare della dubbia posizione etica del marketing che le usa. Senza adeguate misure di sicurezza e dettagliate informazioni sulla privacy, il rischio per le persone immerse in un mondo così è quelli di sentirsi, secondo l’ipotesi di David Rose, come i detenuti del Panopticon, il carcere ideale progettato nel 1791 da Jeremy Bentham, costantemente sotto il controllo di un’invisibile onniscienza da parte del guardiano. Privacy ed etica sono due problematiche che devono trovare una soluzione e con le quali probabilmente, se vogliamo migliorare sensibilmente le nostre condizioni di vita e di salute, dovremo scendere a patti. Dando uno sguardo all’oggi, possiamo già intravedere le interfacce di domani. Una di queste è la realtà virtuale, e un esempio declinato nel campo della salute arriva dall’Inghilterra. In una ricerca pubblicata sulla rivista British Journal of Psychiatry Open, gli studiosi dell’University College London di Londra hanno descritto una nuova terapia sperimentale basata sulla realtà virtuale che potrebbe aiutare a combattere la depressione. La terapia, che prevede tre sessioni di circa 45 minuti, è stata sperimentata su 15 persone affette da depressione di età compresa tra 23 e 61 anni. Nella prima sessione dell’esperimento i partecipanti hanno indossato un casco per la realtà virtuale, che permetteva loro di visualizzare un avatar adulto di dimensioni reali che replicava gli stessi movimenti eseguiti dal paziente, come se questi si trovasse davanti a uno specchio. Lo scopo era far identificare il paziente con il personaggio virtuale affinché imparasse gradualmente a essere meno critico nei propri confronti. Nella seconda sessione all’interno della scena virtuale fa la sua comparsa l’avatar di un bambino in lacrime, che il paziente deve tentare di consolare con gesti e parole. Nell’ultima sessione i ricercatori invertono i ruoli: il partecipante si ritrova improvvisamente nel corpo virtuale del bambino ed è lui a essere confortato dall’avatar adulto che ripete le stesse parole che il soggetto aveva pronunciato poco tempo prima per consolare il bambino avatar. La sperimentazione, secondo quanto riportato gli studiosi, ha fornito risultati “promettenti”: nel mese successivo alle sedute, infatti, nove partecipanti hanno riportato una riduzione dei sintomi depressivi. In particolare, quattro hanno manifestato un “significativo calo nella gravità della patologia”. È solo un esempio dell’utilizzo della realtà virtuale come strumento terapeutico, ma molti altri sono alle porte, è solo questione di tempo. In un prossimo futuro troveremo nuove interfacce anche in sala operatoria nelle forme d’infermieri-robot. Uno studio pubblicato sulla rivista Frontiers in Robotics and AI dai ricercatori del Politecnico di Milano e dell’Università di Tecnologia di Delft, afferma che androidi capaci d’imitare il comportamento umano potrebbero cooperare efficacemente con le persone in situazioni di stress elevato, come durante gli interventi chirurgici, migliorandone così la sicurezza. E anche l’uso dell’intelligenza artificiale sta entrando prepotentemente nel settore della sanità, per esempio per migliorare le tecniche diagnostiche: in Giappone di recente è stato testato in un contesto clinico un nuovo sistema endoscopico assistito dall’intelligenza artificiale che sarebbe in grado d’identificare gli adenomi del colon e del retto durante la colonscopia. Per riuscirci il metodo diagnostico impiega un’immagine endocitoscopica ingrandita 500 volte di un polipo analizzando circa 300 funzionalità dei polipi presi in esame. Il confronto tra le caratteristiche di ciascun polipo con quelle di oltre 30.000 immagini di riferimento ha permesso a questa “sonda intelligente” di diagnosticare la presenza di una lesione pericolosa in meno di un secondo, e con una precisione sbalorditiva.

LA VISIONE DI ROBERTO

Realtà virtuale, intelligenza artificiale, robotica. Ma esiste un’altra piattaforma molto interessante su cui si sta svolgendo una febbrile sperimentazione, basata sull’uso delle interfacce più naturali che abbiamo: la voce e l’udito. La prima cosa che facciamo in qualità di essere umani è imparare a comunicare attraverso la voce ed è almeno dai tempi di Star Trek che sogniamo di rivolgerci a un computer per porre delle domande chiamandolo col suo vero nome: “Computer!”. Oggi, se è vero che possiamo far reagire un iPhone chiamandolo (quasi) col suo vero nome: “Ehi Siri”, il “sogno” del 1966 è realtà. Nel campo dell’interfaccia vocale uomo- computer si stanno facendo passi da gigante, anche nell’ambito della salute. Esistono piattaforme ormai utilizzabili da chiunque, come ECO, la piattaforma Alexa di Amazon, o Google Home, che permettono di creare delle applicazioni che possiamo interrogare a voce per ricevere risposte vocali adeguate. Un’interfaccia di questo tipo potrebbe avere un enorme impatto positivo per i pazienti: avrebbero la possibilità di fare domande su alcuni sintomi e ricevere dei consigli, possono impostare una sveglia per ricordarsi di prendere una pillola o un determinato medicinale, possono avere risposte a dubbi su cosa mangiare in relazione alla propria patologia, sapere se un determinato farmaco vada preso prima o dopo cena. Possono, quindi, avere una risposta audio competente senza dover per forza aprire un’app. Ma l’impatto sarebbe positivo anche sul fronte professionale: per esempio un medico, per ottenere informazioni salienti su un paziente durante una visita o prima di questa, potrebbe usare l’assistente intelligente in tempo reale o “to the point”. Gli aspetti delle interfacce più o meno naturali sono studiati anche dal punto di vista della consumer robotica. Esiste una sperimentazione in particolare, in California, che vede come utilizzatori finali le persone anziane. Il robot messo a punto dagli sperimentatori californiani possiede sia un’interfaccia vocale sia una tattile, grazie alle quali si possono confermare con un tocco determinate informazioni. La cosa molto interessante è che grazie alla telecamera di cui il robot è dotato, e soprattutto grazie all’algoritmo sviluppato dai ricercatori, il robot interpreta l’espressione facciale della persona, capendo se questa ne abbia una felice, triste, preoccupata e così via. In base al dato rilevato stabilisce come iniziare una conversazione il cui tono sia adeguato all’espressione riconosciuta. Col tempo il robot non solo impara a relazionarsi con il suo interlocutore, ma apprende anche dagli insegnamenti che tutti gli altri robot della stessa categoria accumulano nel tempo e con i quali scambia informazioni e dati. Un fattore empatico che si rivela molto interessante per persone anziane che vivono da sole.

BABYLON E YOUR.MD

Babylon Health è una startup britannica che è riuscita a raccogliere, per la progettazione di un’ingegnosa app in grado di miscelare Intelligenza artificiale, video e consultazioni via messaggio con dottori e specialisti, già oltre 60 milioni di dollari di nuovi finanziamenti. Il ricorso all’Intelligenza artificiale aiuta ad aumentare la validità di una diagnosi, e allo stesso tempo a ridurre tempi di attesa per le visite mediche. Il sistema, tramite riconoscimento vocale associato all’intelligenza artificiale, riesce a capire quali siano i sintomi comunicatigli da un paziente e a confrontarli con un corposo database di patologie offrendo, al termine dell’analisi, indicazioni su come intervenire, quali passi intraprendere per un percorso di cura e suggerendo, se il caso lo richiede, quale specialista consultare. L’app di Babylon Health mette a disposizione anche un percorso guidato sui sintomi dello stato di malessere di un paziente, in tal modo può aiutare successivamente il medico a ottenere in breve tempo una diagnosi più accurata. E se dopo la cura il medico prescrive un farmaco, la ricetta digitale può essere inviata direttamente alla propria farmacia preferita, senza bisogno della ricetta cartacea, e rendendo l’intero processo il più efficiente possibile. Successivamente l’app è in grado di ricordare al paziente quando deve prendere i farmaci prescritti per la sua cura e di attivarsi automaticamente di volta in volta per verificare se le condizioni migliorino o meno.

Figura 4.1 – Babylon in azione (credits: www.babylonhealth.com).

I creatori di Babylon Health sostengono di aver “curato” in questo modo almeno 250mila persone. E se al momento Babylon Health è più un aiuto per gli specialisti nell’identificazione accurata della malattia e del trattamento più appropriato, gli stessi sviluppatori non nascondono di avere un piano molto più ambizioso: curare la gente usando esclusivamente l’Intelligenza Artificiale. Your.MD, al pari di Babylon Health, è un’applicazione che consente a chiunque di consultare un database di sintomi e ottenere indicazioni su quali comportamenti adottare, se rivolgersi a un medico, a una farmacia, oppure non fare nulla. Your.MD nasce con l’intento di poter essere usata come alternativa più attendibile dei motori di ricerca o dei forum tematici, anche da chi non abbia conoscenze mediche. Come ha dichiarato Matteo Berlucchi, CEO di Your.MD, in un’intervista al Sole 24ore: “Nei grossi centri urbani americani il tempo di attesa medio per una visita medica è di 18 giorni, e ci sono aree del mondo dove la densità di medici è ancora inferiore. Non vogliamo curare nessuno, vogliamo suggerire alle persone cosa fare”.

Figura 4.2 – L’app di Your.MD (credits: www.your.md). I database di Your.MD sono alimentati dai big data che a loro volta, tramite modelli matematici e analisi specifiche, restituiscono risultati che rappresentano diagnosi la cui attendibilità vuole superare quella dei medici. Individuata la natura della malattia (grazie a regole probabilistiche) suggerisce all’utente a quale categoria di specialisti rivolgersi. Data science, AI e machine learning sono al servizio della salute e offrono responsi chiari e comprensibili a tutti, anche perché non sono redatti da personale sanitario in linguaggio medico.

ALEXA E ECHO

Quando nel 2014 Jeff Bezos anticipò la concorrenza lanciando la prima generazione di altoparlanti con supporto per l’intelligenza artificiale, sembrò un evento quasi fantascientifico. E in un certo senso lo era: fu lo stesso Bezos a confessare che l’idea gli era venuta guardando Star Trek, dove il computer di bordo dell’Enterprise poteva essere attivato dalla voce umana. In effetti è quanto fanno anche gli altoparlanti intelligenti di Amazon Echo (dotati di tecnologia Alexa): basta dire ad alta voce “Alexa” o “Amazon”, e la cassa si mette in ascolto, registra il comando e risponde con un’azione. Da 2014 a oggi, soprattutto grazie agli accordi di Amazon con i maggiori produttori di elettrodomestici, l’assistenza digitale fondata su Alexa è cresciuta tantissimo. Grazie agli algoritmi e alla capacità di calcolo di Alexa la domotica è sempre più presente nelle case. Se un tempo potevamo chiedere le condizioni meteo prima di uscire di casa, ordinare la riproduzione di un brano musicale o sapere gli appuntamenti in agenda, oggi possiamo chiedere a Echo di preparare il caffè, accendere la tv o la lavatrice o di regolare la temperatura della caldaia. Alexa funziona in maniera analoga a Siri, Cortana o Google Assistant, gli altri attori nel campo del riconoscimento vocale. La sua forza sta nel complicato sistema neurale messo a punto da Amazon per decifrare i comandi, che permette all’intelligenza artificiale d’interagire con le persone in maniera semplice e fluida, e nei sensibilissimi microfoni inseriti da Amazon nell’Echo, che captano la voce anche se c’è rumore o musica in sottofondo. Questo tipo di tecnologia ha attirato anche l’attenzione in campo sanitario: secondo Rich Able, Chief Marketing Officer della X2 Biosystems e della Stratos Group, Alexa e Echo potrebbero non solo migliorare gli inefficienti sistemi di gestione sanitaria degli Stati Uniti, ma anche permettere a medici e personale sanitario di avere protocolli di trascrizione e di procedura ad acquisizione vocale, cosa che migliorerebbe di molto l’efficienza sul lavoro.

Figura 4.3 – L’altoparlante intelligente “Echo”, di Amazon, con tecnologia “Alexa” (credits: www.amazon.com).

Non solo: rilevando i cambiamenti nell’intonazione e nel carattere della voce di un paziente, la tecnologia di Alexa potrebbe anche fornire importanti indizi sul suo stato emotivo, suggerendo al soggetto, ove necessario e prima che le sue condizioni di salute peggiorino, una visita virtuale o di telemedicina. “Nel nostro nuovo approccio sanitario è fondamentale, per comprendere velocemente i cambiamenti nella salute quotidiana di un paziente, espandere piattaforme della tipologia di Alexa – ha dichiarato Rich Able – e ciò vuol dire poter arrivare a sviluppare, per esempio, nuove cure per la dipendenza da oppioidi o per la gestione del dolore”.

PEPPER ROBOT Il primo obiettivo della Softbank Robotics, società di robotica fondata nel 2015 con sede a Tokio, è quello di fare di Pepper il primo robot umanoide capace di comprendere sentimenti, sensazioni e stati d’animo di chi gli stia vicino. Non è un robot in grado di svolgere compiti di fatica o educativi, ma semplicemente un “family robot”, dalle capacità empatiche, in grado di dialogare e interagire con i componenti della famiglia accompagnandoli piacevolmente nel corso della loro vita.

Figura 4.4 – Pepper, robot umanoide dalla spiccata empatia (credits: www.ald.softbankrobotics.com).

Il compito non è facile, ma Softbank robotics è convinta di riuscire a vincere questa scommessa. Dopo i primi successi ottenuti in Giappone, nel 2017 Pepper è stato lanciato anche sul mercato statunitense e in alcuni Paesi europei tra i quali, a breve, anche l’Italia. Ma sono le capacità empatiche di Pepper che hanno attirato l’attenzione nel campo della salute. Per esempio in Belgio, nell’ospedale AZ Damiaan, Pepper è già utilizzato per accogliere i pazienti durante le procedure d’accettazione. Pepper si presenta come un piccolo umanoide, alto appena un metro e venti centimetri, ed è perfettamente adatto al ruolo d’accoglienza poiché in grado di parlare perfettamente 19 lingue, così da potersi rivolgere praticamente a tutti i pazienti in arrivo. Per ora è in fase di test nel reparto maternità, dove il riscontro è stato decisamente positivo, soprattutto da parte degli ospiti più È piccoli. Ma tutto lascia prevedere un uso più ampio anche in altri reparti. È, quindi, iniziata l’era dell’accoglienza robotica!

MINDMAZE

MindMaze è un’azienda svizzera operante nel campo delle neuroscienze applicate alle macchine sempre in cerca di nuove soluzioni per rendere più interessante l’uso della realtà virtuale. Come riporta il sito The Economist, la startup losannese di MindMaze, da quando il gruppo indiano Hinduja ha investito acquistando parte del capitale, è entrata a far parte del gruppo di aziende tecnologiche il cui valore supera il miliardo di dollari. Uno dei prodotti di MindMaze si chiama MASK, uno strumento in grado di migliorare l’interazione uomo-macchina ottenuto grazie allo studio approfondito del cervello umano e alla collaborazione con importanti esperti del settore. MASK è, come facilmente intuibile, una maschera, simile nella forma a Google Daydream o ad altri visori per la realtà virtuale, ma molto differente nella sostanza. Infatti, è in grado di leggere gli impulsi elettrici del volto degli utenti che la indossano e di registrarne l’espressione il più precisamente possibile. Una volta catturata l’espressione facciale di una persona, MASK può trasmetterla a un avatar in realtà virtuale capace di replicarla alla perfezione. Figura 4.5 – MASK (credits: www.mindmaze.com).

MindMaze ha realizzato anche diverse altre applicazioni, tra le quali MindPlay, una tecnologia di riabilitazione a buon mercato per aiutare i pazienti colpiti da ictus e lesioni cerebrali a recuperare l’uso degli arti. E grandi aspettative si nutrono per il suo nuovo prodotto, MindMotion Pro system, che si sta rivelando di grande aiuto nel trattamento di lesioni correlate all’ictus. Il protocollo messo a punto sfrutta la tecnologia dei giochi in realtà virtuale aiutando i pazienti a impegnarsi nella terapia riabilitativa e favorendo il loro pieno recupero. I movimenti del paziente sono collegati a quelli di un avatar virtuale che lo guida nel compiere diversi esercizi interattivi basati su principi standardizzati di riabilitazione neurale. Figura 4.6 – MindMotion Pro system (credits: www.mindmaze.com). IL PERSONAGGIO

MATTEO BERLUCCHI CO-FONDATORE E CEO DI YOUR.MD

Laureato in fisica teorica nel 1992 a Padova, Matteo Berlucchi si è poi spostato all’Imperial College di Londra dove però non ha completato il PhD in informatica per dare vita alla sua prima esperienza imprenditoriale, netEstate. Nel 2001 ha fondato Skinkers; nel 2010 è stato scelto come CEO per Anobii; nel 2013 è divenuto CEO Digital di Northern & Shell. Nel 2015 ha fondato Your.Md, di cui è CEO.

Figura 4.7 – Matteo Berlucchi (credits: www.your.md). “Qualche anno fa il professor Sir Muir Gray, all’epoca Chief Knowledge Officer dell’NHS, riconobbe che: ‘Il termine cura di base è un’espressione scorretta. La prima cosa che cittadini e pazienti fanno è pensare a cosa possono fare per se stessi, la seconda è cercare aiuto/consiglio da amici e famiglia, e alla fine, negli ultimi 20 anni, su Internet. Solo dopo cercano aiuto professionale’. Ormai tutti noi abbiamo confidenza con servizi di prescelta o pre- acquisto (si pensi alla consultazione di recensioni) e il nostro comportamento è definitivamente cambiato per quanto concerne viaggi, shopping e anche banche. Quindi perché non pensare a un comportamento simile di pazienti e diffusori di cure mediche, per un servizio di pre-scelta prima di sottoporsi alla cura di base e magari di recensione dopo? Le tradizionali definizioni di cura primaria e secondaria sono andate bene per noi, ma in un mondo in cui i servizi sanitari hanno sempre meno risorse e sono sottofinanziati, è tempo di definire una nuova area di appropriata, affidabile e sicura somministrazione di cura. Dobbiamo sviluppare un concetto di pre-cura di base per sfruttare al meglio le capacità che la tecnologia digitale ci sta offrendo oggi. L’assistenza pre-primaria realizza per la prima volta l’opportunità per le aziende sanitarie digitali di soddisfare le enormi e insoddisfatte richieste che le persone hanno prima di decidere di rivolgersi alle cure primarie. Globalmente l’assistenza sanitaria è sotto pressione. I Paesi sviluppati stanno lottando per soddisfare la domanda e le Nazioni in via di sviluppo stanno combattendo per mantenere i professionisti della sanità per fornire i servizi di base. La sfida per tutti è come fornire accesso e qualità a un prezzo accessibile. Per secoli le sale d’attesa dei medici sono rimaste invariate – un tableau che sfidava il tempo (qualcosa di tipico e invariato) – le file di persone in attesa di saggezza medica faccia a faccia. La consultazione faccia a faccia rimane il top per l’assistenza sanitaria di base a livello globale, ma la marea umana che scende sui professionisti dell’assistenza primaria sta fratturando lo status quo. Tuttavia, secondo Google il 70% delle persone ora cerca online i sintomi di salute prima di andare dal medico. E un sondaggio condotto da nel 2013 sulla propensione al ricorso alla digital health ha rilevato che il 70% delle persone utilizzerebbe un sensore nella toilette o nelle bottiglie, il 64% desidera un regime sanitario personalizzato e il 53% si fiderebbe di un test autosomministrato. Nel 2007 uno studio delle cartelle cliniche riguardanti 130 ambulatori di medicina generale del Regno Unito per un periodo di due anni ha rilevato che 51 milioni di consultazioni – pari al 90% del totale – riguardava disturbi minori e l’88% di quelle erano idonee per autocura. Ancora più sorprendente è che il 75% di tutte le consultazioni riguardava circa dieci disturbi minori specifici: mal di schiena; dermatite; bruciore di stomaco; congestione nasale; stipsi; emicrania; tosse; acne; distorsioni e mal di testa. A Your.MD abbiamo creato un attivatore chiave per la cura pre- primaria: un sistema smart, che utilizza l’intelligenza artificiale, progettato per fornire gratuitamente il parere sulla salute più pertinente, sicuro e attuabile per chiunque nel mondo. Perché questo è importante? Perché agli albori della cura pre-primaria, allo stesso modo dell’alba di Internet, le piattaforme che aiutano le persone a trovare la loro strada sono un servizio necessario per lo sviluppo del mercato. Nell’assistenza sanitaria, le persone non hanno Google, TripAdvisor o Skyscanner e quindi non hanno aiuto quando si trovano di fronte a una scelta sulla loro salute. Strutturando le informazioni sulla salute, Your.MD può consentire lo sviluppo della cura pre-primaria in modo che tutti possano beneficiare dei meravigliosi prodotti e servizi di salute digitale che vengono inventati e lanciati ogni giorno”. CAPITOLO 5

Telemedicina e monitoring a distanza COME CAMBIERÀ LA NOSTRA VITA

orreva l’anno 1976 quando in Italia veniva sperimentato un protocollo C di trasmissione a distanza di esame diagnostico piuttosto comune, un elettrocardiogramma. Sostanzialmente le informazioni di un ecg di un paziente venivano trasmesse in tempo reale a un medico distante chilometri il quale procedeva a stilare il referto. Con questa sperimentazione si fa nascere tradizionalmente la telemedicina italiana. Una sperimentazione, quella del 1976, che riscosse un successo tale da spingere la compagnia telefonica monopolista dell’epoca, la SIP, a lanciare sul mercato un apparecchio specializzato in questo tipo di trasmissioni, il cardiotelefono. Da questi esperimenti pioneristici a oggi, grazie alla gestione domiciliare di molti aspetti sia diagnostici sia terapici, sono stati fatti passi da gigante. In epoca digitale la telemedicina e la teleassistenza sono procedure in grado di portare benefici diretti al paziente, con evidente diminuzione sia dei costi di spostamento sia di spesa sociale. Un recente report pubblicato dall’OMS (l’Organizzazione Mondiale della Sanità) condotto su 47 Paesi europei ha fatto luce sulla situazione della sanità digitale (la cosiddetta e-health) in Europa, e si è concentrata anche sullo stato della telemedicina. Dall’analisi risulta come la telemedicina sia una pratica piuttosto sviluppata, soprattutto nei paesi nord europei dove per ragioni storiche, geografiche e culturali certi tipi di soluzioni sono impiegate da molti anni. Per esempio la teleradiologia (la possibilità da parte dei medici di visionare immagini radiologiche a distanza) è adottata dall’83% dei Paesi, mentre il monitoring a distanza (inteso come la possibilità di seguire e monitorare a distanza le patologie dei pazienti in ottica curativa e preventiva) è in uso nel 72% degli Stati che hanno risposto all’indagine. L’attitudine all’uso di questi sistemi è ulteriormente dimostrata dal fatto che il 62% dei Paesi coinvolti nell’indagine afferma di possedere politiche dichiaratamente rivolte alla telemedicina, con un sostanziale progresso rispetto al 30% rilevato nella precedente indagine risalente al 2009. E in Italia? Lo scenario disegnato dall’ultimo rapporto dell’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità della School of Management del Politecnico di Milano ci dice che il 39% delle Direzioni Strategiche ritiene la telemedicina un ambito prioritario, valore sensibilmente superiore a quanto rilevato nel 2016 (21%), con investimenti crescenti pari a 20 milioni di euro nel 2016 (contro i 13 milioni del 2015). Nonostante interesse e investimenti la telemedicina risulta tutto fuorché diffusa sul territorio italiano, dove tra le sue poche soluzioni, le sole che fanno registrare una certa diffusione, ci sono quelle di teleconsulto tra ospedali. Al contrario, soluzioni più avanzate come la tele-assistenza e, in misura ancor meno presente, la tele-riabilitazione, sono al momento ad appannaggio di pochissime sperimentazioni che faticano a evolvere oltre questo stadio. Questa la fotografia odierna. Cosa succederà da qui a qualche anno? Tutto lascia prevedere che in un prossimo futuro la telemedicina e il monitoring a distanza prenderanno sempre più piede. I pazienti aggiorneranno i medici sul proprio stato di salute via video, porranno domande e quesiti sulle proprie condizioni di salute, e i medici forniranno risposte e contenuti educativi per migliorare l’aderenza alla terapia proposta o per sensibilizzare il paziente su una determinata patologia. In America abbiamo già oggi un assaggio di futuro, dove il numero di visite virtuali (effettuate via telefono, email o video) è maggiore rispetto al numero di visite tradizionali. In una recente intervista a Digital Health Italia il dottor Alberto Eugenio Tozzi, Responsabile dell’Area di ricerca malattie multifattoriali e responsabile dell’unità di medicina digitale e telemedicina dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, ha fatto notare come “oltre gli ovvi vantaggi relativi al superamento delle barriere fisiche, il potenziale della telemedicina è quello di migliorare la qualità dell’assistenza e della vita dei pazienti, e di ridurre i costi sanitari. La telemedicina, dal momento che facilita il controllo a distanza di determinati parametri, è particolarmente utile per seguire i pazienti cronici o con dispositivi impiantabili o indossabili. Ci sono ancora delle barriere importanti da abbattere per la sua piena diffusione come la mancanza di una politica di rimborso delle prestazioni e come agire nel caso di contenziosi legali per la responsabilità medica. Entrambe queste problematiche sono in discussione, ma in ogni caso le prestazioni di telemedicina richiedono semplicemente delle regole necessarie che si traducono in procedure operative standard. La telemedicina è l’esempio di come la tecnologia digitale faciliti il dialogo, il confronto tra diverse competenze e conoscenze e un facile accesso ai dati. Sono proprio questi tre elementi che saranno centrali in ogni processo d’innovazione del prossimo futuro”. In Italia si stanno percorrendo vie coraggiose: per esempio H@H (HEALTH@HOME) è un progetto che si pone l’obiettivo di creare un’assistenza al cittadino integrando tra loro più ambiti: sanitario (come il monitoraggio a distanza, il trattamento dei dati a distanza, il Fascicolo Sanitario Elettronico, la telemedicina), territoriale (servizi erogati da Amministrazioni pubbliche e/o private) e sociale (come l’assistenza domiciliare o la gestione delle emergenze). La rete si basa su un’infrastruttura aperta e accessibile in cloud computing che connette le aziende e gli enti che forniscono il servizio. La sperimentazione è prevista nelle aree di Treviso e di Genova, e permetterà di valutarne le funzionalità e di ottimizzare le prestazioni del sistema. Il lato curioso di questa innovazione è che si ritornerà a essere curati “in casa”, come si faceva agli inizi del secolo scorso: un vero e proprio “ritorno al futuro” di hollywoodiana memoria. Con una certa differenza nell’efficienza, però: nessuna fila davanti alla porta del medico, nessun viaggio stressante per trovare uno specialista per la propria patologia, nessun orario di visita prestabilito. Grazie agli smartphone e ai dispositivi medici indossabili e alla possibilità di richiedere un consulto stando comodamente in casa, saranno i pazienti a fare da guida nella propria cura, anche se i medici sono geograficamente molto lontani da loro. Inoltre, c’è la possibilità di effettuare più di un consulto e più di una visita.

LA VISIONE DI ROBERTO

La telemedicina ha origini ormai lontane, specie se si ragiona in termini di evoluzione digitale. Oggi disponiamo già di dispositivi e tecnologie che permettono un monitoring completo e a distanza di numerosi parametri vitali, anche se, a causa di costi ancora troppo alti sia di produzione sia di gestione, la loro diffusione non è ancora capillare. A oggi i dispositivi di questo tipo sono ancora troppo spesso confinati al monitoraggio di determinate patologie particolarmente gravi, o a uso e consumo di chi se li possa permettere economicamente. Ma in un prossimo futuro l’orizzonte è destinato ad allargarsi: l’abbattimento dei costi di produzione e la maggiore facilità d’implementazione permetteranno di costruire dispositivi per una più ampia gamma di patologie e la diffusione si allargherà, come successo negli ultimi anni per gli smartphone, a fasce di consumatori sempre più ampie e variegate. In un certo senso si andrà verso una democratizzazione della telemedicina e del monitoring a distanza, e le conseguenze saranno enormi: i medici condotti potranno tenere sotto controllo i propri pazienti anche nel caso questi risiedano a decine di chilometri di distanza dallo studio medico, permettendo loro d’intervenire prontamente e con grande efficacia. Inoltre, il telecontrollo a distanza permetterà ai chirurghi di operare attraverso interfacce robotiche anche da un capo all’altro di una nazione o di un continente, unendo così la precisione micrometrica di un robot alla cura e all’esperienza del grande primario chirurgo, a costi di gestione nettamente inferiori rispetto alla situazione odierna. Per non parlare di come, grazie a questo tipo di operazioni chirurgiche a distanza, crescerà la partecipazione dei medici, i quali potranno assistere in telepresenza alle fasi operatorie in un processo di apprendimento e aggiornamento senza eguali. D’altra parte il treno della formazione medica digitale è già partito, come dimostrano l’esempio di Doctor’s Life, il canale televisivo italiano dedicato esclusivamente ai medici che propone corsi di formazione accreditati presso il programma di Educazione Continua in Medicina e realizzati da Adnkronos Salute, e gli strumenti di telemedicina e telediagnostica, uniti allo sviluppo sempre più sofisticato di tecnologie robotiche che non potrà che far accelerare anche questo aspetto formativo.

