Riccarda Suitner: A proposito di tre recenti studi su Riforma in Italia e minoranze religiose nella prima età moderna

Zeitschrift Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken Band 99 (2019)

Herausgegeben vom Deutschen Historischen Institut Rom

DOI 10.1515/qfiab-2019-0020

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Zusammenfassung: Insbesondere im Licht von drei jüngst erschienenen Werken (eine Monographie und ein Sammelband) skizziert vorliegender Beitrag den Stand der Forschung über die Verbreitung der Reformation in Italien in der frühen Neuzeit und, allgemeiner, über den Status der mit der Reformation verbundenen religiösen Minderheiten. Die Besprechung der Bände ermöglicht ferner die Beurteilung von drei spezifischen Forschungsansätzen, die sich 1. auf den Nikodemismus, 2. auf das Exil religionis causa und 3. auf die materielle Kultur beziehen.

Abstract: This essay considers the current state of research on the spread of the Refor­ mation in in the early modern period and more generally on the status of religious minorities linked to the Reformation, particularly in light of three recent publications (a monograph and a collective volume). The discussion of these volumes also makes it possible to take stock of three more specific strands of research: on Nicodemism, on exile religionis causa and on material culture.

La storiografia sulla diffusione della Riforma in Italia e, più in generale, sulle mino­ ranze religiose nell’Europa della prima età moderna ha recentemente conosciuto un notevole rinnovamento, evidente dalle numerose ricerche uscite negli ultimi anni. In queste pagine vorrei considerare da vicino tre di queste recenti pubblicazioni, che si inseriscono nel solco di differenti tradizioni storiografiche. Questi studi affrontano la tematica dal punto di vista di tre filoni di ricerca affermati da decenni, proponen­ dosi di rinnovarli: quello del nicodemismo, quello dell’esilio per motivi religiosi di migranti di lingua italiana, e infine quello della „cultura materiale“. Tra i numerosissimi studi sulla diffusione della Riforma in Italia1 e sull’emigra­

1 È impossibile in questa sede dare conto della sterminata letteratura sulla diffusione della Riforma in Italia. Per il periodo fino agli anni Novanta, cfr. John Tedeschi/James M. Lattis (a cura di), The Italian Reformation of the Sixteenth Century and the Diffusion of Renaissance Culture. A Biblio­ graphy of the Secondary Literature (ca. 1750–1997), Modena 2000. Tra le uscite più recenti, cfr. Mario Biagioni, Francesco Pucci e l’Informatione della religione christiana, Torino 2011; Lucio Biasiori, L’eresia di un umanista. nell’Europa del Cinquecento, Roma 2015; Luca Ad­ dante, Eretici e libertini nel Cinquecento italiano, Roma-Bari 2010; Lucia Felici, Giovanni Calvino e

Kontakt: Riccarda Suitner, [email protected]

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zione italiana nel nord ed est Europa nella prima età moderna,2 occupano un posto importante quelli sul nicodemismo: si pensi alle classiche monografie di Carlo Ginz­ burg e Paolo Simoncelli.3 Il volume di Anne Overell „Nicodemites: Faith and Con­ cealment between Italy and Tudor England“ riporta ora questo importante aspetto della cultura religiosa cinquecentesca e la relativa controversa denominazione al centro del dibattito accademico, proponendosi di isolare il contesto italiano e inglese del Cinquecento e i loro reciproci legami.4 Quello di nicodemismo è, notoriamente, concetto sfuggente e potenzialmente controverso, come tutte le denominazioni nate nella prima età moderna in senso polemico (si pensi, tra i molti esempi possibili, a libertino, anabattista, spinozista). Il termine, per di più, è legato ad almeno tre con­ testi differenti. Anzitutto, al noto episodio biblico che riguarda il fariseo Nicodemo. In secondo luogo, a un episodio della Riforma: così, infatti, „Calvino chiamò pole­ micamente coloro che, dopo essersi convertiti interiormente alla Riforma, celavano la propria fede, continuando a partecipare alle cerimonie della chiesa di Roma, assi­ stendo alla messa e ricevendo i sacramenti.“5 Almeno da Cantimori in poi, nella sto­ riografia moderna il termine è adoperato in senso più lato per indicare coloro che si caratterizzavano per un’adesione meramente formale alla religione del loro paese di residenza. Infine, „per estensione, si chiama nicodemismo il conformarsi esterna­ mente alle idee dominanti, nascondendo le proprie.“6 La storia del nicodemismo e delle sue numerose accezioni va inoltre inquadrata nella più lunga storia della dissi­ mulazione religiosa, le cui basi sono state poste ben prima della Riforma. Consapevole che l’associazione tra Italia e Inghilterra possa apparire a tutta prima inusuale, Overell espone già dall’introduzione le ragioni che hanno condotto a una scelta di questo tipo; scelta che, per la verità, potrà forse stupire un lettore il quale avesse scarsa dimestichezza con la storia della diffusione della Riforma in Italia e in Inghilterra, ma che apparirà invece al lettore esperto non solo come legittima e coerente, ma anche come scientificamente alquanto felice, trattandosi di un taglio meno consueto di altri per gli studi in questo ambito. Tra mercanti, avventurieri,

