Il Manoscrito Inedito Delle None Rime Di Laura Terracina

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Il Manoscrito Inedito Delle None Rime Di Laura Terracina TESIS DOCTORAL DOCTORADO EN ESTUDIOS FILOLÓGICOS UNIVERSIDAD DE SEVILLA – UNIVERSITÀ DI ROMA TOR VERGATA IL MANOSCRITO INEDITO DELLE NONE RIME DI LAURA TERRACINA Doctoranda: Valeria Puccini Directoras de Tesis: Dra. Mercedes Arriaga Flórez y Dra. Florinda Nardi Sevilla, 2018 Per correr miglior acque alza le vele omai la navicella del mio ingegno, che lascia dietro a sé mar sì crudele Dante, Purg., I, 1-3 2 INDICE Introduzione pag. 4 Capitolo I: La lirica nel Cinquecento: il contesto pag. 8 Capitolo II: L’ambiente intellettuale del Regno di Napoli nel XVI secolo pag. 36 Capitolo III: L’educazione femminile in Italia tra XV e XVI secolo pag. 70 Capitolo IV: La lirica femminile nel Regno di Napoli nel XVI secolo pag. 93 Capitolo V: Laura Terracina: la vita e la produzione poetica pag. 110 Capitolo VI: Il manoscritto inedito delle None Rime di Laura Terracina pag. 165 Conclusioni pag. 180 Criteri di edizione pag. 183 Testo pag. 188 Tavola metrica pag. 509 Componimenti di altri autori per Laura Terracina presenti nel codice pag. 512 Indice alfabetico dei capoversi pag. 514 Bibliografia pag. 527 3 Introduzione L’obiettivo della mia ricerca è stato la realizzazione di un’edizione critica del manoscritto inedito delle None rime di Laura Terracina, una tra le poetesse più prolifiche del Rinascimento italiano, definita da Virginia Cox «the most published poet of the century XVI»1, la quale conobbe, ai suoi tempi, un grande successo editoriale e di pubblico. Dal 1548, data di pubblicazione della sua prima raccolta di Rime presso il prestigioso editore Giolito de’ Ferrari a Venezia, ella pubblicò infatti ben otto successivi volumi di poesia, ristampati più volte da editori diversi, senza contare il manoscritto delle None Rime rimasto inedito, attualmente disponibile in un’unica copia presso la Biblioteca Nazionale di Firenze, che ho avuto il privilegio di visionare e studiare nell’ambito di questo dottorato. Nonostante la fama di cui godette presso i contemporanei e nel secolo successivo (le ultime ristampe delle sue opere si datano alla seconda metà del Seicento), Laura Terracina fu poi completamente dimenticata e soltanto ai giorni nostri è stata fatta nuovamente oggetto di studio e di critica – non sempre benevola - da parte di ricercatori italiani e stranieri, soprattutto nell’ambito degli studi di genere. Tuttavia, ad oggi, non esiste un’edizione critica della sua vasta opera ed è proprio questo il motivo che mi ha spinto a dedicarmi allo studio 1 V. Cox, Women’s writing in Italy 1400-1650, Baltimora, The John Hopkins University Press, 2008, p. 58. 4 del Codice Palatino 229, che contiene le sue ultime composizioni e che non fu mai pubblicato né durante la sua vita, né dopo la sua morte. Per quanto riguarda la metodologia di lavoro, ho scelto di partire dall’analisi dell’ambiente culturale in cui la poetessa visse e realizzò le sue opere, ripercorrendo il dibattito umanistico sulla questione dell’imitatio che fu così vivo nel Cinquecento e che vide l’affermarsi definitivo della proposta di Pietro Bembo, il quale offriva all’imitazione dei suoi contemporanei, rispettivamente, il modello di Francesco Petrarca per la poesia e quello di Giovanni Boccaccio per la prosa. Con la pubblicazione nel 1530 delle sue Rime, Bembo porterà a compimento il processo di codificazione della lirica al punto che tale anno è considerato ufficialmente la data di nascita del “petrarchismo” come movimento poetico. Laura Terracina, come la maggior parte dei poeti a lei contemporanei, si inserisce pienamente nella corrente del petrarchismo che, nel corso del secolo XVI, si trasformò sempre più in un vero e proprio codice di comunicazione, chiuso e definito, al servizio degli intellettuali italiani ed europei, estendendosi ben al di là dei limiti temporali del Cinquecento, creando di fatto un nuovo idioma nazionale in un momento storico in cui l’Italia era totalmente disunita dal punto di vista politico, per trasmetterlo alle future generazioni di letterati; ed infine, dando voce e diritto di parola alle donne scrittrici, le quali nei secoli successivi non saranno mai più così numerose. 5 Successivamente, ho approfondito il contesto storico e culturale del Viceregno di Napoli, dove la poetessa trascorse praticamente quasi tutta la sua vita e dove compose le sue opere. In particolare, ho analizzato la condizione delle donne nel Viceregno nel XVI secolo; la situazione dell’educazione femminile e i numerosi trattati pedagogici pubblicati in quegli anni, che trattavano della corretta educazione delle mogli e madri cristiane; le scritture femminili in Italia meridionale e nel resto della penisola, in particolare nell’ambito del petrarchismo, che presenta una significativa contribuzione delle donne che si dedicano alla lirica: oltre a Laura Terracina, ad esempio, si possono fare i nomi di Vittoria Colonna, Gaspara Stampa, Tullia d’Aragona, Laura Battiferri, Isabella di Morra, Chiara Matraini Contarini e moltissime altre. Nella seconda fase della mia ricerca ho cercato ed analizzato le scarsissime testimonianze relative alla vita