Università Degli Studi Di Padova Facoltà Di Lettere E Filosofia Il Pianoforte E La Sua Musica Nell'italia Post-Unitaria

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Università Degli Studi Di Padova Facoltà Di Lettere E Filosofia Il Pianoforte E La Sua Musica Nell'italia Post-Unitaria UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA DIPARTIMENTO DI STORIA DELLE ARTI VISIVE E DELLA MUSICA SCUOLA DI DOTTORATO DI RICERCA in STORIA E CRITICA DEI BENI ARTISTICI, MUSICALI E DELLO SPETTACOLO XXI CICLO TESI DI DOTTORATO IL PIANOFORTE E LA SUA MUSICA NELL’ITALIA POST-UNITARIA Direttore della Scuola: Ch.mo Prof. ALESSANDRO BALLARIN Supervisore: Ch.mo Prof. SERGIO DURANTE Dottorando: Dott. VITALE FANO ANNO ACCADEMICO 2009-2010 Indice Introduzione 5 I – DALL’ACCADEMIA AL RECITAL L’attività esecutiva: consuetudini, denominazioni e modelli 15 Il pianoforte in concerto nelle principali città italiane Milano 27 Sala del Conservatorio 31 Società del quartetto di Milano 64 Napoli 117 Circolo Bonamici 125 Società filarmonica 134 Thalberg, Cesi, Martucci 138 Società del quartetto di Napoli 159 Altre sedi di concerto 178 Circoli musicali napoletani 182 Società del quartetto popolare – Quartretto di Napoli 194 Circolo Romaniello 199 Fine secolo 213 Roma 219 Mattinate musicali di Sgambati 221 Accademia di Santa Cecilia 262 Altri centri Firenze 269 Bologna 289 3 II – LA MUSICA PIANISTICA DEGLI ANNI POST-UNITARI Primo assetto delle forme compositive 303 Fantasie, trascrizioni 305 Danze e ballabili 314 Pezzi caratteristici 327 Studi, esercizi, preludi e fughe 344 Sonate 346 III – UN’ANALISI I due Studi da concerto op. 10 di Giovanni Sgambati 355 IV – DIZIONARIO SINTETICO DEI PIANISTI ITALIANI (1861-1900) 365 Conclusioni 433 Bibliografia consultata 437 Indice dei nomi 447 4 INTRODUZIONE L’esigenza di una ricerca sul pianoforte e sulla sua musica nell’Italia post- unitaria è dettata dalla constatazione che i decenni successivi all’unificazione, periodo di risveglio della produzione strumentale e di fondamentale rinnovamento della cultura musicale, non sono stati ancora adeguatamente inquadrati in relazione alle consuetudini esecutive e compositive dei pianisti italiani e alle modalità concertistiche adottate dalle istituzioni musicali. La situazione di arretratezza in cui versa la musica strumentale in Italia verso la metà dell’Ottocento a causa principalmente dell’egemonia del melodramma, vede una prima significativa inversione di tendenza proprio a partire dagli anni Sessanta, periodo in cui si registra la nascita di enti, organismi, istituzioni e società concertistiche e orchestrali che, prima a livello elitario, poi in una dimensione più marcatamente pubblica, diffondono il repertorio strumentale mitteleuropeo e promuovono il recupero della tradizione strumentale italiana del Sei-Settecento. Questa aspirazione al rinnovamento ha anche funzione di stimolo per un fervore creativo riformato nei suoi orientamenti formali, che induce un buon numero di compositori a dar vita ad una produzione musicale aggiornata, che da un lato si allinea alla cultura d’oltralpe e dall’altro cerca di riannodare le fila con la tradizione italiana pre-ottocentesca definendo i caratteri di un nuovo stile ‘nazionale’. Il fenomeno riguarda la musica da camera e in particolare il quartetto – formazione prediletta dai promotori di questo risveglio, cui vengono intitolate le più importanti società organizzatrici di concerti – ma in breve si estende agli altri campi della musica strumentale, fino alla musica sinfonica, bisognosa di recuperare il ritardo con il resto d’Europa, sia per l’esplorazione del repertorio 5 che per il livello qualitativo delle orchestre italiane. All’epoca il pianoforte riveste una molteplicità di ruoli sussidiari, perché oltre alla funzione di ‘surrogato’ dell’orchestra svolta nelle innumerevoli riduzioni pianistiche (a due, quattro, sei, otto e addirittura sedici mani) e in fase di lettura di una partitura orchestrale, è presente in pressoché tutte le formazioni cameristiche con l’importante eccezione del quartetto. A partire dagli anni successivi all’unificazione il suo impiego evolve sempre più nel senso di un’emancipazione dagli altri strumenti fino a raggiungere un inedito grado di autonomia. Ne consegue un nuovo modo di concepire i programmi di concerto, la scelta di repertorio da eseguire e la definizione di un ‘canone’ di musica per pianoforte: nell’arco di pochi decenni si assiste a una vera e propria trasformazione della figura del pianista sia dal punto di vista performativo che compositivo. Questa evoluzione costituisce l’oggetto del presente studio, che mira a comprendere i meccanismi che l’hanno determinata, considerando il mutamento avvenuto nella cultura pianistica italiana anche nel quadro della ri-definizione della cultura nazionale. L’obiettivo che si pone la ricerca è ricostruire, attraverso lo studio capillare dei documenti e la ricognizione e il riordino delle notizie, i