DIRETTORE Eugenio Scandale [email protected]

VICEDIRETTORE Luigi Piacente [email protected]

COMITATO SCIENTIFICO Immacolata AULISA (Università di Bari); Allen BATEMAN PINZON (Universitat Politecnica de Catalunya); Lazzaro Rino CAPUTO (Università di Roma “Tor Vergata”); Pietro DE PALMA (Politecnico di Bari); Cristiano FERRARIS (Museum National d’Histoire Naturelle, Paris); Gianvito GIANNELLI (Università di Bari); Raul GONZALEZ SALINERO (UNED, Madrid); Massimo INGUSCIO (Università Campus Biomedico, Roma); Marcella LEOPIZZI (Università del Salento); Fabrizio NESTOLA (Università di Padova); Tito ORLANDI (Universität Hamburg); Giuseppe PARDINI (Università del Molise); Ugo PATRONI GRIFFI (Università di Bari); Corrado PETROCELLI (Università di San Marino); François ROUDAUT (Université de Montpellier); Gabriele SCARASCIA MUGNOZZA (Università di Roma “La Sapienza”); Francesco SDAO (Università della Basilicata); Agostino SEVI (Università di Foggia); Ake SIVERTUN (Research Institutes of Sweden); Gjinushi SKENDER (Science Academy of Albania, Tirana); Aurelia SOLE (Università della Basilicata); Mario SPAGNOLETTI (Accademia Pugliese delle Scienze); Sergej TITKOV (Russian Academy of Science, Moscow); Antonio URICCHIO (Università di Bari); Angelo VACCA (Università di Bari); Ludovico VALLI (Università del Salento); Giuliano VOLPE (Università di Bari); Nelu ZUGRAVU (Universitatea din Iaşi, Romania)

COMITATO EDITORIALE Giovanna AGROSÌ (Università di Bari); Filomena CANORA (Università della Basilicata); Antonio DELL’OSSO (Università di Bari); Elia DISTASO (Politecnico di Bari); Angela FABIANO (Università di Bari); Marco MAIULLARI (Accademia Pugliese delle Scienze); Patrizia MASCOLI (Università di Bari); Giovanni NATILE (Università di Bari); Fernando SCHIROSI (Accademia Pugliese delle Scienze); Gioacchino TEMPESTA (Università di Bari)

SEGRETERIA DI REDAZIONE Giovanna Panebianco Accademia Pugliese delle Scienze Via Celso Ulpiani 27, 70125 BARI, Tel +39 080 5443595- 3576 [email protected] https://www.accademiascienze.uniba.it/

I contributi presentati sono sottoposti ad una doppia lettura anonima da parte di specialisti del relativo settore, uno dei quali è estraneo al Comitato Scientifico.

Periodico registrato presso il Tribunale di Bari il 25 giugno 1953 (n. 90)

ISSN 2704-75120 (testo stampato) ISBN 978-88-94959-01

PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA

ACCADEMIA PUGLIESE DELLE SCIENZE ATTI E RELAZIONI LVI 2021 NEL V CENTENARIO DELLA MORTE

EDITOR Eugenio Scandale GUEST EDITORS Giulio Avanzini Università del Salento, Fabio Gargano INFN Bari, Francesco Giordano Università di Bari, Antonio Lucio Giannone Università del Salento

CLASSE DI SCIENZE FISICHE MEDICHE E NATURALI

CLASSE DI SCIENZE MORALI

INTRODUZIONE ALLE CELEBRAZIONI DEL V CENTENARIO DELLA MORTE DI LEONARDO DA VINCI marzo – dicembre 2019

Nel 2019, in tutto il mondo, Leonardo da Vinci è stato ricordato e celebrato in molti modi diversi in occasione del cinquecentesimo anniversario della sua morte, avvenuta il 2 maggio 1519 nello Chateau du Clos Lucé ad Amboise, Valle della Loira, Francia, ove risiedeva dal 1516, ospite di Francesco I re di Francia. In Italia e in Francia è stata attribuita particolare importanza alle Celebrazioni come ha testimoniato l’invito a recarsi in Francia rivolto dal Presidente francese Emmanuel Macron al Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella: “Saremo insieme io e Mattarella - ha detto Macron - per il cinquecentesimo anniversario della morte di Leonardo, il 2 maggio, e ci incontreremo con la gioventù francese e italiana per parlare di futuro e di Europa” (ANSA, 4 marzo 2019). Le Celebrazioni in onore di Leonardo sono diventate utile strumento per rilanciare i rapporti tra i due Paesi dopo la crisi diplomatica di febbraio 2019 seguita alle frizioni sui Gilet gialli e agli scontri sull’accoglienza dei migranti e sui latitanti italiani degli anni di piombo in Francia che avevano indotto il Presidente francese Macron a parlare di “attacco senza precedenti” e al richiamo dell’Ambasciatore in Italia. In termini generali, le Cerimonie sono state per la maggior parte focalizzate sull’arte di Leonardo, sulla pittura per la quale nei nostri tempi è universalmente e meritatamente celebrato. Anche i suoi contemporanei ne riconoscevano il valore al punto che Baldassar Ca- stiglione menzionava Leonardo come primo tra gli “eccellentissimi nella pittura” davanti a Mantegna, Raffaello, Michelangelo e Giorgione. Le Celebrazioni “Leonardo da Vinci e la Puglia, tra passato e futuro” pro- mosse dall’Accademia Pugliese delle Scienze, unitamente a Università di Bari, Politecnico di Bari, Università del Salento, Università della Basilicata, Istituto Nazionale di Fisica Nu- cleare-INFN, Conservatorio di Musica “N. Piccinni” di Bari, Museo Leonardo da Vinci di Galatone, Sitael SpA, Autorità Portuale di Bari hanno mirato prevalentemente a com- porre il mosaico variegato dei suoi interessi scientifici. A interrogarsi, alla luce della Ricerca scientifica sviluppata nelle Istituzioni orga- nizzatrici, su quali contribuiti abbia dato all’evoluzione del pensiero scientifico, quali orme abbia lasciato nelle Scienze e nella Tecnica, quale apporto abbia fornito alle tante Scienze e discipline che attrassero la sua curiosità e il suo interesse, in quali abbia svolto un ruolo di precursore, in quali di fondatore e in quali semplicemente di impareggiabile osservatore che tramite il disegno esprimeva efficacemente i suoi concetti. Che Uomo di Scienza è stato Leonardo? a cosa deve Leonardo l’appellativo di “Ge- nio Universale” il suo mito, il suo fascino sempre attuale è un luogo comune? Come schierarsi sull’opera scientifica di Leonardo, tra coloro che nel XIX secolo lo hanno esaltato, o tra quanti nel XX secolo hanno messo in discussione la sua grandezza di scienziato sottolineandone la frammentarietà e la incompletezza, con considerazioni analoghe a quelle dei suoi contemporanei sulle chimere scientifico naturali, sulla eccessiva varietà degli interessi che gli impedivano di portare a compimento molti dei suoi progetti, tanto da indurre Vasari a scrivere nella biografia di Leonardo, “ancora che molto più operasse con le parole che co’ fatti, il nome e la fama sua non si spegneranno già mai”. Il Programma di attività “Leonardo da Vinci e la Puglia, tra passato e fu- turo” oltre a cercare di dare, almeno in parte, risposte alle tante domande formulate, ha inteso illustrare tanto la evoluzione degli studi in molte delle discipline oggetto del suo interesse, quanto le eccellenti attività di Ricerca Scientifica in atto presso le Università e le Istituzioni Scientifiche delle nostre Regioni ed anche a mettere in risalto la vivace e valida Ricerca e produzione industriale che pongono la Puglia in posizione di grande rilievo internazionale sulle tematiche del volo, che tanto appassionarono Leonardo. Parecchie risposte sono giunte nelle diverse Giornate.

Eugenio Scandale Presidente Accademia Pugliese delle Scienze

Appuntamenti Nazionali LEONARDO DA VINCI E LA PUGLIA, TRA PASSATO E FUTURO Marzo-dicembre 2019

27 marzo 2019, Aula Magna del Politecnico di Bari “Dal Volo degli Uccelli al Volo spaziale”

09.30 Saluti Istituzionali 10.00 Eugenio Scandale, Presidente dell’Accademia Pugliese delle Scienze, “Introduzione ai lavori” 10.15 Giovanni Saccani, Società Dante Alighieri, Comitato di Torino, "Giovanni Piumati e Teodoro Sabachnikoff e l'avventura del Codice sul volo degli uccelli di Leonardo da Vinci" 11.00 Luigi Borzacchini, Accademia Pugliese delle Scienze, “L’uccello è strumento operante per legge matematica” 11.45 Nicola Mazziotta, INFN Sez. di Bari, “Una nuova era per l’osservazione dell’universo: la fisica multi-messaggero" 12.30 Giuseppe Manisco, Museo Leonardo di Galatone, Lecce, “Le Macchine di Leonardo, dall'idea al progetto. Dal progetto all'oggetto” 13.00 Visita guidata della Mostra delle Macchine site nell’Atrio coperto “Cherubini” del Politecnico. 13.45 Pranzo leggero a buffet 15.00 Pierluigi Pirrelli, Sitael SpA, “Il sogno del volo: dall’ornitottero ai voli suborbitali” 15.45 Pietro De Palma, Politecnico di Bari, "Frontiere della conoscenza a distanza di 500 anni: il volo degli uccelli e il volo ipersonico" 16.30 Giulio Avanzini, Università del Salento, “Leonardo e il volo, tra intuizioni e realtà”

5 aprile 2019, Aula Magna dell’Università di Bari “Il Cielo, l’Acqua e le Macchine”

09.30 Saluti Istituzionali 10.00 Eugenio Scandale, Presidente dell’Accademia Pugliese delle Scienze, “Introduzione ai lavori” 10.15 Francesco Giordano, Università di Bari, “Dallo spazio scientifico allo spazio civile” 11.00 Mimma Pasculli, Università di Bari, “Leonardo da Vinci. Dai disegni dell’Ambrosiana di Milano alle macchine lignee di Giuseppe Manisco” 11.45 Francesco Cupertino, Politecnico di Bari, “L’evoluzione del ‘more electrical aircraft’ dagli albori dell’aviazione ai giorni nostri” 12.30 Giuseppe Manisco, Museo Leonardo di Galatone, Lecce, “La matematica di Leonardo tra i suoi fogli” 13.00 Visita guidata alla Mostra di Macchine leonardesche site nel Palazzo Ateneo e nel Centro Polifunzionale Studenti - ex Palazzo Poste 13.45 Pausa Pranzo 15.00 Antonio Surdo, INFN Sez. di Lecce, “L’occhio che svela i misteri dell’universo" 15.45 Nicolò Carnimeo, Università Bari, “Tecnologie e diritto aerospaziale” 16.30 Francesco Sdao. Università della Basilicata, “Leonardo da Vinci e l’acqua”

15 aprile 2019, Circolo della Vela, Molo Borbonico del Porto di Bari “Le Tecnologie Militari”

09.30 Saluti Istituzionali 10.00 Nicola Neri, Università di Bari, “Il Genio e la guerra: immaginazione e applicazioni del pensiero militare leonardiano” 10.30 Ugo Patroni Griffi, Presidente Autorità Portuale, “Leonardo e la portualità” 11.00 Mauro Lastella, Comando Militare Esercito Puglia, “L’Esercito Italiano e l’omaggio al Genio Universale” 11.30 Cristiano Nervi, Direttore dell'Arsenale di Taranto, “Ingegno e Virtù”

12.00 Basilio Di Martino, Direttore degli Armamenti Aeronautici, "Leonardo e il sogno del volo. Visioni e realtà." 12.30 Giuseppe Manisco, Museo Leonardo di Galatone, Lecce “La Balestra Gigante di Leonardo (24x22x1,5 m): un'anteprima mondiale” 13.00 Visita guidata alla Balestra Gigante presso il Molo Borbonico del Porto di Bari con dimostrazione di funzionamento. 14.00 Pranzo leggero a buffet

2 maggio 2019, Accademia Pugliese delle Scienze, Villa La Rocca “Maraviglia e Percezione della Natura”

09.30 Saluti Istituzionali 10.00 Franca Tommasi, Università di Bari, “Leonardo e la visione scientifica della Botanica” 10.30 Antonio Paglionico, Accademia Pugliese delle Scienze, “Leonardo da Vinci precursore della Geologia moderna” 11.00 Stefano Piraino, Università del Salento, “La Zoologia di Leonardo” 11.30 Renato Morisco, Accademia Pugliese delle Scienze, “A tavola con Leonardo da Vinci” 12.00 Nicola Giglietto, Politecnico di Bari, “Il cosmo meraviglioso: osservazioni del cielo ad alte energie" 12.30 Riccardo Giorgino, Accademia Pugliese delle Scienze, “Leonardo nella storia della Medicina” 13.00 Pranzo leggero a buffet 14.30 Diego Cantalupi, Conservatorio di Musica “Niccolò Piccinni” di Bari, “Leonardo la musica e gli strumenti musicali” 15.00 Giuseppe Tagarelli, Istituti Agricoli e Forestali del Mediterraneo-CNR, “Paesaggi leonardeschi: dall’Annunciazione alle marcite"

15 maggio 2019, Accademia Pugliese delle Scienze, Villa La Rocca “La Solitudine di Leonardo”

16.30 Saluti Istituzionali 17.00 Antonio Lucio Giannone, Università del Salento, “La fortuna di Leonardo nella letteratura del Novecento” 17.45 Presentazione del libro “La solitudine di Leonardo” di Luigi Borzacchini e discussione con l’Autore. 18.45 Cristina Fanelli, Conservatorio di Musica “Niccolò Piccinni”di Bari, “Musica al tempo di Leonardo” Ensamble di liuti Dirige Diego Cantalupi

7 Giugno 2019, Aula Magna dell’Università del Salento “Leonardo dall’Officina alla Cucina”

10.00 Saluti Istituzionali 10.15 Introduzione alla giornata 10.30 Michele Mossa, Politecnico di Bari, “Il contributo di Leonardo da Vinci nel campo dell’Idraulica” 11.00 Vittorio Marchis, Politecnico di Torino, “Leonardo e le Macchine” 11.30 Fabio Bossi, INFN Sez. di Lecce, “Le grandi macchine per studiare l’infinitamente piccolo” 12.00 Marco Mazzeo, Università del Salento, " Le radici greco-ellenistiche della scienza di Leonardo da Vinci" 12.30 Maurizio Raselli, Chef Ristorante "Le 3 Rane",“Una carota bellamente intagliata” 13.30 Pranzo leggero a buffet

Eventi conclusivi

27 settembre 2019 Durante la Giornata Europea dei Ricercatori, organizzata congiuntamente da INFN Bari e Lecce, Politecnico di Bari, Università di Bari, Università del Salento e Accademia Pugliese delle Scienze.

30 settembre – 3 ottobre 2019, Torre Cintola (Monopoli) ”International Conference on Flight vehicles, Aerothermodynamics and Re- entry missions & engineering” promosso da European Space Agency-ESA e da Sitael (Mola di Bari).

29 novembre – 8 dicembre 2019, Salone degli Affreschi dell’Università di Bari, Mostra fotografica “Leonardo da Vinci. Dai disegni dell’Ambrosiana di Milano: rivisitazione contemporanea delle macchine lignee attraverso le opere di Giuseppe Manisco

ATTI E RELAZIONI LVI, (2021), 15-34

Eugenio Scandale [email protected] Accademia Pugliese delle Scienze

LEONARDO DA VINCI E LA PUGLIA, TRA PASSATO E FUTURO Breve sintesi delle Celebrazioni

Le Celebrazioni del V Centenario della morte di Leonardo da Vinci, organizzate su iniziativa dell’Accademia Pugliese delle Scienze, hanno avuto inizio il giorno 27 marzo 2019 e si sono concluse il giorno 8 dicembre dello stesso anno, svolgendosi di volta in volta presso sedi e località diverse. Qui di seguito viene riportata una breve sintesi delle attività, più che altro una concisa anticipazione dei risultati presentati dagli illustri relatori.

Nella prima Giornata, che ha avuto luogo il giorno 27 marzo 2019 presso l’Aula Magna “Attilio Alto” del Politecnico di Bari, gli interventi sul tema “Dal Volo degli Uccelli al Volo Spaziale”, tra passato e futuro, hanno consentito di acquisire alcuni interessanti risultati. Infatti, partendo dal Codice sul volo degli uccelli, è stata tratteggiata la complessa figura di Leonardo uomo, scienziato, artista, la sua solitudine e i giu- dizi controversi sulla sua opera scientifica. È stato reso merito al genio leonardesco per le sue intuizioni sull’im- portanza sempre attuale dell’ala e della sua interazione dinamica con l’aria che genera la forza capace di sostenere oggetti volanti ad ala battente. Sono stati illustrati tanto i progressi negli studi sul volo che le attività di Ricerca Scientifica eccellenti e la importante attività e produzione industriale che pone la nostra Regione in posizione di grande rilievo internazionale sulle tematiche del volo orbitale e suborbitale. Inoltre al termine della sessione mattutina è stata effettuata una visita guidata alla Mostra delle macchine lignee leonardesche, realizzate a grandezza naturale dal Sig. Giuseppe Manisco promotore del Museo Leonardo da Vinci di Galatone (LE), allestita all’interno dell’Atrio “Cherubini” del Politecnico, Mostra che è stata visitabile per tutto il mese di aprile.

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Figura 1. Aula Magna “Attilio Alto”, Politecnico di Bari. 27 marzo 2019. Saluti istituzionali. Moderatore, Dr. Domenico Castellaneta.

Figura 2. Aula Magna “Attilio Alto”. Intervento del Prof. Luigi Borzacchini.

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Figura 3. Atrio “Cherubini” del Politecnico. Durante la visita alla Mostra di Macchine lignee leonardesche realizzate dal Sig. Giuseppe Manisco.

Figura 4. Il Magnifico Rettore del Politecnico Prof. Eugenio Di Sciascio e il Sig. Giuseppe Manisco.

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La seconda Giornata ha avuto luogo il giorno 5 aprile 2019 nell’Aula Magna “Aldo Cossu” dell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro sotto lo sguardo vigile di Leonardo da Vinci, dipinto dai fratelli Prayer. È stato sviluppato, dal Rinascimento ad oggi, il tema “Il Cielo, l’Acqua e le Macchine” discutendo le problematiche che hanno maggiormente attratto la curiosità di Leonardo e il suo interesse scientifico alla luce delle attuali cono- scenze. Il Cielo rappresenta l’innato desiderio dell’uomo di superare i propri li- miti, metafora dell'ambizioso progetto di realizzare uno dei più grandi sogni dell'umanità - un uomo capace di volare - il sogno di tutta una vita che fa scri- vere a Leonardo “Una volta che hai conosciuto il Volo camminerai sulla terra guardando il cielo, perché là sei stato e là agogni a tornare”. Le Relazioni hanno mostrato come il suo sogno fosse irrealizzabile in assenza di motori con la potenza necessaria a far volare le macchine ed anche per la mancanza delle necessarie conoscenze di fisica e di matematica. L’Acqua, che modella la terra e ne rivela i segreti, affascinava Leonardo e lo spingeva ad indagini molto approfondite che lo convinsero della stretta relazione tra i moti in aria e in acqua, al punto da osservare “Scrivi del notare sotto l’acqua e avrai il volare dell’uccello in aria” (Codice Atlantico, f. 571ar). Cioè intuì le fondamenta della moderna fluidodinamica senza tuttavia scoprirne le leggi per- ché anche in questo caso non disponeva dei necessari strumenti fisico-matema- tici. Dall’osservazione dei fossili, messi a nudo dall’azione delle acque, intuì la loro origine marina e la formazione degli strati sedimentari, ponendo le basi della Geologia di cui è stato precursore, non fondatore, poiché il suo contributo rimase sconosciuto fino agli anni trenta dello scorso secolo, quando la Geologia si era ormai consolidata come Scienza. Le Macchine, i cui disegni tanto hanno contribuito alla sua celebrità, sono sia macchine utensili e ingegnose applicazioni pratiche frutto dell’osservazione dei fenomeni naturali, sia avveniristici progetti di dispositivi meccanici, irrealiz- zabili proiezioni di impareggiabili intuizioni.

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Figura 5. Aula Magna “Aldo Cossu”, Università di Bari. 5 aprile 2019. Saluti istituzionali. Moderatrice, Dott.ssa Paola Laforgia

Figura 6. Aula Magna “Aldo Cossu”. Interventi dei Proff. Pietro De Palma, Francesco Cupertino

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Figura 7. Atrio di Palazzo Ateneo. Università degli Studi di Bari. Mostra di Macchine lignee Leonardesche

Figura 8. Il Centro Polifunzionale Studenti dell’Università di Bari al cui interno è stata allestita una mostra di poliedri realizzati presso il Museo Leonardo di Galatone.

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La terza Giornata ha avuto luogo il 15 aprile 2019, giorno di nascita di Leonardo nel 1452, presso il Molo Borbonico del Porto di Bari, ospiti dell’Au- torità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Meridionale e del Circolo della Vela di Bari. È stato sviluppato il tema “Le Tecnologie Militari” di cui Leonardo, nono- stante considerasse la guerra una "pazzia bestialissima", si dichiarava impareggia- bile inventore. Nella lettera indirizzata a Ludovico il Moro nel 1482 in cui of- friva i suoi servigi come ingegnere militare e progettista di armamenti, Leonardo prometteva di svelare al Signore di Milano “li secreti miei” ed elenca numerose invenzioni fuori del comune, tanto fuori dal comune che al temine della lettera affermava “E se alcuna de le sopra dicte cose a alcuno paresse impossibile e infactibile, me ne offero paratissimo a farne experimento in el parco vostro o in qual loco piacerà a Vostr’Ec- cellenzia”. Precisazione, questa, necessaria poiché i suoi contemporanei rimarca- vano la frammentarietà e la incompletezza della sua attività. Alla Giornata hanno partecipato alcune delle massime cariche regionali di Esercito e Marina. Sono stati illustrati i collegamenti tra le Macchine da guerra di Leonardo - concepite e progettate, ma non realizzate- e la loro inter- pretazione moderna, quali ad esempio: il paracadute, il sottomarino e il palom- baro, il carro armato, il cavaliere meccanico, armi da fuoco a canne multiple, che prefigurano la moderna e rivoluzionaria mitragliatrice e la balestra gigante, antesignana della moderna missilistica. L’Esercito ha messo a confronto pro- getti d’epoca e realizzazioni contemporanee attraverso le immagini del Calende- sercito 2019 dedicato a Leonardo.

Figura 9. Circolo della Vela, Porto di Bari. 15 aprile 2019. Saluti Istituzionali. Moderatrice, Dott.ssa Maria Di Filippo 21

Figura 10. Circolo della Vela, Porto di Bari

Al termine delle Relazioni, è stata effettuata sul Molo Borbonico, in prima mondiale, una prova di funzionamento della Balestra Gigante – 24x22x1.5 mt - progettata da Leonardo e realizzata in scala 1:1 dal Sig. Manisco. Purtroppo la prova non ha avuto successo. Il tentativo di lancio, dopo i necessari miglioramenti tecnici apportati alla balestra, è stato ripetuto il giorno 24 aprile.

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Figura 11. Molo Borbonico del Porto di Bari. Preparativi per la prova di Lancio del 24 aprile 2019

Figura 12. Molo Borbonico del Porto di Bari. Prova di Lancio del 24 aprile 2019

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La quarta Giornata di Studio del Ciclo ha avuto luogo il giorno 2 mag- gio, data del V Centenario della morte, a Villa La Rocca sede dell’Accademia Pugliese delle Scienze ed ha trattato il tema “Maraviglia e percezione della Natura”. Questa Giornata diversamente da quelle precedenti, a contenuto tema- tico, è stata dedicata all’opera di Leonardo, impareggiabile interprete delle scienze naturali. Infatti, partendo dai suoi studi, è stata illustrata l’evoluzione, dal Rinascimento ad oggi, di molte Scienze – Botanica, Geologia, Anatomia e Me- dicina, Osservazione del Cielo, Gastronomia, Zoologia, Musica, Paesaggi e ambienti natu- rali. È emerso con grande evidenza dalle Relazioni quanto complesso e in- terconnesso fosse il collegamento tra pensiero e opera nell’attività di Leonardo. Senza voler attribuire minore importanza agli studi più noti, quali quelli Anato- mici e Botanici, è stato dato ampio spazio agli aspetti del suo operato conosciuti in minor misura, e non per questo meno importanti, quali le osservazioni geo- logico-strutturali ed il loro costante e sapiente utilizzato per costruire lo sfondo di numerosi dipinti. È emerso anche che su alcuni codici figurano spartiti mu- sicali e progetti di strumenti musicali di originale concezione e anche che in numerosi casi nei codici, accanto a osservazioni scientifiche, vengono descritte ricette di cucina. Ciò che ha accomunato le relazioni è stata la osservazione che Leonardo non abbia fatto “Scuola” e che non possa essere considerato fonda- tore della Scienza moderna.

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Figura 13. Villa La Rocca, Accademia Pugliese delle Scienze, 7 maggio 2019. Moderatore, Dr. Giuseppe De Tomaso. Interventi dei Proff. Franca Tommasi, Antonio Paglionico, Giovanni Scillitani, Renato Morisco, Nicola Giglietto, Riccardo Giorgino, Diego Cantalupi.

Nella quinta Giornata del Ciclo, che ha avuto luogo il giorno 15 maggio nella sede dell’Accademia Pugliese delle Scienze, è stato trattato il Tema “La solitudine di Leonardo” in continuità con quanto emerso nelle giornate precedenti, contestualizzando temporalmente le alterne fortune del mito di Leonardo sia 25

in ambito scientifico che letterario. È risultata evidente la figura di Leonardo eclettico uomo di Scienza, che tuttavia non può essere considerato Scienziato nella accezione moderna postgalileiana, un grande osservatore della natura, ma non il fondatore della Scienza moderna, che utilizzava sapientemente le proprie conoscenze in tutti gli ambiti praticati. Un personaggio geniale sulla cui opera scientifica, alla sua morte, cala il sipario per lunghi secoli e che viene riscoperto nel diciannovesimo secolo, quando viene esaltato come Genio Universale men- tre nel ventesimo secolo viene ridimensionato il suo ruolo scientifico salvando quello artistico, tranne che in Italia in cui il regime fascista lo utilizzò a fini propagandistici come espressione del genio italico – si veda la Mostra “Leo- nardo da Vinci e delle invenzioni” tenutasi a Milano dal 1 settembre al 30 no- vembre 1938. Trova ampio spazio anche nella letteratura italiana del Nove- cento, a partire soprattutto dagli anni Trenta, fino agli anni Ottanta in cui ac- canto alla componente artistica trova il giusto rilievo anche quella scientifica.

Figura 14. Villa La Rocca, Accademia Pugliese delle Scienze, 7 maggio 2019. Interventi dei Proff. Lucio Giannone e Luigi Borzacchini. Ensemble di liuti diretto dal M° Cantalupi con la Soprano Cristina Fanelli.

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La sesta Giornata ha avuto luogo il giorno 7 giugno 2019 a Lecce nella Sala delle Conferenze del Rettorato dell’Università del Salento ed ha sviluppato il tema “Leonardo dall’Officina alla Cucina” ponendosi due obiettivi. Il primo è stato quello di celebrare il grande vinciano in alcune delle sue manifestazioni meno note, ad esempio come dall’osservazione dell’acqua con finalità artistiche, effetto della sua formazione avvenuta nella bottega di Andrea del Verrocchio, fosse giunto all’ingegneria idraulica e alla progettazione di grandi opere per bonifiche e canalizzazioni, fino a quelle ancora più incredibili nel campo della cucina che lo vide Chef e proprietario di una osteria fiorentina “Le tre rane” in società con Botticelli. Il secondo obiettivo è stato di contestualizzare la figura di Leonardo, straordinario figlio del suo tempo, e spogliarla dell’aura del mito, incidental- mente smentendo uno di quelli ancora oggi più diffuso ovvero l’invenzione della bicicletta, mettendo in particolare luce che la sua ricerca solitaria ha fatto venir meno il legame delle sue invenzioni con l’evoluzione della scienza, il cui sviluppo non è mai frutto di rivoluzioni dovute a singole menti geniali.

Figura 15. Sala Conferenze, Rettorato dell’Università del Salento, Lecce 7 giugno 2019. Saluto del Prorettore Prof. Domenico Fazio

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Figura 16. Sala Conferenze, Rettorato dell’Università del Salento. Interventi dei Proff. Paolo Bernardini, Pie- tro De Palma, Vittorio Marchis, Mimma Pasculli

Il giorno 30 settembre 2019, come effetto della rilevanza assunta dalle Celebrazioni, l’Accademia Pugliese delle Scienze è stata invitata a tenere una Keynote Speech nella giornata inaugurale della “International Conference on Flight Vehicles, Aerothermodynamics and Re-entry Missions & Engineering”-

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FAR 2019 svoltasi dal 30 settembre al 3 ottobre 2019 a Torre Cintola, Mono- poli. La Conferenza FAR 2019 si è svolta con la collaborazione dell'Agenzia Spaziale Italiana-ASI, del Centre National d'Études Spatiales-CNES francese, del Deutsches Zentrum für Luft und Raumfahrt-DLR, dell'Agenzia Spaziale del Regno Unito-UKSA, della Japan Aerospace Exploration Agency-JAXA e Natio in risposta alla crescente richiesta di innovazione e competitività dettata dalla nuova arena spaziale, si propone di fornire ad Agenzie Spaziali, Industria, Organizzazioni, Università ed Istituti di Ricerca un forum di eccellenza nell'area della progettazione di veicoli di volo, aerotermodinamica, termica protezione, missioni di (ri) ingresso e relativi processi di ingegneria.

Sunday 29th September 2019

17:00-20:00 REGISTRATION

19:00-21:00 WELCOME COCKTAIL

Monday 30th September 2019

8:30 REGISTRATION

9:00 WELCOME COFFEE

CONFERENCE INTRODUCTION 10:00 (G. Ortega, ESA)

10:30 KEYNOTE SPEECH: Space Beyond 2019 (G. Saccoccia, ASI)

KEYNOTE SPEECH: Leonardo: the Flight and the Moon Why the Apulian Science Academy 11:00 is celebrating Leonardo (Prof. L. Borzacchini and Prof. E. Scandale, Bari University)

KEYNOTE SPEECH: Critical data analysis of an hypersonic speed departure:The Space Shuttle 11:30 Columbia last flight (General Roberto Vittori, Italian Goverment)

12:00 LUNCH

Figura 17. Torre Cintola, Monopoli. 30 settembre 2019. Programma della International Conference on Flight Vehicles, Aerothermodynamics and Re-entry Missions & Engineering- FAR 2019 29

Il giorno 15 novembre 2019 si è svolta a Matera la Giornata dal titolo “Leonardo da Vinci- Artista, Scienziato e Inventore” presso il locale Campus della Università della Basilicata. Il programma, che ha ottenuto il patrocinio della Fondazione Matera 2019-Capitale Europea della Cultura e l’inserimento nell’attività della Fonda- zione, si è avvalso di Relatori di tutti i partner istituzionali delle Celebrazioni cui si è aggiunto il Politecnico di Milano. Per le qualità personali dei Relatori e per l’articolazione degli argomenti affrontati in maniera interdisciplinare –Botanica, Disegni e Macchine, Geologia, Idraulica, Volo dagli Uccelli allo Spazio, Zoologia- si è trattato della alta conclusione di un Progetto Culturale che ha impegnato l’Accademia per un intero anno. È emersa in conclusione ampiamente la dimensione universale di un Uomo di cui è stato impossibile individuare l’interesse principale assoluto, i cui interessi relativi diventavano di volta in volta assoluti quando si applicava a ciò che al momento aveva attratto la sua attenzione e il suo interesse. In sintesi un Genio Universale.

Figura 18. Matera Campus. Università della Basilicata. 15 novembre 2019. Saluti istituzionali.

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Figura 19. Matera Campus. Gli interventi delle Prof.sse Franca Tommasi, Mimma Pasculli, Aurelia Sole e dei Proff. Renzo Rosso e Giulio Avanzini.

Da ultimo, ma non per importanza, nel periodo 29 novembre- 8 dicem- bre 2019 nel Palazzo Ateneo dell’Università di Bari è stata allestita la Mostra Fotografica “Leonardo da Vinci. Dai disegni dell’Ambrosiana di Milano: rivisitazione contemporanea delle macchine lignee attraverso le opere di Giuseppe Manisco”.

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Figura 10. Salone degli Affreschi. Palazzo Ateneo, Università di Bari. 29 novembre 2019. Saluti istituzionali.

Figura 11. Salone degli Affreschi. Interventi della Prof.ssa Mimma Pasculli e del Sig. Giuseppe Manisco 32

Figura 22. Palazzo Ateneo, Università di Bari. 29 novembre 2019. Programma e alcuni momenti delle visite alla Mostra

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L’evento, svoltosi con una larga partecipazione di visitatori, in partico- lare giovani molto attenti ed interessati, ha rappresentato la degna conclusione delle Celebrazioni in onore di Leonardo, che ha visto l’Accademia Pugliese delle Scienze impegnata nella sua realizzazione per oltre un anno, dalla fase di pro- gettazione a quella di svolgimento.

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RELAZIONI

ATTI E RELAZIONI LVI, (2021), 37-45

Giulio Avanzini

[email protected]

Università del Salento

REVISIONE CRITICA DI PROGETTO DELLE MACCHINE VOLANTI DI LEONARDO CRITICAL DESIGN REVIEW OF LEONARDO’S FLYING MACHINES

Sommario Le macchine volanti di Leonardo sono tutte basate su un’intuizione corretta di alcuni fatti derivati dall’osservazione (come l’idea di una sostentazione dinamica alla base del volo degli uccelli, che non è quindi una forma di galleggiamento). Ma l’assenza di modelli matematici e misure ha impedito lo sviluppo di tali idee verso soluzioni tecnica- mente corrette e nessuna delle macchine di Leonardo potrebbe mai volare. Abstract Leonardo’s flying machines are all based on some fundamentally correct ideas derived from observation (such as the dynamic nature of birds flight, which does not depend on a form of buoyancy). Unfortunately, in the absence of mathematical models and measures, it was not possible to develop these ideas into technically sound solutions and, as a consequence, none of Leonardo’s machine will ever fly.

1. INTRODUZIONE Molte macchine leonardesche hanno lasciato un segno indelebile nell’immaginario collettivo, tanto da contribuire, nel loro insieme, alla nascita del mito del “genio universale”. Il mito è talmente consolidato che ha indotto ad attribuire a Leonardo anche invenzioni mai studiate dal vinciano, come la bicicletta. La falsità di tale attribuzione è ben documentata in [1], ma la credenza rimane diffusa a più di 20 anni dalla pubblicazione di quel lavoro. Nel vasto complesso di schizzi e idee lasciate da Leonardo, le macchine volanti hanno però impresso la traccia più vivida: l’ornitottero, la vite aerea e il paracadute. Alla base della concezione di tutte e tre le macchine si possono trovare elementi tipici dell’approccio leonardesco alla conoscenza e all’invenzione, basato sull’osservazione della realtà e sul tentativo di riprodurla attraverso macchine, ma anche sorprendenti intuizioni di quelli che di lì a due secoli sarebbero ma- turati come elementi base della fisica classica. Al tempo stesso molte soluzioni

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(spesso solo tratteggiate) evidenziano un’ingenuità pre-scientifica che rende an- che il genio universale un figlio del suo tempo. In questa nota si farà una revi- sione critica di progetto di tutte le sue “macchine volanti,” alla luce dei principi fisici di funzionamento di una superficie portante, motivando cosi il perché nessuna di esse fosse in realtà adatta al volo, nonostante la validità di alcune delle intuizioni con cui Leonardo spiegava la genesi delle forze scambiate fra un fluido e un corpo in moto.