l’Italia, Milano 2010; Massimo Firpo, Juan de Valdés e la Riforma nell’Italia del Cinquecento, Roma- Bari 2016. 2 Per studi classici vedi nota 8, oltre a Delio Cantimori, Eretici italiani del Cinquecento. Ricerche storiche, Firenze 1939. Tra le uscite più recenti, cfr. Giorgio Caravale, Il profeta disarmato. L’eresia di Francesco Pucci nell’Europa del Cinquecento, Bologna 2011; Michele Camaioni, Il Vangelo e l’anti­ cristo. Bernardino Ochino tra francescanesimo ed eresia (1487–1547), Bologna 2018. 3 Carlo Ginzburg, Il nicodemismo. Simulazione e dissimulazione religiosa nell’Europa del Cinque­ cento, Torino 1970; Paolo Simoncelli, Evangelismo italiano del Cinquecento. Questione religiosa e nicodemismo politico, Roma 1979. 4 Anne Overell, Nicodemites. Faith and Concealment between Italy and Tudor England, Leiden- Boston 2019 (St Andrews Studies in Reformation History). 5 Ginzburg, Il nicodemismo (vedi nota 3), p. IX. 6 Cfr. la voce „Nicodemismo“ in Treccani. Enciclopedia online: http://www.treccani.it/enciclopedia/ nicodemismo/; 10. 6. 2019.

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eruditi, rifugiati politici, diplomatici, studenti, numerose sono state infatti le persone di lingua inglese che, nel pieno delle divisioni confessionali, hanno travalicato più confini di quella che era una vera e propria „tratta affollata“ (p. 5), approdando in territori di lingua italiana, e viceversa. Overell divide la sua esposizione in tre sezioni. Nella prima, dal taglio biografico („Lives“, pp. 15–112), vengono ripercorse esistenze a cavallo di due realtà politiche e la condizione, in parte simile e in parte diversa, degli esiliati per motivi religiosi o di coloro (come diplomatici e studenti) che si sono ritrovati per ragioni professionali in un paese straniero. Il cuore dell’esposizione sono le diverse strategie di dissimula­ zione religiosa adottate dagli stranieri nei paesi ospitanti, più o meno obbligate e più o meno consapevoli (dal momento che, rileva giustamente l’autrice a p. 12, „dovendo far fronte alla paura di perdere i propri cari, chiesa, casa, o addirittura la vita, le persone potevano diventare ciò che fingevano di essere. I cosiddetti nicodemiti non fingevano per forza“). La seconda parte, dedicata ai testi („Texts“, pp. 115–238), si concentra sulle traduzioni in inglese di fonti chiave come „Il beneficio di Cristo“, sui rispettivi traduttori, sulla ricezione inglese del clamoroso suicidio di Francesco Spiera, sull’e­ lusività come strategia e artificio retorico. Presupposto teorico dell’indagine è ovvia­ mente la convinzione dell’autrice (non condivisa da tutti gli studiosi) sulla legittimità del raggruppamento di determinati atteggiamenti sotto l’etichetta di „nicodemismo“; l’autrice fa riferimento come importante precedente, su questo punto, soprattutto alla monografia di Ginzburg, pur con alcuni distinguo. Né Reginald Pole, né Pietro Martire Vermigli, né Bernardino Ochino sono figure ignote agli studi, ma l’associazione del contesto inglese e di quello italiano è assolu­ tamente proficuo e riesce a illuminare aspetti della storia della Riforma fino a questo momento trascurati. Per quanto i confini tra un gruppo e l’altro risultino a volte più fluidi di quanto presentato dall’autrice (Reginald Pole era sia un ecclesiastico sia, come suo cugino Edward Courtenay, un aristocratico), alcune dinamiche della dis­ simulazione e/o del nicodemismo sono approfondite da Overell anche in rapporto a precise figure professionali: ad esempio, assai interessante è il rapporto tra diploma­ zia e nicodemismo in Pietro Vanni. Tali mutui rapporti sono stati finora studiati per altri contesti (si pensi ad esempio alle numerose ricerche sulla migrazione italiana nei cantoni svizzeri o nei paesi dell’Europa dell’est, o sulla presenza di studenti pro­ testanti nelle università italiane), ma in misura minore tra Italia e Inghilterra. Un ulteriore studio di recente uscita si propone di considerare la storia della Riforma in Italia in relazione a un secondo contesto geografico. Anche in esso, come nel volume della Overell, risultano centrali i temi della dissimulazione e della migra­ zione per motivi religiosi, ma è quest’ultimo tema a costituire l’oggetto d’indagine privilegiato. Se al centro del volume appena trattato vi è il legame tra territori di lingua italiana e inglese, il volume collettivo „Fruits of Migration. Heterodox Italian Migrants and Central European Culture 1550–1620“ intende concentrarsi maggiormente sui ter­ ritori tedeschi dell’Impero, zona sinora più trascurata a favore soprattutto dei cantoni svizzeri e dei paesi dell’est Europa.