TELADOC

Teladoc è la prima azienda di telemedicina degli Stati Uniti. È nata nel 2002 a Dallas per mano del dottor Byron Brooks, ex medico della NASA, e Michael Gorton, imprenditore. Il lancio di Teladoc a livello nazionale è avvenuto nel 2005 durante la Consumer Directed Health Care Conference, a Chicago, in Illinois. Nel 2007, a soli due anni dal lancio ufficiale, Teladoc aveva già raggiunto con i suoi servizi quasi un milione di persone, comprese alcune grandi aziende che avevano cominciato ad adottare, come benefit sulla salute per i propri dipendenti, i servizi forniti da Teladoc. A partire dal 2015 Teladoc è diventata l’unica società di telemedicina a essere quotata alla borsa di New York, e nel dicembre del 2016 l’American Hospital Association ha stipulato un accordo esclusivo per l’utilizzo della sua piattaforma telematica. Teladoc fornisce agli utenti registrati la possibilità di accedere a servizi di consulenza con medici certificati, 24 ore al giorno, per ogni tipo di problema “standard” (ossia non di emergenza) come allergia, influenza, congiuntivite, otite, ecc. tramite un’esclusiva tecnologia audio- video.

Figura 5.1 – L’app di Teladoc (credits: www.teladoc.com).

VITALCONNECT

VitalConnect, con sede centrale nel cuore della Silicon Valley, in California, è stata fondata nel 2011 con la visione di cambiare il paradigma della sanità creando un nuovo mondo d’informazioni basato sull’analisi predittiva dei dati. Per riuscirci ha creato un dispositivo piccolo ma molto potente, il VitalPatch, una sorta di cerotto con integrato un biosensore wireless in grado di monitorare nello stesso momento otto segni vitali critici: ritmo cardiaco (e variazioni del battito), frequenza respiratoria, temperatura corporea, pressione arteriosa, passi, inclinazione del corpo (per rilevare la perdita di equilibrio), livello di stress e fasi e qualità del sonno (ipnogramma). Il VitalPatch è particolarmente adatto agli anziani e permette di controllare a distanza pazienti con varie patologie. Può essere utilizzato, per avere un immediato report sullo stato di salute di un paziente, da ospedali, pronti soccorso e medico di fiducia. Migliaia di dati sono collezionati ogni minuto dall’algoritmo SensorFusion e, una volta incrociati, danno vita a statistiche molto accurate. I dati, criptati secondo norme HIPAA, sono trasmessi continuamente a un server cloud che può, in caso di necessità, inviare notifiche per email o attraverso i più comuni sistemi di messaggeria istantanea, avvisando medici e familiari in caso di necessità. La soluzione messa a punto da VitalConnect fornisce ai medici e al personale ospedaliero un flusso continuo di dati che gli operatori sanitari possono monitorare per salvaguardare la salute dei pazienti o per prevedere eventi prima che si verifichino. Questo tipo di analisi può aiutare a migliorare l’assistenza ai pazienti a rischio come, per esempio, quelli affetti da insufficienza cardiaca o infezioni gravi. Ma può anche aiutare a rilevare in maniera predittiva i cambiamenti nella fisiologia dei pazienti, diminuendo potenzialmente i tassi di mortalità o i giorni da trascorrere in terapia intensiva.

Figura 5.2 – Il cerotto “smart” prodotto dalla VitalConnect (credits: www.vitalconnect.com). SANO

Sano è un cerotto intelligente dalla tecnologia microinvasiva in grado di misurare il fluido interstiziale nello strato esterno della pelle calcolando in maniera continua la glicemia di un paziente e inviando in tempo reale i dati a un’app. La superficie del cerotto si presenta leggermente ruvida al tatto, al pari di una leggerissima carta vetrata: la “ruvidità” è data dai microtubuli presenti nel lato interno del cerotto che penetrando poi delicatamente nello strato epidermico permettono l’analisi dei fluidi intercellulari, dato dal quale poi è calcolato il livello di zucchero nel metabolismo. Le letture, elaborate da un sofisticato chip inserito nel cerotto, sono poi trasmesse via Bluetooth all’app e da qui sincronizzate su un server cloud. La tecnologia di “Sano” è in grado di generare, in modo assolutamente confortevole rispetto a un normale glucometro, una serie continua di dati, anche più di 100 al giorno, fornendo “in tempo reale” i valori di glicemia e aiutando così le persone a prendere decisioni più rapide e precise in ambito alimentare. Ashwin Pushpala, fondatore e amministratore delegato di Sano, ha affermato di voler espandere l’uso di questa tecnologia anche alle persone non direttamente affette da diabete. Sarà utile laddove un controllo costante del livello di zuccheri nel sangue possa essere un’informazione importante per intraprendere azioni preventive o per migliorare il proprio stile di vita alimentare, con particolare attenzione a chi sia in sovrappeso o abbia tendenza all’obesità. In tal senso lo stesso Pushpala non esclude di estendere l’uso di Sano anche alle persone che vogliano intraprendere un regime dietetico particolare, o anche al mondo del fitness. Effetto correlato alla raccolta di tutti questi big data potrebbe essere lo studio di massa sul piano fisiologico, epidemiologico e sociale, del fenomeno “diabete”, a tutto vantaggio della ricerca clinica che potrebbe avere a disposizione un’enorme mole di dati e a basso costo da poter analizzare. Figura 5.3 – Il sito della Sano (credits: www.sano.co).

OMADA HEALTH

Omada Health è un’azienda che opera nel campo della salute digitale e che si è posta l’obiettivo di aiutare, con consigli su misura, le persone afflitte da condizioni croniche come patologie cardiache o diabete. L’obiettivo è fare in modo che modifichino in positivo le loro abitudini di vita attraverso una serie di strumenti tecnologici connessi alla rete e in grado di rilevare alcuni parametri vitali. Il programma di miglioramento delle abitudini di vita messo a punto da Omada è stato realizzato grazie alla collaborazione con professionisti in scienza comportamentale, allenatori professionisti ed esperti in scienza dell’alimentazione, e ha già coinvolto, dal suo lancio, più di 120.000 partecipanti. Per esempio uno dei punti del programma di prevenzione delle patologie croniche online realizzato da Omada Health è chiamato Prevent. Il programma prende il via con la consegna a domicilio di una bilancia connessa al web e di un tracker wireless che il paziente deve portare con sé. Questi strumenti registreranno mano a mano i vari parametri vitali, di movimento, di peso e di nutrizione e invieranno i dati sia all’app Prevent (in modo tale che l’utente possa consultarli) sia a un personal health coach di Omada, che potrà elaborare, in base ai dati ricevuti costantemente, raccomandazioni e consigli per migliorare la salute e lo stile di vita dell’utente.

Figura 5.4 – L’ecosistema di Omada Health (credits: www.omadahealth.com). IL PERSONAGGIO

SEAN DUFFY CO-FONDATORE E CEO DI OMADA HEALTH

Studente brillante, capace di accumulare una laurea in neuroscienza alla Columbia University di New York nel 2006, Sean Duffy è subito approdato in Google per poi transitare in Ideo. Nel frattempo ha conseguito master in assistenza sanitaria e medicina a Harvard nel 2010. Nel 2011 ha fondato Omada Health, di cui è CEO.

Figura 5.5 – Sean Duffy (credits: www.xconomy.com).

“La medicina comportamentale è a un incredibile punto di svolta dell’innovazione, grazie alla tecnologia e al design”. Una semplice frase capace di racchiudere tutto il pensiero e l’opera di Sean Duffy. Questo geniale imprenditore è riuscito a costruirsi una formazione eclettica, spaziando dalla psicologia alla progettazione digitale, dal design alla ideazione di servizi capaci di coinvolgere gli utenti. “Quello che facciamo in Omada – ha dichiarato Duffy in una recente intervista – è creare un semplice cammino, delle regole di vita quotidiane, che le persone possano seguire con facilità. Nel frattempo noi raccogliamo i dati concernenti tutte queste persone, li mettiamo in relazione e ne deriviamo degli studi clinici che, non appena revisionati e confermati, mettiamo poi a disposizione della comunità”. “Nel XXI secolo un americano su tre rischia di morire prematuramente per una condizione che è strettamente connessa allo stile di vita, alle abitudini o alle circostanze. Si tratta di condizioni che pillole e trattamenti medici possono anche mantenere sotto controllo, ma certo non possono risolvere. La strada giusta è aiutare le persone a cambiare le proprie abitudini, migliorare la propria salute e di conseguenza ridurre al minimo i rischi di malattie croniche. In Omada facciamo questo ricorrendo alla scienza comportamentale, in modo da avere i giusti strumenti, il giusto linguaggio, la capacità motivazionale e i contenuti che possano portare le persone ad abbracciare uno stile di vita diverso”. “Studi clinici verificati testimoniano come, in media, in 12 mesi, i partecipanti ai programmi Omada vedono calare del 30% la possibilità dell’insorgenza del diabete di tipo 2, del 16% il rischio d’infarto e del 13% di malattie cardiache. Inoltre, già dopo 16 settimane, i partecipanti registrano in media una perdita di peso del 4-5% e, guardando i dati che abbiamo immagazzinato, possiamo affermare che questa riduzione di peso viene mantenuta nel tempo”. “Per un’azienda che ricorre a Omada come partner in relazione alla salute dei propri dipendenti – conclude Duffy – dalle nostre stime possiamo vedere che l’investimento necessario in questo tipo di attenzioni viene ammortizzato in 2 anni, mentre in 5 anni si arriva ad avere un guadagno netto per l’azienda. E da non dimenticare che un’azienda non deve pre- pagare Omada per seguire i propri dipendenti, ma l’azienda inizia a pagare quando le persone iniziano a vedere i risultati positivi”. CAPITOLO 6

Do it yourself COSA SAREMO IN GRADO DI FARE DA SOLI

econdo uno studio di Demoskopea e Dottori.it il 49% della S popolazione italiana usa Internet come vero e proprio oracolo della salute. Quella di farsi la diagnosi da soli con lo smartphone, senza bisogno di andare dal medico, è una tendenza che ovviamente non interessa solo il nostro Paese, ma è decisamente un trend globale. Se condotta senza criterio può rivelarsi un’abitudine molto pericolosa. Secondo uno studio realizzato dai ricercatori della Queensland University of Techonology di Brisbane, in Australia, che hanno valutato l’efficacia dei risultati forniti dai motori di ricerca in risposta alla digitazione di quesiti sanitari, solo 3 dei primi 10 risultati sono attinenti alla ricerca fatta. Il che comporta, ça va sans dire, che 7 risultati sui primi 10 ottenuti, conducono a conclusioni errate e fuorvianti per il paziente. Dal momento che una ricerca su 20, delle migliaia che sono effettuate ogni mese su Google, riguarda informazioni sanitarie, gli esperti australiani stanno lavorando per capire come migliorare l’efficacia dei motori di ricerca, e per farlo stanno sviluppando alcuni algoritmi che indirizzino gli utenti verso le pagine che, pur mantenendo la rilevanza e la correttezza delle informazioni mediche presentate, risultino più comprensibili per chi naviga. Ma quello che possiamo (e potremo) fare da soli non sarà soltanto l’auto-consulto con “dottor Google”. Recentemente il ministro della Sanità del Regno Unito, Jeremy Hunt, ha affermato che “è venuto anche per la medicina il momento di entrare nell’era dello smartphone, ponendo fine al paradosso che vede tre quarti della popolazione inglese avere un accesso a uno smartphone e al web e soltanto il 2% comunicare digitalmente con il proprio medico”. Secondo i piani del ministro, chiamando il numero 111 i pazienti inglesi potranno digitare sul telefonino i propri sintomi e ricevere consigli o terapie istantanee da una voce computerizzata. Potranno inoltre prenotare un appuntamento, leggere risultati di analisi o la propria cartella clinica, e ricevere prescrizioni di farmaci attraverso un nuovo sito centralizzato dell’Nhs (National Health Service). Questo sito conterrà anche una classifica sull’operato di ospedali e ambulatori, in seguito destinata a essere estesa anche a reparti oncologici e maternità. Esistono poi app dedicate al “do it yourself”, come per esempio Apnea App, in grado di tracciare il respiro del soggetto che dorme con un’accuratezza molto simile al polisonnografo, ovvero lo strumento predisposto a questo scopo. Grazie a questa nuova applicazione sviluppata da un gruppo di ricercatori dell’Università di Washington, gli schemi del respiro del paziente sono rilevabili e tracciabili direttamente dal letto di casa, senza dover rendere necessario per questo scopo l’utilizzo di particolari macchinari e sensori. L’app è infatti in grado di distinguere il “semplice” russare notturno da una vera e propria apnea notturna, disturbo che a lungo andare può danneggiare la salute. Come ci tiene a precisare Rajalakshmi Nandakumar, coordinatore dello studio, l’app trasforma lo smartphone in una sorta di sistema sonar attivo “simile al modo nel quale navigano i pipistrelli”. Così come i pipistrelli inviano dei segnali sonori che colpiscono un bersaglio tornando indietro e dando indicazioni utili per il loro volo, allo stesso modo l’altoparlante del telefono invia onde sonore inudibili che rimbalzano sul corpo della persona e che sono poi catturate di ritorno dal microfono del telefono, restituendo informazioni importanti. Altro esempio di “do it yourself” è il “cerotto intelligente” in grado di segnalare la presenza di un’infezione consentendo alle persone ferite d’individuare subito l’insorgere di complicanze. A realizzarlo è stato un team di ricercatori inglesi coordinato da Toby A. Jenkins, dell’Università di Bath. Gli scienziati hanno messo a punto un cerotto del diametro di 100 nanometri con delle microcapsule in grado di riconoscere le tossine rilasciate dai batteri nocivi: se queste sono presenti, le microcapsule liberano una tintura fluorescente, che modifica il colore del cerotto. Di conseguenza, è sufficiente guardare il cerotto per rilevare la presenza dell’infezione. Secondo gli autori, il dispositivo potrebbe consentire di ridurre l’impiego degli antibiotici. Infatti, grazie all’autodiagnosi dell’infezione i farmaci potrebbero essere usati solo in caso di reale necessità.

LA VISIONE DI ROBERTO

Esistono diverse tecnologie che un poco alla volta stiamo applicando ai temi della Digital Health. Una delle applicazioni più interessanti riguarda la tecnologia delle interfacce cosiddette “conversazionali”. Ogni applicazione che usiamo ha un’interfaccia più o meno standardizzata, che rende il suo uso più semplice per gli utenti. Tutti noi siamo in grado d’inviare un sms o di usare una chat. Un trend molto interessante è l’utilizzo di queste applicazioni anche in ambito salute. Messenger di Facebook, WhatsApp, Telegram o altri chatbot potrebbero essere addestrati specificamente per creare un dialogo con i pazienti in tema salute. E in effetti esistono già alcune startup impegnate nella realizzazione di questo tipo di servizi. Di nuovo, sul tema intelligenza artificiale ci sono diverse applicazioni che ci permettono di fare molte cose che non ha senso far fare al sistema sanitario, indipendentemente da come sia organizzato: vale a dire la “do it yourself diagnosis” che è un termine che preso in astratto può sembrare controverso, ma che in realtà si discosta molto dal concetto di “autodiagnosi” che viene in mente quando si interroga Google su alcuni sintomi. Molto più semplicemente “do it yourself diagnosis” significa “fare da soli tutto il possibile senza afferire e caricare il sistema inutilmente”. Per esempio in campo dermatologico esistono già un paio di applicazioni che funzionano piuttosto bene: tramite un processo di riconoscimento intelligente dell’immagine scattata con la fotocamera dello smartphone, l’app è in grado d’individuare con ottima precisione l’origine del problema dermatologico, alleggerendo del 90% il carico di lavoro dello specialista. Su questa stessa falsariga ci sono tantissime altre App che si stanno sviluppando: dall’interpretazione degli esami di laboratorio a quelle dei dati raccolti mediante strumenti di tracking.

SKINVISION

Un’azienda olandese ha sviluppato un’app, SkinVision, che grazie a una fotografia scattata con il proprio smartphone è in grado, tramite appositi algoritmi, di rilevare alcune forme di tumore della pelle. All’inizio l’applicazione era focalizzata sul rilevamento del melanoma, ma i successivi miglioramenti e affinamenti dell’algoritmo di riconoscimento permettono oggi all’app d’identificare anche altri tipi di carcinoma come il BCC (Basal Cell Carcinoma) e l’SCC (Squamous Cell Carcinoma). Nel mondo sono tantissime le persone a rischio di sviluppare il carcinoma della pelle (sono più di un miliardo ogni anno) e SkinVision può essere un’utile strumento di diagnosi, soprattutto grazie alla velocità con la quale restituisce risultati. SkinVision aiuta moltissime persone a valutare e monitorare lo stato di salute della propria pelle in tutte le zone del corpo aiutando a riconoscere i primi indicatori di rischio e facendo guadagnare tempo prezioso sulla diagnosi e sul l’eventuale cura. L’app di SkinVision consente di creare una connessione senza soluzione di continuità con il proprio dermatologo per monitorare continuamente le lesioni della pelle, costruendo così un archivio personale che può essere usato come utile database da consultare durante le visite, facilitando in tal senso il lavoro del dermatologo e migliorando la qualità della cura. La mission della startup con sede ad Amsterdam è quella di mettere alla portata di tutti una maggiore efficienza per la diagnosi precoce del tumore della pelle, cosa che è estremamente importante per selezionare le varie opzioni di trattamento: l’obiettivo di Erik de Heus, fondatore e CEO di SkinVision, è salvare nel prossimo decennio 250.000 vite. Il melanoma è un tipo di tumore della pelle che si forma nelle cellule responsabili della pigmentazione della pelle, conosciute come melanociti.

Figura 6.1 – L’app di SkinVision in azione (credits: www.skinvision.com).

Nonostante sia meno comune rispetto ad altre forme di cancro della pelle, risulta purtroppo tra i più aggressivi. Solo negli Stati Uniti il melanoma è responsabile di più di un milione di decessi ogni anno, e sono 5,4 milioni le persone interessate da altre forme di tumore della pelle. SkinVision è in grado di fornire un aiuto concreto per valutare il pericolo di una macchia irregolare, di una strana pigmentazione o di un nevo, con un’accuratezza nella diagnosi che raggiunge l’83%. Dick Uyttewaal, Business Development Manager di SkinVision, ha tenuto a precisare come “tale tecnologia non sia stata sviluppata per sostituire le visite specialistiche, ma semplicemente per tenere d’occhio la salute della nostra pelle nei periodi tra un test e l’altro, e aumentare la sensibilizzazione e la prevenzione di questa terribile malattia. Se il tumore della pelle, ovviamente diagnosticato tempestivamente, è piuttosto curabile e porta alla sopravvivenza del 91% dei pazienti entro 5 anni, il melanoma è invece molto più pericoloso: se non identificato durante le sue fasi iniziali è spesso letale, e causa infatti il 75% dei decessi legati alle neoplasie che colpiscono la cute”.

23ANDME

23andMe è un’azienda privata cofondata da Anne Wojcicki, ex moglie di Sergej Michajlovič Brin (proprio quel Brin che insieme a Larry Page creò dal nulla Google) che si occupa di genomica e biotecnologia con sede a Mountain View, in California. La sua attività di raccolta e analisi genetica basata sulla saliva, nel 2008 è stata nominata dal Time invenzione dell’anno. Grazie a questo test è possibile rivelare se una persona sia a rischio per 10 diverse malattie: il morbo di Parkinson, l’Alzheimer, la celiachia, deficit dell’alfa-1 antitripsina (malattia che aumenta il rischio di malattie polmonari e del fegato), la distonia primaria (disturbo del movimento), deficit del fattore XI (disturbo di coagulazione del sangue), la malattia di Gaucher, carenza di glucosio-6-fosfato deidrogenasi (G6PD), l’emocromatosi ereditaria (disordine legato a un sovraccarico di ferro) e la trombofilia ereditaria. L’autorizzazione dei test 23andMe è stata supportata dai dati della letteratura scientifica che hanno dimostrato un legame tra specifiche varianti genetiche e ciascuna delle dieci patologie. I test forniscono informazioni di rischio genetico, ma ovviamente non possono prendere in considerazione tutti gli altri fattori che entrano in gioco nel determinare se una persona si ammalerà di una particolare malattia. Tutti i test dell’azienda cofondata da Anne Wojcicki sono eseguiti su un campione di saliva che è stato testato per più di 500mila varianti genetiche: la banca dati dell’azienda contiene oltre un milione di profili genetici, risorsa considerata molto preziosa da numerose aziende farmaceutiche. “Ora i consumatori possono avere accesso diretto a determinate informazioni sul rischio genetico”, spiega Jeffrey Shuren, direttore del Center for Devices and Radiological Health della Fda, “ma è importante che capiscano come il rischio genetico sia solo un pezzo di un puzzle molto più grande”. Infatti, il rischio di sviluppare una specifica malattia può essere determinata da diversi fattori ambientali e dallo stile di vita tanto quanto dalla genetica. I test non devono essere usati per la diagnosi, ma per aiutare i consumatori a prendere decisioni sulle scelte di stile di vita da adottare o per discuterne con il proprio medico.

Figura 6.2 – Il kit realizzato da 23andMe (credits: www.23andme.com).

TYTOCARE

TytoCare è una startup israeliana che ha raccolto 11 milioni di dollari per lo sviluppo e la commercializzazione di un nuovo e rivoluzionario dispositivo medico: un piccolo strumento, Tyto, che permette a una persona di “ascoltare il corpo” e di ottenere, immediatamente dopo, il parere di un medico tramite una piattaforma mobile. Ciò che rende unico il dispositivo è il fatto che gli algoritmi associati a TytoApp (un’applicazione per smatphone) e le tecnologie di riconoscimento visivo, guidano gli utenti nel condurre anche esami complicati. Tyto offre una soluzione completa che permette al medico d’interagire con il paziente sia online sia offline, memorizzando i dati del paziente e utilizzandoli per migliorare l’assistenza sanitaria.

Figura 6.3 – Tyto (credits: www.tytocare.com).

Tyto è un oggetto facilmente usabile da tutti, che permette una diagnosi abbastanza completa sulla salute di una persona, molto utile nel caso dei bambini, ma non meno per gli adulti. In effetti Tyto è in grado di comportarsi come un medico di base o un pediatra, e di guidare l’utente a una visita pressoché completa. Nello specifico Tyto “analizza” le orecchie e il canale uditivo per rilevare eventuali infezioni; i polmoni attraverso la rilevazione dei suoni della respirazione; la gola, valutando lo stato dei tessuti duri e molli; il cuore, registrando suoni e ritmo per una corretta valutazione del sistema cardiovascolare; gli occhi, per valutare le condizioni di salute ed eventuali malattie legate al sistema visivo; la pelle, prendendone in considerazione consistenza e pigmentazione; e la temperatura, per stabilire la presenza o meno di un’infezione. Al termine della auto-visita, tutte le informazioni sono inviate direttamente a una piattaforma mobile e interpretate da un medico certificato che stabilisce la diagnosi e informa il paziente sull’approccio da seguire. L’apparecchio è in attesa di ricevere la certificazione della Food And Drug Administration (FDA) entro il 2017.

QUALCOMM TRICORDER X-PRIZE

Il Qualcomm Tricorder X-Prize è stato un concorso di respiro globale che ha segnato una rivoluzione nel settore della digital healthcare: lo scopo era quello di far incontrare innovazione e integrazione delle tecnologie diagnostiche al fine di sviluppare un dispositivo mobile incentrato sul paziente (assimilabile al Tricorder medico di Star Trek), in grado di diagnosticare 13 patologie mediche di comune affezione – come il diabete, l’anemia, l’ictus – e di registrare parametri vitali come la pressione arteriosa, la frequenza cardiaca e la temperatura. Le 130 squadre che hanno partecipato al concorso, per poter dire di essere riuscite nell’intento, dovevano presentare un prodotto il cui backend fosse caratterizzato da una tecnologia diagnostica sofisticata e di precisione e il cui frontend fosse il più user-friendly possibile, così da permettere a tutti di fare diagnosi affidabili sulla propria salute, ponendo così l’assistenza sanitaria nelle mani del paziente stesso. Chiaramente oltre a questi due prerequisiti fondamentali, altri aspetti da rispettare erano la sicurezza e la conformità alle normative. I prototipi presentati sono stati tantissimi: ognuno è stato sottoposto a test di sicurezza e a valutazioni di esperienza diagnostica. Finalmente a gennaio 2016, in occasione del 50° anniversario di Star Trek, è stato proclamato il vincitore. A 5 anni dal bando il concorso Qualcomm Tricorder ha premiato con 2,6 milioni di dollari un team americano di scienziati e ingegneri (Final Frontier Medical, primo classificato), e con un milione di dollari un team taiwanese (Taiwan’s Dynamical Biomakers Group, guidato dal medico associato all’università di Harvard, Chung-Kang Peng e supportato da HTC Research, secondo classificato), per aver sviluppato un dispositivo mobile in grado di analizzare svariate condizioni cliniche in maniera non invasiva e senza l’aiuto di personale qualificato. I vincitori sono i membri del team di Final Frontier Medical, startup della Pennsylvania capitanata dai fratelli Harris: Basil Harris, medico di pronto intervento e George Herris, ingegnere. Insieme hanno creato DxtER (pronunciato Dexter), un dispositivo in grado di utilizzare diversi tipi di estensioni sensoriali non invasivi per raccogliere le informazioni sullo stato di salute del paziente, e di comparare in tempo reale i dati ottenuti con le informazioni presenti in un database medico. Per effettuare una diagnosi precisa sulla base di tutti e 13 i parametri indicati, i fratelli Herris hanno dovuto sviluppare un’intelligenza artificiale piuttosto complessa, così complessa che ha finito per superare i confini della sua stessa progettazione: infatti DxtER è ora in grado di diagnosticare 34 condizioni cliniche diverse in meno di 24 ore! Ovviamente lo sviluppo di questo straordinario “tricorder” non è finito, ma lo scopo del concorso è stato raggiunto: creare un dispositivo medico veramente rivoluzionario e portatile. Il premio assegnato al team vincitore servirà per far avanzare il progetto oltre la fase di prototipo, e la Fondazione Qualcomm ha già stanziato 3,8 milioni di dollari per altri sviluppi, arrivando a concedere 2,5 milioni di dollari all’università di San Diego, in California, per avere ulteriore aiuto. Anche la fondazione Roddenberry (il creatore di Star Trek), per rendere operativo il tricorder e farlo adottare da ospedali e comunità nei paesi in via di sviluppo, concederà un finanziamento di 1.6 milioni di dollari. E a quanto pare sarà proprio un ospedale del Mozambico il primo a usare DxtER in situazioni di vita reale. Figura 6.4 – DxtER (credits: tricorder.xprize.org). IL PERSONAGGIO

E-PATIENT DAVE / DAVE DEBRONKART

Dave deBronkart, nato a Nashua, negli Stati Uniti, è conosciuto internazionalmente (e sul web) come “e-Patient Dave”. Dave deBronkart, infatti, ha avuto la meglio su un tumore ai reni che lo aveva condotto in fin di vita, e c’è riuscito anche grazie alla collaborazione sul web con altri medici e altri pazienti, fino al raggiungimento di una guarigione completa. È uno dei maggiori promotori mondiali della medicina partecipativa, nonché cofondatore della Society for Participatory Medicine.

