Il ritorno di Don Calandrino

DOMENICO CIMAROSA “Dicembre all’

Il ritorno di Don Calandrino

Teatro Alighieri Stagione d’Opera 2007-2008 – Evento speciale fuori abbonamento

Fondazione ManiFestazioni CoMune di Ravenna Regione eMilia RoMagna MinisteRo peR i Beni e le attività CultuRali MEMBRO DELL’ASSOCIAZIONE EUROPEA DEI FESTIVAL DI MUSICA

Presidente Maria Cristina Mazzavillani Muti

Direzione Artistica Maria Cristina Mazzavillani Muti Franco Masotti Angelo Nicastro Fondazione Ravenna Manifestazioni

Consiglio di Amministrazione Assemblea dei Soci Presidente Fabrizio Matteucci Comune di Ravenna Vicepresidente Vicario Mario Salvagiani Regione Emilia Romagna Vicepresidente Lanfranco Gualtieri Provincia di Ravenna Camera di Commercio di Ravenna Sovrintendente Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna Antonio De Rosa Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna Associazione Industriali di Ravenna Consiglieri Ascom Confcommercio Gianfranco Bessi Confesercenti Ravenna Antonio Carile CNA Ravenna Alberto Cassani Confartigianato Ravenna Valter Fabbri Archidiocesi di Ravenna e Cervia Francesco Giangrandi Fondazione Arturo Toscanini Natalino Gigante Roberto Manzoni Revisori dei Conti Maurizio Marangolo Giovanni Nonni Pietro Minghetti Mario Bacigalupo Antonio Panaino Angelo Lo Rizzo Gian Paolo Pasini Roberto Petri Lorenzo Tarroni

Segretario generale Marcello Natali

Responsabile amministrativo Roberto Cimatti Fondazione Ravenna Manifestazioni

Spazi teatrali Ufficio produzione Responsabile Responsabile Romano Brandolini Emilio Vita Servizi di sala Stefania Catalano Alfonso Cacciari Giuseppe Rosa

Marketing e ufficio stampa Segreteria e contrattualistica Responsabile Responsabile Fabio Ricci Lilia Lorenzi Editing e ufficio stampa Amministrazione e contabilità Giovanni Trabalza Cinzia Benedetti Sistemi informativi, archivio fotografico Segreteria Stefano Bondi Maria Giulia Saporetti, Michela Vitali Impaginazione e grafica Antonella La Rosa Servizi tecnici Promozione Responsabile Federica Bozzo Roberto Mazzavillani Segreteria Capo macchinisti Ivan Merlo Enrico Ricchi Coordinamento biglietteria Macchinisti Maurizio Martini, Daniela Calderoni Matteo Gambi, Massimo Lai, Biglietteria e promozione Francesco Orefice, Marco Stabellini Bruna Berardi, Antonella Gambi, Capo elettricisti Fiorella Morelli, Paola Notturni, Luca Ruiba Mariarosaria Valente Elettricisti Christian Cantagalli, Uria Comandini, Marco Rabiti Portineria Giuseppe Benedetti, Marco De Matteis Le nostre radici di Angelo Nicastro

ntrando nella Biblioteca del Conservatorio di San Pietro a Majella a Napoli, si è presi da una fortissima emozione. Le tante sale da poco restaurate in modo impeccabile sono tutte E intitolate ad un musicista il cui nome, incastonato fra gli stucchi, campeggia su ciascuna porta di ingresso. Pergolesi, Paisiello, Rossini, Cimarosa... Le pareti di libri di ogni sala sono costi - tuite da centinaia, migliaia di manoscritti molti dei quali autografi. Si resta increduli e senza parole davanti a tanta bellezza, e ci si chiede dove provenga una così grande ricchezza. Si deve riconoscere grande merito a e ai suoi ripetuti interventi se oggi questo patri - monio è stato salvato dall’incuria; ma soprattutto si deve a lui se alcune opere, ripescate da quegli scaffali, torneranno ad essere eseguite. Grazie ad una collaborazione tra il Festival di Salisburgo e Ravenna Festival, infatti, ha preso vita un progetto sulla “scuola napoletana” che, a partire dal 2007 e per i prossimi 5 anni, metterà in scena opere ed oratori di autori napoletani del Settecento sotto la direzione artistica e musicale del Maestro Muti. Il valore di questo recupero risiede nel far rivivere, se possibile, quel felice momento di inesauribi - le fecondità che fu fucina di grandissimi compositori i quali, contesi dalle corti di tutta Europa ed in esse attivi, sfornavano a getto continuo pagine e pagine di musica straordinaria. Non a caso l’esper - to Leopold Mozart, per dare la miglior formazione al piccolo prodigioso Wolfgang, lo portò in Italia e a Napoli, appunto. Era una sapienza diffusa, un’arte condivisa, una qualità intrinseca quella che emanava da tutta la musica di quel tempo; ed era linguaggio “comune”. Gli ascoltatori avevano nelle orecchie quel gusto, la familiarità con le forme in cui si esprimeva quella disseminata bellezza. Ogni opera di quel - la inesauribile stagione riecheggia la sovrabbondanza ricchezza di un’epoca d’oro che costituisce essa stessa il vero, autentico capolavoro. Certamente Mozart, abbeveratosi a quelle fonti, fu il più grande, il sommo, il vertice inarrivabile, ma come si può cogliere veramente il sublime se non si sa comprendere e gustare il bello? Perdere questo patrimonio, non saperlo tutelare ed apprezzare adeguatamente non solo sarebbe un delitto verso la nostra storia e verso noi stessi, ma non consentirebbe nemmeno di capire appieno ciò che ad esso è seguito.

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Il ritorno di Don Calandrino

opera buffa in due atti di Giuseppe Petrosellini musica di DOMENICO CIMAROSA (1749-1801) trascrizione materiale musicale Gudrun Winkler

personaggi interpreti Livietta Laura Giordano, Elena Tsallagova Irene Monica Tarone, Irina Iordachescu Valerio Francesco Marsiglia Don Calandrino Francisco Gatell, Mario Zeffiri Monsieur Le Blonde Marco Vinco

direttore Riccardo Muti

regia di Ruggero Cappuccio scene di Edoardo Sanchi costumi di Carlo Poggioli luci di Maurizio Viani Orchestra Giovanile Luigi Cherubini maestro al cembalo Speranza Scappucci con la partecipazione di Arcipelago Circo Teatro

Il ritorno di Don Calandrino

Intermezzo in musica a cinque voci

libretto attribuito a Giuseppe Petrosellini

musica di Domenico Cimarosa Francesco Candido, Ritratto di Domenico Cimarosa , 1785, Napoli, Museo di San Martino. Nota al libretto

di Tarcisio Balbo Jakob Philipp Hackert, Il porto di Santa Lucia a Napoli , 1771. La presente edizione del libretto per Il ritorno di Don Calandrino di Domenico Cimarosa, si basa sul libretto a stampa per la prima rappresentazione: Il Ritorno Di D. Calandrino Intermezzo In Musica A Cinque Voci Da Rappresentarsi Nel Teatro Valle Dell’Illustrissimi Signori Capranica. Nel Carnevale dell’Anno 1778. […] In Roma MDCCLXXVIII. Nella Stamperia di Arcangelo Casaletti. […].

Come sempre accade, il libretto presenta numerose microvarianti rispetto al dettato della partitura (in questo caso, l’autografo di Cimarosa conservato nella Biblioteca del Conservatorio di San Pietro a Majella a Napoli), le quali non inficiano il senso generale del testo, e che il frequentatore dei tea - tri d’opera sa implicitamente correggere. In alcuni casi, però, il libretto e la partitura presentano varianti di maggiore rilievo, come nelle battute in recitativo che precedono e seguono l’aria di Vale - rio “Voi siete un amoroso” in I.10:

Libretto Partitura Irene Irene Insegnatemi voi Insegnatemi voi ch’avrei da far. ch’avrei da far.

Valerio Valerio Oh bella! Che non lo sai? Si piange, Si grida, si minaccia. si sospira, si sviene, si sospira, si sviene, ed al francese si grida, si minaccia, e col francese che non connette mai, che non connette mai, così, per invaghirlo, gli dirai. così, per invaghirlo, gli dirai. […] […]

Irene Irene Sospiri, svenimenti, Oh, vedete… sospiri, parolette, gride, minaccie? Oh ci vuol poco assai, lagrime, svenimenti son la scuola d’amor! Che bella cosa! ci penserò ben io: Ci penserò ben io: dovran fare gli amanti a modo mio. gli uomini han da far tutti a modo mio!,

Oppure in II .3: Libretto Partitura Livietta Livietta (Dopo essere stata alquanto in osservanza.) Ho capito, signora: Vado a chiamarvi il medico, sapete finger bene: e vi trovo in amori, in tenerezze me ne consolo. con quel caro monsù

13 Irene Irene Sì, l’ho fatto apposta, L’ho fatto apposta, perché vediate chi son io. perché vediate chi son io.

Livietta Livietta (Ridicola, (Ridicola, senza crianza.) senza crianza.)

Irene Irene E pur non è il francese Altro più vago oggetto l’oggetto da me amato: so ben io occupa questo core; chi fra poco sarà lo sposo mio. ma intanto ognuno arde per me d’amore.

Ancora in II .11, secondo la numerazione delle scene nel libretto:

Libretto Partitura …

Valerio Valerio Cospetto! È un impostor. Cospetto! È un impostor.

Le Blonde Le Blonde Lo credo! Brave. Lo credo! Brave, signore, brave! Chi è di lor la preferita?

Valerio Irene, dopo faremo i conti!

Livietta Irene (Cosa risolvo mai!) Io son venuta col mio perché.

Irene Livietta (Che far degg’io.) Col suo perché?… Ridicola quel che devo dir io.

Le Blonde Le Blonde Qui per Bacco ci va dell’onor mio. Qui per Bacco ci va dell’onor mio.

La coerenza metrica degli esempi sopra riportati, sia nel libretto sia nella partitura, fa ritenere che ci siano stati dei rimaneggiamenti al testo poetico del Ritorno di Don Calandrino tra la stampa del

14 libretto (che di solito veniva messo in vendita con un certo anticipo rispetto all’andata in scena del - l’opera) e la prima rappresentazione della partitura di Cimarosa. Tale ipotesi è avvalorata da altri indizi. Ad esempio, in partitura compaiono a volte delle serie di versi assenti nel libretto (qui evi - denziati tra parentesi uncinate < > ), come nell’esempio che segue ( I.1): Le Blonde (Ad Irene.) Quanto siete sciarmante !

Irene Irene, per servirla…

Le Blonde Cosa importa? Livietta o Irene… > Alon : voglio che stiamo tutt’oggi in allegria.

Altre volte – di fatto solo nella seconda parte del Ritorno di Don Calandrino –, ampie porzioni di alcune scene, qui riportate tra parentesi quadre ( [ ] ), compaiono nel libretto e non nella partitura. Un palese errore si rileva ancora nel Finale II , laddove la battute che seguono sono attribuite a Mon - sieur Le Blonde nel libretto, e a Valerio in partitura (l’attribuzione in partitura è di certo errata, poiché è impensabile che Valerio voglia sposare la propria sorella, da lui già proposta in moglie giu - sto a Monsieur Le Blonde): Sposerò giacché volete l’infedel ch’un giorno amai. (Guardando Irene con tenerezza) (Ma quel viso, ma quei rai mi farebber delirar.)

[…]

Sì carina vezzosetta, qua d’intorno aspetterò.

Ancora, nell’intervenire sul testo del libretto si sono lasciate immutate le inflessioni, presumibil - mente laziali, di alcuni personaggi – soprattutto di Livietta – (che ad esempio pronuncia roscia per “rossa”, cappitra per “caspita”, s’accommidi per “s’accomodi”, obbrigato per “obbligato”), intro - dotte forse ad arte per meglio caratterizzare la vis comica dei personaggi paesani.

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Il libretto Claude-Joseph Fernet, Il golfo di Napoli visto da Mergellina , ca. 1740. Il ritorno di Don Calandrino Intermezzo in musica a cinque voci

libretto attribuito a Giuseppe Petrosellini

musica di Domenico Cimarosa

PERSONAGGI

Don Calandrino Zamberlucchi che pretende di saper tutto, promette a tutti, tenore e non connette; figlio del podestà di Monte Secco. Livietta villana ricca del paese, giovane di gran vivacità, soprano che pretende in signoria e disprezza tutti. Monsieur Le Blonde viaggiatore ridicolo, gran parlatore, spropositato, basso che passa da un discorso all’altro. Irene ragazza piuttosto semplice, sorella di soprano Valerio Griffagni sindaco della communità di Monte Secco tenore

Villani, che non parlano. Lacchè di Monsieur Le Blonde.

La scena si finge nella terra di Monte Secco. PARTE PRIMA Livietta (A Irene.) Scena prima Allegra, spiritosa, Piazza di Monte Secco con arco nel mezzo di che gioventù spregata; mortella all’uso del paese: le fenestre delle case oh siete pur sguaiata, che corrispondono sulla piazza, fra le quali col vostro malumor. quella di Valerio e di Livietta, tutte addobbate con tapezzerie dozzinali. Irene Monsieur Le Blonde, Livietta, Irene, Valerio, e Ma cosa avrei da fare quantità di terrazzani. per stare allegramente?

Tutti Valerio Che lieto giorno, che bella festa! (Ironicamente, e guardando Livietta con gelo - Tutt’è piacere, tutto allegria: sia.) qui mai non giunga malenconia, Dir male della gente, qui regni solo felicità. saltare e far l’amor.

Valerio Livietta (Ai villani.) (Costui mi punge e stuzzica.) Deh ricordatevi di sprofondarvi, Irene di far saluti, d’inabbissarvi, (Piano a Valerio.) venendo il figlio del podestà. Bravissimo fratello! Le Blonde Le Blonde (A Livietta.) (Dopo aver guardato all’intorno.) Voi della festa siete il decoro, Buon gusto, tutto è bello; mia diva amabile, mio bel tesoro, ma voi più bella siete. siete la Venere di quest’età. Sù via, perché tacete! (A Irene.) Livietta Presto scioltezza e brio; Oh troppe grazie, troppa bontà! (A Valerio.) Irene voglio insegnar ben io (Sia maledetta la sua bellezza.) a ognun come si fa.

Valerio Tutti (Quella crudele crepar mi fa.) Che lieto giorno, che bella festa! Tutto è piacere, tutto allegria: Le Blonde qui mai non giunga malenconia, Bravo Valerio per verità! qui regni solo felicità.

20 Valerio Le Blonde (Guardando i villani con smanie.) Via che son freddure. E ancor Don Calandrino S’anche non foste nobili, non si vede apparir. vi nobilito io.

Le Blonde Irene (Deridendolo.) (Che superbia ha colei, Valerio mio.) Ma preme tanto Valerio l’arrivo di costui? Don Calandrino insomma, Valerio è il più degno del loco almen per la dottrina. Che mi burlate? È il più nobil del loco, unico figlio Le Blonde del signor podestà. E adesso torna terminati i suoi studi Livietta alla casa paterna? Oh non la cedo a lui per nobiltà. Già si sa chi è Livietta Irene di Monte Secco. Sì signore. La festa che vedete, Irene si fa per lui. È vero, vi conoscono tutti per una ciana. Le Blonde Ho gusto di conoscerlo. Livietta Come ciana? Livietta Non vi capisco. Oh vedrete un grand’uomo: sa la lettra, sa la filosofia, la mattimatrica… Valerio Valerio (Ecco una lite in piedi. E astrologo antiquario? Rimediamola.) Ciana vuol dir signora. Le Blonde Anche antiquario. Livietta Quest’appunto è il mio debole: Dunque viaggio per veder l’antichità. va bene: io sono signora e prima ciana Livietta di Monte Secco. Stordisco in verità.

21 Prima ch’andasse ai studi Livietta era un uomo milenso, uno sguaiato. (Oh vedete che pazzo, che insolente!)

Valerio Irene E adesso un uomo grande è diventato. Io non dico bugia, (Con risentimento.) sento una simpatia, (Che lingua!) un piacer nel vedervi.

Irene Livietta (Che parlar!) (Simpatia! Non sa parlar): si dice antipatia. Livietta Monsù Le Blonde, Irene qui faranno gran feste, Viva la dottoressa. vi sarà il Saracino, la corsa delle papere; Livietta (Con tenerezza.) Oh più dotta di voi. Vi tratterrete? Valerio Le Blonde (Donna incostante!) Se m’amaste, o cara, forse non partirei. Le Blonde (Ad Irene.) Livietta Quanto siete sciarmante ! Non dico i fatti miei, (Che superba!) Alon : voglio che stiamo tutt’oggi in allegria. Le Blonde (Ad Irene.) Valerio Madama, (Livietta freme dalla gelosia. Voi non m’amate niente? Ci ho gusto.)

22 Irene Livietta (Burlando Livietta.) (Con curiosità.) Mi dispiace Che fareste? che non ho di Madama il bel parlar, la faccia, i vezzi, il brio, Le Blonde Sposerei… che sì ricca non sono, che non so cos’è amore: Livietta in me non v’è di bello altro che il core. Sposereste? Non son ricca, non son bella, Le Blonde ma son buona, affettuosa: Una certa madama, son del sindaco sorella che conobbi a Lione. e mi faccio rispettar. dieci anni fa. Se qualcuno mi saluta, se sospira o fa l’occhietto, Livietta presto, presto il passo affretto (Ma si può dare al mondo né mi pongo a civettar. bestia più ardita.) So cucir, so fare il pane, le ciambelle ed il bucato. Valerio Pur meschina in questo stato (Si contorce e sbuffa; non posso più dal ridere.) non mi trovo a maritar. (Guarda Livietta e ride.) (Parte.) Livietta (Oh da ciana d’onore Scena seconda gli graffio il viso.) Monsieur Le Blonde, Livietta, Valerio. Valerio Le Blonde Zitto… Ha ragion; maritatela Mi pare di sentire la povera ragazza. strepito di cavalli… Fosse Don Calandrino… Valerio La prenda lei. Livietta E li stormenti Le Blonde da fiato li sentite? Morblù ! Se non fossi impegnato Le Blonde nel giro del gran mondo… Eh, sarà lui.

23 Valerio queste vostre madame: Con licenza signor. Livietta mia, vale più una ragazza (Piano alla medesima.) di Monte Secco. qui non ci state bene. Andate via. (Parte.) Le Blonde Ah ah eccolo… oh cara! Si chiamava madama Dirindò. Scena terza Livietta, Monsieur Le Blonde, poi Valerio che Livietta torna. Restate con madama, io me ne vo. (Parte.) Livietta (Adesso per rispetto Le Blonde voglio starci un’altr’ora.) Come… Sentite… Oh bella?

Le Blonde Valerio Anima mia, (Affannato e correndo ai villani.) ho burlato, sapete? Ecco Don Calandrino, Non amo altre che voi. ecco ch’arriva: presto, venite tutti incontro. (Manco male Livietta che Livietta è partita.) Ma prima amaste (Parte in fretta coi villani.) la dama di Lione e poi cospetto, s’ha da vedere un nobile Le Blonde francese perugino, Io tornerò far gl’occhi dolci a Irene… quando non v’è la folla dei villani; son troppo sciocchi, impertinenti e strani. Le Blonde (Parte.) Che nome avea colei? Non mi sovviene.

Livietta Scena quarta Chi? Dopo una breve allegrissima marciata, si Le Blonde vedrà comparire Don Calandrino a cavallo, Madama… madama… accompagnato dai villani principali del paese, Adesso… altri de’ quali faranno delle ridicole riverenze, (Cava un taccuino.) altri s’affanneranno per bagiargli la mano. Valerio accanto al medesimo facendo de’ com - Livietta plimenti; mentre scenderà da cavallo suonerà Maledette il ritornello della cavatina.

24 Don Calandrino Illustre signor sindaco, Cara patria, ah vieni omai, dite all’illustre terra stringi al seno il figlio amato. patria di me, di voi, di lui, di loro, Cara patria, tu non sai che gradisco ed onoro che da tutti son chiamato l’illustre tracotanza il portento, lo spavento, del suo bel cor, ma ch’io, lo stupor di questa età. per modesta superbia, non accetto Sa il Mogolle, sa l’Egitto i complimenti suoi quel ch’ho letto, quel ch’ho scritto, né da lui, né da loro, né da voi. e anche Tunisi lo sa. Valerio Valerio (Che linguaggio sublime.) Signor Don Calandrino… Don Calandrino Don Calandrino Dite un poco, Mio padrone, com’è ricca la patria? Voi chi siete? Come sta a quattrini? Valerio Valerio Chi sono? È poverissima, Il sindaco, il factotum, e per farvi le spese l’agente, il primo mobile s’è dispendiata. dell’illustre paese di Monte Secco. Don Calandrino Don Calandrino Oh le darò consigli, Bravo. danari, quel ch’occorre: Per esser così giovane ne faccia capitale; avete del mercurio. ecco in pegno la destra dottorale. Valerio Mi permetta Scena quinta che in nome dell’illustre Livietta e detti. patria di voi, di loro che stanno qui presenti, Livietta io le faccia i dovuti complimenti. Signor vi riverisco; io son di Monte Secco cittadina, Don Calandrino son Livietta del Poggio. (Costui ha dell’audacia. Sono ragazza affabile e scortese: Adesso lo confondo.) sono la prima ciana del paese.