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Il volume si propone di rimettere in discussione il topos, proprio della storiografia italiana e non solo, relativo all’esilio degli „eretici“ italiani del sedicesimo secolo.7 Questo tradizionale criterio di selezione è anche riconducibile, tra le varie ragioni, ai fattori citati dai due curatori Cornel Zwierlein e Vincenzo Lavenia nell’introduzione (pp. 1–26) e nell’articolo conclusivo del volume dal taglio storiografico, a firma di Neil Tarrant (pp. 363–381), che risulterà molto utile soprattutto ai lettori con poca confi­ denza con la storiografia italiana per inquadrare la tradizione di studi di riferimento in cui si muovono i saggi. Tra le ragioni citate ha indubbiamente avuto un ruolo la fascinazione esercitata dal classico studio di Delio Cantimori „Gli eretici italiani del Cinquecento“ (1939) sugli studiosi italiani delle successive generazioni, con la con­ seguente coltivazione di un interesse di ricerca privilegiato per le figure più radicali, situate ai margini del movimento ereticale italiano; e, forse, una certa distanza cul­ turale tra l’accademia italiana e le grandi figure riformatrici di area franco-tedesca Lutero e Calvino. Per la verità, bisogna anche tener conto del fatto che il fenomeno migratorio di dissidenti italiani nell’area germanica è stato oggettivamente meno rile­ vante rispetto ad altre zone geografiche quali i cantoni svizzeri e l’Europa dell’est, dove una pluralità di fattori portò in alcune fasi del XVI secolo alla formazione di diverse correnti religiose in seno allo stesso Cristianesimo. Il volume di Cantimori, con il suo focus principale sull’Italia, e in misura minore su cantoni svizzeri e Polonia, è certa­ mente un classico; vi sono stati tuttavia anche altri studi novecenteschi, incentrati su diverse aree geografiche, che sono rimasti modelli di riferimento, esercitando una influenza a lungo termine sul panorama storiografico sia italiano che internazionale.8 Un nucleo di contributi di „Fruits of Migration“ è dedicato alla circolazione di libri tra Italia e paesi dell’Europa centrale. Essi illustrano bene come, nonostante le barriere confessionali e censorie, sopravvivessero ancora in pieno sedicesimo secolo canali ininterrotti e relativamente liberi di scambio librario tra paesi di confessioni diverse. Attraverso queste rotte, tra cui spiccano l’asse Francoforte-Venezia e le liste „alternative“ della fiera di Francoforte (città all’epoca bi-confessionale), e talora attra­ verso l’opera di singoli migranti italiani, trovarono diffusione nell’Impero le opere di Francesco Patrizi, Marco Antonio Flaminio (custode dell’eredità di Juan de Valdés), Machiavelli e Guicciardini.9