modi e le forme in cui la pratica del pianoforte definisce un proprio ruolo nella cultura musicale italiana. Non s’intende «avviare una sciagurata corsa alla ‘riscoperta di capolavori’»,1 ma indagare le modalità di esecuzione, composizione e recezione della musica pianistica attraverso l’osservazione dell’evolversi delle consuetudini e la comparazione delle costanti ambientali. Si vuole quindi ricostruire innanzitutto l’esperienza della musica, in particolare le scelte, le preferenze, le abitudini, i condizionamenti che hanno interagito nell’attività pianistica nei primi decenni dell’Italia post-unitaria. Alla parte relativa alle prassi concertistiche viene fatta seguire una sezione dedicata alle forme compositive in uso nei primi anni Sessanta, desunta 1 A. Rostagno, La musica italiana per orchestra dell’Ottocento, Olschki, Firenze, 2003, p. 1. 6 principalmente dallo spoglio del Catalogo delle pubblicazioni del Regio Stabilimento Ricordi del 1875 e dall’estrapolazione dei titoli funzionali alla ricerca. Si tratta di un vaglio iniziale delle preferenze dei compositori di musica pianistica dell’epoca ed è inteso come primo approccio ad un generale riordino dell’ingente produzione pianistica italiana per generi e per autori. Completa il lavoro un Dizionario sintetico dei pianisti italiani (1861-1900) che presenta un quadro di oltre trecentocinquanta pianisti, concertisti e compositori di musica per pianoforte censiti nel corso della ricerca. Di ciascuno vengono documentate in forma essenziale la carriera e la produzione pianistica, colmando numerose lacune con nomi di musicisti non inclusi nei dizionari musicali pubblicati sinora. Il proposito è riuscire a dare un contributo ad una lettura più articolata della storia della musica italiana nella fase di passaggio da un sistema marcatamente policentrico ad una più compiuta cultura musicale nazionale. Riferimento ideale di questo tentativo è lo studio La musica italiana per orchestra dell’Ottocento di Antonio Rostagno (che prende spesso in esame i medesimi autori e i medesimi contesti nell’ambito della musica sinfonica) assieme ad altri studi sulla musica strumentale dell’Ottocento che in questi ultimi anni hanno cercato di gettare nuova luce sulla produzione musicale italiana del diciannovesimo secolo. Uno sguardo generale alla bibliografia sulla musica pianistica italiana del secondo Ottocento conferma che questa indagine non è ancora stata intrapresa a fondo; l’attenzione degli studiosi che si sono occupati precedentemente del pianoforte in Italia nell’Ottocento si è rivolta ad aspetti diversi da quello da me scelto. Fra gli studi più attinenti al campo di indagine si deve citare innanzitutto quello di Sergio Martinotti, Ottocento strumentale italiano,2 opera fondamentale che inquadra un intero secolo ed esamina il fenomeno del risveglio della musica strumentale nel suo insieme. Nel prendere in considerazione il secondo Ottocento, Martinotti affronta necessariamente problematiche legate al pianoforte 2 S. Martinotti, Ottocento strumentale italiano, Bologna, Forni, 1972. 7 e tratta le figure di importanti musicisti fra cui Sgambati e Martucci, che non sono solo grandi pianisti, ma figure dedite ad ogni aspetto dell’attività musicale: concertismo, composizione, direzione d’orchestra e didattica. Il saggio delinea anche alcune poetiche compositive e individua nella pagina breve e nei toni tenui e smorzati dell’intimismo e del naturalismo i veicoli più diffusi dell’espressione pianistica italiana medio-Ottocentesca; presenta inoltre brevemente numerosi interpreti di quel momento di sviluppo, fra cui Ferdinando Bonamici, Costantino Palumbo, Beniamino Cesi, Nicolò van Westerhout, Alfonso Rendano, Giuseppe Buonamici, Francesco Sangalli, Carlo Andreoli, Carlo Rossaro, Giovanni Rinaldi, tutti concertisti e protagonisti dell’evoluzione del ruolo dell’esecutore da ‘virtuoso’ a ‘interprete’. Sono dedicati specificamente al pianoforte i saggi pubblicati negli anni Ottanta del Novecento da Piero Rattalino, lavori fondamentali che costituiscono un altro punto di riferimento per il nostro studio, ma che dedicano alla situazione italiana uno spazio piuttosto limitato. Nella sua Storia del pianoforte3 sono evidenziati vari aspetti che delineano la storia dello strumento: costruzione e fabbricazione, letteratura, didattica, vita concertistica, come pure consuetudini esecutive e repertori dei grandi pianisti europei. L’ambito trattato è particolarmente ampio, ma alla situazione italiana del secondo Ottocento vengono dedicate solo due pagine nel capitolo Le culture periferiche.4 Nella parte dedicata all’Ottocento pianistico italiano del volume La sonata romantica,5 che ha l’emblematico titolo Pianitalietta, Rattalino dedica ai compositori della seconda metà del secolo circa una ventina di pagine in cui cita brevemente diversi pianisti: Giuseppe Unia, Adolfo Fumagalli, Giulio Ricordi (in arte Julius
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