25 Valerio Livietta (Mi pareva difficile Come favole? che non venisse.) Tengo a mimoria tutto Mitastasio, leggo la Dirindona ! Don Calandrino il Ciro sconosciuto . O figlia, illustre figlia l’ Error cinese … del celebre seccante Monte Secco, io mai non vidi in questa parte o in quella Valerio seccatrice più amabile e più bella. (E vuol ciarlar, cospetto?)

Livietta Livietta (Come discorre bene. Leggo l’ Attilio ragano , Che lingua sciolta.) l’ Adriano in Soria .

Valerio Don Calandrino Udiste signorina? Ed il Caprone in Utica V’ha detto chiaro e tondo l’avete letto? che l’avete seccato. Livietta Don Calandrino E come. Taci animale anfibio inanimato. Don Calandrino Questa è filosofia, (Tirandola in disparte.) non son chiacchiere. Il foco arde e consuma, Dite o ciana adorata: brucia e dissecca. Disseccando dunque siete sposa sposata, Livietta con quegli occhi sposa promessa, genitrice o vedova? pieni d’ardente foco, è una gran seccatrice, e dico poco. Livietta Oh, mi fate far roscia: Livietta ancor sono zitella; ancor non trovo Sentite ignorantaccio? uno sposo adattato al genio mio. Imparate, imparate. Aveste letto come me… Don Calandrino Fatene capitale: ci son io. Don Calandrino Davvero? Livietta Voi leggete? (Ci ho gusto per Valerio.) Valerio Valerio Romanzi, (Accostandosi pian piano.) favole, bagattelle. (Se potessi

26 sentir che cosa dicono.) qualcun risponderà. “Passi signor, s’accommidi; Don Calandrino portate il cioccolato.” Carina, “Lustrissima, obbrigato, m’avete imbalsamato. l’ho preso, non ne vo.” Valerio “Oh via mi favorisca, Signor, siete chiamato. anch’io lo prenderò.” Signor che ve ne pare, V’aspetta il podestà! la ciana la so fare? Don Calandrino Vedrete sì vedrete Mio padre? Aspetti. che spicco, che figura (A Livietta.) con tutti ognor farò! Ah cari quegli occhietti. Valerio, poverino, compiango il tuo destino Livietta Ma ti proteggerò. Signor sindaco, (Parte.) voi morite di voglia d’udire i fatti nostri, non è vero? Or con labro sincero Scena sesta vi parlerò: sentite. Siete giovane; Don Calandrino, Valerio, poi Monsieur Le siete bello, milordo, ma il mio core Blonde. non è per gente bassa. Sì Valerio; Valerio (Con caricatura.) (A un par mio quest’affronto. altri tempi, altre cure. Tradirmi in questa guisa.) Spenta è la brace e torta è la catena, e del tuo nonno or mi rimmento appena. Don Calandrino Non parlava così Giuno o Marfisa. Un sposo di gran merito il fato mi vol dare, Valerio ed io saprò trattare Ma vi par che convenga con grazia e civiltà. al grado filosofico Coi ricci e col tuppè, in mezzo della via far all’amore seduta in canapè con sì poca modestia? coll’orilogio al fianco, Don Calandrino con un brillante anello Non amano i filosofi. Che bestia! sonando il campanello dirò: “chi è di là?” Le Blonde “Son visite, madama” Monsieur votre valet.

27 Don Calandrino voi che siete sì dotto, Valerio, dice a te. è bel paese?

Valerio Don Calandrino Parla con voi. Oh bello. L’Affrica è una città ch’è situata Don Calandrino su le coste d’America (A Valerio.) (Intanto Monsieur Le Blonde non gli dà retta.) Con me? Che lingua è questa? fra Sicilia e Cariddi.

Valerio Le Blonde Francese. (Guardando intorno.) E dov’è andata? Don Calandrino Dite: è lontana assai? Che miseria! Tutti parlan francese in questo secolo: Don Calandrino scommetto che a Parigi Trecento miglia. pur si parla francese! Le Blonde Parlatemi latino o pur cinese. Chi? Le Blonde Don Calandrino Ben : parlerò italiano. Che fortuna L’Affrica. a conoscere un uomo sì celebre nel mondo. Io mi trattengo Le Blonde apposta qui per voi. Che Affrica? Io parlo di Livietta. Valerio E per Livietta? Don Calandrino (È pazzo, è pazzo.) Le Blonde (Piano a Valerio.) Oh sì anche per lei. Sindaco, se la vedi di’ che non mi tradisca. Don Calandrino (Ohimè! L’ama costui?) Valerio Ma signore, Valerio i consiglier v’aspettano! (L’ammazzerei.) La casa è piena: andate. Le Blonde Don Calandrino Ditemi un poco: l’Affrica, Eh me l’immagino,

28 tutti vorran vedermi. un foco fra costoro…) (Si vede comparire Livietta in distanza.) Le Blonde (A Don Calandrino.) Le Blonde Ho cento cose Che? Livietta da domandarvi. Amico, ama Don Calandrino? Doppo verrò ancor io per consultarvi. Intanto Valerio v’invito a pranzo tutti: E di che sorte. il sindaco, Livietta, Le Blonde Irene; onoreremo Oh vedete che frasca. il suo ritorno. (A Valerio.) Valerio Voi darete gli ordini. Domandatelo a tutti chi è Livietta. Spendete pur senza risparmio! Livietta Valerio Di me si parla? (Un pranzo non è cosa cattiva: non è poco.) Le Blonde È vero, è una civetta. Don Calandrino Veramente io non mangio Valerio che cibi filosofici. E poi che lingua. Nondimeno verrò; lasciate prima che il signor podestà vegga ed abbracci Le Blonde io suo nobil rampollo, che son io: Oh si discorre bene. valeo , valeas , valete , Valerio volete o non volete, amici addio. Anzi male, malissimo; e alle volte, (Parte.) secondo l’occasione taglia come una forbice. Scena settima Le Blonde Le Blonde, Valerio, poi Livietta che torna. Oh per forbici Le Blonde bisogna andar in Inghilterra. Amico, Che grand’uomo! che forbici vi sono. Valerio Livietta Livietta (Facendosi avanti.) però non gli dispiace! (Voglio accendere Ne averebbe

29 un paio anche per me? Le Blonde Vi dirò… ma zitta un poco… Le Blonde Voi non siete… non son io… (Con sorpresa.) Volea dir… sentite, oh Dio!… Voi qui? che fu lui… che io non sapea. Sì cospetto, dir volea Valerio che qual furia disperata L’abbiamo fatta. sempre intorno a voi m’avrete; Le Blonde mi vedrete delirar. Udiste? Ah pietà mio bel tesoro, lo sapete se io vi adoro, Livietta due parole sole sole, Oh sì purtroppo non mi fate disperar! io sono una civetta. (A Valerio.) Tu furfante m’hai sedotto, Le Blonde tu mi hai posto in quest’imbroglio. Ah fu un equivoco. Crudo Amor, tu m’hai ridotto Il cor… che non posso più parlar. Livietta (Parte.) Son tutte scuse.

Le Blonde Scena ottava Volevo dir… Livietta e Valerio.

Livietta Valerio Tacete. Livietta…

Le Blonde Livietta Che voi… (Con beffa.) Signor sindaco. Livietta Non più. Valerio Per gelosia soltanto Le Blonde dissi male di voi. Dirò… Livietta Livietta (Ardo di sdegno.) Che dir volete? (In atto di partire.)

30 Valerio Valerio (Trattenendola.) Si grida, si minaccia. Cara, un addio… si sospira, si sviene, ed al francese che non connette mai, Livietta così, per invaghirlo, gli dirai. (Con caricatura, e parte.) Va’, non t’ascolto indegno. Voi siete un amoroso, galante francesino: ahi barbaro destino, Scena nona se voi non mi sposate Valerio, indi Irene. daver m’ammazzerò. Andiamo presto in Affrica, Valerio compagna vi sarò. Dunque dovrò avvilirmi? L’antichità vi piacciono? Non sia mai vero. Io ve le troverò. La testa di Medusa, Irene la scuffia di Creusa, (Correndo.) i serpi di Megera, Ho avuto in quest’istante di Turno la visiera… un intimo di pranzo: Vedrete cose orribili Monsiù Le Blonde c’invita tutti. superbe antichità. Ah francesino amabile, Valerio per voi se lo bramate, Oh appunto. la testa una girandola Irene, e dimmi, un poco per voi diventerà. t’ama Monsiù Le Blonde? (Parte.)

Irene Irene E chi lo sa? Sospiri, svenimenti, Chi s’intende d’amor? gride, minacce? Oh ci vuol poco assai, ci penserò ben io: Valerio dovran fare gli amanti a modo mio. Mi premerebbe (Parte.) che di te s’invaghisse, e che lasciasse andar Livietta per i fatti suoi. Scena decima Irene Sala in casa del podestà. Insegnatemi voi Don Calandrino con due villani primari del ch’avrei da far. paese, vestiti capricciosamente.

31 Don Calandrino a prestar un omaggio; Illustri Consiglieri questa vostra virtù quant’è mai bella, di Monte Secco, ho intesi quanto l’invidio mai… i vostri bisognevoli. Ove siete? (Chiama.) Don Calandrino Le sedie priorali. In brevi note Siedi, e favella. tolgo a voi, tolgo a me l’affanno e il tedio; (Si pone il primo a sedere.) s’accomodi ciascun: virtus in medio . Ha dubbi lei? Questioni, (Vengono recate tre sedie all’antica, e Don paradossi, problemi? Parli pure: Calandrino si pone con gravità a sedere in interrogato io le rispondo. mezzo.) Le Blonde Manca alla nostra patria il grano, il vino? Dica: Che importa? Non temete, che donna era Lucrezia: ah l’avrei vista anzi inarcate il ciglio, volontieri davver… Come vi piacciono e fate capital del mio consiglio. le statue greche?… Io credo (Tossisce e sputa con gravità.) che il Colosso di Rodi Il vino sempre è vino, e il grano è grano; sarà stato un colosso smisurato… or dato e non concesso Vostro padre v’ha visto, v’ha abbracciato? che l’uom bevesse spesso, o mangiasse più assai di quel che crede, Don Calandrino sentite che succede: (Il diavol che ti porti; voi vedereste allora è un molino costui.) Se non parliamo mancare il grano e consumarsi il vino con ordine, con metodo, per simpatico effetto. qui non faremo niente. Regolatevi amici: andate… ho detto. Dunque primieramente (S’alza asciugandosi col fazzoletto.) ritornando a Lucrezia… (Ai villani che sono restati sorpresi.) Le Blonde Come non mi capite! E il Campidoglio E non è meraviglia quant’era grande? se non capite, o sciocchi, il parlar mio, (perché non mi capisco neppur io). Don Calandrino (I villani confusi partono.) Il Campidoglio aveva cento tredici miglia di lunghezza: Scena undicesima confinava con Napoli a Levante, Monsieur Le Blonde e Don Calandrino. e a Scirocco con Siena… Orsù Lucrezia… Le Blonde Le Blonde Monsieur vengo di volo Io ci ho una botta franca

32 in materia di scherma, che gl’antichi m’ero dimenticato. non l’avevano certo. Don Calandrino Don Calandrino Ah ah, ci siamo: (Ah me ne rido un’altra batteria. che la finisca mai.) Lucrezia dunque era una donna… Le Blonde Quella Livietta Le Blonde badate ben di non guardarla… In questo Di camei, di niccoli, son peggior d’una furia. d’agate, di sardoniche Se ardite di guardarla, amico mio, ne siete proveduto? v’ammazzo… I medaglioni… amico, addio! (Parte.) Don Calandrino (E non si strozza.) Ci ho l’Agate, l’Antonie, Scena dodicesima le Margarite… ma lasciate in grazia Don Calandrino, Livietta, Irene. ch’io parli di Lucrezia… Don Calandrino Le Blonde Che fuoco artifiziale. Medaglioni, Non ho potuto dire una parola; medaglie c’è n’avete? sono restato con Lucrezia in gola. Don Calandrino Sì signore. Livietta Lucrezia… Un atto vengo a farvi d’inciviltà. Le Blonde Oh bravo… bravo… Don Calandrino Li vedrò con piacer… Ma che ragazza, Cioè? quella Livietta… Io l’amo Livietta come una bestia… Addio. V’aspetto a pranzo. (In atto di partire.) Vengo a farvi una visita.

Don Calandrino Don Calandrino (Rotta di collo.) (E le visite sono cose incivili? Le Blonde Non lo sapevo.) Oh diavolo, (Siede.)

33 Irene Irene Vengo? Si contenta (Dirà mal di me, signor Don Calandrino? ma non m’importa; adesso lo fo a terra cader con un sospiro; Don Calandrino proviamoci: sentite. Favorisca. Don Calandrino Livietta Che bramate, (Oh ecco la saputa.) mio plenilunio?

Irene Irene (Ecco là quell’astuta.) Ah?

Livietta Don Calandrino Cosa venite a fare? (Muore per me questa ragazza.) Sarò vostro, Irene fatene capitale. Ad avvisarvi che il francese c’invita Irene a pranzo tutti. (Ah ah, l’ho indovinata: manco male.)

Livietta Livietta (Beffandola.) (Tirandolo per un braccio.) Cara! La volete finire? Lo sapevamo. Don Calandrino Poverella, Don Calandrino sospira tanto… Ditemi: chi siete mia vaga tortorella? Livietta Oh certo è nicissario. Irene Sono Irene, del sindaco sorella. Irene (Quant’è vago!) (Tirandolo a parte.) Che, mi tradite? Livietta (Piano a Don Calandrino.) Don Calandrino Ehi sentite. Non è ciana, Oibò: Non è signora. ma ci vuol convenienza.

34 Livietta Fra due donne oh che rovina… Ha finito eccellenza Il cervello è una fucina, signora sputa pepe? che fumando, strepitando in faville se ne va. Irene (Parte.) Oh eccellentissima dama di primo rango. Scena tredicesima Don Calandrino Livietta e Irene. (Qui ci vuole tutta la mia dottrina.) Ninfe, o donne, Irene o dive che voi siate, udite: Amore Villanaccia arrogante. entra per le palpebre e passa al core. Vi guardai, mi guardaste, Livietta v’accendeste, m’accesi, il core e gl’occhi Arcibellissima fecero lega insiem, lega fatale principessa adorata. scende la fiamma e sale, vola da un volto all’altro, Irene e va da quello a questo… Oh se sapeste l’armi Deh fate pace, poi saprete il resto. ch’ho io per invaghire. Vaghe ninfe, deh! placatevi. Livietta Deh! non state più a gridare: Voi? Che sciocca. non sapete, o ninfe care, Aiutatemi a ridere. quel che amore in sen mi fa. Piglia core amor tiranno, Irene poi lo batte su l’incude… Oh basta, lo vedremo. Ferma, ferma bricconcello… Livietta Ah, sentite col martello Vedete che figura da pigliarla quanti colpi che gli dà. con Livietta del Poggio, (A Livietta.) che ha in casa al suo comando cento scudi Deh! placatevi mio sole. di paoli usati e novi, (Ad Irene.) e ha due case, un podere e dieci bovi. Idol mio non più parole. Sarò vostro, lo vedrete, Io del paese sono la prima, sarò vostro, non temete. ciascun mi loda, ciascun mi stima. Giusti dèi, che pena è questa! della signora ciascun mi dà. Non ho cuor, non ho più testa. E poi quest’occhi non sono belli?

35 Non sono biondi questi capelli? Don Calandrino l’ama: Povera sciocca, povera matta, chi sa che non la sposi. (Quest’è un foco bocca di forno, occhi di gatta, che bisogna attizzarlo.) mi fate ridere per verità. (Parte.) Le Blonde Andate. Irene (Burla.) Valerio Povera sciocca, povera matta, Vado, bocca di forno, occhi di gatta… per far mettere all’ordine. Ma se mi svengo, ma se sospiro han da cadere quasi in deliro Le Blonde gl’uomini tutti di qua e di là. (Sempre più infuriato.) (Parte.) Partite.

Valerio Scena quattordicesima (Finirà in mio vantaggio ogni lor lite.) Camera della locanda dov’è alloggiato Mon - (Parte.) sieur Le Blonde; Valerio che dà ordini a due camerieri della medesima, indi Le Blonde infu - riato. Scena quindicesima Valerio Monsieur Le Blonde, indi Don Calandrino, poi Qui, qui s’ha da pranzare, tutti a suo tempo. la voglio qui la tavola. Le Blonde Le Blonde Queste soverchierie Valerio, si fanno ad un mio pari? son disperato… Don Calandrino Valerio Caro amico, Come? eccomi pronto e lesto Le Blonde per favorirvi. In questo punto Le Blonde ho visto uscir Livietta dalla casa (Con serietà.) di monsieur Calandrino. Ditemi: Valerio di guerre, di duelli Se lo dico, v’è n’intendete?

36 Don Calandrino chi deve tirar prima. Oh buona! Quest’è la prima cosa Don Calandrino che studia un letterato. Siete pazzo? (Ah potessi fuggir.) Le Blonde Vi siete mai battuto? Le Blonde Presto alla conta, Don Calandrino per chi? Ho avuto in testa più cannonate, che non peso. Don Calandrino Ma per qual causa? Le Blonde Bravo! Le Blonde Così vi voglio! ch’è di là? Per Livietta… cospetto!…

Don Calandrino Don Calandrino Volete Amico, non vedrete qualcun? le rarità ch’ho in casa.

Le Blonde Le Blonde (Piano al suo lacchè che subito ritorna.) Sono antiche? Le mie pistole. Don Calandrino Don Calandrino Antichissime! (Per Bacco; Se non era lo studio l’ho trovato il ripiego.) che m’ha precipitato, a quest’ora sarei Le Blonde o colonnello o caporal. Anche i duelli sono antichi. Su presto, alon , andiamo. Le Blonde Posate Don Calandrino quell’armi e andate via! (Oh numi tutelari (Il lacchè posa le pistole e parte.) della virtù… Zitto, proviamo un poco Don Calandrino un altro mezzo termine.) Sentite: Come? bisogna ch’io mi scaldi, perché ho un sangue freddissimo, Le Blonde e non posso combattere Alla conta, a sangue freddo.

37 Le Blonde Con comodo sapete? Ebbene, ecco là il vin; bevete Le Blonde e scaldatevi pur quanto volete; (Mi sento una paura…) Eccomi pronto. ma pensateci bene, Non più raggiri. dopo bevuto, io non ammetto scuse! Don Calandrino Don Calandrino Che raggiri, oh bella. Che scuse! sono un diavolo Vedrete chi son io col vino in corpo, sfiderei Vulcano: dopo ch’avrò finito. a bere, a bere. Arma vinumque cano . (Io già puzzo di morto.)

Le Blonde Le Blonde (Versa il vino in due bicchieri.) (Io son spedito.) (Ohimè! Costui ha spirito (Prendono ambedue tremanti il bicchiere.) più di quel che credevo. Non vorrei…) Don Calandrino Vorrei ber, ma un’aura io sento, Don Calandrino che con mesto mormorio (Si fa bianco… va dicendo “amico, addio; ci pensa… ah si pentisse…) Ecco vedete, è finita omai per te.” un bicchiere per uno si ha da gustar con flemma: Le Blonde i sorsi sieno pochi e sieno rari. Ber vorrei, ma sento al core una voce che mi dice: Le Blonde “tu sei morto!” Me infelice, Animo sù, beviam da nostri pari. più rimedio, oh Dio, non v’è. Don Calandrino (Diavolo, è risoluto.) Don Calandrino Dopo che si è bevuto (Comincia a bere.) non ci è rimedio: la pistola subito, Su, coraggio! chi tira tira… (e alcun non viene…) Le Blonde Le Blonde Voi bevete? Andiamo! Bevo anch’io. (Si pone a sedere.) Don Calandrino Don Calandrino Non tanta fretta. (Come sopra.) (Ah ch’io tremo.)

38 Le Blonde son confuso, son tremante, (Ah ch’io pavento.) all’estremo de’ miei dì.

Don Calandrino Livietta Riscaldarmi ancor non sento. (A Le Blonde) Son venuta ad onorarla: Le Blonde ma cos’è? nessuno parla? Dite ben, ci vuol più foco. Gialli gialli, brutti brutti. Don Calandrino Con chi l’hanno? Che sarà? Va bevuto a poco a poco. (Al venir delle donne s’alzano Le Blonde e Don Calandrino ambedue incoragiti, e si fanno di A due nascosto delle medesime de’ cenni di sfida.) Ecco insiem, così si fa. (Bevono.) Irene Son venuta a riverirla, Le Blonde a inchinarla ed ubbidirla. Piano… Ma quei cenni cosa sono? Cosa fan quell’armi là? Don Calandrino Adagio… Don Calandrino (Or convien mostrar valore.) Le Blonde Niun ci ascolta. Le Blonde Don Calandrino (Si vedra se ho spirto in core.) Va bevuto un po’ per volta. Don Calandrino (Ah, son morto!) Presto all’armi. Le Blonde Le Blonde È ancor finito? All’armi presto. Don Calandrino Livietta Ce n’è un sorso. Non signor! Le Blonde (Trattenendo Don Calandrino a forza.) Ce n’è un dito. Irene A due Ch’imbroglio è questo. S’avvicina, oh Dio, l’istante, (Trattenendo Le Blonde.)