7 Cornel Zwierlein/Vincenzo Lavenia (a cura di), Fruits of Migration. Heterodox Italian Migrants and Central European Culture 1550–1620, Leiden-Boston 2018 (Intersections. Interdisciplinary Stu­ dies in Early Modern Culture). 8 Cfr. Massimo Firpo, Antitrinitari nell’Europa orientale del ’500. Nuovi testi di Szymon Budny, Niccolo Paruta e Iacopo Paleologo, Firenze 1977; Domenico Caccamo, Eretici italiani in Moravia, Polonia, Transilvania (1558–1611). Studi e documenti, Firenze 1970; Aldo Stella, Dall’anabattismo veneto al Sozialevangelismus dei fratelli Hutteriti e all’illuminismo religioso sociniano, Roma 1996; Antonio Rotondò, Studi e ricerche di storia ereticale italiana del Cinquecento, Torino 1974. 9 Cfr. rispettivamente i contributi di Marco Cavarzere, An Interrupted Dialogue? Italy and the Pro­ testant Book Market in the Early Seventeenth Century (pp. 27–44), Margherita Palumbo, Books on

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Alcuni saggi pongono invece l’accento sulla migrazione vera e propria di indivi­ dui, tracciando profili di „eretici italiani“ legati all’Impero: Olympia Fulvia Morata, esiliata religionis causa dopo il matrimonio con un medico tedesco luterano della corte di , Bernardino Ochino, francescano eterodosso, Scipione Gentili, fratello del più noto Alberico. Quest’ultimo case study è esempio di esilio collegato a motivi di fede, ma mai sfociato in una produzione letteraria programmaticamente incentrata sulla questione religiosa, quanto sebbene invece in un’opera importante per la reci­ proca conoscenza tra tradizione giuridico-politica italiana e tedesca.10 Nel clima ben descritto anche nel volume della Overell appena discusso, caratte­ rizzato da nicodemismo, ritrattazioni e conversioni per motivi opportunistici, e spesso dall’impossibilità di dimostrare con ausilio documentario l’eresia dei singoli, è effet­ tivamente importante indagare le „zone grigie“ createsi tra gli esuli da un punto di vista confessionale. Guardando al di là della ristretta cerchia dei conclamati „eretici“, e rivolgendo piuttosto lo sguardo a figure a vario titolo „simpatizzanti“ con le idee della Riforma, alla quale però non è provata un’adesione, ci si imbatte ad esempio in Jacopo Strada. Esempio di persona senza spiccati interessi teologici (almeno stando alle pubblicazioni superstiti), egli fu comunque più o meno direttamente toccato dalle divisioni confessionali del tempo. Strada non viene infatti mai menzionato nella let­ teratura sulla diaspora degli evangelici italiani, ma la sua vita s’incrocia con le loro. Documentati contatti di lavoro, origine e lingua in comune, piuttosto che una consa­ pevole adesione a una rete eterodossa, costituiscono nel caso di Strada e in quello di altri emigrati italiani motivi di aggregazione e di scambio.11 Questi rapporti, che giocarono un ruolo estremamente rilevante nella diffusione della cultura italiana al di