di Laura Terracina, con l’intento di scrivere una biografia il più possibile completa. Purtroppo, disponiamo davvero di poche informazioni, per lo più ricavabili proprio dai suoi stessi poemi, o da qualche breve citazione nelle storie letterarie pubblicate a partire dal XVII secolo. Per l’ultima parte della mia ricerca mi sono recata presso la Biblioteca Nazionale di Firenze per esaminare e fotografare il Codice Palatino 229. La parte più importante ed impegnativa del mio lavoro è stata, certamente, la trascrizione del manoscritto con la successiva 6 analisi metrica, stilistica e tematica delle liriche in esso contenute, al fine di realizzare l’edizione critica del testo. Gli strumenti, le fonti e i materiali utilizzati nell’ambito della mia ricerca sono stati principalmente bibliografici, ovvero monografie, saggi e articoli di settore su: il Rinascimento in generale, sia da un punto di vista storico che letterario; la cosidetta “questione della lingua” e il dibattito sull’imitatio; il petrarchismo; la condizione femminile e le donne scrittrici in Italia nel XVI secolo. Infine, ho analizzato e schedato tutti i testi storici e letterari che menzionano Laura Terracina e le sue opere. 7 Capitolo I La lirica nel Cinquecento: il contesto Parlare di lirica nel Cinquecento significa necessariamente partire dalla codificazione operata da Pietro Bembo nelle sue Prose nelle quali si ragiona della volgar lingua2, pubblicate nel 1525 e dove l’autore, nell’ambito della discussione umanistica sul problema dell’imitatio, proponeva la definizione di un codice omogeneo di comportamento dell’intellettuale, attraverso la ricerca del modello migliore da proporre all’imitazione letteraria3. L’opera, che si presenta sotto forma di dialogo sul modello platonico e ciceroniano, entra nel dibattito sulla “questione della lingua” riconoscendo al volgare italiano piena dignità letteraria. Sebbene il latino sia ancora la lingua più utilizzata nella scrittura dei testi universitari e nelle opere teologiche, nel corso del Cinquecento il 2 P. Bembo, Prose della volgar lingua. Gli Asolani. Rime, a cura di C. Dionisotti, UTET, Torino 1966. 3 Per un approfondimento del tema, si veda il testo di N. Gardini, Le umane parole: l'imitazione nella lirica europea del Rinascimento da Bembo a Ben Jonson, Mondadori, Milano 1997. Per ulteriori approfondimenti sul concetto in Bembo si possono vedere: G. Santangelo, Pietro Bembo e la questione della lingua, in Letteratura italiana. I minori, vol. I, Marzorati, Milano 1960, pp. 803- 840; Id., Il petrarchismo del Bembo e di altri poeti del Cinquecento, IECE, Roma- Palermo 1962; D. Della Terza, «Imitatio»: teoria e pratica. L’esempio del Bembo poeta, in Forma e memoria. Saggi e ricerche sulla tradizione letteraria da Dante a Vico, Bulzoni, Roma 1979. 8 volgare acquista, infatti, spazi sempre più ampi. Come afferma Cristina Zampese, L’osservazione dei dati statistici conferma il sostanziale equilibrio nella fortuna editoriale delle due lingue. La banca dati di EDIT 16 (censimento nazionale delle edizioni italiane del XVI secolo: http://edit16.iccu.sba.it) consente di rilevare che nell’arco del secolo, a fronte di 35.501 titoli italiani (l’ultimo del 1598), furono pubblicati 31.327 titoli latini (l’ultimo, anch’esso nel 1598)4. Tra gli intellettuali, tuttavia, è quasi scomparsa l’illusione umanistica di poter recuperare il latino come lingua viva dell’uso letterario e si afferma, di contro, l’esigenza ormai imprescindibile di definire un modello linguistico unitario al quale il volgare possa e debba conformarsi. Questo significa anche che il livello di omogeneità raggiunto dal ceto intellettuale italiano è molto alto: l’esigenza di una lingua letteraria comune è infatti trasversale e attraversa ed anima il dibattito pur all’interno delle differenti esperienze regionali dei singoli autori, risultando esemplare rispetto ad una più generale ricerca di identità nazionale. Nella storia della lingua italiana, il primo significativo intervento in tal senso era stato il De vulgari eloquentia di Dante, scritto in latino in quanto opera specialistica rivolta a letterati professionisti ma che teorizzava la possibilità di servirsi del volgare per la scrittura letteraria, come poi Dante effettivamente farà nella Commedia. Tuttavia, l’opera non ebbe in seguito grande diffusione al punto che, 4 C. Zampese, Tevere e Arno. Studi sulla lirica del Cinquecento, F. Angeli, Milano 2012, p. 17. 9 quando nel 1529 Gian Giorgio Trissino ne curò e pubblicò la traduzione, la paternità dantesca del testo fu addirittura messa in discussione. E nelle Prose della volgar lingua il modello che Bembo propone all’imitazione dei letterati del suo tempo non è Dante ma Petrarca, considerato il punto più alto raggiunto dal volgare nel campo della lirica: E molto meglio faremo noi altresì, se con lo stile del Boccaccio e del Petrarca ragioneremo nelle nostre carte, che non faremo a ragionare col nostro, perciò che senza fallo alcuno molto meglio ragionarono essi che non ragioniamo noi5. Nel Cinquecento, all'interno del dibattito che attraversa tutto il secolo, si distinguono tre posizioni principali: la bembista, la cortigiana e la toscana.
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