39 A due prendo l’armi, deh partite. Siete pazzi, cos’avete; (Ad Irene.) deh parlate, non tacete, (Non lo fate, non fuggite, tutto al fin s’aggiusterà. che sarebbe crudeltà.)

Don Calandrino Livietta A un dottore qual son io. (Oh che spasso. Or gliela ficco.)

Le Blonde Irene A un francese, ad un par mio. (Fan da bravi ed han timore.)

Don Calandrino A due Che so d’abbaco e d’istoria. Presto via fatevi onore. Noi staremo qui d’appresso Le Blonde per veder chi vincerà. Che viaggio per mia gloria. (Fingono partire e si ritirano separate.) Le Blonde Livietta (Son spedito. Ah se sapessi Deh fermatevi. come far restar costoro.)

Irene Don Calandrino Quietatevi. (Ho negl’occhi un fosco velo.)

A due Le Blonde Cos’è questa novità? (Ho nel cor, nell’alma un gelo.)

Don Calandrino Livietta Donne belle, per quegli occhi (Mi fa il sangue un certo moto.) io combatto: andate, andate. (A Livietta piano.) Irene (No carina, non lo fate, (Sentir parmi un freddo ignoto.) non partite per pietà.) A quattro Le Blonde (Vorrei star, fuggir vorrei, Sì per voi, mie donne belle, ma son dubbi i passi miei.

40 Resto, parto, cosa fo? Irene Va crescendo, oh Dio, l’affanno, Signora, un tal bisbiglio e risolvermi non so.) solo per lei si fa.

Valerio Livietta In tavola signori, Ci ha posti in iscompiglio è tutto, tutto in ordine. la sua gran civiltà. Che brindisi faremo, davver che rideremo, Irene davver ch’io mangerò. Bruttissima insolente.

Le Blonde Livietta (A Don Calandrino.) Bellissima prudente. Amico, si sospenda. Irene Don Calandrino Affé che se mi piglia. Tregua per or si faccia. Livietta Valerio Affé che se mi viene. Perché sì mesti in faccia? A due Don Calandrino Il sangue nelle vene Eh niente, bagattelle… mi sento circolar. Le Blonde Valerio In grazia delle belle… Fermatevi, tacete. Don Calandrino Volevo riscaldarlo… Livietta ed Irene Si sa con chi l’avete? Le Blonde Lasciateci un po’ star. Volevo cimentarlo… Le Blonde A due Nuova disfida, amico. Provare il suo valor… Don Calandrino Valerio Diavolo, un altro intrico. Eh via che son spropositi. Ritorni il buonumor. Le Blonde (S’incamminano gli uomini allegri verso la (Ad Irene.) tavola, e le donne cominciano a litigare.) In grazia mia…

41 Irene Irene Partite. Che stizza, che tormento!

Don Calandrino Valerio Per amor mio… Che mensa sventurata!

Livietta Le Blonde Scostatevi. Che guerra è questa mai!

Valerio A cinque Ma almeno ricordatevi Son desto, o pur sognai. che ancor si ha da pranzar. Mi par di delirar.

Livietta Tutti Che rabbia al cor mi sento! Ai strepiti, al fracasso che in mezzo al core io sento, Don Calandrino parmi fra i tuoni e il vento Che orribile giornata! d’essere a notte oscura, d’essere in mezzo al mar.

42 PARTE SECONDA evviva di buon gusto.

Scena prima Le Blonde Sala della locanda dove sta alloggiato Monsieur Il mio lacchè Le Blonde; si vedranno in atto d’aver terminato [cucina alla francese il pranzo, ed in allegria, Don Calandrino, e a tutta moda. Livietta, Le Blonde, Irene, e Valerio. Irene Tutti Bravo, Che cibi esquisiti, si porta bene. che grati liquori, rallegrano i cori, Livietta fan l’alma brillar. Eppur le nostre torte, i gnocchi, i ravioli, Don Calandrino mangiati caldi caldi Mai più si favelli con il cucchiar d’argento: di guerra o di risse. sono migliori assai.

Le Blonde Irene Lasciamo i duelli (Schiattar mi sento.) a Jarba, ad Ulisse. Don Calandrino Valerio Amico perdonatemi: Si viva alla moda. i francesi di Francia non sanno cucinar. Irene Si rida, si goda! Le Blonde Chi ve l’ha detto? Valerio, Irene, Livietta, a tre Mi meraviglio. Fra danze e conviti pensiamo a scialar. Don Calandrino Sentirete un cuoco Tutti uno di questi giorni… Ah che buon gusto, Che cibi esquisiti, che arte, che maestria: che grati liquori, lo fo venire da Cefalonìa. rallegrano i cori, (Ridono tutti.) fan l’alme brillar. Le Blonde Valerio Venga pur d’onde vuole, il mio lacchè ] Viva monsiù Le Blonde, non la cede a nessuno: fa di tutto,

43 fa rosoli, liquori (Rende il bicchiere.) eccellenti… A proposito quant’è cattivo. voglio farvi sentire un bicchiere di rum… presto prendetene Livietta un paio di bottiglie. Oibò… (Fa cenno che siedano.) (Come sopra. ) Non lo vuole lo stommico, Irene è una specie di tosco. (A Valerio.) Che cos’è questo rum? Valerio Grazie, grazie, Valerio (Come sopra.) E chi lo sa? Non fa per me.

Livietta Le Blonde Io non l’ho mai bevuto, Scusatemi… non so che diavol sia. Credevo… (Siedono tutti.) Don Calandrino Le Blonde Ah questo è un nettare. È un liquore. Ah che rum, che rum.

Don Calandrino Le Blonde È composto Vi piace? di neve, di rugiada, d’aria sottile e di materia prima. Don Calandrino E come! Livietta Qua, qua, datene un altro. Oh cappitra, è un liquor degno di stima. (Beve di nuovo.) (Vengono presentati in una sottocoppa de’ bic - chieri di rum.) Valerio (Or ora s’ubbriaca.) Le Blonde Servitevi madama, Don Calandrino prenda signora Irene… Gli antichi non avevano Signor Don Calandrino. queste delizie. Signor Valerio… Le Blonde Irene Oh appunto, Ohimè, quando vedrò le antichità?

44 Don Calandrino [Irene L’ho in casa. (A Don Calandrino in disparte.) Già mi sposaste, non è ver? Le Blonde Verrò fra poco. Don Calandrino Può darsi: Livietta chi sa… basta… vedrem. Anch’io voglio vederle. Livietta Irene (In disparte come sopra.) Anch’io! Mi sposerete?

Valerio Don Calandrino Staremo (Sempre in atto di partire.) questa sera a far festa Oh voi daver la sposa mia sarete. in casa vostra. Valerio Don Calandrino Se mai l’illustre patria E vi farò un ragù, volesse dei denar. ma che ragù… Portate altro bicchier di rum! Don Calandrino (Beve di nuovo.) Son lesti… Addio. Fatene capitale. Le Blonde (Mi pare allegro.) Le Blonde L’antichità vi raccomando. Valerio (Vale più il nostro vino.) Don Calandrino È in ordine. Livietta Fatene capitale… (Oh, io non mi c’incommido.) Addio… ] Addio. La testa mi pare che vacilli, Don Calandrino e che siano eclissati i miei pupilli. Signori addio, ci rivedremo. (Parte traballando alquanto.) (S’alza.)

Le Blonde Scena seconda Addio. Livietta, Irene, Valerio, e Le Blonde.

45 Le Blonde Irene Son graziosi i filosofi Oh sì: non dite male. un po’ caldi dal vino. Fingerò di svenirmi, ma per burla sapete? Livietta Ohimé… mi sento mal… (Seguirei volontier Don Calandrino, (Si pone a sedere.) ma mi vergogno.) Livietta Le Blonde Cos’è? Cara Liviettina mia bella, Valerio posso sperar… (Piano a Le Blonde.) Si sviene Valerio per voi la sorellina. (Piano ad Irene.) Le Blonde è un buon partito; Le Blonde vedi d’innamorarlo. Non ho indosso ristoro alcun… Irene (Ohibò: mi preme adesso Valerio solo Don Calandrino.) (Quanto mi vien da ridere.)

Livietta Livietta (Ah colui ch’è partito è più bellino.) Il medico, il chirurgico… presto! Le Blonde (Parte.) (A Livietta.) Anima mia… Valerio Qualche specifico Valerio corro a cercar precipitevolmente. (Piano ad Irene.) (Parte.) Lo senti? Livietta te la fa. Le Blonde Oh vedete che caso, che accidente! Irene (Cosa m’importa?) Irene (Alzandosi dopo aver guardato all’intorno.) Valerio Ah ah, mi vien da ridere. Ma piangi, svieni… Che ci avete creduto?

46 Le Blonde Scena quarta Come!… Oh bella! Livietta, Valerio, indi Monsieur Le Blonde con Tanta malizia avete! spada e cappello in atto d’uscire. Brava signora Irene… Ma sappiate che non mi giunge nuovo… Livietta dappertutto l’istesso ognor vi trovo. Se mai quest’altr’oggetto fosse Don Calandrino, Siete donne, e tanto basta, vuoi star fresca davero. Vale a dir che siete belle, vezzosette, carinelle, Valerio e vi voglio sempre amar. (Vien frettoloso e s’arresta.) Ma per altro siete fine, Eccomi qui sorella. furbarelle, accorte siete, Oh mi sono ingannato. la magia voi sole avete di saperci corbellar. Livietta (Costui come una bestia è innamorato. Bisogna che lo tratti Scena terza con una gran polittrica: potrebbe Livietta ed Irene. guastare i fatti miei.) Livietta (Dopo essere stata alquanto in osservanza.) Valerio Ho capito, signora: (Scopriam paese.) Servitor di lei. sapete finger bene: Livietta me ne consolo. Via la prego, la supprico, Irene non faccia cirimonie. Sì, l’ho fatto apposta, perché vediate chi son io. Valerio Così sola? Livietta (Ridicola, Livietta senza crianza.) Meglio sola che male scompagnata.

Irene Valerio E pur non è il francese Ah superbetta, ingrata: l’oggetto da me amato: so ben io Don Calandrino, insomma, chi fra poco sarà lo sposo mio. è il caro idolo vostro. (Parte.) (Si vede comparire Le Blonde.)

47 Livietta Valerio A mia notizia Ma sa lei, signor mio, non è quel che voi dite. ch’anche io la stimo assai?

Valerio Le Blonde Sarà il francese. (Con vivacità.) Come, per Bacco. Livietta Tu mio rivale: avresti voglia forse Peggio, peggio. di batterti?

Le Blonde Valerio Oh diable ! Non dico Qui si parla di me. e non pretendo questo… Ma vorrei… Livietta Livietta Non lo sapete (Stirandosi.) che il francese è invaghito (Ah, che piacere avrei dell’amabile Irene? Io l’ho veduto che si dessero in capo.) fare il caro, il vezzoso… Le Blonde Le Blonde Quanto tempo (Presentandosi con furia.) che non mi son battuto… Qui si trovano Non è vero madama: ecco io vi sposo. fioretti? Avrei gran voglia Valerio d’esercitarmi teco. (Oh maledetto!) Livietta Livietta Lo vedete? Andate, Nel meglio del discorso andate pur da Irene: io son da tutti saltate a un’altra cosa. abborrita, sprezzata… Le Blonde Le Blonde Ma ragazza! Chi l’ha detto? S’ha da parlar sempre d’amore? Io vi stimo, carina: voglio farvi diventare parigina. Livietta Alon , alon , la mano. Sempre. Quand’uno è innamorato Livietta deve parlar d’affetti; Che impertinenza; lo sperate invano. se in faccia a Simiramide

48 o Scitalco o Mirteo Valerio non avesser d’amore ognor parlato, Certamente. la superba regina L’uomo non deve aver sempre un pensiero. avria fatto un sconquasso, una ruina. (Mi disprezza così, ma pur ci spero.)

Voi Mirteo, Scitalco voi, Le Blonde Simiramide son io. Che belle rarità credo che in casa Se bramate l’amor mio, abbia Don Calandrino: che fareste dite un po’? sospiro di vederle. (A Le Blonde.) Suppricarmi voi dovreste, Valerio (A Valerio.) Anche la patria voi baciarmi questa mano, sospira un po’ d’aiuto, e poi dirmi piano piano un poco di danari. Questa sera, sempre, sempre io v’amerò. in tempo della cena, (A Le Blonde.) gli farò la richiesta. Ma voi siete qual distriero, Le Blonde che galoppa e fugge via, Questa sera? (A Valerio.) Ci vado adesso! e la vostra villania non v’insegna a far di più. Valerio (A Le Blonde.) Anch’io Ah per me tu non nascesti, dunque verrò fra poco. (A Valerio.) io non nacqui, oh Dio, per te. Le Blonde (Calandrino bello bello, Ma quel famoso cuoco.. ch’io ti lasci poverello, Valerio no, possibile non è). Sì sì, che viene da Cefalonìa. (Parte.) Le Blonde Oh che testa è la mia… Scena quinta M’ero scordato. Monsieur Le Blonde, Valerio. Valerio Le Blonde Di che cosa? Sempre parlar d’amore! Quest’è una seccatura, Le Blonde sindaco, che ne dici? Ascolta:

49 se tu ardisci guardar la mia Livietta, Don Calandrino con un servo appresso che gli a vista, anzi di volo, reca una sedia di riposo, indi Livietta frettolosa. io ti spacco la testa a un colpo solo. (Parte.) Don Calandrino (Al servo.) Ehi… Se vien gente le dirai che in casa Scena sesta ci sono e non ci sono… Valerio solo. Ah, il sonno è un elemento molto buono. (Si pone a sedere.) Valerio Cos’è?… Questo soffitto Eh, va’ al diavol: che pazzo… Mi rincresce è sicuro?… Mi pare di Livietta, cospetto?… Potrebb’essere di vederlo girare… per altro che m’amasse. Alle volte le donne… Ah non è vero: Livietta e ancor che fosse amante Compatite la donna al mondo non fu mai costante. se vengo a darvi incomido. La donna è sempre istabile, Don Calandrino sempre si cangia e vola Oh vezzosa come la banderuola aurora boreale! che gira qua e là. Al soffio di Levante Livietta si volge in un istante, Son venuta se poi Ponente spira perché sùbito sùbito, a dispetto pronta di là s’aggira, di tutti i pretendenti e in quella parte e in questa qui mi sposiate. giammai restar non sa. Oh donne istabilissime, Don Calandrino donne volubilissime, (Alzandosi.) voi sole lo sapete, (Oh diavolo, se questa è verità. che fretta che ha costei!) (Parte.) Livietta Non rispondete? Scena settima Sala con porta di mezzo, di dove entrano ed Don Calandrino escono i personaggi, e due porte laterali che (Il sonno cresce… adesso introducono in varie camere situate una in ci rimedio.) Aspettatemi faccia all’altra. là, dentro quella stanza,

50 perché alcun non vi veda, quanto vado Don Calandrino a farne un motto con mio padre… Le chiavi vado a prender. Livietta Caro, Le Blonde di voi mi fido. V’aspetto. (Entra in una delle camere.) (Entra nella camera opposta a quella dove è Don Calandrino entrata Livietta.) Eh via, Oh che piacer! che gusto! fatene capitale. Don Calandrino [Stai fresca… Non mi reggo… Oh che destino. Vado a dormir con comodo in giardino. (Vuoi star bene.) (Va per uscire, e s’imbatte con Le Blonde.) Pian piano ora partir di qua conviene. (Mentre vuol uscire s’incontra con Irene.)

Scena ottava Le Blonde e detto. Scena nona Irene e detti. Le Blonde (Con sollecitudine.) Irene Eccomi caro amico… Don Calandrino mio… Le vostre meraviglie son venuto a veder. Don Calandrino (Rotta di collo Don Calandrino a me, a Don Calandrino…) Via, questa sera, dopo ch’avrem cenato Irene vedrete tutto. Io v’amo tanto; perché non mi sposate? Le Blonde È meglio, è meglio adesso. Don Calandrino Don Calandrino (Che seccatrice…) Adesso… (Ora ti cucco.) Entrate Ah che caldo… che fumo! in quella stanza, ch’ivi Sentite caldo? stanno l’antichità. Irene Le Blonde Presto Ma voi… me l’avete promesso.

51 Don Calandrino Don Calandrino (Mai tal cosa… oh che imbroglio!) In quella (Ah illustre [camera diavolo che ti porti.) Entrate subito: aspettatemi, e zitta: una parola ah questo mio buon cuore… è dover che io ne faccia (Valerio spinto da Don Calandrino entra dove col podestà mio padre. sta Monsieur Le Blonde.) questo mio dir di sì… Io non mi reggo, Irene che rabbia, andiamo, andiamo Fate presto. o in grotta, o dentro il forno: (Entra nella camera dov’è Livietta.) voglio dormire quattro notti e un giorno. (Nel partire escono tutti uno dopo l’altro.) ] Don Calandrino Non so più quel che far… che impiccio è questo. Livietta (Vuole uscire, e s’imbatte in Valerio.) Signor Don Calandrino, così si tratta?

Scena decima Don Calandrino Valerio correndo, e detti. (Ohimé!

Valerio vi chiede, e niente più. Don Calandrino Don Calandrino Or sì son morto.) (Sia maledetta l’illustre patria… i patriotti…) Le Blonde Che sento! Cosa vedo! Valerio Le donne… E bene? Valerio Don Calandrino Mia sorella… Là dentro stan le casse de’ miei quattrini… entrate. Le Blonde Vado a prender le chiavi. Livietta!

Valerio Don Calandrino Ah illustre, ah caro (Oh ciel che smania, concittadino. che confusione!) Adagio, quanta gente.

52 Volete qualche cosa? Vedo girar le mura… Fatene capitale. Il tetto s’apre… il suol si scuote e trema, sembra che il vento frema… Livietta Oh che pioggia… che grandine insolente. (Che vergogna!) Amici che sarà? No non è niente. Ah, quest’occhi, quest’occhi Irene fan travedere e aperti star non ponno. (Che rabbia!) Ragazze mie che sonno… Le Blonde Mentre io dormo cantate La promessa, l’aria del rosignolo, signor Don Calandrino. o ver del ruscelletto… Che piacer, che diletto… In questa forma Don Calandrino canta la bella donna e par che dorma. Don Calandrino è uscito: E voi sciocchi che fate! non è in casa daver. (Sono stordito.) Presto fatemi udire in tuon più forte (Si getta di nuovo sulla sedia.) quell’aria del leon piagato a morte… Carine… eccomi qua… Come… perché? Valerio Non volete cantar… canto da me. (Ho inteso: il rum lavora.) (A Livietta.) Livietta Quel rosignol voi siete, (Non connette.) che all’ore oscure e chete intenerir mi fa. Irene (A Irene.) (Fosse ubriaco mai.) Voi siete quel ruscello (Lo guardano attentamente ed ora mostrano che mormora bel bello, d’inquietarsi ed ora di ridere.) e al mar fiottando va. Ma oh Dio, sbadiglio e casco… Valerio Che flebile canzone; (Che inganno è questo!) l’arietta del leone Le Blonde sentite per pietà. (M’infurio e poi m’arresto… Leon piagato a morte Mi vien da rider.) sente mancar la vita, guarda… che bestia ardita! Don Calandrino Scanzatela di qua. Come, voi ridete… Ah che non sto più saldo, Ah piangete, piangete, il fumo… il foco… il caldo… che spavento!… che orror!… che nube oscura. che smania al cor mi dà.

53 Empi non mi seccate: Livietta tremate sì tremate, (Cosa risolvo mai!) mostri di crudeltà! (Parte.) Irene (Che far degg’io.)

Scena undicesima Le Blonde Livietta, Valerio, Le Blonde, e Irene. Qui per Bacco ci va dell’onor mio. [Adesso ci ripenso: questa volta, Le Blonde amico, non la scampa. Quanto, quanto s’impara Voglio ammazzarlo. girando il mondo. Livietta Valerio (Come!) (Io fremo.) Irene Irene (Che sento!) (Me infelice.) Valerio Livietta È un asino. (Stella persecutrice Le Blonde delle nobili ciane, Una bestia, un ridicolo. che pretendi da me?) Valerio Le Blonde Vo’ sospender le corse, La vostra patria il Saracin, la giostra: ha fatto un bell’acquisto. voglio parlar al podestà.

Valerio Le Blonde Io son confuso. L’ammazzo. Mi promette i denari… Non v’è rimedio.

Le Blonde Irene Le antichità… (Ove trovarlo adesso!)

Valerio Livietta Cospetto! È un impostor! (Come avvertirlo.)

Le Blonde Valerio Lo credo! Brave. Anch’io con voi m’unisco.