2. GENESI DELLE FORZE FLUIDODINAMICHE E VOLO Vanno sotto il nome di forze fluidodinamiche le azioni risultanti dall’inte- razione di un corpo solido con il mezzo fluido che lo circonda. Tali azioni sono generate tanto da variazioni della pressione p che il fluido esercita sui diversi punti del corpo, quanto dagli sforzi viscosi τ che il moto del fluido produce in dire- zione opposta a quella di scorrimento relativo fra fluido e superficie esterna del corpo. La genesi delle forze fluidodinamiche segue principi fisici identici sia per i liquidi (ovvero i fluidi in cui la variazione della densità ρ con la pressione risulta di fatto trascurabile), che per i gas. Nel caso dei gas perfetti vi è un’in- versa proporzionalità fra p e ρ [2]. L’aria, che è una miscela di azoto (78%), ossigeno (21%) e argon (poco meno dell’1%), con tracce di altri gas, si com- porta, con ottima approssimazione, come un gas perfetto fino a quote intorno agli 80 km. Tuttavia, se la velocità V con cui il corpo si muove nel fluido risulta molto piccola rispetto alla velocità del suono,1 a, ovvero per valori del numero di Mach M = V/a 1, la densità del gas rimane pressoché costante, nono- stante il moto del corpo. In queste condizioni anche l’aria si comporta, di fatto, come un fluido incomprimibile≪ . Tutte le considerazioni che seguono verranno fatte sotto l’ipotesi di corpo in quiete o in moto a velocità tali che M 1. Quando il corpo è in quiete nel mezzo fluido gli sforzi viscosi sono nulli, mentre la risultante delle azioni di pressione genera una forza di ≪galleggia- mento, secondo il ben noto Principio di Archimede, per il quale un corpo immerso in un fluido riceve una spinta verso l’alto pari al peso del volume di fluido spo- stato [3]. Quando la spinta archimedea supera il peso del corpo è possibile il galleggiamento, che accomuna natanti e aerostati. Limitando l’interesse al se- condo caso, sono aerostati i veicoli (abitati o meno) in cui la spinta di Archimede generata da un pallone pieno di un gas più leggero dell’aria (elio, nel caso di

1 La velocità del suono è la velocità con cui si propagano le onde di pressione in un mezzo fluido.

Per un gas perfetto si ha che = , dove γ = cp/cv è il rapporto fra i calori specifici a pres- sione e volume costante, R è la costante del gas e T la sua temperatura assoluta. Se T è espressa in Kelvin, per l’aria risulta R =𝑎𝑎 287,05�γ𝑅𝑅𝑅𝑅 J kg-1 K-1, mentre γ =1,4. 38

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dirigibili e palloni stratosferici, aria calda per le mongolfiere), consente di solle- vare da terra un peso agganciato al pallone stesso. In questo caso si parla di sostentazione aerostatica, in quanto la genesi della forza sostentatrice prescinde dallo stato di moto del corpo rispetto al mezzo fluido. L’equazione di Bernouilli stabilisce che per fluidi incomprimibili e non viscosi valga la relazione 2 p + ½ ρV = ptot (1) dove la pressione dinamica Q = ½ ρ V2 rappresenta l’energia cinetica specifica del fluido e in assenza di sforzi viscosi la pressione totale ptot si conserva [4]. Un corpo in movimento in un mezzo fluido altera la distribuzione di pressione rispetto alla condizione di fluido e corpo in quiete, ma lontano dal corpo l’aria si com- porta, almeno in prima approssimazione, come un fluido inviscido. In prossi- mità del corpo, invece, il fluido aderisce alla superficie, facendo nascere sforzi tangenziali = (2) 𝑑𝑑𝑑𝑑 proporzionali al gradiente di velocità in direzione normale alla superficie, dove τ μ 𝑑𝑑𝑑𝑑 il coefficiente µ è detto viscosità. L’integrale degli sforzi tangenziali e della pres- sione per unità di superficie è pari a una forza aerodinamica, divisa convenzional- mente in una componente perpendicolare alla direzione della velocità V del fluido che investe il corpo, detta portanza L, e una parallela a V, detta resistenza D. La genesi della portanza richiede che la superficie del corpo abbia caratteri- stiche particolari, mentre la resistenza, legata ai fenomeni viscosi, è sempre pre- sente, se V≠0. L’integrale degli sforzi a parete τ è sempre in direzione opposta al moto. Inoltre nello strato di fluido più vicino alla superficie, detto strato limite, la visco- sità dissipa energia, impedendo, a sua volta, un completo recupero di pressione nella zona posteriore del corpo. Nella parte del corpo esposta al flusso inci- dente, infatti, esiste un punto, detto punto di ristagno, in cui la velocità del fluido si arresta e, in accordo con Eq. (1), la pressione locale vale p0 = ptot. Il fluido, per aggirare il corpo, deve tuttavia accelerare, per cui, seguendo il profilo dal corpo, la pressione varia fra un valore massimo p0 e un valore minimo, di massima espansione, in cui la velocità relativa è massima. A valle di tale punto la pres- sione dovrebbe risalire e, in assenza di sforzi viscosi, l’equazione di Bernouilli comporterebbe la presenza di un secondo punto di ristagno nella parte poste- riore del corpo. Per il paradosso di D’Alembert [4], l’integrale della pressione in- torno al corpo avrebbe risultante nulla, ma gli sforzi viscosi, trascurabili lontano

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dal corpo, sono significativi all’interno dello strato limite, dove la dissipazione di energia riduce, progressivamente, il valore della pressione totale, ptot. La ve- locità locale del fluido in prossimità della parete si annulla prima di arrivare al valore p0 raggiunto nel punto di ristagno anteriore, e in tale punto lo strato limite si stacca e si forma una scia. Nasce così una regione nella zona posteriore del corpo in cui la pressione è inferiore a quella che insiste su quella anteriore, ge- nerando una risultante della pressione in verso opposto alla velocità del corpo rispetto al fluido, ovvero un componente di resistenza che va ad aggiungersi a quella generata dagli sforzi tangenziali a parete.

a) b) Figura 1. Geometria di un profilo alare a) e distribuzione di pressione a incidenza non nulla b). La sostentazione aerodinamica è ottenuta grazie a superfici opportunamente sagomate la cui sezione, detta profilo alare (Fig. 1.a), induce una differenza di pressione fra il dorso, dove p è minore (suction side, in inglese), e il ventre, dove è maggiore (pressure side), come rappresentato qualitativamente nel diagramma polare di Fig. 1.b. Portanza e resistenza per unità di apertura sono pari a 2 2 L’ = ½ ρ V c Cl ; D’ = ½ ρ V c Cd (2)

dove c è la corda del profilo, mentre Cl e Cd sono, rispettivamente, i coefficienti adimensionali di portanza e resistenza. Il rapporto E = L/D, è detto efficienza aerodinamica. Per valori moderati dell’angolo di incidenza α la differenza fra le pressioni su dorso e ventre del profilo cresce con α e il Cl varia circa linear-

mente, secondo la legge Cl = Cl 0+ Cl αα. Per profili simmetrici, la cui curvatura

è nulla e la linea media coincide con la corda, Cl 0= 0, mentre per profili sottili la teoria di Glauert indica che il gradiente di portanza è Cl α ≈ 2π [5]. Un profilo genera una scia molto sottile e la resistenza è così limitata all’attrito viscoso, permettendo al profilo di raggiungere valori elevati di efficienza. A incidenze più elevate, però, i fenomeni dissipativi nello strato limite ne causano il distacco, con conseguente perdita di portanza e aumento della resistenza: è lo stallo. Il volo è possibile quando un’ala, messa in moto rispetto all’aria circo- stante, sviluppa una portanza sufficiente a far decollare il corpo a essa collegato e mantenerlo in volo, bilanciandone il peso. Se l’ala è rigidamente connessa alla fusoliera si ha un velivolo ad ala fissa (aeroplano), che necessita di una corsa di 40

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decollo per raggiungere, sotto la spinta di un motore, la velocità minima di so- stentamento. Lo stesso motore, durante il volo, genera la spinta necessaria a equilibrare la resistenza (Fig. 2.a). Detto AR = b2/S l’allungamento, dove b è l’apertura alare e S la superficie di riferimento dell’ala, il coefficiente di resi- stenza del velivolo varia con il CL secondo una legge nota come polare parabolica, 2 CD = CD0 + K CL , dove CD0 è il coefficiente di resistenza parassita (somma di sforzi tangenziali e resistenza di scia), mentre K = 1/(πAR e) è il fattore di resistenza indotta. Esso è minimo quanto il fattore di Oswald e = 1, per una distribuzione ellittica della portanza per unità di apertura [7]. Per ogni altra distribuzione, risulta e < 1 e la resistenza indotta cresce. La potenza necessaria al volo aeroso- 3 stentato ad ala fissa risulta quindi pari a Pn = DV = ½ ρ V S CD. Quando il sostentamento è generato da un rotore posto in rotazione dal motore si ha un velivolo ad ala rotante (elicottero), che può decollare e atterrare verticalmente. Tuttavia la sostentazione risulta più onerosa dal punto di vista energetico, in quanto il rotore fornisce sia la sostentazione che la componente di forza necessaria a bilanciare la resistenza (Fig. 2.b). La potenza necessaria al volo risulta pari a Pn = DfusV + PMR + PTR, dove Dfus è la resistenza della fusoliera e PMR e PTR le potenze richieste per tenere in rotazione il rotore principale (MR) e il rotore di coda (TR).

a) b) Figura 2. Equilibrio in volo per velivoli ad ala fissa a) e rotante b).

3. UN VOLO IMPOSSIBILE (CON QUEGLI INSTRUMENTI) Non si può imputare a Leonardo l’incapacità di formulare i complessi modelli matematici alla base del moderno progetto aerodinamico dei velivoli. Anzi, gli va riconosciuto che la fiducia nella possibilità di realizzare una mac- china volante era fondata sull’idea, modernissima per l’epoca, di formulare una

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descrizione matematica delle leggi che governano il volo degli uccelli, da appli- care poi al progetto delle macchine volanti.2 Leonardo non trasformò però que- sta sua dichiarazione in un programma di lavoro, e sono anzi note le sue diffi- coltà nel maneggiare anche gli strumenti matematici del suo tempo. La sua abi- lità di osservatore di fenomeni naturali gli consentì di giungere a conclusioni sorprendentemente avanzate per l’epoca, cui però non dette mai una veste ma- tematica. Quando scrive Tanta forza si fa colla cosa in contro all’aria quanto l’aria contro alla cosa oppure L’aste, menata contro all’acqua immobile, fa come l’acqua corrente contro all’aste immobile sembra anticipare Isaac Newton e il suo III Principio della Dinamica [6]: Actioni contrariam semper et equalem esse reactionem: sive corporum duorum actiones in se mutuo semper esse aequales et in partes contrarias dirigi.3 Ma, al contrario di Leonardo, Newton si dotò di tutti gli strumenti di calcolo necessari (inven- tandone di nuovi) per definire una legge matematica con cui rappresentare i feno- meni fisici studiati. Il fatto che la forza scambiata fra un oggetto (l’ala, il ba- stone) e il mezzo fluido che lo circonda sia la stessa, indipendentemente dal fatto che sia l’oggetto a muoversi nel fluido in quiete o il fluido a muoversi contro l’oggetto fermo, è alla base degli studi in galleria del vento, che, dai tempi dei fratelli Wright fino alla fine del XX secolo, sono stati fondamentali per la conoscenza empirica del comportamento di superfici portanti. Ma Leonardo non comprese l’importanza della misura sistematica, oltre a quella della sem- plice osservazione, per ricavare modelli matematici (quindi quantitativi) dei fe- nomeni osservati. Se si escludono misure in campo idraulico, dove fornì con- tributi originali, non si preoccupò mai di dare una dimensione ai suoi oggetti o misurare i fenomeni che osservava. Dopo la scarsa dimestichezza con la mate- matica, questo fu il secondo limite che gli impedì di fornire contributi autenti- camente scientifici. Dalla semplice osservazione Leonardo riuscì, ad esempio, a confutare – correttamente – la teoria aristotelica, che riteneva il volo degli uccelli una forma di galleggiamento. Ciò è chiaramente impossibile, per quanto noto sin dai tempi di Archimede, dal momento che il corpo degli uccelli è più pesante del mezzo fluido in cui si muovono. Nel Codice Atlantico, Leonardo quindi scrive: Vedi l’alie percosse contro all’aria far sostenere la pesante aquila sulla suplema sottile aria. In termini moderni, intuisce che la sostentazione non è aerostatica, bensì, aerodinamica: sono le ali “percosse contro all’aria” che sostengono la “pesante

2 L’uccello è strumento operante per legge matematica, il quale strumento è in potestà dell’omo poterlo fare con tutti li sua moti, Codice Atlantico, 434r. 3 A un’azione (corrisponde) sempre una reazione opposta (in verso) e uguale (in modulo): ovvero le azioni (scambiate) fra due corpi sono sempre uguali e dirette in versi opposti (T.d.A.). I termini fra parentesi non sono presenti nel testo latino originale. 42

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aquila” sull’aria “sottile”, ma attribuisce alla densità il ruolo di agente fisico per realizzare il sostentamento. La densità, infatti, da cui dipende anche il galleggia- mento, rimaneva la quantità fisica più intuitiva cui attribuire la possibilità di volare: L’aria circundatrice delli uccelli è tanto più sottile di sopra che la ordinaria sottilità dell’altra aria, quando ella è più grossa di sotto, e tanto più sottile dirieto. Leonardo spiega il volo con l’incremento della densità dell’aria quando viene colpita dall’ala, come se il volatile si appoggiasse su strati di aria resi più densi quando colpiti dalla sua ala. Ma l’aria in moto a velocità piccole rispetto a quella delle onde sonore ha una densità sostanzialmente costante, quindi non può essere la den- sità a generare la forza sostentatrice. Come descritto nel paragrafo precedente, è la pressione, non già la densità, a generare una differenza sulla distribuzione di forza sviluppata “sopra” e “sotto” l’ala. Questo spiega perché il paracadute di Leonardo (Fig. 3.a) non potesse funzionare. Sebbene non esista che un bozzetto, la sua interpretazione è abba- stanza chiara: la piramide di tela avrebbe dovuto raccogliere l’aria e “schiac- ciarla”, rendendola così meno “sottile”, frenando la caduta, come se la calotta piramidale si appoggiasse sul mezzo fluido reso più denso. Ovviamente ora è chiaro che l’azione frenante di un paracadute è legata all’ampiezza della sua se- zione frontale e alla resistenza aerodinamica che – grazie ad essa – è in grado di generare.

a) b) c) Figura 3. Il paracadute a), l’ “elicottero” b) e l’ornitottero c) di Leonardo da Vinci.

Fra le macchine volanti di Leonardo, la vite aerea (Fig. 3.b) rappresenta quella che più si avvicina al principio fisico di funzionamento del moderno eli- cottero: Trovo, se questo strumento a vite sarà ben fatto, cioè fatto di tela lina, stopata i suoi pori con amido, e svoltata con prestezza, che detta vite si fa la femmina nell'aria e monterà in alto. Leonardo ipotizza che l’azione meccanica sull’albero della vite aerea possa consentire al veicolo di “spingere” l’aria verso il basso, ricevendone in cambio una forza sufficiente a sollevarlo. Questo concetto è perfettamente in linea con i metodi di stima delle prestazioni dei rotori basati sulla conservazione 43

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della quantità di moto [8]. Vi sono però due aspetti che rendono impossibile il volo della vita aerea di Leonardo. L’efficienza di una superficie alare, infatti, aumenta al crescere del suo allungamento AR e le pale di un elicottero non fanno eccezione. Il primo problema della vite aerea di Leonardo, quindi, è la scarsa efficienza, dovuta alla sua forma. Il secondo è legato alla coppia di rea- zione. Il terzo principio della dinamica si applica anche alle coppie: l’azione motrice su un albero scarica sulla struttura del veicolo una coppia di uguale modulo e verso opposto. Gli elicotteri hanno quindi un rotore di coda che ge- nera una forza laterale proprio per compensare la coppia motrice del rotore principale [8]. Se anche fosse stato energeticamente possibile fare in modo che la vite aerea di Leonardo venisse “svoltata con prestezza”, il veicolo avrebbe cominciato a girare con altrettanta “prestezza” in verso opposto, rendendo piuttosto scadente il comfort di bordo per eventuali passeggeri. L’ornitottero rappresenta l’altra illusione energeticamente infondata di Leonardo: il volo umano ad ala battente. Soprassedendo sulle criticità strutturali delle ali da lui concepite sul modello della struttura ossea di quelle degli uccelli, che meriterebbero una lunga analisi, il volo ad ala battente richiede grandi po- tenze per unità di peso sollevato e gli uccelli (soprattutto quelli di piccole di- mensioni) si collocano infatti ai primi posti nella scala degli esseri viventi in termini di consumo calorico per unità di peso. Quelli che coprono lunghe di- stanze, come i grandi veleggiatori marini, lo fanno volando ad “ala fissa” in volo librato [8]. Sfruttano cioè correnti ascensionali per guadagnare quota e poi vo- lano in planata, compensando con una lenta perdita di quota (= energia poten- ziale) la potenza −DV dissipata dalla resistenza. Ed è con lo studio del volo librato e gli alianti di Otto Lilienthal e Octave Chanute che è veramente comin- ciata la storia del volo umano.

4. CONCLUSIONI I principi fisici alla base del volo di veicoli più pesanti dell’aria consen- tono di dimostrare che le macchine concepite da Leonardo per volare (o anche solo rallentare le cadute) non potevano funzionare nelle configurazioni propo- ste dal grande vinciano. La validità di molte intuizioni relative a fatti fisici anche complessi, come il funzionamento della vite aerea, non ha consentito di giun- gere a configurazioni che avrebbero mai potuto sollevare un peso da terra, an- che prescindendo dall’eccessivo costo energetico associato al movimento ri- chiesto.

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5. RIFERIMENTI [1] Vittorio Marchis, “Le vélo, le codex et les faussaires.” Les cahiers de médiologie, Vol. 1, no. 5, pp. 23-31, 1998. [2] P. Silvestroni, Fondamenti di Chimica, 8 ed., Veschi, Roma, 1988. [3] D. Halliday, R. Resnick, Fundamentals of Physics, 10th Ed., Wiley, 2014 [4] E. Mattioli, Aerodinamica, Levrotto&Bella, Torino, 1992. [5] H. Glauert, The Elements of Aerofoil and Airscrew Theory, 2nd Ed., Cambridge University Press, 1959. [6] I. Newton, Philosophiae Naturalis Principia Mathematica, 1687. [7] L. Prandtl, “Über Tragflügel kleinsten induzierten Widerstandes.” Zeitschrift für Flugtecknik und Motorluftschiffahrt, Vol. 1, no. 6, pp. 305-306, 1933. [8] B.W. McCormick, Aerodymamics, Aeronautics, and Flight Mechanics, Wiley, 1995.

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ATTI E RELAZIONI LVI, (2021), 47-56

Luigi Borzacchini

[email protected]

Accademia Pugliese delle Scienze; Dipartimento di Matematica, Università di Bari

THE BIRD IS AN INSTRUMENT WHICH WORKS ACCORDING TO MATHEMATICAL LAWS L’UCCELLO È STRUMENTO OPERANTE PER LEGGE MATEMATICA

Abstract Science for Leonardo was not a hobby, I would say it had become his main interest, linked not only to his activity as a painter (anatomy and natural sciences), but centered on mathematics, mechanics, optics, hydraulics, astronomy, engineering and, most of all, flying. Painting too was a science for him. His science was a narrow gate – for Leonardo was alone and without direct scientific heirs – between medieval and modern science, but reveals the deepest meaning of that transition. Sommario La scienza per Leonardo non era un hobby, direi che doveva diventare il suo principale interesse. Un interesse non solo legato alla sua attività di pittore (anatomia e scienze naturali), ma centrato su matematica, meccanica, ottica, idraulica, astronomia e ingegneria - soprattutto il volo. E anche la pittura per lui era scienza. La scienza di Leonardo è il passaggio stretto – perché solitario e senza eredi diretti - tra la scienza medievale e quella moderna, ma ce ne dà il senso più profondo.

1. INTRODUCTION Leonardo is known as 'the universal genius'. However in our modern imagination, he has become almost a mythological figure, a wizard, an ancient sage, even a leader of esoteric sects, and the character of the wizard, from Merlin to Gandalf in modern movies, looks like Leonardo's self-portrait. I would like to try to bring him back to the roots of our science. Leonardo lives at the center of the Renaissance, in between the Middle Ages and the Modern Age, but the Renaissance is not a ‘gateway’, it is instead 47

The bird is an instrument which works according to mathematical laws

an ‘interlude’, where no track shows the road between past and future. For the history of science, the Renaissance is the gap between the ancient/medieval natural philosophy and the Scientific Revolution. I employ this term 'gap', instead of 'bridge' or 'transition', because the Renaissance looks like a 'grey' chapter in the history of science, at least in the history of those 'hard' sciences that will be the core of the Scientific Revolution, from mechanics and optics to mathematics and physical astronomy. Today if you open a text of history of these sciences at the pages relative to the age of Renaissance - 15th and the first half of the 16th century – you find that they deal almost exclusively with translations of ancient Greek books and applications of technologies, usually imported from the East (printing, compass, gunpowder). Our question is: where is Leonardo’s place in the history of modern science? Leonardo belongs to that group of outstanding characters which are the glory of Italian Renaissance: Brunelleschi, Donatello, Michelangelo, Raffaello, Tiziano, and so on, who were artists, artisans, architects, engineers; usually they were not learned people, they did not read Latin, they were just craftsmen who studied and put into practice drawing, painting, sculpture, metallurgy, applied statics and mechanics and practical mathematics also. They also cultivated some other sciences linked to their professions, such as anatomy, cartography, and botanical and geological sketches, and Leonardo excelled in all these activities, but, in addition, he also studied the 'hard' sciences: theoretical physics, mechanics and optics, theoretical mathematics, infinity and continuity, cosmology and physical astronomy, engineering. However Leonardo did not publish anything, and almost all of his legacy is contained in about fifteen paintings, some of which are among the most famous in the history of art - Mona Lisa, The Last Supper, the - and in some tens of thousands of hand-written pages, eight thousand of which have come down to us. They contain wonderful drawings, personal notes and tales, aphorisms and, most of all, theoretical mathematics and physics. Therefore Science for Leonardo was not a hobby, and Painting for him was science: I should say that starting at the age of forty science was his main interest. However, it is difficult to find his own place between the medieval Aristotelean Natural Philosophy and the Scientific Revolution of the 17th century.

2. THE SEASONS OF LEONARDO’S FAME Until the end of the 18th century, those pages were almost unknown. The first studies of his codices appeared at the end of the 18th and the 48

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beginning of the 19th century, and in the Romantic age the cult of the 'Universal Genius' began: a sort of Prometheus or Romantic hero beyond the opposition of science and art, and his absolute geniality was sharply confirmed also by the first books on the history of physics and mathematics. But at the beginning of the 20th century, there was a dramatic change: Leonardo became suddenly only a wonderful observer, a brilliant draftsman, a great and incredibly curious polymath, he was fragmented in “one thousand Leonardos”: the painter, the engineer, the mathematician, the anatomist, the geologist, the mechanic, the inventor, the physicist, the writer of tales, the organizer of court festivals, the technician, the sculptor, the astronomer, the cartographer, the architect, the chemist, the craftsman, … but he was no longer a true 'scientist'. Paolo Rossi, perhaps the greatest modern Italian historian of science, wrote: “to put Leonardo’s portrait in the Gallery among the founders of science means to put it in the wrong place” [1]. Why this downgrading? From a historical point of view the former romantic glorification of the ‘universal genius’ rested on two pillars: - the theses of the Middle Ages as the dark centuries and of Renaissance’s glory just for the fine arts, so that Leonardo’s science shone like a star in those 'grey' ages. - the lack of critical editions of his codices, that left just a 'generic impression' of his great intuitions, machines, and inventions that were sufficient to firmly establish his reputation as the universal genius. But a century ago the first modern historians of science - first and foremost Pierre Duhem - discovered medieval manuscripts that foreshadowed Galilean ideas and themes, whose authors were consequently called "Galileo's forerunners", and underlined that many Leonardo's novelties were already in those manuscripts. Besides, they revealed that Leonardo's natural science had many Aristotelean traits and mistakes. In a few words, the Renaissance appeared as a pause - I wrote before 'a gap' - in the history of science, dominated by anti-scientific Humanists that delayed the birth of modern science, and Leonardo's science was, all things considered, quite medieval: maybe he was the least medieval of the Renaissance authors, but nothing more. Subsequent studies confirmed Leonardo’s poor mathematical knowledge and his medieval remains, and, in addition, they revealed that earlier engineers had outlined many of the famous machines and inventions of Leonardo. In conclusion: in modern books on the history of mathematics and physics Leonardo's name appears just in footnotes. That is as it should be, because there is no Leonardo’s Theory, no Leonardo’s Theorem nor

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Leonardo’s Law. And not any crucial experiment attributed to Leonardo. But we can remark that this change of opinion about Leonardo’s science had also deeper roots: science for us is a collective activity and enterprise, scientists are a quite homogeneous community, organized in scientific institutions, sharing suitable and expressive common languages and methodologies. For example in ancient times: from Pythagoras’ great school in South Italy, Plato's Academy and Aristotle's Lyceum in Athens to Alexandria of Egypt's museum and library, all founded on the Greek scientific and mathematical lexicon. In the Middle Ages: the Church with its monasteries, the dwelling of the science and mathematics that survived, and the medieval universities, whose features we can find also in the Renaissance, together with the schools of the Humanists, with Latin as the universal language. In modern times: the Academies such as the Royal Society, the institutions that gathered the scientists during the Scientific Revolutions, up to our modern universities, with a huge collection of new languages (symbolic algebra, analytical geometry, differential calculus, mathematical logic, the theory of algorithms and the programming languages, and so on). It was not so for Leonardo. He was the universal genius but also ‘the most solitary genius’. In his life: no home, no family, no women, he was a homeless wanderer among the European Royal Courts. But also more in his scientific activity, without disciples and with very few scientific relationships: “If you are all alone you belong entirely to yourself.” (48) [2]: in his time the scientific institutions were the Aristotelean scholastic universities and the Humanists’ schools. Both ignored Leonardo, and Leonardo ignored also their basic languages, the ugly scholastic Latin and the elegant Humanists’ Latin and Greek. He spoke just a Tuscan dialect, common to merchants, craftsmen, and farmers, and was recognized to be “a man without learning” (327v)[3]. By the way, the real problem was that Latin was too poor for his technical applications, and the Tuscan dialect too poor for any scientific reasoning. There was no language at all for Leonardo's science.

3. LEONARDO’S SCIENCE Space and the human flight were among his main interests, but it is not easy to evaluate his role in these fields. A few months ago we celebrated 50 years since the first man landed on the moon. We read that the first real and careful map of the moon was made in the middle of the 17th century, but in Leonardo's Atlantic Codex [3] I see something interesting (fig.1). Is it the map of the Moon? And Leonardo writes "glass to make the moon larger": does it mean that Leonardo invented a Galilean telescope a century before? If 50

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Leonardo writes "the sun does not move" or "the earth is a star" before Copernicus and Kepler, can we record him in the history of modern cosmology as a forerunner? He writes “Every natural and continuous motion wants to preserve its course along the direction of its beginning: namely, in any place it changes, it asked for a cause” (I 68r) [4]: is this the first statement of the principle of inertia? No scientific or technical report, no data or measurements, no colleagues, no disciples ... everything is written in a local dialect with summary sketches.

Figure 1. Leonardo’s sketch (CA 674v) and the Moon’s picture.

There is no place for a lonesome genius in our linear and institutional 51

The bird is an instrument which works according to mathematical laws history of science, made by reported contributions. But, if so, there is also no space at all for Renaissance science: in a linear history of science, it is impossible even to get an idea of its emergence from the Middle Ages. On the other hand, however, it is impossible to reject the idea that the Renaissance, and Leonardo most of all, signified a fracture, a radical change in the history of science. Be that as it may, in the literature there are plenty of examples of Leonardo’s anticipatory ideas in mechanics, optics, hydraulics, anatomy, and so on, that are enough to gain for him a ‘foreground’ place in the history of science, but I would like to underline his role in the ‘background’ of such history. As a first example: before Leonardo science and technics, Scientia et Ars (ars was the medieval term for ‘technics’), were completely unrelated, almost contrary: to make it clear usually I give my students the example of the origin of the word ‘school’ - the Latin ‘schola’, from the Greek word ‘scholé’ -. But what did scholé mean? Simply “spare time, leisure, rest, ease, laziness, idleness”. In fact, in a slavery-based economy work and technics were only for slaves and people at the lowest rung of the social ladder. Science was just for those people who have no need to work.

Figure 2. Flying Birds, in Mariano di Jacopo (upper) and Leonardo (lower)

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L. Borzacchini

But after the Middle Ages something was changing: "In the building yard of Milano's cathedral between the 14th and 15th centuries, the architect says: ‘technics without science is nothing’, the masons answer back ‘science without technics is nothing’.” (Le Goff) [5]. And finally, there is no doubt that, after Leonardo, nobody could contrast any longer science and technics. His name and fame settled their connection forever. As a second example, Leonardo is the father of the idea of ‘scientific and technological progress’. In antiquity this idea was missing: the world was in decline since the Age of Gold or it was immutable or circular for the Stoics. In the 12th century, there was a little step forward: Bernard of Chartres called his contemporaries “dwarves on the shoulders of giants”: they could see farther, but the ancients were yet giants and the moderns were only dwarfs. Humanists and Aristotelians too underlined the superiority of the ancients over the moderns, but Leonardo wrote instead: “mean is that disciple who does not surpass his master” (60v)[6]: it was the birth of the idea of ‘necessary’ progress, basic to the core of the learning establishment. A third, epoch-making, example could be the deep connection he established between mechanics and mathematics. In Aristotelian philosophy, physics was the ‘science of motion’, mathematics the ‘science of being’, so that it was impossible to have any connection between them, except for those natural phenomena without motion, such as statics, optics, spheres in astronomy, and harmonics in musical theory. Also in the medieval universities there was a very little interest in mathematics and almost no interest in mechanics or in other techniques. In Leonardo, there is instead a complete fusion between mathematics and physics (mechanics, optics, engineering), and between them and observation. But we could list many other examples of foundational novelties, ‘actual’ and not only ‘philosophical’, that show us that Leonardo was something more than just a ‘contributor’ to the new science.

4. THE BIRD, THE FLIGHT The core of Leonardo’s technique was mechanics, “Instrumental or mechanical science is the noblest and the most useful.”. Leonardo's science was thoroughly different from Aristotle's, whose ‘elements’ were static substances: earth, water, air, fire, Leonardo’s ‘powers’ were dynamic aspects: motion, force, weight, blow. Ancient and medieval Natural Philosophy was dominated by Aristotle's

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The bird is an instrument which works according to mathematical laws

Metaphysics: the "science of being as being", at whose center there was the idea of Being. Leonardo’s thought is centered instead on the idea of Motion: it was a sort of science of becoming as becoming, of things and living beings as well. And the core of his mechanics was the problem of fluid dynamics: the analysis of flowing waters and of flying birds.

And his mathematics, even if quite rough – very poor arithmetic and some Euclidean geometry taught him by Luca Pacioli -, shows unforeseeable novelties concerning continuity, infinite and infinitesimals. Even in his geometry, the line is not a ‘being’, but is just produced by the motion of a point, something new because it was not just a kind of construction as in ancient Greek geometry, but a basic principle, a postulate, something that we will see again only in Newton, where it is not mechanics based on geometry but geometry based on mechanics [7, 8].

Motion for us can be described only by equations or formulas, that were unknown at Leonardo's time. His problem was to do it by drawings. But: how can a single picture display motion, for example, of the birds? In the fig.2 upper (of Mariano di Jacopo, called ‘il Taccola’, an engineer of the early Renaissance) we see some well-drawn birds flying above a ship. In the fig.2 lower (of Leonardo) we see flying birds: and here the details are rougher, but you can 'see' the motion in the figure. I think that Leonardo actually invented this way of displaying motion in a picture. Last but not least, Painting for Leonardo was also a "mental speech ", was “science”, a science of nature, of motion, of mind: "The good painter has to picture two main things, the man and his mind" (180) [2]. It is a science: first because it is built on principles, just as Euclidean Geometry, second because it is the best display of reality, third because all the painting laws are based on mechanics and optics [7]. There are not one thousand Leonardos, motion is the core of his science, his technology, his painting, his engineering: the thought of the ‘one’ Leonardo is the ‘science of becoming as becoming’.

I think that Leonardo was able to employ painting to show a dynamical (mathematical and mechanical) scene because he ‘saw’ mechanics and mathematics deeply inside reality, he saw a sort of augmented reality: where others saw just a flying animal Leonardo saw inclined planes, pulleys, levers, streams, he perceived the bird as a machine, he wrote: “the bird is an instrument operating by mathematical law” (434r)[3]. 'Augmented Reality' means that Leonardo ‘saw’ 54

L. Borzacchini

something – mathematics and mechanics - that nobody else saw as a deeper natural reality and not just as a simple fact [7]. For another example, the trajectory of a bullet for us is a parabola (if we ignore the air friction) and was described until the middle of the 16th century as a piecewise rectilinear path, Leonardo displays it instead as it actually is (including the air friction), “made up of straight and curved... in all the parts of the line“ (G55r)[4](fig.3)

Figure 3. The trajectory of a bullet.

Just a careful observer? But other engineers, artisans, gunmen, philosophers saw the same phenomena, but they saw just broken straight lines. Only Leonardo saw there an everywhere curved line. He perceived nature in its real and deep mechanical and mathematical structure: the crucial point is that there is no distance for him between experience and theory, between empiricism and mathematics. There is no need for a ‘method’, there is no need for ‘abstraction’, there is no need for ‘ideas’. Finally I want to stress the depth of Leonardo's mechanics, by describing the evolution of his theory of human flight. In the beginning, we read an analogical approach, like Icarus and Daedalus: flapping wings to imitate the flight of birds. But soon such imitation is rejected by a mechanical and anatomical analysis: man's muscles are too weak to lift his weight. Then Leonardo begins an astonishing empirical analysis of the actually flying birds, to find a solution: his answer is the gliding flight with bat-like wings. But this is not enough for him: Leonardo ultimately understands the need for the flight of sophisticated know-how: of the winds, of the underlying sea or ground, of rocks or mountains, of the air heat and its streams: the ‘soul’ of the bird knows all of them and such knowledge makes possible his flight. The bird has got its soul in its wings – it is a ‘procedural knowledge’ -, but, according to Leonardo, Man can emulate it – certainly not in an 55

The bird is an instrument which works according to mathematical laws

algorithmic ‘declarative knowledge’, maybe in a ‘mechanical way’ -, and in this way he can steer the flight of a machine.

5. CONCLUSION We wrote that Leonardo created and enhanced the modern idea of scientific and technological progress, but he also underlined its risks. The modern world appears to his eyes beautiful, but also dreadful: in his drawings, we see deluges, wars, monsters, massacres caused also by the same weapons he was designing: in him, we find together the clear light and the deep darkness of the new times. Paolo Rossi was right: Leonardo's portrait can not be put in the Gallery of the founders of modern science, it has to be put instead inside the actual foundations of that Gallery: the foundations are the part of the building that you cannot see, but on which everything was built and where it all began.

