Minacce a Ristoratore, Condanna Bis Per Campione,San Mauro Cilento

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Minacce a Ristoratore, Condanna Bis Per Campione,San Mauro Cilento Cutolo, Sabato l’esame autoptico sulla salma E’ stata fissata per sabato l’autopsia sulla salma di Raffaele Cutolo, il boss della Nuova camorra organizzata morto mercoledì nel carcere di Parma. Oggi la procura di Parma affiderà l’incarico a un consulente medico legale che eseguirà gli esami anatomo-patologici sulla salma che si trova nell’ospedale Maggiore cittadino. Soltanto dopo l’autopsia, le spoglie del 79enne capo della Nuova camorra organizzata potranno essere consegnate alla famiglia, in particolare alla moglie Immacolata Jacone e alla figlia 14enne Denise, che si trovano nella città emiliana da due giorni. I familiari stanno valutando con il legale di fiducia, Gaetano Aufiero, se conferire l’incarico a un perito di parte per seguire gli esami autoptici. “Da cristiano mi auguro che sia riuscito a ottenere il perdono di tutti i familiari delle vittime cadute per le sue drammatiche decisioni criminali, a partire dal barbaro assassinio di Giuseppe Salvia, il vicedirettore del carcere di Poggioreale”. La premessa è di Catello Maresta, sostituto procuratore generale a Napoli ed ex pm anticamorra. “Il dottor Salvia è un simbolo, un esempio, per quanti in questo Paese servono lo Stato tenendo sempre la schiena dritta – ricorda il magistrato – Salvia si scontrò direttamente con Raffaele Cutolo, perchè pretese, al rientro da un’udienza in un processo, che il boss di Ottaviano fosse perquisito, come prescritto dal regolamento. Anzi Salvia perquisì personalmente Cutolo. Decisione che pagò con la vita in un agguato, ordinato da Cutolo, sulla tangenziale di Napoli. Anche oggi nel commentare la morte di un camorrista che ha sporcato l’immagine di Napoli e di Ottaviano, preferisco ricordare e onorare le vittime innocenti delle mafie”. “Lo Stato con Cutolo ha mostrato, dopo pagine opache e inquietanti anche di presunti accordi, di essere diventato autorevole mettendolo in carcere al 41 bis e riducendone al lumicino la sua potenzialità criminale”, aggiunge il magistrato. Con la morte di Cutolo, oltre ad onorare le vittime innocenti di mafia, dice Maresca, “mi piace ricordare a tutti noi che la nostra legislazione antimafia è stata scritta col sangue di queste persone. Onorarle significa mantenere in vita in maniera seria norme come il 41 bis e altre che consentono alla magistratura e alle forze di polizia giudiziaria di eradicare il fenomeno mafioso. Perche’ la mafia non si deve contrastare ma recidere come si fa con un cancro. E’ questione di volontà politica. Come è questione di volontà politica la certezza e la dignità della pena che deve tendere alla rieducazione del detenuto ed assicurare condizioni dignitose di espiazione a tutti.” “Cutolo, un gigante diventato nano, un ragazzo diventato criminale” Un malavitoso “che aveva i suoi momenti di depressione”, un uomo “dalla doppia personalità, afflitto dai suoi fantasmi, uscito perdente dalla guerra contro i suoi avversari e contro lo Stato”: in poche parole “un gigante diventato nano, un ragazzo diventato criminale, e poi boss in carcere, per una condanna troppo dura”. A delineare la personalita’ del boss della Nuova Camorra Organizzata Raffaele Cutolo è una esperta giornalista della sua città, Ottaviano, che con il “professore”, per molti anni, ha tenuto in piedi un fitto scambio epistolare. Lei si chiama Gemma Tisci, una giornalista esperta che su “don Raffaele” ha scritto un libro intitolato “Ricordi in bianco e nero”, ricavato proprio da quelle lettere che Cutolo le mandava quando era già in cella. “L’ho intitolato cosi’ – dice Gemma – perche’ l’epoca in cui quei fatti sono accaduti, le fotografie erano in bianco e nero. Ed io l’ho sempre immaginato così, quell’uomo: sempre solo, con i suoi fantasmi attorno, e con queste lettere che per me erano fotogrammi della sua vita e delle sue verità”. Gemma è convinta che è stato il primo delitto di Cutolo, e la pena esemplare che gli venne comminata, “senza tenere conto che a subirla sarebbe stato un giovane di appena 22 anni incensurato” a creare “il mostro”, colui che poi, caso più unico che raro, “sarebbe diventato un boss feroce dotato di un’enorme caratura criminale, emerso tra le mura di una prigione”. “Dalle lettere che mi spediva – ricorda la giornalista e scrittrice – traspariva la sua depressione, il pentimento per avere rovinato la vita della moglie, la signora Jacone”. “Credo che se quel giudice avesse avuto un po’ di compassione nei confronti di quel ragazzo – dice convinta Gemma – condannandolo, certo, ma a una pena maggiormente adatta a un incensurato, probabilmente, oggi non staremmo qui a parlare del capoclan Raffaele Cutolo”. “Molti anni dopo – ricorda ancora Gemma – quel giudice, confidandosi con un avvocato, disse, affranto: “il mostro l’ho creato io”. Gemma ci tiene anche sottolineare che il delitto in questione, quello di Mario Viscito, avvenuto il 24 settembre 1963, lungo il corso di Ottaviano, scaturì da una rissa e non per