54 Mi voglio vendicar. Valerio Indegna, ingrata! Irene (Parte.) Valerio Livietta Don Calandrino è morto, (Ed io sarò più lesta. non c’è rimedio. Gli scriverò un biglietto Irene di carattolo mio per avvisarlo, Eh via, non lo farete. perché parlare al traditor non voglio.) Irene mia, che imbroglio! Valerio Questa scena lugubrica Per Bacco, lo vedrete. a dir la verità poco ci onora, e non l’ho letta in Mitastasio ancora. Irene (Parte.) Provateci! Valerio Scena dodicesima Anzi, adesso entro più nell’impegno. Valerio ed Irene. Irene Valerio Provateci vi dico. Animo, vo’ saper perché Livietta Se ardite di toccarlo stava qui. farò strepiti, grida, farò correre tutto il vicinato. Irene Io l’amo ancor, benché infedel e ingrato. Già si sa, per dar la mano al suo Don Calandrino! Sento che in seno m’accende il core

55 quel nume barbaro, tiranno Amore: Ritorniamo a dormir… Ma questa carta fratel guardatevi, nessun mi stuzzichi (Raccogliendola.) che d’una vespa sono peggiore qui che ci fa? Vediamo. e già la collera mi fa tremar. È carta scritta… E che scrittura arabica… Ohimé che dico!… fratel scusatemi, Eh ci vorrà del buono… non farò chiasso, non dirò niente, Ma legger la saprò… dottore io sono. amore barbaro mi fa parlar. (Legge.) (Ma non mi guarda, ma non mi sente, “Casa sedici grugno”. quell’ infedele corro a salvar.) Sedici grugni in casa? il conto è chiaro: (Partono.) son sedici persone. “Mio spasimo crudel…” avrà la colica Scena tredicesima o la podagra: avanti. Casa di Don Calandrino con sedili e alberi “con Nizza, e con Borgogna sparsi. un’amante stordita”… Si stordisca Don Calandrino che dorme, e Livietta con con Milano, con Genova foglio in mano. e col gran Cairo ancor: cosa m’importa. “Un’amante stordita” già l’ho letto Livietta “vi priega di cecarvi”… a me? che bestia! La lettra è lesta… ma non trovo ancora Perché lei s’è stordita, nessuno che la dia m’ho da cecare; appresso in mano del crudele… Eccolo… Oh Dio! “se vi preme la vista (Vedendolo.) cecatevi all’istante”: ah questa è pazza. Dorme… Che fo… lo sviglio, Io crepo dal gran ridere, gli parlo!… non sia mai, credo che riderebber queste piante. ci va del mio disdoro: “Rendete o un corvo o un gatto ad un amante” tradirmi, ingrato! ah per la rabbia io moro. Ma che corvo, che gatto. Ma se intanto il francese Chi diavol l’ha veduti… questo foglio vien qua, lo vede? Orsù così si faccia; va riposto in archivio; (Gli getta in preda il foglio.) non l’averebbe scritto Alcide al bivio. voglio con iroismo vindicarmi del torto… Leggi, Don Calandrin, leggi o sei morto. Scena quattordicesima (Lo scuote, lo desta e parte.) Irene e detti.

Don Calandrino Irene (Alzandosi impaurito.) Eccolo: l’ho trovato. Chi mi sveglia! Chi è morto, Avvertiamolo subito! Chi legge… è sogno… è sogno. Ma perché ride, con chi l’ha!

56 Don Calandrino Nascondetevi… Io vado… Oh che tormento. (Vedendola.) (Parte.) Carina, chi siete! ah che piacere: Don Calandrino aiutatemi a ridere. Atro che gatti e corvi… Ah lo sapevo ch’oggi leggevo male… Dove vado! Irene Torno su in casa?… Ohibò… Perché? Eccoli… Oh me meschino, dove mi asconderò, che giorno orribile!… Don Calandrino Che casi inopinati. Sapete leggere. Assistete un dottore, o dèi Penati! (Si nasconde.) Irene La sorella d’un sindaco deve saperlo. Scena quindicesima Le Blonde e Valerio. Don Calandrino E ben dunque tenete. Le Blonde preparatevi a ridere: leggete. Di qua non v’è nessuno.

Irene Valerio “Casa sedici giugno. Nemmen di qua. Mio sposino crudele, con stizza e con vergogna Le Blonde un’amante tradita Costui vi prega di celarvi. s’è ficcato senz’altro Se vi preme la vita, in qualche sotterraneo. celatevi all’istante! Valerio Credete, o core ingrato, ad un’amante.” Direi Ho capito: Livietta che al diavol si lasciasse. v’ha scritto questo foglio. (Strappandola.) Le Blonde Dottorino… ingrataccio. Ma sappiate Sì per ora che il francese vi cerca si lasci pur: lo troverò ben io. per ammazzarvi… mio fratello ancora vuol farvi render conto… Io son venuta Valerio per avvisarvi… Oh Dio! Signor: fate una volta a modo mio. Parmi già di vederli… già li sento… Non pensate a costui,

57 non pensate a Livietta: è la cagion Fronti basse, crini corti, colei d’ogni sconcerto. bocche grandi, nasi storti, genti meste, genti allegre, Le Blonde facce bianche, facce negre, A quell’ingrata? Oh non ci penso certo. gigantacci, brutti nani; mori, turchi, americani, Valerio oh, che gusto che sarà! Dunque sposate Irene. La cara Irene poi sarà quella Le Blonde che qual amante mia tortorella, La sposerò: mi piace; per la marina, per la campagna, ha un’aria d’innocenza, fedel compagna mi seguirà. buona fisionomia. (Parte.)

Valerio Valerio Bravo. (Livietta è mia. Basta che sposi Irene, Don Calandrino non mi fa paura.) va’ pur da capo a fondo a misurar quant’è mai grande il mondo. Le Blonde (Parte.) Starem lieti daver! Te n’assicura. Intanto avvisa Irene che si preparan a viaggiar… Scena sedicesima Don Calandrino, poi Irene, indi Livietta. Valerio Bravissimo! Don Calandrino Colla sposina al fianco… Sono dieci anni e rotti ch’io studio, e non ho letto Le Blonde un caso più bestiale. Quinto Curzio Oh sì gl’antichi narra in un certo libro che ho veduto facean tutti così: tu pur verrai. ch’Ettor ancor… Ah gran cose vedrai, cose non più vedute e non più intese Irene che narrerai tornando al tua paese. Don Calandrino.

Vedrai la forte bionda Alemagna, Don Calandrino la Francia bella, la ricca Spagna, Aiuto! poi la pensosa seria Inghilterra; indi più oltre si passerà. Irene Ah belle cose che allor vedremo, Non temete: gli ho visti ah rideremo per verità! uscir io dal giardino.

58 Don Calandrino prima che si concluda… No non temo: ma la prudenza insegna… Irene Oh signorina: Irene già si è concluso. In questo giorno stesso Poche ciarle, ei mi diede parola. io non dovrei guardarvi in faccia, e pure vengo a offrirvi la mano… [Livietta Voi, che dite? Don Calandrino Mi par che prometteste Ma vi par tempo? anche a me se non erro. Irene Don Calandrino Il differire è vano. Si può dare; Don Calandrino gli uomini dotti han tante cose in testa; (E Livietta?) tanti pensieri… Adesso quanto vado a vedere Irene il trattato di Seneca, Per Bacco. in cui discorre d’Ercole e d’Orfeo. Voi me lo prometteste. (Vuol partire, ed è trattenuto da Livietta.) Don Calandrino Livietta (Ma che vizio Dove avete studiato il Galileo: di promettere a tutti e poi non ricordarsene.) no, non si fugge…

Irene Don Calandrino Sbrigatevi! (Ohimè, cattivo segno.) ] (Qui bisogna gridare. ) (Risentito.) (Qui ci vuol arte e ingegno, Voi non mi conoscete padron mio: altrimenti lo perdo.) Irene udite. quest’è una impertinenza. Irene Don Calandrino Parlate pur. Ecco dunque la mano. Livietta Livietta Costui è un infedele, Con licenza, non fa per me.

59 Don Calandrino Irene Pazienza. Adesso vado a cercarlo… ma voi qui che fate? Irene Partite ancora voi. Dite daver? Livietta Livietta Parto. V’aspetto Lo giuro fuori di qua. (Stai fresca!). per tutte le prodezze (Finge partire.) di Calandro fedel. Irene Don Calandrino Voi restate! (Che giuramento.) Fra poco tornerò, non mi burlate! Irene (Parte.) (Io non resisto dal piacer che sento.)

Livietta Scena diciassettesima Ma però con un patto, Don Calandrino, poi Livietta che torna. che divenga mio sposo Don Calandrino monsiù Le Blonde mio. È una gran cosa il merito, Don Calandrino ma non sempre da tutti è conosciuto. Chi? Quella bestia Livietta che non connette mai? (Irene mi ha creduto, Livietta se n’avvedrà.) Oh, sconnette, sconnette. Don Calandrino Irene Livietta, Cara amica, perché cedermi a Irene? quanto vi son tenuta! questa cosa mi picca e non sta bene. Ah ah eccola là: Don Calandrino passeggia? (Ho fatto assai. Livietta io l’ho perduta.) Livietta Livietta (Ingrato: voglio Ebbene, andate subito, mortificarlo.) parlategli, inducetelo a sposarmi, e vi cedo Don Calandrino Don Calandrino. Dica,

60 chi aspetta in grazia? Livietta Per esempio Livietta del mio vago monsù. Chi mi pare. Don Calandrino Don Calandrino (Ma che assassina!) Scusi! Oh sì sì, dite bene, e per esempio io parlerò d’Irene. Livietta Livietta Ah quanto sta a venire (Che faccia tosta!) il mio bel francesino. Don Calandrino Don Calandrino Cara (Che coraccio crudel di travertino.) quella fanciulla!

Livietta Livietta E lei attende forse Caro, anzi carissimo qualcuno? il mio Le Blonde.

Don Calandrino Don Calandrino Irene (Tocca a me: è un incanto, un stupore, voglio mettermi in aria.) [Sto aspettando ] credo d’averla impressa in mezzo al core. Irene la mia sposa. Ha due occhi Irene mia, Livietta ma che occhi vezzosetti, (Indegno.) bastan solo quegli occhietti per far tutti innamorar. Don Calandrino (Schiatta.) Livietta Ha una grazia il francesino, Livietta ma che grazia in quel sembiante, Oh che noia, che incommido basterebbe un sguardo amante l’aspettar. per far tutte delirar. Don Calandrino Don Calandrino (Fa davero, o pur mi burla!) Si potrebbe, intanto che s’aspetta, Livietta parlar di qualche cosa. (Parla serio, o mi diride!)

61 A due che bel soggetto nobile (Ah la rabbia già m’uccide, da preferirlo a me. ah non posso più resistere, più non posso sopportar!) Don Calandrino Vada del caro sposo Don Calandrino le grazie a vagheggiar. Lei dunque ama colui? Buon gusto, bel soggetto. “Ha una grazia il francesino, ma che grazia in quel sembiante.” Livietta Crudelaccia in quest’istante Lei dunque ama colei? voglio andarmi ad ammazzar. Buon genio, bell’affetto. Livietta Don Calandrino Vada della sua sposa Or ora, quando viene gl’occhietti a rimirar. monsù così dirà. “Gentil Madamosella, “Ha due occhi Irene mia, io son votre valet . ma che occhi vezzosetti.” La Francia quant’è bella, Crudelacci, maledetti, venite alon con me.” voi ci fate disperar. Cappello sotto il braccio, Don Calandrino bastone sempre in giro, strisciando sempre il piè. Stizzosa!… Che sciocco, che asinaccio, Livietta che bel soggetto amabile Bricconcello!… da preferirlo a me. Don Calandrino Livietta Che pena! E quando giunge Irene così, così dirà. Livietta “Mio caro Calandrino Che martello! io v’amo in verità”; e poi con quel bocchino Don Calandrino così, così starà. M’amate? Che bella camminata la bella sindichessa, Livietta che smorfie che farà. Ah molto molto. Bruttissima sguaiata, E voi?

62 Don Calandrino Le Blonde Crudel lo sai. Sposerò giacché volete l’infedel ch’un giorno amai. A due (Guardando Irene con tenerezza.) (Si danno la mano.) (Ma quel viso, ma quei rai Dunque vezzosi rai, mi farebber delirar.) dunque così si fa. Oh come in un momento Irene Amore si è placato. Or conduco a voi Livietta, Che gioia in seno io sento! qui fra poco io tornerò. Che caso inaspettato! Le Blonde che gran felicità! Sì carina vezzosetta, (Partono.) qua d’intorno aspetterò. (Partono.)

Scena ultima Don Calandrino, Livietta, a due Valerio, poi Irene con Monsieur Le Blonde, Spirate amanti zeffiri, indi Don Calandrino e Livietta. d’intorno a noi spirate, e il foco almen temprate Valerio che accese il dio d’amor. Livietta non è in casa. Per la terra non v’è… Fosse tornata Livietta qui da Don Calandrino… Sono donne, Zitto, ch’è là il francese. v’è sempre da temere: andiamo un poco (Guardando da parti opposte.) a spiar da per tutto; se mia non fosse ah! rimarrei pur brutto. Don Calandrino Irene mi par quella. Perché mai disprezza, oh Dio, questo cor Livietta bella. Livietta Ah furbetta, bricconcella, Se vengono burliamoli. perché farmi disperar. Don Calandrino (Entra da una parte.) Burliamoli, mia bella.

Irene Livietta Sì Livietta v’ama assai, Io fingo di sposarlo. voi sarete il suo sposino. (Ma dov’è Don Calandrino. Don Calandrino Mi dovea pur qui aspettar.) Io fingo sposar lei.

63 A due Le Blonde e Irene, a due E pur che pena oh dèi Come? Ben mio perché? provo fingendo ancor. Livietta Le Blonde Questo è lo sposo mio. Livietta eccomi qua. (Prendendosi per la mano.)

Irene Don Calandrino (A Don Calandrino.) Quest’è la sposa cara. Caro, V’ho pur trovato! A due Don Calandrino, Livietta, a due Amor per cosa rara destinato (Ironicamente.) l’ha a me. Con nodo fortunato destinata Amor ci stringerà. Irene Valerio Così dunque la parola, (Ohimè che cosa vedo, così i patti mantenete! cospetto, ch’insolenza. Livietta (Facendosi vedere.) Via ragazza, via figliola, Signori con licenza, colle ciane ci perdete. così, così si fa?) Valerio Don Calandrino, Livietta, a due (Livietta.) Un poco di pazienza, A chi mai serbai la fede! un po’ di civiltà. Livietta Le Blonde In amor così succede! (A Livietta.) Ecco la man mia diva. Le Blonde (A Don Calandrino.) Irene Non ti sveno, traditore, (A Don Calandrino.) per un atto di pietà. Ecco vi do la mano. Don Calandrino Don Calandrino Se vi cito un cert’autore, Piano signora… il furor vi passerà.

Livietta Livietta Piano… Pace, pace io così voglio.

64 Don Calandrino Le Blonde Più rispetto al mio sapere. Dunque allegri, che facciamo, stare mesto io qui non vuo’. Le Blonde, Valerio, a due Sarà meglio di tacere, [Livietta di tornare in amistà. Io son lieta.

Irene Don Calandrino Senza sposo io dunque resto! Salto e brillo.

Livietta Irene Pazzarella, ti sta bene. Son placata.

Le Blonde Le Blonde Non sia mai mia bella Irene! Son tranquillo. ] Sì cor mio ti sposerò. (Si danno la mano.) A quattro Si rinnovi l’allegria, Livietta gran pazzia ch’è il sospirar! Viva viva, mi consolo. A cinque Don Calandrino Viva viva: dal contento Viva viva il francesino. già risuonano le sponde. L’eco stessa a noi risponde, Valerio godon tutti al nostro giubilo, Non è poco che il destino ride il ciel, la terra, il mar. pur in parte si placò.

65

Il soggetto Dipinto di Pietro Fabris, dal volume di Sir William Hamilton Osservazioni sul Vesuvio, l’Etna e altri vulcani, Berlino 1773 . Parte prima due donne si riaccende e fa precipitare la situa - Tutto il paese di Monte Secco attende l’arrivo zione nel caos più totale. di Don Calandrino, figlio del podestà, che è di ritorno a casa dopo un periodo di studi “all’e - Parte seconda stero”, cioè a Napoli. Livietta, la ragazza più Felici e alticci, tutti gli abitanti di Monte Secco ricca del paese, e Irene, sorella del sindaco festeggiano il ritorno di Don Calandrino. Mon - Valerio, sperano di convolare a nozze col sieur Le Blonde approfitta dell’atmosfera rilas - nuovo venuto, mentre Valerio si augura di otte - sata per tentare una manovra di avvicinamento nere da lui un po’ di soldi per le casse comuna - a Livietta. Irene finge allora uno svenimento, li. Il sindaco e Monsieur Le Blonde, un che sortisce l’effetto di ispirare al francese francese di passaggio a Monte Secco, fanno un’ode alle donne. Livietta ne ha definitiva - entrambi senza alcun successo la corte a Liviet - mente fin sopra i capelli degli uomini moderni: ta, e provocano in compenso l’irritazione di il suo ideale è l’amore come era nell’antichità e Irene. Con l’arrivo di Calandrino tutti i vecchi come si vede nell’opera in musica, e l’uomo dei equilibri vengono sconvolti. Livietta è la prima suoi sogni è Don Calandrino. Anche Valerio nel a prendere l’iniziativa, atteggiandosi a ragazza frattempo ha perduto la fiducia nella fedeltà colta e di buone maniere per far colpo su delle donne. Livietta punta Calandrino per Calan drino. Intanto Le Blonde non riesce a cercare di portarlo subito all’altare, ma viene trovare il modo e le parole giuste per confessa - scovata da Irene, Valerio e Le Blonde mentre re a Livietta i sentimenti che nutre nei suoi sta col suo cupido. Calandrino ha la mente riguardi. Valerio dal canto suo impartisce a annebbiata dall’alcol, e nel suo delirio crede di Irene un corso accelerato di questioni amorose, trovarsi dentro un’opera seria. Valerio intima affinché la sorella possa stornare su di sé le intanto alla sorella di spiegare tutta la faccen - attenzioni che Le Blonde dedica a Livietta. Il da, e Irene si vede costretta a confessare il pro - francese e Calandrino discettano di antichità prio amore per Calandrino, pur essendo con presunta competenza, quando quest’ulti - determinata a difendere a ogni costo la propria mo diviene suo malgrado oggetto e testimone di preda. Valerio e Le Blonde tramano di dare un alterco via via più violento tra Livietta e una bella lezione a Calandrino, che viene Irene. Valerio fa credere a Le Blonde che messo in guardia da Livietta con una lettera; la Calandrino sia innamorato di Livietta, pertan - sbornia, però, gli impedisce di leggere bene to il francese pretende soddisfazione dal pre - cosa c’è scritto. Anche Irene ammonisce Don sunto rivale e lo sfida a duello; entrambi hanno Calandrino di guardarsi dal fratello e da Le però segretamente una gran paura di lasciarci Blonde, i quali tuttavia decidono di sospendere la pelle e cercano di farsi coraggio a forza di per il momento la loro spedizione punitiva. bicchieri. Valerio convince in oltre Le Blonde a sposare Il pranzo è pronto, e ciò basta, a quanto pare, Irene, e il francese decide di punto in bianco a porre fine a ogni ostilità, quando l’ira delle che tutti insieme faranno un lungo viaggio in

69 giro per il mondo. Irene intanto sta cercando di costringere Don Calandrino a sposarla, quando sopraggiunge Livietta, che finge di promettere che le cederà Don Calan drino se riuscirà a sposare in cambio Le Blonde. Non appena Irene si allontana per cercare il francese, Livietta e Don Calandri - no hanno un violento alterco, che però si conclude con un abbraccio amoroso. Tutti gli astanti ven - gono così messi davanti al fatto compiuto. Le Blonde offre allora la propria mano a Irene, e tutto si risolve in un coro finale di giubilo, perché è una “gran pazzia il sospirar”.

70 La sublime leggerezza di Cimarosa

di Ruggero Cappuccio

utto il fascino dipende dall’immaginazione e la musica in sé non ha niente di reale”. Questa rifles - sione di Stendhal raddoppia la sua attra zione se ricordiamo che il primo seduttore musicale del ‘‘gTrande scrittore francese portava il nome di Domenico Cimaro - sa. “La musica mi ha preso per la prima volta nei giorni prece- denti la battaglia di Marengo. Andavo a teatro, si dava Il matrimonio segreto”. Così scrive l’autore della Certosa di Parma che all’epoca della sua folgorazione con il teatro musica - le del compositore napoletano aveva diciotto anni. Stendhal ritiene che l’armonia musicale è paesaggio purissimo e che al centro del paesaggio regna la voce umana. Su questo fron - te Cima rosa è maestro, e guida Stendhal sulla via della sua pre - dilezione suprema: Mozart. Nelle pagine dello Henri Brulard egli si espone al duello estetico tra il grande austriaco e il grande italiano accettando tutte le ferite di bellezza che le partiture del - l’uno e dell’altro gli procurano. Nel rovello del dubbio arriva a dire che potrebbero anche impiccarlo prima di fargli confessare chi pre ferisca, se Cimarosa o Mozart. Con lo spirito finissimo che lo accompagnerà in tutta la sua vita afferma che l’ultimo ascoltato è sempre il più amato. Nella sintesi tra approfondimento analitico e percezione sensiti - va, finalmente Stendhal illumina il labirinto passionale nel quale si è addentrato: “Più ci si lascia rapire, più ci si nutre della musi - ca di Rossini e di Cimarosa, più ci si prepara alla musica di Mozart”. La definitiva dichiarazione d’amore per Mozart arri - verà trentacinque anni dopo Il matrimonio se greto . Stendhal odiava il fango, ma pur di assistere a un Don Giovanni , afferma che ci affonderebbe i piedi camminandoci dentro per dieci leghe. Per uno scrittore come lui, sempre attento alle coincidenze tra la sua vita interiore e i piaceri del mondo esterno, la concentrazio - ne in pochi giorni della recita del Matrimonio segreto e la vittoria di Bonaparte a Marengo devono aver giocato uno straordinario In queste e nelle pagine seguenti, corto circuito di entusiasmo nella sedimentazione della memoria. alcune immagini dal Ritorno di Don Calandrino andato in scena a Cimarosa diviene così il primo giovane passaporto per i suoi cin - Salisburgo per il Festival di que sensi: il teatro, i velluti, le belle donne, il profumo, il buon Pentecoste 2007.