6. REFERENCES [1] P. Rossi “Introduzione” in Leonardo e l’età della Ragione, Edt. E. Bellone e P. Rossi. Scientia: Milano, 1982 [2] Leonardo da Vinci. “Libro di pittura”, a cura di C. Pedretti, Giunti, Firenze, 1995 [3] Leonardo da Vinci. “Il Codice Atlantico”, a cura di A. Marinoni, Giunti, Firenze, 2000 [4] Leonardo da Vinci. “I manoscritti dell’Institut de France”. a cura di A. Marinoni. Giunti-Barbera, Firenze, 1985-1990. [5] Leonardo da Vinci. “Codice Forster” III, a cura di A. Marinoni, Giunti-Barbera, 1992 [6] J. Le Goff. “La civilisation de l’Occident medieval”. Arthaud, Paris, 1964 [7] L. Borzacchini. “La solitudine di Leonardo”. Edizioni Dedalo, Bari, 2019 [8] A. Marinoni. “La matematica di Leonardo da Vinci”. Philips s.p.a., Arcadia editore, Milano. 1982

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ATTI E RELAZIONI LVI, (2021), 57-62

Fabio Bossi

[email protected]

Laboratori Nazionali di Frascati dell’INFN Via Enrico Fermi 54, 00044 Frascati (Italy)

BIG MACHINES TO STUDY THE INFINITELY SMALL WORLD LE GRANDI MACCHINE PER STUDIARE L’INFINITAMENTE PICCOLO

Abstract During the last century, big particle accelerators have been the key instrument for the study of the ultimate structure of matter and the discovery of the fundamental laws of physics. These instruments have nowadays reached dimensions of several dozen kilome- ters, probably at the very limit of social and financial sustainability. For this reason, sci- entists have begun an intense research program aiming at developing new techniques that can allow us building more powerful accelerators of much reduced dimensions. Sommario Nel corso dell’ultimo secolo, i grandi acceleratori di particelle sono stati lo strumento chiave per la comprensione della struttura elementare della materia e per la scoperta delle leggi che governano l’Universo. Tali strumenti hanno raggiunto al giorno d’oggi dimensioni di parecchie decine di chilometri, al limite forse della sostenibilità eco- nomica e sociale. Per questo motivo la comunità scientifica ha da tempo iniziato la ricer- ca di tecniche che ci potrebbero permettere di costruire acceleratori estremamente potenti, ma di dimesioni ridotte.

1. INTRODUCTION Modern Science aims at describing the universe around us by means of observation and experience, without which, to use Leonardo’s words, “nothing can be certain”. But how can we “observe” phenomena which hap- pen on scales that are, in time and space, outside the range of human percep- tion? In particular, how can Science give answers about two fundamental and apparently very distant questions (we will see, however, that they are not dis- 57

Big machines to study the infinitely small world

tant at all)?

1) Is our Universe composed by a proper combination of a few “elemen- tary” components? 2) Is Universe infinite or finite, both in time and space? Has it been al- ways the way we see it nowadays or has it evolved along time?

It is self-evident that, if “fundamental” bricks of matter exist, they must be of dimensions much smaller than what our eyes can ever appreciate, even with the use of lenses or microscopes. We must therefore rely on some peculiar technique to address this problem. It was the merit of Ernest Ruther- ford to devise this technique and introduce a new instrument that has revolu- tionized research in fundamental physics: the particle accelerator.

2. PARTICLE ACCELERATORS In 1909, Rutherford and his collaborators Geiger and Marsden tested for the first time the actual composition of the atom, by shooting a beam of alpha-particles on a thin gold foil [1]. The way in which these particles were deflected provided information on the composition of the target at micro- scopic level. In particular, contrary to common wisdom, the experiment showed that the atom is composed by a heavy and compact nucleus of posi- tive electric charge, surrounded by a halo of negatively charged electrons that make the system perfectly neutral. From then on, beams of particles of higher and higher energies have been used as probes of the subatomic world. What are the basic principles on which this technique is based, and why the energy of the beam is so im- portant? The answer to these questions is linked with the two basic pillars of modern physics. Quantum Mechanics tells us that each particle can be seen also as a “wave”, with wavelength inversely proportional to its momentum (i.e. to its velocity). This means that, if we use this particle as a probe on a given target material, the higher is its kinetic energy, the finer are the details that can be highlighted. By increasing the energy of the probe particles, therefore, the physicists have discovered that the atomic nucleus is formed by an appropri- ate (depending on the element) number of protons and neutrons, which are in turn composed by more elementary constituents, the quarks. The electron has not shown any structure so far, and it is still considered a really elementary particle. With the energies reached by present-day accelerators we have been 58

F. Bossi

able to probe dimensions down to 10-18 cm; note that the atomic nucleus has typical dimensions of 10-12 – 10-13 cm. According to Special Relativity, mass is a peculiar realization of energy. We can therefore transform the collision energy between two particles into mass. Using this principle, physicists have been able to produce and observe several new elementary or composite particles, different from those that form the ordinary atoms. The higher is the energy of the collision, the heavier are the particles that can be produced. Physicists typically use to measure energy (and therefore masses) in multiples of the electron-volt (eV), that is the kinetic energy that a particle of unit charge (the electron for instance) acquires in vacuum from an electric po- tential difference of 1 Volt. This is a relatively small energy. Modern particle accelerators reach energy of several billions of electron-volt (GeV); at present the most powerful accelerator ever built, the Large Hadron Collider (LHC), is capable of accelerating beams of protons at an energy of 7000 GeV (7 TeV)! Particle accelerators make use of the laws of electrodynamics. Particles are accelerated by intense electric potentials, produced by specific devices, the resonant cavities. Present day technology allows us to reach accelerating gra- dients of 10-20 MeV per meter (1 MeV = 106 eV). This means that reaching the energy of several TeV would require machines that are several dozen kil- ometres long. We need enormous devices to study the infinitely small world! Obviously, one can think to drive the beams on a closed orbit, with the pur- pose of using the same cavity to accelerate particles at higher and higher ener- gies. This is in fact obtained by the machines known as synchrotrons; they use intense magnetic fields to curve the trajectory of electrically charged particles. Unfortunately, charged particles, when curved, loose energy in the form of light, at an amount that increases with the fourth power of their energy and linearly with the curvature. Therefore as the energy increases one has to let the radius of curvature increase as well, which means again increasing the ac- celerator’s dimensions. In the case of LHC, this translates into a circular ma- chine of about 27 km of circumference.

3. THE LARGE HADRON COLLIDER The numbers that describe the LHC are really amazing [2]. Two beams of protons are accelerated in opposite directions to provide collisions at a total energy of 14 TeV; each beam is composed of more than 2800 buck- ets containing about 1011 protons each. The beams are so collimated that a proton-proton collision is produced every billionth of second. Obviously, building such an amazing machine has relevant costs; LHC 59

Big machines to study the infinitely small world

is worth about 4 billion Euros. Operating costs are also remarkable: in one year, in fact, its power consumption amounts to about 700 GWh, that is the power consumed by a town of medium size. Gigantic detectors capture the products of these collisions, selecting only those events that look more interesting to be studied. The data acquired by these detectors are then sent to a network of computers distributed worldwide and finally analysed by teams of thousands of scientists from all over the world. This aspect of LHC is really worth mentioning: the community that has built and that operates it, is really international: Science has no borders and is an asset of mankind as a whole.

4. PARTICLE PHYSICS AND COSMOLOGY We can now ask the question of how is it possible that the study of the laws of the microcosm can give us answers about the entire Universe, see question 2 of paragraph 1. The answer resides in the observation that the Universe is expanding, at a rate that is in fact accelerating with time. From this observational fact we can deduce that about 13.8 billion years ago it was in a state of (almost) infi- nite density and temperature. In the vicinity of this “singularity”, popularly known with the nickname of “Big Bang”, elementary particles could collide among each other at very high energy, much as the same as what is happening in high energy particle accelerators. The study of collider’s physics can there- fore give us precious information about what happened in the very early stage of the Universe’s life, and why and how it evolved to the present day struc- ture. According to our present day knowledge, for instance, LHC explores a region of time corresponding to about 10-6 seconds after the Big Bang. In those early times atoms were not formed yet, and the elementary particles were in a sort of primordial soup that we call quark-gluon plasma. Actually, particles were all massless and were acquiring the presently known mass spec- trum through the interaction with a peculiar field, known as Higgs field. Ex- periments at LHC were able to prove this mechanism via the observation of a specific neutral particle known as Higgs boson [3-4]. Physicists are now trying to address new questions regarding those early times. In particular they are seeking for some new form of matter, the so called “dark matter”, whose existence is required by an overwhelming amount of astrophysical observations but whose nature is at present still unknown. According to these observations, not only this new kind of matter exists, but 60

F. Bossi

it amounts to more than four times ordinary matter (i.e. matter that forms star, galaxies, atoms, human beings…). If the particles that form dark matter are of mass reachable by the LHC (and this is a really big “if”!), we hope to produce and observe them with our experiments.

5. NEW ACCELERATORS LHC will continue operations for at least other fifteen years. Sooner or later, however, there will be the need for a step forward, which means building a new, more powerful machine. It might well be that the hunt for dark matter will not be successful at LHC, or that new ideas will require us to look at phenomena happening at higher energies with respect to the one presently at hand. Either way, it is clear that we are facing a relevant problem. We can, in fact, conceive building a new accelerator of dimension much larger than that of LHC. There are projects in this direction, which envisage the construction of a circular collider with a circumference of about 100 Km, or a linear one about 30 Km long [5-6]. Besides some technical problem yet to be solved, it is clear that this sort of “brute force” approach has the obvious disadvantage of being extremely expensive and resource-consuming. One alternative way is to develop some new technique which allows reaching much higher acceleration gradients with respect to the one obtained by the presently available cavities. A very promising technique, under this re- spect, is the so called plasma-wave acceleration. The basic idea is to take ad- vantage of the very intense potentials associated to an electron plasma wave, which has been demonstrated to produce accelerating gradients one or even two orders of magnitude higher than the traditional accelerators. However, at present, the quality of these beams, in terms of collimation and intensity, de- grades very rapidly, so that no practical application has been obtained with them, yet. An intense R&D program is being put forward in many countries, with the purpose of developing ideas to let plasma acceleration become the key technology of the very high energy, very compact, accelerators of the fu- ture. Nobody can really tell how the accelerators of the future will look like. We still believe, however, that they will remain a fundamental tool for our search of the ultimate laws of Nature.

6. REFERENCES [1] H. Geiger and E. Marsden, “On a diffuse deflection of alpha-particles”. Proceed- ings of the Royal Society, series A, vol. 82, pp. 495–505, 1909. 61

Big machines to study the infinitely small world

[2] See for instance: home.cern/science/accelerators/large-hadron-collider [3] ATLAS Collaboration “Observation of a new particle in the search for the Stand- ard Model Higgs Boson with the ATLAS detector at the LHC”. Physics Letters B, vol. 716, n. 1, pp. 1–29, 2012 [4] CMS Collaboration “Observation of a new boson at a mass of 125 GeV with the CMS experiment at the LHC”. Physics Letters B, vol. 716, n. 1, pp. 30–61, 2012 [5] FCC Collaboration “FCC-ee: The Lepton Collider: Future Circular Collider Con- ceptual Design Report”, Euro Physics Journal ST, vol. 228, n. 2, pp. 261-623, 2019 [6] ILC Collaboration “The International Linear Collider Technical Design Report Volume 3.II: Accelerator Baseline Design”, arXiv:1306.6353 [physics.acc-ph], 2013

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ATTI E RELAZIONI LVI, (2021), 63-68

Pietro De Palma

[email protected]

Politecnico di Bari

FRONTIERE DELLA CONOSCENZA A DISTANZA DI 500 ANNI: IL VOLO DEGLI UCCELLI E IL VOLO IPERSONICO FRONTIERS OF KNOWLEDGE AT 500 YEARS DISTANCE: FLIGHT OF BIRDS AND HYPERSONIC FLIGHT

Sommario Il presente articolo ha l’obiettivo di discutere alcune sorprendenti intuizioni di Leonardo in campi specifici dell’ingegneria: 1) la meccanica dei fluidi; 2) la combu- stione; 3) il volo. Attraverso un parallelo con i giorni nostri, si vuole evidenziare quanto quelle intuizioni, in alcuni casi, siano ancora attuali a 500 anni di distanza. In altri casi, Leonardo è stato precursore o anticipatore visionario della tecnologia contempora- nea. Per questo egli rappresenta un punto di riferimento per ogni uomo che voglia dedi- carsi allo sviluppo della tecnologia. Abstract The present work aims at discussing some wonderful intuitions of Leonardo in specific fields of engineering: 1) the fluid mechanics; 2) the combustion; 3) the flight. Through a comparison with the contemporary technology and science, it is shown that, in some cases, those intuitions are still valid 500 years later. In other cases, Leonardo has been the precursor or the wishful dreamer of the contemporary technology. For these rea- sons, he represents the point of reference for every man who wants to devote himself to technology development.

1. INTRODUZIONE Il contributo di Leonardo da Vinci in molti settori della scienza e dell’arte è anche dovuto al suo talento di osservatore della natura e alla capaci- tà eccezionale, relativamente all’epoca in cui ha vissuto, di andare oltre la de- scrizione dei fenomeni cercando di cogliere i principi fondamentali che li go- vernano. I temi dell’ingegneria meccanica, legati al moto dei fluidi e alla loro interazione con corpi solidi statici o in movimento (macchine a fluido), ha ri- cevuto un’attenzione particolare da parte del genio toscano. Egli ha anticipato 63

Frontiere della conoscenza a 500 anni di distanza

nei suoi codici, in particolare il “Codice Leicester” [1], il “Codice Atlantico” [2] e il “Codice sul volo degli uccelli” [3], alcune intuizioni che hanno trovato la loro formalizzazione matematica diversi secoli dopo, ponendosi così sulla frontiera della conoscenza del suo tempo. Per limitare la discussione farò rife- rimento a tre precisi ambiti di studio, ancora oggi di grande attualità per lo sviluppo di moderne tecnologie nel campo della meccanica e dell’aerospazio: 1) la dinamica dei fluidi; 2) la combustione; 3) il volo.

2. GLI STUDI DI LEONARDO Le osservazioni di Leonardo sulla dinamica dei fluidi, pervenute a noi attraverso i suoi scritti e i suoi disegni, hanno anticipato, sia pur in maniera qualitativa, le moderne teorie sulla turbolenza basate sul concetto della “casca- ta dei vortici”, formalizzato agli inizi del XX secolo da Richardson [4]. Leo- nardo effettua studi sperimentali sull’interazione tra correnti di acqua a super- ficie libera e ostacoli di varia forma, descrivendo con disegni molto dettagliati e realistici le linee di corrente del fluido [1]. Oggi possiamo affermare che questi disegni sono molto simili ai risultati della visualizzazione del flusso ot- tenuta attraverso moderne tecniche di rilevazione sperimentale (particle image velocimetry) o mediante complesse simulazioni tridimensionali al calcolatore. La motivazione dello studio di Leonardo, come spesso accade, è di ca- rattere applicativo. Egli, infatti, intende capire gli effetti sugli argini e sul letto dei fiumi delle perturbazioni del fluido indotte dagli ostacoli in funzione delle loro diverse forme e posizioni, perché pensa che essi possano essere utilizzati per limitare l’erosione delle sponde dei fiumi. Leonardo è affascinato dalla dinamica delle cascate, a cui riserva un’attenzione particolare, da cui deriva una descrizione dettagliata dell’evoluzione dell’acqua che discendendo a valle genera misteriosi e potenti moti vorticosi. Nel Codice Leicester [1] si trova una originale e accurata descrizione del moto delle onde e degli effetti del loro impatto sulle rive del mare e sugli argini dei fiumi. Leonardo analizza in dettaglio l’impatto dell’onda sulle rive, descrivendo la dinamica dell’interazione tra le onde. Per quanto riguarda lo studio del fenomeno della combustione, le os- servazioni di Leonardo sulla dinamica della fiamma di una candela sono pub- blicate nel Codice Atlantico [2] nel paragrafo intitolato “Del moto della fiamma”. Tali osservazioni hanno rivelato per la prima volta la dinamica del moto dell’aria e dei fumi attraverso l’impiego di un ingegnoso esperimento di visualizzazione che può essere considerato il precursore delle moderne tecni- che di flow visualization. In questo caso, colpisce il dettaglio della descrizione 64

P. De Palma

del moto della fiamma e dell’aria che con essa interagisce, fluendo verso l’alto sospinta dalla differenza di densità rispetto all’aria circostante più fredda. Inol- tre, risulta altrettanto sorprendente la tecnica utilizzata da Leonardo per visua- lizzare meglio il moto del fluido. Infatti, una osservazione diretta alla luce del sole non avrebbe consentito di evidenziare le variazioni di densità dell’aria e dei fumi. Per questo Leonardo proietta la fiamma su un lenzuolo bianco e rie- sce così ad ottenere una visualizzazione con una ricchezza di sfumature corri- spondenti alle variazioni di densità del fluido. Questa intuizione trova una perfetta corrispondenza con la moderna tecnica di visualizzazione dei flussi basate su fotografia Schlieren, sviluppata nel 1864 per studiare flussi superso- nici [5]. La passione per il volo, che portò Leonardo ad immaginare diversi si- stemi che consentissero all’uomo di sollevarsi da terra e muoversi nell’aria, fu alla base della sua dettagliata osservazione del volo degli uccelli, ed in partico- lare del nibbio, che era il suo modello [3]. Tutta la sua attività è consolidata dalla forte convinzione che i fenomeni naturali debbano avere una spiegazio- ne logica: “L’uccello è strumento operante per legge matematica” [3]. In que- sto campo, le intuizioni che ne scaturiscono lo portano a superare l’errata spiegazione aristotelica del volo basata sul concetto di galleggiamento. Infatti, egli intuisce, in maniera rudimentale, che l’interazione dinamica tra l’ala (aven- te una forma opportuna) e l’aria genera una forza che sostiene il volatile; per fare questo, Leonardo anticipa, in forma ancora approssimativa, il concetto di gravità e il terzo principio della dinamica, che saranno formalizzati circa due secoli dopo da Newton. Infatti, egli scrive [3] “L’aria, sotto il mobile che per quella discende, si fa densa, e di sopra si rarefà” perché è provato “non essere inconveniente all’aria il condensarsi e il rarefarsi”. In questo passaggio è rac- chiusa l’intuizione che l’aria segue percorsi diversi scorrendo sulla parte supe- riore ed inferiore dell’ala generando una spinta, come si evince dal seguente passaggio [3]: “Vedi l’alie percosse contro all’aria far sostenere la pesante aqui- la sulla suplema, sottile aria”. In questo passaggio è rilevante il termine “pe- sante” che contiene l’intuizione della forza di gravità che è bilanciata (“con- tro”) dall’azione della forza generata dall’interazione con l’aria. E ancora: “Tanta forza si fa colla cosa in contro all’aria, quanto l’aria contro alla cosa”, che chiaramente anticipa il terzo principio della dinamica. E’ interessante an- che la consapevolezza del moto relativo, che viene esplicitata nel seguente passaggio [3]: “Quando l’uccello si trova infra ‘l vento, esso può sostenersi sopra di quello sanza battere l’alie, perché quello offizio che fa l’alia contro all’aria, stando l’aria sanza moto, tal fa l’aria mossa contro all’alie, essendo quelle sanza moto”. Sfortunatamente, nonostante i suoi sforzi, non risulta che 65

Frontiere della conoscenza a 500 anni di distanza

Leonardo abbia avuto successo nello sperimentare un sistema di volo per l’essere umano. Rimane la sua profezia nella parte finale del “Codice sul volo degli uccelli” [3]: “Piglierà il primo volo il Grande Uccello, empiendo l’universo di stupore, empiendo di sua fama tutte le scritture, e gloria eterna al nido ove nacque”, che si può interpretare come un positivo auspicio nel con- testo della continua sfida tra l’uomo e la sua innata vocazione a volare sempre più in alto.

3. 500 ANNI DOPO A proposito di “volo”, metaforicamente adesso voliamo dal 1500 ai giorni nostri compiendo un balzo di circa 500 anni e diamo uno sguardo ai tre ambiti di studio che ho citato sopra a cui Leonardo, come abbiamo visto, ha dedicato una cospicua parte della sua attività. Questi tre filoni di studio sono ancora oggi sulla frontiera della conoscenza per diversi aspetti anche legati al- lo sviluppo delle moderne tecnologie di volo. Nell’ambito della dinamica dei fluidi, risulta tuttora incompleta la teo- ria della dinamica della turbolenza e, in particolare, della transizione del moto dei fluidi dallo stato laminare allo stato turbolento. Questo aspetto della di- namica dei fluidi ha notevole impatto in innumerevoli applicazioni ingegneri- stiche. Un esempio è riportato nel pannello di sinistra della figura 1 che mo- stra il risultato di una simulazione numerica [6] di un flusso comprimibile su una paletta di compressore assiale. Lo studio è stato realizzato impiegando opportuni modelli di turbolenza e le linee di corrente vicino la parete ricorda- no in maniera sorprendente i disegni di Leonardo nei suoi esperimenti sul flusso intorno agli ostacoli (vedi rif. [1]). Per sottolineare l’importanza che questi temi oggi rivestono per l’evoluzione della tecnologia, rimanendo nell’ambito del volo, possiamo ricor- dare il problema del rientro in atmosfera delle navette spaziali guidate con su- perfici alari, come lo Space Shuttle. Il declino del programma americano Space Transportation System (STS) è iniziato dopo il triste quanto eclatante incidente della navetta Columbia avvenuto nel 2003 (STS-107). Nel report investigativo [7] sulle cause dell’incidente compare, tra i possibili effetti, la transizione (da flusso laminare a flusso turbolento) asimmetrica dello strato limite al di sotto dell’ala sinistra del velivolo. Il problema del controllo e della guida di una na- vetta in volo controllato e planato al rientro in atmosfera rimane oggi una sfi- da tecnologica che l’uomo non ha ancora vinto e rappresenta una delle fron- tiere della tecnica e della scienza. Per quanto riguarda la combustione, lo sviluppo del volo ad alta velo- cità è legato alla comprensione e realizzazione della combustione supersonica, 66

P. De Palma

fondamentale per il funzionamento del motore scramjet ideato per spingere i velivoli fino a velocità pari a 5-10 volte la velocità del suono (volo ipersonico).

Figura1. Due esempi di simulazioni numeriche tridimensionali: linee di corrente di un flusso comprimibile su una paletta di compressore assiale (sinistra); superfici a vorticità costante colorate con il valore della temperatura (destra).

Mantenere stabile una combustione in una corrente supersonica è sta- to paragonato a “mantenere accesa una fiamma in un uragano” per spiegare con una semplice metafora la difficoltà di realizzare tale sistema di propulsio- ne, che rappresenta oggi una delle frontiere della propulsione aeronautica. Il pannello di destra in figura 1 mostra il risultato di una simulazione numerica tridimensionale [8] di un combustore scramjet a flusso supersonico con inie- zione trasversale di idrogeno. L’esperimento numerico è impiegato per studia- re i complessi meccanismi di accensione e stabilizzazione della fiamma che sono fortemente dipendenti dalla dinamica della turbolenza generata nell’interazione tra il flusso di aria supersonico e il getto trasversale di idroge- no. Il primo maggio 2013, il velivolo sperimentale Boeing X51-A, equi- paggiato con questo tipo di propulsore, ha volato per circa 3,5 minuti con ac- celerazione da numero di Mach 4,8 a 5,1 segnando l’attuale frontiera della co- noscenza in questo campo. Quel velivolo rappresenta anche una soluzione innovativa e originale dal punto di vista aerodinamico per la sua particolare forma geometrica, che avrebbe sicuramente incuriosito il genio di Leonardo. La sua capacità di sostenersi in volo a velocità così elevate, sfruttando com- plessi fenomeni di interazione tra fluido e struttura, è stata sintetizzata in un nome particolarmente affascinante: waveraider. Infatti, il velivolo crea la pro- pria portanza grazie ad un’onda d’urto che si genera sulla punta dell’aeromobile e quindi, utilizzando una metafora, riesce a sostenersi come se fosse un surf sull’onda. 67

Frontiere della conoscenza a 500 anni di distanza

Questo tipo di velivoli potrebbe essere impiegato per ridurre la durata delle connessioni intercontinentali ad una/due ore e per ottenere un collega- mento veloce, flessibile e a basso costo con l’orbita bassa terrestre, proiettan- do l’uomo verso la colonizzazione dello spazio e avanzando nel percorso dell’evoluzione del volo iniziato da Leonardo.

4. CONCLUSIONI Il presente articolo ha rappresentato per l’autore una grande opportu- nità per approfondire in maniera diretta gli scritti del grande Maestro, cercan- do di ripercorrere i pensieri del genio toscano e rivivere le sue passioni. Lo scopo è stato mettere in evidenza le meravigliose intuizioni di Leonardo in al- cuni campi specifici dell’ingegneria: 1) la meccanica dei fluidi; 2) la combu- stione; 3) il volo. Attraverso un parallelo con i giorni nostri, si è voluto evi- denziare quanto quelle intuizioni, in alcuni casi, siano attuali a 500 anni di di- stanza. In altri casi Leonardo è stato precursore o semplicemente anticipatore visionario della tecnologia contemporanea. Il direttore del Jet Propulsion Lab di Pasadena (CA), Charles Elachi nel 2011 ha affermato che Leonardo ha posto le basi per la comprensione della dinamica del volo. Per questo, una copia del “Codice sul volo degli uccelli” è stata inviata su Marte in un chip a bordo del rover Curiosity, atterrato sul pianeta rosso il 6 agosto 2012. Ancora una volta, Leonardo ci ha preceduto indican- doci la frontiera verso cui avanzare sulla strada della conoscenza.

5. RIFERIMENTI [1] Leonardo da Vinci, “Codice Leicester”, 1504-1508. [2] Leonardo da Vinci, “Codice Atlantico”, 1508-1510. [3] Leonardo da Vinci, “Codice sul volo degli uccelli”, 1508-1510. [4] L. F. Richardson, “The supply of energy from and to atmospheric eddies”, Pro- ceedings of the Royal Society A, vol. 97, issue 686, pp. 354-373, 1920. [5] G.S. Settles, Schlieren and shadowgraph techniques, Springer, 2006. [6] P. De Palma, “Accurate numerical simulation of compressible transitional flows in turbomachinery”. AIAA Journal, vol. 40, No. 4, pp. 702-708, 2002. [7] Report of Columbia Accident Investigation Board, vol. I, 2003 (https://www.nasa.gov/columbia/home/CAIB_Vol1.html). [8] E. Cassone, B. Fanizza, E. Distaso, S.Cherubini, R. Amirante, P. De Palma, “Numerical simulation of the Hyshot II combustor for hypersonic combustion”. Interna- tional Conference on Flight Vehicles, Aerothermodynamics and Re-entry Missions & En- gineering, European Space Agency, Monopoli, 2019.

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ATTI E RELAZIONI LVI, (2021), 69-76

Fabio Gargano

[email protected]

Istituto Nazionale di Fisica Nucleare – Sezione di Bari

UNA NUOVA ERA PER L’OSSERVAZIONE DELL’UNIVERSO: LA FISICA MULTI-MESSAGGERO A NEW ERA FOR THE UNIVERSE OBSERVATION: THE MULTIMESSENGER PHYSICS

Sommario In questa breve rassegna si descriverà il contributo di Leonardo da Vinci all’osservazione dei fenomeni celesti ed il suo approccio alla scienza in generale. Seguirà una rassegna delle moderne tecniche di osservazione del cielo ed una descrizione del neonato modo di osservare l’universo: la fisica multi-messaggero. Abstract This brief review describes Leonardo da Vinci's contribution to the observation of celestial phenomena and his approach to science in general. A review of modern sky observation techniques and a description of the newborn way of observing the universe will follow: multi messenger physics.

1. LEONARDO E LA SCIENZA Leonardo da Vinci visse fra il 1452 ed il 1519 nel pieno del Rinasci- mento italiano e fiorentino ed incarnò perfettamente lo spirito dell’epoca, quella spinta verso il cambiamento che porterà dal medioevo all’età moderna: cambia- mento ed innovazione che egli saprà declinare in tutte le forme dell’arte e del sapere [1]. Leonardo è ricordato come un genio eclettico i cui interessi hanno spaziato dalla pittura alla scultura, dalla musica alla poesia, dalla botanica alla geologia, dall’ingegneria all’architettura, e di certo ha osservato con curiosità la natura ed i suoi fenomeni. Ma è possibile considerarlo uno scienziato in senso moderno? E’ possibile pensare a Leonardo come ad un uomo di scienza così come lo si definisce da Galileo in poi? Probabilmente no, poiché non sono pervenuti a noi, nonostante il grande corpus di suoi lavori raccolti negli anni, dimostrazioni delle sue teorie o compiute dimostrazioni matematiche. Anche dal punto di vista sperimentale non ci è giunta traccia di accurate descrizioni su come condurre esperimenti, su come registrare i risultati e su come elaborare i dati. Quello che manca in Leonardo è “il metodo scientifico” così come verrà

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Una nuova era per l’osservazione dell’universo: la fisica multi-messaggero

formulato un secolo dopo da Galileo Galileo. Tuttavia in Leonardo si delinea la perfetta fusione fra esperimento, meccanica e geometria ed infatti dopo di lui non si potrà più pensare ad una opposizione fra scienza e tecnica, fra fisica e matematica, fra empiria e ragione.

2. LEONARDO E IL CIELO Leonardo non ha mai osservato il cielo con l’interesse di un astronomo, ma con quello dell’artista. In particolare il suo desiderio di fermare su tela i colori e le luci tipici di alcune condizioni di particolare illuminazione lo hanno spinto ad approfondire aspetti che si avvicinano molto ad uno studio quasi “scientifico”. In particolare mi riferisco ai suoi studi sulla “luce cinerea”, ovvero la luce solare riflessa dalla Terra che rende visibile, accanto alla falce luminosa, anche la parte al buio del disco lunare colorandola debolmente di grigio-az- zurro. Leonardo ipotizzò che fosse dovuto alla riflessione della luce solare sui mari e sugli oceani, mentre oggi sappiamo che è invece legata alla riflessione sulle nubi che avvolgono la Terra, ma è certamente una intuizione formidabile considerando i mezzi a sua disposizione. Ed ancora più formidabile il modo in cui riuscì a rendere questa particolare luce nei sui dipinti ed in particolare nel celebre ritratto di “San Giovanni Battista” del 1513 dove la figura sembra per- dere i contorni e sfumare nello spazio che la accoglie. Leonardo approfondisce le sue osservazioni sulla luce lunare ed intuisce che essa splende di luce riflessa. Scrive che “la Luna non è luminosa per sé, ma bene è atta a ricevere la natura della luce a similitudine dello specchio e dell’ac- qua, o altro corpo lucido” (Manoscritto A., f. 64r) e “[…] non avendo lume proprio, riceve da altri la luce” (Codice Leicester, f. 30r) concludendo che la luce della Luna non solo è luce del sole riflessa, ma che sarebbe altrettanto efficace a scaldare se concentrata tramite uno specchio concavo: egli com- prende quindi correttamente che la luce solare e la luce lunare hanno la stessa natura. L’umanità ha voluto riconoscere il contributo di Leonardo alla scienza ed in particolare alle osservazioni del cielo, inviando in formato digitale il suo Codice del Volo ed il suo famoso autoritratto su Marte con il rover Curiosity partito con la missione NASA Mars Science Laboratory lanciata nel novembre 2011 ed atterrata sul suolo marziano nell'agosto del 2012.

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3. UN SALTO DI 500 ANNI Dalle osservazioni che possiamo definire proto-scientifiche di Leo- nardo compiamo ora un balzo in avanti di 500 anni, saltando a piè pari secoli di storia della astronomia per arrivare alla moderna astrofisica multi-frequenza e multi-messaggero.

3.1. L’astrofisica multi-frequenza Come è noto la radiazione elettromagnetica può essere descritta sia come una onda che come una particella priva di massa e di carica elettrica chia- mata fotone. Se la immaginiamo come una onda essere è caratterizzate da una lunghezza d’onda o alternativamente da una frequenza, se la immaginiamo in- vece come un fotone essa è caratterizzata da una energia: energia, lunghezza d’onda o frequenza sono ovviamente grandezze fisiche tutte correlate fra loro e rappresentano una delle caratteristiche fondamentali della radiazione elettro- magnetica. Per secoli l’umanità ha osservato solo una piccola porzione delle spettro elettromagnetico, ovvero quella piccola parte, detta “luce visibile”, a cui il nostro occhio è direttamente sensibile, ma lo spettro elettromagnetico è molto più ampio e si estende dalle onde radio ai raggi gamma, passando dalle energie più piccole a quelle più alte. Tuttavia non tutta la radiazione elettroma- gnetica può essere osservata da terra poiché l’atmosfera che circonda il pianeta assorbe quasi tutta la radiazione incidente, lasciando passare la luce visibile ed una parte delle onde radio (quelle usate per le telecomunicazioni). Lo schermo fornito dalla atmosfera, se da un lato ha permesso lo sviluppo della vita sulla terra, dall’altro ha ritardato la nascita della astronomia multi-frequenza poiché si è dovuto attendere lo sviluppo tecnologico necessario a mettere in orbita degli osservatori su satellite. In realtà l’atmosfera terrestre rende più difficoltose le osservazioni del cielo anche nella banda energetica della luce visibile poiché introduce delle tur- bolenze, legate a umidità, temperatura, pressione ed altri fattori ambientali che ostacolano le misure più precise. Il più grande telescopio terrestre a singolo specchio è il Gran Telescopio Canaris (GTC) [2] che monta uno specchio di 10,4 metri ed è installato sull’isola di La Palma alle Canarie ad una quota di 2267m. L’alta quota di installazione e lo specchio di più di 10m lo rendono un formidabile strumento per osservare il cielo visibile. Una nuova era nella osser- vazione del cielo visibile è invece iniziata il 24 aprile 1990 quando è stato messo in orbita il telescopio Hubble (HST) [3] che con uno specchio di 2.4m ci ha fornito sorprendenti immagini di oggetti galattici ed extragalattici. Anche le onde radio sono osservabili da terra poiché l’atmosfera è quasi

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Una nuova era per l’osservazione dell’universo: la fisica multi-messaggero completamente trasparente a queste lunghezze d’onda e di fatto la radio-astro- nomia nasce negli anni ’30 del 1900 seguendo gli sviluppi tecnologici legati alle telecomunicazioni. Col tempo si è capito che ciò che era scambiato per un di- sturbo nelle comunicazioni a grande distanza era in realtà associabile ad una emissione radio proveniente dal Sole, che è stato quindi il primo corpo celeste osservato su più lunghezze d’onda. Il più grande sistema di antenne per l’osser- vazione radio del cielo è il Very Long Baseline Array (VLBA) [4] diffuso su tutto il Nord America e che permette, grazie a moderne tecniche interferome- triche, l’osservazione di oggetti sia galattici, come il buco nero Sgr A al centro della nostra galassia, che extra-galattici. La radiazione infrarossa è radiazione termica emessa da tutti corpi ed è correlata in maniera diretta alla temperatura dei corpi. In piccola parte anche la radiazione infrarossa, in particolari condizioni osservative, riesce a penetrare lo schermo della atmosfera e a raggiungere la terra. Le prime osservazioni in questa banda di frequenza risalgono agli anni ’20 del 1900 e riguardano preva- lentemente la Luna e i pianeti del sistema solare. Il vero balzo in avanti nella astronomia infrarossa si è avuto con le missioni spaziali ed in particolare con la missione NASA Spitzer Space Telescope (SST) [5] che dal 2003 osserva l’emissione infrarosse di oggetti galattici e ci fornisce importati informazioni circa l’ambiente interstellare. La radiazione X fu oggetto di studio sul finire del 1800 quando si mol- tiplicarono gli studi della radiazione prodotto durante l’uso dei tubo a vuoto, ma il primo annuncio lo fece nel 1895 Wilhelm Rontgen battezzandoli raggi X: la scoperta gli valse il premio Nobel per la fisica nel 1901. Per la nascita dalla astronomia X invece si dovettero aspettare gli anni ’60 ed il contributo di due fisici italiani Bruno Rossi e Riccardo Giacconi (premio Nobel per la fisica nel 2002) che idearono dei dispositivi adatti a missioni spaziali e progettati per la rilevazione di questa elusiva forma di radiazione. Attualmente le missioni in orbita più importanti sono il Chandra X-ray Observaorty [6] lanciato dalla NASA nel 1999 ed il satellite XMM-Newton [7] messo in orbita dall’ESA sempre nel 1999. I raggi gamma costituiscono la parte più energetica dello spettro elet- tromagnetico e permettono di studiare i fenomeni più «violenit» dell’Universo. L’astronomia gamma nasce in modo del tutto casuale negli anni ‘70 con i satel- liti Vela, una costellazioni di satelliti messi in orbita dagli Stati Uniti durante la guerra fredda con lo scopo di monitorare le esplosioni nucleari a terra. Per la prima volta questi satelliti rivelarono segnali di raggi gamma non provenienti dalla Terra bensì dallo spazio dando così il via alla astrofisica gamma. I raggi gamma sono molto difficili da rivelare e necessitano di tecniche

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F. Gargano

tipiche della fisica delle particelle ed il loro studio è a cavallo fra l’astrofisica e la fisica delle alte energie. Un enorme balzo in avanti nello studio dei raggi gamma si ebbe negli anni ’90 con i primi satelliti scientifici dedicati: Beppo- SAX [8] ed EGRET [9]. Attualmente vi sono molte missioni scientifiche in orbita (Swift [10], INTEGRAL [11], Agile [12], FERMI [13]) dedicate alla astrofisica gamma. E’ possibile osservare anche da terra i raggi gamma in modo indiretto andando a studiare l’interazione di questi con i nuclei in atmosfera ed è ciò che fanno gli esperimenti Magic [14], Hess [15], Veritas [16] ed in futuro CTA [17]. Lo studio congiunto di sorgenti a diverse frequenze ci ha permesso di indagare a fonde i meccanismi di funzionamento delle sorgenti galattiche ed extragalattiche e i continui passi in avanti della scienze e della tecnica ci permet- teranno nei prossimi anni di incrementare ulteriormente le nostre conoscenze.