Figura 6.5 – Dave deBronkart, meglio noto come “e-patient Dave” (credits: Roger Ramirez).

Oggi Dave deBronkart è attivo come blogger e conferenziere, e viaggia per il mondo raccontando l’impatto che possono avere internet e l’e-health nel mondo della sanità, soprattutto per quanto riguarda la libera circolazione delle informazioni sanitarie, la qualità di vita dei pazienti e l’impegno nel contenimento dei costi delle cure. “Sono convinto che l’impegno di un movimento progressista sociale possa migliorare la qualità delle cure mediche. I vantaggi della medicina partecipativa sono molteplici poiché, come ho ampiamente illustrato anche nel mio libro Let patients help!, sostenendo l’impegno e la responsabilizzazione dei pazienti si può aggiungere un importante contributo al lavoro dei medici. Da poco, sulla base della mia esperienza con la mia stessa malattia e del successivo lavoro svolto in giro per il mondo nel tentativo di cambiare il pensiero comune sulla medicina, sono stato nominato ‘professore ospite’ in medicina interna alla Mayo Clinic (un’organizzazione statunitense no-profit per la pratica e la ricerca medica). Per come la vedo io e per le evidenze della mia esperienza, sono convinto che se da una parte il medico porti con sé la sua indubbia formazione professionale e l’esperienza clinica acquisita con gli anni, i pazienti possono testimoniare in maniera altrettanto efficace la loro esperienza di vita, le loro motivazioni più intime, le loro competenze e una diversa prospettiva sulle esigenze e le priorità. Questo non vuol dire essere contrapposti al medico, né che il paziente possa sostituirlo nelle decisioni riguardo le terapie. Si tratta piuttosto di un rapporto di partenariato. Penso che la medicina, se ignora la voce degli assistiti, non possa raggiungere la sua massima espressione. Parallelamente, anche il paziente più emancipato non può negare il valore dell’esperienza clinica che possiede il medico. Un modello di assistenza nuovo e più efficiente potrebbe nascere dall’unione dalla conoscenza medica, esperienza clinica e volontà e feedback del paziente. Un primo importantissimo passo verso questa nuova concezione di assistenza sanitaria è quello di rendere direttamente disponibili ai pazienti le informazioni sanitarie delle cartelle cliniche, creando così una nuova dinamica nel modo in cui le informazioni sono consegnate, rese accessibili e usate. Le prove che abbiamo eseguito negli ultimi anni hanno dimostrato come la maggior parte dei record delle cartelle cliniche contenga errori, cosa che ovviamente può ingenerare sbagli nelle successive fasi di analisi medica. Rendendo le cartelle accessibili ai pazienti, per esempio con il sistema OpenNotes, saranno questi ultimi a chiedere ai loro medici di correggere eventuali errori nel registro, migliorando di molto la percentuale di successo delle future terapie e diagnosi”. CAPITOLO 7

Terapie digitali PUÒ UN’APP SOSTITUIRE UN MEDICINALE?

a questione potrà sembrare alquanto bizzarra: curarsi con un app L anziché con un medicinale vero e proprio. Eppure è quanto promettono di fare le cosiddette “terapie digitali”, termine per la prima volta introdotto da Sean Duffy, CEO della Omada Health, che nel 2013 lo usò per descrivere i prodotti della sua azienda per la prevenzione del diabete. Ma può un software migliorare lo stato di salute delle persone al pari di un farmaco, costare meno e non avere effetti collaterali? Le terapie digitali, anche chiamate “digiceuticals”, sono sotto la lente d’ingrandimento degli investitori che sognano cure somministrate via smartphone. Secondo la finanziaria Andreessen Horowitz, azienda di Menlo Park con un “venture capital” da 4 miliardi di dollari, le terapie digitali potranno far avanzare la medicina verso una “terza fase”, arrivando a sostituire gli attuali farmaci che hanno costi di produzione miliardari. Guardando al futuro Vijay Pande, medico e ricercatore della Standfort University, nonché socio della Andreessen Horowitz, ha ipotizzato che “il fatto che la nostra soluzione a qualunque problema di salute fosse una pillola ci sembrerà una cosa barbara e primitiva”. Si è ancora alla ricerca di una definizione precisa di cosa rappresenti una terapia digitale. Secondo Peter Hames, amministratore delegato della Big Health, azienda britannica che offre un programma online per chi soffre d’insonnia, si possono riconoscere due gruppi di terapie digitali. Un gruppo di prodotti che si comportano come integratori e coadiuvanti dei farmaci, e un secondo gruppo che sostituisce il farmaco stesso. L’azienda di Peter Hames ha prodotto sleep.io, un software che appartiene al secondo gruppo, in quanto, per gli sviluppatori, rende effettivamente inutili le pillole contro l’insonnia. I ricercatori che si muovono in questo contesto ci tengono a differenziarsi da coloro che lavorano nel campo dei più comuni “gadget del benessere”. Per distinguersi e avere una sorta di certificazione scientifica, le società di terapia digitale eseguono e pubblicano rigorosi test clinici, e talvolta, per la diffusione delle loro applicazioni, richiedono l’autorizzazione agli enti governativi. Cosa che però incontra alcuni ostacoli di tipo burocratico. Negli Stati Uniti, per esempio, app di questo tipo sono considerate a basso rischio, e quindi non necessitano di approvazione da parte dell’American Food and Drug Administration, come invece avviene per i farmaci tradizionali. Le applicazioni negli ultimi tempi si sono rivolte a patologie come il diabete, l’ipertensione e l’insonnia, ma è facile prevedere che l’accelerazione in questo campo porterà a breve a terapie digitali anche per altre forme patologiche. Tra le app più interessanti possiamo citare BlueStar, realizzata dalla Welldoc di Columbia: si tratta di un software per smartphone che consente di tenere sotto controllo le forme (non gravi) di diabete. Inserendo sullo smartphone i livelli di glicemia e una serie di altre informazioni personali, l’app è in grado di elargire consigli utili sull’alimentazione e sullo stile di vita, confrontando la propria esperienza con quella di altri utenti come in un social network, utili per tenere sotto controllo i livelli glicemici riducendo allo stretto necessario l’assunzione di farmaci. Ma esiste già chi osa più di BlueStar. È Virta, un’app prodotta dalla Virta Health di San Francisco, che promette di far “regredire” il diabete senza medicine o interventi chirurgici usando il coaching online (un “allenamento” affidato a esperti del settore) per indurre i “pazienti” a una rigorosa dieta che prevede un elevato contenuto di grassi e una bassa quantità di carboidrati. Un progetto sicuramente molto ambizioso che ha già raccolto 37 milioni di dollari di finanziamento. I primi risultati clinici sembrano promettenti: uno studio della Indiana State University ha rivelato che circa la metà delle 262 persone con diabete di tipo 2 sottoposte a questa cura per 10 settimane hanno ridotto i loro livelli di glucosio nel sangue a quelli considerati “non diabetici”. Alcune di queste aziende che lavorano in ambito digitale hanno cominciato a stringere accordi con i giganti dei farmaci. Propeller Health, per esempio, un’azienda che produce sensori, ha stipulato recentemente un accordo con la GlaxoSmithKline insieme alla quale ha definito una piattaforma di “terapia digitale guidata”. Si tratta della combinazione di farmaci contro l’asma (prodotti da Glaxo) con i sensori (realizzati da Propeller) che i pazienti attaccano ai loro inalatori per monitorare quando siano usati. Grazie a questo sistema, i pazienti che ricevono un “feedback” dall’applicazione di Propeller sono spinti a non abusare del farmaco facendone un uso “calibrato”. Un gruppo sempre più numeroso di medici asserisce che la tecnologia, a partire dai corsi web fino alle app per smartphone, sia diventata un supporto davvero valido per colmare tutte le esigenze psicologiche inespresse. Le terapie digitali rappresentano una nuova generazione di assistenza sanitaria che usa tecnologie innovative scientificamente riconosciute per migliorare il trattamento e la gestione della malattia. L’ascesa dell’industria della terapia digitale è evidenziata dal fatto che centinaia di aziende stiano già lavorando in questo ambito, e un numero sempre crescente di soluzioni digitali inizino a produrre risultati clinici rilevanti, alla stregua delle pratiche cliniche tradizionali.

LA VISIONE DI ROBERTO

Esiste attorno a noi una grandissima quantità di piattaforme che memorizzano i nostri dati che hanno un valore e un’applicabilità in ambito salute. È come se ognuno di noi avesse una serie di proiezioni delle proprie abitudini e dei propri comportamenti che visti nel loro complesso vadano a costituire una sfera informativa del nostro stato di salute, o addirittura della nostra condizione clinica. Nel momento in cui possiamo disporre di tutte queste informazioni, possiamo anche decidere d’integrarle, di autorizzare altri sistemi informativi perché le elaborino e di ottenere in cambio informazioni utili per tutta una serie di processi. Al momento i dati sono molto spesso destrutturati, ibridi, provenienti da piattaforme diverse, non facilmente incrociabili tra loro: il grande sviluppo delle applicazioni d’intelligenza artificiale su questo tipo di dati è molto importante perché permette di estrapolare informazioni che altrimenti non si potrebbero elaborare con algoritmiche più convenzionali. Possiamo vedere questo periodo d’intensa trasformazione come un’“alba della salute digitale” o del continuo della salute digitale: in futuro potremmo avere su noi stessi una grande quantità di sensori che passivamente registrano informazioni. Oggi esistono app per il controllo delle abitudini alimentari nelle quali si deve caricare a mano tutto quello che si mangia nel corso della giornata: anche per il più incallito dei “data enter” questa metodologia alla lunga non è sostenibile. Sarebbe molto più interessante, invece, se il piatto che si sta usando capisse da solo che cosa si stia mangiando e in quali quantità, e scaricasse autonomamente e automaticamente tutto il calories intake in una di queste piattaforme. Immaginiamo un mondo dominato da sensori che collezionano queste informazioni, le consolidano in sistemi d’integrazione, per esempio l’health kit di Apple, o altri tipi di piattaforme, analizzano i dati e restituiscono dei feedback: “alzati e fa’ movimento”, oppure “mangia di più” o “mangia di meno” e ovviamente elementi anche più sofisticate. Amicomed, una startup italo-svizzera adesso con base negli Stati Uniti, è È una di queste piattaforme. È dedicata a chi abbia problemi con la pressione arteriosa. I valori di pressione di un paziente sono comunicati all’app che, mediante un sofisticato algoritmo, individua qual sia il profilo pressorio della persona. Successivamente l’app stila un programma quotidiano di dieta per 90 giorni, con consigli sull’attività fisica e con pillole educazionali. Uno studio condotto dall’American College of Cardiology e dall’American Hypertension Society ha evidenziato come dopo 90 giorni d’uso dell’app, la pressione arteriosa si abbassi, in media, di 5 mm di mercurio, un dato non trascurabile se si considera che non c’è stato alcun intervento di tipo farmacologico. Ovviamente questo non significa che si può usare Amicomed al posto della pillola per la pressione, ma si può utilizzare quest’app per non incorrere (o semplicemente ritardare nel tempo) un certo problema, o magari per abbinare la dieta a una terapia farmacologica a dosaggi più bassi o che preveda un solo tipo di farmaco, o anche una loro combinazione. Ci sono tantissime altre applicazioni, usate da milioni di utenti, che sono focalizzate per esempio sul diabete. È un filone, quello della behavioral modification, sicuramente molto promettente, soprattutto in quelle patologie che sono influenzate dai comportamenti. Ce ne sono altre in arrivo, interventi software driven che hanno un impatto clinico misurabile e validato scientificamente. L’idea è quella di poter compiere delle azioni con un metodo basato su questi algoritmi, o anche in maniera classica o usando entrambi i metodi.

VOLUNTIS

Voluntis, società francese con sede a Parigi, è attiva nello sviluppo di software terapeutico di supporto per medici e pazienti. Una delle soluzioni di terapia digitale da lei sviluppate riguarda i pazienti affetti da diabete: si tratta di un software in grado di supportarli in tutto il percorso di terapia insulinica. Insulia, questo il nome del prodotto digitale, è una soluzione per le persone con diabete di tipo 2 in trattamento con insulina basale a lunga durata d’azione. Il software fornisce ai pazienti raccomandazioni sulla dose d’insulina e messaggi di coaching educativo basati sui valori di glucosio nel sangue e altri dati relativi al diabete. Il funzionamento dell’applicativo è piuttosto semplice: un operatore sanitario prescrive Insulia usando il portale web dedicato e stabilisce le regole del piano di trattamento che regoleranno il dosaggio d’insulina secondo le esigenze specifiche della persona. Il paziente riceve quindi un codice di attivazione per rendere operativa la propria app personalizzata. Una volta installata e configurata, l’app registra le letture glicemiche del paziente insieme a una serie di altri parametri che sono costantemente aggiornati dagli algoritmi clinici integrati. Come conseguenza della continua elaborazione, i dati sono condivisi automaticamente con il team di assistenza sanitaria, che può così, grazie a notifiche personalizzate, monitorare da remoto i progressi del paziente, l’app è in grado di raccomandare in tempo reale la giusta quantità d’insulina che il paziente deve assumere. Oltre a Insulia, Voluntis ha sviluppato analoghe soluzioni digitali per il trattamento delle malattie respiratorie, del cancro e dell’emofilia.

Figura 7.1 – Insulia (credits: insulia.com).

AKILI Akili Interactive, azienda statunitense del settore delle terapie digitali, è pioniera nello sviluppo di trattamenti digitali con finalità terapeutica erogati non attraverso una pillola, ma tramite un’esperienza videoludica di alta qualità. Grazie alla continua ricerca sul campo, alla collaborazione con neuroscienziati cognitivi di fama mondiale, e con esperti designer d’intrattenimento e tecnologia, Akili ha costruito una vasta gamma di programmi per trattare il deficit cognitivo e migliorare i sintomi associati alle condizioni mediche in neurologia e psichiatria. La medicina digitale realizzata da Akili è proposta attraverso l’esperienza con un videogioco d’azione, creativo e coinvolgente. Si chiama Project Evo ed è in grado di diagnosticare problemi neurodegenerativi.

Figura 7.2 – Il gioco Project Evo (credits: www.akiliinteractive.com).

Project Evo è stato realizzato anche grazie all’aiuto di Adam Gazzaley, neuroscienziato dell’Università di San Francisco e funziona in modo semplice e geniale al tempo stesso. Muovendo il dispositivo (uno smartphone o un tablet), e sfruttando l’accelerometro di cui dispongono tutti i dispositivi di ultima generazione, il paziente muove il protagonista del gioco, un alieno, attraverso vari scenari aiutandolo a percorrere un fiume; contemporaneamente, quando compaiono pesci o uccelli, deve premere sullo schermo del tablet. Questo esercizio combinato richiede la cosiddetta “elaborazione d’interferenza”, una delle funzioni che secondo gli studi di neuroscienze è compromessa in caso di problemi neurologici. Project Evo è già stato usato per la cura di bambini affetti da ADHD (disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività): uno dei primi test è stato eseguito su un gruppo di 57 bambini con disturbo dell’elaborazione sensoriale (la metà dei quali aveva anche sintomi da ADHD) che hanno ricevuto un trattamento domiciliare con il videogame Evo per un periodo di quattro settimane. Successivamente i bambini sono stati sottoposti a valutazioni cognitive, comportamentali e neurologiche post-trattamento, e i risultati hanno dimostrato un miglioramento delle loro condizioni con progressi statisticamente significativi nelle normali funzioni nel mondo reale. Eddie Martucci, amministratore delegato di Akili, si è detto entusiasta e incoraggiato nel vedere non solo l’entità e la durata di quello che sembra essere un significativo effetto del trattamento, ma anche la continua convalida del meccanismo neurologico mirato della loro tecnologia. Incoraggiata da questi risultati, Akili ha cominciato a esplorare studi simili per persone affette da autismo, depressione, morbo di Alzheimer e trauma cranico. In uno studio condotto con Pfizer, per esempio, l’uso della tecnologia di Akili ha dimostrato di poter rilevare i biomarker della malattia di Alzheimer.

AMICOMED

Amicomed è una startup italiana con sede in Svizzera che ha messo a punto un servizio digitale per la gestione della pressione arteriosa senza ricorrere a farmaci, ma agendo sullo stile di vita, un’app per smartphone pensata per i soggetti ipertesi basata sulle esigenze degli utenti. È stata progettata per migliorare i valori di pressione arteriosa favorendo miglioramenti dello stile alimentare e di movimento con l’aiuto di trigger motivazionali e un’interfaccia gradevole e intuitiva. Il programma proposto da Amicomed ha una durata di 3 mesi e consente alle persone di controllare l’ipertensione fornendo consigli professionali su quali cibi mangiare, quale tipo di attività fisica fare, come e quando misurare la pressione sanguigna. Si tratta in poche parole di un innovativo programma di coaching, curato da medici, nutrizionisti ed esperti di scienze motorie. Oltre ovviamente a tecnici informatici per lo sviluppo di algoritmi complessi che permettano l’erogazione del servizio. Amicomed si appoggia a Quasarmed, società italiana che ha sviluppato ed è proprietaria dell’algoritmo Pascal, il primo dedicato all’interpretazione della pressione arteriosa che è stato anche certificato come dispositivo medico. Amicomed non intende sostituirsi al medico, ma vuole anzi essere un aiuto e un supporto che permetta all’operatore sanitario di analizzare al meglio la condizione del paziente per raggiungere una diagnosi più precisa e calibrare così in modo ottimale un’eventuale terapia. Amicomed è utile anche per le persone senza una particolare patologia, perché può aiutare chi sia sano a valutare la propria situazione in modo semplice e affidabile prevenendo l’instaurarsi di fenomeni ipertensivi. Nel corso del 2016 gli ottimi risultati ottenuti dall’app sono stati studiati da numerose università internazionali e ritenuti scientificamente rilevanti, tanto da venire anche presentati presso i principali congressi medici come l’American College of Cardiology e l’American Society of Hypertension. Grazie ai risultati positivi ottenuti con i primi test in Italia, Amicomed è stata l’unica azienda europea selezionata da Launchpad Digital Health – Ground Zero (LDH-GZ), il primo e finora unico acceleratore d’impresa che ha come obiettivo l’inserimento di nuovi imprenditori nel suo innovativo digital health hub, uno spazio digitale dove s’intrecciano risorse per l’innovazione e idee per sviluppare nuove soluzioni e nuova imprenditorialità nel campo della salute. Figura 7.3 – L’app di Amicomed in azione (credits: www.amicomed.com).

GINGER.IO

Ginger.io è una startup nata nei MIT Media Lab nel 2011 da un team che studiava come applicare algoritmi informatici ai dati di telefonia mobile per conoscere la salute degli individui e d’intere popolazioni. Ha sviluppato un’applicazione (DailyData) che raccoglie informazioni dai telefoni cellulari per avvertire i pazienti (e se occorre il loro medico curante) quando questi siano colpiti da comportamento maniaco-depressivo, o nel caso si verifichi un generale peggioramento di una malattia già debilitante. L’applicazione realizzata da Ginger.io analizza le informazioni sulla posizione dell’utente, nonché la frequenza delle sue chiamate telefoniche e dei messaggi di testo inviati mediante sms o un programma di messaggistica come Whatsapp, ed è in grado di stabilire se la persona monitorata abbia un problema di salute. “I cambiamenti nell’uso di un farmaco o gli sbalzi d’umore sono legati a modelli di comunicazione e di movimento”, spiega Karan Singh – uno dei fondatori dell’azienda. Per esempio quando le persone sono depresse tendono a chiudersi in se stesse e a chiamare solo poche persone. Oppure, nel caso di pazienti con disturbo bipolare, una raffica di sms o telefonate potrebbe far suonare un campanello d’allarme sull’insorgere di episodi maniacali. DailyData, a differenza di altre applicazioni dedicate al monitoraggio della salute o dell’umore di un paziente che si basano su informazioni fornite dal paziente stesso, è costantemente attiva ed è in grado di analizzare uno schema di comportamento rilevando qualche segnale quando qualcosa non va. Anmol Madan, cofondatore e CEO di Ginger.io, sostiene di aver trovato un modo nuovo ed economico per automatizzare il monitoraggio di persone con patologie psicologiche o addirittura con il diabete. Generalmente chi è affetto da questo tipo di patologia risiede a casa durante la cura e l’assunzione di farmaci: l’applicazione di Ginger.io è in grado di capire quando il loro comportamento cambia in un modo che i medici definiscono “non conforme” con un determinato farmaco o un tipo di trattamento, e avverte lo staff medico che può, se necessario, aiutarli.

Figura 7.4 – Ginger.io (credits: ginger.io). IL PERSONAGGIO

PIERRE LEURENT FONDATORE E CEO DI VOLUNTIS

Nel 1998 si laurea in informatica all’École Centrale de Paris, ma si dirige subito Oltreoceano dove in meno di tre anni accumula esperienza prima come esperto di software e subito dopo come progettista di servizi digitali. Nel 2001 fonda Voluntis, che da allora guida come CEO. Nel 2017 è un membro fondatore del board della Digital Therapeutics Alliance.

Figura 7.5 – Pierre Leurent (credits: voluntis.com). “Le terapie digitali rappresentano l’avanguardia nella nuova era dell’healthcare. Siamo entusiasti, grazie alla collaborazione con operatori sanitari, associazioni pazienti, provider, compagnie assicurative sanitarie, aziende farmaceutiche e aziende tecnologiche, di rappresentare le terapie digitali in questo ambiente in così rapida evoluzione. È anche per questo che Voluntis, insieme ad altri, ha dato vita alla Digital Therapeutics Alliance (www.dtxalliance.org). I cambiamenti nell’assistenza sanitaria sono spesso guidati da innovazioni tecnologiche. Negli ultimi anni abbiamo visto dispositivi connessi, cartelle cliniche elettroniche (EMR) e piattaforme digitali che introducono nel sistema una valanga di dati. Ciò ha fornito ai pazienti, ai fornitori e ai pagatori una grande quantità d’informazioni; tuttavia, quando tali dati non sono integrati nella consegna diretta dell’assistenza ai pazienti, perdiamo il valore del loro scopo iniziale. Nel nostro caso, per migliorare e a volte sostituire le attuali pratiche e trattamenti medici, la terapia digitale rappresenta una nuova generazione di soluzioni capaci di porre il paziente al centro dell’attenzione, utilizzando tecnologie innovative di gestione della malattia clinicamente validate e di trattamento diretto. Questi strumenti, per trasformare la massiccia ondata di dati generati dalla tecnologia nel trattamento clinico, si basano su sofisticati algoritmi. Quello che prima erano dati non gestiti, sono ora in grado di fornire informazioni utili, permettendo alle persone di ottenere le risposte giuste al momento giusto. Queste tecnologie miglioreranno la fornitura immediata di cure dirette, andandosi ad aggiungere ai quadri e agli standard che guidano la tradizionale pratica clinica. Le condizioni croniche costituiscono per i pazienti e i sistemi sanitari in tutto il mondo un incredibile onere. Abbiamo visto come i trattamenti di malattia cronica puramente basati sui farmaci non abbiano prodotto sufficienti risultati nel mondo reale da poter invertire l’incidenza crescente e la gravità di queste condizioni. Le terapie digitali, usate come trattamenti complementari o autonomi, sono di grande beneficio per i pazienti, i fornitori e per coloro che gestiscono condizioni croniche. Sono le preferite dai pazienti e si adattano alle esigenze cliniche, agli obiettivi e agli stili di vita delle persone. Tutto questo può portare a miglioramenti nella sicurezza, nell’aderenza e nell’efficacia nel mondo reale dei trattamenti per le malattie croniche. Nel caso di Voluntis le terapie digitali sono create come un ‘compagno di farmaci’. La nostra visione è che ai ‘compagni digitali’ sia prescritto un trattamento per fornire le linee guida che supportino l’aderenza o il dosaggio ottimale e, in definitiva, per migliorare il valore reale del trattamento. Ogni giorno lavoriamo duramente per avere un impatto positivo per i pazienti e gli operatori, con lo specifico obiettivo oggi di aiutare chi soffre di diabete a gestire nel modo migliore la loro terapia insulinica e i pazienti oncologici a gestire i sintomi associati ai loro trattamenti. Riteniamo che queste nuove soluzioni, oltre al beneficio clinico che apportano ai pazienti e agli operatori sanitari, contribuiranno a far progredire l’assistenza basata sul valore, è ciò perché ora abbiamo metodi migliori per acquisire in tempo reale dati a livello di paziente. Questi dati possono essere sfruttati per valutare le risposte dei pazienti al loro trattamento in modo rapido ed efficace”. CAPITOLO 8

Servizi PIATTAFORME PER PRENOTAZIONI; SISTEMI DI DISTRIBUZIONE RISULTATI; LA CONDIVISIONE DELLE ANALISI

ono più di 250.000 le app per la salute che circolano nei vari store S digitali, per un giro d’affari stimato intorno ai 3,5 milioni di dollari. In Italia, prendendo in considerazione solo quelle certificate, ce ne sono 15.000. Le declinazioni sono molte: da quelle che tengono traccia delle abitudini alimentari, a quelle in grado di funzionare come “allarme intelligente” per l’assunzione di farmaci; da quelle utili per monitorare lo stile di vita a quelle realizzate per permettere prenotazioni di esami o visite specialistiche, fino a quelle più prettamente legate al mondo del welness e a supporto delle attività sportive più disparate. Un esempio di app di servizio è sicuramente Pharmawizard, un software realizzato per migliorare la relazione tra persone e farmaci in commercio: attraverso la piattaforma di Pharmawizard (disponibile sia come portale web sia sotto forma di app) è possibile evitare l’acquisto inconsapevole di doppioni o di farmaci simili utili per la stessa patologia. Con l’app si possono ricercare le alternative equivalenti, oppure mettere a confronto i farmaci con lo stesso principio attivo o della stessa classe terapeutica e relativi prezzi. Le informazioni dei cosiddetti “bugiardini” sono estratte dalla Banca Dati del Farmaco, e rese fruibili grazie a tecniche d’interpretazione del linguaggio umano in modo veloce e intuitivo. Il fenomeno digitale assume proporzioni anche più grandi se si considerano i servizi digitali e gli strumenti d’interazione delle strutture sanitarie e dei singoli medici con i propri pazienti, per esempio attraverso i social network come Facebook o Twitter, su campagne di prevenzione, educazione sanitaria e promozione di un sano stile di vita. Questo ricorso al digitale da parte dei cittadini è indice di quali siano le loro aspettative verso la sanità del futuro: che evolva cioè verso sistemi sempre più facili, più efficienti, più accessibili e più vicini alla persona. L’indagine del 2017 dell’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità del Politecnico di Milano in collaborazione con Doxapharma, svolta su un campione di 1.000 cittadini statisticamente rappresentativo della popolazione italiana, ha evidenziato come nel nostro Paese si assista a un costante incremento nei tassi di utilizzo di servizi digitali, con il 32% dei cittadini che ha usufruito del servizio di accesso alle informazioni sulle strutture sanitarie (reparti, orari, medici, ecc.), contro il 26% della stessa ricerca svolta nel 2016. L’indagine mostra anche un buon livello di utilizzo dei servizi di prenotazione online di esami e di visite (22% dei cittadini) e di accesso e di consultazione online dei documenti clinici (18%, contro il 15% del 2016), servizi che oggi sono messi a disposizione dalle strutture sanitarie o dalle Regioni all’interno delle piattaforme regionali e del FSE (Fascicolo Sanitario Elettronico). Quello del Fascicolo Sanitario Elettronico è (o meglio dire sarebbe, visto che la sua attuazione a livello nazionale ancora non è completa, con alcune regioni come la Liguria o la Toscana che sono molto più avanti di altre) una vera svolta per la salute dei cittadini. Il Fascicolo Sanitario Elettronico rappresenta un reale cambiamento nella gestione delle informazioni cliniche del cittadino italiano: tutta la storia sanitaria di un paziente sarà presente in una cartella digitale protetta, sempre accessibile da pc, tablet e smartphone, solo su esplicito consenso del soggetto e nel pieno rispetto della privacy. Nella sperimentazione portata avanti dalla regione Liguria saranno disponibili e consultabili prescrizioni di visite ed esami specialistici, prescrizioni di farmaci, referti di laboratorio analisi, referti di radiologia e tracciati dell’elettrocardiogramma prodotti in azienda o presso le altre strutture del Servizio Sanitario regionale. Il progetto prevede altri sviluppi e si arricchirà di nuovi contenuti. Diventerà un vero e proprio portale dei servizi al cittadino che può così consultare la propria storia clinica, prenotare esami diagnostici o visite specialistiche, pagare il ticket, prendere visione degli appuntamenti e modificarli in autonomia, verificare le vaccinazioni effettuate e molto altro ancora. Ma ci sono altri campi dove la digitalizzazione e il ricorso all’informatica può migliorare i servizi in ambito salute: i ricercatori dell’Upv/Ehu’s Computational research group di San Sebastian, in Spagna e dell’Università del Cile di Santiago hanno sviluppato un nuovo sistema informatico capace di migliorare la gestione delle emergenze sanitarie, un metodo che può aiutare a determinare il livello di gravità delle condizioni dei pazienti. L’equipe ha analizzato migliaia di dati relativi ai valori fisiologici dei pazienti ricoverati presso due ospedali di Santiago del Cile, e ha poi elaborato un sistema di algoritmi in grado di capire la serietà delle condizioni dei malati. Grazie a questo strumento è stato possibile individuare subito i casi più gravi migliorando sia il trattamento dei pazienti sia la gestione delle risorse dei servizi sanitari. Finora il sistema sviluppato dagli scienziati è stato in grado d’identificare la gravità delle condizioni dei pazienti con una precisione del 60%, risultato che potrà migliorare ulteriormente in futuro con il perfezionamento dell’algoritmo.