the Run. The Case of Francesco Patrizi (pp. 45–71), Cornel Zwierlein, French-Dutch Connections. The Transalpine Reception of Machiavelli (pp. 320–361), Giovanni Ferroni, Journeys of Books, Voices of Tolerance. An Outline of Marco Antonio Flaminio’s European Reception (pp. 232–261) e Maria Elena Severini, Some Notes about the Diffusion of Francesco Guicciardini’s Ricordi in between the Sixteenth and Seventeenth Centuries (pp. 262–293), in: Zwierlein/Lavenia (a cura di), Fruits of Migration (vedi nota 7). 10 Cfr. i saggi di Lucia Felici, Olympia Fulvia Morata. ‚Glory of Womankind both for Piety and for Wisdom’ (pp. 147–177), Michele Camaioni, Bernardino Ochino and the German Reformation. The Augsburg Sermons and Flugschriften of an Italian Heretic (1543–1560) (pp. 126–146) e Lucia Bian­ chin, Between Italy and Germany. City-States in Early Modern Legal Literature (pp. 294–319), in: Zwierlein/Lavenia (a cura di), Fruits of Migration (vedi nota 7). 11 Cfr. l’articolo di Dirk Jacob Jansen, ‚A House for All Sorts of People‘. Jacopo Strada’s Contacts with Italian Heterodox Exiles, in: Zwierlein/Lavenia (a cura di), Fruits of Migration (vedi nota 7), pp. 178–231. Si veda ora la monografia dello stesso Jansen su Strada, nel frattempo pubblicata per Brill, di 1069 pp.: Dirk Jacob Jansen, Jacopo Strada and Cultural Patronage at the Imperial Court. The Antique as Innovation, Leiden-Boston 2019; per la rete di committenti e colleghi dell’antiquario e artista italiano si rinvia anche a Hilda Lietzmann, Der kaiserliche Antiquar Jacopo Strada und Kurfürst August von Sachsen, in: Zeitschrift für Kunstgeschichte 60 (1997), pp. 377–399; Luisa Dolza, Jacopo Strada. Collezionismo e macchine tra Riforma e Controriforma, in: Mélanges de l’École fran­ çaise de Rome 114 (2002), pp. 493–512; Howard Louthan, The Quest for Compromise. Peacemakers

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là delle Alpi, venivano ulteriormente cementati dalla mentalità intrisa di erasmismo ancora condivisa dall’élite umanistica di quella generazione, che permetteva di con­ cepire rapporti anche al di là delle barriere religiose, pur non senza attriti, contami­ nazioni, diatribe anche violente. Altre figure-chiave cui questi discorsi sono riferibili sono Immanuel Tramellius, ebreo convertito al cattolicesimo, ma vicino a dottrine evangeliche e a gruppi evangelici italiani; diversi medici (Girolamo Donzellini, Mar­ cello Squarcialupi, Taddeo Duni) il cui non conformismo religioso è dimostrato da materiale d’archivio, corrispondenze della respublica medicorum e processi, ma il cui profilo confessionale è spesso di difficile definizione e influenzato allo stesso tempo da genuine motivazioni religiose, da esigenze di dissimulazione e ritrattazioni stru­ mentali, da interessi corporativi legati alla professione medica.12 I curatori di „Fruits of Migration“ ne pongono giustamente in luce la prospettiva allargata. Il titolo del volume, tuttavia, risulta un po’ fuorviante e non rende piena­ mente l’idea della prospettiva che il lettore si deve aspettare: non si parla solo della migrazione di individui di lingua italiana, ma anche della circolazione di libri e della ricezione di autori e testi, o di „mediatori“ di idee riformate su suolo italiano; non si tratta solo di eterodossia, che talora è solo latente o ipotizzabile, e i cui confini emergono come sfumati. D’altra parte, se la cornice teoretica del volume risulta talora circoscrivibile con difficoltà, nel suo complesso l’eterogeneità del quadro che emerge costituisce comunque uno dei suoi elementi di interesse. I due volumi appena discussi si concentrano sulla trasmissione d’idee e teorie e sulla migrazione di individui. Nei cinque saggi dell’ultima pubblicazione cui s’in­ tende qui far cenno, „Materialità del dissenso religioso / Matérialité de la dissidence religieuse“, numero monografico della rivista „Archivio italiano per la storia della pietà“, emergono invece inediti sviluppi di una diversa e più recente tradizione di studi, ormai pienamente affermata, quella della cosiddetta „cultura materiale“.13