3.2. L’astrofisica multi-messaggero Sino ad ora abbiamo vito come sia possibile osservare il cielo guardando esclusivamente la radiazione elettromagnetica che ci raggiunge dallo spazio, ma in realtà sulla Terra arrivano anche altri messaggeri il cui studio ci apre nuovi scenari osservativi e ci permette di aggiungere tasselli al mosaico della compren- sione dell’Universo. I raggi cosmici sono di fondamentale interesse per la comprensione dei meccanismi alla origine delle emissioni più energetiche e violente che osser- viamo guardando il cielo. I raggi cosmici carichi sono particelle (per la stra- grande maggioranza protoni, ovvero i mattoncini fondamentali di cui sono fatti gli atomi) di origine extraterrestre di alta energia che viaggiano a velocità pros- sime a quella della luce e che quotidianamente impattano l’atmosfera terrestre da tutte le direzioni. I raggi cosmici vengono prodotti e accelerati in quelli che sono indicati come acceleratori cosmici ovvero resti delle esplosioni di supernova, stelle di neutroni e nuclei galattici attivi. Nel loro lungo tragitto sino a noi sono deflessi dai campi magnetici che permeano la nostra Galassia e pertanto quando ci raggiungono dopo circa 10 milioni di anni la loro direzione di arrivo non punta più alla sorgente. Studiare i raggi cosmici vuol dire capire la loro composizione e la loro energia e da questa dedurre quali meccanismi possono averli accelerati ad energie milioni di volte più elevate di quelle che si possono ottenere nei più potenti acceleratori di par- ticelle costruiti dall’uomo e quali processi sono alla base della loro produzione. Per poterli studiare nel corso degli anni sono stati costruiti differenti tipi di rivelatori sia a terra che nello spazio. Le osservazioni fatte nelle spazio sono di

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Una nuova era per l’osservazione dell’universo: la fisica multi-messaggero tipo diretto, ovvero si osservano direttamente i raggi cosmici mediante l’intera- zione con i rivelatori di particelle a bordo dei satelliti: fra gli esperimenti più recenti ricordiamo PAMELA [18], AMS [19], DAMPE [20] e CALET [21]. E’ possibile osservare anche da terra i raggi cosmici in modo indiretto, ovvero andando a studiare come questi interagiscono con i nuclei presenti in atmosfera e che particelle producono: in questo modo è possibile ricostruire sia la direzione di arrivo che l’energia del raggio cosmico primario. Esperimenti che usano queste tecniche di osservazione sono Auger [22], Hess [15], MA- GIC [23] e in futuro CTA [17]. Fra i raggi cosmici dobbiamo anche considerare i neutrini, elusive par- ticelle elementari caratterizzate dal non avere carica elettrica e da avere una massa cosi piccola da renderli in grado di attraversare la materia quasi indistur- bati. La caratteristica di non avere carica elettrica è molto utile in astrofisica poiché, come i fotoni, non sono deflessi dai campi magnetici della galassia e quindi puntano direttamente alla sorgente che li ha generati, tuttavia la loro piccola massa li rende molto difficili da osservare. Sono necessari rivelatori molto estesi e profondi, dell’ordine del kilometro, per poterli rivelare e questo rende necessario sviluppare dei rivelatori che sfruttano i ghiacci del polo sud come IceCube [24] o le acque del mediterraneo come KM3 [25]. Messaggeri di natura completamente diversa sono le onde gravitazio- nali, previste già nel 1916 come possibile conseguenza della teoria della relati- vità di Einstein ed osservate per la prima volta dagli esperimenti LIGO [26] e VIRGO [27] nel 2015, quasi esattamente un secolo dopo. L’onda gravitazione è una perturbazione dello spazio-tempo che si propaga con carattere ondulato- rio alla velocità della luce. Ogni massa in movimento crea un onda gravitazio- nale, ma solo quando le masse in gioco sono particolarmente grandi e veloci l’intensità dell’onda è tale che la deformazione dello spazio-tempo è osservabile con gli avanzatissimi strumenti interferometrici di LIGO e VIRGO. Sino ad ora sono state osservate onde gravitazionali legate alla fusione di sistemi binari di buchi neri o di stelle di neutroni, che nelle fasi finali della loro esistenza ruo- tano ad elevatissime velocità, prossima a quella della luce, sino a fondersi in un unico oggetto stellare: durante questa rotazione generano una onda gravitazio- nale. Lo studio della intensità e della frequenze di queste onde ci permette di ottenere informazioni sulle caratteristiche del sistema binario e ci aiuta a com- prenderne la natura. I dati ottenuti dal loro studio uniti a quelli ottenuti osser- vando la radiazione elettromagnetica prodotta durante questi eventi ci permette di studiare come mai prima d’ora gli istanti finali della vita di alcune tipi di stelle.

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4. CONCLUSIONI Molto probabilmente Leonardo da Vinci non può essere considerato fra i padri della astronomia moderna, ma di certo ha incarnato pienamente lo spirito che spinge ogni scienziato: la curiosità verso la natura e la voglia di capire come essa funziona. Partendo da questi basi embrionali nei secoli successivi la scienza è nata, si è sviluppata ed è cresciuta sino ai giorni nostri. Il progresso scientifico e tecnologico ha permesso negli ultimi cento anni di rivoluzionare completamente l’osservazione del cielo, prima limitata alla sola luce visibile, sia ampliandola con osservazioni multi-frequenza dalle onde radio ai raggi gamma, sia affiancandola alla osservazione di altri messaggeri che viaggiano nel nostro universo come i raggi cosmici e le onde gravitazionali.

5. RIFERIMENTI

[1] L. Borzacchini, La solitudine di Leonardo. Il «genio universale» e le origini della scienza modern, Dedalo, 2019. [2] «Gran Telescopio CANARIAS,» [Online]. Available: http://www.gtc.iac.es/. [3] «HUBBLE SPACE TELESCOPE,» [Online]. Available: https://hubblesite.org/. [4] P. J. Napier et al., «The Very Long Baseline Array,» in Proceedings of the IEEE, 1994. [5] M. W. Werner et al., «The Spitzer Space Telescope Mission,» The Astrophysical Journal Supplement Series, vol. 154, n. 1, pp. 1-9, 2004. [6] M. C. Weisskopf et al., «Chandra x-ray observatory (cxo):overview,» in Proc.SPIE Int.Soc.Opt.Eng., 2000. [7] F. Jansen et al., «XMM-Newton observatory,» Astronomy and Astrophyiscs, vol. 365, pp. L1-L6, 2001. [8] G. Boella et al., «BeppoSAX, the wide band mission for X-ray astronomy,» ASTRONOMY & ASTROPHYSICS, vol. 122, pp. 299-307, 1997. [9] D. J. Thompson et al., «Gamma ray astrophysics: the EGRET results,» in Reports on Progress in Physics, 2008. [10] N. Gehrels et al., «The Swift Gamma‐Ray Burst Mission,» The Astrophysical Journal, vol. 611, n. 2, pp. 1005-1020, 2004. [11] C. Winkler et al., «The INTEGRAL mission,» Astronomy and Astrophysics, vol. 411, n. 1, pp. L1-L6, 2003. [12] M. Tavani et al., «The agile mission,» Astronomy and Astrophysics, vol. 502, n. 3, 2009. [13] W. B. Atwood et al., «THE LARGE AREA TELESCOPE ON THEFERMI GAMMA-RAY SPACE TELESCOPEMISSION},» The Astrophysical Journal, vol. 697, n. 2, p. 1071–1102, 2009. 75

Una nuova era per l’osservazione dell’universo: la fisica multi-messaggero

[14] E. Lorenz et al., «The Magic telescope,» Astronomy & Geophysics, vol. 46, n. 6, p. 6.21– 6.25, 2005. [15] «The HESS project,» [Online]. Available: http://www.mpi-hd.mpg.de/HESS/. [16] T. Weekes etal., «VERITAS: the Very Energetic Radiation Imaging Telescope Array System,» Astroparticle Physics, vol. 17, n. 2, p. 221–243, 2002. [17] M. Actis et al., «Design concepts for the Cherenkov Telescope Array CTA: an advanced facility for ground-based high-energy gamma-ray astronomy,» Experimental Astronomy, vol. 32, p. 193–316, 2011. [18] O. Adriani et al., «The Pamela Space Mission,» Nuclear Physics B - Proceedings Supplements , vol. 188, pp. 296 - 298, 2009. [19] M. Aguilar et al., «First Result from the Alpha Magnetic Spectrometer on the International Space Station,» PHYSICAL REVIEW LETTERS, vol. 110, 2013. [20] J. Chang et al., «The DArk Matter Particle Explorer mission,» Astroparticle Physics, vol. 95, pp. 6-24, 2017. [21] Y. Asaoka et al., «The CALorimetric Electron Telescope (CALET) on the International Space Station: Results from the First Two Years On Orbit,» in Journal of Physics: Conference Series, 2019. [22] «Pierre Auger Observatory,» [Online]. Available: https://www.auger.org/. [23] J. Rico et al., «Overview of MAGIC results,» in Nuclear and Particle Physics Proceedings, 2016. [24] M. Aartsen et al., «The IceCube Neutrino Observatory: instrumentation and online systems,» Journal of Instrumentation, vol. 3, 2017. [25] «Km3Net» [Online]. Available: https://www.km3net.org/. [26] «Ligo Scientific Collaboration» [Online]. Available: https://www.ligo.org/. [27] «Virgo» [Online]. Available: https://www.virgo-gw.eu/.

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ATTI E RELAZIONI LVI, (2021), 77-87

Antonio Lucio Giannone [email protected] Università del Salento

DAL MITO ALL’INTERPRETAZIONE: MOMENTI DELLA RICEZIONE DI LEONARDO NELLA LETTERATURA ITALIANA DEL NOVECENTO

FROM MYTH TO INTERPRETATION: MOMENTS OF LEONARDO’S RECEPTION IN TWENTIETH CENTURY ITALIAN LITERATURE

Sommario Oggetto del presente articolo è la ricezione di Leonardo da Vinci in alcuni momenti della letteratura italiana del Novecento, a partire soprattutto dagli anni Trenta fino agli anni Ottanta. In questo periodo all’immagine decadente-estetizzante del sommo artista, tipica della fin de siècle e dei primi due decenni del successivo, se ne sostituisce un’altra, assai diversa e decisamente più moderna, in cui accanto alla componente artistica trova il giusto rilievo anche quella scientifica. Questa immagine emerge negli interventi di alcuni dei maggiori poeti e prosatori del secolo scorso che qui si esaminano: da Ungaretti a Gadda, da Sinisgalli a Mon- tale, da Cecchi a Quasimodo, fino a Italo Calvino.

Abstract. The subject of this paper is the reception of Leonardo da Vinci in twentieth-century Italian literature, especially from the 1930s to the 1980s. In this period, the decadent and aesthetic image of the great artist – typical of the fin de siècle and of the first two decades of the following century – was replaced by another one, very different and definitely more modern, in which, alongside the artistic component, the scientific one also found the right importance. This image comes out in the works of some of the greatest poets and prose writers of the last century, who are examined here: from Ungaretti to Gadda, from Sinisgalli to Montale, from Cecchi to Quasimodo, up to Italo Calvino.

Nel corso dei secoli, la figura di Leonardo da Vinci ha suscitato costan- temente l’interesse dei letterati italiani che lo hanno interpretato in base ai gusti e alle tendenze delle varie epoche. Tra Otto e Novecento, ad esempio, non solo 77

Dal mito all’interpretazione: Leonardo nella letteratura italiana del Novecento

in Italia ma un po’ in tutta Europa, nacque così un vero e proprio “mito” di Leonardo, come è stato ampiamente dimostrato in un volume di Sandra Mi- gliore a cui si rimanda per questo specifico approfondimento1. Il Decadentismo europeo, infatti, come chiarisce bene la Migliore, riprende quell’immagine di Leonardo che si forma già nel Cinquecento attraverso il volume delle Vite (1550) di Giorgio Vasari, che crea per primo il “mito” appunto di Leonardo. Questo culto del grande artista toscano viene ulteriormente sviluppato e ampli- ficato qualche decennio dopo, nel volume Idea del tempio della pittura (1590) da Pietro Lomazzo, che ne fa addirittura un semidio, paragonandolo a Hermes e Prometeo. Del primo, infatti, a giudizio di Lomazzo, Leonardo possedeva la grande inventiva, ma anche l’ambiguità e le contraddizioni. Di Prometeo, il de- siderio di migliorare le sorti degli uomini attraverso le scoperte scientifiche (le ali invece del fuoco). Ecco, questi aspetti (titanismo, eccezionalità, ambiguità. mistero), che caratterizzerebbero la figura di Leonardo, sono ripresi appunto nel decadentismo da alcuni scrittori che li sentivano particolarmente vicini alla loro sensibilità. Un autore che contribuisce in maniera decisiva a creare il mito di Leo- nardo, in quel periodo, in tutta Europa è, ad esempio, il saggista inglese Walter Pater, uno dei maestri dell’estetismo, il quale nel suo libro, Studi sulla vita del Rinascimento, del 1873, ne fa una sorta di decadente ante litteram, un “mago” che è in contatto con le forze più segrete della natura. Le caratteristiche della sua personalità sono quindi, per Pater, il senso di mistero, il desiderio della bellezza (l’arte per l’arte) e l’ambiguità. Non a caso, le opere pittoriche di Leonardo più apprezzate da questo scrittore sono La Gioconda e il San Giovanni Battista. La prima per lui rappresenta l’eterno femminino, ma anche un’immagine di femme fatale, così tipica di quel periodo, cioè un tipo di bellezza lasciva e perversa. Si avvicina all’immagine di Leonardo che ne dà Pater, quella che viene fuori da un’opera che ebbe larga diffusione e che influenzò largamente tanti scrittori in quel periodo, il Romanzo di Leonardo, del narratore russo Dimitrij Me- rezkowskij, apparso nel 1900 in lingua originale e tradotto l’anno dopo in ita- liano. Anche Merezkowskij, infatti, fa di Leonardo un individuo d’eccezione, che tenta di conciliare la dimensione umana e quella divina, valori pagani e va- lori cristiani, elemento maschile e elemento femminile. A questo proposito, c’è da aggiungere che in questo periodo a Leonardo, accanto al topos della femme

1 Ci riferiamo a S. Migliore, Tra Hermes e Prometeo. Il mito di Leonardo nel decadentismo europeo, Firenze, Olschki, 1994. Ma cfr. anche il fascicolo della «Rivista di letteratura italiana», XXXVII (2019), n. 2, interamente dedicato a Leonardo. La seconda sezione, Gli scrittori e Leonardo, contiene articoli sull’interpretazione dell’artista da parte di d’Annunzio, Conti, Campana, Papini e Calvino. 78

A. L. Giannone

fatale, è collegato anche quello dell’androgino proprio a causa dell’ambiguità di certe sue celebri raffigurazioni pittoriche. In Italia colui che si fece portavoce di questa visione di Leonardo è stato Gabriele d’Annunzio che, com’è noto, è stato anche il massimo rappresentante dell’estetismo “decadente” da noi e aveva anche le antenne più sensibili per captare i gusti, le tendenze dell’epoca. Ebbene d’Annunzio definì Leonardo “l’unico padre” della sua anima e i suoi capolavori furono per lui un costante punto di riferimento in tutta la sua attività letteraria. Quali sono allora i punti principali dell’interpretazione di Leonardo che ricorrono in alcune raccolte poe- tiche e in alcuni romanzi dannunziani? Ecco, a certe celeberrime immagini fem- minili leonardesche rimandano, ad esempio, alcuni personaggi dei suoi romanzi come, ad esempio, Elena del Piacere e, in particolare, certe parti del volto (la bocca, gli occhi, i capelli) e certe espressioni come il sorriso. Nel Piacere inoltre D’Annunzio riprende dal Pater alcune idee, come il fascino della corruzione e della bellezza fatale, la sensualità voluttuosa, la corrispondenza panica tra le cose e gli esseri. Anche un altro famoso romanzo, Le vergini delle rocce, è posto, fin dal titolo, sotto il segno di Leonardo, mentre nella raccolta Elettra (il secondo libro delle Laudi, 1903) Leonardo diventa “genio universale”, simbolo della terra lombarda, “genio della stirpe”, assimilato addirittura alla figura di Cristo. Anche Dino Campana, nei suoi Canti Orfici (1914), sulla scia di Merez- kowskij e di Edouard Schuré, autore di libri assai famosi in quel periodo, come I grandi iniziati e I profeti del Rinascimento (in cui un capitolo è dedicato proprio a Leonardo), recupera l’immagine del grande artista «mago, iniziato ai segreti primi dell’umana esistenza»2. Per Campana, Leonardo è «il “divino primitivo” che ha già compreso tutto, l’onnisciente che […] ha colto ogni segreto attra- verso la contemplazione estatica e la produzione mimetica, e che ha espresso la sua verità in figure che continuano la natura nell’arte»3 . Giovanni Papini, infine, uno degli scrittori italiani più attivi nel primo Novecento e allora anche più noti, rivolse a Leonardo una costante attenzione nel corso della sua lunga e intensa attività. Vorrei citare qui però soltanto la rivista da lui fondata a Firenze nel 1903 e che chiamò, in omaggio al genio della sua terra, proprio “Leonardo”. Così, lo scrittore fiorentino nel suo romanzo autobiografico, Un uomo finito (1913), spiegava la scelta del nome facendo rife- rimento ai vari ambiti di interesse che lo avevano caratterizzato:

2 S. Migliore, Tra Hermes e Prometeo. Il mito di Leonardo nel decadentismo europeo, cit., p. 213. 3 Ibid. 79

Dal mito all’interpretazione: Leonardo nella letteratura italiana del Novecento

Leonardo era l’uomo che aveva dipinto enigmatiche anime e rocce e fiori e cieli meglio dei migliori; aveva cercato paziente la verità, tra macchine e cadaveri, più dei sapienti; e aveva scritto sulla vita e sulla bellezza con parole più profonde e immagini più speciose dei letterati di mestiere; e aveva sognato la potenza divinatrice dell’uomo terrestre e la conquista del cielo come gli amanti dell’im- possibile […]. Il giornale si doveva chiamar Leonardo e non altrimenti4.

A questa immagine, decadente-estetizzante, tipica della fin de siècle, nei decenni successivi se ne sostituisce una assai diversa e decisamente più mo- derna, in cui, fra l’altro, accanto alla componente artistica dell’attività leonarde- sca, trova il giusto posto anche quella scientifica. La figura di Leonardo perde così definitivamente quell’alone di mito, di magia, quasi di soprannaturale da cui era circondata e assume connotati più realistici, pur restando immutata ov- viamente la convinzione della sua assoluta unicità. Quest’immagine si viene delineando in Italia soprattutto dalla fine degli anni Trenta, allorché una grande mostra dedicata al genio di Vinci, con la “scoperta” dell’inventore e dello scien- ziato, impone un ripensamento globale della sua personalità. Da allora, di lui si occupano alcuni tra i maggiori poeti e prosatori italiani che prendono in esame i diversi aspetti della sua multiforme, geniale attività. E, sorprendente- mente, alcuni di essi, anche a causa della loro formazione, rivolgono l’atten- zione proprio all’aspetto scientifico, quasi completamente trascurato in prece- denza. Uno dei primi a occuparsi di Leonardo, nel Novecento, è stato Giu- seppe Ungaretti, per il quale ha costituito un costante motivo di riflessione. Uno dei punti che egli affronta, sulla scia dell’interpretazione di Paul Valéry, autore di vari scritti sul grande artista, fra i quali Introduction à la méthode de Léonard da Vinci (1894), riguarda il tentativo, da parte di Leonardo, di trovare un metodo di ricerca comune tra arte e scienza. I primi riferimenti, nei saggi di Ungaretti, risalgono già alla seconda metà degli anni Venti e fondamentale, già da allora, nella sua interpretazione, risulta appunto la mediazione del grande poeta fran- cese. Non a caso, questi riferimenti figurano proprio in articoli a lui dedicati, come La rinomanza di Paul Valéry, del 1925, dove, a un certo punto, Ungaretti scrive che «il poeta di Charmes […] non cela che dal Petrarca, dal Machiavelli,

4 G. Papini, Un uomo finito, Firenze, Vallecchi, 19142, p. 99. 80

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da Leonardo gli vengono i doni più grandi»5. E uno di questi doni è l’idea leo- nardesca «che il nostro corpo sia fonte inesauribile di studio, che nella contem- plazione della natura vada ricercato ogni stimolo intellettuale e ogni legge»6. Anche la fusione di arte e scienza, che egli aveva attuato in maniera mirabile, è un concetto, ripreso da Valéry, che ritorna altre volte in Ungaretti. Infatti, in un articolo del 1927, dal titolo Commemorazione del futurismo, a propo- sito del movimento marinettiano, scrive: «È mancato forse al futurismo, un uomo, un Leonardo, il quale, non ignorando nulla della scienza e dell’arte del suo tempo, fosse in grado di avviare l’arte, di pari passo, su una strada parallela a quella dov’è in viaggio la scienza»7. Ma, al di là delle riflessioni ungarettiane degli anni Venti e Trenta, una vera e propria rilettura novecentesca, di gusto moderno, di Leonardo comincia forse in Italia soltanto nel 1939, anno in cui a Milano si svolse una grande Mo- stra leonardesca, che ebbe «un carattere eccezionale, per la complessità del tema affrontato e per le congiunture storico-politiche»8. Quella, infatti, fu anche un’occasione che ebbe il regime per esaltare il “genio italiano” e il fascismo. «Con un’ottica distorta – è stato osservato ‒ Leonardo era considerato l’antesi- gnano dell’“uomo nuovo” fascista, paragonabile allo stesso duce»9. La mostra allestita sui due piani del Palazzo dell’Arte del capoluogo lombardo, attraverso venticinque sale, intendeva far conoscere non solo il sommo artista, ma anche lo scienziato e l’inventore, come era provato ormai dai suoi manoscritti, «fitti di annotazioni, di disegni tecnici e anatomici, sistematicamente pubblicati dal 1880»10. Per la prima volta vennero esposti macchine e modelli leonardeschi ricavati proprio dai manoscritti, che colpirono fortemente l’immaginazione dei visitatori. E la mostra rappresentò per l’appunto «il momento fondante, nono- stante qualche eccesso mitografico, della riscoperta di Leonardo scienziato»11. In quella occasione, Carlo Emilio Gadda pubblicò, sul numero del 16 agosto 1939 della «Nuova Antologia», una lunga, memorabile recensione della mostra, poi compresa nel volume Le meraviglie d’Italia, che costituisce «forse la

5 G. Ungaretti, La rinomanza di Paul Valéry, in Id. Vita d’un uomo. Saggi e interventi, a cura di M. Diacono e L. Rebay, Milano, Mondadori, 19823, p. 103. 6 Ivi, p. 101. 7 Id., Commemorazione del futurismo, ivi, p. 172. 8 R. Cara, La mostra di Leonardo da Vinci a Milano tra arte, scienza e politica (1939), in All’origine delle grandi mostre in Italia (1933-1940). Storia dell’arte e storiografia tra divulgazione di massa e propaganda, a cura di M. Toffanello, Mantova, Il Rio Edizioni, 2017. Allo studio di Cara si rimanda per un’ac- curata ricostruzione di questo avvenimento. 9 Ivi, p. 138. 10 Ibid. 11 Ivi, p. 160. 81

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maggiore eredità lasciata dalla manifestazione meneghina»12. Fin dall’inizio, Gadda non nasconde il suo stupore, la sua meraviglia di fronte a tanta bellezza e genialità:

Avvicinare Leonardo! Ci ritroviamo, davanti a lui, come alla sorgente stessa del pensiero. Qui la nativa acuità della mente si dà liberissima dentro la selva di tutte le cose apparite, dentro la spera di tutti i «phaenomena»: a percepire, a interpretare, a computare, a ritrarre, a profittare per «li òmini» del profitto di ragione e di verità13.

Poi passa puntualmente in rassegna le venticinque sale, descrivendo e commentando, a suo modo ovviamente, con la genialità e l’inventività lingui- stica che gli erano proprie, i materiali esposti. Incomincia quindi dalla sala dell’iconografia vinciana e da quella dei documenti e dei luoghi dove Leonardo visse e operò (la Firenze medicea, la Milano sforzesca, la Francia di Ludovico XII e di Francesco I), per passare alla sala dedicata alla sua «biblioteca», che «ci dà – scrive Gadda – brividi di delizia»14. Successivamente percorre, con parti- colare attenzione, gli spazi riservati alle ricerche leonardesche nel campo delle maggiori discipline scientifiche: astronomia, matematica e geografia, idraulica, cartografia, biologia, botanica, anatomia, ottica e prospettiva, acustica e musica, meccanica, architettura navale. Queste sale, scrive Gadda, «esibiscono copia immensa di disegni e modelli, di vividi espunti del pensiero annotato»15, e così commenta “incantato”: «Leggiamo e guardiamo in una sorta d’incanto, verso tutte le direzioni della prassi, della conoscenza, del mestiere, del metodo»16. E, allo stesso modo non manca di esprimere la sua ammirazione nei confronti del disegnatore: «Leonardo è soprattutto un meraviglioso disegnatore: tutti sanno. E disegnava, del mondo che gli è così nitidamente apparito, ogni forma e par-

12 Ivi, p. 153. 13 C.E. Gadda, La Mostra leonardesca, in ID., Le meraviglie d’Italia. Gli anni, Torino, Einaudi, 1964, p. 211; poi in Id, Saggi giornali favole e altri scritti I, a cura di L. Orlando, C. Martignoni, D. Isella, in Opere, edizione diretta da D. Isella, Milano, Garzanti, 1991, pp. 401-418. [Vd. in proposito la Nota ai testi di L. Orlando, ivi, pp. 1261-1295:1282]. Su questo scritto cfr. anche P. Antonello, Leonardo, in Gadda Pocket Encyclopedia. Special Supplement to «The Edinburgh Journal of Gadda Studies», 2004, n. 2; http://www.arts.ed.ac.uk/italian/gadda/. 14 C. E. Gadda, La Mostra leonardesca, in Id., Le meraviglie d’Italia. Gli anni, cit., p. 218. 15 Ivi, p. 224. 16 Ibid. 82

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venza: fiori, angeli, visceri, paesi, torri, farfalle, macchine, uomini in rissa e coa- gulo e cataratta di cavalieri ad Anghiari, e la Madonna sotto la stillante rupe, e il volto del Cristo»17. Nel corso del lungo articolo, che qui è impossibile ovviamente riper- correre in tutti i suoi momenti, Gadda si sofferma e illustra alcune invenzioni e riporta spesso frasi e brani tratti dai manoscritti mettendo in rilievo la prodi- giosa, innata qualità della scrittura leonardesca. Alla fine, si sofferma sulle opere d’arte collocate nelle ultime sale, in- sieme a quelle del Verrocchio, il suo maestro, degli allievi, dei copisti. Nota l’assenza di alcuni capolavori, conservati al Louvre (dalla Gioconda alla Vergine, Sant’Anna e il Bimbo, alla Vergine delle Rocce), e in altri musei stranieri, mentre «delle pinacoteche italiane – scrive ‒ c’è tutto»18. E comunque – osserva – si tratta pur sempre di «una sì stupefacente raccolta, quale credo arduo pervenire ad aver sott’occhio in nessuna occasione della vita»19. Tra i dipinti esposti lo colpisce «il celeberrimo Battista»20, del quale dà una sorprendente, imprevedibile definizione: «l’equivoco e dulcoroso pollastrone che segnerebbe il culmine del processo astrattivo, platonizzante del divino Leonardo»21. Tra i letterati che si occuparono di questa grande mostra, che peraltro venne criticata da Roberto Longhi, il maggior critico d’arte italiano del Nove- cento, che la definì addirittura «abominevole»22, figura pure un altro scrittore- ingegnere come Gadda, il lucano Leonardo Sinisgalli, anch’egli particolarmente sensibile, pour cause, all’aspetto scientifico dell’attività di Leonardo da Vinci23. Ma Sinisgalli si occupa anche in altre occasioni di Leonardo, che esercita su di lui un’indubbia suggestione proprio a causa dei duplici interessi dell’inge- gnere-poeta lucano, la formazione scientifica, da un lato, e la passione per l’arte e la letteratura, dall’altro. Ad esempio, nel volume Furor mathematicus, figurano due interventi a lui dedicati, Leonardo da Vinci e il volo degli uccelli e Poetica di Leonardo. Nel primo, in particolare, prende in esame le note del Codice At- lantico e del Codice G riguardanti il volo degli uccelli stese a più riprese: nel 1483, nel 1505 e nel 1515. All’inizio però riflette su quello che per Leonardo

17 Ivi, p. 222. 18 Ivi, p. 229. 19 Ibid. 20 Ivi, p. 228. 21 Ibid. 22 Il giudizio di Longhi è riportato in R. Cara, La mostra di Leonardo da Vinci a Milano tra arte, scienza e politica (1939), cit., p. 153. 23 Cfr. L. Sinisgalli, Note vinciane minori, in «Sapere», IV (1938), fasc. 95, p. 419. 83

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rappresentava il cielo, che per lui non è simbolo del metafisico, del trascen- dente. Non a caso, la parte del cielo che lo ha interessato di più ‒ sostiene Sinisgalli ‒ è «la parte che sta al di qua dell’azzurro […] dove c’è aria, nubi e la nazione degli uccelli. A lui dunque – continua ancora – non premeva l’azzurro del cielo, né il di là dell’azzurro dov’è l’orrendo dominio infinito»24. Poi si in- trattiene sui progetti leonardeschi di paracadute, di elicottero e di altri tipi di macchine volanti con i quali egli «preparava l’animo al grande giorno»25 in cui l’uomo avrebbe potuto volare. Ma il messaggio che ha voluto lanciare, secondo Sinisgalli, è che «l’uomo deve farsi un’anima da uccello, sentirsi, come gli uccelli, le ali attaccate al cuore»26. Leonardo, da lui definito «meccanico intransigente»27, a suo avviso, «non sospetta un mistero (anche quando taglia a pezzi i cadaveri e gli uccelli), non sospetta la presenza di un’anima»28. Un altro momento fondamentale per la fortuna di Leonardo nel Nove- cento è rappresentato dal 1952. Quell’anno ricorreva il cinquecentesimo anni- versario della nascita e il 15 aprile, infatti, incominciarono a Vinci le celebrazioni ufficiali per l’importante ricorrenza. Tra i presenti a quell’evento, nel borgo toscano, c’era un cronista d’eccezione, Eugenio Montale, allora redattore del «Corriere della Sera», dove il giorno dopo uscì appunto il suo “pezzo”, dal titolo A Vinci nella casa di Leonardo. Un “giornalista” come Montale ovviamente non poteva limitarsi a fare la semplice cronaca della giornata e infatti la arricchisce con le sue ironiche e a volte pungenti osservazioni, non tralasciando nemmeno di raccontare gustosi aneddoti, di riferire episodi curiosi. Inizialmente accenna, ad esempio, al rapporto controverso, difficile tra il «prismatico genio» (così lo definisce) e Firenze, che confermò nei secoli, secondo Montale, la «diffidenza» che Lorenzo il Magnifico ebbe nei confronti del giovane Leonardo:

Leonardo fu un toscano di mente universale quando la Toscana era una culla di dèi; ma quando la figura di lui, divenuta leggendaria, spaziò nelle regioni delle favole e uscì dalle nubi, mutata in un personaggio che sta tra il dottor Faust e il demogorgone di Shelley; quando si cominciò a vedere in Leonardo un Dante con il cervello di un Platone e le qualità… accessorie di un Michelangelo e di un Galileo, e quando infine entrarono nella mischia il dottor Freud ed ogni

24 Id., Leonardo da Vinci e il volo degli uccelli, in Furor mathematicus, Milano, Mondadori, 1950, p. 33. 25 Ivi, p. 35. 26 Ibid. 27 Ivi, p. 38. 28 Ibid. 84

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sorta di scienziati e di scientisti, Firenze se non proprio tutta la Toscana, ebbe l’aria di volgere le spalle al demiurgico genio nato a Vinci il 15 aprile 145229.