LA VISIONE DI ROBERTO

Pensiamo per un istante alle liste d’attesa per le prenotazioni delle prestazioni mediche, siano esse di tipo specialistico o diagnostico. Si dovrebbe prendere esempio dalle compagnie di volo low-cost, che sono la quintessenza dell’organizzazione dell’occupazione degli spazi. E invece quello che purtroppo troppo spesso accade è che siamo ancora sommersi dalle liste di attesa: bisogna chiamare più strutture per sapere se ci sia posto, subire lunghe ed estenuanti attese al telefono, solo in determinati giorni e in determinati orari, e sperare di avere fortuna. La tecnologia, già oggi, ci potrebbe venire incontro. Infatti, è sufficiente creare un “bot” unico, al quale comunicare il tipo di problema (ho bisogno di una visita oculistica; di una tac, di una risonanza; di un ortopedico…) e dal quale ricevere risposte veloci e geolocalizzate, in ogni ora del giorno e della notte, senza troppe lungaggini di tipo burocratico e freni tecnologici. È un gap enorme da colmare, ma il passo in avanti, quando sarà fatto, sarà gigantesco. Oppure pensiamo ad altre aree dove sia possibile intervenire per migliorare i processi di relazione tra medico e paziente. Per esempio in Italia esiste Paginemediche, un servizio che permette al pubblico – quindi a tutti noi – di avere un proprio profilo, di sincronizzare dati da dispositivi wearable come il Fitbit o altri tipi di sensori e, in base a quei dati, fruire contenuti o usare applicazioni e servizi personalizzati. Ma è possibile anche interagire con i medici registrati e mostrare loro i dati per ottenere consigli e indicazioni su misura. L’obiettivo di Paginemediche è quello di creare un ambiente che permetta alle due categorie – medico e paziente – di lavorare su un’unica piattaforma sicura, condivisa, data driven e dove si possa davvero interagire e creare delle relazioni. È una cosa molto interessante perché in futuro probabilmente avremo una sola piattaforma grazie alla quale poter gestire una serie di permessi e servizi centrati su noi stessi. APPLE HEALTH

Il lancio di Apple Health (in Italia poi ribattezzata più semplicemente “Salute”) è avvenuto in concomitanza con la versione 8 del sistema operativo di Cupertino, nel 2014. Lo scopo iniziale dell’app era quello di raccogliere, con il consenso dell’utente, una serie d’informazioni sanitarie all’interno di un unico “contenitore”, una sorta di “cartella clinica” dell’utente, utilizzando sia le caratteristiche integrate nei vari dispositivi della Mela, sia i dati che provenivano dai vari “tracker” che cominciavano ad avere una distribuzione notevole sul mercato consumer. Nel corso degli anni Apple Health si è arricchito di nuove funzionalità e oggi l’obiettivo del medical technology team di Apple è trasformare l’app da semplice strumento di raccolta dati a strumento di diagnosi: lo scoglio più grande da superare è creare uno standard comune di esposizione dei dati raccolti in modo che questi possano essere letti da database differenti. Se potessero essere interpretati da strumenti di elaborazione dati di diverse strutture sanitarie, sarebbe facilitato il lavoro dei medici permettendo loro di ricavare informazioni fondamentali partendo da una mole di dati enorme. Figura 8.1 – Apple Health (credits: www.apple.com).

Per dirla con le parole di Tim Cook, CEO di Apple, “La salute è una questione di grande importanza in tutto il mondo e pensiamo sia giunta l’ora di semplificarne alcuni aspetti e proporre nuovi punti di vista”. Senza dimenticare che oltre a questo lodevole aspetto, l’operazione ha grande valore anche dal punto di vista del ritorno economico. Per raggiungere lo scopo prefissato all’inizio del 2017, Apple ha acquistato Gliimpse, una startup specializzata nella creazione di strumenti che permettono di gestire e condividere i propri dati medici personali. Qualche settimana dopo l’acquisizione è stato proprio Mohan Randhava, senior engineer responsabile di Apple Health (nonché ex ingegnere di Gliimpse) a scrivere, sul proprio profilo LinkedIn, di essere “al lavoro per costruire una piattaforma, una serie di API (Application Program Interfaces) e un prodotto semplice che consenta di ottenere ciò che riteniamo sia una dirompente applicazione nel campo dell’assistenza sanitaria”. Apple, con l’ultima versione del suo sistema operativo, iOS 11, ha infatti reso disponibile ResearchKit, una piattaforma open source per sviluppare app che rendano molto più facile condurre studi scientifici e trovare pazienti disposti a partecipare. L’effetto è stato, come preconizzava Randhava, dirompente. Come si legge sulla pagina dedicata del sito Apple (https://www.apple.com/it/researchkit/): “ResearchKit dal suo lancio ha permesso di raccogliere una quantità incredibile di dati, e di arrivare a conclusioni altrettanto straordinarie […] Le app basate su ResearchKit, infatti, permettono di reclutare candidati e raccogliere dati in quantità fino a ieri impensabili. Inoltre, le informazioni possono essere raccolte in modo più regolare, a cadenza giornaliera o persino oraria, mentre i pazienti svolgono le loro normali attività. […] Con ResearchKit, chi decide di partecipare a uno studio può farlo facilmente e ovunque si trovi, usando l’iPhone che ha con sé ogni giorno. Non è più necessario andare in ospedale o in una struttura medica per sottoporsi a test o compilare questionari: sono i sofisticati sensori dell’iPhone a registrare le attività rilevanti per lo studio e a raccogliere dati incredibilmente accurati”. Come è facilmente intuibile Apple sta trasformando HealthKit in uno strumento utile per realizzare diagnosi e semplice da consultare non solo per gli utenti, ma anche per medici e ospedali.

DOCTOLIB E ZOCDOC

Il ricorso a “dottor Google” quando si presentano i primi sintomi di un malanno è ben noto e ne abbiamo già diffusamente parlato in un capitolo del libro. Ma l’utente non cerca solo soluzioni immediate al proprio malessere o informazioni che ne possano spiegare la causa (giuste o sbagliate che siano le sue interpretazioni). Spesso, se necessario, cerca anche uno specialista al quale rivolgersi per un consulto o una visita. Da qualche anno si stanno imponendo più o meno in tutto il mondo soluzioni tecnologiche e digitali che permettono la prenotazione di visite ed esami specialistici. La francese Doctolib è una di queste. Nata nel 2013, ha subito una rapida accelerazione prima in patria e successivamente in alcuni paesi della Comunità Europea. Ora è pronta ad allargarsi in molti altri Paesi del vecchio continente. Figura 8.2 – Doctolib, (credits: www.doctolib.fr).

Attualmente sono più di 5 milioni le prenotazioni mensili che passano attraverso Doctolib, un numero ragguardevole che ha conseguenze benefiche sia su pazienti e medici sia sull’intero sistema sanitario nazionale, che grazie a Doctolib riesce a indirizzare i pazienti in maniera molto più efficiente rispetto al passato. Il business di Doctolib è potenzialmente enorme: ogni anno in Europa si contano circa 8 miliardi di appuntamenti, e tanti medici sarebbero disposti a pagare pur di perdere meno tempo a gestire i propri calendari. Al momento Doctolib conta 200 dipendenti, ma da Parigi prevedono di raggiungere i 500 in meno di tre anni. Una parte del team lavorerà sul prodotto, sul marketing e per pianificare la crescita. Un’altra parte significativa della squadra lavorerà invece sul campo, convincendo i medici a scegliere Doctolib. Analogamente a Doctolib, Zocdoc è un servizio di pianificazione delle cure mediche online che offre agli utenti finali una funzione di ricerca gratuita di assistenza medica integrando le informazioni sulle pratiche sanitarie e gli orari dei medici. Figura 8.3 – Zocdoc (credits: www.doctolib.fr).

Zocdoc ha sede a New York City, con uffici a Scottsdale, Arizona e Maharashtra, in India. Il servizio è stato lanciato durante la conferenza TechCrunch40 nel 2007, inizialmente solo per la zona di Manhattan. Ma da allora il servizio è cresciuto talmente tanto da riuscire a coprire il 40% della popolazione degli Stati Uniti in oltre 2.000 città ed è usato ogni mese da più di 5 milioni di persone.

PAGINEMEDICHE

Paginemediche (www.paginemediche.it) è la piattaforma italiana di digital health creata per aiutare le persone a gestire i propri percorsi di cura, a migliorare la propria salute e a vivere così una vita più felice. Nasce nel 2001 come portale web sulla salute e la medicina, diventando ben presto leader di mercato e accrescendo in pochissimi anni la sua notorietà. Nel 2016 si rinnova integrando in un’unica soluzione contenuti e servizi a elevato valore aggiunto per i pazienti/consumatori e per i professionisti della salute. Paginemediche mette a disposizione degli utenti percorsi di navigazione, informazione e approfondimento basati sui propri interessi, abitudini e stili di vita, ma soprattutto favorisce la relazione diretta con i medici e al tempo stesso permette di avere un accesso diretto a servizi digitali che supportano le terapie, prevengono le cure e migliorano la salute. Su paginemediche l’utente, per suggerire al paziente consigli da seguire e approfondimenti di suo interesse, ha a disposizione un’area riservata con contenuti e servizi personalizzati sulla base dei suoi parametri biometrici e delle sue preferenze. Il medico può accedere a svariati servizi di supporto, che includono la consultazione di centinaia di video tematici e di approfondimento tradotti e sottotitolati, in collaborazione con Videum, in oltre sessanta lingue (oltre l’italiano). Paginemediche mette a disposizione anche una consulenza online con esperti di settore che possono rispondere ai quesiti degli utenti, e i professionisti della salute hanno la possibilità di comunicare direttamente con i pazienti attraverso servizi dedicati e di accedere a un’area di aggiornamento professionale riservata. Paginemediche rappresenta, quindi, un vero e proprio “hub” della salute digitale, in grado di far incontrare medici e pazienti e di fornire soluzioni semplici ma rigorose ai molti utenti che vi si rivolgono. Figura 8.4 – L’homepage di Paginemediche (www.paginemediche.it).

COHEALO

Cohealo è un’azienda tecnologica americana che ha elaborato un efficace sistema per mettere in contatto gli ospedali sparsi sul territorio degli Stati Uniti in modo che le strutture che abbiano bisogno di una determinata attrezzatura medico-diagnostica possano richiederla (in affitto) ad altre unità sanitarie che in quel momento non la usino. L’obiettivo di Cohealo è, quindi, quello di ottimizzare l’uso di apparecchiature e infrastrutture tecnologiche, spesso molto costose, tra le varie strutture ospedaliere utilizzando, in un campo evidentemente differente, la stessa idea che Airbnb ha avuto per facilitare l’affitto a turisti di stanze e case che i privati non intendono usare per un dato periodo dell’anno. Figura 8.5 – Cohealo (credits: cohealo.com)

La creazione di Cohealo si deve a Mark Slaughter, attuale amministratore delegato dell’azienda, ex venditore di attrezzature elettroniche per sale operatorie. Grazie alla sua professione di venditore, Slaughter già nel 2010 era a conoscenza di alcune pieghe nascoste del sistema sanitario americano, ma la vera intuizione che gli permise di “inventare” Cohealo la ebbe studiando a fondo i dati numerici. Slaughter si accorse di un fatto significativo: nel corso di un anno in molte strutture ospedaliere le apparecchiature restavano inutilizzate per un buon 75% del tempo. Bingo! L’idea di Slaughter fu quella di costruire un sistema centralizzato d’informazioni sugli strumenti usati nelle aziende sanitarie in modo da permettere alle varie direzioni di monitorare i tassi di utilizzo dei dispositivi per poterli prontamente spostare in funzione delle varie necessità. In alternativa, permette di mappare le cliniche in base alla specializzazione delle macchine diagnostiche e mediche, in modo da poter efficacemente indirizzare verso queste strutture i pazienti che necessitano di determinate cure, aumentando in questo modo i tassi di utilizzo dei dispositivi. Il ricorso a Cohealo, riducendo la necessità da parte delle strutture sanitarie di acquistare macchine che non siano realmente necessarie, porta evidenti vantaggi, primo tra tutti quello economico. Si è facili profeti se s’ipotizza come in un prossimo futuro, per ottimizzare risorse e ridurre i costi, piattaforme come Cohealo saranno sempre più usate. IL PERSONAGGIO

MARC SLUJIS DIRETTORE DI DIGITALHEALTH.NETWORK

Marc Slujis ha studiato economia aziendale presso l’Università Erasmus di Rotterdam e quella di Aix-en-Provence, ed è impegnato nella promozione dell’ecosistema d’investimento europeo della salute digitale, con particolare attenzione a investitori e imprenditori, nonché innovatori del settore delle scienze della vita. Attualmente, forte della sua esperienza ventennale nel settore Life Sciences, business model (IMS Health), della consulenza sulla gestione delle scienze della vita (Accenture) e biotech (MerckSerono), aiuta i grandi investitori indirizzandoli verso aziende in forte crescita nel campo della salute digitale. Figura 8.6 – Marc Slujis (credits: www.techtour.com)

“Esistono molti aspetti ancora in gran parte trascurati che devono essere risolti prima che la salute digitale possa raggiungere il suo pieno potenziale come fattore abilitante di nuovi e migliori modi di gestire la salute. Innanzitutto una certa ‘miopia tecnologica’: molti imprenditori della sanità digitale pensano ancora che la tecnologia di per sé sia la panacea e che solo questa porterà a risultati sostanziali e sostenibili in campo sanitario. Le ragioni di questo pensiero sono svariate: dal background (spesso tecnologico) degli imprenditori, alla mancanza di una più profonda comprensione delle malattie e dei comportamenti, fino alla focalizzazione estrema su investimenti esclusivamente tecnologici. Esiste poi chi osserva i singoli pezzi di un puzzle rispetto al quadro generale: a causa dell’estrema frammentazione del panorama della salute digitale, molte aziende forniscono solo una piccola parte di una soluzione più grande, e questo costituisce un grosso ostacolo all’adozione di soluzioni integrate su larga scala. Infine manca l’idea della centralità del consumatore: molte delle parti in causa, a partire dalle varie aziende che operano nell’ambito della salute digitale, non hanno ancora le idee ben chiare su ‘chi’ dovrebbe essere al centro di tutto ciò che producono (la risposta dovrebbe essere ‘il consumatore finale’, e NON ‘coloro che pagano’, le organizzazioni ospedaliere o altri componenti del sistema). Cosa ci riserva il futuro? Diversi trend intercetteranno quanto appena esposto e porteranno la salute digitale a un nuovo livello di efficienza. Emergeranno sempre più spesso prove che le soluzioni in grado di combinare tecnologia digitale e dati personali (siano essi servizi, dati provenienti da dispositivi o terapie personalizzate) possano fornire ai consumatori risultati migliori. Queste soluzioni ‘miste’ saranno più ‘aderenti’ e su misura per il paziente, cosa che produrrà migliori risultati a lungo termine e sarà in grado di attrarre investimenti sempre più significativi. Se negli ultimi anni abbiamo assistito alla nascita e allo sviluppo della salute digitale, nei prossimi 5 molti altri aspetti in questo campo subiranno una rapida accelerazione:

• Le attuali aziende di digital health si consolideranno. • Le aziende di digital health acquisiranno capacità complementari e trasversali. • Le grandi aziende acquisiranno competenze nel campo della sanità digitale. • Le aziende produttrici di tecnologie e i fornitori di servizi svilupperanno soluzioni in grado di coinvolgere maggiormente i consumatori. • Le aziende produttrici di dispositivi medici acquisiranno conoscenza nella gestione dei dati. • Le aziende farmaceutiche opereranno al di là delle mere terapie farmacologiche. • Esisteranno nuovi soggetti nel campo dell’industria tecnologica. • Esisteranno nuovi operatori nel campo della produzione di beni di consumo.

Come conseguenza del continuo incremento delle conoscenze nel campo della digital health, e quindi di una maggior cultura delle aziende in questo settore, finalmente queste ultime porranno il consumatore-paziente al centro del loro mondo. La realizzazione di questo scenario porterà a una fase di (ri) progettazione delle soluzioni di gestione della salute in modi completamente nuovi e determinerà automaticamente le integrazioni che ho menzionato precedentemente. In conclusione, le opportunità per la salute digitale di iniziare a produrre un impatto reale sulla salute – e indirettamente sulla società nel suo complesso – sono infinite. Tuttavia, la sfida per molte delle parti in gioco è la focalizzazione sull’obiettivo finale evitando la distrazione indotta dagli ostacoli che inevitabilmente dissemineranno il percorso. Le aziende che agiranno in questo modo saranno le prime a intuire come combinare efficacemente i vari pezzi del puzzle, probabilmente creeranno per loro un vantaggio competitivo sostanziale e sostenibile, nonché un valore enorme per i consumatori e in generale per la società”. CAPITOLO 9

Genetica DA MENDEL AI MAPPATORI PORTATILI DI DNA

e è passato di tempo da quando un monaco agostiniano di nome N Gregor Mendel conduceva i suoi esperimenti sulle piante di piselli traendone deduzioni geniali. Era il 1866 quando mandò in stampa il suo Esperimenti su ibridi di piante, testo che all’epoca ben pochi compresero, ma che può oggi considerarsi una delle pietre angolari della genetica. Per avere la certezza che le informazioni genetiche siano contenute all’interno del DNA, e per risolvere anche i tanti dubbi sulla forma di questa strana molecola presente nel nucleo delle cellule, bisognerà poi aspettare il 1953: grazie a James Watson e Francis Crick ora conosciamo il suo aspetto a “doppia elica”. I successivi lavori di Khorana, Holley e Nirenberg permisero in seguito di decifrarne il codice, ponendo le basi della genetica moderna e della biologia molecolare: correva l’anno 1968. E molti anni ancora dovranno passare prima che sia portato a termine il cosiddetto “Progetto genoma umano” (HGP, acronimo di Human Genome Project) un progetto di ricerca scientifica internazionale il cui obiettivo principale era quello d’identificare e mappare i geni del genoma umano dal punto di vista fisico e funzionale: il lavoro dura più di 10 anni ed è portato a compimento il 24 giugno 2003. La sequenza del DNA, ormai è cosa risaputa, contiene tutte le informazioni genetiche ereditarie: all’interno di questa sequenza sono codificati i geni di ogni organismo vivente, nonché le istruzioni per esprimerli nel tempo e nello spazio. Determinare la sequenza è dunque utile per capire come funzionino i sistemi biologici e come questi interagiscano con l’ambiente. Nel tempo, per ottenere la sequenza nucleotidica del DNA sono state ideate diverse strategie. I primi metodi sono datati 1973, come quello, piuttosto complicato, ideato da Allan Maxam e Walter Gilbert; un miglioramento si ebbe nel 1975 attraverso il metodo enzimatico pensato da Frederick Sanger (il cosiddetto metodo dei terminatori di catena, chain termination method o metodo Sanger), grazie al quale ricevette il (secondo) premio Nobel. Una svolta nelle tecniche di sequenziamento, grazie all’uso di tecnologie innovative dall’elevata capacità produttiva in grado di eseguire un elevatissimo numero di sequenziamenti contemporaneamente, anche dell’ordine di miliardi, si è avuta agli inizi degli anni duemila: per questa loro caratteristica sono state denominate tecnologie a elevato parallelismo. Questa evoluzione ha determinato la nascita e lo sviluppo di molteplici tecnologie raggruppate sotto il nome di Next Generation Sequencing (NGS), una serie di metodologie che permettono di sequenziare grandi parti di un genoma in un tempo ristretto, dell’ordine di pochi giorni. L’impiego di queste tecniche innovative permette, in un solo esperimento, di eseguire studi di vario genere tra i quali la caratterizzazione simultanea di genomi, l’individuazione di “riarrangiamenti” cromosomici bilanciati e sbilanciati, le delezioni e altre informazioni ancora. E arriviamo infine al 2018 che si è aperto con un annuncio straordinario: il team di Nicholas Loman dell’Università di Birmingham e di Matthew Loose dell’Università di Nottingham ha messo a punto un “mappatore” portatile per sequenziare porzioni di genoma umano e in grado di fornire dati con un’eccezionale rapidità, un’elevata accuratezza e a costi contenuti che il team può poi analizzare per elaborare velocemente terapie adeguate. Il dispositivo, denominato MinION, e prodotto da una società chiamata “Oxford Nanopore”, prevede il passaggio di lunghi filamenti di DNA in un minuscolo foro, detto nanoporo, e il risultato finale del sequenziamento può vantare, secondo i ricercatori, un’accuratezza del 99,88%. Come ha spiegato lo stesso Loman alla BBC online: “Siamo passati da una situazione in cui potevi mappare il genoma solo con una grande quantità di denaro e in laboratori sofisticati, a una in cui puoi letteralmente tenere la mappatura del genoma in tasca, proprio come un telefonino. Questo ci dà l’eccitante opportunità d’iniziare a considerare la mappatura del Dna come uno strumento di ruotine, qualcosa che alcune persone potranno fare a casa”. Una tecnologia, quella di MinION, che ha quindi il potenziale di cambiare la medicina e la diagnostica per come la conosciamo adesso. Il futuro è già iniziato.

LA VISIONE DI ROBERTO

Le opportunità che si stanno sviluppando su questo fronte sono dovute alla combinazione di una serie d’innovazioni relativamente recenti che funzionando insieme stanno aprendo strade nuove d’intervento sul miglioramento della salute di ognuno. In questo campo vanno a intersecarsi aspetti che concernono la ricerca genetica in senso stretto con aspetti d’informatica avanzata, di tecnologia, della “computer science” e quindi del digitale in senso più generale. Vediamo perché andando per ordine e partiamo dalla genetica, in senso stretto. Ovviamente ai primordi di questa rivoluzione ci sono le tecniche di sequenziamento che hanno permesso, nel corso degli anni, di ottenere una mappatura completa del genoma umano, metodi che si sono sviluppati fino ad arrivare alle cosiddette “NGS” (New Generation Sequencing), le attuali tecniche di sequenziamento del DNA il cui costo è in rapida discesa (si passerà rapidamente da qualche migliaio di dollari a poche centinaia di dollari per singolo DNA sequenziato). La possibilità di sequenziare il DNA completo a un costo estremamente accessibile rende possibile già oggi (e ancor di più in un prossimo futuro) questo tipo di pratica su larga scala, creando un primo, utilissimo livello di base dati. Ma in realtà come fonte di dati non esiste solo il sequenziamento del DNA, perché sotto la definizione di “omics” (suffisso che identifica le discipline biomolecolari che si occupano della mappatura di sistemi biologici complessi) non abbiamo solo la genomica, ma anche la proteomica (ossia lo studio su grande scala delle proteine, in particolare delle loro strutture e funzioni), la microbiomica (la mappatura di tutti i microrganismi che abitano il nostro il nostro intestino), la metabolomica (lo studio dei metaboliti prodotti da specifici processi cellulari): ognuno di questi studi genera una grandissima quantità di dati, livelli d’informazioni in gran parte destrutturati e complessi. A rendere ancora più articolato il quadro possiamo aggiungere tutte le immagini prodotte con le varie TAC, risonanze magnetiche, ecografie, radiografie e quant’altro: ulteriori miniere d’informazioni anche queste destrutturate. Infine abbiamo tutta le informazioni relative ad altri dati, come i risultati delle analisi del sangue, delle urine e così via. E volendo essere completi dobbiamo aggiungere altre informazioni destrutturate, quelle raccolte dai vari dispositivi “smart” (cosa mangiamo, quanto beviamo, quanto ci muoviamo, quanta forza mettiamo nel digitare sulla tastiera dello smartphone…). Queste informazioni sono apparentemente slegate dal “dominio sanitario”, ma hanno però un’enorme valenza. Perché ce l’hanno? Perché la maggior parte delle condizioni patologiche si sviluppano a seguito dell’interazione tra una certa predisposizione genetica e tutta una serie di fattori ambientali (legati appunto allo stile di vita, all’alimentazione, al movimento, alla sedentarietà e quant’altro) che ruotano attorno al DNA stesso, determinandone o meno l’espressione. E veniamo al lato tecnologico della questione: questo insieme di dati (la mappatura del DNA, di tutti gli altri sistemi biologi, le altre informazioni comportamentali tracciate da altri tipi di sensori) formano un’enorme massa d’informazioni per gran parte, come detto, destrutturata. Ma lo sviluppo di algoritmi di nuova generazione in grado di gestire grandissime quantità di dati sta per porre fine a questo caos. Questi algoritmi, definiti di “machine learning” (e che sono parte della grande famiglia del “data science” o “intelligenza artificiale” come comunemente viene chiamata) non sono deputati ad eseguire una sequenza di istruzioni predefinite, ma sono in grado di lavorare sostanzialmente al contrario, trovando cioè delle correlazioni tra l’enorme quantità di dati che analizzano e i comportamenti che sono in qualche modo a loro correlabili. Immaginiamo di avere a disposizione una grande quantità di dati su una grande quantità d’individui; e per ognuno di questi individui di conoscere le diagnosi confermate o meno relative alle loro patologie. Bene, gli algoritmi possono essere utilizzati per comparare e individuare le correlazioni tra le due cose, spingendosi anche oltre gli obiettivi per i quali sono stati programmati (da cui il concetto di “machine learning”): in sostanza la macchina trova delle correlazioni e le offre, in tempi brevissimi, a un medico analista come suggerimenti da verificare. La disponibilità di questa categoria di algoritmi, e la possibilità di raccogliere e immagazzinare grandi quantità di dati a un costo sempre più basso, sta aprendo la strada a diagnosi sempre più precoci e alla possibilità di prevenire una serie di condizioni sulla base di dati che, fino a oggi, non immaginavamo fossero correlati a un determinato tipo di condizione patologica. Ecco dunque aprirsi un orizzonte di grandi possibilità: in sede di patologie complesse, come per esempio i tumori, questa tecnica darà sempre di più la possibilità di avere dei trattamenti iper-personalizzati sul singolo individuo e sul singolo tipo di tumore che l’individuo ha contratto, permettendo di selezionare il farmaco più efficace in quella specifica condizione ed evitando invece una serie di altri trattamenti che sarebbero inefficaci o parzialmente efficaci (se non addirittura nocivi). Tutto questo è possibile grazie alla convergenza tra le tecnologie di sequenziamento e le tecnologie di elaborazione dei big data. Sul fronte della prevenzione la possibilità d’individuare una suscettibilità genetica e quindi un aumento della probabilità di sviluppare un certo tipo di condizione, e avere la possibilità di correlare lo sviluppo di questa possibile patologia con una serie di comportamenti che possono essere messi in pratica, permette una strategia completamente innovativa di prevenzione che in epoche passate non poteva andare oltre i pur importanti consigli generali comportamentali. La rivoluzione, in tal senso, sarà sostanziale: si passerà dall’attuale prevenzione basata su generici suggerimenti di corretti stili di vita, a un qualcosa di estremamente personalizzato, con interventi molto specifici il cui fine ultimo sarà quello di ritardare (o addirittura evitare) l’insorgere di patologie.