in Counter-Reformation Vienna, Cambridge 1997, capitolo 2: Jacopo Strada and the Transformation of the Imperial Court, pp. 24–46. 12 Ci si riferisce qui rispettivamente agli articoli di Kenneth Austin, Immanuel Tremellius. From Italian Hebraist to International Migrant (pp. 102–125) e Alessandra Quaranta, Exile Experiences ‚Religionis causa‘ and the Transmission of Medical Knowledge between Italy and German-Speaking Territories in the Second Half of the Sixteenth Century (pp. 72–101), in: Zwierlein/Lavenia (a cura di), Fruits of Migration (vedi nota 7). Sui rapporti tra Riforma e medicina nel Cinquecento si vedano anche Riccarda Suitner, Radical Reformation and Medicine in the Late Renaissance: the Case of the University of Padua, in: Nuncius. Journal of the Material and Visual History of Science 31 (2016), pp. 11–31 (con particolare riferimento ad anabattismo e antitrinitarismo); Frederic C. Church, The Italian Reformers 1534–1564, New York 1932; Marc Taplin, The Italian Reformers and the Zurich Church, c. 1540–1620, Aldershot 2003 (questi ultimi sono due studi classici sull’esilio italiano nei cantoni svizzeri nel Cinquecento, che si concentrano molto anche sui medici). 13 Sophie Houdard/Adelisa Malena/Xenia von Tippelskirch (a cura di), Materialità del dis­ senso religioso / Matérialité de la dissidence religieuse, numero monografico di Archivio italiano per la storia della pietà 30 (2017).

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È noto, e viene sottolineato anche dalle curatrici Sophie Houdard, Adelisa Malena e Xenia von Tippelskirch nella loro „Premessa“, che „in età moderna la materialità di oggetti, corpi, abiti poteva diventare una questione religiosa“ (p. 11); che „cose“ legate alla religione potevano „essere scelte, domate, rifiutate, prodotte, ostentate, sottoposte a riappropriazioni e incorporate, più in generale, all’interno di processi di costruzione di identità collettive“ (p. 14). A maggior ragione sorprende l’esiguità di ricerche che si giovino del cosiddetto material turn nell’ambito degli studi sulla dissidenza religiosa, campo per tradizione più portato a sottolineare la componente teorica piuttosto che quella materiale. Il volume si concentra prevalentemente sulla storia della Riforma e affianca a un’ampia serie di studi esistenti, che indagano le prescrizioni sul cibo in ambito rifor­ mato, alcuni saggi che considerano concreti episodi in cui cibi quali vino, formaggio e burro sono stati considerati espressione di dissidenza religiosa o hanno rivestito un ruolo centrale nella comunicazione tra gruppi di dissidenti. L’uso del burro nella Venezia seicentesca da parte di bottegai dei Grigioni per la preparazione di dolci e torte poteva, ad esempio, acquisire un valore eversivo durante il periodo quaresimale e costituire agli occhi degli inquisitori una sorta di provocazione ai pilastri religiosi cristiani, nonché l’ennesima barriera divisoria tra cristiani e protestanti.14 D’altra parte, la stessa esistenza di questi bottegai e il loro successo tra i clienti sono spie di possibile coesistenza e di quella relativa tolleranza religiosa ben nota agli studi di storia della Repubblica Veneta. Intendo ovviamente qui quest’espressione nell’ac­ cezione del verbo tolerare nella prima età moderna: ovvero come concessione pater­ nalistica di un minimo di diritti (come, ad esempio, non dover essere sottoposti a conversione forzata o poter esercitare alcuni mestieri), motivata essenzialmente da ragioni di convenienza, da parte di una comunità religiosa omogenea e coesa a indivi­ dui visti come potenziale pericolo per l’ordine sociale. Tale concezione non prevedeva una piena integrazione, tanto che queste minoranze erano costantemente costrette a segnalare la loro diversità, ad esempio col vestiario o osservando una vera e propria segregazione spaziale.15

14 Cfr. il contributo di Federico Barbierato, „L’oglio buono di montagna“. Burro, Quaresima e con­ trapposizioni sociali in un processo dell’Inquisizione veneziana del 1654, in: Houdard/Malena/ Tippelskirch (a cura di), Materialità (vedi nota 13), pp. 71–90. 15 Cfr. in proposito Reiner Forst, Toleranz im Konflikt: Geschichte, Gehalt und Gegenwart eines umstrittenen Begriffs, Frankfurt a. M. 2003. La bibliografia sulla diffusione della Riforma a Venezia è assai ampia. Cfr. per es. Federica Ambrosini, Storie di patrizi e di eresia nella Venezia del ‘500, Milano 1999; Andrea Del Col, L’Inquisizione in Italia, Milano 2006, pp. 345–394; Giuseppe Gullino (a cura di), La Chiesa di Venezia tra Riforma Protestante e Riforma Cattolica, Venezia 1990; Anne Jacobson Schutte, Pier Paolo Vergerio e la Riforma a Venezia 1498–1549, Roma 1988; Federica Ambrosini/Andrea Del Col (a cura di), La Riforma nella Repubblica di Venezia tra Cinquecento e Settecento, numero monografico di Atti e memorie dell’Ateneo Veneto 205 (2018).