Poi descrive la «modesta casipola» di Anchiano, frazione di Vinci, dove il «prodigioso fanciullo» ebbe i natali e dove ‒ scrive ‒ «catturando lucertole, grilli ed anguille, s’iniziò – lui , uomo senza lettere – allo studio della filosofia naturale»30. E in questo brano si può notare quasi un’autocitazione da alcuni versi de I limoni («… dove in pozzanghere / mezzo seccate agguantano i ragazzi / qualche sparuta anguilla»31). Ma anche più avanti, nell’articolo, compare un altro animale che fa parte del bestiario poetico montaliano ed è quando scrive: «Un tempo, la casa di Leonardo, reduce da Milano, fu protetta dagli intrusi, qui, a Firenze, da un porcospino arrabbiato»32, che rimanda a «i porcospini / s’ab- beverano a un filo di pietà»33, dell’ultimo verso di Notizie dall’Amiata. Anche Emilio Cecchi, nel 1952, intervenne su Leonardo con un lungo e articolato saggio riguardante specificamente la sua attività artistica, dal titolo Considerazioni su Leonardo, apparso sulla rivista «Lo Smeraldo». Cecchi delinea un ritratto del sommo pittore, di gusto e sensibilità moderna, anzi modernista. Non a caso, parte da una auctoritas indiscussa in questo campo, Baudelaire, e da una sua lirica famosa, Les Phares, tratta da Les fleurs du mal, nella quale il grande poeta francese «rievoca ed interpreta il mondo leonardesco, ‒ scrive Cecchi ‒ con una intensità visionaria e una esattezza d’intonazione critica che, è lecito affermare, non erano state lontanamente concepibili, da quando l’Epifania, la Vergine delle rocce, la Gioconda e la Santa Anna furono dipinte»34. In quella lirica infatti, in cui rievoca con fulminanti definizioni alcuni grandi artisti, «egli pre- senta in maniera diretta la figurazione nella quale, secondo lui, è traducibile l’es- senza della loro opera»35. «Con un breve inciso: – commenta lo scrittore – miroir profond et sombre, Baudelaire costituì criticamente la personalità di Leonardo sopra un piano di- verso»36 rispetto a tutte le precedenti interpretazioni. E anche Cecchi, partendo

29 E. Montale, A Vinci nella casa di Leonardo, in Id., Il secondo mestiere. Arte, musica, società, a cura di G. Zampa, Milano, Mondadori, 1996, p. 1392. 30 Ivi, p. 1393. 31 E. Montale, I limoni, Ossi di seppia, in Id., Tutte le poesie, a cura di G. Zampa, Milano, Mondadori, 19978, p. 11. 32 Id., A Vinci nella casa di Leonardo, cit., p. 1395. 33 Id., Notizie dall’Amiata, Le occasioni, in Tutte le poesie, cit., p. 192. 34 E. Cecchi, Considerazioni su Leonardo, in «Lo Smeraldo. Rivista letteraria e di cultura», VI (1952), n. 1, p. 3. 35 Ivi, p. 4. 36 Ivi, p. 5. 85

Dal mito all’interpretazione: Leonardo nella letteratura italiana del Novecento

da qui, intende toccare nel suo saggio qualche aspetto particolare dell’arte e della fortuna leonardesca che lo interessa in special modo, superando la for- mula di «perfetta imitazione del vero»37 che ne aveva dato la critica a cominciare dalla precettistica naturalistica e accademica del Rinascimento. Ma è verso la fine del saggio che Cecchi arriva al nucleo centrale della sua interpretazione, estremamente raffinata e profonda, allorché accenna ai «tre dipinti supremi»38, la Vergine delle rocce, la Gioconda, la Sant’Anna e Maria, nei quali – scrive ‒ «le figure non fanno né debbono far nulla, non conseguire ed espri- mere nulla mediante l’azione»39, perché

il loro significato lirico unicamente consiste nell’identificarsi della loro ragione individuale con la ragione cosmica. Sono perché sono, in un mondo che le so- stiene e rivela […] nel cristallo d’una legge d’ordine immanente. La loro unione col cosmo non è entusiastica, né erotica. Non ha illusioni e non ha fini; ma è assolutamente libera e contemplativa; è un attuale possesso, come potrebbe es- sere nella mente di divinità in attitudine di mesto riposo40.

Qui riprende anche la straordinaria intuizione critica di Baudelaire, per- ché sostiene che in fondo Leonardo, nel corso della sua lunga carriera, non ha dipinto che un soggetto, un quadro solo. Egli infatti «era perseguitato da questo tema lirico di montagne scoscese e azzurrastre, avvolgimenti di plumbee, tarde e rapinose fiumane, e apparizioni, velati scintillamenti di ghiacciai in una luce di miraggio e di sogno»41. E in tali immagini, ribadisce Cecchi alla fine del suo saggio, «si realizza quell’immedesimarsi di ragione individuale e ragione co- smica, cui prima s’era accennato […] una forma riconoscibile nel mondo e l’al- tra nello spirito umano: una visione cosmologica e una visione psicologica»42. Andando un po’ avanti negli anni, ci imbattiamo in un breve intervento di Salvatore Quasimodo, apparso nel 1967 nella rubrica Lettere aperte, da lui cu- rata per il settimanale «Tempo» di Roma, in cui il poeta siciliano si intrattiene su un aspetto marginale, ma piuttosto curioso, dell’attività di Leonardo, serven- dosi di un saggio, del 1965, di una sua autorevole studiosa, Giuseppina Fuma- galli, dal titolo Gli «omini salvatichi» di Leonardo. Questo aspetto riguarda la fun- zione da lui svolta nell’allestimento delle feste dei Signori di Milano, gli Sforza,

37 Ibid. 38 Ivi, p. 13. 39 Ibid. 40 Ibid. 41 Ivi, p. 14. 42 Ivi, p. 15.

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quando egli visse alla loro corte. Ebbene, anche qui si rivela la genialità dell’ar- tista toscano, il quale – scrive Quasimodo – «trasforma il tono delle feste allora di moda con i suoi “figurini” e l’esigenza di perfezione sostanziale e scientifica anche nella fuga favolosa. Cerimonie che non sono più convenzionali, osse- quiose, d’occasione, ma diventano […] una creazione, un’opera d’arte»43. Anche Italo Calvino, infine, in alcuni interventi degli anni Ottanta, si sofferma su altri aspetti della poliedrica personalità di Leonardo. Ad esempio, alla fine di uno scritto che costituisce la terza delle Lezioni americane, apparse postume nel 1988, quella dedicata all’Esattezza, egli parla del rapporto difficile che il sommo artista, «omo sanza lettere», come lui stesso si definiva, aveva con la parola scritta. Infatti i codici leonardeschi ‒ osserva Calvino ‒ sono «un documento straordinario d’una battaglia con la lingua, una lingua ispida e no- dosa, alla ricerca dell’espressione più ricca e sottile e precisa»44. E, a questo pro- posito, offre alcuni esempi. Uno di questi è relativo a un passo in cui Leonardo riflette sull’esistenza di prove che possano dimostrare la crescita della terra. E, «dopo aver fatto l’esempio di città sepolte inghiottite dal suolo, ‒ scrive Calvino ‒ passa ai fossili marini ritrovati sulle montagne e in particolare a certe ossa che suppone abbiano appartenuto a un immenso mostro marino antidiluviano»45. A questo punto, Leonardo, per rappresentare il modo con cui immaginava que- sto animale, ricorre a tre varianti, passando da «andamento» a «volteggiare» fino alla forma definitiva, «solcare». In tal modo, a giudizio di Calvino, egli, cercando di raggiungere una "esattezza” sempre maggiore nella descrizione, dimostrava di aver vinto la sua “battaglia” con la lingua.

43 S. Quasimodo, Gli ‘omini salvatichi’ di Leonardo, in Id., Un anno di Salvatore Quasimodo, Genova, Immordino editore, 1968, p. 154. 44 I. Calvino, Esattezza (Lezioni americane), in Id., Saggi 1945-1985, a cura di M. Barenghi, Milano, Mondadori, 1995, tomo I, p. 694. 45 Ivi, p. 695. 87

ATTI E RELAZIONI LVI, (2021), 89-100

Francesco Giordano

[email protected]

Università degli Studi di Bari Aldo Moro

DA UNO SPAZIO SCIENTIFICO AD UNO SPAZIO CIVILE

FROM A SCIENTIFIC SPACE TO A CIVIL SPACE

Sommario Presumibilmente nel 1505 Leonardo da Vinci scrive il suo più famoso co- dice sul volo degli uccelli, un piccolo quaderno di sole 18 pagine considerato non una semplice raccolta di appunti e idee, ma un metodico tentativo di analizzare e proporre nuove riflessioni sull'argomento del volo. Leonardo coltivava infatti l'idea di un grande trattato sul volo diviso in quattro parti, ma che non portò mai a termine. 500 anni do- po, oggi l’uomo sta conquistando lo spazio, sviluppa tecnologie abilitanti per lo studio e l’indagine dell’universo, e per lo sviluppo e realizzazioni di servizi ormai assorbiti nella nostra quotidianità, dalle telecomunicazioni alla osservazione della terra. In questo breve saggio si vuole illustrare il ruolo che il Dipartimento Interateneo di Fisica dell’Università e del Politecnico di Bari assieme alla sezione di Bari dell’INFN ha avuto nel recente passato e sta avendo come parte attiva del processo di sviluppo del settore aerospaziale pugliese di questi anni, assieme al Distretto Tecnologico dell’Aerospazio Pugliese. Abstract Presumably in 1505 Leonardo da Vinci wrote perhaps his most famous co- dex on the flight of birds, a small notebook of only 18 pages considered not a simple het- erogeneous collection of notes and ideas, but a methodical attempt to analyze and propose new reflections on the subject of flight. Leonardo in fact cultivated the idea of a great monography on flight divided into four parts, that he did not complete. 500 years later, today, man is conquering the space, developing enabling technologies for the study and in- vestigation of the universe, and for the development and realization of services now ab- sorbed in our daily life, from telecommunications to earth observation. In this short essay the role that the Inter-University Physics Department of the University and Polytechnic of Bari together with the Bari section of the INFN had in the recent past and is still having as an active part of the development process of the Apulian aerospace sector will be illustrated, together with the Aerospace Technological District of Apulia region.

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Dallo Spazio Scientifico allo spazio civile

1. IL CODICE SUL VOLO DEGLI UCCELLI

Leonardo da Vinci vive fra il 1452 ed il 1519 nel pieno del Rinasci- mento italiano interpretando perfettamente lo spirito dell’epoca e facendo sua quella spinta culturale verso un cambiamento profondo che porterà l’Italia dal medioevo all’età moderna [1]. Nel 1505 scrive il codice sul volo, un lavoro dove Leonardo riporta le sue osserva- zioni fatte nel periodo dell'infanzia, quando studiava affascinato gli animali ed in particolare il nibbio. Sin dalla sua infanzia, Leonardo non ha più smesso di pensare al volo, studiando le sezioni degli uccelli morti, entrando nella loro "straordinaria e inusuale meccanica", quella stessa meccanica che negli anni lo ha portato a ipotizzare le famose "macchine volanti" (tra queste la vite aerea). Questi progetti spingevano Leonardo ad andare sempre oltre e pensare di rendere "vere" le sue idee, portandolo a studiare con estremo dettaglio le correnti direzionali ed ascen- sionali, per capirne le dinamiche, i pesi specifici e le resistenze. I pochi fogli che compongono il Codice sul volo, mostrano l’alto livello di precisione del dettaglio che Leonardo riservava al progetto: dalle misurazioni in scala fino al- le applicazioni e alle intersezioni dei materiali e dei loro pesi. Insomma, un ve- ro e proprio "libretto di istruzioni" per il montaggio di macchine e di sistemi dinamici, scritto con dovizia di particolari e correlato da immagini altamente descrittive.

Nel codice si trovano studi che vanno dalla idrografia, alla macchina volante, alla definizione dell’aria come fluido. La macchina volante è un dise- gno descritto con grande minuzia di particolari, nel quale vengono indicate le dimensioni, i materiali da impiegare, la posizione del pilota e la determinazio- ne del baricentro, fatto quest'ultimo indispensabile per la costruzione di qual- siasi "oggetto volante". L’altro tema sorprendente del suo lavoro è l’aver anti- cipato di quasi 100 anni il concetto di densità e di fluido, scrivendo una pagina dedicata interamente all'aria e ai flussi, e allo studio della sua densità, variabile in relazione al flusso assorbito dalle correnti. Leonardo analizza le correnti 90

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ascensionali e trasversali al fine di identificarne il baricentro e le direzioni di stallo aereo del suo prototipo (la macchina volante). Ma è anche uno studio su quella che oggi chiameremmo l'aerodinamica. Quando studia le correnti ascensionali, analizza l'impatto in volo del vento contrario e ne descrive con minuzia di particolari le dinamiche. Questo foglio anticipa di 350 anni in mo- do preciso il volo degli alianti.

Tutto ciò testimonia come Leonardo abbia osservato con curiosità la natura ed i suoi fenomeni e li abbia appuntati con precisione estrema. Tuttavia è difficile considerarlo uno scienziato in senso moderno, poiché non sono pervenute a noi né dimostrazioni delle sue teorie e neanche dimostrazioni ma- tematiche. Anche dal punto di vista sperimentale non ci è giunta traccia di ac- curate descrizioni su come condurre esperimenti, su come registrare i risultati e su come elaborare i dati. Quello che manca in Leonardo è “il metodo scien- tifico” così come verrà formulato un secolo dopo da Galileo Galilei. Tuttavia in Leonardo si delinea la perfetta fusione tra scienza e tecnica, fra fisica e ma- tematica, fra intuizione e ragione.

2. DAGLI STUDI DI LEONARDO ALL’ESPLORAZIONE SPA- ZIALE C’è da at- tendere il 1903 per vedere realizzato l’uomo volante di Leonardo, il Flyer, il primo aeroplano propriamente detto, ad opera dei fratelli Wright, che riusci- rono a far spiccare il volo ad una sorta di aliante dotato di un motore da 16 cavalli a Kill Devil Hill presso Kitty Hawk in Carolina del Nord, USA. Questo primo volo durò 12 secondi, arrivando ad un'altezza di circa 120 piedi (40 metri), fu poco più che un balzo che probabilmente non superò l'effetto suolo. L’evoluzione dell'aeroplano subì una brusca accelerazione negli anni trenta, periodo che avrebbe anticipato la prima guerra mondiale. I primissimi velivoli biplani vennero surclassati dai più moderni monoplani, che dimostra- 91

Dallo Spazio Scientifico allo spazio civile rono da subito prestazioni eccezionali: la velocità passò rapidamente da poco più di 300 km/h a più di 500 km/h con evidenti possibilità di migliorare, e lo stesso accadde per l'altitudine raggiungibile, l'autonomia massima, la maneg- gevolezza e l'accelerazione. Anche la prima era spaziale (talvolta detta anche gergalmente corsa al- lo spazio) è stata strettamente legata agli sviluppi delle tecnologie belliche e politiche post belliche. Il capitolo dell'esplorazione spaziale del Novecento è nei fatti uno degli aspetti che assunse la guerra fredda tra Stati Uniti e Unione Sovietica. Le due superpotenze si sfidarono nella rincorsa a sempre maggiori successi spaziali nel lancio di missili, satelliti, nella conquista della Luna e di pianeti del sistema solare, nel periodo compreso all'incirca tra il 1957 e il 1975, cercando di prevalere l'uno sull'altro. Per quanto le radici affondino nelle prime tecnologie missilistiche e nelle tensioni internazionali che seguirono la seconda guerra mondiale, la cor- sa allo spazio incominciò dopo il lancio del satellite sovietico Sputnik 1 il 4 ot- tobre 1957 [2]. Questa data segnò l'inizio della corsa allo spazio. A causa delle implicazioni militari ed economiche, lo Sputnik provocò timori e dibattiti politici agitati negli Stati Uniti, che incitarono l'amministrazione Eisen- hower ad approvare diverse iniziati- ve, tra cui la costituzione della NA- SA. In quel periodo, il lancio dello Sputnik venne visto nell'Unione So- vietica come un importante segno delle capacità scientifiche e ingegneristiche della nazione. Nell'Unione Sovietica il pubblico seguì con grande interesse il lancio e il seguente programma di esplorazione spaziale. Per una nazione che si stava riprendendo dalla devastazione della guerra fu molto importante e di grande incoraggiamento vedere la prova dei progressi tecnici della nuova epoca. Prima dello Sputnik, l'americano medio pensava che gli Stati Uniti fos- sero leader in tutti i campi tecnologici. In risposta allo Sputnik, gli Stati Uniti fecero degli sforzi enormi per recuperare questa superiorità tecnologica, tra cui il rinnovamento dei programmi scolastici[3]. Questa reazione è nel ventu- nesimo secolo nota come Crisi Sputnik. Circa quattro mesi dopo il lancio dello Sputnik 1, gli Stati Uniti lancia- rono il loro primo satellite, l'Explorer I (31 gennaio 1958), anche se a Cape 92

F. Giordano

Canaveral si susseguirono molti lanci falliti. John Kennedy, umiliato dai con- tinui record sovietici proprio nel momento in cui la Guerra fredda conosceva la sua fase più critica, pensò di giocare una mano che le vincesse tutte. Il 12 settembre 1962, durante un discorso alla Rice University (Houston, Texas) af- fermò, di fronte a 35mila persone: «Nessuna nazione che aspiri a essere alla guida delle altre può attendersi di rimanere indietro nella corsa per lo spazio». Quindi la promessa: «Abbiamo deciso di andare sulla Luna entro questo de- cennio». Il Presidente faceva sul serio: aveva appena chiesto al Congresso di sbloccare diversi miliardi di dollari per il nuovo programma spaziale chiamato “Apollo”. I fondi a disposizione della Nasa, da 500 milioni di dollari nel 1960 diventarono 5,2 miliardi nel 1965 e l’Agenzia passò da 10mila a 36mila dipen- denti tra il 1960 e il 1963. A questo punto gli Stati Uniti si giocavano il tutto per tutto. Grazie agli enormi finanziamenti, von Braun passò in vantaggio, e definitivamente nel 1966, quando Sergej Korolëv morì sotto i ferri durante un’operazione di cancro. È dibattuto quanto la scomparsa dell’ingegnere so- vietico possa avere pregiudicato il programma spaziale del Cremlino, o se in- vece i mezzi economici disposti da Kennedy avrebbero in ogni caso spianato la strada ai suoi. Cominciò al- lora una stagione di test per verificare il collaudo della nuova generazione di lan- ciatori Saturn, firma- ti ancora una volta da von Braun. La prima di queste mis- sioni si trasformò però in tragedia: il 27 gennaio 1967 la na- vetta dell’Apollo 1 prese fuoco sulla rampa e i tre astro- nauti morirono car- bonizzati. Seguirono quindi missioni senza equipaggio e altre con equipaggio che orbitarono intorno alla Luna per poi scendere fino a 15 km dalla superfi- cie (Apollo 10). Ma soltanto la missione Apollo 11 riuscì a portare i primi uomini, Niel Armstrong e Buzz Aldrin, sul suolo del nostro satellite, il 20 lu- glio 1969, mentre Michael Collins, terzo membro della missione, rimaneva ad 93

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aspettarli nel modulo di comando, in orbita lunare. Per controllare il modulo di comando (la navicella che ospitava gli astronauti) e il LEM (il lander con cui allunaro- no), la Nasa utilizzò l’Apollo Gui- dance Computer (AGC), necessa- rio a gestire tutte le operazioni di navigazione nello spazio. L’AGC pesava 30 kg e aveva una frequen- za di calcolo fino a 2 MHz con 152 kByte complessivi di memoria: al- cune migliaia di volte inferiore a quella di uno smartphone moder- no. Le missioni Apollo sono state 17 e l’ultima è stata testimo- niata durante il festival Anticonte- pomraneo di Cassino il 16 Dicem- bre 2019 durante il quale Harrison Schimtt ha rilasciato una intervista in diretta streaming da casa sua in New Mexico.

3. L’ASTROFISICA SPERIMENTALE BARESE Da quel 20 luglio 1969 la tecnologia ha fatto ulteriori passi avanti e si è messa al servizio della scienza. Anche il gruppo di fisica astroparticellare del Dipartimento InterAeneo di Fisica “M. Merlin” ha dato contributi in questo campo di indagine. La attività spaziale del gruppo muove i primi passi agli inizi degli anni ’80. Il gruppo fa parte attiva della collaborazione WIZARD [3], il cui pro- gramma sperimentale era dedicato allo studio approfondito degli spettri di raggi cosmici (particelle, antiparticelle, isotopi, abbondanze e ricerca di anti- materia) in diversi range di energia ottenibili attraverso diversi apparati a bor- do di palloni stratosferici e missioni satellitari di lunga durata. CAPRICE98 (Cosmic AntiParticle Ring Imaging Cherenkov Experiment, 1998) [4] è l'ulti- mo rilevatore costruito e messo in quota dalla collaborazione WIZARD. Lo strumento CAPRICE98 è composto da uno spettrometro magnetico super- conduttore associato a un sistema di tracciamento composto da tre camere di 94

F. Giordano

deriva, un gas RICH, un sistema Time of Flight e un calorimetro elettroma- gnetico in silicio-tungsteno. Gli obiettivi scientifici primari di CAPRICE98 erano misurare gli spettri assoluti di positroni e antiprotoni fino a 50 GeV in- sieme agli spettri di muoni nell'atmosfera. Gran parte dei positroni e degli an- tiprotoni che colpiscono la Terra sono prodotti in interazioni ad alta energia tra i nuclei dei raggi cosmici con il mezzo interstellare. I loro spettri possono fornire una panoramica sull'origine, la produzione e la propagazione dei raggi cosmici nella nostra galassia. Qualsiasi flusso osservato maggiore di quello previsto dal Leaky Box Model (LBM), il “modello standard” di propagazione dei raggi cosmici, avrebbe dato evidenza della presenza di sorgenti esotiche di antimateria. CAPRICE98 fu lanciato con successo il 28 maggio 1998 da Ft. Sumner, NM, USA (340N, 1040W), utilizzando la NASA National Science Balloon Facility (NSBF). Il pallone rimase in quota per 20 ore ad un'altitudine di galleggiamento di 5g / cm2, corrispondente a circa 36 Km. Durante il volo sono stati raccolti più di 5 milioni di trigger e tutti i rilevatori hanno funziona- to normalmente. La attività scientifica del gruppo barese è poi proseguita con la missione PAMELA [5] il cui lancio è avvenuto con una Soyuz il 15 giugno del 2006 dalla base di Bajkonour in Kazakhstan. Gli obiettivi osservativi dell'esperimento PAMELA erano la misurazione degli spettri di antiprotoni, positroni e nuclei in un'ampia gamma di energie, la ricerca dell'antimateria primordiale e lo studio dei flussi di raggi cosmici su mezzo ciclo solare. PA- MELA ha dato certamente un contributo fondamentale alla comprensione di problemi di fisica fondamentale quali il ruolo delle teorie di grande unificazio- ne in cosmologia in relazione all'antimateria e alla materia oscura, processi di accelerazione e propagazione dei raggi cosmici e la relazione tra processi sola- ri, terrestri ed eliosferici e propagazione energetica delle particelle nell'eliosfe- ra. Nel Febbraio 2009 la collaborazione PAMELA pubblica un NATURE [6] che rivoluzionerà il sapere sino ad allora noto sulla antimateria nel nostro universo. A partire dall’anno 2000, il gruppo barese aveva già iniziato una nuova avventura: si decise di partecipare alla iniziativa GLAST per la costruzione di un rivelatore per raggi gamma su satellite nell’intervallo energetico tra i 100MeV e 100 GeV. La soluzione tecnologica di GLAST era del tutto innovativa: impiegare rivelatori di particelle al silicio, che avrebbe reso il rivelatore piu’ compatto, piu’ granulare con una capacità di puntamento senza precedenti [7]. L’11 Giugno del 2008 viene messo in orbita da un DELTA II della NASA e in più di 11 95

Dallo Spazio Scientifico allo spazio civile anni di attività ottiene quasi 300 pubblicazioni su riviste ad altissimo impatto, quasi centomila citazioni e si dimostra essere una vera e propria rivoluzione scoprendo più di 5000 sorgenti del cielo di alta energia. Attualmente Fermi è ancora in orbita, ed il gruppo del Dipartimento e della sezione INFN di Bari continua ad essere attivo in analisi dati che riguardano sorgenti galattiche, ex- tragalattiche, del sistema solare e materia scura, temi approfonditi anche con il satellite DAMPE [8] in volo dal 17 dicembre 2015. Sono in corso ulteriori ini- ziative per satelliti di nuova generazione.

4. L’AEROSPAZIO PUGLIESE Nel 2009 nasce in Puglia il Distretto Tecnologico Aerospaziale [9], una società consortile pubblica privata che vede le tre università pugliesi ac- canto a partner industriali del settore tecnologico aerospaziale. Nel 2012 l’Università degli Studi di Bari vince con il DTA il progetto PON Apulia Space rivolto allo sviluppo di tecnologie Abilitanti nei segmenti Spazio, Terra e Utente. Il progetto ha avuto inizio nel luglio 2013 ed è termi- nato nel dicembre 2016 e ha avuto come obiettivo lo sviluppo di tecnologie abilitanti nel segmento spazio affrontando un’ampia gamma di tematiche, dall’esplorazione dell’Universo all’Osservazione della Terra (OT), ai sistemi di ricezione e gestione dei dati telerilevati, per finire con attività di sensibilizza- zione all’uso dei sistemi spaziali da parte dell’utenza regionale. Con avviso MIUR del 2017, il DTA e l’Università degli Studi di Bari sono risultati vincitori di tre progetti PON ARS, “CLOSE to the Earth” e “RPASinAIR” e “TEBAKA”. 96

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Obiettivo di CLOSE è la realizzazione di un veicolo di massa conte- nuta (al di sotto dei 500 kg, incluso sistema propulsivo e payload) in grado di sostenere le orbite VLEO con una vita operativa superiore ai 3 anni. La pro- gettazione del veicolo e dei suoi sottosistemi per la missione CLOSE si confi- gura come una sfida per il prossimo futuro. Tra i risultati del progetto vi è quello di realizzare un sistema RAM-EP in grado di compensare completa- mente la resistenza aerodinamica, raccogliendo, ionizzando ed accelerando un flusso rappresentativo delle condi- zioni VLEO. Nel disegno del pro- pulsore è fondamentale il collettore, che abbia una geometria compatibile con i risultati ottenuti dalle attività riguardanti l’analisi di missione e che sia in grado di comprimere passiva- mente il flusso in ingresso. Cruciale è anche lo studio di fattibilità del veicolo che deve supportare il si- stema RAM-EP [10], soddisfacendo i requisiti d’interfaccia, quali la potenza richiesta, la massa e le dimensioni. In ultimo, tra gli altri obiettivi scientifici vi è anche studiare una configurazione di missione con payload ottici e SAR che sfrutti il grande vantaggio delle orbi- te VLEO. RPASin Air vede l’impiego di sistemi aeromobili senza pilota a bordo il cui utilizzo sta diventando sempre più determinanti in situazioni quali quelle di monitoraggio dei disastri ambientali, pattugliamento delle linee di trasferi- mento delle risorse (oleodotti, ponti ferroviari,…), sorveglianza sui flussi mi- gratori e osservazione delle colture. Legata allo sviluppo tecnologico degli UAV, sta nascendo, forte, l’esigenza di abilitare un servizio innovativo di mo- nitoraggio e controllo del territorio che impieghi i dati raccolti dai Sistemi Ae- romobili a Pilotaggio Remoto (SAPR) operanti nello spazio aereo non segre- gato, in modo da individuare elementi di rischio e sollecitare le procedure di prevenzione e mitigazione in tempo reale. L’inserimento in sicurezza dei SAPR nello spazio aereo non segregato necessita dello sviluppo di un sistema di gestione e controllo del traffico aereo (ATM/ATC) che permetta all’operatore controllore di traffico di riconoscere la presenza di velivoli senza pilota a bordo e comunicare con il pilota senza che ciò porti ad un carico di lavoro eccessivo. La realizzazione di tale obietti- vo passa per la definizione di procedure, protocolli e contromisure per la ge- stione di nuove categorie di eventi critici direttamente connessi al volo di veli- 97

Dallo Spazio Scientifico allo spazio civile voli senza pilota a bordo come ad esempio la perdita di collegamento tra piat- taforma aerea e stazione di pilotaggio o ATM e la stazione di pilotaggio, o an- che la perdita delle capacità di cognizione del velivolo. Nel progetto si intende sviluppare degli ambienti di simulazione che studino il comportamento dei SAPR in ogni possibile situazione e sperimentare senza rischio operazioni ae- ree con diverse tipologie di SAPR in scenari aerei e terrestri complessi. Più in generale l’attività di RPASinAir rientra nel progetto più ampio della realizzazione di una infrastruttura di ricerca presso il Grottaglie Airport. Nell’ambito di questa iniziativa le attività previste sono la progettazione e lo sviluppo di un laboratorio per la simulazione di operazioni aree che permetta di studiare, disegnare, sperimentare e validare nuove regole, procedure e stan- dard di controllo del traffico e progettare, validare e pianificare operazioni ae- ree e missioni con velivoli senza pilota a bordo. Nell’ambito del Grottaglie Test Bed saranno messi a punto:

- lo sviluppo di funzionalità avanzate di applicazioni di controllo del traf- fico (ATC) per la gestione integrata del traffico aereo composto da ve- livoli con e senza pilota a bordo - la realizzazione di un centro di raccolta, gestione e processamento dei dati di Osservazione della Terra in logica integrata con altre fonti di da- ti (per es. dati telerilevati con satelliti) in grado di processare i dati ac- quisiti dal SAPR in real-time o quasi real-time ed erogare servizi di mo- nitoraggio del territorio, risk prevention e emergency management. - Sviluppo di nuovi sensori atti a rilevare fonti di rischio per il territorio, quali il rischio idrogeologico, rischio criosferico e rischio legato alla presenza di polveri (vulcaniche o provenienti da incendi) nell’atmosfera.

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E’ attualmente in cor- so la progettazione della infra- struttura che possa consentire la sperimentazione e la dimo- strazione dei sistemi sviluppati nel progetto (SE, ATM, appli- cazioni, sensori) in ambienti laboratoriali e reali con l’esecuzione diverse missioni con SAPR. Infine l’ultimo progetto temporalmente ap- provato è il “Territorial Basic Knowledge Acquisition” (TEBAKA), dove ancora una volta l’Università degli Studi di Bari mette a di- sposizione le capacità di calcolo ad alte prestazioni tramite il data center RE- CAS [11] applicate ad analisi di immagini telerilevate per agricoltura di preci- sione e monitoraggio del territorio.

5. CONCLUSIONI

In soli 50 anni l’umanità ha fatto passi enormi nel campo delle tecno- logie spaziali. Nate per meri scopi politici, messe al servizio per l’esplorazione scientifica dell’universo, adesso sono a completo servizio della società civile. La nuova Space Economy vede lo spazio come una opportunità di sviluppo di servizi per il mercato, dalla osservazione della terra, alle telecomunicazioni fino al turismo spaziale.

E tornando in Puglia, vi è pertanto la possibilità concreta che il Grot- taglie Airport diventi nei fatti il nostro tutto italiano e ancor più pugliese spa- zio porto, idoneo ed ideale al servizio di viaggi spaziali o voli suborbitali con decollo orizzontale, sia per motivi commerciali che meramente turistici. Tutto ciò inquadra la Puglia e l’Accademia Pugliese come punto di riferimento per l’attività aerospaziale nazionale e internazionale.

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Dallo Spazio Scientifico allo spazio civile

6. RIFERIMENTI

[1] L. Borzacchini, La solitudine di Leonardo. Il «genio universale» e le origini della scienza modern, Dedalo, 2019. [2] Storia dell'esplorazione spaziale. Ediz. illustrata (Italiano) Copertina rigida – 6 marzo 2019 di Roger D. Launius (Autore), S. Marcoz (Traduttore), C. V. Mattioli (Traduttore), E. Ricci (Traduttore) [3] Nuclear Physics B - Proceedings Supplements Volume 85, Issues 1–3, May 2000, Pages 355-360 [4] High-energy deuteron measurement with the CAPRICE98 experiment The Astrophysical Journal 615 (2004) 259 [5] Adriani, O. et al. “The Pamela Space Mission”. Nuclear Physics B - Proceedings Supplements 188 (2009): 296 - 298 [6] An anomalous positron abundance in cosmic rays with energies 1.5–100 GeV Nature volume 458, pages607–609(2009) [7] W. B. Atwood et al., « The Large Area Telescope on the Fermi Gamma-ray Space Telescope Mission » The Astrophysical Journal, vol. 697, n. 2, p. 1071–1102, 2009 [8] J. Chang et al., «The DArk Matter Particle Explorer mission,» Astroparticle Physics, vol. 95, pp. 6-24, 2017 [9] https://www.dtascarl.org [10] Development Roadmap of SITAEL's RAM-EP System September 2019 Conference: 36th International Electric Propulsion Conference [11] https://www.recas-bari.it/index.php/it/

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ATTI E RELAZIONI LVI, (2021), 101-108

Riccardo Giorgino

[email protected]

Clinica Medica Università di Bari Aldo Moro

LEONARDO DA VINCI NELLA STORIA DELLA MEDICINA

LEONARDO DA VINCI IN THE HISTORY OF MEDICINE

Sommario. Leonardo da Vinci è un genio del Rinascimento che rivoluzionò sia le arti fi- gurative sia la storia del pensiero e della scienza. I suoi contributi riguardano l'anatomia e la fisiologia di: ossa, apparato muscolare, nervi, cervello, apparato cardiovascolare, apparato urinario e riproduttivo, funzione visiva. Leonardo realizzò anche uno studio dettagliato delle proporzioni del corpo umano (uomo vitruviano) e dei suoi caratteri fisiognomici. Il merito di Leonardo è stato quello di aver introdotto il metodo scientifico moderno, basato sulla speri- mentazione. Può essere considerato precursore della Scienza medica moderna.

Abstract. Leonardo da Vinci is a Renaissance genius who revolutionized both the figura- tive arts and the history of thought and science. His contributions include the anatomy and physiology of: bones, muscular system, nerves, brain, cardiovascular system, urinary and re- productive systems, visual function. Leonardo also carried out a detailed study of the propor- tions of the human body (Vitruvian man) and its physiognomic characteristics. Leonardo's merit was to introduce the modern scientific method, based on experimentation. It can be con- sidered a precursor to modern medical science.