HUMAN LONGEVITY

Human Longevity è una startup fondata a San Diego nel 2013. Offre un’analisi completa del genoma e altri test diagnostici sofisticati come densimetria ossea, tomografia a risonanza magnetica e TAC per identificare anomalie che potrebbero portare a l’insorgenza di malattie o addirittura a morte precoce. L’azienda, fondata dal famoso scienziato Craig Venter, il biologo statunitense noto per aver sfidato con la sua “Celera Genomics” il “Progetto Genoma Umano” nella corsa al sequenziamento del genoma, è riuscita a raccogliere finanziamenti per oltre 500 milioni di dollari, e ha oggi una valutazione di quasi 2 miliardi di dollari. Il grande sogno di Craig Venter è rallentare il processo d’invecchiamento umano, ottenendo così la più efficace forma di prevenzione possibile. L’idea basilare che ha portato alla costituzione del progetto Human Longevity è un servizio clinico fondato su un cambio paradigmatico notevole: oggi ci si preoccupa della salute solo quando si è malati oppure si manifestano i primi sintomi di una malattia. L’idea di Venter è fare l’esatto contrario: dare strumenti quando una persona è ancora sana affinché si prenda cura di alcune condizioni che ancora non sa di avere. Parliamo di strumenti che gli consentano d’intervenire presto, addirittura quando queste condizioni non si sono sviluppate. Per farla breve: una medicina predittiva. “L’età è il fattore di rischio numero uno per quasi tutte le malattie, ma non è una malattia in sé – ha sostenuto Venter in un’intervista – e la speranza è quella di fare numerose nuove scoperte nel campo della medicina preventiva. Pensiamo che alcune potrebbero avere un impatto enorme sui costi delle cure”. Più diretto uno dei fondatori della società, Peter H. Diamandis: “Vogliamo che i 100 anni siano i nuovi 60”. Lo speriamo tutti. Figura 9.1 – Nel 2015 Human Longevity ha lanciato Health Nucleus, un progetto di ricerca clinica basato sulla genomica (credits: www.humanlongevity.com).

SOPHiA GENETICS

SOPHiA GENETICS è una società svizzera fondata nel 2011 che opera nel campo della genomica clinica. Su queste premesse è stato sviluppato SOPHiA Artificial Intelligence, una tecnologia innovativa che grazie alla rapida adozione dei test genomici in tutto il mondo, trasforma i dati rilevati in intuizioni cliniche attuabili, facilita la condivisione delle conoscenze e in un certo senso “democratizza” la medicina basata sui dati per aiutare a salvare la vita di pazienti in tutto il mondo. L’intelligenza artificiale di SOPHiA AI, grazie alla lettura dell’intera sequenza genomica di un paziente, aiuta i medici a diagnosticare una vasta gamma di malattie. Con l’aiuto di centinaia di ospedali che collaborano al progetto, sparsi in tutto il mondo, l’azienda sta raccogliendo un ampio database che aiuterà i medici a migliorare la diagnostica in malattie complesse come il cancro. Figura 9.2 – L’ecosistema di SOPHiA GENETICS (credits: www.sophiagenetics.com).

Grazie all’adozione di tecnologie digitali, come la Next Generation DNA Sequencing (NGS), SOPHiA GENETICS è entrata nel mondo dei “big data”: per poter analizzare con successo l’enorme mole di dati sequenziati, il team di esperti di SOPHiA GENETICS ha sviluppato SOPHiA Artificial Intelligence (AI), una tecnologia universale che già oggi è usata da centinaia di istituzioni sanitarie in tutto il mondo, ognuna delle quali apporta il proprio contributo alla comunità genomica di SOPHiA GENETICS attraverso la Data-Driven Medicine (DDM). Proprio attraverso gli strumenti messi a disposizione SOPHiA GENETICS un gran numero di esperti appartenenti a centinaia di istituzioni sanitarie può interpretare i dati con maggiore facilità e velocità, valutare le loro variazioni, contrassegnarli con il livello appropriato di patogenicità e condividere le conoscenze acquisite con gli altri membri della comunità. Il risultato straordinario di questa collaborazione su larga scala è la possibilità che hanno i medici di tutto il mondo di trovare le migliori opzioni di cura per i loro pazienti.

FLATIRON Nat Turner e Zach Weinberg hanno fondato Flatiron Health nel 2012, poco dopo che la loro prima azienda (la “Invite Media”, una compagnia di pubblicità on line) era stata acquisita da Google. L’idea di Flatiron circolava nelle menti dei due fondatori già da qualche anno, da quando a Brennan, la cugina di sette anni di Nat Turner, fu diagnosticata una rara forma di leucemia. Durante il percorso di cure intrapreso dalla piccola Brennan, Nat e Zach si resero conto di come il sistema sanitario fosse frammentato e poco efficiente. Sulla scorta di questa esperienza, per trasformare il modo in cui il cancro è studiato e curato, la loro idea fu quella di riunire alcune delle migliori menti della medicina e della tecnologia. Flatiron sfrutta le potenzialità della tecnologia digitale per raccogliere dati clinici dai pazienti oncologici: quali farmaci hanno assunto o stanno assumendo, come hanno risposto ai vari medicinali e ai vari dosaggi, quali effetti collaterali hanno registrato e così via.

Figura 9.3 – Zach Weinberg e Nat Turner, fondatori di Flatiron Health (credits: Saskia Uppenkamp). L’obiettivo di Flatiron è fare in modo che i medici possano costruirsi un’idea migliore di come funzionano i farmaci anti-tumorali nel “mondo reale”, vale a dire negli ospedali e nei centri oncologici piuttosto che durante gli studi clinici. La società ha raccolto oltre 300 milioni di dollari da investitori tra cui GV e il gigante farmaceutico Roche. L’esperienza di ogni malato di cancro è un dato estremamente prezioso, la storia di ogni paziente ha il potenziale unico d’insegnare qualcosa di nuovo sul modo in cui agisce il cancro e aiuta a trovare trattamenti più efficaci e più velocemente. La squadra di Flatiron ritiene che apprendere da queste esperienze sia un imperativo: è la chiave per accelerare la ricerca e continuare a migliorare la qualità dell’assistenza. Oggi gran parte dei dati clinici disponibili sono non strutturati e archiviati in migliaia di cliniche, centri medici e ospedali scollegati tra loro: un problema che Flatiron si propone di risolvere. Attualmente, Flatiron collabora con oltre 265 cliniche oncologiche, quattro importanti centri di ricerca accademici e 13 tra le prime 14 società di oncologia terapeutica degli Stati Uniti.

DEEP GENOMICS

Deep Genomics, fondata nel 2015, si trova nel cuore di Toronto, l’hub tecnologico in più rapida crescita nel Nord America nonché una delle città più vivibili al mondo. Dispone di strutture che spaziano dalla biologia sperimentale all’analisi computazionale, è posizionato vicino all’Università, a quattro ospedali di ricerca, a tre istituti di ricerca medica e ai laboratori di ricerca di Google, Uber e Vector. Un bel crogiolo di menti, dunque! La convinzione di Deep Genomics è che il futuro della medicina sarà basato sull’uso dell’intelligenza artificiale, perché – dicono – la biologia è troppo complessa per essere compresa dagli umani. La struttura molecolare di una cellula può essere indagata sperimentalmente come mai prima d’ora, e i set di dati risultanti offrono un’opportunità senza precedenti per costruire sistemi d’intelligenza artificiale che siano biologicamente accurati e che supportino il rilevamento della malattia e lo sviluppo d’interventi molecolari. Deep Genomics sta costruendo una piattaforma biologicamente accurata basata su questo tipo di dati e un’intelligenza artificiale che supporti genetisti, biologi molecolari e chimici nello sviluppo di terapie. L’obiettivo di Deep Genomics è usare la sua piattaforma per sbloccare nuove classi di terapie oligonucleotidiche antisenso (gli oligonucleotidi antisenso sono piccole molecole a singolo filamento di DNA (o RNA) complementari a una determinata sequenza), e farle avanzare per la valutazione clinica. Nel progetto Saturno, la piattaforma sarà usata per indagare oltre 69 miliardi di molecole, con l’obiettivo di realizzare una libreria di 1000 composti che possano essere usati per manipolare la biologia cellulare. Come ha sottolineato il cofondatore Brendan Frey: “Nella visione di Deep Genomics, l’azienda farmaceutica del futuro assomiglierà a una società d’informatica, con un incredibile team di biologi, chimici ed esperti in sperimentazioni cliniche e non, diversamente da una società farmaceutica tradizionale con biologi e chimici che usano strumenti informatici. È una questione di cultura, una cultura dell’informatica”.

Figura 9.4 – Brendan Frey, fondatore e CEO di Deep Genomics (credits: Deep Genomics). IL PERSONAGGIO

RICCARDO SABATINI SCIENZIATO E IMPRENDITORE

Riccardo Sabatini, cremonese, classe 1981, forte della laurea in Fisica, del master in Meccanica quantistica, del dottorato in Sissa e del post dottorato in Epfl, è un vero e proprio talento della fisica passato alla genomica: è stato lui a sviluppare l’algoritmo in grado di ricavare altezza, peso e conformazione del viso di un individuo partendo da una sua traccia biologica, anche piccola come un capello. È stato uno degli scienziati di punta della Human Longevity ed è oggi al lavoro sul suo prossimo progetto, ancora riservato ma che si preannuncia di straordinario impatto innovativo.

Figura 9.5 – Riccardo Sabatini (credits: Ted.com). “Sono un fisico quantistico di formazione, e durante la mia carriera accademica ho lavorato alla definizione di equazioni e algoritmi per simulare la materia nella sua dimensione più intima, quella atomica. Grazie allo sviluppo di supercalcolatori e processori sempre più veloci, e grazie al lavoro di centinaia di colleghi in tutto il mondo che condividono il mio stesso background, siamo oggi in grado di virtualizzare dinamiche fondamentali per la medicina, con una visibilità e precisione che non avremmo mai pensato di ottenere alcune decine di anni fa”. “Con software open source, gratuiti e scaricabili da qualsiasi appassionato o ricercatore, è possibile simulare, senza mai entrare in laboratorio, come un farmaco interagisca con il nostro arsenale molecolare, analizzando se le caratteristiche personali influenzino più o meno il suo funzionamento. Questo approccio, chiamato spesso medicina personalizzata, è una delle grandi rivoluzioni dei prossimi anni, raggiungibile solamente grazie a un secondo settore della scienza, la genomica. Infatti, mentre noi fisici eravamo al lavoro per alzare il velo della natura, nelle due passate decadi alcuni fra i migliori scienziati della storia moderna hanno iniziato a decriptare il codice della biologia, riuscendoci”. “All’inizio di questo millennio abbiamo imparato a leggere il DNA di un uomo, una scoperta che ha cambiato la storia, e che è progredita così velocemente che un sequenziamento genomico costato 100 milioni nel 2000 costa oggi 1.000 euro, ordinabile online dal proprio divano. Ma come questi due mondi, la fìsica quantistica e la genomica, si incrociano nella medicina personalizzata? Nel nostro DNA, che definisce unicamente ogni persona, sono contenute le istruzioni per assemblare e coordinare il funzionamento di tutte le strutture biologiche che ci rendono vivi, e in particolare la forma di tutte le nostre proteine. Questi piccoli operatori molecolari, il vero target dei farmaci, assumono a volte forme leggermente diverse in alcune persone, piccole differenze che possono rendere più o meno efficace un farmaco”. “Ma presto, grazie al genoma di un paziente, potremo testare in silico, su un calcolatore, queste differenze, osservando come le molecole cambiano comportamento in uno specifico caso e consigliando un dosaggio mirato o un farmaco alternativo. È una sfida ancora gli inizi, ma la strada è aperta e centinaia di scienziati e imprenditori in giro per il mondo stanno lavorando giorno e notte per portarla al servizio di tutti i pazienti. E fra qualche decina anni, le nuove generazioni saranno incuriosite pensando a un passato dove la medicina non era personalizzata, come rimaniamo stupiti e impauriti di un passato dove i vaccini non erano disponibili”. Figura 9.6 – Riccardo Sabatini sul palco di Frontiers Health 2016, l’evento sulle frontiere della medicina e della cura nato dalla collaborazione tra Frontiers Conference e Healthware e di cui Roberto Ascione è chairman. L’evento si è tenuto a Berlino il 17 e il 18 novembre del 2016 e si ripete ogni anno a metà novembre. (Photo: Matteo Cogliati) CAPITOLO 10

Self empowerment BREVE STORIA DELL’EMPOWERMENT

egli ultimi anni sta circolando sempre di più il termine N “empowerment”, non soltanto negli Stati Uniti ovviamente, e in un modo o in un altro sta entrando a far parte del lessico comune. Come molti termini di origine anglosassone ha il pregio di condensare al suo interno una serie di significati dai contorni sfumati, e in italiano, per esempio, non possiamo limitarci a tradurlo “potenziamento”. Infatti, “empowerment” indica piuttosto un processo di “attivazione delle risorse” e, a livello personale (“self empowerment”), tutta una serie di accorgimenti che l’individuo può mettere in atto per sentirsi più responsabile, protagonista della propria vita, e in uno stato di salute migliore. Il “self empowerment” ha le sue basi nella psicologia del benessere e si pone l’obiettivo di un approccio all’automiglioramento e allo sviluppo del potenziale umano. Non è certo un caso che il concetto di empowerment si sia inizialmente diffuso proprio in ambito psicologico, indicando tutte quelle pratiche utili per favorire i processi di riabilitazione e condurre a una graduale diminuzione della dipendenza di un paziente dal suo medico curante. Nell’ambito delle terapie tradizionali l’empowerment è usato per affrontare problematiche annesse agli interventi clinici di patologie croniche, alla prevenzione e alla promozione della salute, alla cura dello stress o alla gestione di un handicap. L’avvento delle tecnologie digitali ha permesso l’estensione di tali tecniche a un pubblico più ampio, laddove molte delle pratiche in uso possono essere codificate all’interno di un programma o di un’app e fruite attraverso uno smartphone. Tecniche che affondano le loro origini nella notte dei tempi, come lo yoga, possono ora essere rese disponibili attraverso un sistema digitale in grado di guidare verso stati di rilassamento e meditazione. Gli effetti che da sempre la musica ha determinato sulla fisiologia e la psicologia umana, possono ora arrivare attraverso le nuove tecnologie, con algoritmi in grado di processare vastissime librerie musicali dalle quali estrarre sequenze di brani in grado di generare, in chi l’ascolta, un generale miglioramento delle condizioni dell’umore e di altri aspetti fisiologici ad esso legati, come per esempio la tachicardia o la frequenza del respiro. In senso più esteso, poi, possiamo catalogare sotto la voce “self empowerment” anche tutta quella serie di processi che portano a un miglioramento generale della salute dell’individuo: ecco che allora anche soluzioni come Sleep.Ai, un’app che aiuta a non russare durante la notte (ne parleremo poco più avanti), può essere annoverata in questo gruppo. Senza contare che in quest’ultimo caso l’effetto benefico sulla salute è duplice, estendendosi da chi smette di russare a chi ne condivide il letto…

LA VISIONE DI ROBERTO

Molte patologie sono determinate da aspetti biologici e più specificamente del corredo genetico. Ma moltissime altre sono interamente o in gran parte definite da altri fattori come l’alimentazione, la sedentarietà e in generale un cattivo stile di vita. Se questo è vero, è chiaro come una serie d’interventi efficaci su questi aspetti possa produrre degli effetti estremamente benefici sulla salute di ognuno. A dirla tutta operazioni in questo campo non sono una novità in senso stretto, né tantomeno scaturiscono come conseguenza dell’ingresso nell’era digitale: per esempio sono molti anni che le campagne sul diabete sono incentrate su messaggi che fanno leva su una maggiore attività fisica, sull’adozione di uno stile alimentare più sano ed equilibrato e quant’altro. Ma l’avvento del digitale ha comunque introdotto una ventata di novità anche in questo campo: oggi gli strumenti digitali consentono di avere una serie d’informazioni rapidamente accessibili e mediante svariate App per smartphone è possibile accedere a una serie di servizi che permettono di avere in modo intelligente, piacevole e puntuale tutta una serie di consigli “comportamentali”. Non solo: i consigli, grazie alle nuove tecnologie, sono dati al momento giusto e in un modo che risulti non solo utile, ma anche piacevoli per chi li riceva. Proprio per questo motivo non sono percepiti come degli interventi “medici” (pensiamo all’utilità ma anche alla difficoltà di penetrazione di un articolo di giornale o di un magazine, che è “semplicemente da leggere”), ma utili e persuasivi, proprio perché giungono contestualizzati rispetto alle attività di tutti i giorni, piacevoli dal punto di vista del design e, come si dice in gergo, “ingaggianti”, ossia effettivamente interessanti da utilizzare. L’avvento del digitale, quindi, ha reso questi suggerimenti comportamentali enormemente più efficaci e misurabili rispetto a un recente passato, rendendoli effettivamente dei rimedi utili. Questo tipo di approccio ha dato vita a una serie di app il cui design è concepito per essere non invasivo, utile, intelligente e piacevole nell’uso. Consideriamo per esempio l’importanza di ricevere dei consigli sull’alimentazione tarati su quelli che sono le proprie preferenze: non ci saranno suggerimenti che riguardano cibi o sapori sgraditi! Inoltre i consigli arriveranno all’ora giusta della giornata, quando si sta pensando a cosa cucinare per la cena e si sta facendo la spesa, invece che a ridosso dell’ora del pasto, cosa che renderebbe inutile il suggerimento. Un’app che si accorge che siamo al supermercato e quindi ci dirige verso un certo tipo di cibo, può aiutare a fare un acquisto più consapevole e utile; magari riconosce la confezione del prodotto che stiamo per comprare o ci consiglia invece un certo tipo di mix di nutrienti piuttosto che un altro, perché ovviamente conosce la nostra dieta, i nostri gusti e ci aiuta ad approvvigionarci nel modo migliore. La semplicità d’uso, il design, l’accuratezza delle informazioni contenute in queste applicazioni, l’aiuto derivante dalla geolocalizzazione o dal riconoscimento dei cibi renderà più facile e più concretamente fattibile l’adozione di un corretto stile di vita, e di conseguenza renderà piacevole compiere delle azioni che porteranno a un miglioramento generale dello stato di salute. Questo stesso tipo di approccio è applicabile a molti altri ambiti: per esempio è stato studiato che un certo tipo di musica e determinati tipi di suoni, hanno un effetto benefico sulla concentrazione, sul rilassamento e diminuiscono i livelli di stress generale di chi li ascolta. Esistono App che grazie a sofisticati algoritmi, il cui funzionamento è in continuo stadio di perfezionamento, sono in grado di comprendere che tipo di suono o di musica possa portare giovamento a un individuo in relazione a una serie di problematiche come stress, ansia, insonnia, concentrazione. Gli algoritmi di queste applicazioni registrano segnali come la frequenza del respiro o del battito cardiaco ed elaborano in risposta una playlist musicale che possa indurre a un rilassamento, e in generale stimolare una risposta positiva dell’organismo. Questo tipo di “terapia” è, ovviamente, in fase di rigorosa verifica scientifica, ma appare chiaro che una soluzione del genere, in grado di fornire un determinato tipo di musica che conduce a una riduzione dello stress, certamente avrà, tanto per fare un esempio, delle ricadute positive dal punto di vista cardiovascolare. Partendo da questo presupposto chissà che non si possano attivare, mediante app di questo tipo, quei meccanismi di cui l’organismo umano è molto ben dotato per ridurre, per esempio, la pressione arteriosa, che sappiamo essere un fattore di rischio molto importante per patologie cardiovascolari. Lo yoga, la musica, le tecniche di rilassamento sono tutte pratiche che esistevano prima dell’avvento del digitale e che da centinaia di anni sono riconosciute come portatrici di benessere, a livello emotivo e fisico: non sono altro che delle strategie di attivazione delle capacità insite nel nostro corpo. Le tecnologie digitali attingono alle stesse pratiche millenarie rendendole fruibili a un numero enorme di persone, migliorando il rapporto con il loro corpo e, in definitiva, migliorando la loro salute.

HEADSPACE

Headspace è un servizio digitale che offre sessioni di meditazione guidate e training di consapevolezza direttamente attraverso il web, oppure tramite app. Headspace è stata fondata nel maggio del 2010 da Andy Puddicombe (ex monaco buddista) e Rich Pierson (esperto di marketing e nello sviluppo di nuovi brand) e la sua nascita è piuttosto curiosa e merita di essere raccontata. Tutto inizia nel 1994 quando Puddicombe interrompe gli studi universitari in Scienze dello sport e, all’età di 22 anni, si reca in Asia per diventare monaco buddista. Qui trascorre dieci anni fatti di pellegrinaggi tra Nepal, India, Birmania, Tailandia, Australia e Russia, sempre alla ricerca di una tecnica meditativa profonda e soddisfacente. Nel 2004 torna in Inghilterra dandosi una missione: rendere la meditazione accessibile, pertinente e benefica a quante più persone possibile. Apre quindi una clinica di meditazione a Londra, ed è qui che incontra il suo futuro socio in affari, Rich Pierson. “Rich aveva tutte queste capacità creative – racconta Puddicombe – e io l’esperienza necessaria data dai miei trascorsi come monaco: abbiamo unito le due cose per creare qualcosa che potesse rendere la meditazione davvero alla portata di tutti”. Inizialmente Headspace nasce come un’azienda di eventi che organizza meeting di consapevolezza a Londra e dintorni. Ma la richiesta continua da parte dei partecipanti di avere uno strumento per usare queste tecniche anche al di fuori degli incontri, nella vita di tutti i giorni, ha portato Puddicombe e Pierson a studiare lo sviluppo di un’app mobile. La prima versione dell’app di Headspace è stata lanciata nel 2012, e attualmente lavorano al progetto più di 50 dipendenti divisi tra le sedi di Los Angeles e di Londra. Le tecniche usate nell’app Headspace sono state perfezionate e sviluppate nel corso di molti secoli: il loro scopo è coltivare consapevolezza e compassione in modo da poter meglio comprendere sia la nostra mente sia il mondo che ci circonda. Nell’aprile 2016, Headspace ha affermato di avere oltre 6 milioni di persone che usano questa forma di meditazione digitale. L’app di Puddicombe e Pierson è stata utilizzata anche in una serie di studi clinici, come quello condotto dai ricercatori dell’UCL (University College of London), finanziati dalla British Heart Foundation, che ha esaminato l’impatto della consapevolezza sullo stress sul posto di lavoro in due grandi multinazionali. Lo studio ha riscontrato diversi benefici significativi che l’uso di Headspace ha avuto sui lavoratori: aumento del benessere, riduzione degli stati d’ansia e dei sintomi depressivi, riduzioni della pressione arteriosa diastolica, aumenti nel controllo del lavoro percepito e riduzione dei problemi legati al sonno.

Figura 10.1 – L’app di Headspace (credits: headspace.com).

HEALTHTUNES HealthTunes è un’azienda californiana fondata nel 2016 da Walter Werzowa, musicista, compositore e produttore musicale. Si tratta di un servizio di streaming audio progettato per migliorare la salute fisica e mentale di chi lo utilizza. In base alle condizioni del paziente, HealthTunes offre terapie sonore e musicali specifiche: i medici che collaborano con HealthTunes infatti creano un vero e proprio piano terapeutico, “prescrivendo” (proprio come si trattasse di una medicina, tanto che il prodotto prescritto viene definito “MusicMedicine”) il tipo di musica che il paziente dovrà ascoltare, la quantità, e per quanto tempo dovrà farlo. I medici realizzano playlist musicali personalizzate (le “terapie”), basandosi sulla diagnosi, i sintomi e le sindromi del paziente. MusicMedicine funziona su tre livelli: il primo livello musicale attiva lo stato emotivo del paziente, cercando di migliorarlo istantaneamente. Il secondo aiuta a richiamare la memoria sensoriale. Il terzo e ultimo agisce a livello fisiologico, riportando equilibrio nel sistema nervoso parasimpatico. Per esempio, con le playlist create per i malati di Alzheimer si riesce a stimolare la produzione di dopamina, e si attiva un processo di “plasticità cerebrale” che aiuta a far ricrescere le connessioni neurali. Con quelle create per persone affette da Parkinson, oltre alla stimolazione della dopamina, con la musica è stimolato anche un meccanismo che porta i pazienti ad avere un’andatura più sicura. Nella musica delle varie playlist sono usati anche i toni binaurali (o battiti binaurali, dall’inglese binaural beats). Sono dei battimenti percepiti dal cervello quando due suoni con frequenza inferiore ai 1.500 Hz e con differenza inferiore ai 30 Hz sono ascoltati separatamente attraverso degli auricolari. Tali battiti sono generati direttamente nel cervello, secondo un fenomeno identificato e descritto già nel 1839 da Heinrich Wilhelm Dove. Dati sperimentali hanno dimostrato l’efficacia dell’uso dei battiti binaurali nei trattamenti contro il dolore cronico, l’insonnia, l’ansia e la frequenza cardiaca. Figura 10.2 – Il portale di HealthTunes (credits: www.healthtunes.org).

SLEEP.AI

Gli ideatori di Sleep.Ai sono partiti da un dato statistico piuttosto interessante: circa il 70% delle persone russa solo quando dorme sulla schiena. Le stesse persone, grazie a una migliore respirazione, spostandosi a dormire su un lato, smettono di russare. Michiel Allessie, fondatore di Sleep.Ai, società olandese con sede ad Amsterdam, ha quindi ideato, per risolvere il problema di molti, un metodo che sfruttasse le funzionalità di un app per smartphone e le potenzialità di uno strumento indossabile. L’ingegnoso sistema si sviluppa su due livelli: l’app di Sleep.Ai riconosce, attraverso il microfono dello smartphone sul quale è installata, il suono tipico emesso da chi russa, e invia un segnale a una fascia posizionata sul braccio del soggetto. La fascia, ricevuto il segnale, emette una leggerissima vibrazione in grado d’indurre la persona a girarsi su un lato (senza però svegliarla) facendola così smettere di russare. L’applicazione è basata su un algoritmo che è in grado di distinguere il rumore provocato dal russamento da altri tipi di rumori ambientali, anche nel caso in cui all’interno della stessa stanza vi siano più persone che stanno dormendo. Inoltre l’app è stata dotata di altre funzioni avanzate, riuscendo a tenere traccia della qualità del sonno e dei suoni emessi, aiutando le persone a trovare la migliore soluzione al problema e migliorando nel tempo la loro qualità del sonno.

Figura 10.3 – Il kit di Sleep.Ai (credits: Sleep.Ai). IL PERSONAGGIO

WALTER WERZOWA CEO DI HEALTHTUNES

Walter Werzowa, austriaco, classe 1960, è ben noto nel panorama musicale internazionale. Basti pensare che una delle sue creazioni è uno dei jingle più famosi e riconoscibili al mondo: è stato lui infatti a creare la musica che accompagna l’immagine “Intel Inside” in tutti gli spot televisivi. Ma Walter Werzova ha composto anche colonne sonore per film di e , solo per citarne alcuni. Dal 2016 è fondatore e CEO di HealthTunes, di cui abbiamo già parlato diffusamente in precedenza.