73 vino, la musica della giovinezza. E Cimarosa dispone oltretutto di una biografia con cardini squisitamente stendhaliani. Come un Julien Sorel era nato povero, ad Aversa, nel 1749. Quando aveva quattro anni suo padre lo portò a Napoli insieme a sua madre per andare nella capitale e contribuire alla costruzione della reggia di Capo dimonte con il ruolo di semplice tagliapietre. Tre anni più tardi mentre il piccolo Domenico ha sette anni, il padre muore precipitando da un’impalcatura. La miseria estre - ma in cui versa la vedova determina la svolta al destino di com - positore che si prepara per Cimarosa. La donna trova un lavoro di lavandaia dai frati conventuali al Pendino. Qui un padre organista avvia all’educazione musicale il bambino che a dodici anni viene accolto presso il Conservatorio della Madonna di Loreto. La povertà e il genio rappre sentano un territorio predi - letto da Stendhal, che proprio come in un suo romanzo, scorren - do la vita di Cimarosa lo troverà alla corte di Caterina II , a Varsavia, a Vienna, dove Il matri monio segreto seduce perfino Leopoldo II , sovrano non particolarmente sen sibile al teatro musicale, che la sera del debutto invita tutta la compagnia a cena e chiede un bis del trionfo. Cimarosa torna a Napoli e dopo aver dato Il matrimonio per centodieci sere in cinque mesi al Teatro dei Fiorentini coglie nuovi successi con I traci amanti , Le astuzie femminili , Gli Orazi ed i Curiazi . Seguendo l’immaginaria linea dell’interiorità inquieta cara a Stendhal, mentre incombe la Rivo luzione Napoletana del Novantanove, troviamo il composi - tore colpito dai primi severi disturbi nervosi che lo avrebbero condotto alla morte. L’ultimo capitolo della sua esistenza vede Cimarosa abbandona - re il Regno delle Due Sicilie alla volta di Padova fino all’ultimo soggiorno a Vene zia, dove tenta di portare a termine L’Artemi - sia , interrotta dall’incrudirsi del suo male di nervi e dalla morte avvenuta l’undici gennaio 1801. La letteratura del pettegolezzo e del sospetto ricama apocrifi avvelenamenti e strangolamenti prescritti dalla regina di Napoli intorno al decesso del compositore. Il corpo di Domenico Cima - rosa viene deposto nella chiesa di S. Michele Arcangelo. L’edifi -

74 cio fu presto oggetto di trasformazioni e dei resti del musicista, come avviene nei grandi copioni a sfondo romanzesco, non rimane traccia. Tutto questo Stendhal sapeva, e rica vava dalla crudezza di tali avvenimenti una fascinazione profonda quando gli acca deva di metterli in relazione con la luminosa energia pro - fusa da Cimarosa nell’opera buffa. Per il grande scrittore essa incarnava la perfezione ideale della commedia. La comicità doveva sempre essere il micro scopio filosofico dell’esistenza. Cimarosa fu uno straordinario artefice di questo mondo espres - sivo e nella musica del Ritorno di Don Calandrino racconta e traduce tutto il clima dell’arte scenica napoletana. Titoli prele - vati dalla grande stagione dell’opera buffa, come Lo ’mbruoglio d’ammore , Lo cecato fauzo , La serva padrona , Lo frate inna - morato , Socrate immaginario , in carnano l’eco delle spettacola - zioni teatrali della commedia dell’arte. Nella raccolta dei canovacci di Annibale Sersale conte di Casa marciano, un tempo posseduta da Benedetto Croce, ci si imbatte in strutture teatrali titolate La schiava padrona , Il matrimonio per furto , La scala di Terenzio , Li finti spiritati , Le stravaganze d’amore , L’aman - te geloso , L’amore tra nemici . Nelle attivazioni teatrali come in quelle musicali, il gioco è manifestamente parallelo. In entrambi i mondi regnano gli inganni, i travestimenti, gli stupori, le scoperte inattese, i furori, gli svenimenti, i duelli, le pacificazio - ni, i sovvertimenti sociali, i brindisi, le vendette, le pazzie, le fughe, i peri coli, le scene notturne, l’eros comico. Il tema con - duttore del teatro musicale legato all’opera buffa e delle attiva - zioni teatrali tipiche della commedia dell’arte può essere uno o moltiplicarsi in derivazioni che danno vita ad intrecci barocchi. La trama in tal caso si dipana in un labirinto di avvenimenti che si sciolgono nel sospirato finale. In tale dinamica il valore dei singoli interpreti, la capacità somatica e vocale di cui disponeva - no i cantanti, gli attori e gli attori cantanti, segnava l’apice di una sintesi in cui il teatro era musica e la musica teatro. Nel Ritorno di Don Calandrino il libretto di Giuseppe Petrosel - lini gioca sulla sorpresa di una riapparizione. Calandrino, origi - nario di Monte Secco, villaggio archetipo della ruralità e del

75 provincialismo, a Monte Secco ritorna, dopo presunti studi e improbabili internazionalismi. Vi trova in spasmodica attesa Livietta e Irene che nel contenderselo aprono un conflitto del femminile in cui rimangono intrappolati Le Blonde, che corteg - gia Livietta e Valerio, fratello di Irene anch’egli invaghito di Livietta. Ma l’apparizione di Calandrino scompagina ogni equa - zione possibile, la frammenta, la rimodula, la capovolge e la moltiplica fino alla soluzione ultima. Il protagonista del titolo trova nel nome di Calandrino un antenato comico nel Decame - ron di Boccaccio. Tuttavia, mentre tra quelle pagine il perso - naggio è un epicentro comico che attira su di sé raggiri e sfortune, nell’opera di Cimarosa c’è piuttosto un nucleo di deto - nazioni a catena. La sua irruzione nella monotona Monte Secco somma il mondo pieno di vuoti ipotetici di Valerio, Le Blonde, Livietta e Irene al mondo vuoto di pieni che egli stesso rappre - senta. Dicono che Calandrino abbia studiato, che sia uno scien - ziato, che sia galante, raffinato, colto, eroe e modello del saper vivere, ma così non è. Racconta frottole semierudite e gli credo - no. Innesca movimenti psicologici sospesi tra fantasie e allucina - zioni, diviene il regista che può ribaltare la noia del luogo. Nel celebre Mon sieur de Pourceaugnac di Molière, il prota gonista arriva a Parigi proveniente da Limoges. Nella capitale francese

76 trova ad attenderlo gente astuta che lo vittimizza fino all’invero - simile per impedire le sue nozze con una ragazza innamorata di un altro. Nel Calandrino è il contrario. L’inconsistenza del pro - tagonista è di tale entità da stordire i suoi interlocutori, soggio - gati dalla letteratura di paese fiorita intorno alla sua lunga assenza e al suo ritorno. La regia individua nella commedia dell’arte il mondo espressivo che dà origine al perimetro del gioco e al suo scavalcamento. Una sceno grafia mirata all’essenzialità, sospesa nel tempo, essenziale nelle profonde modulazioni della luce, alla ricerca di un’idea del classico che tenda a relegare l’attualità al rango di rumore di fondo. Inoltre si percorre un’idea del classico che persiste come rumore di fondo anche dove l’attualità più incom - patibile la fa da padrona. Il mondo dal quale Calandrino ritorna è il teatro allo stato di gioco puro, ed appunto egli si presenta con casse di scena e bauli. Dentro i suoi bagagli c’è la memoria dei suoi viaggi illusori, del suo mondo di menzogne tra spade e cime - li, tra antiquariati e simboli magici: lo stravagante necessaire che si trovava puntigliosamente annotato nei canovacci del conte di Casamarciano: bastoni, armi, piatti e cibi, gioielli, specchi, vestiti, corone. Le casse-bauli sono contenitori e scri -

77 gni, ma anche pedane pra ticabili, piccoli palcoscenici, luoghi di sorpresa e nascondimenti. “Che lieto giorno! Che bella festa! / Tutto è piacere, tutto allegria, / qui mai non giunga malinconia, / qui regni solo felicità.” È l’incipit che Petrosellini scrive per Cimarosa e vale come manifesto per l’inte - ra opera. Questo senso della festa è il teatro stesso, fondato su qualità essenziali: leggerezza, rapidità, esattez - za, visibilità, molteplicità. Le cinque virtù della comunicazione elencate da Italo Calvino nelle sue lezioni americane valgono a suggerire una cifra per la storia dell’opera buffa e per questo Ritorno di Don Calandrino . L’acrobazia drammaturgica si specchia così nella visibilità dell’acro bazia sce - nica, la leggerezza incontra una dinamica del movimento e dell’equilibrismo, la rapidità, l’esattez - za e la molteplicità danno vita ad una sintesi della matematica tra musica e scena che costituiscono le buone regole per ogni sublimazione. Si celebra così un’Ulisseide comica, dove Irene e Livietta intente a ricamare i loro abiti da sposa attendono il ritorno di un eroe buffo mentre sono assediate da Va lerio e Le Blonde nel ruolo di proci innocui. Deflagra il gioco per il gioco: si tratta del mondo caro a Stendhal, in cui l’arte si sottrae a quel ridicolo dal quale spesso la vita non è in grado di sal - varsi. Il comico e il buffo sono tutti nella sapiente solarità musicale di Cimarosa. Sono in quel tutto fatto di nulla, di essenzialità e sottrazione. I riflessi dell’arcobaleno, scrive ancora Stendhal, non sono più delicati nella sparizione che i rifles - si stessi della musica. A ques ta riflessione faceva eco Scudo da Parigi; era il 1856 e nella sua Criti - que et litérature musica les scriveva: “Il matrimonio segre to è lo squisito prodotto d’un momento artistico supre mo, il grido di gioia di un’ora felice, vissuta in un mondo che non si rivedrà più”. Che Calandrino possa fare il suo ritorno da laggiù per dirci un mo men to di questo mondo modernissimo e perduto.

78 Un’opera leggera come una brezza marina

di Daniel Brandenburg

essuna città come Napoli ha esercitato un’influenza così profonda sulla storia della musica quale cura - torio della musica, quale metropoli culturale euro - pea e meta di viaggio di innumerevoli musicisti e Nmelomani e di quanti ambivano ad approfondire la propria cul - tura. Ciò vale in particolar modo per la storia della musica e dell’opera del XVIII secolo, periodo in cui la città uguagliava per importanza Londra e Parigi e in Italia solo Venezia poteva conten derle il primato. Nei conservatori napoletani i musi cisti ricevevano una rigorosa e solida formazione musicale, e i com - positori, gli strumentisti e i cantanti che avevano studiato a Napoli erano richiesti in tutta Europa. Perlopiù tramite canali diplomatici essi venivano ingaggiati presso le corti e i teatri di lingua tedesca, prima fra tutti Vienna, ma anche in Inghilterra, Francia e Russia, e contribuirono a far sì che in particolare l’o - pera napoletana diventasse in quell’epoca uno dei fenomeni musicali più significativi in Europa. Nella guida turistica di Johann Jakob Volkmann (apparsa nel 1771) che ebbe larga diffusione nella seconda metà del XVIII secolo, Napoli è l’unica città italiana cui l’autore dedica un capitolo introduttivo a parte dove ne mette in rilievo l’impor - tanza musicale: In nessun luogo la musica è stata portata a un siffatto grado di perfe - zione, in nessun luogo viene spinta tanto assiduamente come a Napoli. L’intera nazione è in certo qual modo musicale, il suono della sua voce, la lingua, tutto è armonico; i fanciulli iniziano a cantare da pic - coli e fra gli adulti vi sono molti che sanno ripetere un’aria subito dopo averla sentita. Napoli è dunque la sorgente della musica; questa scuola ha dato origine a una moltitudine di grandi compositori […].

Fra Vienna e Napoli intercorrevano stretti rapporti dinastici, presupposto fondamentale per un’intenso scambio culturale. Giuseppe II , che nel 1769 si recò a Napoli su incarico di Maria Teresa per visitare la sorella Maria Carolina, andata in sposa al Re Ferdinando IV , mostrò poca comprensione per le maniere rudi del cognato e fu tutt’altro che entusiasta dei costumi della corte locale. La sua visita tuttavia rinsaldò la sua passione per

81 l’opera buffa e pose le basi per la grande fioritura che questo genere avrebbe conosciuto a Vienna negli anni Settanta e Ottan - ta del Settecento. Le origini dell’opera buffa risalgono al periodo intorno al 1700. In una fase di rinnovamento culturale si affermarono rapida - mente a Napoli per iniziativa di circoli di appassionati di teatro due forme di opera buffa, i brevi “intermezzi” e la cosiddetta “commedia per musica” di proporzioni più ampie. Fino a circa il 1735 in Italia gl’intermezzi servirono per “riempire” le pause fra gli intervalli delle grandi opere serie e conquistò in seguito i palcoscenici di tutta Europa. Gli ancor oggi celebri intermezzi La serva padrona di Giovanni Battista Pergolesi scatenò a Parigi nel 1752 un’accesa controversia fra sostenitori e detrat - tori dell’opera italiana che contribuì a spianare in tal modo la strada al futuro successo europeo delle opere buffe di Domeni - co Cimarosa. Le conquiste stilistiche e musicali degl’intermezzi passarono alla commedia per musica, che successivamente a partire dal 1740 circa raggiunse Venezia attraverso Roma. Nella città dei Dogi il nuovo genere incontrò l’entusiasmo del grande poeta Carlo Goldoni, di cui quest’anno ricorre il trecen - tenario della nascita, che con il compositore Baldassare Galup - pi lo sviluppò ulteriormente e creò in tal modo le basi formali

82 che sarebbero servite ancora da modello al librettista viennese Lorenzo Da Ponte. Domenico Cimarosa (1749-1801) fu uno dei più illustri composi - tori dell’opera buffa. Nacque ad Aversa in una famiglia di arti - giani e si trasferì già in tenera età con i genitori a Napoli dove il padre era occupato come tagliapietre nel cantiere per la costru - zione del Palazzo di Capo dimonte. Durante il periodo scolastico presso il monastero dei Frati di S. Severo venne scoperto il suo talento musicale e dopo la prima lezione con l’organista dell’or - dine nel 1761 fu ammesso al conservatorio di S. Maria di Loreto, dove ricevette fra l’altro lezioni di canto dal celebre castrato Giuseppe Aprile. Al termine degli studi nel 1771 Cimarosa otten - ne il suo primo ingaggio: per la stagione 1772 del Teatro dei Fio - rentini di Napoli venne incaricato di mettere in musica il libretto Le stravaganze del conte , la sua prima opera buffa. Nonostante il precoce riconoscimento tributatogli dal pubblico, il giovane maestro agli inizi non ebbe vita facile ad affermarsi, data la con - correnza dei suoi già celebri colleghi Giovanni Paisiello e Niccolò Piccinni con cui dovette confrontarsi. Solo nel 1776, dopo che Paisiello si era trasferito a San Pietroburgo e Piccinni a Parigi, riuscì ad affermarsi quale maggiore compositore napoletano di

83 opere buffe. Seguirono subito dopo incarichi per teatri di Roma e Venezia, che contribuirono ad allargare la sua fama anche a livello internazionale. Nel 1787 venne chiamato a San Pietro - burgo, ma per ragioni non ancora chiarite decise di tornare in patria già quattro anni più tardi: nel 1791 da San Pietroburgo si recò a Vienna, dove venne nominato maestro di cappella da Leo - poldo II . Qui nel febbraio 1792 si tenne al Burgtheater la prima rappresentazione dell’opera più famosa di Cimarosa, Il matri - monio segreto . Di lì a poco l’imperatore morì e il compositore decise di lasciare Vienna e di proseguire il suo viaggio per l’Ita - lia. Qui venne travolto dalle alterne vicende politiche degli anni successivi alla Rivoluzione francese. Come molti colleghi, anche lui non sape va che partito prendere. Alla fine i monarchici lo fecero imprigionare come simpatizzante dei repubblicani e lo condannarono a morte. Solo grazie all’intervento di amici influenti potè infine ottenere la grazia. In seguito lasciò Napoli per trasferirsi a Venezia dove morì nel 1801. Cimarosa scrisse Il ritorno di Don Calandrino nel 1778 per il Teatro Valle di Roma. Come capitale dello Stato Pontificio, che era allora molto più esteso di oggi, Roma contava numerosi pal - coscenici che sottostavano tuttavia a restrizioni più severe rispet - to ai teatri di altre città. Sebbene i romani amassero l’opera e il teatro di prosa, le arti sceniche rimanevano pur sempre, ai seve - ri occhi delle autorità ecclesiastiche, potenzialmente contrarie alla morale ed erano pertanto oggetto di una rigida censura. È soprattutto per questa ragione che nei libretti delle opere buffe rappresentate a Roma manca il più delle volte il nome del libretti - sta che in tal modo poteva sottrarsi ad eventuali misure repressi - ve da parte della polizia. Le opere buffe potevano essere rappresentate solo durante la stagione di carnevale, a meno che una calamità naturale, la peste o la morte di un dignitario eccle - siastico, non rendesse opportuno imporre al pubblico di osserva - re la preghiera, la penitenza o il lutto e tenere chiusi i teatri. Una delle parti colarità delle attività operistiche romane riguardava inoltre il divieto alle donne di comparire in scena. A Roma le parti femminili venivano infatti generalmente interpretate da castrati.

84 Il letterato Karl Philipp Moritz (175 6-1793) durante il suo viag - gio in Italia nel 1786 fece visita anche al Teatro Valle per assiste - re ad un’opera buffa o, come lui la designa, una ”piccola operetta”. Nel suo diario di viaggio rivela le sue impressioni nel modo seguente: le piccole operette sono in sé estremamene affascinanti, tanto per l’in - venzione quanto per l’esecuzione; poiché sono in verità sì delle farse, ma sovente le più amabili farse che si possa immaginare. Una siffatta operetta viene poi anche ripetuta tante volte fino a che la platea la conosce pressoché a memoria e ci si abitua mano a mano in tal misura al piacevole detta glio di una siffatta opera e a ciascuna delle ricorren - ti ingenuità dei teatranti che non si vede l’ora di rivedere lo stesso pezzo che si ha oramai visto dieci volte. […] non vi sono parole per descrivere con quale perizia e inganno i giovani castrati interpretano i ruoli femminili che con la smessa virilità sembrano aver vestito l’intera femminilità. Moritz, come anche il suo più illustre contemporaneo Johann Wolfgang von Goethe, ebbe l’occa sione di assistere all’opera buffa di Cimarosa L’impresario in angustie e ne fu entusiasta. Ciò che più lo affascinò fu la vivacità del canto della opera buffa: “è come si sentisse parlare e cantare al tempo medesimo e come se l’asciutto parlare fosse diventato immediatamente sonante”. Sul Ritorno di Don Calandrino non ci è giunto purtroppo alcun commento. Al Teatro Valle di Roma era consuetudine rappre - sentare le opere buffe fra gli atti delle commedie del teatro di prosa. Poiché queste si componevano perlopiù di tre atti, le opere buffe che vi si rappresentavano, diversamente da quelle messe in scena a Napoli, consistevano sempre di due atti. Tale riduzione comportava che anche il numero dei personaggi, anzi - ché i consueti sette o otto dell’opera buffa, si limitasse a quattro o cinque. Il ruolo principale di Don Calandrino venne cantato dal tenore Gioachino Caribaldi, che si era già fatto un nome a Vienna circa dieci anni prima. Valerio fu interpretato invece da Giuseppe Lolli, anch’egli un illustre esponente nel suo campo. Monsieur Le Blonde venne reso da Francesco Bussani, un’altra celebrità dagli stretti rapporti con Vienna. Qui vi recitò per la prima volta

85 nel 1770 e vi fece ritorno nel 1783, presumibilmente per il trami - te di Antonio Salieri e grazie anche ai suoi successi artistici con - seguiti a Roma. Quale membro della compagnia italiana d’opera del Burgtheater prese parte a molte prime rappresentazioni, interpretando fra gli altri le parti di Bartolo e Antonio nelle Nozze di Figaro (1786) e di Don Alfonso in Così fan tutte (1790). Alla prima del Don Giovanni di Mozart tenutasi a Vienna cantò il Commendatore e Masetto. Entrambi i ruoli femminili, Irene e Livietta, vennero interpretati invece da castrati. Nello Stato Pontificio questi si contavano in gran numero poiché, in osser - vanza del principio “mulier taceat in ecclesia”, trovavano impiego anche nei cori ecclesiastici. L’opera ha inizio con una sinfonia in tre movimenti, con le indica - zioni di Allegro assai, Andan tino e Allegro con spirito. Il sipario si apre poi su di un gioioso insieme a quattro voci (“Che lieto gior - no”). Tali scene di apertura per insiemi dette “Introduzione” divennero grazie anche a Cimarosa una caratteristica distintiva dell’opera buffa. Diversamente dal recitativo, in cui l’interazione fra i personaggi può avvenire solo consecutivamente, gli insiemi di questo tipo offrono l’interessante opportunità di far cantare con - temporaneamente più personaggi facenti parte della trama e di conferire loro spessore nella loro contrapposizione e consonanza musicale. Tutti i personaggi, e addirittura l’intero villaggio di Monte Secco, attendono ansiosi il ritorno del figlio del podestà Don Calandrino, che credono abbia acquisito un’alta cultura durante la sua assenza. Dato che egli sarebbe un buon partito per le fanciulle di Monte Secco, queste sono particolarmente curiose di accoglier lo. Irene, la sorella del sindaco, nella sua aria (“Non son ricca”) si prefigura già pertanto come brava donna di casa. Don Calandrino fa la sua comparsa, come da libretto, a cavallo. La breve marcia, che accompagna il suo arrivo, ha il compito di conferire all’eroe del titolo una gravità comico-solenne e prepara il terreno alla cavatina di Calandrino in cui può annunicare che la sua alta erudizione è ormai nota in tutto il mondo. Le arie seguenti di Livietta e di Le Blonde ricalcano modelli clas - sici: Livietta, in un Andante maestoso, si immagina come cam -