Il Rinascimento rappresenta per la medicina un punto di svol- ta perché Leonardo da Vinci dà un importante contributo agli studi di anato- mia e alla medicina con le sue dissezioni (notomie). Leonardo, nato a Vinci (Firenze) il 15 aprile 1452 e morto al castello di Cloux (Amboise) il 2 maggio 1519, è un genio del Rinascimento che rivolu- zionò sia le arti figurative sia la storia del pensiero e della scienza. Si formò

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Leonardo da Vinci nella storia della medicina come artista a Firenze in una bottega di pittori/artigiani; si trasferì poi a Mila- no (tra la fine del XV e gli inizi del XVI secolo) sviluppando un particolare in- teresse per la scienza. La medicina, all’epoca di Leonardo, si basava su due aspetti fonda- mentali: la teoria umorale e le influenze astrologiche. Se una parte del corpo o un organo si ammalava il medico tendeva a curarli come uno squilibrio gene- rale tra i quattro umori ritenuti costitutivi del corpo (sangue, flegma, bile rossa o “colera”, bile nera o “melanconia”) piuttosto che come una patologia di or- gano. Lo sviluppo della anatomia, ponendo l’accento sulla forma degli organi, contribuì nei secoli successivi a sostituire questa concezione con quella a fa- vore di una patologia di organo (se il fegato si ammala va curato il fegato e non il corpo intero come complesso di umori). Per quanto riguarda il secondo aspetto, quello astrologico, malattie e terapie presupponevano influenze astra- li. Leonardo si dedicò per circa 50 anni alla ricerca e agli studi anatomici sugli animali e sull’uomo. Gli studi dell’anatomia superficiale del corpo umano lo portarono inevitabilmente all’esplorazione dell’anatomia generale compara- ta e agli esperimenti di fisiologia. Come gli artisti umanisti del Rinascimento (Michelangelo, Tiziano, Raffaello, etc.) era interessato non solo alla prospetti- va ma anche al movimento, al come e al perché del movimento e dell’azione; riteneva di poter svelare, attraverso la dissezione e l’esperimento, i meccani- smi che governano il movimento e la vita stessa. Leonardo non riuscì a diffondere le sue conoscenze o a comunicare il suo pensiero; per almeno 300 anni l’opera di Leonardo non fu compresa per- ché i suoi disegni erano troppo avanzati per quel tempo. La sua opera scienti- fica risultò isolata; le sue osservazioni, per quanto geniali, non furono da lui coordinate in sistemi scientifici organici e restarono ignote ai contemporanei e agli studiosi dei secoli successivi. Il suo intento era quello di pubblicare un trattato illustrato su questa materia, ma diversi fattori gli impedirono di porta- re a termine il lavoro. Alla sua morte i suoi appunti sull’anatomia rimasero tra gli scritti privati; i suoi manoscritti passarono in eredità all’allievo Francesco Melzi che li portò con sé in Lombardia. Morto Melzi furono acquistati dallo scultore Pompeo Leoni che li raccolse in un volume che contiene tutti gli stu- di anatomici accanto a centinaia di altri disegni di stampo più prettamente “ar- tistico”. A partire dalla fine dell’Ottocento i disegni vennero smontati dal vo- lume in cui Pompeo Leoni li aveva assemblati e sono oggi conservati come fogli sciolti nella Royal Library del Castello di Windsor; la Biblioteca custodi- sce quasi tutti i disegni anatomici di Leonardo giunti fino a noi.

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Leonardo è stato definito «l’elemento di punta della nuova anatomia creativa»; aveva, infatti, abbattuto il muro di intolleranza e di pregiudizio che per tanti secoli aveva sepolto l’anatomia e aveva promosso la fusione di arte e scienza nella rappresentazione anatomica. Inoltre la sua “ricerca dell’uffizio delle parti del corpo” lo definisce ispiratore della gloriosa Scuola anatomo- fisiologica Italiana del Rinascimento. Con il suo metodo rigoroso d’indagine, le sue innovative scoperte, le accurate descrizioni e le meravigliose illustrazio- ni delle sue tavole anatomiche Leonardo passò dalla rivoluzione anatomica al- la medicina anatomo-clinica e può essere, comunque, considerato precursore della Scienzamedica moderna. L'affermazione dell'anatomia come scienza è legata al fiorire delle scuole filosofiche greche (Alchemone da Crotone, Empedocle da Agrigento, etc.) che, per quanto frenate da concezioni religiose, portarono a scoperte precise e notevoli. Il non poter avvalersi della pratica dissettoria sul cadavere costrinse però gli studiosi a ripiegare sulle analisi dei reperti animali con la inevitabile limitazione per la validità dei risultati. Solo verso il 1315, grazie a Mondino de' Liuzzi, l'anatomia ritrovò il suo vero volto e si posero le basi per il rigoglioso sviluppo di tale scienza nel Rinascimento. La “meravigliosa macchina umana” affascina ben presto l’animo di artista e di scienziato di Leonardo che dall’anatomia artistica di superficie, dei mu- scoli e delle ossa praticata da alcuni pittori del ‘400, passa allo studio degli or- gani interni. Leonardo è tra i giovani artisti che a Firenze studiano il canone anatomico (visivo, attraverso l’esame esterno) fissato dal Pollaiolo. La ricerca anatomica di Leonardo si sviluppa in diverse fasi: 1) inizia nel periodo in cui è a Milano alla corte di Ludovico il Moro (1482-83); 2) si in- tensifica a partire dal 1507 circa, quando, nell’ospedale di Santa Maria Nuova a Firenze, egli opera due dissezioni umane: quella di un vecchio (con la prima descrizione di arteriosclerosi senile) e quella di un bambino di due anni; 3) rea- lizza, dopo il rientro a Milano tra il 1510 e il 1513, gli studi anatomici più in- tensi: quelli noti come Anatomia A (muscoli e ossa), quelli sul cuore e quelli embriologici. L’Anatomia A costituisce, nella storia della scienza, il più antico gruppo di rappresentazioni sistematiche di ossa e muscoli basate su dissezioni condotte secondo il nuovo spirito umanistico ispirato a Galeno. Leonardo collabora, in questo periodo, con Marcantonio della Torre (1481-1511), pro- fessore di anatomia all’Università di Padova e di Pavia. Questa collaborazione può aver contribuito non solo alla ispirazione galenica dell’Anatomia A ma an- che ad arricchire il bagaglio filosofico-naturale di Leonardo. La fama di Leonardo in questo campo è legata soprattutto (ma non solo) alla sua grande abilità di disegnatore; per moltissimo tempo, infatti, l’arte 103

Leonardo da Vinci nella storia della medicina fu al servizio della scienza per la rappresentazione delle nozioni anatomiche e l’anatomia, a sua volta, fu uno strumento fondamentale per raggiungere gli al- tissimi livelli di realismo di cui, ad esempio, Leonardo da Vinci fu maestro in- discusso. Le sue figure sembrano parlarci perché lui studiò così profondamen- te l’anatomia da dare a quei visi e a quei corpi “il moto e il fiato”. Leonardo si dedicò con grande fervore anche a studî di fisiologia, materia che egli conside- rava indissolubilmente connessa con l’anatomia, proteso com’era a stabilire di ogni organo “l’uso, l’uffizio e il giovamento”. I suoi contributi nell’anatomia e nella fisiologia sono importanti. In campo osteologico sono particolarmente rilevanti: a)la scoperta del seno ma- scellare (detto anche antro di Highmore, dal nome del medico e anatomista ingle- se che lo descrisse nel 1651); b) la prima esatta raffigurazione della colonna ver- tebrale con le sue curve fisiologiche giustamente valutate; c)la corretta interpre- tazione dell'osso sacro, considerato come risultante dalla fusione di cinque ver- tebre (e non di tre, come voleva l'anatomia tradizionale); d) il riscontro della giusta inclinazione del bacino. Gli studî sull'apparato muscolare hanno porta- to Leonardo a: a) compiere la prima rassegna iconografica dei muscoli dell'uomo; b) studiare la funzione dei varî muscoli degli arti sostituendoli con fili di rame; c) in- trodurre un originale metodo di studio degli elementi morfologici degli arti, con particolare riguardo ai muscoli, basato sull'impiego di tagli trasversali pra- ticati a piani diversi (RL19014v- A15v): questo procedimento, che è usato an- che dai moderni anatomisti, e quello della descrizione per strati -pure attuata da Leonardo-, possono far considerare quest'ultimo come l'iniziatore dell'anato- mia topografica. Nei suoi disegni, oltre ai muscoli e allo scheletro, raffigura an- che i nervi (RL 19010r-A11r), in genere assenti negli studi di anatomia artisti- ca che facevano riferimento al programma di Leon Battista Alberti, “rivesten- do” progressivamente lo scheletro. Disegna il midollo spinale che, passando all’interno della colonna vertebrale, è sede della virtù “rigenerativa” e, svilup- pando la teoria ippocratica, connette la nozione di generazione e vita a quella del movimento sottolineando come il midollo sia anche l’origine dei nervi pe- riferici che muovono gli arti. L’impulso al moto deriva dall’alto, dal cervello. Leonardo raffigura, in modo schematico, una sezione orizzontale della testa: tre cavità circolari che indicano i ventricoli cerebrali, cavità (secondo le teorie del tempo) sede di varie facoltà psicologiche. Si tratta dei cosiddetti “sensi in- terni” che, secondo la teoria aristotelica, elaboravano le sensazioni veicolate dai “sensi esterni” (vista, olfatto, udito, gusto, tatto)(RL 12626r).Le informa- zioni elaborate dai sensi interni, secondo queste teorie, erano trasmesse a fa- coltà superiori come intelletto e volontà, che a loro volta inducevano il mo- vimento degli arti. Nella serie di studi sul cranio umano viene studiata soprat- 104

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tutto la posizione del senso comune, la facoltà psicologica di convergenza ed elaborazione degli stimoli sensoriali che Leonardo tende ad individuare con l’anima intellettiva in generale. All’epoca le funzioni degli organi e del corpo - la crescita, la nutrizione, la generazione, e così via- erano sempre concepite come manifestazioni (e definite “virtù” o “facoltà”) dell’anima. Anche Leo- nardo affronta l’anatomia da filosofo: l’anima senso-comune è localizzata da Leonardo nel cranio nel punto di incrocio tra la linea verticale e le due oriz- zontali (RL19058r). All'apparato cardiocircolatorio Leonardo dedicò dili- genti studî che, tra l'altro, lo portarono alla scoperta di quella formazione in- tracardiaca che oggi in suo onore è chiamata trabecola arcuata di Leonardo da Vinci. Gli studi sul cuore, realizzati specialmente verso il 1513, sono basati su dissezioni di animali, ma contengono impressionanti descrizioni dinamiche del sangue e dettagliatissime illustrazioni delle valvole cardiache e degli atri. Scopre che il cuore è un muscolo: grazie alla sua natura muscolare il cuore contraendosi genera il calor naturale e gli spiriti vitali i due fattori alla base della vita secondo la fisiologia dell’epoca(RL 19029r). Scopre che il cuore ha quattro cavità: due superiori (gli atri) e due inferiori (ventricoli) e non due come ritenevano in precedenza gli anatomisti (RL10062r). Risale probabil- mente agli anni fiorentini (intorno al 1480) uno dei disegni anatomici più sin- golari e famosi per la compiutezza non sempre perseguita nei disegni succes- sivi: l’albero delle vene che illustra nozioni anatomiche dell’epoca. Rappresenta, sovrapposti su un corpo integro, il cuore, il fegato, la milza, i due reni, la ve- scica urinaria, le arterie e le vene. Secondo una teoria dell’epoca le arterie ori- ginavano dal cuore, le vene dal fegato. E il fegato in questo disegno ha una forma molto simile al cuore (forma che non corrisponde a quella con più lobi tramandata dai trattati classici di anatomia) (RL 12597r).L’ultima fase della sua ricerca anatomica a questo riguardo si sposta dal cuore come muscolo alle sue funzioni cioè alla dinamica del sangue al suo interno. Leonardo rappresenta il cuore dilatato in diastole e contratto in sistole, le valvole aortiche aperte e chiuse, i bronchioli contratti in inspirazioni e dilatati in espirazione anche se queste funzioni fino a un certo punto possono essere espresse in disegno. Leonardo analizza anche l’apparato urinario e l’apparato riproduttivo. De- scrive l’anatomia del corpo femminile con, in trasparenza, la dislocazione de- gli organi interni (RL12281r).Rappresenta l’azione dinamica del coito come una delle due cause della generazione (l’altra è data dal seme) (RL 19097v).Leonardo studiò, passando da un’ottica matematica a una ottica pre- valentemente fisica, la funzione visiva in quasi tutti i suoi aspetti fondamen- tali: a) la visione monoculare e binoculare, il senso stereoscopico; b) l'acuità visiva; c) la sensibilità cromatica; d) le modificazioni pupillari al variare dell'intensità degli 105

Leonardo da Vinci nella storia della medicina stimoli luminosi; e) il fenomeno della persistenza delle immagini; f) le illusioni otti- che; g) la questione della grandezza delle immagini in rapporto all'angolo visi- vo; h) le leggi della prospettiva geometrica e aerea; i) l'applicazione delle leggi fisi- che della rifrazione allo studio di alcuni fatti patologici, come la diplopia e la presbiopia (RL12603r). Leonardo approda, infine, all’anatomia patologica, considerando le modificazioni prodotte nell’organismo con l’età ed indaga persino sulle cause di morte. La dissezione di un vecchio centenario, eseguita nello “spedale” di Santa Maria Nuova, è incentrata sullo studio del cuore e dei vasi: vengono descritte le alterazioni anatomo-patologiche osservate nel corpo del vecchio e viene descritto il sistema cardiovascolare con la rappresentazio- ne in trasparenza dei vasi. Gli studi embriologici comprendono la rappresen- tazione di un feto umano nell’utero con il feto certamente basato su un esem- plare umano, laddove la placenta, rappresentata come una serie di formazioni bottoniformi interne alla parete uterina, è palesemente basata su una dissezio- ne bovina. Questi disegni sono molto affascinanti perché rappresentano la corretta posizione del feto all’interno dell’utero e descrivono i risultati di osserva- zioni sulla crescita embrionale e fetale (RL19102r). All’epoca di Leonardo si pensava che il corpo umano rappresentasse la forma armonica dell’universo. Verso il 1490 Leonardo realizza uno studio dettagliato delle proporzioni sviluppando un’antica tradizione di studi, nata soprattutto tra gli architetti, rivisitata ripartendo da quello che sulle propor- zioni del corpo umano aveva stabilito Vitruvio. Il disegno è conosciuto co- me Uomo vitruviano (Venezia, Gallerie dell’Accademia). Risalente al 1490 circa, rappresenta il riferimento di Leonardo nelle scienze quantitative.

Mito del « numero d'oro » (armonia universale = rapporto 1,618):

●distanza tra ombelico e terra x 1,618= statura ● distanza tra gomito e mano x 1,618= lunghezza dell’arto fino alla punta delle dita

Uomo vitruviano di Leonardo da Vinci: uomo proporzionato in un cerchio = bellezza ideale

Venezia, Gallerie dell'Accademia Figura 1. Uomo vitruviano Leonardo formulò alcuni principî antropometrici; così, per esempio, egli fece corrispondere la lunghezza del piede a 1/7 di quella dell'intero corpo ("piede leonardesco"), anziché 1/6, come aveva codificato Vitruvio. La novità 106

R. Giorgino

del disegno non riguarda il contenuto ma il linguaggio. Questo studio rappre- senta anche, in modo magistrale, la nozione vitruviana secondo la quale il corpo maschile di proporzioni ideali è quello che può essere inscritto in un cerchio e in un quadrato. Leonardo si dedicò agli studi fisiognomici; attra- verso i suoi disegni rappresentò il carattere dei soggetti come derivanti dall’aspetto somatico e dalla analogia zoologica. Un esempio il disegni della testa del tipo eroico o “leonino”(RL15575r). Leonardo è stato anche un esperto di cucina di cui si occupò professionalmente da ragazzo, da adulto e da anziano.In una piccola nota conservata in un museo di Roma (scritta a margine di un disegno architettonico e datata tra il 1515 e il 1516), contenuta nel Codice Atlantico, Leonardo, quando aveva oltre sessanta anni, consiglia non solo norme per una sana alimentazione ma norme riguardanti lo stile di vita che sono, per la gran parte, ancora valide dopo cinque secoli. Il progetto leonardiano fu una sintesi radicale tra arte e scienza; e la ri- cerca scientifica fu allo stesso tempo un capolavoro artistico. Il merito di Leonardo è stato quello di aver introdotto il metodo scientifico moderno, ba- sato sulla sperimentazione. La Scienza è figlia dell’esperienza, l’esperienza non ingan- na, ma il giudizio sul fenomeno può ingannare. Nessuna certezza è scienza se essa non pas- sa per le matematiche dimostrazioni (Leonardo).

RIFERIMENTI

1) Biffani M., Iannello A., Leonardo da Vinci e la dieta mediterranea. Amrita edizioni,Torino 2014. 2) Cianci M., Leonardo-Anatomia. Giunti editore, Firenze 2000. 3) Clayton M. Philo R. Leonardo da Vinci, anatomist. Royal Collection Trust, London 2012. 4) de Toni GB. Intorno a Marco Antonio Dalla Torre anatomico veronese del XVI secolo ed all'epoca del suo incontro con Leonardo da Vinci a Pavia. Atti del Reale Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti. 1895. 5) Favaro G., Leonardo da Vinci. I Medici e la medicina. Libraria Editrice Italiana P. Maglione e C. Strini, Roma 1923. 6) Keele KD. Leonardo da Vinci on the movement of the heart and blood. Harvey and Blythe, London 1952. 7) Keele K.D., Leonardo da Vinci’s Influence on Renaissance Anatomy. Medical History, Cambridge University Press 1964. 8) Keele KD, Pedretti C. Leonardo da Vinci. Corpus degli studi anatomici nella collezione di Sua Maestà la regina Elisabetta II nel Castello di Windsor. Barbera, Firenze; 1980. 9) Kemp M. ‘Il concetto dell'anima’ in Leonardo's early skull studies.J Warburg Courtauld Inst. 1971; 34: 115-134. 10) Laurenza D., Leonardo: l’anatomia. Giunti editore, Firenze 2009.

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Leonardo da Vinci nella storia della medicina

11) Marani P.C., Leonardo. Motta editore, Milano 1999. 12) Marani P.C., Rossi M., Rovetta A. L’Ambrosiana e Leonardo. Interlinea Editrice, Milano 1998. 13) Marinoni A. The sublimations of Leonardo da Vinci. Smithsonian Institution Press, Wa- shington 1970. 14) Marinoni A., Cogliati L. Leonardo all’Ambrosiana. Electa Editrice, Milano 1982. 15) Mingazzini P. et., I Segreti del Corpo - Disegni Anatomici di Leonardo da Vinci. Anthelios Edito- re, Milano 2008. 16) Mingazzini P., Leonardo e l’anatomia. Rivista il Bassini, Milano 2010. 17) Nuland S.B., Storia della Medicina. Mondadori editore, Milano 2004. 18) Pazzini A. (ed.), Il trattato dell’anatomia, Leonardo da Vinci. Roma 1962. 19) Pedretti C., Leonardo. Mondadori editore, Milano 2008. 20) Solmi E. Leonardo da Vinci come precursore dell’embriologia. Memorie della Reale Accademia delle Scienze. Torino 1909. 21) Vasari G. Vite dei più eccellenti architetti pittori et scultori italiani da Cimabue insino ai tempi no- stri. Sansoni editore, Firenze 1967.

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ATTI E RELAZIONI LVI, (2021), 109-122

Giuseppe Manisco [email protected] Museo “Leonardo da Vinci nella Città del Galateo”, Galatone (Lecce)

100 ANNI PRIMA DI HANS LIPPERSHEY, DI JAKOB METIUS E DI GALILEO GALILEI: IL CANNOCCHIALE DI LEONARDO DA VINCI – 1508/1509 100 YEARS BEFORE HANS LIPPERSHEY, JAKOB METIUS AND GALILEO GALILEI: LEONARDO DA VINCI’S TELESCOPE – 1508/1509

Sommario All’interno della vasta collezione di Macchine di Leonardo Da Vinci interpre- tate e realizzate da Giuseppe Manisco, oggetto del Museo ad esse dedicato a Galatone (Lec- ce), un posto di rilievo assume il Cannocchiale. Si tratta di un piccolo quanto rivoluzionario oggetto, che porta in sé la straordinarietà di essere stato concepito ben un secolo prima rispetto agli scienziati cui se ne fa risalire l’invenzione, tra cui Galileo Galilei. Attraverso lo studio attento del Foglio 25 del Manoscritto F di Leonardo Da Vinci, avallato ulteriormente da considerazioni più circostanziate, questo contributo ha l’obiettivo di accendere i riflettori, que- sta volta nel campo dell’ottica, sul più grande genio di tutti i tempi.

Abstract Within the wide collection of Leonardo Da Vinci’s Machines, interpreted and built by Giuseppe Manisco, which represent the items in the Museum dedicated to them in Galatone (Lecce), the Binoculars have a prominent position. A small but revolutionary ob- ject, as it was surprisingly conceived a century before scientists like Galileo Galilei – whose invention is linked to – did. Through a careful analysis of Folio 25 of Manuscript F by Leonardo Da Vinci, further confirmed by detailed considerations, this paper aims at drawing attention, this time in the field of optics, on the greatest genius of all time.

Son trascorsi ben 16 anni da quando, dopo aver letto un libro1 regala- tomi da un caro amico, la mia vita ha cambiato corso.

1 M. Cianchi, Le Macchine di Leonardo da Vinci, Becocci Editore, 1984 109

Il cannocchiale di Leonardo da Vinci

La potenza espressiva dei disegni, la suggestione prodotta in me da quelle note leonardesche non mi hanno lasciato scampo. Ormai sono oltre 140 i progetti di Leonardo che, attraverso un meti- coloso studio interpretativo, ho reso oggetti da far osservare alle migliaia e migliaia di visitatori di ciò che è diventato il noto museo “Le Macchine di Leonardo Da Vinci nella Città del Galateo” di Galatone (Lecce). Tutto questo lavoro è nulla, davvero nulla, rispetto all’immenso pen- siero di Leonardo. Un pensiero che indaga ed irrompe in ogni scibile umano. Neppure l’aspetto filosofico gli fu estraneo; al contrario, secondo il re di Francia Francesco I, la qualità migliore del genio fiorentino era proprio il suo essere “grande filosofo”. Era il 2016 quando fui attratto dal foglio 25 del Manoscritto F2 (Fig.2) per la sua particolare impostazione: disegni e testi si fondevano presentando una pagina elegante che al contempo mi appariva familiare, come se già in passato l’avessi consultata. Con non poche difficoltà, lessi le prime righe, da destra a sinistra, dall’alto in basso: «dell’acque cadente in fra l’aria che s’intersecano con varie grossezze, lunghezze di moto e potenzia…». Parlavano del comportamento dell’acqua quando, scorrendo, si misce- la con l’aria. Argomento, questo, alquanto importante ma che, in quel mo- mento, non colse il mio interesse inducendomi a voltare pagina; tuttavia, due strani disegni presenti più in basso, asciutti ed al contempo incomprensibili, mi incuriosirono. Una particolare attenzione a tale pagina leonardesca nasce già nel 1889 con la riproduzione dell’intero Manoscritto F dell’editore francese Ravaisson- Mollien e successivamente, nel 1938, con lo studio del prezioso foglio da par- te del fisico Domenico Argentieri3.

2 Il Manoscritto F è un codice di Leonardo Da Vinci conservato a Parigi presso l’ Institut de France ed è composto da 96 fogli (cm 14,5 x cm 10,5). Fu composto tra il 1508 ed il 1509. Infatti il foglio 1r inizia con le seguenti parole: «cominciato a Milano addì 12 settembre 1508». Conservato pressoché intatto, ha per oggetto lo studio del comportamento dell’acqua, alcuni studi sull’ottica, alcuni studi sulla luce e sulla cosmologia; è riportato anche un ragionamento in merito alle origini della superficie terrestre come emersione dalle acque del mare. 3 Argentieri (1888-1958), esperto di chimica, matematica e fisica, fu chiamato alla direzione del- la Salmoiraghi a Milano intorno al 1930; in quegli anni dedicò una parte dei suoi studi a Leo- nardo, interpretandone alcuni disegni tecnici fino ad allora rimasti indecifrati. Egli dedicò le sue ricerche, in particolare, all’ottica di Leonardo, pervenendo a delle conclusioni importanti e rivo- luzionarie. Lo scienziato partecipò attivamente alla realizzazione di molte macchine esposte in occasione della Mostra di Leonardo da Vinci e delle Invenzioni Italiane Palazzo dell’Arte, Milano, 1939. ( https://www.researchgate.net/publication/322103884_La_cultura_dei_territori ). 110

G. Manisco

All’interno di quel rettangolo con un gambo che sembra sorreggerlo, si legge: «Occhiale di cristallo grosso da’ lati un’oncia d’un’oncia». Le parole «occhiale», «cristallo», «oncia» colpirono la mia attenzione ed in particolar modo la parola «occhiale»: troppo attuale. Eppure Leonardo l’avrebbe utilizzata altre volte come quando, sul foglio 518r 4 del Codice Atlantico5, scrive «fa occhiali da vedere la luna grande». Ma tornando ad esaminare la scritta nel rettangolo, sembrerebbe che Leonardo stesse descrivendo quell’oggetto come se lo stesso fosse una sorta di particolare lente rettangolare con uno spessore al bordo pari a «un’oncia d’un’oncia», e tale lente sostenuta da una colonnina a guisa di piedistallo. Epperò, si fa fatica ad immaginare una lente di forma rettangolare. No, non poteva essere così. Peraltro, quale sarebbe potuta essere la sua possibile applicazione? E poi: se si parla di lenti, necessita capire sin da subito se si stia parlando di una lente convergente6 o di una lente divergente7 (il testo parla solo dello spessore al bordo e non dello spessore al centro). Ed emerge ancora un altro aspetto assolutamente incomprensibile: immaginare di realizzare una lente divergente (o convergente), non tonda, né quadrata, ma rettangolare con uno spessore periferico costante pari ad «un’oncia d’un’oncia». Una così immaginata lente, con un siffatto contorno presenterebbe sulla superficie ottica, in corrispondenza delle sue diagonali, zone di netta di- scontinuità, o comunque gradienti di livello assolutamente estranei alle nor- mali superfici ottiche. Le sue due superfici (esterna ed interna) non sarebbero semplicemente sferiche, ma intersezioni di superfici cilindriche. No! Troppo strano; davvero incomprensibile.

4 Il Foglio 518r è inserito capovolto nel Codice Atlantico e presentava numerazioni precedenti diverse: 190r e 102. 5 Il Codice Atlantico è una raccolta che comprende 1750 fogli di Leonardo Da Vinci datati tra il 1478 e il 1518, conservato presso la Biblioteca della Pinacoteca Ambrosiana di Milano. 6 In una lente convergente l’insieme dei raggi paralleli all’asse ottico che impattano sulla lente stessa ne escono e convergono su un unico punto chiamato fuoco della lente. Una lente con- vergente si presenta sottile al bordo e grossa al centro. 7 In una lente divergente l’insieme dei raggi paralleli all’asse ottico che impattano sulla lente stessa ne escono deviati verso l’esterno di modo che ogni loro singolo prolungamento conver- ga su un unico punto chiamato fuoco della lente. Una lente divergente si presenta sottile al cen- tro e grossa al bordo. 111

Il cannocchiale di Leonardo da Vinci

Figura 1. Ipotesi di lente rettangolare sottile in mezzo e spessa al bordo «un’oncia d’un’oncia». Elaborazione: G. Manisco

Figura 2. Foglio 25 - Manoscritto F

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Trascrizione del Foglio 25 – Manoscritto F

Nel riquadro rettangolare: «Occhiale di cristallo grosso da’ lati un’oncia d’un’oncia» Al centro: «Questo occhiale di cristallo debbe essere netto di macchie e molto chiaro, e da’ lati debbe essere grosso un’oncia d’un’oncia cioè 1/144 di brac- cio; e sia sottile in mezzo, secondo la proporzione di quelli occhiali che a lui stanno bene; e fia lavorato nella medesima stampa d’essi occhiali. E la lar- ghe[zza] di tal tavola sarà 1/6 di braccio e lunghezza ¼ di braccio, e così sarà lungo 3 once e largo 2, cioè un quadrato e mezzo. E questo tale occhiale si debbe adoperare remoto dall’occhio un terzo di braccio e altrettanto sia remoto dalla lettera che tu leggi; e se l’è discosto più, essa lettera parrà maggiore. Il effetto la lettera in istampa parrà lettera di scatole da speziali». Nella colonna a destra: «questo occhiale è bono da tenere in iscrittoio, ma se lo voi tenere fuori, fal lungo 1/8 di braccio e largo 1/12».

Nelle prime tre righe del testo centrale, a parte un’altra preziosa informazione, ovvero: «molto chiaro e netto di macchie» viene ripetuto, in forma più esaustiva, quanto riportato nel riquadro rettangolare soprastante: «Questo occhiale di cristallo debbe essere netto di macchie e molto chiaro, e da’ lati debbe essere grosso un oncia d’un’oncia…». Ma che significa «un’oncia d’un’oncia»? Un’oncia, contrariamente a quanto si è portati ad immaginare, allora e fino all’’8008, non era considerata come l’unità di misura del peso. L’oncia9 corrispondeva ad una piccola frazione di una qualsiasi unità di misura: un poco, un pezzettino di questa o di quell’altra cosa. Insomma, l’oncia era intesa come sinonimo di piccola quantità e, precisamente, pari a un dodicesimo dell’unità di misura di quella cosa o di quel pezzettino; nel nostro caso, dunque, un dodicesimo di braccio. Pertanto, quando si legge «un’oncia d’un’oncia», si dovrà intendere un dodicesimo di un dodicesimo di braccio, ovvero un centoquarantaquattresimo

8Il sistema metrico decimale fu adottato in Italia nel 1861. 9 Oggi un’oncia equivale a 28,35 grammi. 113

Il cannocchiale di Leonardo da Vinci

di braccio, quindi 4 millimetri, essendo un braccio fiorentino10 pari a 58 cen- timetri. Tutto ciò trova conferma nelle parole di Leonardo stesso nella prima metà del quarto rigo del testo centrale: «Cioè di braccio». 1 144 Quindi x 58 cm = 0,4 cm 1 Dunque Leonardo dice144 che la lente, oltre ad essere costituita da un cristallo molto chiaro e privo di macchie, deve essere, come già sopra antici- pato, spessa al bordo 4 mm. Un buon risultato, certo, ma la strada verso quello definitivo è davve- ro ancora lunga. Si dovrà comprendere ancora se «la strana lente rettangolare» sia una lente divergente o convergente.

Figura 3. Rappresentazione di lenti convergenti e divergenti

La risposta chiara e priva di incertezze è data da Leonardo nella se- conda metà del quarto rigo: «e sia sottile in mezzo». Dunque trattasi, senza dubbio alcuno, di una lente divergente. Nasce la conseguente considerazione: è fin troppo noto che, con una sola lente divergente, non si possa ottenere alcun ingrandimento. In realtà, al- lontanando o avvicinando una lente divergente dall’occhio che osserva un og- getto, quest’ultimo apparirà rispettivamente ingrandito o rimpicciolito, ma il suo massimo ingrandimento non supererà mail il valore reale.

10 Il braccio fiorentino corrispondeva a 58,32 centimetri. 114

G. Manisco

Epperò Leonardo parla abbastanza esplicitamente di un reale ingran- dimento quando spiega che «… e se l’è discosto più, essa lettera parrà mag- giore». Il che vale a dire che, se si allontana il dispositivo ottico di cui Leonar- do parla da una qualsivoglia scrittura, le lettere di tale scrittura appariranno ingrandite («…essa lettera parrà maggiore»). Ed ancora più innanzi sottolinea: «…la lettera in istampa parrà lettera di scatole da speziali». Fa intendere, cioè, che le normali lettere di una normale stampa appariranno come le lettere di parole apposte su scatole contenenti “spezie”, ossia parole pubblicitarie e, come risaputo, vistosamente grandi. In considerazione di tali premesse, discende che dovrà intendersi ne- cessaria ed indispensabile la presenza di una lente convergente e che, quindi, quel rettangolo non raffigurerebbe certamente una sola e semplice lente ret- tangolare (divergente), ma rappresenterebbe qualcosa di più complesso: ap- punto un complesso ottico con la presenza di un’altra indispensabile lente del tipo convergente. E tale complesso ottico non potrà che presentarsi con delle determi- nate misure geometriche, con una precisa lunghezza e, soprattutto, con un preciso diametro che Leonardo fornisce molto chiaramente: «E la larghe[zza] di tal tavola sarà 1/6 di braccio e lunghezza ¼ di braccio, e così sarà lungo 3 once e largo 2, cioè un quadrato e mezzo». Ma, nel far questo, Leonardo parla non di un cilindro ma di una “tavola” quindi parla di una figura piana e ret- tangolare. In realtà non è così. Leonardo è Leonardo ed è fin troppo noto il suo tipico modo di intendere ed argomentare; ed in questo caso, quando parla di “tavola” in realtà intende, come sostiene condivisibilmente Argentieri11, una figura non piana ma solida, e precisamente un cilindro. E, per spiegare tutto ciò, va aperto il Codice Arundel12 al ben noto foglio 154r dove si potrà leggere: «Quel corpo quadrato che passa l'alteza del cubo, si dice cilindro; quel ch'è manco in alteza del cubo è detto tavola. E così acade ne' tondi». Il che, graficamente, si potrà esplicitare come segue:

11 Leonardo Da Vinci, (a cura di Mostra di Leonardo Da Vinci in Milano), Istituto Geografico De Agostini, Novara, 1939 12 Il Codice Arundel (dal nome del suo primo possessore riconosciuto, Henry Howard, XXII conte di Arundel) è una raccolta di disegni e scritti di Leonardo da Vinci, comprendente 283 fogli databili tra il 1478 e il 1518, attualmente conservato alla British Library di Londra. 115

Il cannocchiale di Leonardo da Vinci

Figura 4. Esplicazione della parola “tavola”. Elaborazione: G. Manisco

Pertanto, quando Leonardo parla di “cilindro”, questo lo si deve in- tendere in posizione verticale; quando parla di “tavola”, il cilindro lo si deve intendere in posizione orizzontale. Dunque, Leonardo parla di un cilindro del diametro pari ad un sesto di braccio, ovvero 1/6 x 58 cm = 9,6 cm e della lunghezza pari ad un quarto di braccio, cioè 1/4 x 58 cm = 14,5 cm. Tali misure trovano conferma nei seguenti ragionamenti: 2 once valgono 2 x 1/12 x 58 = 9,6 cm e 3 once valgono 3 x 1/12 x 58 = 14,5 cm. Mentre la puntuale precisazione di Leonardo «…cioè un quadrato e mezzo» trova conferma nel ragionamento grafico-analitico di seguito riporta- to:

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Figura 5. Esplicazione della dicitura «un quadrato e mezzo». Elaborazione: G. Manisco

Il riquadro rettangolare con gambo rappresenterebbe, dunque, non già una lente rettangolare, ma un tubo cilindrico chiuso alle estremità da due lenti, e precisamente una divergente ed una convergente. Tutto ciò ha dell’incredibile se si pensa che, a parte i primordiali trattati di ottica di Ruggero Bacone13 risalenti al XIII secolo, i primi modesti quanto fortuiti successi sul cannocchiale vengono riconosciuti, a cavallo tra il XVI e XVII secolo, a Hans Lippershey (un costruttore di occhiali di origini tedesche, naturalizzato olandese) e a Jakob Metius14 (un artigiano olandese), fino a giungere ai risultati dello scienziato Galileo Galilei.