Figura 10.4 – Walter Werzowa (credits: healthtune.com). “C’è una persona nuova tra noi, una persona che si sta gradualmente trasformando da dirompente adolescente a vecchio saggio: questa persona si chiama ‘MusicMedicine’. La MusicMedicine si posiziona attualmente in una zona paragonabile alla vecchia percezione dell’agopuntura da parte della medicina occidentale. E come l’agopuntura, anche la MusicMedicine sta conquistando sempre più l’interesse dell’industria della salute, ma soprattutto il cuore dei pazienti. Mediante la MusicMedicine si registra un miglioramento della salute non solo nei pazienti (siano essi affetti da Alzheimer, Parkinson, dolore cronico, insonnia o addirittura in terapia intensiva neonatale), ma anche nel personale di assistenza. Il nostro obiettivo infatti è quello di migliorare non solo la salute dei pazienti, ma anche quella dei medici e del personale di assistenza, perché una migliore assistenza al paziente passa anche attraverso un miglior benessere degli attori che devono esercitarla, incrementando così la percentuale di successo nel loro ritmo di lavoro e sostegno al paziente. Personalmente vedo una nuova tendenza in medicina (e in senso più ampio anche nella società) basata sulla collaborazione e sul lavoro di squadra, due aspetti che sono qualità intrinseche della musica. La musica non è solamente e semplicemente quella cosa ‘che ci fa muovere’, ma è anche la forza all’interno della quale veniamo emotivamente (e fisiologicamente) spinti. Come dimostrano alcuni recenti studi che abbiamo condotto in collaborazione con il dipartimento di Medicina dell’Università di e la Filarmonica di Vienna, la nostra fisiologia si ‘trasforma’ con la musica: alla fine di una performance musicale, infatti, sia i musicisti che le persone in ascolto risultano coinvolti in processi di variazione della loro respirazione, della frequenza cardiaca e della produzione di ormoni. La MusicMedicine è ‘prescritta’ seguendo precisi piani ‘terapeutici’, e i suoi effetti non si limitano a intervenire positivamente sul paziente e sui familiari a lui più vicini, ma si estendono anche sul personale di assistenza e sul team medico in generale. E questo è uno dei motivi per cui due dipartimenti di medicina dell’Università della California hanno convalidato e approvato HealthTunes come ‘terapia musicale’. Attualmente HealthTunes sta realizzando uno studio, presso l’AKH – Vienna General Hospital, per dimostrare gli effetti di self-empowering con la musica. Lo studio indaga gli effetti della deprivazione sensoriale sui pazienti dopo un intervento di trapianto di midollo osseo: i primi risultati mostrano chiaramente come quando al paziente sia data la possibilità di scegliere gli stimoli audio che più gli si confanno, la sua fisiologia migliori conducendo a una guarigione più rapida”. PARTE II

Riflessioni umane CAPITOLO 11

Medico vs Paziente UNA PRESSIONE SEMPRE CRESCENTE

n questo ventunesimo secolo, il solo avvento di internet ha cambiato il I rapporto tra il medico e il paziente. La grande quantità d’informazioni prima, immagini e video subito dopo, ha invaso le nostre vite e modificato il nostro modo di comportarci, influenzando come mai prima d’ora la costruzione del pensiero delle persone e arrivando a determinarne le azioni. Gli esempi di tutto questo sono davanti ai nostri occhi e tutti noi, a partire da me che sto scrivendo a voi che state leggendo, ne siamo affetti. L’umanità non ha mai avuto tanta informazione e tanta conoscenza a disposizione, in un modo così semplice, a distanza di un solo clic del mouse. Tutto questo, però, se indubitabilmente ha cambiato la storia, non ha portato a un’era di vero sapere diffuso. Anzi, sembra quasi che la troppa informazione insieme ai troppi stimoli stiano causando un problema di attenzione e minando la capacità di approfondimento. In realtà, da grandi poteri derivano grandi responsabilità, come Stan Lee, vero ultimo filosofo moderno, faceva concludere alla sua creatura, l’Uomo Ragno, nell’episodio del suo debutto. E così, servirebbe un grande sforzo di cultura da parte di ognuno di noi per sfruttare al meglio l’occasione del tanto sapere che la rete ci mette a disposizione. Per giudicare e selezionare le fonti di provenienza di un certo dato, comprendere cosa sia importante, e scartare cosa non lo sia, serve un grande sforzo culturale. Questo ragionamento è complesso, e porta lontano dagli obiettivi della nostra riflessione. Teniamone la parte più direttamente collegata al tema della salute. Mai come in questi anni l’opinione e il consiglio del medico sono state minacciate, confutate, discusse, non accettate e non seguite. Un concorrente subdolo del medico titolare si è insinuato nel pensiero del paziente e dei suoi cari, riversandovi valanghe di dati e letture le più contradditorie. Chi è questo concorrente? Ma Doctor Google, ovviamente. Con tutte le storture, le deviazioni, i dubbi interpretativi che porta con sé. Una volta il medico era una figura alta, dotata di un sapere esclusivo, portatore di un gene salvifico: la scienza. Il medico non poteva essere contraddetto, solo ascoltato. E i suoi dettami eseguiti senza esitazione o dubbio. Oggi, la rete soddisfa un bisogno primario essenziale: un paziente e/o un suo familiare ha la necessità di sapere, di capire meglio, di comprendere appieno la situazione in cui si trovi. La congestione dei sistemi sanitari e la conseguente compressione dei tempi d’incontro, affiancata alla vita frenetica di ognuno di noi, riducono in maniera estrema il momento di dialogo tra il paziente e il medico. Di conseguenza, la solitudine e l’ansia diventano stimoli ulteriori per ricerche e letture. Purtroppo a questo punto entrano in gioco altri due fattori: la democraticità della rete e la preparazione culturale specifica del paziente. La democraticità della rete entra in gioco perché permette diritto di cittadinanza a tutti i contenuti, belli e brutti, utili e inutili, più o meno affidabili. Anzi, grazie ai mille accorgimenti tecnici possibili, è altamente probabile che contenuti aziendalmente originati e commercialmente orientati abbiano più visibilità, siano cioè estremamente più facilmente rintracciabili di altri. La preparazione culturale specifica del paziente (unita alla difficoltà di realizzare un vero e proprio approfondimento) non è quasi mai sufficiente per distinguere e riconoscere cosa sia o non sia attendibile. Ma il risultato di queste ricerche affannose, di queste letture incomplete, di dati o storytelling inaffidabili, si trasforma, nella maggior parte dei casi, in un velo di dubbio nei confronti del medico e di quanto da lui affermato e consigliato. Da qui le fiammate inneggianti a protocolli di cura non scientificamente certificati o le crociate contro pratiche mediche oggettivamente tutelanti la salute sociale. Paradossalmente questo fenomeno, sotto gli occhi di tutti, è osservato (e cavalcato) anche da soggetti che fanno del settore della salute il loro obiettivo di esistenza. Le aziende attive, a vario titolo, in questo campo sono tutte impegnate a creare contenuti, articoli, video, cases histories. Il risultato è di andare ad alimentare, anche in buona fede, il comportamento distorto dei pazienti. Oggi, sempre più, il medico (e soprattutto la sua opinione) si trova sottoposto sotto una crescente pressione, sono tra l’incudine, costituita da quanto rintracciabile sul web, e le richieste martellanti dei pazienti, che arrivano a pretendere la prescrizione del tal farmaco o della tal procedura perché hanno visto, hanno letto, hanno chattato e ora loro sanno. E non vogliono che il medico si frapponga tra loro e la soluzione individuata. Che quindi il medico compia la sua parte notarile, scrivendo e prescrivendo, certificando. In tempi di malattia o scarsa salute, il medico una volta era il nume salvifico, mentre oggi rischia di essere schiacciato a semplice operativo, ratificante decisioni suggerite da un blog. Il medico deve quindi prendere coscienza che la rivoluzione digitale nel settore della salute diventa anche l’occasione per riconquistare il suo ruolo di preminenza, di guida. Purché sappia, con metodo e velocità, adeguarsi ai cambiamenti in arrivo.

MA IL MEDICO SCOMPARIRÀ?

La trasformazione digitale può impattare (e lo farà) in diversi modi sulla professione medica e sul ruolo del medico. Alcuni ritengono che il medico andrà scomparendo o quasi, principalmente perché tutta una serie di attività attualmente in capo al medico saranno realizzate da software o da processi che saranno integrati, spesso addirittura affidati, ai pazienti stessi. E tutto questo rappresenta uno dei grandi temi di discussione nel tentativo di previsione del futuro. Personalmente ritengo che si arriverà a un cambiamento deciso, un momento di forte discontinuità con il passato e una conseguente radicale trasformazione del ruolo e della figura del medico, ma senza arrivare a una sua scomparsa. Alcune considerazioni. Al momento il medico interpreta la gran parte delle informazioni a disposizione in modo retrospettivo: l’anamnesi come ricordo dei sintomi e su questa base avviene la formulazione d’interpretazioni diagnostiche e/o delle ipotesi di percorso diagnostico terapeutico, definendo anche un certo tipo di esami necessari appunto a confermare la diagnosi realizzata. Questo tipo di attività è destinato a rovesciarsi completamente, subendo una trasformazione radicale. Quel che accadrà sarà il passaggio da una medicina che è essenzialmente acuta – vedo qualcosa, c’è un problema, scatta la ricerca di una soluzione, in un rapporto uno a uno con chi ho davanti, cioè il medico, attraverso un qualcosa che molto spesso riguarda un mio ricordo, l’anamnesi, cioè il ricordo del sintomo (vale a dire, incontrare il medico e raccontare quello che ricordo del sintomo che ho osservato) – a un altro tipo di medicina. La Salute Digitale invece assomiglierà sempre di più a qualcosa legata ad aspetti anticipatori, a un’attività di tipo predittivo, basata su una grande mole di dati a disposizione. Andiamo verso uno scenario dove il medico riceve dal paziente il consenso di accesso per poter lavorare sui dati del paziente stesso, raccolti da devices, app e software, e resi disponibili in modo asincrono attraverso piattaforme. Con questi dati a disposizione, nonché l’ausilio di ulteriori specifici software e algoritmi, il medico sarà in grado di orchestrare l’intervento diagnostico terapeutico anziché fare ipotesi e inferenze come è avvenuto fino a ora. Un intervento diagnostico che sempre più spesso non sarà riparatore di un guasto, curatore di una patologia, ma sempre di più anticipatore dell’eventuale guasto o della possibile patologia, e così evitarne le nefaste conseguenze. O, nel caso di una propensione naturale, genetica, a una specifica patologia, ritardarne significativamente l’insorgenza. Inoltre, al momento questo tipo di attività è individuale, ma l’approccio predittivo e di analisi dei dati la renderà, nella maggior parte dei casi, multidisciplinare e multipla, con più medici a interagire nella gestione di ogni caso. Infatti, se io paziente ho la disponibilità di questi dati organizzati e posso dare accesso a più soggetti, probabilmente il rapporto uno a uno con il medico diventerà uno verso un care team, quindi ci saranno più soggetti che, per le loro competenze e in modo integrato, interverranno per risolvere il mio problema. Immaginiamo tutto questo applicato a livello globale. La prima grande conseguenza sarà per il medico un elevato risparmio di tempo, arrivando ad avere conseguenze anche sulla distribuzione dei medici stessi, permettendo, per compensare l’abbondanza o la scarsità dei medici, in relazione a una comunità o a un territorio, una più semplice possibilità organizzativa. Altra conseguenza è la modifica del rapporto con il personale di supporto al paziente: l’attuale classe infermieristica sarà altrettanto impattata dall’evoluzione digitale, andando a svolgere un ruolo nettamente più ampio rispetto all’attuale.

UN RAPPORTO PIÙ UMANO

Tutto questo riporterà il medico, proprio in virtù della maggiore disponibilità di tempo, a una capacità di gestione olistica del paziente molto più umana, caratterizzata dalla capacità di confrontarsi molto più sul piano empatico con il paziente stesso, e liberandolo dalle incombenze burocratico- amministrative cui oggi è obbligato a dare la maggior parte della sua attenzione.

VALIDAZIONE SCIENTIFICA NECESSARIA

Il nuovo ruolo del medico sfocia nella tematica della validazione degli interventi di Digital Health. Il cambiamento digitale in settori come la musica o i viaggi è semplicemente avvenuto per la capacità tecnologica di abilitare nuovi approcci, e ha dovuto al massimo superare scogli di protezionismo economico dei precedenti potentati. In un settore delicato come la salute, tutte le pratiche digitali – ovvero quelle di Digital Health – hanno necessità di una validazione scientifica di altissimo livello, proprio per la crucialità che le caratterizza. Una validazione rigorosissima, come avviene per i farmaci. Dopodiché, perché la conoscenza possa essere comune, la prima necessità riguarda la comunicazione degli interventi validati alla classe medica, e servirà capire come il medico possa rapportarsi a questo nuovo modo di portare assistenza. CAPITOLO 12

Vecchio Vs Nuovo ADEGUAMENTO NECESSARIO

uel che è certo è che lo sviluppo e l’affermarsi della tecnologia non si Q fermerà. La spinta delle aziende tradizionali (ovvero quelle già attive nel settore farmaceutico e degli apparecchi medicali) sarà affiancata da quella delle aziende più digitali (produzione di software, app e devices) e a queste si aggiungeranno le nuove aziende, le startup verticali del settore. Questa pressione d’innovazione alimenterà la naturale voglia di scoperta delle persone in una spirale autoalimentante di progresso. Lo sbocco di tutto questo sarà un’evoluzione prima dei desideri, e subito dopo dei comportamenti delle persone, che vorranno anticipare (nella speranza di evitarlo) l’eventuale stato di malattia. E questo processo è già in essere in tutto il mondo: come abbiamo visto nei capitoli precedenti, app e devices indossabili già monitorano e raccolgono dati su milioni e milioni di soggetti che, volontariamente, in modo automatico o semiautomatico, stanno costruendo attraverso un’immagine del proprio stato di salute aggiornata in tempo reale. Ma mentre tutto questo sta già accadendo intorno a noi, in ogni istante, quel che sembra restare uguale a sé stessa e immutabile è la figura del medico. Perché naturalmente il nuovo medico dovrà essere educato, formato alla nuova medicina. Ma al momento né il percorso universitario né quello post universitario di formazione sono aperti o improntati alla Salute Digitale. E questo è un grande problema. Un problema diretto per il medico, perché senza un’adeguata preparazione è destinato a perdere autorevolezza nel rapporto con il paziente. Ma allo stesso tempo è una complicazione per il paziente, che si trova a dover fare a meno di una guida illuminata e del relativo supporto. Analizzando le due situazioni sembrerebbe di poter dedurre che, nei fatti, la situazione del medico è di gran lunga quella più precaria e compromessa. La debolezza della posizione è duplice: da un lato il medico è lasciato solo a fronteggiare il colossale cambiamento di paradigma che si sta profilando e che si affermerà in breve tempo; dall’altro la possibilità di modificare la propria situazione va a necessariamente a coinvolgere realtà e istituzioni, come le università e i servizi sanitari nazionali, e le grandi aziende ospedaliere private, ovvero degli ecosistemi molto complessi e burocratizzati, sui quali il medico (anche in forma associata, come ordine nazionale e/o categoria professionale) non ha la forza necessaria per incidere.

SPERANDO IN UNA NUOVA FORMAZIONE

Per governare, o almeno prendere parte alla trasformazione digitale, la formazione è molto importante, anzi basilare. Oggi, nell’ambito dei sei anni di studi accademici, non è proprio prevista una formazione culturale e tecnica, una vera formazione digitale. Non un testo, non un esame. E anche andando a vedere i necessari successivi anni di formazione post universitaria, durante la specializzazione ci troviamo di fronte alla stessa identica situazione: nessun approccio, nessuna sperimentazione pratica. Al momento le speranze sono legate solo a qualche spurio volontario, magari motivato da una personale passione per le tematiche digitali, e che in qualche modo si tiene al passo. Ma anche questo fronte, per la mancanza di una visione d’insieme e della necessaria sistematicità di approccio, oltre a non essere assolutamente sufficiente dal punto di vista numerico, presenta gravi problematiche. Diversamente, oggi avrebbe molto senso introdurre insegnamenti specifici rispetto a tutta una serie di tematiche tecnologiche, e probabilmente (lo dico senza troppo timore) eliminare o ridurre la formazione su tematiche che si rivelano già datate nel momento in cui il medico si trovi a praticare la professione. Io credo che il medico avrà un ruolo enorme nel futuro, ma tanto per essere chiari sarà molto diverso da quello di oggi. Prendiamo il caso dell’interpretazione dell’esame per immagini: essere bravi in questo tipo di esami richiede una lunga esperienza, aver visionato un grandissimo numero di esami, saperli correlare con le diagnosi e riconoscere a colpo d’occhio le lesioni. Ma un software di image recognition che ha memorizzato 10 milioni d’immagini correlandole con delle diagnosi accertate nella storia e incrociandole, facciamo un esempio, con gli esiti delle biopsie, non può essere battuto da nessun tipo di medico. Semplicemente perché un medico non può vedere e imparare lo stesso numero di dati di una macchina. In un prossimo futuro, quindi, con meccanismi di questo genere avremo meno specializzazioni mediche di quel tipo, e molte di più invece, per esempio, nella capacità di creare una relazione e nell’aiutare il paziente a districarsi in tutta una serie di processi che per natura stessa della tecnologia diventano sempre più complessi. Sarà necessaria una formazione non solo legata alla salute digitale, ma anche a come via via la professione e l’attività medica evolverà nel tempo. Un altro esempio: esiste una startup molto interessante che ha realizzato una sorta di WhatsApp specifico per il medico, che permetta al care team all’interno di una struttura (o di più strutture che toccano lo stesso caso), di comunicare in modo sicuro e intelligente. In pratica anziché avere un messaggio che va stolidamente a 100 persone, il sistema invia il messaggio solo ai medici che possono essere, in maniera predittiva, interessati a quel messaggio in base ai dati della cartella clinica del paziente. Oppure: il sistema non invia la temperatura corporea di tutti i pazienti del reparto, ma solo di quelli che, per il tipo di situazioni in cui si trovano, rendano quel valore di temperatura effettivamente degno di nota. E ancora: quando un medico inizia il suo turno non avrà più bisogno di chiedere ai colleghi smontanti cosa ci sia da sapere, perché sarà già stato informato automaticamente da un solo messaggio, e comunque potrà agevolmente aggiornarsi semplicemente consultando la situazione di ogni paziente dal suo smartphone. Questo tipo di tecnologie genererà un empowerment della professione medica, garantendo a chi ne faccia parte una rilevanza molto più grande di quella di oggi, e probabilmente permetteranno al medico di fare per intero (e meglio) la sua professione.

SERVE UNO SFORZO CORALE

Probabilmente questo è il fronte più delicato, costituendo al tempo stesso una delle conseguenze più grandi e una delle trasformazioni più radicali provocate della rivoluzione digitale nel settore della salute. Due sembrano essere gli scogli principali: l’assunzione di responsabilità all’interno del “sistema di produzione dei medici”, e la velocità dei cambiamenti tecnologici (e subito dopo, conseguentemente, di comportamento sociale). Oggi, sia pure tenendo conto delle differenze esistenti tra i vari Paesi, i medici sono “prodotti” sostanzialmente in un modo: prima una formazione universitaria, quindi un training di specializzazione connesso alla relativa e specifica declinazione della professione medica che la persona ha scelto. La prima fase è appunto scolastica, mentre la seconda è più aziendale. E qui arrivano le maggiori differenze, a seconda di quanto l’università segua direttive statali o punti sui rapporti con le aziende per pianificare una formazione che sia ritenuta accettabile. Per non parlare poi di quanto possano differire le formazioni di specializzazione laddove siano realizzate in azienda o in struttura ospedaliera (e, poi, struttura ospedaliera privata o afferente a un servizio sanitario nazionale). In ogni caso, come detto, nulla in relazione a un approccio digitale alla salute è oggi affrontato. E in questo è insita una sfida speciale. Servirà infatti, per superare questo gap, un lavoro comune, corale, quasi di filiera. Aziende e università (come del resto già capita in altri settori, come per esempio l’ingegneria e la meccatronica) dovranno lavorare fianco a fianco, collaborare e gettare il cuore oltre l’ostacolo. E, data la delicatezza del settore, sempre sotto lo sguardo vigile, ma incoraggiante, dell’autorità statale. Anche perché la sfida è duplice. Infatti non si tratta soltanto di formare i nuovi medici in un nuovo modo, meglio orientato, ma anche (e forse per lo più) aggiornare chi medico lo sia già. Due percorsi molto differenti, che richiedono approcci diversi. CAPITOLO 13

Fiducia Vs Paura L’ORIZZONTE CHE SI PROFILA

uesta rivoluzione digitale della salute apre tanti nuovi quesiti. Q Fondamentalmente il cardine che vede i maggiori cambiamenti di paradigma rispetto a come conosciamo oggi il mondo della salute è rappresentato dalla maggiore mole di dati che saranno disponibili in relazione a una persona. Dalla raccolta di questa dati, e dal renderli disponibili, discendono direttamente i cespiti del cambiamento (come abbiamo visto, la medicina diventa predittiva) che impattano su nodi legali ed etici che andranno affrontati e risolti. Da un punto di vista prettamente pratico, i dati concernenti un paziente saranno in mano… al paziente stesso. Fondamentalmente perché sarà direttamente lui a raccoglierli e conservarli. Dopo di che consentirà l’accesso ai propri dati a un medico, a un ospedale, a più medici, al preparatore atletico, al nutrizionista, al dietologo e così via. Darà quindi vita a un care team che si occuperà di lui, consigliandolo passo passo, facendogli notare eventuali disallineamenti rispetto a una media corrispondente a uno stato di buona salute (ovviamente calibrato sulla sua età, sesso, attività, obiettivi, ecc.), e portandolo con suggerimenti e terapie a preservare lo stato di buona salute il più a lungo possibile. Certamente, anche con un approccio digitale alla salute, sarà fondante il tema della fiducia nel rapporto tra il paziente e ogni esponente del care team: fiducia nelle capacità del terapeuta, ma anche nel meccanismo relazionale e operativo messo in gioco. Perché sopravviene ovviamente anche un tema di privacy. Questa enorme mole di dati deve essere trattata con una sensibilità e una delicatezza di comportamenti connessi tutti da raffinare. La parte legale e la parte etica sono completamente nuove. Per esempio, nasceranno delle problematiche etiche che oggi sostanzialmente possiamo solo immaginare, ma che invece avranno una loro attualità: dalla gestione delle urgenze a quello della lista di trapianti, arrivando alla disponibilità e locazione delle risorse di cura. Un altro esempio si potrà prefigurare nel momento in cui avremo dati ambientali interpolati a dati genetici, in modo da avere un quadro sull’insorgenza e decorso di malattie, arrivando in questo modo ad avere tematiche legali, etiche e di amministrazione politica che dovranno essere gestite contemporaneamente. Negli Stati Uniti il processo di digitalizzazione e di fruizione dei dati della cartella clinica è prima rispetto al resto del mondo, e in questo momento è in atto un dibattito molto acceso su questo tema. Ci si chiede se il paziente debba avere la possibilità, in qualsiasi momento, di premere un bottone, e in modo sicuro entrare in possesso dei suoi dati dal sistema di cartella clinica informatizzata: di tutti i suoi dati, anche di quelli che in genere i vari care provider tengono gelosamente per sé. Ma la questione è anche un’altra: la cartella clinica informatizzata dovrebbe essere aperta a tutte le organizzazioni che ne richiedono la consultazione oppure dovrebbe esserci dei dati liberamente consultabili e altri che siano invece specifici e di proprietà di una data piattaforma? Si dovrà trovare una soluzione a tutte queste domande, e non solo negli Stati Uniti, ma in tutto il mondo. Bisognerà trovare un punto d’equilibrio tra le varie posizioni, ma ritengo anche che, per avere la possibilità di gestirle e utilizzarle nello sviluppo di soluzioni che vadano nel verso del bene comune, dovrà fare in modo che gran parte delle informazioni importanti debbano essere disponibili e aperte. Oggi tutti abbiamo una finger print digitale, navighiamo su internet e ci compare un banner proprio delle scarpe che avevamo in mente, proprio quelle che stavamo cercando, magari a un prezzo scontato. La cosa non ci sembra più strana, come ci appariva anni fa, anzi magari ci fa anche comodo. Sono le meraviglie della profilazione continua. E se la stessa cosa accadesse per la salute? Se a un certo punto apparisse un banner che dicesse “Sei preoccupato per il tuo tremore?” e cliccandoci sopra io avessi accesso a un test rigoroso e approvato scientificamente? Dopodiché potrei essere tranquillizzato dal risultato del test, oppure essere consigliato a prenotare una visita specialistica o un consulto video con un medico remoto e a un prezzo accettabile, senza l’obbligo di prenotare una visita, prendere l’auto per recarmi in uno studio e magari spendere molto di più. Cosa ne penserei di una cosa del genere? Mi darebbe fastidio? Mi farebbe paura? Oppure la troverei comoda e mi andrebbe bene visti gli indubbi vantaggi? È ovviamente una questione che va normata, ma mi sento di dire non solo che questo scenario si verificherà, ma che sarà anche un bene.