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Altri saggi di „Materialità del dissenso religioso“ si concentrano su cibi mera­ mente „profani“, come formaggio e vino. Se spediti tra comunità protestanti di diversi paesi, questi si trovavano a rivestire una valenza politica e diplomatica, diventavano „elementi centrali per la costruzione di reti transnazionali e interconfessionali di comunicazione religiosa“, rivelando affinità e attriti tra gruppi protestanti diversi.16 Anche i cibi sacri, subendo una sorta di capovolgimento, potevano divenire espres­ sione di dissidenza religiosa. È il caso dell’ostia nella Svizzera riformata: le numerose resistenze alla sua sostituzione con il pane durante la celebrazione della messa docu­ mentano la discrepanza tra evoluzione teologica e liturgica „ufficiale“ e storia delle mentalità, che assegnava a questi oggetti una connotazione quasi magica, ormai codi­ ficata in secoli di liturgia cristiana. Le medaglie sono altro esempio della materialità dei rituali di devozione: oggetti mistici / devozionali per eccellenza, che però nelle mani del gruppo dei „medaillistes“ divennero per le autorità esecrabili strumenti di magia superstiziosa. Spostandosi alle minoranze religiose del continente americano, il codice di vestiario dei quaccheri, più o meno formalizzato nelle varie fasi di storia di questo gruppo, assurse a simbolo della scissione tra correnti, dunque dell’„eterodos­ sia“ che ognuno dei due fronti vedeva nell’altro. È possibile, considerando il ruolo che via via assunsero in particolare i loro cappelli, documentare la transizione da gruppo riformato di aspirazione egalitaria a conclamata minoranza religiosa.17 La concezione d’insieme di questo volume sulla „Materialità del dissenso reli­ gioso“ e i suoi singoli saggi, che costituiscono un ulteriore sviluppo di una collabo­ razione tra le curatrici già sfociata in interessanti risultati,18 sono notevolmente ori­ ginali e fanno senz’altro auspicare che il filone di ricerca qui proposto si arricchisca prossimamente di nuovi approcci e contributi.

16 Cfr. il contributo di Alexander Schunka, Libri, formaggio e vino. Oggetti in viaggio nell’Europa protestante del primo Settecento, in: Houdard/Malena/Tippelskirch (a cura di), Materialità (vedi nota 13), pp. 91–118. La citazione è tratta dalla „Premessa“ delle curatrici, p. 13. 17 Cfr. rispettivamente i contributi di Marco Cavarzere, La Riforma e il potere degli oggetti. Ostie, tesori e Madonne nella Svizzera riformata (pp. 19–40), Sophie Houdard, La cabale des Médaillis­ tes. Une affaire de spiritualité „extraordinaire“ à Nancy (1644–1648) (pp. 41–56) e Stefano Villani, Dal radicalismo al dissenso. L’abbigliamento dei quaccheri come simbolo identitario (pp. 57–69), in: Houdard/Malena/Tippelskirch (a cura di), Materialità (vedi nota 13). 18 Sophie Houdard/Adelisa Malena/Xenia von Tippelskirch (a cura di), Langages dissidents. Performances et contestations religieuses à l’époque moderne / Dissenting Languages. Religious Per­ formances and Disputes in Early Modern Europe, numero monografico di Etudes Epistémè 31 (2017), https://journals.openedition.org/episteme/1506; 10. 6. 2019; ead. (a cura di), Melancholia/ae. L’ex­ périence religieuse de la „maladie de l’âme“ et ses définitions / Melancholia/ae. The religious ex­ perience of the „disease of the soul“ and its definitions, numero monografico di Etudes Epistémè 28 (2015), https://journals.openedition.org/episteme/742; 10. 6. 2019.

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