13 Filosofo e scienziato (1214 circa - dopo il 1292), detto talora per la sua vasta cultura Doctor mirabilis, agostiniano e animato dal gusto per l'osservazione della natura. 14 Lippershey è accreditato come il creatore e il diffusore del primo modello di telescopio fun- zionante. Sebbene alcuni modelli più grezzi di telescopi e cannocchiali fossero stati creati già molto tempo prima, forse addirittura dagli assiri, si ritiene che Lippershey sia stato il primo a depositare una domanda di brevetto per il suo modello (il 2 ottobre 1608, anticipando di poche 117

Il cannocchiale di Leonardo da Vinci

In verità, Leonardo già all’inizio del XV secolo parlava di una lente «…sottile in mezzo», cioè della lente divergente, spiegando che al bordo è spessa 4 mm e che ha un diametro di 96 mm ed è inserita in un complesso ottico (così è definito proprio un cannocchiale) lungo 3 once, cioè 145 mm. Della lente convergente, assolutamente necessaria per ottenere un ingrandimento, non si vede traccia diretta, se non la sua ipotetica esistenza giustificata dalla semplice considerazione secondo cui non poteva non esserci. Ovviamente, non ci si può accontentare di una simile conclusione. Quando Leonardo parla dello spessore al bordo della lente divergente, aggiungendo che la stessa debba essere sottile al centro, precisa immediatamente dopo che, per stabilire tali spessori, necessita tener conto della vista di colui che utilizzerà tale dispositivo ottico. E precisamente: «…secondo la proporzione di quelli occhiali che a lui stanno bene; e fia lavo- rato nella medesima stampa d’essi occhiali». In realtà, non si dovrà intendere alla lettera quanto riportato nella pri- ma parte della suddetta frase, altrimenti si dovrebbe pensare a cannocchiali personalizzati, peraltro non esistendo ancora, nemmeno come ipotesi, l’idea di un cannocchiale telescopico. Ed in effetti Leonardo non vorrebbe attivare una relazione fra le lenti da utilizzare e la vista dell’individuo che poi avrebbe utilizzato il cannocchiale, ma vuole stabilire una relazione fra la lente divergente e la lente convergente: l’una costruita utilizzando la stessa “stampa” in cui viene costruita l’altra. Ma di cosa parla Leonardo quando parla di “stampa”? La risposta a tale domanda è affidata all’oggetto raffigurato a lato del riquadro rettangolare (Fig.6).

settimane Jacob Metius), che fu reso compiutamente disponibile nel 1608: pur non essendo riuscito a brevettarlo, gliene furono commissionate dal governo olandese alcune copie. Il "ve- tro prospettico olandese", come fu chiamato il telescopio di Lippershey, aveva un ingrandi- mento di appena tre volte. 118

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Figura 6. Foglio 25 – Manoscritto F (particolare)

Ciò è quanto sostiene anche il fisico Argentieri. Tale oggetto, una sorta di sfera cava in piombo, con un preciso spes- sore, permetteva di lavorare le lenti divergenti (concave) sulla superfice ester- na (convessa) e le lenti convergenti (convesse) sulla superfice interna (conca- va). Fin qui tutto condivisibile, ma va precisato che il dispositivo in argo- mento è raffigurato in modo eloquente ma abbozzato e, pertanto, non lo si potrà utilizzare come disegno tecnico rigoroso, né utilizzarlo per rilevare su di esso misure, come ad esempio il rapporto fra i raggi di curvatura, al contrario di quanto invece afferma Argentieri. Il disegno va preso per quello che è: poco più di un piccolissimo schizzo. Va ricordato che l’intero foglio misura 14,5 cm x 10,5 cm; tale disegno misurerebbe circa 3,5 cm x 2 cm. Peraltro, si rileva facilmente che le due superfici curve rappresentate nel piccolo disegno si discostano alquanto dal tracciato sferico se si considera il centro quello indicato nella figura stessa.

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Il cannocchiale di Leonardo da Vinci

Figura 7. Dispositivo in piombo per la lavorazione delle lenti. Elaborazione: G. Manisco

È certo, tuttavia, che la lente divergente dovrebbe essere lavorata nello stesso dispositivo utilizzato per formare la corrispettiva lente convergente. Stando a quanto afferma Argentieri, gli occhiali di cui parla Leonardo saranno stati gli occhiali utilizzati a quel tempo, ovviamente da persone in avanti con l’età (50 – 60 anni). Quindi persone che non vedono bene da vici- no e tali da richiedere l’uso di lenti convergenti. Ora, supponendo il verosimile utilizzo di lenti da 8 diottrie (ossia, con una distanza focale pari a 1/8 x 100 = 12,5 cm) si riesce a calcolare la distan- za fra le lenti, nonché l’eventuale ingrandimento. Ma tutto ciò sarebbe possibile solo senza i tanti vincoli imposti da Leonardo nella progettazione del suo cannocchiale: 1. Una lente divergente del diametro di 9,6 cm, sottile al centro e spessa al bordo 4 mm (oculare, cioè la lente vicina all’occhio); 2. Lente convergente adatta per persone di 50-60 anni dello stesso dia- metro della lente divergente (obbiettivo, cioè la lente dalla parte dell’oggetto); 3. Tali due lenti realizzate nella medesima stampa; 4. Distanza fra le lenti pari a 145 mm; 5. Questo dispositivo lo si dovrà adoperare lontano 1/3 di braccio sia dall’occhio che osserva che dall’oggetto osservato; 6. Il risultato obbligato consiste nell’ingrandimento dell’oggetto osser- vato.

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G. Manisco

Nella colonna a destra Leonardo precisa «Questo occhiale è bono da tenere in iscrittoio», cioè va usato in ambienti chiusi per ingrandire cose minute e vicine. «Questo occhiale», come lo chiama Leonardo, presenta numerosi dubbi circa la sua realizzazione, sia in relazione alla mera costruzione delle lenti imposte ed anche rispetto alla particolare condizione telescopica da sod- disfare. Inoltre, se lo scopo di tale dispositivo ottico fosse stato quello di in- grandire l’immagine di oggetti vicini, sarebbe bastato l’uso di una sola e sem- plice lente convergente. Poi Leonardo continua «ma se lo voi tenere fuori», vale a dire, se si vogliono osservare oggetti lontani, quindi presumibilmente all’esterno, «fal lungo 1/8 di braccio e largo 1/12». Cioè necessita fare un altro cannocchiale lungo 7,2 cm con un diametro di 4,8 cm, con l’implicita considerazione che la lente divergente (oculare) debba essere sottile al centro e spessa al bordo 4 mm e la lente convergente (obbiettivo) debba essere quella secondo gli occhiali adatti ad uomini di 50-60 anni. Pertanto, dinanzi a tali precisi ragionamenti, considerando il suo essere “omo sanza lettere” come egli stesso si definiva, ma non potendo d’altronde relegarlo a mero occhialaio, è doveroso sottolineare l’importanza della figura di Leonardo Da Vinci, straordinaria anche nel campo dell’ottica. Dotato di grande ingegno e acuto osservatore, riuscì ad elaborare spunti di riflessione rivoluzionari, pur con i limiti imposti dalla scienza e cultura del suo tempo, concependo un sistema di lenti convergente-divergente con lo scopo di osservare oggetti lontani come se fossero vicini.

Figura 8. Rappresentazione schematica del cannocchiale. Elaborazione: G. Manisco

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Il cannocchiale di Leonardo da Vinci

E concentrando l’attenzione solo sull’ultimo dispositivo innanzi de- scritto, con una certa dose di emozione, lo confesso, ho realizzato il cannocchiale sopra schematizzato (Fig. 8). L’ingrandimento registrato è apprezzabile e pari ad 1: 1,42. Non si hanno certezze in merito alla costruzione di tale o tali cannocchiali da parte di Leonardo o chi per lui; fino a prova contraria, in epoca contemporanea si tratta della prima realizzazione, avendone divugato il risultato nel 2016 presso l’Università del Salento.

Figura 9. Cannocchiale realizzato da Giuseppe Manisco interpretando il Foglio 25r del Manoscritto F (2016)

RIFERIMENTI

Leonardo Da Vinci, (a cura di Mostra di Leonardo Da Vinci in Milano), Istituto Geografico De Agostini, Novara, 1939 Leonardo Da Vinci - Il Codice Atlantico della Biblioteca Ambrosiana di Milano, Giunti Editore, Fi- renze-Milano, 2006, 12 voll. M. Cianchi, Le Macchine di Leonardo Da Vinci, Becocci Editore, 1984 S. Cacciatore, La cultura dei territori. La cultura dei territori. Domenico Argentieri e l’ottica di Leonar- do, 2017 (https://www.researchgate.net) https://www.leonardodigitale.com https://www.treccani.it 122

ATTI E RELAZIONI LVI, (2021), 123-129

Marco Mazzeo

[email protected]

Dipartimento di Matematica e Fisica “Ennio De Giorgi”, Università del Salento, Via per Arnesano, 73100 Lecce

SULLE SPALLE DEI GIGANTI: LE ORIGINI GRECHE DELLA SCIENZA DI LEONARDO TITLE IN ENGLISH: INSTRUCTIONS FOR DRAWING UP THE ARTICLES

Sommario Secondo una radicata idea popolare la scienza progredirebbe mediante le idee radicali di pochi geni isolati. In questo lavoro, partendo proprio dal “caso Leonardo da Vinci” cercheremo di dimostrare come fin dalla sua nascita la scienza progredisce grazie ad uno sforzo collettivo nonché al recupero e alla rivitalizzazione della scienza greco-ellenistica, dovuta alla diffusione di autori greci del calibro di Euclide e Archimede. Abstract According to a deep-rooted popular idea, science would progress through the radical ideas of a few isolated genes. In this work, starting from the "Leonardo da Vinci case" we will try to demonstrate how science has progressed since its inception owing to a collective effort as well as to the recovery and revitalization of Greek-Hellenistic science, due to the spread of Greek authors such as Euclid and Archimedes.

1. INTRODUZIONE In questo breve lavoro porremo in critica l’idea di genio isolato. Que- sto termine è spesso adoperato per apostrofare il lavoro del singolo scienziato il quale, in questa accezione, è considerato come un individuo speciale rispet- to alla comunità cui appartiene, la quale spesso non lo comprende perché troppo in anticipo sui tempi o perché pericoloso per la tradizione. Al primo caso apparterrebbe Leonardo da Vinci, al secondo Galileo Galilei. Per quanto riguarda Leonardo da Vinci (Anchiano, 15 aprile 1452 – Amboise, 2 maggio 1519) l’ascesa di questo brillante artista a genio universale dell’immaginario collettivo va certamente associata alla riscoperta quasi in blocco delle sue ope- re e dei suoi appunti, avvenuta in piena era industriale nonché nella totale ignoranza circa le opere degli ingegneri a lui contemporanei [1]. 123

Sulle spalle dei giganti: le origini greche della scienza di Leonardo

L’idea romantica di scienza come figlia di poche menti geniali e isolate è strettamente legata ad una concezione distorta del pensiero scientifico, inte- so come sapere puramente oggettivo e svincolato da processi storici e limiti cogni- tivo-culturali. La scienza, secondo questa idea oggi dominante anche nelle scuole e nelle università, emergerebbe per necessità dalla semplice osservazio- ne della natura per poi procedere grazie a rivoluzioni improvvise causate da singoli individui: le menti geniali. Queste metterebbero a soqquadro le cono- scenze acquisite nella fase scientifica precedente, ponendosi perciò in antitesi sia con il passato che con il presente, salvo poi attribuire l’emergenza delle idee geniali ad una sorta di illuminazione divina. Così Newton avrebbe sco- perto la sua famosa legge di gravità grazie alla caduta fortuita di una mela, e Leonardo avrebbe inventato il futuro grazie al suo essere un “genio italico”. Un’altra concezione della evoluzione della scienza, non in disaccordo con la prima, fa leva sull’idea che essa sia nata all’improvviso una sola volta a cavallo tra la fine del XVI secolo e gli inizi del XVII per opera della mente geniale di un solo uomo: Galileo Galilei. Da quel momento in poi essa si sa- rebbe evoluta per crescita cumulativa delle conoscenze, in progressione espo- nenziale, senza interruzioni né inversioni di marcia. E’ la visione positivista del progresso inarrestabile della scienza e della potenza umana. E’ tuttavia oramai acclarato come la nascita della scienza vada retrodatata per lo meno al III secolo a.C., quando cioè nei territori ellenistici come Alessandria d’Egitto, Rodi e Siracusa, si svilupparono le scienze esatte, tra le quali vanno annovera- te anche la meccanica, l’idraulica e la pneumatica [2,3]. Va detto che un tale fenomeno fu, anche in questo caso, esplosivo (durò circa tre secoli), ma anche qui varie possono essere state le motivazioni che hanno portato alla sua emer- genza, alle quali rimandiamo ad altri lavori [2], ma che certamente trovano le sue spiegazioni in fattori storici specifici e accidentali che vanno fatti risalire alla nascita della filosofia nelle colonie greche del VI a. C., su cui discipline già progredite presso la civiltà egizia e mesopotamica, come la matematica o l’astronomia, trovarono nuove domande ed approcci culturali [3]. Esplorando brevemente l’attività di Leonardo da Vinci cercheremo di mostrare come lungi dall’essere pertanto il frutto di singole personalità le rivo- luzioni scientifiche, che pur esistono, sono messe in atto da una collettività e dalla contingenza storica.

2. I TEMI MECCANICI DI LEONARDO Quali sono state le presunte innovazioni tecnologiche nate dal nulla di Leonardo da Vinci? Studiando la sua vasta letteratura annoveriamo: balestre 124

M. Mazzeo

giganti, viti senza fine, argani, cuscinetti a sfera, sottomarini, bombarde singo- le e a ventaglio, ponti autosostenuti, carri falcati, automi e persino un’automobile funzionante mediante energia elastica. [6] Ebbene uno studio approfondito degli ingegneri rinascimentali a lui precedenti e a lui coevi ci consente di vedere come tutti questi temi rappresentavano un argomento di ricerca comune per l’epoca. Tra gli ingegneri precursori di Leonardo ricor- diamo Guido da Vigevano (1280–ca.1349), Giovanni Dondi dell’orologio (1330-1388), Giovanni Fontana (1393-1455), Filippo Brunelleschi (1377 – 1446), Mariano di Jacopo, detto il Taccola (1381 – 1453), Roberto Valturio (1405 – 1475), Leon Battista Alberti (1404 – 1472) e ingegneri a lui contem- poranei come Piero della Francesca (1416, 1492) e Francesco di Giorgio Mar- tini (1439 – 1501). Le opere da essi pervenuteci sono progetti di tecnologie simili, spesso in modo imbarazzante, a quelli disegnati da Leonardo (che tut- tavia ricordiamolo è spesso posteriore a questi autori): basti pensare al sotto- marino di Guido da Vigevano, o alle sue automobili da crociata. O si vedano le illustrazioni di Giovanni Fontana nel suo Bellicorum instrumentorum liber di si- foni, fontane, e automi. Oppure pensiamo agli orologi automatici di Giovanni Dondi e a quello di Brunelleschi, primi esempi di automi. Mariano di Jacopo, Roberto Valturio e Francesco di Giorgio Martini sono poi famosi per i loro scritti che sviluppano applicazioni militari, come carri falcati e cannoni facil- mente trasportabili, entrambi temi leonardeschi, o di applicazioni civili come macchine per il sollevamento dell’acqua (si noti ad esempio la vite infinita di Leonardo che aveva lo stesso scopo e che peraltro altro non è se non la vite di Archimede). Curiosa è perfino l’invenzione del paracadute di Mariano di Ja- copo, anche questo troppo simile a quello riportato da Leonardo da Vinci. Possiamo dunque a ragion veduta sostenere che Leonardo, più che es- sere stato un genio ribelle e isolato, fu piuttosto l’esponente oggi più noto di un gruppo di ingegneri che, dalla seconda metà del ‘300 alla prima metà del ‘500, proposero una serie di innovazioni tecnologiche che diverranno impor- tanti non solo per la tecnologia in sé, quanto per aver messo in circolazione concetti e manufatti che hanno rivitalizzato lo studio della meccanica, ovvero la scienza delle macchine: il prototipo di scienza esatta rinascimentale che finì per fare dell’universo stesso una sorta di gigantesco orologio, ovvero un au- toma, da studiare con i princìpi delle forze. Ma allora qual è la vera innova- zione di Leonardo in campo scientifico? Certamente va detto che un elemen- to di rottura col passato è l’uso in Leonardo di disegni di qualità nettamente superiore rispetto ai suoi precursori. Si pensi alle sue tavole di dissezione ana- tomica e le si confronti con quelle apparentemente puerili di Guido da Vige- vano di due secoli prima (Fig.1), in cui si vede un chirurgo (probabilmente lo 125

Sulle spalle dei giganti: le origini greche della scienza di Leonardo

stesso Guido da Vigevano) che opera una dissezione su un cadavere disposto su un letto verticale, frutto della mancanza di una teoria della prospettiva, la quale al contrario è evidente nei disegni leonardeschi di macchine come au- tomi o cannoni. Eppure anche qui la tecnica prospettica non nasce con Leonardo, bensì con Leon Battista Alberti, il quale nel De Pictura (scritto nel 1435) espo- se i princìpi di questa arte scenografica, peraltro già sviluppata nel periodo el- lenistico come applicazione della scienza dell’ottica. Si pensi poi ai famosi di- pinti in prospettiva centrale di Piero della Francesca (1416-1492) come la fla- gellazione o al suo trattato De prospectiva Pigendi, presumibilmente del 1482.

Figura1. A sinistra e al centro: Dissezione anatomica disegnata da Guido da Vigevano (1280-1349), si noti la totale mancanza di prospettiva; a destra: Descrizione dell’anatomia femminile in un disegno di Leonardo da Vinci.

Va da sé che se da un lato Leonardo fu certamente un grandioso dise- gnatore e pittore, dall’altro lato l’aver appreso le tecniche prospettiche influì certamente sulla precisione dei suoi disegni tecnici. E certamente una sua in- novazione fu la prospettiva esplosa, ampiamente usata da lì fino ad oggi da tutti gli ingegneri per rappresentare non solo la macchina in sé e le sue parti ma anche come queste, ingranaggi, vite a cremagliera, ecc., si integrano nella totalità della struttura meccanica. In questo modo il disegno diventa più effi- cace del testo scritto nel veicolare informazioni utili per la comprensione del funzionamento della macchina e per la sua realizzazione concreta, superati so- lo da modellini in scala o dalle visualizzazioni dinamiche odierne della compu- ter science. Naturalmente, per quanto l’opera ingegneristica rinascimentale sia sta- 126

M. Mazzeo

ta frutto di una collettività effervescente più che del singolo genio di Leonar- do, sorge la domanda di come sia stato possibile un salto tecno-scientifico di questo livello, e perché proprio nell’umanesimo rinascimentale, ovvero nel XV secolo. Ebbene la risposta ha a che vedere con tre cause: 1. l’invenzione della stampa a caratteri mobili intorno al 1450, 2. il crollo dell’impero bizantino nel 1453 a causa dell’invasione dell’impero ottomano 3. una convergenza di interessi tra prìncipi, umanisti e tecnici nell’Italia centro settentrionale. Il crollo di Bisanzio naturalmente segnò solo la fase terminale di un impero in crisi da decenni, con quella che potrebbe essere definita la prima fuga dei cervelli della storia, pensatori che emigrarono in varie sedi, tra cui la ricca Italia centro-settentrionale, portando con sé un patrimonio di conoscen- ze vastissimo risalente alla cultura greco-ellenistica. Infatti a Bisanzio, erede naturale dell’impero romano d’oriente, dove ancora si parlava il greco, erano conservate le opere di autori ellenistici, naturalmente scritte in greco. Ebbene in Italia gli umanisti, letterati che volevano riportare in auge gli splendori del periodo antico classico, durante quella fase storica appunto chiamata umane- simo, recuperarono le fonti disponibili del periodo classico ed ellenistico con l’intento di condurre un’opera filologica seria ma senza alcuna mediazione (come invece accadde nelle traduzioni dal greco all’arabo e solo poi al latino). A tal fine ebbero bisogno sia di traduttori bizantini, che conoscevano il greco, che di tecnici “autoctoni”, i quali erano gli unici che potevano capire alcune opere tecnologiche, di cui gli umanisti non erano esperti. Viceversa i tecnici, (bottegai, pittori e ingegneri) avevano bisogno di schemi teorici più potenti per comprendere il funzionamento delle macchine ellenistiche (ed eventual- mente progettarne di nuove) riportate ad esempio da Erone e da Vitruvio, nonché del greco, che loro non conoscevano, per tradurre i testi e compren- dere le illustrazioni e riuscire a rendere meglio la prospettiva dei loro dipinti. A questa proficua collaborazione tra umanisti e tecnici si aggiunse l’interesse dei prìncipi, mossi da una competizione, in quella che potrebbe definirsi una sorta di guerra fredda tra regni e ducati, e dunque bisognosi di innovazione tecnologica per accrescere il proprio potere militare ed economico. È evidente che la stampa a caratteri mobili catalizzò queste tre istanze rendendo più frui- bile l’accesso a copie di autori antichi. Si fondarono così scuole di traduzione dal greco al latino, come a Padova e a Siena, e non è un caso che gli ingegneri rinascimentali di cui abbiamo parlato operarono proprio in località come Sie- na, Padova o Venezia. Le fonti greche che, a seguito dell’enorme sforzo di traduzione, ebbero risonanza e divennero così sorgente di innovazione, risal- 127

Sulle spalle dei giganti: le origini greche della scienza di Leonardo

gono ad autori come Vitruvio, Frontino, Ctesibio, Filone di Bisanzio, Erone di Alessandria, Archimede ed Euclide, da cui, oltre che la spinta all’astrazione e alla dimostrazione per teoremi, gli ingegneri trassero spunto per la realizza- zione di sifoni, idranti, organi idraulici, automi ed orologi. Il recupero della scienza ellenistica avrà delle ripercussioni enormi anche per la geografia, se si pensa che la stampa del trattato di Claudio Tolomeo negli anni ‘70 del 400 porterà i cartografi a impadronirsi di tecniche di proiezione stereografica in- novative (la stereografia fu una scienza sviluppatasi già all’epoca di Eratoste- ne) e Cristoforo Colombo ad intraprendere il suo viaggio verso le Indie. Il trattato di ottica di Euclide fu probabilmente anche alla base della teoria geo- metrica della prospettiva sviluppata da Leon Battista Alberti.

3. CONCLUSIONI A conclusione di questo breve lavoro possiamo affermare che Leo- nardo da Vinci, più che essere un genio isolato del rinascimento, va considera- to piuttosto come il rappresentante oggi più illustre, per non dire più noto, di una schiera di ingegneri i quali rivitalizzarono, e in alcuni casi reinventarono, la meccanica, la scenografia e la tecnologia (e più tardi anche la matematica) della scienza ellenistica. Ma possiamo trarre anche alcune conclusioni a latere, sebbene probabilmente più importanti: anzitutto abbiamo visto, discutendo del “caso da Vinci”, che mettere in luce le connessioni storiche che hanno consentito ad alcune idee di affermarsi permette di comprendere meglio come si sviluppi realmente la scienza: essa è un’opera che procede per accumulazio- ne di conoscenza e per salti dovuti ad una collettività e non grazie a singole menti geniali solate. In secondo luogo si comprende come la scienza sia un prodotto culturale e non necessariamente dato, nato in seno ad una cultura specifica (i greci) e poi rivitalizzata nei vari rinascimenti, (ve ne sono stati al- meno altri due prima di quello del XVII secolo), di cui l’ultimo ancora in cor- so. Il progresso scientifico, in quanto culturale e storico, non solo potrà non essere garantito per sempre, ma potrebbe perfino causare la sua stessa nemesi con l’avvento della Intelligenza Artificiale7, figlia di quegli automi rina- scimentali e dell’evoluzione del paradigma sintattico di origine greca5, di un diverso rapporto cognitivo con la trasmissione della conoscenza fino a giun- gere a non comprendere più il contenuto di certi testi, e infine dei cambia- menti climatici antropogenici in atto, frutto certamente della dissennatezza umana ma anche dell’enorme potere sulle risorse naturali che la scienza ha da- to nelle mani dell’uomo. Comprendere questo, capire come si sia prodotta 128

M. Mazzeo

conoscenza nel passato, svelandone le interconnessioni storiche, consentireb- be di mettere in atto strategie onde evitare, per quanto possibile, un declino scientifico che, lungi dall’essere solo un effetto delle politiche attuate nel no- stro paese, potrebbe essere in atto, a livello cognitivo, sull’intero pianeta.

4. RIFERIMENTI [1] Lucio Russo, Emanuela Santoni, Ingegni minuti. Una storia della scienza in Italia, Feltri- nelli (2010). [2] Lucio Russo, La rivoluzione dimenticata, Feltrinelli, 1996; [3] Luigi Borzacchini, Il computer di Platone. Alle origini del pensiero logico e matematico, De- dalo, 2005; [4] Domenico Laurenza, Le macchine di Leonardo. Segreti e invenzioni nei Codici da Vinci. Ediz. Illustrata, Giunti, 2017; [5] Yuval Noah Harari, 21 lezioni per il XXI secolo, Bompiani, 2018.

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ATTI E RELAZIONI LVI, (2021), 131-140

Michele Mossa

[email protected]

Politecnico di Bari, DICATECh - Dipartimento di Ingegneria Civile, Ambientale, del Ter- ritorio, Edile e di Chimica, Via E. Orabona 4 – 70125 Bari

IL CONTRIBUTO DI LEONARDO DA VINCI NEL CAMPO DELL’IDRAULICA LEONARDO DA VINCI'S CONTRIBUTION IN THE FIELD OF HYDRAULICS Sommario Nel presente lavoro si riporta una sintesi del contributo di Leonardo da Vinci nel campo dell’idraulica. Vengono evidenziati una gamma di leggi o campi di moto analizzati o rappresentati da Leonardo, come il risalto idraulico, i flussi in presenza di ostacoli, il moto ondoso, la conservazione della massa, oltre che alcuni geniali contributi nel campo delle costruzioni idrauliche. Abstract In this work, a summary of Leonardo da Vinci's contribution in the field of hydraulics is reported. Some theoretical laws or fluid flows analyzed or drawn by Leonardo are highlighted, such as hydraulic jumps, flow fields with obstacles, wave motion, mass conservation, as well as some ingenious contributions in the field of hydraulic constructions.

1. INTRODUZIONE Tra la vasta gamma di fenomeni che Leonardo analizzò e rappresentò va annoverato il comportamento dei liquidi. Nel suo Codice Leicester, Leo- nardo da Vinci [9] evidenzia le sue idee rivoluzionarie sulla fluidodinamica. I numerosi disegni contenuti nei codici provano come l’interesse di Leonardo per le opere idrauliche e per l’acqua non sia che un aspetto del suo metodo di osservazione e rappresentazione del paesaggio, allo stesso tempo, artistico, na- turalistico e ingegneristico. Nei suoi taccuini Leonardo sembra parlare con sé stesso, cercando di dare delle risposte a quesiti come: perché dei pesi all’interno della terra si sono spostati e continuano a spostarsi? perché i mari hanno cambiato di posto e di volume? quanto correnti e quanti vortici si trovano sotto le onde che vediamo alla superficie di un fiume? come si devono costruire gli ostacoli per impedire al fiume di mangiare la sua sponda?

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Il contributo di Leonardo da Vinci nel campo dell’idraulica

Solo una parte dei testi di Leonardo sono conclusi e ben elaborati. Nella maggior parte dei casi si tratta di elaborazioni o pensieri sparsi. I cosiddetti co- dici leonardeschi non erano in origine dei grossi volumi, ma dei libretti o qua- dernetti. Spesso contengono contraddizioni o ripetizioni, in alcuni casi presen- tano interruzioni. Comunque, l’osservazione della natura è sempre al centro dell’attenzione. Particolarmente noti sono due dei suoi aforismi, pertinenti ai temi svi- luppati in questa nota, nei quali dichiarava che “la meccanica è il paradiso delle scienze matematiche, perché con quella si viene al frutto matematico” e che “l’acqua che tocchi dei fiumi è l’ultima di quella che andò e la prima di quella che viene. Così il tempo presente”. Nel seguito si riportano alcuni esempi di opere idrauliche o fenomeni idraulici analizzati e rappresentati da Leonardo.

2. RISALTO IDRAULICO La tavola numero 9 del testo “Dalla natura de’ fiumi” (Guglielmini [7]) mostra un risalto idraulico accompagnato dal seguente commento del Gugliel- mini: “Supponiamo ancora che l’acqua, uscendo da B, ed entrando nel canale BG meno declive, ma più largo, richieda per iscaricarsi, l’altezza BE minore della CH: s’osserva in tal caso, che l’acqua per AB non porta la sua superficie CD, ad unirsi con quella di EF; ma si profonda come in ED, sotto del livello EF, e l’acqua resta in ED sospesa, conservandosi la superficie in CDEF.” Per ulteriori dettagli si veda Mossa e Petrillo [11]. Bidone [3] condusse numerosi test con diversi valori di portata; per ogni test modifi- cava l’altezza della corrente a monte d1 e misurava la profondità più elevata di valle d2. Bidone si rese conto che le due profondità erano collegate. Ipotizzò che ciò che veniva perso in altezza (energia potenziale) venisse recuperato in velocità (energia cinetica). Ma i risultati sperimentali confutarono la sua ipotesi di conservazione dell’energia meccanica. Circa dieci anni dopo, Jean Baptiste Bélanger [1] analizzò le misure di Bidone. Trovò discrepanze rispetto all’equa- zione proposta da Bidone, e inizialmente fece quello che i teorici fanno sempre in tali situazioni, ossia ritenne che i dati sperimentali fossero errati.

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M. Mossa

Figura 1. Il risalto idraulico rappresentato da Guglielmini (1739).

Ma Bidone non commesse errori sui valori sperimentali, ma piuttosto nell’ipotizzare la costanza dell’energia meccanica. Pertanto, Bélanger decise di affrontare il problema partendo dal principio di conservazione della quantità di moto, ottenendo la ben nota equazione di Bélanger per il risalto idraulico, che tiene conto della perdita di carico della corrente. In questa affascinante storia sul risalto idraulico, ancora oggi del tutto attuale ([2] e [4]), Leonardo intervenne assai prima dello stesso Guglielmini, non già per risolvere l’equazione alla base del fenomeno, che, come già scritto, avvenne molto più tardi, ma per osservare e rappresentare con dovizia di particolari i vortici nelle correnti (figura 2). Ai disegni del Codice Leicester se ne collegano altri, di particolare rilevo per di- mensione, tecnica e stile, della collezione reale di Windsor Castle. In questi ul- timi il grado di finitezza è elevato.

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Il contributo di Leonardo da Vinci nel campo dell’idraulica

Figura 2. Studi dei vortici nelle correnti (Windsor Castle, The Royal Collection, RL 1266ov).

3. STUDI SUI CAMPI DI MOTO IN PRESENZA DI OSTACOLI L’interesse della ricerca più innovativa verso l’interazione tra la vegeta- zione e le correnti è legata, per esempio, all’effetto che le mangrovie e, più in generale, la piante costiere hanno in termini di attenuazione delle onde dovute a grandi mareggiate o a maremoti. Inoltre, la vegetazione costiera migliora in modo naturale la stabilità delle spiagge ([15], [16]). Le mangrovie proteggono le coste anche dagli effetti catastrofici causati dagli tsunami. A dimostrazione dell’attualità di studi di questo tipo, si riporta a titolo di esempio in figura 3 un’immagine del campo di moto di una corrente assimilabile ad un getto. Lo studio è condotto nell’ambito del recente progetto di ricerca “JEts interacting with VEgetation in Rotating Basin (JEVERB) - Adaptation for Climate Change program”, relativo all’analisi dei getti immessi in presenza di ostacoli, finanziato dall’UE nell’ambito di European H2020 Hydralab+. Il campo di moto dei getti è modificato dalla

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M. Mossa

presenza degli steli, che simulano una vegetazione rigida che ostacola il flusso ([13], [14]). La figura 3 si riferisce alle sperimentazioni su tali campi di moto con- dotte presso il laboratorio rotante LEGI - Laboratory of Geophysical Flows and Industrial Interest, presso CNRS di Grenoble, in cui la rotazione consente la si- mulazione della forza di Coriolis. Anche in questo campo di ricerca sembra che Leonardo sia stato un precursore, almeno, lo si ripete, in termini di osservazione e riproduzione gra- fica del fenomeno. A tal riguardo si veda la figura 4, che rappresenta un uomo anziano seduto su una roccia intendo ad osservare la corrente (The Royal Col- lection, RL 12579). In quella tavola gli obbietti o ostacoli, sinonimi che si alter- nano nelle carte fitte di scrittura del codice, sono le barriere, naturali o artificiali, situate nell’alveo dei fiumi, che fanno “fermo scudo allo avvenimento delle ac- que”. Leonardo scrive degli effetti sulla corrente causati da tali ostacoli in base alla loro forma, numero e distanza reciproca se più di uno. A tal riguardo, di interesse è anche la tavola riportata in figura 5.

Figura 3. Getti in presenza di ostacoli e di forza di Coriolis (LEGI - Laboratory of Geophysical Flows and Industrial Interest, presso Grenoble, Francia).

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Il contributo di Leonardo da Vinci nel campo dell’idraulica

Figura 4. Vecchio seduto su una roccia e studi sull’acqua (The Royal Collection, RL 12579).

Figura 5. Interazione tra acqua, letto del fiume, ostacoli (Codice Leicester, 24r).

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M. Mossa

Figura 6. Nota e disegno sul movimento dell’onda marcati con crocetta. Codice di Madrid II, f24r, particolare, ri- presi nel Codice Leicester, f 26v.

4. MOTO ONDOSO È nota l’importanza delle strutture vorticose a monte e a valle di un frangimento delle onde, come mostrato dai più recenti studi che si conducono su questo tema ([5], [6]). Anche su questo argomento Leonardo non fece man- care un suo contributo, come evidenziato nella tavola di figura 6.

5. EQUAZIONE DI CONTINUITÀ Idee di tipo qualitativo sul concetto oggi noto come equazione di con- tinuità ([12]), nell’accezione di costanza della materia usata dal chimico francese Antoine Lavoisier (1743-1794), erano state già formulate dagli antichi atomisti. Seneca cita Democrito, che aveva paragonato i corpuscoli dell’aria a una folla che si accalca in uno stretto passaggio. Nel f. 57v del Ms. A Leonardo scrive: “Se fia un loco che abbi 3 varie larghezze […]e la prima minore larghezza entri nella seconda 4 volte e la seconda entri due volte nella terza, dico che gli omini ch’empieranno […]i detti lochi, che avranno a essere in continuo cammino, che quando li omini del maggiore loco faranno un passo, che quelli della seconda minore stan[z]ia ne fara[n] 2, e quelli del terzo loco […]in quel medesimo tempo in tutti i movimenti, che passano per varie larghezze di lochi.” Di interesse, a tal riguardo sono le tavole riportate nelle figure 7.a e b. Milano era come Venezia, con i suoi navigli navigabili, una rete efficace ed efficiente di comunicazione. Nel 1457 Francesco Sforza affidò a Bertola da Novate la costruzione del Naviglio della Martesana. In soli 35 anni, dal 1439 al 1475, nel territorio milanese furono costruiti ben 90 chilometri di canali resi na- vigabili dalla presenza di 25 conche. Un primato che nessun’altra città avrebbe potuto vantare. Con il sistema delle chiuse, progettate da Leonardo da Vinci, 137

Il contributo di Leonardo da Vinci nel campo dell’idraulica giunto a Milano nel 1482 e incaricato da Ludovico il Moro, si ovviò al problema del dislivello dei terreni, rendendo così possibile la navigazione.

a) b) Figura 7. (a) Leonardo da Vinci: “Perché il mare fa la corrente nello stretto di Spagna più ch’altrove”, Ms. A f. 57r, particolare; (b) Leonardo da Vinci: “[…] e questa porzione troverai in tutti i movimenti che passano per va- rie larghezze di lochi”. L’equazione di continuità spiegata con l’esempio di un gruppo di marciatori costretto a pas- sare per due strettoie, Ms. A. f. 57v, particolare.

a) b) Figura 8. (a) Chiusa presso San Marco, da Codice Atlantico, f. 240r-c (656r-a nuova numerazione); (b) Mappa dell’Arno e Mugnone, appena fuori Firenze, c1504 (The Royal Collection).