LE DUE FACCE DI UNA STESSA MEDAGLIA Facciamo un parallelismo e pensiamo alle assicurazioni auto. Ricordo ancora – io sono nato a Napoli e ho vissuto lì fino ai vent’anni – che un giorno mi arrivò una lettera della mia assicurazione in cui mi veniva comunicato che alla scadenza la polizza non mi sarebbe più stata rinnovata allo stesso prezzo dell’anno precedente, ma a uno molto più alto. Chiesi spiegazioni, dal momento che non avevo mai avuto un incidente. Mi risposero che statisticamente nella mia area si erano verificati tanti, troppi incidenti: quindi avrei potuto causarne anche io uno nell’anno a venire, cosa che innalzava il mio rischio assicurativo. Sebbene il ragionamento non fosse particolarmente brillante, dovetti rinnovare a un prezzo quattro volte più elevato rispetto a un automobilista che viveva a pochi chilometri di distanza da dove risiedevo io. Immaginiamo ora la scena lato “assicurazione salute”. Se una compagnia assicurativa vi dicesse che anziché assicurarvi a un prezzo “x” (magari esorbitante, visto che si basa sulle statistiche e l’aspettativa di vita di persone del vostro sesso e della vostra età), vi potrebbe assicurare a un prezzo “y”, molto più giusto e conveniente, a patto che voi indossiate un dispositivo wearable e utilizziate una data app che dimostri effettivamente quanta attività fisica svolgete e quale tipo di alimentazione seguite, voi che fareste? Beh, io ci starei... è un po’ quello che accade con le persone che accettano d’installare una scatola nera per avere un premio della RC auto più conveniente. In parallelo, però, pensate alla stessa assicurazione salute. Come abbiamo visto, la medicina della salute digitale sarà predittiva, perché potrà basarsi a costi sempre più bassi anche sulle analisi delle predisposizioni genetiche. Magari si può arrivare a determinare che un certo soggetto è altamente predisposto a patologie del sistema cardiocircolatorio. Sapendolo con anticipo, un care team potrà consigliare il soggetto per quanto concerne alimentazione, attività fisica e monitoring: in questo modo il rischio dell’insorgenza della patologia si abbasserà, si allontanerà nel tempo e, qualora dovesse comunque manifestarsi, avrà un livello minore di gravità. Ma questa persona, condividendo i propri dati con la società assicurativa potrebbe sentirsi proporre un costo di prestazione più elevato della media, proprio perché predisposto a una certa patologia. E questo fino al paradosso che alcuni soggetti potrebbero non trovare alcuna compagnia disposta ad assicurarli, oppure trovarsi di fronte a premi assicurativi talmente alti da non rendere pratica la sottoscrizione del contratto. CAPITOLO 14

Esponenziale Vs Incrementale UNA RIVOLUZIONE ANCHE ECONOMICA

l settore della salute, della cura della persona e delle cure mediche in I generale, è sempre stato per la sua strategicità un settore ad alta concentrazione d’interessi economici. Fin dall’antichità il ricorso alle cure di uno sciamano, di uno stregone, di un curatore o di un archiatra non ha mai visto limitazioni, perché quando una vita era in gioco si faceva di tutto per trovare i mezzi necessari al pagamento delle cure. Da sempre quindi il rapporto tra censo e possibilità di salvezza è stato strettissimo. È solo con il secolo dei lumi, e la successiva ondata ottocentesca di formazione delle nazioni (almeno per quanto riguarda il mondo occidentale), che si sono avuti i primi progetti di cura globale di una popolazione da parte di un’entità statuale. Le impostazioni dei vari servizi sanitari nazionali, che hanno visto la loro nascita e il loro sviluppo fino ai giorni nostri, è avvenuta principalmente nella seconda metà del diciannovesimo secolo. Ma è stato proprio questo affermarsi e svilupparsi dei servizi sanitari nazionali che ha portato alla crescita smisurata di un’economia sanitaria che ha finito per dare vita a colossi farmaceutici, a giganti dediti alla produzione di apparati, a filiere logistiche e specialistiche. Oggi questo è un mercato che vale nel suo complesso trilioni di dollari, ma il dato prettamente economico non è in grado di spiegare completamente il valore del settore. Strategicità e politica sono infatti due fattori assolutamente da non sottovalutare. La modernità ha visto, proprio grazie all’evoluzione della capacità di cura (vaccini, antibiotici, ecc.), insieme a una maggiore capacità di produzione alimentare, la chiave di volta per l’incremento della popolazione e per l’allungamento delle aspettative di vita. Tutto questo al punto che la popolazione mondiale è arrivata a raggiungere i 7,2 miliardi di unità nel 2015, e a far dire ai demografi che per il 2030 si aspetta un ulteriore incremento di 1,2 miliardi, per un risultato finale di 8,4 miliardi di persone sul pianeta. Questo dato è talmente gigante che non potrà non influenzare politica, economia, industria e ovviamente il comparto salute. La salute è un interesse totalmente trasversale a concetti quali sesso, religione, nazionalità, età, censo. Ovvero la salute interessa tutti, sempre, dovunque, comunque. Questo ne fa un settore chiave che vede l’interesse stratificarsi dalla singola persona al nucleo familiare, da un territorio a una nazione, da un continente all’intero consesso delle nazioni. Considerando quindi la raffinazione della logistica, la velocità di globalizzazione, la crescita di ricchezza di nazioni e continenti che fino al secolo scorso ritenevamo povere, si va semplicemente delineando un concetto rivoluzionario perché esponenziale: il mercato per un farmaco è tutto il mondo, semplicemente perché un raffreddore, un’influenza, una qualunque patologia è la stessa in tutto il mondo. E mentre fino a oggi una tale industria poteva produrre il farmaco e distribuirlo solo dove riusciva per accordi o logistica, con la tecnologia e il mercato globale può ora arrivare anche in tutti gli altri estremi del globo. Analogamente, sempre più con il progredire tecnologico, questo vale non solo per i prodotti come farmaci dispositivi o apparecchiature, ma anche per i servizi di un’azienda sanitaria se non del singolo medico. Se analizziamo le semplici conseguenze di tutto questo sul piano economico, possiamo facilmente renderci conto come le crescite dei fatturati attese siano potenzialmente enormi. Quindi fanno gola a molti: di qui la corsa di chi è già operante nel settore a delineare perimetri di mercato per accaparrarsi queste crescite, ma anche la tendenza di soggetti nuovi a entrare in questo mercato, siano essi di natura finanziaria o industriale in espansione. È ovvio che poter garantire a una popolazione un alto standard di cure significa determinare la salute, quindi la forza, di quella nazione. Questo è il livello politico sotteso al settore, e non fa altro che incrementarne esponenzialmente il valore economico. Tirando le somme la salute è sempre stata un comparto politicamente ed economicamente strategico, ma fino a oggi è cresciuto in maniera incrementale, paragonabilmente a quanto accaduto ad altri settori industriali. L’impatto delle tecnologie digitali (e del mutamento culturale che il digitale induce nelle persone e nelle società) provocherà (e i primi effetti già si vedono) una crescita economica, ma anche politica e strategica, non più incrementale ma esponenziale. Un po’ come quando si vanno a confrontare fatturato e numero di addetti di un colosso come Walmart, e fatturato e numero di addetti di un’azienda come Facebook, con il risultato di notare che ogni singolo dipendente di Facebook garantisce un fatturato di 2 o 3 ordini superiori rispetto a quanto riconducibile a ogni addetto di Walmart. Questo è quanto accadrà anche per l’evoluzione del comparto salute in tutto il mondo. La disruption generata dalla rivoluzione digitale porterà alla nascita di startup destinate a diventare colossi, e gli attuali giganti, se vogliono mantenere la loro preminenza, dovranno avere l’intelligenza di comprendere il momento. À GLI INVESTIMENTI IN SANITÀ DIGITALE NEL MONDO

Il 2017 è stato, per la digital health a livello mondiale, un anno da record, con finanziamenti che hanno toccato quota 11,5 miliardi di dollari (+35% rispetto al 2016) su 794 contratti firmati. Ma se il 2017 è stato l’anno degli investimenti, gli analisti considerano il 2018 come l’anno dell’affermazione e del consolidamento di questo settore, oltre ovviamente all’avvicendarsi di nuovi investitori che vedono, nella digital health, uno dei market principali e più attrattivi del breve futuro. E le previsioni dicono che nel 2024 il valore globale del mercato della digital health sarà di circa 400 miliardi di dollari. Sempre stando a ciò che gli analisti di mercato prevedono, le dimensioni del mercato della salute digitale cresceranno in tutte le aree del mondo. Tanto per fare alcuni esempi, in Giappone, grazie all’adozione di nuove tecnologie sanitarie e al miglioramento dell’attenzione del governo per ridurre i costi dell’assistenza sanitaria, cresceranno entro il 2024 di oltre il 29% superando i 20 miliardi di dollari. Analogamente, le dimensioni del mercato della salute digitale in Brasile sono state superiori a 843 milioni di dollari nel 2015, ed è previsto un aumento del 27,9%, Infine, la quota di mercato della sanità digitale in Sudafrica è stata nel 2015 superiore al 15% delle entrate regionali, ed entro il 2024 dovrebbe superare 1,2 miliardi di dollari. Tornando agli investimenti fatti, quella che si è vista negli ultimi 7 anni è stata una crescita costante e inarrestabile che trova i suoi primi riferimenti economici nel 2010, quando a fronte di 155 progetti finanziati, il valore globale degli investimenti era di “solo” 1,2 miliardi di dollari. Valori aumentati nel 2011: 2 miliardi di dollari investiti in 284 progetti, che divennero 2,3 miliardi (477 progetti) nel 2012, per poi salire a 2,9 miliardi (647) nel 2013. Flessione di progetti finanziati nel 2014 (596) ma sostanzioso aumento del valore economico complessivo, ovvero 7,2 miliardi di dollari, più del doppio rispetto all’anno precedente. Flessione globale nel 2016: 6,2 miliardi di dollari per 550 progetti, e infine appunto il 2017, considerato l’anno dei record con 794 progetti a fronte di 11,5 miliardi di dollari investiti. Figura 14.1 – Funding Snapshot: year over year (credits: StartUp Health Insights).

Gli esperti di finanza e di ict sono concordi nel dire che, mentre negli anni precedenti il settore è stato in crescita a livello d’investimenti, il 2018 sarà l’anno della “raccolta”, ovvero si avranno i primi significativi risultati quanto a fruibilità globale dei progetti di digital health. Restando al 2017, il flusso d’investimenti ha avuto una crescita particolarmente forte nel Q4, con un valore complessivo di 2.3 miliardi di dollari (+22% rispetto a Q3), per 227 accordi. Ma cosa ha giustificato una tale crescita nel Q4? Quali sono stati i trend e i temi che hanno dato questa ulteriore spinta agli investimenti? Nel Q4 2017 il Digital Health Market ha mostrato un deciso rafforzamento in queste aree:

• Infrastrutture: rispetto al quarto trimestre 2016 si è registrato un notevole miglioramento delle capacità d’interoperabilità e di analisi, con un conseguente aumento della diffusione di dati di genomica, dati clinici e altri Big Health data. • Differenze regionali: la diffusione delle innovazioni digitali legate all’ecosistema medico in paesi asiatici, del Sud Europa e in altre regioni sta aumentando vertiginosamente. • Risultati medici rilevanti: sempre più spesso ricerche mediche si basano su dati ottenuti attraverso la digital health. Gli attori del campo medico si rivolgono sempre più a soluzioni digitali, verificando in prima persona eventuali vantaggi clinici, economici e di qualità della vita per la popolazione interessata.

Analizzando nello specifico il flusso d’investimenti, ovvero in che modo siano stati ripartiti i fondi destinati alla ricerca nel digital health, si nota come il 26% del totale sia stato destinato a sole dieci aziende. Tra queste spiccano tre “giganti”, ovvero le aziende che singolarmente hanno ricevuto fondi per un valore superiore ai 300 milioni di dollari ciascuna. Stiamo parlando di Grail, Guardant Health e Peloton. La startup biotech Grail è nata in America nel 2016. È stata finanziata inizialmente con centinaia di milioni di dollari anche da noti filantropi come il fondatore di Amazon Jeff Bezos e il fondatore di Microsoft Bill Gates. Nel 2017, per portare avanti il progetto per la creazione di un test che permetterebbe, attraverso un semplice esame del sangue, d’individuare marcatori del cancro e quindi rilevare immediatamente la presenza, o la potenziale presenza, di questo male, ha ricevuto circa 1 miliardo di dollari. Guardant Health, azienda statunitense specializzata nelle biopsie liquide, sta lavorando al sequenziamento del Dna dei tumori, lavorando con un milione di pazienti affetti da cancro: l’obiettivo è l’introduzione di nuove forme di analisi per la diagnosi precoce del cancro. Il finanziamento ricevuto nel 2017 è stato di circa 350 milioni di dollari. Peloton, sempre statunitense, è invece un’azienda legata al wellness e non all’health, ma ha comunque ricevuto fondi per un totale di 325 milioni di dollari, e attualmente ha un valore di 1,25 miliardi di dollari. Come descritto, dei 3 giganti due si occupano di ricerca in ambito healthcare, Grail e Guardant Health, mentre Peloton si occupa di wellness. Nel grafico non è inserita Outcome Health, compagnia americana (valore 5 miliardi di dollari) in quanto nel 2017 ha ricevuto finanziamenti per un totale di 500 milioni di dollari ponendosi al secondo posto dopo Grail, ma è in corso una causa legale da parte di un gruppo d’investitori che si dichiarano truffati in quanto, secondo un’inchiesta del Wall Street Journal, i dipendenti della compagnia avrebbero manipolato e usato in modo impreciso i dati delle performance pubblicitarie. Figura 14.2 – Top 10 largest deals 2017 (credits: StartUp Health Insights).

Ecco alcuni esempi di aziende che hanno ricevuto finanziamenti di oltre 100 milioni di dollari ciascuna:

• Modernizing Medicine produce una EHR basata su dispositivi mobili per specialisti, ha raccolto 231 milioni di dollari dalla società di private equity globale Warburg Pincus. • Bright Health, la startup dell’assicurazione sanitaria con sede nel Minnesota che vanta un’esperienza “più intelligente e connessa”, ha raccolto un nuovo round di 160 milioni di dollari. • PatientPoint, la società con sede a Cincinnati, in Ohio, che realizza piattaforme di formazione e coinvolgimento per pazienti e fornitori, ha raccolto 140 milioni di dollari da Searchlight Capital Partners e Silver Point Capital. • Clover Health, una startup assicurativa con un’inclinazione al coinvolgimento del paziente, ha raccolto 130 milioni in un round guidato dall’investitore Greenoaks Capital Management. • PatientsLikeMe, che funge da informazione, supporto e studio della fonte di reclutamento per le persone che vivono in condizioni croniche, si è assicurata 100 milioni in nuovi finanziamenti.

La Figura 14.3 mostra nel dettaglio quali siano i settori e quanti fondi abbiano ricevuto nell’anno 2017 nell’ambito della digital health. Se ci si concentra solo sul valore generato dagli investimenti, si nota una leggera distinzione tra le voci (per quanto si stia comunque parlando di differenze che ruotano attorno alle centinaia di milioni di dollari), ma è il numero dei progetti finanziati quello che mostra una tendenza particolarmente forte verso la patient/consumer experience. 191 gli accordi stipulati rispetto ai 71 progetti finanziati per la salute personalizzata, 56 per i big data, 72 per i medical device e 77 per il wellness.

Figura 14.3 – Top 10 most active sectors 2017 (credits: StartUp Health Insights). La consumer experience è quindi, non solo il settore che ha ricevuto più fondi in valore assoluto, ma anche quello che ha visto più progetti dedicati. Altro dato molto interessante è quello che riguarda i flussi di lavoro, che risultano al sesto posto per valore complessivo d’investimento, ma a fronte di 161 progetti finanziati. Infine balza all’occhio il valore medio per singolo progetto legato alla formazione, ovvero una media di 48,7 milioni di dollari per ogni accordo stipulato (730 milioni di dollari globali per 17 progetti). I dati legati ai singoli specifici settori possono far comprendere l’enorme flusso d’investimento che ruota attorno alla digital health e quali siano i principali trend, ma sono dati globali, e quindi non spiegano come le singole nazioni si stiano muovendo in tal senso. Ciò detto, i servizi direttamente legati alla persona sono i settori che maggiormente interessano gli investitori e che fondamentalmente più interessano il “consumatore” finale. A livello di singolo paese, l’America e la Cina sono le nazioni che muovono più flussi di investimento, e ciò avviene per due fondamentali motivi: l’America è motore trainante globale delle innovazioni digitali (si consideri già solamente la concentrazione di aziende tech nella Silicon Valley, California) capeggiati dai colossi quali Amazon e Google, mentre la Cina dimostra ancora una volta di più di avere buon occhio per ciò che riguarda i trend finanziari, unito al costante “appetito della tigre” che porta a “nutrirsi” di nuovi mercati. Ne è un esempio Tencent, colosso della tecnologia con più di 500 miliardi di dollari di capitalizzazione (ha da poco superato Facebook), che sta volgendo il proprio sguardo all’healthcare con una sempre maggiore partecipazione in termini d’investimenti, acquisizioni e fusioni. Anche la Cina però sta diventando motore dell’innovazione, e c’è più di un analista che pensa che il mercato del tech, in termini di sviluppo progetti e lancio di prodotti, vedrà tra non molto spostare la leadership a favore del gigante asiatico a scapito degli Stati Uniti. L’America, o meglio i colossi americani, non stanno però a guardare: nell’ultimo anno Amazon ha ottenuto diverse licenze come farmacia all’ingrosso in un certo numero di stati americani, portando alla speculazione che la società potrebbe entrare nel mercato farmaceutico. Amazon all’inizio però non utilizzerebbe le licenze per vendere e archiviare farmaci soggetti a prescrizione, bensì secondo la società d’investimento Jeffries, probabilmente inizierà a vendere e spedire i dispositivi medici e i prodotti farmaceutici privi di obbligatorietà di prescrizioni mediche. Ma il passo per diventare una “farmacia digitale” è già stato fatto. Così come non è un segreto che sia Apple che Google abbiano da tempo focalizzato la loro attenzione verso il digital health market. Per oltre 10 anni c’è stata una guerra per determinare quale delle loro rispettive piattaforme smartphone avrebbe guidato il mercato, questa competizione potrebbe presto salire di livello. Da notare infine che nei primi 11 mesi del 2017, 10 delle più grandi aziende tecnologiche negli Stati Uniti sono state coinvolte in operazioni di health equity per un valore di 2,7 miliardi di dollari, rispetto ai soli 277 milioni per tutto il 2012 secondo i dati di CB Insights, una società di ricerca che traccia il capitale di rischio e le startup. Detto questo, se escludiamo l’America, che attrae il maggior numero d’investimenti globali e si guarda a livello mondiale (Cina compresa), si può notare come ci siano nazioni che si stanno muovendo, e molto velocemente, per ciò che riguarda gli investimenti nel settore digital health. Più precisamente, le singole città (attraverso aziende site in loco) mostrano alcuni dati particolarmente interessanti.

Figura 14.4 – International Metro Hubs 2017 (credits: StartUp Health Insights).

Come già detto la Cina, più nello specifico nelle aree di Pechino, Shanghai e Hong Kong, è l’indiscusso leader di questa classifica extra-USA, con poco meno di 900 milioni di dollari di investimenti e un totale di 22 accordi. Pechino (647 milioni di dollari, 15 accordi) si pone al primo posto non solo in Cina, ma anche a livello globale (sempre escludendo i conglomerati americani della California e delle regioni di New York e Chicago). Al secondo posto, a livello di nazione, troviamo Israele con 350 milioni di dollari investiti. Data la storica eccellenza delle aziende israeliane nel campo della ricerca medica, associato a un livello tecnologico da sempre tra i più avanzati del mondo, anche questa notizia non sorprende. Tel Aviv e Haifa sono ovviamente le città di riferimento, rispettivamente con 146 e 208 milioni di dollari. Sorprende la disparità quanto al numero di accordi stipulati: 17 a Tel Aviv, solo 3 ad Haifa. A livello di città, al primo posto in Europa troviamo Londra, con un complessivo di 189 milioni di dollari investiti a fronte di 22 accordi stipulati. Per quanto il valore economico non sia elevatissimo, sorprende il numero di accordi d’investimento, che equivale al complessivo cinese, sebbene i capitali spesso provengano da finanziarie russe, arabe e cinesi stesse, che confermano Londra e il Regno Unito come mercato ancora molto appetibile al di là dei risvolti finanziari che la Regina e i suoi sudditi dovranno affrontare a seguito della Brexit. Per ciò che riguarda gli investitori, ovvero le aziende che hanno direttamente finanziato compagnie di digital health, si confermano ai primi posti, rispetto al 2016, Khosla Ventures e GE Ventures, entrambe statunitensi. Khosla Ventures con 10 progetti, si posiziona al primo posto, mentre GE Ventures scala al terzo (secondo nel 2016) con 9 progetti. Al secondo posto del 2017 troviamo Founders Fund (USA), anch’essa con 9 progetti finanziati, ma di livello superiore quanto a stage di realizzazione. Dato interessante è una flessione decisa di Khosla e GE quanto a progetti finanziati rispetto al 2016: Khosla Ventures ne aveva finanziati 15, mentre GE Ventures addirittura 18. Sono però le uniche tra le top 10 ad aver diminuito il numero di progetti finanziati a cavallo dei due anni, infatti tutte le altre hanno aumentato il numero di accordi, segno questo di una tendenza globale in crescita di questo settore. 21 aziende hanno investito in più di 6 progetti l’anno, raddoppiando il 2016 e ponendosi alla pari con l’attività del 2015. Con un aumento del 37% nel conteggio totale degli investitori, il 2017 ha portato un entusiasmante aumento di nuovi investitori nel settore della salute digitale. Figura 14.5 – Most active investors 2017 (credits: StartUp Health Insights).

LO STATO DELL’INNOVAZIONE DIGITALE DELLA SANITÀ ITALIANA

Una recente ricerca dell’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità della School of Management del Politecnico di Milano, pubblicata nel maggio del 2017, ha fotografato in maniera piuttosto precisa lo stato dell’innovazione digitale della Sanità italiana per l’anno 2016. Si tratta di un processo che si sta facendo man mano più ampio, anche se probabilmente si potrebbe fare di più, specie se si getta uno sguardo fuori dai confini nazionali, dove il treno del digitale sembra viaggiare più spedito. Ma ci sono anche tante luci, ed è queste che ci piace guardare, consapevoli che la rivoluzione digitale non solo è già in atto ma che è anche impossibile fermarne l’avanzata e gli sviluppi futuri. Secondo lo studio dell’Osservatorio Innovazione Digitale nel 2016 in Italia sono stati spesi complessivamente 1,27 miliardi di euro per la digitalizzazione della Sanità. Di questi: 870 milioni di euro sono stati spesi dalle strutture sanitarie, poco più di 300 milioni dalle regioni, 72 milioni dagli oltre 47mila medici di medicina generale e 16 milioni e mezzo, circa, direttamente dal Ministero della Salute. Il campo dove è maggiormente evidente il ricorso all’innovazione digitale da parte delle varie strutture sanitarie riguarda la conversione alla cartella clinica digitale: solo nel 2016 sono stati spesi per questo obiettivo circa 65 milioni di euro, più che nel 2015. Dalla ricerca si capisce anche come le varie direzioni delle strutture sanitarie abbiano ben presente quanto sia importante offrire servizi digitali ai cittadini: nel 2016, infatti, per migliorare l’offerta su questo fronte, sono stati investiti 14 milioni di euro. Il risultato è che oggi in Italia, l’80% delle strutture sanitarie consente il download dei referti via web, mentre il 61% delle strutture accetta prenotazioni via internet. Anche le varie regioni italiane si stanno muovendo bene, soprattutto sul fronte del Fascicolo Sanitario Elettronico (di cui abbiamo parlato nel capitolo “Servizi”) e in generale sulle riforme sanitarie che hanno il merito di condurre a una maggiore aggregazione delle strutture sanitarie e a un’integrazione più efficace tra ospedali e territorio.

Figura 14.6 – L’innovazione digitale della Sanità italiana: la suddivisione della spesa complessiva (credits: www.osservatori.net).

Chi cavalca, e bene, il fronte digitale sono soprattutto i medici e i cittadini italiani, sempre più “digitali” nel campo Salute: dallo studio emerge come i medici siano sempre più attenti alle tecnologie soprattutto per acquisire informazioni o comunicare. Oltre il 50% dei medici di medicina interna e il 40% dei medici di medicina generale utilizzano app per aggiornare le loro competenze, mentre il 42% degli internisti e il 53% dei medici di medicina generale usano WhatsApp per comunicare con i pazienti. Per quanto riguarda i cittadini italiani, il 51% di loro nel 2016 ha usato almeno un servizio online in ambito sanitario, in particolare per informazioni sulle strutture e per prenotare online esami e visite. A confermare questo trend è lo stesso Mariano Corso, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità: “Gli italiani, come dimostra l’uso crescente delle App per il monitoraggio dello stile di vita, utilizzano già ampiamente le tecnologie digitali in ambito sanitario, soprattutto per controllare il proprio stato di salute. E i medici sono già ampiamenti ‘digitali’: comunicano e condividono documenti e immagini con il paziente attraverso canali ‘non convenzionali’, come email, SMS e WhatsApp, e utilizzano App per aggiornare le proprie competenze”.

I campi d’investimento del digitale in Italia Come già accennato, le Direzioni aziendali delle strutture sanitarie, per supportare gli obiettivi strategici, riconoscono un ruolo chiave alla Cartella Clinica Elettronica (CCE), tanto che gli investimenti in questo settore sono stati di circa 65 milioni di euro nel solo 2016. Già molto diffuse le funzionalità di consultazione on line dei referti, tanto che l’88% delle strutture si è già dotata di questa funzionalità. Dove sicuramente si può migliorare è nella gestione del diario medico, infermieristico o nella gestione della farmacoterapia, attualmente presenti nel 40% delle strutture, un numero che non facciamo fatica a immaginare crescerà nei prossimi anni.

Il mobile nella Sanità italiana Il rapporto dell’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità cerca di fare luce anche sull’uso delle tecnologie “mobile” da parte delle strutture sanitarie. Emerge che il 26% le ritiene rilevanti, in netta crescita rispetto al 2015, così come cresce, sempre rispetto al 2015, sia il numero delle aziende che le utilizzano per accedere a funzionalità della Cartella Clinica Elettronica sia la spesa dedicata a questo ambito (12 milioni di euro contro i 9 milioni del 2015).

Big Data Analytics & Business Intelligence L’ambito dei Big Data Analytics & Business Intelligence rappresenta un’area strategica, per la quale sono stati investiti, nel 2016, 15 milioni di euro e su cui il 44% delle aziende prevede di aumentare gli investimenti nel corso del 2017. Nelle applicazioni di Business Intelligence, le principali fonti di dati usate per analizzare le informazioni riguardano i database amministrativi, utilizzati nel 78% delle aziende del campione per supportare, per esempio, l’attribuzione del raggruppamento omogeneo di diagnosi, il controllo di appropriatezza e l’analisi di cruscotti di indicatori (KPI). Il campo dove è auspicabile un incremento di sviluppo nel breve periodo riguarda le applicazioni di Business Intelligence che utilizzino i dati provenienti dai Social Media e dalla strumentazione “wearable”. Particolarmente interessanti sono le informazioni contenute nelle cartelle cliniche elettroniche sulle quali già oggi il 30% delle aziende sanitarie sostiene di voler investire nei prossimi due anni per sviluppare sistemi di Big Data Analytics che analizzino tali dati.

Il “Patto per la Sanità Digitale” Il 7 luglio 2016, a due anni dalla sua presentazione, è stato approvato in Italia il “Patto per la Sanità Digitale in Conferenza Stato-Regioni” attraverso il quale è sancita l’importanza dell’innovazione digitale per il miglioramento della qualità e dell’efficienza del sistema sanitario italiano. Figura 14.7 – Lo stato di attuazione del Fascicolo Sanitario Elettronico nel 2016 (credits: AGID – monitoraggio avanzamento crescita digitale).

A partire da quella data, per permettere l’attuazione di iniziative nel campo digitale, si sono messe in moto una serie di azioni di tipo economico. Più nel dettaglio:

• 21 milioni di euro per il periodo 2016-2023 all’interno del Programma Operativo Nazionale di Governance denominato “ICT per la Salute”. In questo caso l’obiettivo è la riorganizzazione e l’innovazione dei processi gestionali mediante l’adozione, in ambito regionale, di soluzioni digitali. • 2,5 milioni di euro annui a decorrere dal 2017 previsti nella Legge di Bilancio 2017 per la realizzazione dell’infrastruttura nazionale necessaria a garantire l’interoperabilità dei Fascicoli Sanitari Elettronici regionali (di cui abbiamo parlato anche nel capitolo “Servizi”).

Come cittadini e i medici utilizzano il digitale in Italia L’indagine condotta dall’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità in collaborazione con Doxapharma su un campione di 1.000 cittadini, statisticamente rappresentativo della popolazione italiana, evidenzia come il 51% degli italiani abbia usato, nel corso del 2017, almeno un servizio online in ambito sanitario, un trend in aumento rispetto al 2016. Risulta piuttosto normale che il livello di utilizzo risulti maggiore tra i cittadini laureati o di età compresa tra i 25 e i 54 anni: questa fetta di cittadinanza rappresenta infatti coloro che, per motivi più o meno variegati legati all’età, inizia ad avere bisogno di accedere ai servizi sanitari, ed è sostanzialmente abituata all’utilizzo di soluzioni digitali nel corso della vita di tutti i giorni. Un uso molto diffuso è quello rappresentato delle app per il controllo del proprio stato di salute e il monitoraggio dello stile di vita: le app più diffuse sono quelle per monitorare gli allenamenti e la quantità di passi giornalieri realizzati (il 13% del campione), quelle per testare le proprie abilità mentali (11%), quelle per controllare i battiti cardiaci (10%), le calorie (8%) e il sonno (4%). Parallelamente anche i medici sono sempre più aperti e interessati alle tecnologie digitali e, in particolare, al mondo delle app. L’indagine condotta dall’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità in collaborazione con la FIMMG (Federazione italiana Medici di Medicina Generale) e Doxapharma su un campione di 540 medici di medicina generale attraverso la, e su 229 medici di medicina interna attraverso la collaborazione con FADOI (Federazione delle Associazioni dei Dirigenti Ospedalieri Internisti) e Digital SIT. Quel che emerge è che il 52% degli internisti e il 39% dei medici di medicina generale utilizzano app per consultare informazioni e linee guida, e rispettivamente il 45% e il 32% per visionare articoli scientifici, report, ecc. Un dato interessante riguarda l’uso di WhatsApp, la ben nota app di messaggistica istantanea: il 42% degli internisti e il 53% dei medici di medicina generale la utilizzano per comunicare con i propri pazienti, anche se si tratta di un canale “non certificato”: “Secondo i medici intervistati, il principale beneficio derivante dall’utilizzo di WhatsApp è l’efficacia dello scambio di dati e immagini, che spesso consente al paziente di evitare una visita” come spiega Paolo È Misericordia Responsabile del Centro Studi della FIMMG. È comunque un passo avanti, anche se il futuro, l’abbiamo visto nei capitoli precedenti, ci propone soluzioni ancora più efficienti che non tarderanno a entrare nella vita quotidiana sia dei medici sia dei cittadini.