vendicare l’onore della sorella Rossetta. Come anche altri prima di lei, anche Gemma, che ha respirato una guerra di camorra ferocissima e vissuto gli sviluppi processuali di molti di quegli omicidi, ritiene che i segreti del “professore”, “sono segreti di pulcinella”. “E se ce ne sono, – aggiunge – anche se ne dubito fortemente, finiranno nella tomba della sorella Rosetta, oltre che nella sua”. Gemma Tisci ricorda anche come è nato lo scambio epistolare con Raffaele Cutolo, durato molti anni: “Dovevo intervistare la moglie, Immacolata Jacone, e decisi di recarmi a casa sua, così senza alcun preavviso. Bussai alla sua porta, mi aprì donna Jacone. Le chiesi se potevo intervistarla e lei, in maniera estremamente gentile, mi risposte che per rispetto al marito dovevo prima chiedere il permesso a lui. Non mi persi d’animo: lo feci. Il giorno successivo gli mandai un telegramma. E lui, dopo 24 ore, mi rispose, con un altro telegramma, concedendomi l’intervista. E fu così, che tra noi, iniziò questa corrispondenza, a periodi altalenante. Lettere nelle quali – ricorda – mi confessò addirittura di essere stato il mandante di omicidio per il quale invece era stato assolto”. “Sia ben chiaro – sottolinea Gemma Tisci – era un uomo intelligente e quindi sapevo che si trattava della sua verità, ma molto di quello che mi diceva in quelle missive, dopo tempo trovavano conferma”. Cutolo, Con una voce fioca, “voi siete Liguori?” di Pina Ferro Il cronista Gino Liguori grazie ad un suo ragionamento decise di non recarsi sul luogo dell’arresto di Cutolo ma di attenderlo a Salerno dove, a suo parere sicuramente sarebbe stato tradotto. E così fu. Era l’alba quando riuscì addirittura a strappare alcune dichiarazioni al boss della Nco. Un’intervista rubata ad un uomo il cui pensiero era quello di assicurarsi che il figlio Roberto stesse bene. Che cosa successe e come fu catturato Raffaele Cutolo? «Quella notte fu una notte terribile, – precisa Gino Liguori – il telefono di casa mia squillava in continuazione. Gli amici, mi informavano di Raffaele Cutolo e mi chiedevano se avessi saputo della notizia. Naturalmente io non rispondevo, qualcuno addirittura mi diceva “cercate di trattarlo bene” ma questo non era nei miei compiti, naturalmente. Io ero un giornalista che al momento aspettava di poter fotografare, con l’indimenticabile Giovanni Liguori fotoreporter de Il Mattino, il Cutolo che era evaso dal manicomio giudiziario di Aversa e da un anno era latitante. Ebbi un colpo di genio, anziché andare ad Albanella pensai che un personaggio come il nuovo capo della camorra dovesse essere diciamo “in mani sicure” quindi, lo devono portarlopresso la caserma dei carabinieri . E, fu così che anziché andare sul posto dove 100 carabinieri schierati avevano arrestato Cutolo, andai a Largo dei Pioppi, alla caserma dei carabinieri. Era quasi l’alba il piantone mi disse: “ma voi che fate” e io, spontaneamente, dissi che dovevo aspettare il comandante che mi aveva telefonato. Dopo una ventina di minuti, le sirene delle betulle dei carabinieri si sentivano da lontano. Era il momento che Cutolo veniva portato al comando di Lago dei Pioppi. Riuscii a salire sopra nei corridoi degli uffici, e mi trovai, poco dopo, faccia a faccia con don Raffaele; naturalmente io rimasi un po’ atterrito nel vedere il personaggio ma lui mi disse, con una voce fioca: “voi siete Liguori?”, questo è il segno che Raffaele Cutolo sapeva io chi fossi, sapeva di tutti. Nel salernitano e a Salerno aveva amici dappertutto che agivano per conto suo e secondo le sue indicazioni. Dopodichè gli chiesi del bambino sequestrato ad Acerra e Cutolo rispose che Cutolo i bambini li fa crescere, non li sequestra.Poi aggiunse: “Se avrò la possibilità, appena sarò al sicuro, – riferendosi al carcere – cercherò di mettere le mani su quei personaggi che hanno sequestrato quel ragazzino”. Piuttosto, vedete – mi disse – nella porta accanto, c’è mio figlio. Era Roberto, arrestato anche lui e ammazzato tempo dopo alla periferia di Milano da un gruppo armato. In carcere Cutolo seppe della morte del figlio. Poi, l’intervista continuò su altri argomenti che riguardavano il napoletano, sui delitti commessi. Lui candidamente smentì tutto, dicendo di essere accusato di tutto. “Tutto ciò che succedeva in negativo nel napoletano è addebitato a Cutolo. L’ho detto tante volte anche durante interviste televisive fatte con Marrazzo” il giornalista di Rai Uno. E così continuò il discorso per una ventina di minuti ma poi dovetti interrompere perchè dal comandante dei carabinieri presi uno di quei cicchetti sonori perchè si accorse che stavo intervistando Cutolo in Caserma. Cutolo mi disse di vedere se il figlio avesse bisogno di qualcosa, lui (Cutolo) era infreddolito. Mi alzai e presi dalla macchinetta un caffè che portai a Roberto Cutolo, nella stanza a fianco. Gli dissi “questo questo lo manda tuo” padre. Roberto era impaurito, sapeva cosa gli aspettava. Per me, giornalista di allora era stato un bel colpo e non mi accorsi che Liguori aveva fotografato quel momento.
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