86 bierebbe la sua vita di semplice fanciulla di campagna se final - mente maritasse un uomo così importante come Don Calandri - no. Riflessioni di questo genere appartengono al canone di tali ruoli ed enucleano il tema dell’ascesa sociale, un’idea emblema - tica del rivolgimento sociale, che portò infine alla Rivoluzione francese. Monsieur Le Blonde dispiega invece nella sua aria volta a rendere il disorientamento che lo ha travolto per amore di Livietta l’intero ventaglio espressivo del canto dell’opera buffa: balbetta, palesa la sua disperazione con un concitato “parlan do”, si abbandona infine ad una lirica supplica e alterna nella tipica maniera dell’opera buffa il discorso diretto con com - menti fra sé e sé. Precede il finale della parte prima un duetto-scontro di Livietta e Irene: le due dame, che nutrono entrambe mire su Calandri - no, si insultano per gelosia secondo tutte le regole dell’arte. Insiemi che inscenavano litigi erano molto amati nella opera buffa e per gli inter preti una gradita opportunità di mostrare il loro talento inter pretativo del registro comico. Il finale turbolento fa da pendant all’introduzione, che alla fine della prima parte porta alle estreme conseguenze la confusione generale sulla scena. Le Blonde, ingelosito, sfida a duello Don Calandrino nel quale vede un rivale nella contesa per Livietta, ma lo fa solo dopo essersi assicurato che Calandrino non è capa - ce di usare le armi. In fondo entrambi hanno paura del confron - to e pertanto prima si ubriacano per farsi coraggio. I duelli, simulati o mancati, sono un topos costante dell’opera buffa e rappresentano la caricatura del codice di onore della nobiltà. La prima scena della seconda parte è ambientata in un’osteria ed è nuovamente una scena d’insieme in cui il conflitto fra i due uomini sembra essere stato dimenticato: al tempo di una contra - danza, come indicato nella partitura, viene subito evocata nuova allegrezza mentre si continua a tracannare copiosamente. Cio non ostante le rivalità fra Irene e Livietta per Calan drino non cessano, mentre Le Blonde corteggia imperterrito Livietta. Il punto comico culminante dell’atto è la settima scena che vede al centro Don Calandrino ubriaco. Vorrebbe solo dormire ma

87 nessuna delle due dame presenti è disposta a cantargli l’aria “del rossignolo”, “del ruscelletto” o “del leone”. Così senza pensarci troppo se la canta da sé. L’assolo di Calandrino consiste di un reci - tativo accompagnato e di un’aria che per le sue esigenze tecniche va ben oltre gli standard dell’ope - ra buffa, richiedendo dal cantante acuti fino al si bemolle e lunghe colorature. La scena rende testimonianza delle notevoli capacità vocali e intepretative del tenore Caribaldi. Lentamente inizia a dipanarsi la matassa: Le Blonde alla fine ne ha abbastanza dell’infedele Liviet - ta, e cerca di renderla appetibile agli occhi del sindaco Valerio. Lui invece vuole sposare Irene. In toni variopinti elenca a quest’ultimo (“Vedrai la forte bionda Ale magna”) le meraviglie e i paesi fan - tastici che avrebbe possibilità di ammirare in viaggio con lui e con Irene. L’aria rivela ancora una volta l’intera gamma di virtuosità buffonesca che Francesco Bussani padroneggiava, che compren - deva anche il veloce chiac chericcio sillabico nonché sottili fioriture che, nelle sue uscite su Irene, esprimono la sua sensibilità d’animo. Il cambiamento di atmos fera nei contenuti delle singole parti dell’aria esige inoltre dal cantante, come già nella prima aria, una capacità interpretativa ricca di sfacce t tature. Un duetto d’amore fra Don Calan dri no e Livietta, che inizia ancora stuzzicante e liti - gioso, preannuncia la soluzione: il celebrato rimpatriato e la paesanella diventeranno una coppia mentre il finale unirà Irene e Le Blonde. Il ritorno di Don Calandrino è una commedia musicalmente avvincente, dalla struttura sciolta, e tea - tro di intrattenimento nel senso migliore del termine, come lo amava il XVIII secolo. Ma l’opera è anco - ra più una tipica creazione napoletana, leggera come una brezza marina e pervasa di ilare solarità.

88 Il ritorno di Pietro Trapassi

di Tarcisio Balbo

iccolò Jommelli, ovvero uno tra i più sagaci compo - sitori della cosiddetta “scuola napoletana”, soste - neva di amare, venerare, adorare, e addirittura volersi inginocchiare dinanzi a quel genio dramma - Ntico-musicale che fu Pietro Trapassi, meglio conosciuto come Metastasio. Quella di Jommelli è una delle molte testimonianze che si potrebbero citare a conferma di quanto strabocchevole sia la diffusione dei testi metastasiani lungo tutto il secolo XVIII e anche oltre: ancora in pieno Ottocento, compositori quali Meyerbeer, Schubert, Beethoven, Rossini (come non citare i 6+2 brani che compongono la sua Musique anodyne , tutti composti sulla stessa aria – “Mi lagnerò tacendo” dal Siroe, re di Persia ), per citare i maggiori, continuano a cimentarsi coi libretti del - l’immortale poeta cesareo. La fortuna di cui godono i drammi del Metastasio è confermata anche da altri aspetti della pratica musicale settecentesca: capi - ta ad esempio che un compositore si trovi a dover intonare lo stesso titolo metastasiano due, tre, quattro volte nell’arco della propria carriera: è ancora il caso di Jommelli, il quale si lamen - ta a tal proposito di non avere più nuove idee musicali per libretti ormai conosciuti e straconosciuti, e che intona a più riprese Achille in Sciro , Alessandro nell’Indie , Artaserse , La clemenza di Tito , Ciro riconosciuto , Demofoonte , Didone abbandonata , Ezio , Temistocle . Le cifre parlano da sole: a fare un calcolo approssimativo, tra il 1724 (l’anno della Didone abbandonata , primo dramma ufficiale del Metastasio) e il 1800, ovvero in poco meno di ottant’anni, i soli drammi per musica metastasiani vengono allestiti e riallestiti più o meno 1700 volte, con quasi 200 messe in scena per il solo Artaserse . Citazioni dal Metastasio entrano persino nel patrimonio dei detti proverbiali (da “Passò quel tempo, Enea, / che Dido a te pensò” fino a “È la fede degli amanti / come l’araba fenice”); non stupisce quindi che anche l’anonimo librettista del Ritorno di Don Calandrino (forse Giuseppe Petrosellini, autore di alcuni tra i titoli comici più fortunati di fine Settecento, il quale fornisce per certo a Cimarosa una manciata di testi comici tra il 1777 e il 1781),

91 paghi nei propri intermezzi un tributo more comico al sommo poeta per musica. Se si vuole, si tratta del giochino a cui tutti gli scolari si sono prestati almeno una volta nella vita: ovvero, lo storpiare e il parodiare titoli e testi della letteratura, dell’arte, oggigiorno anche del cinema (in quest’ultimo caso, accade talvolta che anche gli adulti si divertano a giocare: chi non ricorda un capo - lavoro di Mel Brooks quale Frankenstein Junior ?). Così, non sorprende che nel Ritorno di Don Calandrino Livietta tenti atteggiarsi a lettrice di gusto, e di darsi importanza davanti al protagonista, sostenendo di ricordare “… a mimoria tutto il Mitastasio” (che in partitura diventa “Giannastasio”), e di aver letto “… la Dirindona , / il Ciro sconosciuto , l’ Error cinese …”, e ancora “… l’ Attilio ragano , / l’ Adriano in Soria ”, mentre Don Calandrino replica da par suo con il “ Caprone in Utica ” (ancora alcuni anni fa, un disgraziato studente di storia della musica citava il Catone in Ustica , scambiando l’antica colonia fenicia di Utica , sulle coste dell’odierna Tunisia – un errore di stampa, di sicuro! –, con la quasi omonima isola a nord di Palermo). A parte la citazione della farsetta per musica La Dirindina di Girolamo Gigli, ovvero uno dei simboli della comi - cità operistica settecentesca e della satira sul teatro d’opera, musicata da Domenico Scarlatti e dal Padre Giovanni Battista Martini, tutti gli altri titoli parodiati nel Ritorno di Don Calan - drino sono drammi per musica del Metastasio: Ciro riconosciu - to , L’eroe cinese , Attilio Regolo (e non “ragano”, ovvero ramarro), Adriano in Siria (e non in Soria, città della Spagna), Catone in Utica . Alcune battute pronunciate dai personaggi sono inoltre una chiara parodia di famose citazioni metastasia - ne. Così, in I.5, Livietta respinge con fare melodrammatico le profferte amorose di Valerio (si noti la didascalia: “con carica - tura”):

… Sì Valerio; altri tempi, altre cure. (Con caricatura.) Spenta è la brace e torta è la catena, e del tuo nonno mi rimmento appena.

92 Gli ultimi due versi, altro non sono che la parodia di un celebre passo della Didone abbandonata (II .4) cui si è già accennato:

Passò quel tempo, Enea, che Dido a te pensò. Spenta è la face, è sciolta la catena e del tuo nome or mi rammento appena.

I versi citati a sproposito da Livietta fanno il paio con un altro passo ( I.8) in cui, ancora “con caricatura”, sempre Livietta si congeda da Valerio con uno spunto tratto dall’ Artaserse (II .2):

Cimarosa Metastasio

Valerio Arbace (Trattenendola.) Cara, un addio… Padre, un addio.

Livietta Artabano (Con caricatura, e parte.) Va’, non t’ascolto indegno. Va’, non t’ascolto, indegno.

Ancora, si considerino i primi versi dell’aria di Monsieur Le Blonde in I.7, con la quale il viaggiatore francese cerca di discol - parsi dopo essere stato colto in castagna a sparlare di Livietta

Vi dirò… ma… zitta un poco che voi siete… non son io… volea dir… sentite, oh Dio! che fu lui… ch’io non sapea sì… cospetto… dir volea che qual furia disperata sempre intorno a voi m’avrete, mi vedrete delirar. e li si confronti con la cavatina di Enea nel primo atto della Didone , laddove Enea, al colmo della confusione, si congeda dalla regina cartaginese senza riuscire a spiegare le proprie intenzioni.

… Dovrei… Ma no… L’amore… oh Dio! La fè…

93 Ah! che parlar non so. Spiegalo tu per me.

Un altro passo cavato forse ancora dalla Didone abbandonata è il seguente, nel Finale I:

(Vorrei star, fuggir vorrei, ma son dubbi i passi miei. Resto, parto, cosa fo? Va crescendo, oh Dio, l’affanno, e risolvermi non so.

La sua fonte è probabilmente duplice: l’aria con cui, in Metasta - sio, Enea esplicita ancora la propria confusione nel dover sce - gliere tra Didone e la fondazione di Roma ( I.18), e la cavatina con cui Didone commenta l’approssimarsi della disfatta e della morte ( III .8):

E intanto, confuso nel dubbio funesto, non parto, non resto, ma provo il martire che avrei nel partire, che avrei nel restar. … Va crescendo il mio tormento; io lo sento e non l’intendo; giusti dèi, che mai sarà!

Se però in Metastasio l’angoscia di cui era preda la regina carta - ginese restava irrisolta e sfociava nel suicidio, in Cimarosa le smanie dei quattro personaggi vengono spente da Valerio, il quale arriva giusto in tempo per annunciare che il pranzo è in tavola. E che il librettista del Ritorno di Don Calandrino avesse in mente – tra le altre – la storia di Enea e Didone, è palese anche da una citazione virgiliana: nientemeno che il primo verso dell’ Eneide il quale, nella versione di Don Calandrino, diventa “Arma vinumque cano” (corsivo mio). Più in là, sempre Don Calandrino arriva a citare persino la Gerusalemme liberata del Tasso, e addirittura un frammento dal celebre passo della morte

94 di Clorinda: “… In questa forma / passa la bella donna, e par che dorma” (Don Calandrino pronuncia invece “ canta la bella donna”, II .10). Tornando al Metastasio, le citazioni toccano quasi tutti i dram - mi più importanti del poeta cesareo: in II .4, ad esempio, Livietta paragona il triangolo amoroso in cui è invischiata assieme a Valerio e Monsieur Le Blonde al quasi analogo triangolo che nella Semiramide riconosciuta del Metastasio lega la protagoni - sta al di lei sconosciuto fratello, il principe egizio Mirteo, e al proprio antico amante, il principe indiano Scitalce (“Voi Mir - teo, Scitalco voi, / Simiramide son io”). Nella stessa aria c’è, con molta probabilità, anche un riferimento a una celeberrrima aria dell’ Olimpiade :

Cimarosa Metastasio Ma voi siete qual distriero Quel destrier, che all’albergo è vicino, che galoppa e fugge via più veloce s’affretta nel corso; ……

Poco dopo, anche Don Calandrino, che in preda ai fumi dell’al - cool comincia a intonare arie d’opera, non può che rivolgere i propri confusi pensieri ancora al Metastasio, ovvero a un’altra conosciutissima aria nell’ Adriano in Siria (II .11):

Cimarosa Metastasio Leon piagato a morte Leon piagato a morte sente mancar la vita, sente mancar la vita, guarda… che bestia ardita! guarda la sua ferita Scanzatela di qua. né s’avvilisce ancor.

Infine, la girandola di misunderstanding snocciolata da Don Calandrino alle prese con la lettera di Livietta, si conclude forse (“[…] questo foglio / va riposto in archivio; / non l’averebbe scritto Alcide al bivio”) con un’altra allusione all’ennesimo capolavoro metastasiano: ovvero la festa teatrale Alcide al bivio (1760). Il perché nel Ritorno di Don Calandrino si citino con tale prodi - galità i drammi per musica del Metastasio, è evidente: con l’uti - lizzo massiccio di tali parodie si producono gag assicurate

95 utilizzando degli oggetti (i drammi metastasiani, appunto) che gli spettatori settecenteschi del Don Calandrino conoscevano a menadito, e che allo spettatore odierno rischiano di sfuggire per man - canza di familiarità con testi ormai diventati – ahimè – anticaglie d’élite: per fare un esempio, gli spettatori romani che nel 1778 assistevano alla prima rappresentazione dell’opera di Cimarosa, avrebbero potuto anche vedere L’Olimpiade del Metastasio al Teatro Argentina, dove l’anno prima erano stati messi in scena Artaserse e Nitteti , e dove nel 1779 sarebbero stati allestiti l’ Adriano in Siria e Antigono . Negli stessi anni, varie congregazioni romane facevano rappresentare a più ripre - se, sempre del Metastasio, gli oratori Gioas, re di Giuda , Sant’Elena al Calvario , Isacco figura del Redentore , Giuseppe riconosciuto . Lo stesso Cimarosa, nel 1781 avrebbe composto un Alessandro nell’Indie giusto per il Teatro Argentina, cimentandosi poi con L’eroe cinese (Napoli, Teatro di San Carlo, 1782), L’Olimpiade (Vicenza, Teatro Eretenio, 1784, e fu lo spettacolo inaugurale), Artaser - se (Torino, Teatro Regio, 1784). Il ritorno di Don Calandrino è forse la punta di un iceberg ancora quasi del tutto sommerso e ine - splorato: si potrebbero aggiungere agli esempi già riportati il libretto della Secchia rapita di Gio - vanni Gastone Boccherini, intonato da Antonio Salieri nel 1772 per il Burgtheatrer di Vienna; o le parodie di Achille in Sciro , Artaserse e Zenobia che un anonimo librettista, probabilmente napole - tano, sotto lo pseudonimo di Publio Quintiliano Settimio da Samarcanda, fa pubblicare in data imprecisata col sottotitolo Metastasio revotato ; o ancora, una versione della Didone in romanesco intitolata La Didona der Matastazzio a Trastevere . Tutti piccoli – e divertentissimi – indizi i quali spingono sempre più ad accogliere l’opinione di quegli studiosi che propongono di sostituire l’im - precisa e ormai vetusta locuzione “opera napoletana” con l’etichetta forse più calzante di “opera metastasiana”. E pensare che il Metastasio (visto che è incerta la sua paternità degli intermezzi L’impresario delle Canarie ) non si è forse mai cimentato col teatro comico…

96 Gli artisti

Riccardo Muti

A Napoli, città in cui è nato, studia trascorso come direttore musicale pianoforte con Vincenzo Vitale, dei complessi scaligeri culmina il 7 diplomandosi con lode presso il dicembre 2004 nella trionfale ria - Conservatorio di San Pietro a pertura della Scala restaurata dove Majella. Al “” di dirige l’ Europa riconosciuta di Milano, in seguito, consegue il Antonio Salieri. diploma in Composizione e Direzio - Nel corso della sua straordinaria ne d’orchestra sotto la guida di carriera Riccardo Muti dirige Bruno Bettinelli e Antonino Votto. molte tra le più prestigiose orche - Nel 1967 la prestigiosa giuria del stre del mondo: dai Berliner Concorso “Cantelli” di Milano gli Philharmoniker alla Bayerischen assegna all’unanimità il primo Rundfunk, dalla New York posto, portandolo all’attenzione di Philharmonic all’Orchestre Natio - critica e pubblico. nal de France alla Philharmonia di L’anno seguente viene nominato Londra e, naturalmente, i Wiener Direttore Principale del Maggio Philharmoniker, ai quali lo lega un Musicale Fiorentino, incarico che manterrà fino al rapporto assiduo e particolarmente significativo, e 1980. Già nel 1971, però, Muti viene invitato da con i quali si esibisce al Festival di Salisburgo dal Herbert von Karajan sul podio del Festival di Sali - 1971. sburgo, inaugurando una felice consuetudine che lo Invitato sul podio in occasione del concerto cele - porterà, nel 2001, a festeggiare i trent’anni di soda - brativo dei 150 anni della grande orchestra vienne - lizio con la manifestazione austriaca. Gli anni Set - se, Muti ha ricevuto l’ Anello d’Oro , onorificenza tanta lo vedono alla testa della Philharmonia concessa dai Wiener in segno di speciale ammira - Orchestra di Londra (1972-1982), dove succede a zione e affetto. Nell’aprile del 2003 viene eccezio - Otto Klemperer; quindi, tra il 1980 e il 1992, eredi - nalmente promossa in Francia una “Journée ta da Eugène Ormandy l’incarico di Direttore Riccardo Muti”, attraverso l’emittente nazionale Musicale della Philadelphia Orchestra. France Musique che per 14 ore ininterrotte tra - Dal 1986 al 2005 è Direttore Musicale del Teatro smette musiche da lui dirette con tutte le orchestre alla Scala: prendono così forma progetti di respiro che lo hanno avuto e lo hanno sul podio, mentre il internazionale, come la proposta della trilogia 14 dicembre dello stesso anno dirige l’atteso con - Mozart-Da Ponte e la tetralogia wagneriana. certo di riapertura del Teatro La Fenice di Venezia. Accanto ai titoli del grande repertorio trovano spa - Nel 2004 fonda l’Orchestra Giovanile “Luigi Che - zio e visibilità anche altri autori meno frequentati: rubini” formata da giovani musicisti selezionati da pagine preziose del Settecento napoletano e opere una commissione internazionale fra oltre 600 stru - di Gluck, Cherubini, Spontini, fino a Poulenc, con mentisti provenienti da tutte le regioni italiane. quella Dialogues des Carmélites che gli hanno valso La vasta produzione discografica, già rilevante il Premio “Abbiati” della critica. Il lungo periodo negli anni Settanta e oggi impreziosita dai molti