Un’ultima considerazione generale Il comparto sanità in Italia vale complessivamente poco più di 190 miliardi di euro l’anno. A questa cifra si arriva considerando due addendi di base: il valore degli stanziamenti statali e il totale delle spese dirette dei cittadini. Il fondo di accantonamento globale per la sanità dello stato italiano è arrivata alla cifra monstre di 140 miliardi di euro l’anno, facendone uno dei settori nevralgici della spesa pubblica, della battaglia politica tra Stato e regioni, nonché della competizione elettorale tra schieramenti politici. Instat informa però che gli italiani sono costretti a integrare i servizi garantiti dallo stato con contributi e spese diretti, e l’out of pocket nel 2017 è arrivato a quota 50,2 miliardi di euro. Ovviamente con la trasformazione digitale del comparto salute queste cifre sono destinate a cambiare. Il pessimismo imperante è composto di annunci tutti allineati sull’abbassarsi della quota statuale e l’incremento cui sarebbe destinata la quota a carico dei cittadini. Ma la rivoluzione digitale potrebbe aprire orizzonti attualmente non previsti, portando anche a un sensibile abbassamento della spesa complessiva, nonché a un miglioramento della qualità dei servizi garantiti e offerti. CONCLUSIONI

Una rivoluzione positiva UNIRE I PUNTINI

irare le somme delle tante riflessioni fatte fino a qui non è T semplicissimo, ma nemmeno impossibile. Più che dedurre delle conclusioni si tratta soprattutto di unire i puntini e osservare, non senza meraviglia, la figura che appare. Una figura molto diversa rispetto a quella a noi oggi nota del concetto di cura. Abbiamo a che fare con un totale cambio paradigmatico, una vera e propria rivoluzione che sarà anche tecnologica, ma non completamente. La vera (e più complessa) trasformazione dovrà essere e sarà mentale, culturale. Quindi se l’innesco è guidato dal digitale, il vero nodo sarà umano. Perché umano deve essere il cambiamento più profondo. E, sia pure partendo dagli addetti ai lavori, umani saranno i protagonisti. Tutti noi, infatti, nessuno escluso, concorreremo a estendere, velocizzare e completare questa rivoluzione. Un concetto strano cui fare caso è appunto dovuto alla natura stessa di un cambiamento originato dall’adozione di logiche digitali. Una delle caratteristiche base dei processi digitali è che operano su grandi numeri di utenti, e questo fatto comporta che l’arrivo del cambiamento sia inevitabile per ognuno di noi. Cioè il cambiamento si annuncerà, si manifesterà e si compirà indipendentemente dalla nostra singola volontà. Volenti o nolenti dovremo farci i conti e, in questo momento, si potrebbe quasi esagerare affermando che nessuno sia troppo malato o troppo anziano per potersene disinteressare. Al contempo, sempre facendo conto e leva sulla natura di un cambiamento mosso da logiche digitali, ognuno di noi potrà esserne parte e motore semplicemente adottando un nuovo comportamento, scaricando un’app, usando uno strumento di rilevamento dati. Quindi, possiamo scegliere se subire questa trasformazione o diventarne nel nostro piccolo protagonisti, studiarla, informandoci, incoraggiarla, sfruttandola. Fino anche a pretenderla, facendo pressione sul medico, sulla struttura sanitaria, sull’amministratore pubblico chiamato a deciderne.

LE CINQUE RIVOLUZIONI Il cambiamento radicale che sta per avvenire nell’ecosistema della salute può essere suddiviso e distinto in cinque differenti rivoluzioni. Queste rivoluzioni costituiscono l’essenza del cambio di paradigma cui ci stiamo accostando e al cui completamento parteciperemo tutti noi, con i nostri comportamenti. Le cinque rivoluzioni avranno velocità diverse, si realizzeranno in maniere parallele tra loro, ma anche interagenti, influenzandosi a vicenda. Può non essere semplice distinguerle tra loro, ma sintetizzano lo sforzo culturale e d’innovazione necessario. Vedendole in dettaglio possiamo renderci conto come si tratti di caratteristiche della medicina, così come noi la conosciamo oggi, rispetto a quelle che avrà a breve grazie all’approccio digitale alla salute. Quindi possiamo analizzarle una per una, a partire dal presupposto che la medicina era, la medicina sarà.

Acuta versus Preventiva Oggi tutta la medicina è acuta (anche quando andiamo a considerare situazioni croniche, in realtà parliamo di situazioni di emergenza. Cronica è la situazione del paziente, una situazione con cui è costretto a convivere e che è diventata la sua “normalità”. Quando questa situazione di base si complica per un picco patologico, ecco il ricorso alla medicina, che è quindi acuta, di emergenza). La medicina di oggi è tutta impostata su interventi a posteriori di un evento. Infatti anche il linguaggio della medicina odierna riflette questo aspetto: il medico parte dall’anamnesi, ovvero dalla ricostruzione, dal ricordo di quanto sia avvenuto. La medicina del futuro, diversamente, sarà preventiva. Poiché basata sull’analisi di dati e di predisposizioni, la medicina di domani non dovrà correggere qualcosa che non funziona o che si è guastato, ma preoccuparsi di migliorare la nostra qualità di vita e ritardare o non far affatto insorgere tutta una serie di patologie.

Osservativa versus Basata su Dati Oggi la medicina è ancora basata sull’osservazione del paziente e di quanto possa essergli occorso. Anche quando si effettuano esami di laboratorio o diagnosi per immagini si “osserva” una parte di un sistema infinitamente più complesso. In piccolissima parte già oggi, domani in senso assolutamente generale, invece, ogni persona potrà collezionare in maniera automatica o semiautomatica, una grande mole di dati che la riguardano, e fare in modo che questi vengano analizzati in tempo reale, in modo da segnalare qualunque variazione significativa.

Uno a Uno versus Collettivamente Originata Ovviamente già oggi, con la letteratura medica, si collezionano risultati e storie mediche dedicate a tutte le patologie. Ma al momento del trattamento di un paziente si farà riferimento soltanto a lui, alla sua specifica situazione. Immaginate quanto possa essere più definito il quadro della situazione se, grazie alla consultazione e al filtraggio di dati omogenei universalmente raccolti, fosse possibile accedere in tempo reale a migliaia di situazioni analoghe.

Retrospettiva versus Predittiva Nei prossimi anni sarà sempre più semplice e incredibilmente meno costosa l’analisi genetica. Basta quindi con le domande sulla salute di genitori, nonni e avi per cercare di avere un’intuizione e immaginare una storia. Con il progredire della genomica, sarà molto semplice sapere a quale tipo di patologie siamo predisposti, e quindi mettere in atto tutele, comportamenti e accorgimenti preventivi. E qualora una patologia si riveli inevitabile a causa della nostra estrema predisposizione, avremo una serie di aiuti, stimoli e insight per comprendere e gestire al meglio il problema.

Frammentata versus Integrata Come detto, le cinque rivoluzioni sono tra loro diverse ma interagenti e probabilmente questo loro essere collegate si comprende al meglio analizzando questo specifico cambiamento di paradigma. Sostanzialmente oggi, in un momento normale, una persona non si cura. Quando avviene un malfunzionamento del corpo, quando c’è un guasto, la persona si attiva e ricorre al medico. Un po’ come se portasse l’auto a riparare. Per uno sportello ammaccato si ricorre al carrozziere, per la batteria scarica all’elettrauto, ecc. Analogamente si sceglie l’otorino piuttosto che l’ortopedico. Domani avremo invece un approccio più completo, integrato. Perché la medicina, grazie alle impostazioni predittive e preventive, grazie alla disponibilità continua e costante di dati, sarà più tesa a fornire indicazioni e stimoli per affinare e mantenere uno stato di buona salute. Ma uno stato di buona salute integrale, riguardante in contemporanea tutti gli aspetti fisici.

DIGITALE = PIÙ UMANITÀ, OVVERO LA SESTA RIVOLUZIONE

La rivoluzione più importante, il paradigma che cambierà all’ennesima potenza è però un altro, e per sua natura è il nodo più cruciale, ma anche quello meno scontatamente predicibile. Gli attuali sistemi sanitari, ancorché molto diversi tra loro, sono accomunati da una caratteristica comune: non sono in grado di garantire prestazioni universali o, per lo più, non sono in grado di farlo in maniera pratica ed efficiente. In tutto il mondo occidentale si discute di organizzazione, di economia della salute, mentre una è la condizione universalmente valida: chi ha mezzi può curarsi e si cura, chi ha meno mezzi o non ne ha, fa rientrare la propria salute tra i beni su cui valutare il risparmio. D’altra parte qualunque sistema sanitario si trova ormai a dover trovare, con estrema fatica, un equilibrio tra la crescita del numero degli assistiti e il loro costante invecchiamento, e il naturale e giusto desiderio delle persone d’invecchiare, appunto, al meglio possibile. La proliferazione di condizione patologiche e le esigenze pubbliche sempre più ampie, sempre tese a cercare le ultime soluzioni, costituiscono una sfida irrisolvibile, primariamente dal punto di vista finanziario, ma subito dopo anche da quello dell’erogazione dei servizi. Irrisolvibile senza un vero cambiamento di scenario. Modificare le attuali disfunzioni dei servizi sanitari è possibile grazie alle tecnologie. E nei capitoli precedenti abbiamo visto come questo stia avvenendo e avverrà in vari settori specifici, e soprattutto come avverrà nella mentalità, nel modo di pensare e approcciare questa sfida. Ma grazie alle tecnologie ci sarà anche un altro cambiamento, conseguenza diretta della ristrutturazione dei servizi, ma probabilmente ancora più epocale: grazie alle tecnologie i servizi sanitari diverranno anche più umani, recuperando un livello di empatia mai raggiunto nel secolo scorso. Un paio di esempi per capirci. In un mondo in cui si possono prenotare voli low cost o scegliere una camera d’albergo grazie a una (banale ma evoluta) piattaforma di booking, le liste di attesa nel settore salute semplicemente non hanno più diritto di cittadinanza. Basterebbe che ogni macchinario tac o risonanza magnetica (ma l’esempio vale per altre risorse, da una sala operatoria a una macchina per la dialisi) fosse connesso alla rete (non sentiamo forse parlare ogni giorno di IoT, Internet delle Cose?) in modo da rendere consultabili momenti occupati e momenti disponibili per consentire prenotazioni. Questo già avviene, all’interno dei servizi sanitari, con meccanismi farraginosi e soprattutto non aperti, non dialoganti tra loro. Se questa apertura si realizzasse (e si realizzerà), ben presto qualcuno svilupperà una piattaforma indipendente di booking dei servizi e delle prestazioni sanitarie (e non è detto che qualche startup non lo abbia già fatto proprio mentre state leggendo queste righe). Cosa vorrebbe dire ciò? Che ognuno di noi potrebbe trovare la TAC libera più vicina, sia nel senso di chilometri sia di giorni di calendario, e magari spostandosi poco avere la possibilità di realizzare l’esame necessario senza dover attendere disponibilità inumane. Questo faciliterebbe anche il confronto tra tac e tac, riguardo la qualità del servizio e dei relativi costi, contribuendo così a far nascere una competizione reputazionale tra vari centri, che sia tutta a vantaggio dell’utente dei servizi. La salute di una persona, come la sua rete sociale, è influenzata da una serie di aspetti, quali il reddito, i luoghi di nascita e residenza, l’alfabetizzazione, ecc. Quando una persona ha un problema di salute, la reazione base è l’attivazione della rete sociale, familiari, amici, persone conosciute in modo da arrivare a medici conosciuti. Queste pratiche consentono in modo relativamente breve di arrivare al medico congruo per il problema in atto, magari anche saltando alcune code perché qualcuno nella nostra rete sociale ce lo presenta e ci introduce. In questo caso l’aspettativa di guarigione è piuttosto alta. Ma è soprattutto molto diversa rispetto a quella di una persona che, dopo la comparsa di un problema, attende qualche settimana, perché non è sicuro dei sintomi, per poi decidersi a vedere il medico di medicina generale, che magari gli prescrive degli esami, che fanno poi arrivare la persona da uno specialista. Quindi sei o dodici mesi dopo sta ancora brancolando nel buio, o è comunque lontana dalla soluzione del problema: un lasso di tempo che con alcune patologie può essere nefasto. Perché la tecnologia è così importante nell’ambito di questa trasformazione radicale della salute? Perché, come l’OMS ha da tempo pubblicato, i determinanti della salute umana sono solo in parte legati agli aspetti – passate la semplificazione – biologici, per esempio quelli genetici. Tutti gli altri sono indipendenti da questo. Qualsiasi problema di salute una persona possa avere, la prognosi è influenzata da una serie di fattori: per esempio il reddito, la conoscenza del posto giusto a cui rivolgerti al momento giusto; e chiunque di noi nella sua vita ha avuto esperienze del genere e lo potrà constatare molto facilmente. È stato cioè dimostrato come per la maggior parte la prognosi sia influenzata da questi aspetti: la disponibilità del farmaco, l’accessibilità, la possibilità di acquistarlo e così via. Prestissimo, però, le tecnologie si occuperanno di tracciare i nostri dati passivamente, e al contempo di darci indicazioni sui corretti stili di vita, e alla presenza di taluni sintomi spingerci subito a fare i corrispondenti esami, magari autonomamente. E dagli esami avremo l’individuazione del problema e nello stesso istante saremo messi in contatto con il medico giusto, in tempi molto rapidi perché le disponibilità di quel medico sono ottimizzate da un sistema di capacity management (come capita per esempio per l’assegnazione dei posti in aereo). Quel medico prescriverà una terapia che potrà essere realizzata a casa, grazie agli opportuni devices, che consentiranno anche la monitorizzazione a distanza. Ecco, quando (non se, quando, e il quando è molto prossimo) le tecnologie consentiranno il realizzarsi di questo scenario, è allora chiaro che un sistema sanitario potrà erogare le migliori cure a un grandissimo numero di persone (se non tutte) a costi sostenibili per il sistema. Tutto questo libererà energie che consentiranno alle persone di confrontarsi sugli stati di salute, di poter comunicare, di poter ricevere empatia. Permetterà, anche in situazioni gravi, la collaborazione con caregivers e provider di cura su un livello estremamente più umano, proprio per il venir meno di complessità, della burocrazia, delle lentezze, delle paure, delle ansie, di incertezze, di procedure subottimali, della mancanza di informazioni, della maleducazione che affliggono l’attuale sistema sanitario. L’efficienza intrinseca del sistema spazzerà via queste brutture, lasciando spazio al ritorno a una sanità più umana. Ricapitolando tutto quello che potrà diventare digitale lo diventerà sicuramente. Per anni da quando ho cominciato mi sono sentito dire: non succederà mai, questa cosa non si può fare, questa cosa non si può digitalizzare, questo funziona così da sempre, succederà invece come in tutte le altre industrie, tutti i processi È digitalizzabili verranno digitalizzati. È inesorabilmente una questione solo di tempi, complessità, accortezze, ma avverrà sicuramente. Questo è il motivo per cui ritengo ci sarà una trasformazione digitale della salute di tipo radicale, e che il digitale sarà molto di più di quello che vediamo oggi, sarà una forza effettivamente trasformativa della sanità e della salute in senso profondo. Tutto quello che sto facendo e sto cercando di fare, insieme al Team che mi affianca in Healthware, indipendentemente se accompagnando aziende appena nate, quindi startup, o realizzando consulenze per grandissime aziende multinazionali impegnate nell’innovazione e nella trasformazione, è scritto qui. Tutto questo ha un senso solo se si è in grado di rompere l’equazione di fallimento della sanità, della salute come la conosciamo oggi. Il bisogno di salute è molto più grande di quello che eroghiamo, ed è insostenibile economicamente, indipendentemente dalla struttura del sistema. Con i paradigmi attuali non è possibile dare il migliore standard di cura a tutti quelli che ne hanno bisogno, indipendentemente dagli aspetti economici, perché semplicemente non è sostenibile. Nella nostra visione la salute digitale dovrebbe rendere possibile tutto questo. Come? Creando efficienze enormi su diversi processi, e di conseguenza, grazie a queste efficienze, grazie a una serie di soluzioni anche completamente innovative come quelle di cui abbiamo parlato e altre, si riuscirà a risolvere questa equazione e a rendere i migliori standard di cura accessibili a tutti, quando serve e dove serve recuperando l’umanizzazione della salute, togliendo dall’equazione tutti gli aspetti di processo, di diseconomia, di disfunzionalità che il sistema, anche nelle sue versioni migliori, effettivamente conserva oggi giorno. E questo è quello che noi ci auspichiamo rispetto al vero e proprio dispiegamento della salute digitale. Più umana e più democratica perché…

• … togliendo complicazioni, perdite di tempo, burocrazia (che dal punto di vista del paziente sono dolorose), efficientando i sistemi, la tecnologia consente al medico di concentrarsi al massimo sul rapporto diretto con il paziente. • … efficientando i sistemi, le cure costeranno meno. E questo porterà a più democrazia e uguaglianza (mutatis mutandis, si può pensare a come l’introduzione delle tariffe low cost ho portato al sensibile allargamento della base utenti del trasporto aereo: solo, nel caso della salute digitale, non ci sarà una distinzione tra prezzi alti e bassi, perché in costi si abbasseranno per tutti) • … efficientando i sistemi, il paziente può anche rendersi conto meglio del tipo di cura che sta ricevendo.

Non abbiate timore, lasciatevi curare. E buona salute a tutti. POSTFAZIONE

Come proseguire ALCUNI SPEECH DI ROBERTO ASCIONE

on 20 anni di attività internazionale, Roberto Ascione è ormai C considerato uno dei maggiori esperti del settore salute, e in particolar modo della trasformazione digitale di questa industria. Per questo è spesso chiamato a intervenire a eventi, simposi, conferenze un po’ in tutto il mondo, nonché richiesto di interventi per staff e management aziendali. Se volete ascoltare alcune considerazioni dalla viva voce di Roberto Ascione, potete farlo consultando alcune registrazioni che lo vedono protagonista:

Digital Health Future/Ventennale La visione sul futuro della salute digitale di Roberto Ascione insieme all’esperienza ventennale di Healthware

• https://www.videum.com/video/20-years-of-healthcare- transformation/

Frontiers Health 2016 – Building a Digital Health Future Il keynote speech di Roberto Ascione a Frontiers Health 2016 che ripercorre e anticipa i principali trend della digital health

• https://www.videum.com/video/building-a-digital-health- future/#.Wly33Dfavb1

Tech Care 2017 Una sintesi dell’evento TechCare 2017 in cui Roberto Ascione è stato invitato come esperto e innovatore internazionale per ispirare e guidare i futuri talenti italiani della digital health • http://robertoascione.com/videos/tech-care-2-giorni-da-protagonisti- per-hackerare-la-sclerosi-multipla/

Formiche Un’intervista a Roberto Ascione a seguito del suo intervento all’evento su pharma e tecnologia organizzato da Formiche con la presenza del presidente di Farmindustria

• http://robertoascione.com/videos/smartphone-e-appla-sanita-taglia- costi-e-si-fa-piu-umana/ L’AUTORE oberto Ascione è un imprenditore e opinion leader internazionale R nella digital health. Ha un’esperienza ventennale in marketing e comunicazione, trasformazione dei processi di business e innovazione applicati alla salute. Attualmente è CEO di Healthware, a next-gen health consultancy. Tra il 1996 e il 2006 Roberto ha fondato varie company focalizzate sull’intersezione di medicina e tecnologie digitali tra cui un’azienda di gestione di dati sanitari, una con focus sulla ricerca clinica online e una delle primissime agenzie di comunicazioni digitali specializzate nella salute. Nel 2007 ha concluso con successo l’exit del business di comunicazione integrata con il Gruppo Publicis dove è rimasto fino al 2015 ricoprendo numerosi incarichi dirigenziali a livello internazionale, da Managing Director a Global President di Publicis Healthcare Communications Group. Sotto la sua leadership sono state realizzate le fusioni di agenzie di comunicazione digitali di grande prestigio negli USA (eHealth Solutions, iMed Studios e Razorfish Health), in Spagna (NUATT), in Germania (Digital District) e UK (Elevator) fino alla loro completa integrazione, nel 2012, sotto il brand Razorfish Healthware presente in 9 paesi con un Team di oltre 400 persone. Nel 2015 ha guidato lo spin out del team originale di Healthware dal Gruppo Publicis, consolidando la configurazione attuale di Healthware come una company di nuova generazione che da più di 20 anni fornisce alle grandi aziende e alle startup nel mondo dell’healthcare un insieme unico di servizi e competenze in consulenza, comunicazione, tecnologia e innovazione per navigare la trasformazione digitale della salute. Tra i vari premi e riconoscimenti internazionali, Roberto è stato recentemente nominato “Best Industry Leader” al The Health 2.0 – 10 Year Global Retrospective Awards nel 2016, “Transformational Leader” ai PM360 ELITE Awards 2017, e selezionato tra i PharmaVOICE 100 Most Inspiring People 2017. È invitato come keynote speaker a conferenze internazionali e ricopre incarichi di advisor per organizzazioni di ricerca e acceleratori di startup sia in Europa (Vertical Helsinki, Startupbootcamp Digital Health Berlin, LUISS Enlabs Rome) sia negli USA (StartUp Health, Junto Health). Collabora con TechTour HealthTech Summit Lausanne di cui è stato anche Presidente nel 2016, ricopre il ruolo di Presidente della divisione HealthTech di Digital Magics ed è il Chairman di Frontiers Health Berlin una delle principali conferenze globali sull’innovazione della salute digitale. Nato e cresciuto in Italia, Roberto viaggia continuamente. Ha una formazione medica ed è laureato in Scienze della Comunicazione. Appassionato di medicina, informatica e interazioni uomo-tecnologia, crede fortemente che tecnologie ed innovazioni digitali saranno il più grande fattore di trasformazione della salute.

HEALTHWARE, L’AZIENDA FONDATA DA ROBERTO ASCIONE

Healthware è un’agenzia di consulenza di nuova generazione che da più di 20 anni offre alle grandi aziende e alle startup nel mondo dell’healthcare un insieme unico di servizi e competenze in consulenza, comunicazione, tecnologia e innovazione per navigare la trasformazione digitale della salute. Fondata in Italia più di 20 anni fa, è guidata dal CEO e fondatore Roberto Ascione, un imprenditore e opinion leader internazionale con un’esperienza ventennale in marketing e comunicazione, trasformazione dei processi di business e innovazione applicati alla salute. Classificata tra le prime 100 agenzie in tutto il mondo, Healthware è un’agenzia globale indipendente con un team di circa 800 persone e una forte presenza internazionale (New York, Kansas City, Chicago, Londra, Dusseldorf, Milano, Roma e Salerno), grazie alla joint venture con Intouch, agenzia di marketing farmaceutico integrato leader negli Stati Uniti. Healthware opera all’intersezione tra la trasformazione digitale e la digital health con un’offerta di servizi innovativa e integrata che combina le competenze di marketing, comunicazione e tecnologia con quelle di consulenza e di Venture Incubator per creare – attraverso partnership e collaborazioni – un ecosistema dell’innovazione in area salute. Gli specialty team, Healthware Labs ed Healthware Engage ampliano l’offerta integrata di Healthware con competenze specifiche nei processi di open innovation e digital transformation e nelle strategie di customer e media engagement. Healthware Labs in Italia collabora con l’incubatore Digital Magics, con il quale ha dato vita a Digital Magics Health Tech, con lo scopo di supportare le startup italiane nel settore salute. La forte vocazione all’innovazione si realizza anche attraverso il ruolo di partner di Frontiers Health Berlin, la conferenza internazionale sulla digital health, e la sinergia con il Palazzo Innovazione, dove la storia di un antico Convento nel cuore di Salerno incontra il futuro in un hub di talenti, idee e progetti innovativi. Le scelte strategiche e pionieristiche, insieme a metodologie gestionali innovative e mirati investimenti in ricerca e sviluppo, sono state premiate nel corso degli anni da successi, premi e riconoscimenti nazionali ed internazionali, tra cui recentemente: PharmaVOICE 100’s Most Inspiring People 2017, PM360 ELITE 2017, Best Industry Leader at The Health 2.0 Ten Years Global Retrospective Awards (2016), PM360 Innovators nel 2015, MM&M Top 50 Agency, Webby Awards, IKA – Interactive Key Award, Web Award, W3 Awards, Web Health Awards nel 2014. RINGRAZIAMENTI na persona, un professionista, può studiare, lavorare, aggiornarsi, U impegnarsi. E il frutto di tutto questo sarà condensato nel successo personale e professionale. Ma questo è indubbiamente vero inizialmente. Per andare oltre, per superare la quota di risultato direttamente connessa al lavoro, servono altri ingredienti, condizioni che amplifichino i risultati portando a una crescita esponenziale degli stessi. Il primo di questi ingredienti è proprio… la salute. Senza questa, non si va da nessuna da parte. Poi serve un pizzico di fortuna, necessaria come l’aria. E magari misurarsi in settore sfidante come questo ma in un contesto internazionale, che basa molto del proprio giudizio sull’effettivo trinomio preparazione/impegno/risultati piuttosto che su scorciatoie varie. Tutto questo per dire che questo libro rappresenta davvero la sintesi del mio lavoro e del mio pensiero degli ultimi 5/10 anni, ma questa sintesi non sarebbe stata possibile senza un fattore determinante: la connessione con gli altri. Nel corso degli anni, infatti, ho potuto stringere rapporti con altre persone mosse come me dal desiderio di scoprire, sperimentare, incontrare, misurare, sbagliare, riprovare. Per “arrivare là dove nessun uomo era mai giunto prima” per dirla come una serie televisiva, che non c’entra niente con la mia sfera professionale, ma che sicuramente con la sua iconicità ha influenzato tutti gli esponenti della categoria degli innovatori. E con questo approccio posso dire che nel tempo il miglior risultato che ho conseguito è la grande collezione di incontri e collaborazioni (e sono conscio di essere molto fortunato a poter dire amicizie) che ho costruito. Per questo, lavorando a questo libro, mi sono trovato felice delle risposte avute dalle persone che ho contattato, dalla disponibilità a collaborare che ho riscontrato. Quindi non posso che ringraziare di cuore tutti gli amici, da tutte le parti del mondo, che mi hanno inviato i loro contributi e commenti inseriti nelle pagine precedenti. Ma anche tutti coloro che, non inseriti nel libro, mi hanno consigliato, incoraggiato, spronato. Un ringraziamento speciale va poi ad Andrea della casa editrice, che ha creduto in questo progetto, pazientando anche per i ritardi che lo hanno caratterizzato. Un altro ringraziamento speciale va a Federico, che si è fatto in due, per accompagnarmi passo passo (anzi pagina dopo pagina), nella sintesi e realizzazione. Ma il ringraziamento più grande va alla mia squadra, le persone di Healthware, che collaborano e credono in me ogni giorno in una sfida grandissima: senza di loro, senza una squadra di alto profilo e coesa, non si arriva a nessun risultato. E nella mia squadra permettetemi di includere anche la mia famiglia, sempre fonte inesauribile di incoraggiamento e fiducia, grazie alla presenza continua e discreta e a quella capacità di unire affetto, saldi principi e verità che sono loro propri. Io credo fermamente che le tecnologie digitali ci aiuteranno a trasformare la salute in modo radicalmente positivo, ma la salute è quanto di più personale esista e quindi questa trasformazione nasce e ritorna alle persone mettendole al centro. Al centro di una salute, finalmente, più umana. Il mio Team e io lavoriamo da sempre per questo obiettivo e ogni giorno pensiamo a come andare un po’ più avanti in questa direzione. Quindi, grazie a tutti voi che avete letto queste idee fin qui. Con questo ci piace pensare che il nostro viaggio sia adesso anche un po’ vostro. Ad Maiora! INFORMAZIONI SUL LIBRO

Una rivoluzione inarrestabile La tecnologia sta cambiando ogni aspetto della nostra vita (a partire dai nostri comportamenti). Come impatterà sull’universo salute? Come cambieranno i nostri modi di pensarla e soprattutto gli automatismi che abbiamo ereditato dai nostri genitori? Per prenderci cura di noi stessi e dei nostri cari, già oggi, occorre un radicale cambiamento di mentalità. Cosa serve imparare? Cosa ci aspetta? Controlli a distanza tramite smartphone, non più code per gli esami, app al posto dei medicinali… anche l’Intelligenza Artificiale entrerà prepotentemente nel campo della salute, arrivando in alcuni casi a definire vere e proprie “terapie digitali”. Il cambiamento non potrebbe essere più dirompente. La rivoluzione digitale sta per stravolgere il rapporto medico-paziente e dovremo tutti imparare a gestire comportamenti nuovi. Perché la nuova medicina sarà improntata a evitare l’insorgenza di una malattia piuttosto che a intervenire quando questa è insorta. Ma quanto è lontano questo futuro? Questo libro è l’anteprima della più importante trasformazione che l’evoluzione tecnologica abbia mai portato all’umanità. E Roberto Ascione la descrive attraverso l’uso di tanti esempi pratici di applicazione, di aziende o startup che hanno cambiato, stanno cambiando e cambieranno per sempre il nostro rapporto con la salute.