99 premi ricevuti dalla critica specializzata, spazia dal Mozarteum di Salisburgo gli ha assegnato la Meda - repertorio sinfonico e operistico classico al Nove - glia d’argento per l’impegno sul versante mozartia - cento. no; la Wiener Hofmusikkapelle e la Wiener Il suo impegno civile di artista è testimoniato dai Staatsoper lo hanno eletto Membro Onorario; il concerti proposti nell’ambito del progetto “Le vie presidente russo Vladimir Putin gli ha attribuito dell’Amicizia” di Ravenna Festival in alcuni luoghi l’Ordine dell’Amicizia, mentre lo stato d’Israele lo “simbolo” della storia, sia antica che contempora - ha onorato con il premio “Wolf” per le arti. Moltis - nea: Sarajevo (1997), Beirut (1998), Gerusalemme sime università italiane e straniere gli hanno confe - (1999), Mosca (2000), Erevan e Istanbul (2001), rito la Laurea Honoris Causa. New York (2002), Il Cairo (2003), Damasco (2004), Chiamato a dirigere il concerto che ha inaugurato El Djem (2005), Meknès (2006) con il Coro e l’Or - le celebrazioni per i 250 anni dalla nascita di chestra Filarmonica della Scala, l’Orchestra e il Mozart al Grosses Festspielhaus di Salisburgo, Ric - Coro del Maggio Musicale Fiorentino e i “Musicians cardo Muti ha rinsaldato i legami e le affinità ideali of Europe United”, formazione costituita dalle con i complessi dei Wiener Philharmoniker. In tale prime parti delle più importanti orchestre europee. occasione è stato annunciato il suo impegno per il Tra gli innumerevoli riconoscimenti conseguiti da Festival di Pentecoste fondato da Karajan dove, a Riccardo Muti nel corso della sua carriera si segna - partire dal 2007 e insieme alla “Cherubini”, l’or - lano: il titolo di Cavaliere di Gran Croce della chestra giovanile da lui fondata, affronterà un pro - Repubblica Italiana e la Grande Medaglia d’oro getto triennale mirato alla riscoperta e alla della Città di Milano; la Verdienstkreuz della valorizzazione del patrimonio musicale, operistico Repubblica Federale Tedesca; la Legion d’Onore in e sacro, del Settecento napoletano. Francia e il titolo di Cavaliere dell’Impero Britan - nico conferitogli dalla Regina Elisabetta II . Il www.riccardomuti.it

100 Ruggero Cappuccio

Nato a Napoli nel 1964, laureato in Luca Ronconi. Nel 1997 scrive Il lettere all’Università di Salerno con Sorriso di San Giovanni e nel 1999 una tesi su Edmund Kean, inizia la I silenzi della memoria , tratto da carriera di drammaturgo e regista un racconto di Giuseppe Tomasi di nel 1993 scrivendo Delirio margi - Lampedusa. Nel 2001 l’Ente Tea - nale con cui vince il Premio IDI trale Italiano e il Ministero per i (selezione Autori Nuovi) e la Meda - Beni e le Attività Culturali gli affi - glia d’oro per la Drammaturgia Ita - dano la drammaturgia e la regia liana dell’Istituto del Dramma dell’ Orlando furioso di Ariosto. Italiano. Nel 1995 scrive e dirige Nel 2001, dopo la prima al Festival Shakespea Re di Napoli , che debut - “ProvocAzione Teatro”, LIGHEA ta al Festival di Sant’Arcangelo e o i silenzi della memoria è rappre - che dopo undici anni è tuttora in sentato nei più importanti teatri tournée nei maggiori teatri italiani. italiani. Negli anni successivi scrive e mette Nel suo più recente lavoro teatrale in scena Mai più amore per sempre , Paolo Borsellino Essendo Stato libera rievocazione di Romeo e Giulietta di Shake - (2005) Cappuccio mette in scena la storia del giudi - speare; Nel tempo di un Tango e Desideri Mortali , ce palermitano ucciso dalla mafia nel 1992. oratorio profano per Giuseppe Tomasi di Lampe - Nel 1999 debutta nella sua regia lirica con Nina, o dusa, presentato nel 1996 al Teatro Valle di Roma. sia La pazza per amore di Paisiello diretta da Ric - È regista del progetto di scrittura Intorno a Re cardo Muti, prodotta dal Teatro alla Scala e dal Lear di Shakespeare , spettacolo-evento andato in Piccolo Teatro di Milano. Nel 2001 alla Scala cura scena al Teatro Verdi di Salerno. Nel 1996 fonda a la regia del Falstaff di Verdi ancora con Riccardo Roma con Nadia Baldi il Teatro Segreto, organismo Muti. Nel 2004 ha portato in scena al San Carlo di di produzione e promozione artistica teso a garanti - Napoli Gustavo III di Svezia di Giuseppe Verdi. re l’autonomia dei progetti teatrali e della loro rea - Dal 2003 al 2006 Ruggero Cappuccio è Direttore lizzazione. Artistico del Festival Benevento Città Spettacolo di In un’esperienza laboratoriale che coinvolge per cui ha già diretto la sezione dedicata alle giovani due mesi oltre duecento giovani attori italiani, nel generazioni teatrali. Nel 2003 realizza la rassegna 1997 si dedica alle scritture di scena e ne presenta il “La Scena Segreta” al Teatro “Verdi” di Salerno. risultato col titolo di Raccontinfiniti al festival, da L’anno successivo da’ vita al Progetto di Formazio - lui diretto, “ProvocAzione Teatro”, a Benevento e ne “Technè”, in collaborazione col Ministero del a Roma. Dopo Edipo a Colono Cappuccio si con - Lavoro e la città di Benevento. Cappucccio è anche fronta con l’antichità classica anche con la riscrit - realizzatore di film e collabora per le pagine cultu - tura del Tieste di Seneca e delle Bacchidi di Plauto, rali del “Mattino” di Napoli. affidatagli dal Teatro Stabile di Roma diretto da

101 Edoardo Sanchi

Diplomato all’Accademia di Belle menti di Franco Ripa di Meana: La Arti di Brera a Milano, dal 1986 al fiamma di Ottorino Respighi alla 1990 è stato attivo come assistente Wexford Festival Opera in Irlanda, alla scenografia per allestimenti fir - Saffo di Giovanni Pacini al Teatro mati da Margherita Palli. Inoltre Romolo Valli di Reggio Emilia, e ha collaborato con gli scenografi Attila di Verdi al Maggio Musicale Gabbris Ferrari, Michel Lebois, Fiorentino. Negli anni 2001 e 2003 Quirino Conti e Gianni Quaranta. Edoardo Sanchi è stato alla Gar - Negli anni successivi, Edoardo San - sington Opera, dove ha realizzato chi è ha lavorato come scenografo le scene per La gazzetta e Il barbie - in moltissimi teatri italiani ed euro - re di Siviglia di Rossini con la regia pei, collaborando con registi quali di Marco Gandini. Nel 2004 ha fir - Franco Branciaroli, Antonio mato le scene di Macbeth con la Calenda, Jérôme Savary, Franco regia di Micha Van Hoecke, copro - Zeffirelli, David Brandon, Stefano dotto da Ravenna Festival, dal Tea - Monti, Roberto Paci Dalò, Italo tro Comunale di Bologna e dal Nunziata, Ruggero Cappuccio, Francesco Micheli, Teatro Verdi di Trieste. È tornato al Ravenna Festi - Giorgio Barberio Corsetti e Marco Martinelli. Per val nel 2005 con La mano , spettacolo tratto dal Giorgio Marini ha creato le scene dell’ Olimpiade di romanzo omonimo di Luca Dolinelli e coprodotto Vivaldi al Teatro Rendano di Cosenza, per The con il Teatro delle Albe. Turn of the Screw di Britten al Teatro Comunale di È docente di Scenografia all’Accademia di Belle Bologna, e per l’ Orfeo di Monteverdi al Teatro Arti di Venezia, e conduce il corso specialistico di Carignano di Torino nonché all’Opéra de Lausan - Scenografia all’Accademia di Belle Arti di Brera a ne. Ha firmato le scene anche per diversi allesti - Milano.

102 Carlo Poggioli

Nato a Torre del Greco, ha frequen - prosa ( Tieste , Bacchidi , Il Sorriso tato l’Istituto d’Arte e l’Accademia di San Giovanni e Desideri Morta - di Belle Arti di Napoli, conseguendo li ). Con il regista Marco Gandini ha il diploma di laurea in scenografia e realizzato i costumi per La gazzet - costume. Trasferitosi a Roma nel ta di Rossini alla Garsington 1982, inizia a lavorare come assi - Opera, L’amico Fritz di Mascagni a stente costumista collaborando con Verona, La lupa di Marco Tutino Gabriella Pescucci, Maurizio Mille - al Teatro Massimo di Palermo, e notti e Piero Tosi in film, fra gli L’italiana in Algeri a Treviso. Per altri, di Jean-Jacques Annaud, il teatro di prosa ha lavorato anche Terry Gilliam, Federico Fellini, con Luca Ronconi, firmando i Martin Scorsese, Franco Zeffirelli, costumi di Strano interludio di Anthony Minghella. Nel campo del - O’Neill e della Pazza di Chaillot di l’opera lirica lavora, in qualità di Giraudoux. Tra i suoi ultimi lavori assistente, con Franco Zeffirelli, cinematografici vanno ricordati Liliana Cavani e Mauro Bolognini. Silk , con la regia di François Da molti anni Carlo Poggioli collabora come costu - Girard, Lecture 21 di Alessandro Baricco, e I fra - mista con Ruggero Cappuccio, sia per la lirica telli Grimm Terry Gilliam. Attualmente sta lavo - (Gustavo III di Verdi al Teatro San Carlo di Napoli, rando alla realizzazione dei costumi per Miracolo a Falstaff a Busseto, Nina, o sia La pazza per amore Sant’Anna , l’ultimo film di Spike Lee. di Paisiello al Teatro alla Scala di Milano) sia per la

103 Laura Giordano

Soprano, nata a Palermo nel 1979, val di Beaune (poi incisa per l’eti - ha iniziato a cantare all’età di sedi - chetta Opus 111), e interpreta ci anni, per poi perfezionarsi con Susanna nelle Nozze di Figaro Maria Chiara e Alida Ferrarini. all’Opéra Bastille di Parigi (poi Partecipa ad alcune produzioni al anche al Teatro Real di Madrid e Teatro Massimo di Palermo e al alla Semperoper di Dresda). Nel Bellini di ( , 2003 torna al Massimo di Palermo Tosca , Der Rosenkavalier ), per poi col Matrimonio segreto , e debutta vincere nel 1997 e nel 1998 il Con - come Marie nella Fille du régiment corso OperaLaboratorio del Teatro a Lecce (nel 2006 portata in tournée Massimo di Palermo, dove debutta col Teatro Comunale di Bologna). come protagonista nei Pazzi per Nel 2004 interpreta con successo progetto di Donizetti e nell’ Adina Nannetta nel Falstaff diretto alla di Rossini. Nell’estate 1999 canta in Scala da Riccardo Muti (riprende lo Orphée aux enfers di Offenbach stesso personaggio all’Opéra di per la stagione estiva del Teatro Lyon con Gianandrea Noseda, e a Massimo di Palermo. Il suo lancio definitivo avvie - Strasburgo con Carlo Rizzi); sempre alla Scala ne, sempre al Massimo, nell’aprile 2000, come impersona Musetta nella Bohème con la regia di Sophie nel Werther di Massenet. Franco Zeffirelli e la direzione di Rafael Frühbeck Nel gennaio 2001 interpreta Oscar nel Ballo in de Burgos (poi al Teatro Real di Madrid e al Théâtre maschera diretto da Valerij Gergiev al Teatro Regio de la Monnaie di Bruxelles). Nella scorsa stagione è di Parma. Ha cantato i Carmina Burana con il stata Donna Fulvia nella Pietra del paragone al Coro del Teatro alla Scala al Teatro Fraschini di Théâtre du Châtelet di Parigi, Musetta in Bohème al Pavia, per poi eseguirli ancora a Ravenna e a Cara - Teatro Real di Madrid, Norina nel Don Pasquale calla con l’Orchestra di Santa Cecilia. Al Festival diretto da Riccardo Muti a Ravenna. Tra le sue Mozart della Coruña cantato la Messa dell’Incoro - altre interpretazioni, Corinna nel Viaggio a Reims , nazione di Mozart, per poi debuttare al Rossini Oscar nel verdiano Ballo in maschera a Nizza con Opera Festival di Pesaro nel Viaggio a Reims Marco Guidarini e poi al Teatro Verdi di Trieste, (Corinna). Adina nell’ Elisir d’amore a Las Palmas e Tel Aviv, Nel 2002 interpreta con successo al Théâtre des Despina in Così fan tutte a Santiago del Cile. Champs-Elysées Carolina nel Matrimonio segreto di Tra i suoi prossimi impegni: Falstaff al Teatro Cimarosa diretto da Christophe Rousset (poi al Bar - Regio di Torino e al Santa Fe Opera Festival, bican Center di Londra). In seguito impersona Elvi - Orphée et Eurydice al Comunale di Bologna e ra nell’ Italiana in Algeri diretta da Alberto Zedda all’Opéra de Montpellier, L’elisir d’amore a Palm al Festival Mozart della Coruña, canta nell’ Olim - Beach, Don Pasquale con Riccardo Muti in forma piade di Vivaldi con Rinaldo Alessandrini al Festi - di concerto al Musikverein di Vienna.

104 Elena Tsallagova

Soprano, nata a Vladikavkaz, nel Susanna nelle Nozze di Figaro di sud della Russia, ha iniziato gli Mozart, Sophie nel Werther di studi musicali nel conservatorio Massenet, Sophie nel Rosenkava - della propria città, per poi prose - lier di Richard Strauss, Adèle nel guirli grazie a una borsa di studio Pipistrello di Offenbach. nel celebre Conservatorio di San Vincitrice del Concorso vocale Pietroburgo. Diplomatasi nel 2005, “Rachmaninov” di San Pietrobur - ha iniziato la carriera cantando go, nell’ottobre del 2006 è stata alcune parti secondarie nelle pro - ammessa a seguire il programma duzioni del Teatro Mariinskij, tra per giovani artisti all’Opéra di cui Il gallo d’oro di Rimskij-Kor - Parigi. Qui, nella stagione 2007- sakov e Suor Angelica di Puccini. 2008, interpreterà la Cantante ita - Attualmente studia repertorio e liana in Capriccio , e la Voce del interpretazione con Ileana Cotru - falco nella Donna senz’ombra di bas, con la quale sta perfezionando Richard Strauss. Nella scorsa esta - le parti di Ilia nell’ Idomeneo di te, ha debuttato a Salisburgo come Mozart, Marzelline nel Fidelio di Beethoven, Zelmira nell’ Armida di Haydn.

105 Monica Tarone

Soprano, si è diplomata cum laude coforte. Ha inoltre impersonato nel settembre 2000 nella classe di Susanna nelle Nozze di Figaro Silvana Moyso Bocchino al Conser - dirette da Marco Berdondini per i vatorio “Ghedini” di Cuneo. L’an - Teatri trentini. Per la Fondazione no successivo vince il Concorso Arena di Verona si è esibita in con - As.Li.Co. come Nannetta nel Fal - certo sotto la guida di Fabio Fapan - staff , e sempre per l’As.Li.Co nel ni, e sempre in veste concertistica è 2002 debutta nella parte di Jouve - apparsa al Teatro dell’Opera di not nell’ Adriana Lecouvreur . Montecarlo e a Nizza. Nel 2002, per la Fondazione Teatro Nella scorsa stagione ha interpreta - alla Scala di Milano ha cantato to Alice in Falstaff al Teatro Super - sotto la direzione di Riccardo Muti ga di Nichelino, e Lisa in nelle produzioni delle Nozze di Sonnambula al Teatro Coccia di Figaro e dell’ Iphigénie en Aulide Novara; sue incisioni del Don Gio - (con quest’ultima opera, trasmessa radiofonica - vanni (Zerlina) e del Requiem di Mozart sono mente in diretta, in Eurodiffusione, è stata inaugu - apparse per la rivista “Panorama”. Ha inoltre par - razione la stagione lirica 2002 al Teatro degli tecipato ad una serie di concerti a Città del Messico Arcimboldi). e a Kansas City. Ha interpretato Lucy in The Vincitrice del concorso “Mattia Battistini” di Rieti Telephone di Menotti al Piccolo Regio di Torino, e nel 2003, ha in seguito debuttato nella parte di Adina nell’ Elisir d’amore a Irùn (Bilbao). Di recen - Norina in Don Pasquale e di Zerlina nel Don Gio - te, per la Sagra Musicale Malatestiana di Rimini, vanni . È stata inoltre in Germania, dove ha rico - ha ricoperto la parte della Bellezza nella prima ese - perto con grande successo la parte di Violetta nella cuzione italiana in forma scenica della Bellezza Traviata , in una tournée che ha toccato, tra le altre ravveduta nel trionfo del tempo e del disinganno di città, Rosenheim, Norimberga, Stoccarda, Fran - Händel, con la regia di Denis Krief.

106 Irina Iordachescu

Soprano, nata a Bucarest nel 1977 Turchia, Polonia. Nel repertorio in una famiglia di musicisti, si è concertistico, ha interpretato lavo - diplomata nel 2000 all’Accademia ri di ampio respiro come l’ Exulta - musicale della città natale, nella te, jubilate , il Requiem e la Messa classe di canto di Maria Slatinaru in do minore di Mozart, la Missa Nistor, e in quella di Dan Iordache - Solemnis e la Nona sinfonia di scu per il Lied e l’oratorio. Dal Beethoven, la Nelson Messe di 1997 è stata premiata in numerosi Haydn, Il Deutsche Requiem di concorsi vocali nazionali e interna - Brahms, il Requiem di Dvo rˇák, sia zionali quali il “Mihail Jora” in Romania sia nel resto d’Europa, (secondo premio), lo “Ionel Perlea” sotto la direzione, tra gli altri, di (Gran premio), e ancora gli italiani Riccardo Muti, Cyril Diederich, “Viotti” (premio “Cesare Bardelli”) Claire Gibault, Ivan Anguelov, e “Bellini” (secondo premio), lo Julian Kovatchef, Daffydd Bul - spagnolo “Silvia Geszty” (terzo lock, Nicolas Astrinidis, Christoph premio), il “Maria Callas” in Gre - Adt, Cristian Mandeal, Rasvan cia (terzo premio), l’olandese “IVC s’Hertogenbo - Cernat, Gheorghe Costin, Lucian Anca, Florentin sch” (terzo premio e premio del pubblico). Mihaescu, Constantin Petrovici, Ilarion Ionescu- Nel 2000 ha debuttato sul palco dell’Opera Nazio - Galati, Tiberiu Soare, Acel Ervin, Iurie Florea, nale di Bucarest come Pamina nel Flauto magico di Iosif Prunner. Di recente è stata invitata a esibirsi Mozart; l’anno successivo ha debuttato a livello in numerosi concerti e festival in Italia, Spagna, internazionale nella parte di Giulietta nei Capuleti Lussemburgo, Grecia. Insieme a Gheorghe Zamfir e i Montecchi di Bellini messi in scena al Teatro Ali - ha cantato negli Stati Uniti (Carnegie Hall di New ghieri di Ravenna per l’edizione 2001 di Ravenna York, Chicago) e in Israele (Tel Aviv, Gerusalemme, Festival. Nello stesso anno si è esibita in due con - Haifa). Dal 2005 è solista dell’Opera Nazionale di certi al Teatro alla Scala” di Milano sotto la direzio - Bucarest, dove ha interpretato le parti principali in ne di Riccardo Muti, con l’Orchestra e il Coro del Lucia di Lammermoor , Rigoletto , Così fan tutte Teatro, poi portati anche in tournée in Armenia, (Fiordiligi), Il flauto magico (Pamina).

107 Francesco Marsiglia

Tenore, nato a Napoli nel 1974, ha diretta da Marcello Panni al Teatro studiato canto con Giuliana Valen - Lirico Sperimentale di Spoleto, e in te, diplomandosi nel 1998 al Con - quella di Alfredo nella Traviata servatorio di Salerno. diretta da Vito Clemente a Perugia, Si è perfezionato Daniele Abbado, Todi, Spoleto e Terni. Sempre nel Claudio Desderi, Renato Bruson, e circuito dei teatri umbri ha nuova - ha conseguito il Diploma di II livello mente interpretato Rodolfo, e poi all’Istituto Superiore di Studi Musi - Edgardo in Lucia di Lammermoor . cali “Orazio Vecchi” di Modena con È stato Don Ottavio nel Don Gio - Leone Magiera, Raina Kabaivanska vanni e Fenton nel Falstaff diretto e Luciano Pavarotti. Attualmente da Claudio Desderi al Teatro “Bor - studia con Mirella Freni. gatti” di Cento. Nel febbraio 2005 Vincitore nel 2004 del Concorso ha interpretato i ruoli di Toby e “Belli” del Teatro Lirico Sperimen - Jack nell’opera Ascesa e caduta tale di Spoleto, ha in realtà iniziato della città di Mahagonny al Teatro la carriere nel 1999 interpretando Piccinni di Bari, sotto la direzione ruoli minori (Borsa, Don Basilio e Don Curzio, di Jonathan Webb e la regia di Daniele Abbado. Nel Yamadori, El Remendado) al Teatro Municipale luglio dello stesso anno ha debuttato come Duca di “Verdi” di Salerno, in produzioni liriche dirette da Mantova in Rigoletto al Teatro dell’Opera Giocosa Janos Acs, Nicola Luisotti, Fabrizio Carminati, di Savona, direzione da Giovanni Di Stefano. Yoram David. Successivamente ha debuttato come Nella scorsa stagione ha interpretato Clementino e Edoardo nella Cambiale di matrimonio , Ferrando Alfredo nel Piccolo spazzacamino di Britten al Tea - in Così fan tutte , Bastiano in Bastiano e Bastiana , tro Comunale di Modena. Di recente è stato ancora Nemorino nell’ Elisir d’amore , collaborando con Fenton, accanto a Renato Bruson, nel Falstaff diverse associazioni musicali italiane. Ha preso andato in scena al Teatro Maruccino di Chieti, e ha parte a Eden Teatro di Raffaele Viviani nel ruolo di preso parte ad uno spettacolo di Roberto De Simo - Maestro Tastariello, spettacolo con musiche e regia ne: Là ci darem la mano , al Teatro Mercadante di di Roberto De Simone. Ha interpretato la parte del Napoli. Nel maggio 2007 ha cantato nuovamente protagonista nel Retablo de Maese Pedro messo in Falstaff al Teatro Verdi di Salerno. scena da Lina Wertmüller al Teatro Augusteo di Si è esibito in concerto in Austria, Inghilterra, Salerno. Nel 2004 ha interpretato Flute in A Mid - Francia, Germania, Bulgaria, Giappone, Cina, in summer Night’s Dream di Britten sotto la direzione un repertorio concertistico che comprende i Vespe - di Jonathan Webb e la regia di Lindsay Kemp nei rae Solemnes de Confessore e il Requiem di Mozart, teatri di Pisa, Lucca e Livorno; ad aprile è stato la Nona sinfonia e la Fantasia op. 80 di Beethoven, Percy in Anna Bolena all’Opera di Sofia. Ha poi la Petite Messe Solennelle di Rossini. debuttato nella parte di Rodolfo nella Bohème

108 Mario Zeffiri

Nato ad Atene, vi si è laureato in nella Sonnambula di Bellini (Tea - giurisprudenza e ha iniziato gli tro alla Scala, 2001). Da segnalare studi di canto. Grazie a una borsa anche i debutti come Arturo nei di studio della Fondazione “Callas” Puritani a Essen, Ritornello nell ’O - si è perfezionato in Italia dove, pera seria di Gassmann al Théâtre sotto la guida di Alberto Zedda, ha des Champs Élysées di Parigi, frequentato l’Accademia del Teatro Uberto nella Donna del lago di alla Scala ove ha preparato molti Rossini alla Carnegie Hall di New personaggi tra cui Fenton in Fal - York. Sul versante barocco, ha staff , interpretato sotto la direzio - cantato nell’ Eliogabalo a Bruxelles ne di Riccardo Muti. Versato nel (con la direzione di René Jacobs), e belcanto italiano, ha studiato anche negli Amori di Apollo e Dafne di con Juan Oncina a Barcellona e con Cavalli a La Coruña (diretto da Michel Sénéchal a Parigi. Attual - Alberto Zedda). Per il l’Opera di mente studia a Berlino col tenore Roma ha eseguito la Messa di Glo - Peter Gougaloff. ria di Rossini, diretto da Jesus Nel repertorio rossiniano ha impersonato il Conte Lopez-Cobos; Inoltre, ha debuttato al Rossini d’Almaviva nel Barbiere di Siviglia a Montpellier, Opera Festival 2004 di Pesaro come Fileno e Genio Bordeaux, Düsseldorf, Liegi, Essen, Stoccolma, nella cantata Il vero omaggio . Al San Carlo di Berlino (ha cantato la stessa parte anche nei Bar - Napoli, è stato impegnato nella Cantata di San bieri di Paisiello e Morlacchi); Don Ramiro nella Gennaro di Paisiello e nel Trionfo della fede di Cenerentola al Trieste, Torino, Lipsia; Norfolk nel - Cimarosa; ha debuttato all’Opera di Amburgo l’ Elisabetta Regina d’Inghilterra al Festival Rossi - come Don Narciso nel Turco in Italia di Rossini; ha ni di Bad Wildbad; Lindoro nell ’Italiana in Algeri a sostenuto parti di rilievo al Teatro Comunale di Düsseldorf; è stato protagonista del Comte Ory a Bologna, al Verdi di Trieste, al Regio di Torino. Ha Metz; e ha interpretato Libenskof nel Viaggio a debuttato come Gérald nella Lakmé di Delibes Reims a Parigi, Liegi, Avignone, Bad Wildbad, all’Opera Nazionale Greca di Atene. Tra gli artisti sempre sotto la direzione di Alberto Zedda. Ha con cui collabora, da citare anche Gianluigi Gel - inoltre cantato Tancredi all’Opera di Roma (vi è metti, Daniele Gatti, Roberto Abbado, Stefan Sol - apparso anche in Sonnambula , Il turco in Italia , tesz, Helmut Rilling, Eve Queler, Dario Fo, Salome ), La scala di seta a Palermo, La gazzetta a Pierluigi Pizzi, Pier’Alli, Luca Ronconi, Hugo de Barcellona. Ha inoltre impersonato Tamino nel Ana. Flauto magico , Don Ottavio nel Don Giovanni , Bel - Nel 2007, sotto la direzione di Riccardo Muti, ha monte nel Ratto dal serraglio , Ferrando in Così cantato nel Requiem di Verdi a Ravenna, al Quiri - fan tutte , Belfiore nella Finta giardiniera , Alessan - nale e a Parma; ha interpretato Ernesto nel Don dro nel Re pastore di Mozart; ha interpretato Pasquale a Malta, Mosca e San Pietroburgo, e Don Ernesto nel Don Pasquale di Donizetti ed Elvino Calandrino a Las Palmas de Gran Canaria.

109 Juan Francisco Gatell Abre

Nato a La Plata, in Argentina, nel 2005, interpreta l’Innocente nel 1978, inizia gli studi musicali all’età Boris Godunov di Musorgskij diret - di nove anni al Conservatorio to da Semyon Bychkov al Maggio “Gilardo Gilardi” della sua città, Musicale Fiorentino. Impersona per poi continuarli dal 2000 in Spa - inoltre il Conte di Almaviva nel Bar - gna, dove si perfeziona al Conser - biere di Siviglia di Rossini diretto vatorio “Arturo Soria” di Madrid. dal Gianluigi Gelmetti (e interpreta Partecipa inoltre a diversi corsi di lo stesso personaggio anche nell’ope - formazione, tra i quali quelli di tec - ra omonima di Paisiello al Teatro nica vocale e di interpretazione degli Arcimboldi di Milano), e Don tenuti da Teresa Berganza a San - Ottavio nel Don Giovanni di Mozart tander e da Bruno De Simone a diretto da Hubert Soudant con la Pisa. Attualmente è allievo del regia di Franco Zeffirelli al Teatro baritono Luciano Roberti. dell’Opera di Roma. Interpretato Dopo la segnalazione all’ VIII “Ciclo con successo Don Ottavio anche a de Jòvenes Cantantes” dell’Associa - Lima, su invito del grande tenore zione Amici dell’Opera di Madrid, tiene un recital Luigi Alva (proprio nei panni di Don Ottavio, Gatell nell’auditorium della Escuela Superior de Canto di ha vinto il LVII Concorso As.Li.Co.), ed è Tamino nel Madrid. Nel 2004 vince il Concorso “Le voci nuove Flauto magico alla Fenice di Venezia. della lirica” bandito dall’Associazione Museo “Enri - Nel 2006 si esibisce a Ravenna, sotto la bacchetta di co Caruso”, grazie al quale si esibisce nella Sala Riccardo Muti, nelle Vesperae solemnes de confes - Grande del Teatro Dal Verme di Milano, e a Villa sore di Mozart (eseguite anche a Firenze, sempre Caruso (Lastra a Signa) per l’assegnazione del Pre - col maestro Muti) e soprattutto nel Don Pasquale di mio “Caruso” 2004 al baritono Leo Nucci. Nello stes - Donizetti. Alle Settimane Musicali Senesi è inoltre so hanno debutta al Maggio Musicale Fiorentino solista nel Requiem di Mozart diretto da Gianluigi nell’ Idomeneo di Mozart, interpreta Don Luigino nel Gelmetti. Viaggio a Reims di Rossini, e canta per Città Lirica Ha appena cantato Don Giovanni per l’As.Li.Co., e Opera Studio la parte di Acis nell’ Acis and Galatea Davidde penitente di Mozart per i Pomeriggi Musi - di Händel a Pisa, Livorno e Chieti. Nel 2005 inter - cali di Milano; e ancora Pulcinella di Stravinskij preta Ernesto nel Don Pasquale di Donizetti al Tea - con l’Orchestra della Toscana diretta da Gabriele tro Pacini di Pescia nonché, come vincitore del VII Ferro, Il barbiere di Siviglia di Rossini al Regio di Concorso “Città di Pistoia”, Rinuccio nel Gianni Torino, Il burbero di buon buore di Martín y Soler Schicchi di Puccini al Manzoni di Pistoia e al Teatro diretto da Christoph Rousset al Teatro Real di dei Rassicurati di Montecarlo (Lucca). Sempre nel Madrid.

110 Marco Vinco

Veronese, classe 1977, oltre agli Real di Madrid, il Teatro de São studi in giurisprudenza conclusi a Carlos di Lisbona, il Teatro di Las pieni voti nel 2002, studia canto Palmas a Gran Canaria, la Deutsche con Ivo Vinco. Negli anni di studio Oper di Berlino, l’Opéra di Monte - si fa apprezzare sia per la voce sia carlo, i Teatri Bunka Kaykan e per le doti sceniche, maturate Bunka Mura di Tokyo, il Rossini anche attraverso alcune esperienze Opera Festival di Pesaro, e i festival nel teatro di prosa. di Edimburgo, di Aix-en-Provence, Particolarmente versato nel reper - Salisburgo, La Coruña. Ha collabo - torio mozartiano, ne ha interpreta - rato con direttori quali Zubin to le parti principali in Don Metha, Riccardo Muti, Daniele Giovanni, Le nozze di Figaro e Così Gatti, Nicola Luisotti, Alberto fan tutte , sia in Italia sia all’estero. Zedda, Marc Minkowsky, Gianluigi Inoltre, presenza ormai stabile al Gemetti, e con registi come Pierluigi Rossini Opera Festival di Pesaro, Pizzi, Franco Zeffirelli, Luca Ronco - del compositore marchigiano inter - ni, Robert Carsen, Mario Martone, preta le parti principali di alcuni tra i grandi capo - Toni Servillo, Gigi Proietti, Dario Fo. lavori quali La Pietra del Paragone , L’italiana in Ha inciso cd per Dynamic ( Italiana in Algeri ), Algeri , Matilde di Shabran , Adina , Il Turco in Ita - Decca ( Matilde di Shabran ), Opera Rara ( Pia de’ lia , La Cenerentola , Il Viaggio a Reims , L’Equivoco Tolomei e Zelmira ), Naxos ( l’Equivoco Stravagan - stravagante , Zelmira , l’Inganno felice , Il Barbiere te ), ROF (Petite Messe Solennelle e La pietra del di Siviglia . Oltre a Mozart e Rossini, ha interpreta - paragone ), Bongiovanni ( Sedecia ), e dvd per TDK to anche opere di Stradella ( Il Barcheggio ), Ales - (La Cenerentola ) e Dynamic ( Il Crociato in Egitto e sandro Scarlatti ( Sedecìa ), Cimarosa ( Il marito L’Italiana in Algeri ). disperato ), Händel ( Rinaldo) , Bellini ( La Sonnam - Fra gli impegni futuri, Don Giovanni all’Opéra di bula) , Donizetti ( L’Elisir d’amore e Pia de’ Tolo - Montecarlo, Il Turco in Italia a Tolosa, L’Italiana mei), Puccini ( La Bohème) , Massenet ( Le Joungleur in Algeri in tourneé nel Lussemburgo con il Festival de Notre Dame), Meyerbeer (Il Crociato in Egitto) . di Aix-en-Provence e all’Opéra Bastille, L’equivoco È ospite regolare di importanti istituzioni tra cui il Stravagante al Rossini Opera Festival di Pesaro, Carlo Felice di Genova, il Comunale di Bologna, Il Matilde di Shabran al Covent Garden di Londra, Comunale di Firenze, la Fenice di Venezia, la Scala di Don Giovanni a Tokyo, Le Nozze di Figaro al Milano, il l’Opera di Roma, il Regio di Torino, il San Théâtre de la Monnaie di Bruxelles, El Arbore de Carlo di Napoli, il Filarmonico di Verona, il Teatro Diana al Teatro del Liceu di Barcellona.

111 Arcipelago Circo Teatro - Los Febles

I membri della troupe di Arcipelago Circo Teatro - Fratelli Fuentes Gasca, la Francia con uno spetta - Los Febles hanno iniziato la propria carriera arti - colo marcatamente cubano rappresentato per l’Im - stica alla Scuola Nazionale di Circo a Cuba nel presa Séance Tenante. Dal 2006 i Los Febles sono 1995, dove si sono diplomati quattro anni dopo. parte del gruppo Arcipelago Circo Teatro, una Nello stesso anno hanno partecipato al Festival delle prime esperienze italiane di circo contempora - “Pista Joven” di Cuba, presentandosi nella difficile neo, con uno spettacolo di teatro acrobatico carai - disciplina dell’acrobatica con un numero alla barra bico: Tesoro , di Marcello Chiarenza e Alessandro russa, e aggiudicandosi il Gran Premio. In quell’oc - Serena. casione il gruppo si è “battezzato” con il nome di Dotati di un’ancestrale visceralità, ma anche di una Los Febles, in onore del proprio maestro. tecnica raffinata – eredità del legame con la Scuola La loro vita professionale si è distinta anche per del Circo di Stato di Mosca –, i Los Febles mettono importanti ingaggi in diversi paesi, come ad esem - in gioco discipline quali la pertica, la barra russa e pio il Messico con il Circo dei Fratelli Ataide, la l’altalena, arrivando a compiere evoluzioni di altis - Colombia con l’Imperial Circus, il Nicaragua con i sima spettacolarità.

112 Orchestra Giovanile Luigi Cherubini

“Vorrei restituire al mio Paese ciò che da esso e dai da una commissione presieduta dallo stesso Muti, suoi grandi maestri ho ricevuto: costruire un’orche - sono integrati dai migliori allievi della Scuola di stra di giovani talenti italiani che, dopo il Conserva - Fiesole, sulla base di un protocollo di intesa siglato torio, in tre anni di attività possano apprendere il tra l’Orchestra Cherubini e la prestigiosa istituzio - significato dello stare in orchestra, del dare il pro - ne di formazione musicale. prio contributo ad una compagine sinfonica od ope - Il percorso di crescita è articolato in periodi di stu - ristica, acquisendo piena consapevolezza di un ruolo dio che trovano sempre esito concreto nel momento che certo non è meno importante di quello solistico”. del confronto con il pubblico. “Solo in questo modo Ispirata dalla volontà e dal desiderio di Riccardo è possibile – spiega Riccardo Muti – dare spazio Muti, suo fondatore, l’Orchestra Giovanile Luigi all’entusiasmo e al talento di questi giovani musici - Cherubini assumendo il nome di uno dei massimi sti abituati in Conservatorio ad affrontare solo compositori italiani di tutti i tempi attivo in ambito marginalmente il momento delle esercitazioni europeo – Beethoven stesso lo considerava il più orchestrali, nonché, a causa di programmi troppo grande della sua epoca – vuole sottolineare, insieme spesso antiquati, a trascurare autori fondamentali ad una forte identità nazionale, la propria inclina - per il loro sviluppo artistico”. zione ad una visione europea della musica e della La “Cherubini”, nata nel 2004 e gestita dall’omoni - cultura. ma Fondazione costituita dalle municipalità di Pia - Orchestra di formazione, la “Cherubini” si pone cenza e Ravenna e dalle Fondazioni Toscanini e quale strumento privilegiato di congiunzione tra il Ravenna Manifestazioni, divide la propria sede tra mondo accademico e l’attività professionale. Gli 80 il Teatro Municipale di Piacenza e, quale residenza giovani strumentisti, provenienti da tutte le regioni estiva, il Ravenna Festival. italiane e scelti tra oltre 600 aspiranti attraverso Infatti è proprio nell’ambito di questo prestigioso audizioni e selezioni effettuate nel corso di due anni Festival che la “Cherubini”, dopo aver debuttato

113 ufficialmente nel teatro piacentino nel giugno 2005 te della Repubblica Giorgio Napolitano) e Parma: diretta da Riccardo Muti, ha compiuto il primo in programma l’ouverture Die Zauberharfe di vero e proprio “stage formativo” esibendosi, in un Schubert, il Concerto per violoncello di Schumann brevissimo arco di tempo e con successo, sia nel – solista Johannes Moser – e la Settima Sinfonia di repertorio operistico più tradizionale, in una nuova Beethoven. Al Teatro Alighieri di Ravenna in produzione del Faust di Gounod diretta da Patrick dicembre, l’avvio di un nuovo progetto di Ravenna Fournillier, che in quello meno frequentato, come Festival dal titolo “Dicembre all’opera”, ha visto la Sancta Susanna di Hindemith eseguita in forma impegnati i musicisti della Cherubini insieme a un di concerto sotto la direzione di Riccardo Muti. cast di giovani cantanti nel Don Pasquale di Doni - Eppoi nel repertorio sinfonico con l’esecuzione dei zetti, titolo con cui Riccardo Muti ha scelto di tor - concerti per pianoforte di Prokof’ev insieme ai soli - nare a dirigere l’opera in Italia. sti del Toradze Piano Studio; e di nuovo con Muti in A Salisburgo, nel maggio 2007, ha debuttato al due grandi pagine beethoveniane: il Concerto in re Festival di Pentecoste ne Il ritorno di Don Calan - maggiore per violino e orchestra (con Vadim Repin) drino di Cimarosa, sempre sotto la direzione di e la Quinta Sinfonia. Sempre con Riccardo Muti la Muti, avviando un progetto triennale mirato alla “Cherubini” si è poi esibita al Festival di Malta, riscoperta e alla valorizzazione del patrimonio nella cattedrale di Trani per i trent’anni del FAI, e musicale, operistico e sacro, del Settecento napole - nell’Aula del Senato – alla presenza del Presidente tano. della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi – per il tra - Nel futuro dell’orchestra si profilano ora esperien - dizionale concerto di Natale trasmesso in eurovisio - ze internazionali di rilievo come l’invito al Musik - ne da RaiUno. verein di Vienna. A confermare l’intento di indagare un repertorio di particolare valore formativo, la “Cherubini” ha affrontato con Riccardo Muti, festeggiando il primo anno di attività nel maggio 2006, una densa tournée italiana che l’ha vista cimentarsi con opere di Haydn (il Concerto in do maggiore per violoncello e orchestra), Mozart, Dvo rˇák, Hindemith (la suite dal balletto Nobilissima visione ), Rossini, Verdi e L’attività dell’orchestra è resa possibile Puccini. Al Ravenna Festival 2006 l’orchestra si è grazie al prezioso contributo di esibita in molti concerti rinnovando l’intensa espe - rienza della residenza estiva. Diretta da Jurij Temirkanov, Riccardo Muti e Wayne Marshall si è cimentata con autori come Dvo rˇák e Sˇostakovi cˇ, col repertorio sacro di Mozart fino al grande musi - cal del Novecento con Gershwin e Bernstein. L’annuale appuntamento del concerto per il FAI – questa volta nello straordinario scenario del Duomo di Monreale – è stato il preludio di una nuova tournée che ha toccato Piacenza, Novara, Sabina Anrep, Milano Claudio Ottolini, Milano Napoli (dove si è esibita alla presenza del Presiden - Daria Tinelli di Gorla Rocca, Milano Maria Luisa Vaccari, Padova

114 violini primi viole flauti Veronica Pisani ** Paolo Fumagalli * Sonia Formenti * Antoaneta Arpasanu Luca Pirondini Elisa Boschi Stefano Rimoldi Nazzarena Catelli Keti Ikonomi Marta Rovinalti oboi Maria Saveria Mastromatteo Claudia Brancaccio Davide Guerrieri * Riccardo Patrone Silvia Vannucci Vittoria Palumbo Federico Galieni Marta Violetta Nahon violoncelli corni Roberto Piga Leonardo Sesenna * Fabio Frapparelli * Alessandro Casentino Misael Lacasta Frederic Gnuffi Kuzma Olga Fulvia Mancini Giulia Bellingeri Daniele Fiori trombe Lisa Pizzamiglio Luca Piazzi * violini secondi Stefano Sabattini Eugenio Tinnirello Francesca Sgobba * Maria Cristina Mazza Doriana De Rosa Rahia Angela Awalom Elena Bassi Federica Fersini contrabbassi Ispettore d’orchestra Elisa Mancini Marco Cuciniello * Leandro Nannini Lorenzo Maccaferri Alessandro Paolini Stefania Gilli Fabio Sacconi ** Spalla Volodja Kuzma Matteo Nasini * Prime Parti Valentina Marra Erika Verga

115

Indice

Le nostre radici ...... pag. 5 di Angelo Nicastro

Nota al libretto ...... pag. 11 di Tarcisio Balbo

Il libretto ...... pag. 17

Il soggetto ...... pag. 67

La sublime leggerezza di Cimarosa ...... pag. 71 di Ruggero Cappuccio

Un’opera leggera come una brezza marina ...... pag. 79 di Daniel Brandenburg

Il ritorno di Pietro Trapassi ...... pag. 89 di Tarcisio Balbo

Gli artisti ...... pag. 97

Le fotografie di Silvia Lelli riguardano la prima rappresentazione andata in scena a Salisburgo per il Festival di Pentecoste. Ufficio Edizioni Ravenna Festival

programma di sala a cura di Tarcisio Balbo

coordinamento editoriale Giovanni Trabalza

grafica e layout Antonella La Rosa

fotografie di Silvia Lelli

stampa Grafiche Morandi, Fusignano