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M. Mossa

Nel 1805 Napoleone completò la costruzione del Naviglio pavese realiz- zando quello che per secoli fu il sogno dei milanesi: il mare si raggiungeva tramite il Naviglio di Pavia e il Po, il lago Maggiore tramite il Naviglio grande e il Ticino, il lago di Como tramite il naviglio della Martesana e l’Adda. Per questi contributi di Leonardo da Vinci, a titolo di esempio, si veda la tavola di figura 8.a e, per quanto attiene alle mappe dei fiumi, la figura 8.b. La mappa di figura 8.b, atten- tamente disegnata e colorata, mostra il tratto del fiume Arno immediatamente ad ovest di Firenze. Piccoli punti visibili tra due tratti del corso d’acqua, presenti nella zona centrale in alto del disegno, rappresentano i depositi di sedimenti rilasciati dal fiume alla foce. Kemp [8] osserva che poiché l’opera di Leonardo non era stata pubblicata per secoli, essa non ebbe un certo impatto sugli svi- luppi della scienza. Tuttavia, lo stesso autore osserva che “Leonardo always sur- prises those who study him”. E non si può che essere d’accordo. Si veda anche [10].

6. CONCLUSIONI In uno dei suoi aforismi, Leonardo da Vinci osservò che “la Meccanica è il paradiso delle scienze matematiche, perché con quella si viene al frutto mate- matico”. Leonardo fu un precursore dei tempi moderni, tuttavia, per certi aspetti, era anche figlio del suo tempo. La sua versatilità fu prefigurata dai grandi artisti- ingegneri del Rinascimento italiano. Nel suo lavoro sulla fisica, Leonardo era erede delle teorie medievali di statica e dinamica. Il Codice Leicester (Leonardo da Vinci [9]) contiene la prima descrizione dettagliata in assoluto del movimento delle onde e degli effetti del loro impatto su spiagge e sponde dei fiumi. Leonardo interpreta i movimenti delle onde in termini di forza erosiva. Analizza l’impatto di un’onda sulla riva in modo eccezionale. A 500 anni dalla sua morte, il cui an- niversario è stato celebrato nel 2019, nel presente lavoro vengono evidenziati una gamma di leggi o campi di moto analizzati o rappresentati da Leonardo, come il risalto idraulico, i flussi in presenza di ostacoli, il moto ondoso, la conservazione della massa, oltre che alcuni geniali contributi nel campo delle costruzioni idrau- liche.

7. RIFERIMENTI [1] Bélanger, J.B., Essai sur la Solution Numérique de quelques Problèmes Relatifs au Mouvement Permanent des Eaux Courantes (‘Essay on the Numerical Solution of Some Problems relative to Steady Flow of Water’), Carilian-Goeury, Paris, France, 1828. [2] Ben Meftah, M., De Serio, F., Mossa, M., Pollio, A., Analysis of the velocity field in a large rectangular channel with lateral shockwave, Environmental Fluid Mechanics, Vol. 7, Issue 6, pp 519–536, 2007. [3] Bidone, G., Expériences sur la propagation des remous, Memorie della Reale Accademia delle 139

Il contributo di Leonardo da Vinci nel campo dell’idraulica

Scienze di Torino, vol. 30, pp. 195-292, 1820. [4] De Padova, D., Mossa, M., Sibilla, S., Torti, E., 3D SPH modelling of hydraulic jump in a very large channel, Journal of Hydraulic Research, Vol. 51, Issue 2, pp. 158-173, 2013. [5] De Padova, D., Mossa, M., Sibilla, S., SPH numerical investigation of the velocity field and vorticity generation within a hydrofoil-induced spilling breaker, Environmental Fluid Mechanics, Vol. 16, Issue 1, pp. 267-287, 2016. [6] De Padova, D., Brocchini, M., Buriani, F., Corvaro, S., De Serio, F., Mossa, M., and Sibilla, S., Experimental and Numerical Investigation of Pre-Breaking and Breaking Vorticity within a Plung- ing Breaker, Water, 10(4), 387; https://doi.org/10.3390/w10040387, 2018. [7] Guglielmini, D. Della natura de’ fiumi, Nuova Edizione con le annotazioni di Eustachio Manfredi, Bologna, 1739. [8] Kemp, M., Leonardo’s laboratory: studies in flow, Nature, vol. 571, pp. 322-323, 2019. [9] Leonardo da Vinci, Codice Leicester, Bill Gates’s private collection, 1510. [10] McCurdy, E., Leonardo da Vinci, Nature, vol. 105, No. 2637, May 13, 1920. [11] Mossa, M, Petrillo, A. A brief history of the jump of Bidone. pp.111-119. In Landscapes of Water, History, Innovation and Sustainable Design - ISBN:88-7329-030-2 vol. I, 2002. [12] Mossa, M., Petrillo A.F., Idraulica, C.E.A., Milano, ISBN: 978-8808-18072-8, 2013. [13] Mossa, M., De Serio, F., Rethinking the process of detrainment: Jets in obstructed natural flows, Scientific Reports - Nature, Volume 6, Article number 39103, ISSN: 20452322, DOI: 10.1038/srep39103, 2016. [14] Mossa, M., Ben Meftah, M., De Serio, F., Nepf, H.M., How vegetation in flows modifies the turbulent mixing and spreading of jets, Scientific Reports, Volume 7, Issue 1, Article number 6587, https://doi.org/10.1038/s41598-017-05881-1, 2017. [15] Tognin, D., Peruzzo, P., De Serio, F., Ben Meftah, M., Carniello, L., Defina, A., and Mossa, M., Experimental Setup and Measuring System to Study Solitary Wave Interaction with Rigid Emer- gent Vegetation, Sensors, 19(8), 1787; https://doi.org/10.3390/s19081787, 2019. [16] Peruzzo, P., De Serio, F., Defina, A., and Mossa, M., Wave Height Attenuation and Flow Resistance Due to Emergent or Near-Emergent Vegetation, Water, 10(4), 402; https://doi.org/10.3390/w10040402, 2018.

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ATTI E RELAZIONI LVI, (2021), 141-148

Nicola Neri [email protected] Università degli Studi di Bari Aldo Moro

IL GENIO E LA GUERRA. LEONARDO DA VINCI INGEGNERE MILITARE. THE GENIUS AND THE WAR. LEONARDO DA VINCI MILITARY ENGINEER.

Sommario. L’architetto, l’artista, l’inventore e lo scienziato, le varie anime, insomma, del genio di Leonardo da Vinci concorrono, una non disgiunta dall’altra, alle intuizioni e ai progetti che egli elabora per pervenire alle applicazioni necessarie alla guerra. In esse egli sa- prà dimostrare una singolare visione profetica che, spesso, scavalcherà i suoi tempi e i suoi contemporanei, per consegnarsi alla riflessione e alla rielaborazione dei posteri, in una rifles- sione di origine che, purtuttavia, conduceva il genio toscano al rifiuto, per quanto possibile, della guerra stessa.

Abstract. In short, the architect, the artist, the inventor and the scientist, the various souls of the genius of Leonardo da Vinci contribute, one not separated from the other, to the intui- tions and projects that he elaborates to reach the applications necessary for war. In them he will be able to demonstrate a singular prophetic vision that, often, will override his times and his contemporaries, to deliver himself to the reflection and reworking of posterity, in a reflec- tion of origin that, however, led the Tuscan genius to refusal, as far as possible , of the war itself.

SCENARIO

“Quando il mondo era più giovane di cinque secoli tutti i casi della vi- ta avevano forme esteriori molto più violente…E tutte le cose della vita ave- vano un’eco fastosa e crudele” [1]. Così tratteggiava magistralmente il grande studioso olandese, Johan Huizinga, lo scenario storico nel quale nacque e vis- se il genio di Leonardo da Vinci. Egli si incamminò, con i risultati impareg- giabili che non vi è chi non conosca, nello speciale territorio che, soprattutto

[1] J. Huizinga, “L’Autunno del Medioevo”, Newton Compton editori, Roma, 1992, p. 25. 141

Il Genio e la Guerra

in quel secolo, avvicinava, quando non riuniva in sintesi, le arti figurative con le scienze, quella dell’anatomia, in particolar modo, nel caso del genio toscano [2]. Ma la vicenda umana di Leonardo e la sua attività di ingegnere militare si intrecciano naturalmente anche con la speciale storia ed evoluzione del potere in quel particolare contesto: la discesa dei Francesi nella Penisola e le guerre d’Italia, le lotte tra le sovranità particolari italiane e la contemporaneità con Niccolò Machiavelli. Da questi, com’è noto, prendono le mosse le riflessioni sulla scienza politica, sulla genesi della sovranità, sulla fisionomia dello Stato moderno, e la conseguente protestata necessità per l’Italia di dotarsi di una milizia nazionale. Uno scenario complesso nel quale appunto evolverà la vi- cenda umana di Leonardo. Nel settembre del 1494, infatti, quando oltre At- lantico da due anni era stato scoperto il Nuovo Mondo, il re di Francia, Carlo VIII, dava inizio alle guerre italiane, che tanto peso avrebbero avuto nella sto- ria successiva della Penisola, recando la sorprendente potenza di fuoco delle sue decine di cannoni3. E’ molto nota peraltro la lettera di presentazione con la quale Leonar- do offriva i suoi servigi a Ludovico il Moro, sottolineando soprattutto le pro- prie doti di ingegnere militare e di progettista di armi: “Avendo constatato che tutti quelli che affermano di essere inventori di strumenti bellici innovativi in realtà non hanno creato niente di nuovo, rivelerò a Vostra Eccellenza i miei segreti in questo campo, e li metterò in pratica quando sarà necessario. Le co- se che sono in grado di fare sono elencate, anche se brevemente, qui di segui- to (ma sono capace di fare molto di più, a seconda delle esigenze): Sono in grado di creare ponti, robusti ma maneggevoli, sia per attaccare i nemici che per sfuggirgli; e ponti da usare in battaglia, in grado di resistere al fuoco, facili da montare e smontare; e so come bruciare quelli dei nemici. In caso di asse- dio, so come eliminare l'acqua dei fossati e so creare macchine d'assedio adat- te a questo scopo. Se, sempre in caso di assedio, la fortezza fosse inattaccabile dalle normali bombarde, sono in grado di sbriciolare ogni fortificazione, an- che la più resistente. Ho ideato bombarde molto maneggevoli che lanciano proiettili a somiglianza di una tempesta, in modo da creare spavento e confu- sione nel nemico. Sono in grado di ideare e creare, in modo poco rumoroso, percorsi sotterranei per raggiungere un determinato luogo, anche passando al

[2] G. Galasso, “Storia d’Europa”, Editori Laterza, Roma-Bari, p. 290, 2001. 3 Sul punto: F. Cardini, “Quell’antica festa crudele. Guerra e cultura dal Medioevo alla Rivolu- zione francese, Mondadori, Milano, p. 79, 1995; C. M. Cipolla, “Vele e cannoni”, il Mulino, Bologna, pp. 14-15, 1999; G. Parker, “La rivoluzione militare. Le innovazioni militari e il sorge- re dell’Occidente”, il Mulino, Bologna, pp. 27-28, 1999; J. Black, “Breve storia della guerra”, il Mulino, Bologna, p. 65, 2009. 142

N. Neri

di sotto di fossati e fiumi. Costruirò carri coperti, sicuri, inattaccabili e dotati di artiglierie, che riusciranno a rompere le fila nemiche, aprendo la strada alle fanterie, che avanzeranno facilmente e senza ostacoli. Se c'è bisogno costruirò bombarde, mortai e passavolanti [per lanciare sassi e 'proiettili'] belli e funzio- nali, rielaborati in modo nuovo. Se non basteranno le bombarde, farò catapul- te, mangani, baliste [macchine per lanciare pietre e 'fuochi'] e altre efficaci macchine da guerra, ancora in modo innovativo; costruirò, in base alla situa- zione, infiniti mezzi di offesa e difesa. In caso di battaglia sul mare, conosco efficaci strumenti di difesa e di offesa, e so fare navi che sanno resistere a ogni tipo di attacco. In tempo di pace, sono in grado di soddisfare ogni richiesta nel campo dell'architettura, nell'edilizia pubblica e privata e nel progettare opere di canalizzazione delle acque. So realizzare opere scultoree in marmo, bronzo e terracotta, e opere pittoriche di qualsiasi tipo. Potrò eseguire il mo- numento equestre in bronzo che in eterno celebrerà la memoria di Vostro pa- dre [Francesco] e della nobile casata degli Sforza. Se le cose che ho promesso di fare sembrano impossibili e irrealizzabili, sono disposto a fornirne una spe- rimentazione in qualunque luogo voglia Vostra Eccellenza, a cui umilmente mi raccomando”. Il signore di Milano, destinatario di questa lettera di autocandidatura, nelle parole di Burckhardt, era “il più perfetto tipo di despota di quel periodo, e nella sua qualità di prodotto morale quasi impedisce ogni nostro giudizio morale. Se non badiamo all’immoralità dei mezzi che impiegò, bisogna am- mettere che li usò con grande candore… Egli accettò come qualcosa che gli era dovuto il quasi favoloso rispetto degli italiani per il suo genio politico”4.

LE ARMI

L’anno e mezzo trascorso al servizio di Cesare Borgia, al principio del Cinquecento, fu il principale Campo di Marte di Leonardo. L’Italia centrale fu lo senario del suo ingegno applicato alla guerra, una guerra fatta soprattutto di scienza ossidionale e fortificazioni. Ma come si era evoluta l’arte della guerra fino a quel momento? Secondo Niccolò Machiavelli le guerre combattute fino al suo tempo: “… cominciavano senza paura, trattavansi senza pericolo, e fi- niansi senza danno”.5 Ma, com’è noto, sono i picchieri, al principio essen- zialmente svizzeri, dei quali largamente si servirà Ludovico il Moro, fanti ar-

4 A. Mockler, “Storia dei mercenari. Da Senofonte all’Iraq”, Odoya, p. 97, 2012. 5 G. Parker, “La rivoluzione militare”, il Mulino, Bologna, p. 23, 2012. 143

Il Genio e la Guerra

mati di una lunga lancia e stretti in impenetrabili quadrati alla maniera dell’antica falange macedone, che riescono a disarcionare i cavalieri pesanti medievali, e conferire ben maggiore cruenza ai conflitti: “Con gli svizzeri, siamo alla guerra ‹moderna›. Per loro, non c’è più gioco: combattono per so- pravvivere – come comunità, se non come individui -, per portare il pane alle loro famiglie sui monti; vogliono vincere, non fanno prigionieri, ignorano i fe- riti”6. La natura della guerra degrada significativamente nella scala dell’umanizzazione, poiché muta in effetti il rapporto tra la guerra stessa e tut- te le altre attività dell’uomo, diffondendosi ben al di là dei confini nei quali fi- no a quel tempo era stata contenuta7. In egual modo ritroviamo in Leonardo lo scrupolo che le armi non siano eccessivamente distruttive e cruente, come nel caso del ritiro del progetto del sottomarino che, egli stimava, avrebbe provocato tra i nemici troppe cruente conseguenze. Lo scopo di un sistema d’arma innovativo doveva essere quello di seminare confusione e scompagi- nare l’avversario, non distruggerlo. A questo scopo dovevano concorrere an- che le ulteriori intuizioni del cannone musicale, della musica militare e del drago parlante, tese a provocare essenzialmente effetti psicologici sull’avversario. Nozioni del tutto familiari alla guerra moderna! Un’ acquaforte del grande Albrecht Dürer, datata 1517, cioè un tempo nel quale Leonardo era ancora in vita, ed intitolata Il grande cannone, ci restitui- sce con grande efficacia il misto di timore e rispetto con cui un gruppo di cit- tadini osserva il nuovo misterioso e pericoloso congegno. L’introduzione delle armi da fuoco rappresenta una svolta decisiva: si combatte per distruggere il nemico, e non per trovare quel tanto di più che attribuisca la vittoria o con- senta di fare prigionieri. La portabilità del moschetto per le fanterie, e l’evoluzione delle artiglierie, infatti, condurranno ai noti scenari della Guerra dei Trent’anni. Proprio in materia di artiglieria fu grande l’impressione destata in Leonardo dalla potenza raggiunta dalla tecnica dei francesi che, scollinando le Alpi, erano discesi in Italia, compiendo uno sforzo non più ripetuto dal tempo di Annibale. Egli valutò che la potenza di fuoco fosse almeno raddop- piata, tanto da indurlo a ripensare il disegno, il profilo e l’assetto delle fortez- ze. Parimenti studiò il miglioramento della fusione dei cannoni, il loro carica- mento, l'accensione ed il raffreddamento, oltre a ingegnarsi su come aumenta- re il loro volume di fuoco e la rapidità di tiro. Leonardo approfondisce anche la forma e il percorso balistico dei proiettili per aumentare la precisione del ti-

6 Cardini, op. cit., p. 105. 7 Ibidem, op. cit. p. 126. Questa dinamica può essere osservata in: P. Moro, “Quam horrida pu- gna: elementi per uno studio della guerra nell’alto Medioevo italiano”, Il cardo, Venezia, 1994. 144

N. Neri

ro. Trae ispirazione dai getti d’acqua, osservando la curva parabolica che anti- cipa gli studi sul principio d'inerzia di Galileo e Newton. Da questi studi nac- que l’idea della bombarda multipla, che avrebbe avuto natura anfibia e semi- sommersa, superando il problema del peso e del movimento che, invece, rese- ro per il momento impraticabile il progetto del carro armato. Rispetto all’aumentata potenza di fuoco delle artiglierie, pertanto, oc- correva dare alle fortificazioni un profilo che sia al contempo aggressivo e di- fensivo, in grado di smorzare la potenza cinetica dei proietti. Questa intuizio- ne sarà destinata a fare molta strada, fino a titolare la tradizione italiana della primazia in materia di architettura delle fortezze, la cosiddetta “trace italienne”, che condurrà poi al capolavoro della cinta difensiva di Palmanova8. La sintesi leonardesca dell’endiadi cannone e fortezza sarà raggiunta nel disegno della fortezza della Verruca, affidatogli da Firenze, e che egli, in matita rossa, concepì con torrioni circolari saldamente ancorati al terreno roc- cioso, e con un unico accesso protetto da cannoniere a tiro radente. Nell’architettura di questa fortezza, peraltro, Leonardo dimostra di signoreg- giare il concetto di “quota dominante”, che i moderni studi strategici hanno largamente tematizzato e teorizzato. Anche l’armamento individuale fu oggetto dell’interesse leonardesco, con le intuizioni della balestra veloce e del balestriere a cavallo che avrebbe potuto adottare la tattica del caracollo in prossimità del nemico. Vari progetti, poi, di armi da fuoco a canne multiple, prefigurano la moderna e rivoluziona- ria mitragliatrice, come la mitragliatrice rotosferica, capace di ricaricare ogni singola file, e garantendo così il colpo in canna. Nel campo delle armi bian- che, inoltre, l’artista, più che l’inventore, ebbe il sopravvento, disegnando af- fascinanti sciabole sceniche, lance da torneo, spade e pugnali. Cospicua fu anche l’attività di Leonardo in quel territorio a metà stra- da fra evoluzione infrastrutturale e utilità militare, come l’idea dei ponti, auto- portante e girevole, i percorsi sotterranei, anche passanti al di sotto di corsi d’acqua, le gru doppie per l’escavazione dei canali, nonché nuove tecniche di scavo, e l’uso dell’acqua come forza motrice. Di primaria importanza, poi, è stato lo sguardo ispirato che il genio di Vinci elevò a quella che le dottrine operative contemporanee avrebbero defi- nito la “terza dimensione”: il cielo. I suoi progetti di elicottero e di paracadu- te, solo profetici al suo tempo, sarebbero divenuti veri protagonisti dei con- flitti contemporanei. A questo orizzonte egli giunse persino a consegnare una metafora di politica e potere, certo strettamente connessi alle attività militari:

8 J. Black, “Breve storia della guerra”, il Mulino, Bologna, p. 75, 2009. 145

Il Genio e la Guerra

“Come quelli che disegnano si pongono in basso per disegnare i monti e i luoghi alti, e in alto per disegnare i luoghi bassi, così, per conoscere la natura dei popoli bisogna essere principe, e per conoscere quella dei principi, bisogna essere popolare”. Anche la dimensione della segretezza dei piani era familiare all’attitudine militare di Leonardo, considerato che nei suoi piani inseriva di proposito degli errori, per evitare che cadessero in mani nemiche e venissero interpretati attendibilmente. Una pratica ben nota al nostro Novecento. Nel complesso Leonardo ha più sviluppato e perfezionato sistemi d’arma esistenti, piuttosto che inventarne di nuovi, prescindendo dai progetti che si collocano al crocevia tra l’artistico, il fantastico e l’utilità bellica. Un progetto che tipicamente scaturisce da questo genere di attitudine è quello della balestra gigante. Atteso che questa era un sistema d’arme molto noto e praticato in Italia, e nella quale gli italiani avevano sviluppato una particolare abilità, la balestra di Leonardo avrebbe dovuto essere in grado di portare offe- se significative a strutture murarie di fortezze, proiettando pesanti palle di pie- tra. Inoltre, la sua efficacia combattiva avrebbe dovuto essere implementata dalla trasportabilità. Numerosi, insomma, sono gli esempi delle intuizioni leo- nardesche che hanno trovato una reinterpretazione contemporanea: la bale- stra gigante, appunto, che prefigura la moderna missilistica, il carro falcato, la catapulta, le bombe a grappolo e il cannone di sbarramento, il cannone smon- tabile, il carro armato e il cavaliere meccanico. I vari progetti, poi, di armi da fuoco a canne multiple, anticipano la moderna e rivoluzionaria mitragliatrice, come del resto la forma ogivale dei proiettili anticipano le applicazioni mo- derne e contemporanee.

POLITICA E PENSIERO Al tempo di Leonardo si erano chiusi i giorni dei grandi condottieri italiani che, con il loro “buon senso” avevano ridotto la più “… insensata del- le attività umane a un abile, ma quasi incruento gioco di manovre”9. Sovente la Chiesa in precedenza aveva cercato di provvedere con moti normativi volti al contenimento temporale, alla sanzione morale, o alla limita- zione strettamente materiale del conflitto nelle sue varie forme. Il pontefice Innocenzo II, ad esempio, durante il Concilio Laterano II, nel 1139, in un evidente sforzo di umanizzazione e moderazione della guerra, proibì l’uso del- la balestra tra gli eserciti cristiani. La balestra, difatti, aveva rivelato un potere distruttivo molto elevato, soprattutto a danno delle protezioni dei cavalieri.

9 A. Mockler, “Storia dei mercenari. Da Senofonte all’Iraq”, Odoya, Bologna, p. 79, 2012. 146

N. Neri

Sessant’anni più tardi, Riccardo I d’Inghilterra sarebbe morto per una ferita da quadrello di balestra. Il genio di Vinci, va sottolineato, non indulge a nessuna forma di fa- scino della guerra e delle sue tecnologie. Egli considera la guerra una "pazzia bestialissima". Purtuttavia è da dire che la considerazione del fenomeno del conflitto armato nell’opinione condivisa dell’epoca era profondamento diver- so da quella contemporanea e sostanzialmente accettato come elemento im- prescindibile dalla gestione del potere. Bene avrebbero potuto essere le due gambe di un robusto corpo statuale, Leonardo e Machiavelli, autore di una “Arte della Guerra”, destinata ad avere molto successo fra i contemporanei e i posteri, quando quest’ultimo dichiarava che “La natura genera pochi uomini gagliardi; la industria e lo esercizio ne fa assai”10. Le creazioni del genio leonardesco nel campo dell’innovazione tecnica della guerra sono una sintesi che risente evidentemente delle sue anime anche di artista e di filosofo. I suoi progetti coniugano prassi con intuizioni che muovono dal verosimile al suggestivo, dal profetico al fantastico, e non è raro che essi abbiano visto materiale applicazione secoli dopo, nelle moderne guer- re di massa. Noi siamo figli della guerra totale e fratelli della guerra assoluta. Ma ai tempi di Leonardo la grammatica delle relazioni di potere e della prassi bellica erano profondamente diverse. Il suo scrupolo umano nella condotta del conflitto, difatti, ha un risvolto tecnico nella raccomandazione che l’azione bellica sia preceduta da un ultimatum. L’uso duale delle innovazioni tecnologiche è latente nelle intuizioni leonardesche. La ricaduta civile e pacifica di un nuovo sistema è spesso pre- sente sullo sfondo e all’orizzonte delle sue visioni e delle sue creazioni. Un dialogo, quello tra civile e militare, ben rappresentato dal versamento tecnolo- gico tra campane e cannone, che tipicamente si produsse in quell’epoca. Len- to e graduale, tuttavia, si rivelò il passaggio tra gli antichi giorni del mondo e la nascita della cosiddetta età moderna, con l’affermarsi delle prime nazionalità, la scoperta del nuovo mondo, e il sorgere, dopo la Guerra dei Trent’anni, del primo sistema di relazioni internazionali. La guerra è sicura protagonista di tutte queste evoluzioni. Una metafora ed una proiezione, fino ai nostri giorni, della condizione umana dal punto di osservazione privilegiato della vita di Leonardo è la vi- cenda della statua equestre di Francesco Sforza. Mai realizzata nel corso della sua vita, più volte modificata, finalmente compiuta cinque secoli dopo. Senza

10 A. Corneli, (a cura di) “L’arte di vincere. Antologia del pensiero strategico”, Guida editori, Napoli, p. 177, 1992. 147

Il Genio e la Guerra

il cavaliere, del quale un modello meccanico è annoverato tra le macchine da guerra del genio di Vinci. Ma egli, nel suo spirito onestamente laico, sapeva accettare, alla fine, questi limiti della condizione e della natura umana, e, se preferiva non ricorrere a categorie spirituali, parimenti non indugiava in quelle superstiziose. Perché, come Socrate rammenta nel “Lachete” di Platone, la leg- ge comanda che l’indovino non dia ordini al generale, ma il generale dia ordini all’indovino.

CONCLUSIONI

Forse allo spirito dei nostri tempi genera disagio che il genio toscano si sia applicato a tecnologie belliche che sono riuscite a gettare lo sguardo, se non nella loro forma applicata almeno nella loro intuizione, fino ai nostri giorni. Ma per Leonardo e il suo tempo la guerra era una condizione naturale del genere umano. La pace, invece, aveva un valore relativo, e, soprattutto, episodico. La pace con giustizia, sopra ogni altra cosa, obbediva a parametri morali e giuridici profondamente diversi dai nostri. Le macchine da guerra di Leonardo forse non avevano a che fare con l’idea di pace, ma certo avevano a che fare con la civiltà. E civiltà vuol pur sempre dire innanzitutto umanità. D’altra parte, come scriveva il giurista britannico, Henry Sumner Maine: “La guerra sembra vecchia quanto l’umanità, ma la pace è un invenzione moder- na”11. Nella guerra raffigurata da Leonardo pittore, come negli studi sulla “Battaglia di Anghiari”, significativamente non vi sono vincitori né vinti. La sua non è una visione eroica della guerra, ma moderata, come strumento volto a procurare una specifica e contingente soluzione. Le opere devono rappresen- tare la virtù e non il valore. È il profondo senso morale che ispira Leonardo che gli fa pronunciare la famosa espressione: “Chi non punisce il male co- manda che si faccia”. La sua attualità, come quella degli uomini che si sono eretti al di sopra del proprio tempo, è bene esplicata dalla riflessione di Euge- ne O’Neill: “Non esiste presente, non esiste futuro, esiste solo il passato che si rinnova continuamente”. Per questo il genio di Vinci ci parla ancora, e an- cora ci ammaestra.

11 M. Howard, “L’invenzione della pace. Guerre e relazioni internazionali”, il Mulino, Bologna, p. 9, 2002. 148

ATTI E RELAZIONI LVI, (2021), 149-176

Mimma Pasculli Ferrara

[email protected]

Dipartimento Lettere Lingue Arti – Università degli Studi di Bari Aldo Moro

LEONARDO DA VINCI, ISABELLA D’ARAGONA SFORZA E LA CITTÀ DI BARI. LEONARDO DA VINCI, ISABELLA D’ARAGONA SFORZA AND THE CITY OF BARI.

Sommario Nessuno studio sulla vita e l’opera di Leonardo può essere intrapreso senza ricorrere al Codice Atlantico. Il Codice, conservato nella Biblioteca Ambrosiana di Milano. I progetti di Leonardo da Vinci sono presenti in alcuni disegni macchinali. Dobbiamo all’ing. Giuseppe Manisco l'aver materializzato i Progetti di Leonardo da Vinci relativi alle macchine lignee. Dalla prima rivisitazione della “macchina lanciasassi” di Leonardo, (2009), si è arrivati alle 80 Macchine realizzate ed esposte nel Castello Belmonte Pignatelli di Galatone, paese natio dell’artista. Uno dei più bei disegni del Codice Atlantico è il Ritratto di Isabella d’Aragona, sposa a Milano nel 1489 di Giangaleazzo Sforza, e, da vedova, futura duchessa di Bari dal 1501 al 1524. Il progetto più ambizioso di Isabella a Bari è stato quello di ‘porre in isola’ la città con l’apertura di un largo canale navigabile, dal litorale di ponente sino al porto sulla costa orientale. Le premesse progettuali nascono nell’ambito della precedente espe- rienza milanese di ingegneria idraulica promossa dagli Sforza per il potenziamento e la manu- tenzione dei Navigli, e dalla frequentazione a Milano di Isabella con Leonardo da Vinci, di cui sono ben noti i disegni per una città fluviale. Testimonianza della città di Bari trasformata in isola (già dal Cinquecento fino ai primi dell’Ottocento) ci giunge dagli storici Beatillo (‘600), Mola (‘700), Petroni (‘800) e da vari preziosi disegni a conferma.

Abstract No study of Leonardo’s life and work can be undertaken without recourse to the Codice Atlantico. Leonardo da Vinci’s projects are present in some machine drawings. The Eng. Giuseppe Manisco have materialized Leonardo da Vinci’s Projects relating to wooden machines. From the first revisitation of Leonardo’s "stone-throwing machine", (2009), we arrived at the 80 machines made and exhibited in Castello Belmonte Pignatelli in Galatone, the artist’s native town. One of the most beautiful drawings of the Codice Atlantico is the Portrait of Isabella d’Aragona, married in Milan in 1489 by Giangaleazzo Sforza and Du- chess of Bari from 1501 to 1524. Isabella 'put the city on the island' with the opening of a wide navigable canal, from the west coast to the port on the east coast. The design premises were 149

Leonardo da Vinci, Isabella d’Aragona Sforza e la città di Bari. borned by attendance of Isabella in Milan with Leonardo da Vinci. Testimony of the city of Bari transformed into an island (already from the sixteenth century until the early nineteenth century) comes from the historic Beatillo (or 600), Mola (or 700), Petroni (or 800) and various precious drawings to confirm.

Nessuno studio sulla vita e l’opera di Leonardo può essere intrapreso senza ricorrere al Codice Atlantico. Il Codice, conservato nella Biblioteca Ambro- siana di Milano, è la più vasta raccolta al mondo di disegni e scritti autografi di Leonardo da Vinci. «È composto da 1119 fogli, che abbracciano la vita intellet- tuale di Leonardo per un periodo di oltre quarant’anni − dal 1478 quando aveva 26 anni al 1519 anno della sua morte in Francia − e comprendono i temi più disparati: schizzi e disegni preparatori per opere pittoriche; ricerche di matema- tica, geometria, anatomia, astronomia, ottica e botanica; meditazioni filosofi- che, favole e ricette gastronomiche; architettura militare e civile; marchingegni per il volo meccanico e planato (tra cui un primo abbozzo di paracadute), pompe idrauliche e strumenti vari per il sollevamento dell'acqua e lo sfrutta- mento della energia idrica; ma soprattutto è celebre per i numerosi disegni e progetti (talvolta avveniristici) di macchine belliche e civili» [1]. Alcuni disegni delle “macchine lignee” sono stati studiati e pubblicati da vari ricercatori quali il Cianchi nel 1978 (Le macchine di Leonardo, Becocci, Firenze), il Pedretti nel 1999 (Leonardo: le macchine, Giunti, Firenze), il Lisa nel 2005 (Codice Atlantico, Biblioteca Ambrosiana, Milano). Nel 2000 l’intero Corpus dei disegni in 12 vo- lumi dell’Ambrosiana fu riproposto fedelmente in 3 Tomi, con Introduzione di Pedretti e commento di Marinoni (Giunti Editore), e reso accessibile a tutti. Ed è proprio il libro di Cianchi, con Introduzione di Pedretti, che ispirava l’ing. Giuseppe Manisco a materializzare i Progetti di Leonardo da Vinci, in quanto ivi «venivano riproposti alcuni disegni macchinali di Leonardo da Vinci con efficacissimi commenti tesi a comprendere il funzionamento delle macchine ivi rappresentate» [2]. E dalla prima rivisitazione della “macchina lanciasassi” di Leonardo, creata dall’ing. Manisco nel 2009, si è arrivati alle 80 Macchine rea- lizzate ed esposte nel Palazzo - Castello Belmonte Pignatelli di Galatone, paese natio dell’artista (fig. 1).

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Figura 1. Leonardo da Vinci, macchina lanciasassi, disegno. Milano, Pinacoteca Ambrosiana; Giuseppe Ma- nisco, macchina lignea lanciassassi, Galatone, Castello Belmonte Pignatelli.

Una collezione unica di macchine, di ingranaggi e opere di ingegno rea- lizzati in scala reale secondo i calcoli di Leonardo appuntati sui vari disegni del Codice Atlantico, che miracolosamente sopravvive da 500 anni. Allestito alla fine 151

Leonardo da Vinci, Isabella d’Aragona Sforza e la città di Bari. del Cinquecento dallo scultore Pompeo Leoni che aveva recuperato una parte degli studi autografi di Leonardo dagli eredi di Francesco Melzi, il fedele allievo a cui il Maestro aveva affidato i propri scritti in punto di morte. Il nome “At- lantico” venne attribuito in realtà per le dimensioni dei fogli su cui Pompeo Leoni montò gli scritti di Leonardo, formato all’epoca degli atlanti geografici. «Il Codice venne poi ceduto da un erede del Leoni al Marchese Galeazzo Arco- nati, che a sua volta lo donò nel 1637 alla Biblioteca Ambrosiana, garantendone in questo modo la conservazione e la trasmissione alle generazioni future. Nel 1796 la preziosa raccolta, requisita e trasferita a Parigi in seguito alla conquista di Milano da parte di Napoleone, rimase al Louvre per 17 anni, fino a quando, nel 1815, il Congresso di Vienna ordinò la restituzione di tutti i beni artistici trafugati dal Bonaparte ai legittimi Paesi di appartenenza» [3], tra cui il Codice Atlantico all’Ambrosiana di Milano. Nel 1968 il Codice venne sottoposto a una radicale opera di restauro, durante il quale fu rilegato in dodici volumi. Ma l’og- gettiva difficoltà per poter effettuare analisi comparative dei fogli portò, nel 2008, l’Ambrosiana ad avviare un’operazione di “sfascicolatura” dei dodici vo- lumi (1968) del Codice e quindi il posizionamento dei singoli fogli all’interno di passepartout appositamente studiati per garantirne la migliore conservazione. E allo stesso tempo, per facilitarne l’esposizione nella Pinacoteca Ambrosiana, con la presentazione a rotazione di un consistente numero di fogli, scelti in funzione di specifiche tematiche, così da permettere ai visitatori un accosta- mento alla ricca e complessa personalità di Leonardo come uomo di scienza e di arte [4]. Vari sono i disegni a soggetto artistico e architettonico. I singoli fogli, ricchi di annotazioni sugli aspetti teorici e pratici della pittura e della scultura, sull’ottica, la prospettiva, l’anatomia, la teoria della luce e dell’ombra (lo “sfu- mato leonardesco”), fino ai materiali usati, forniscono anche la prova dell’abilità artistica di Leonardo. Per esempio, negli studi per l’Adorazione dei Magi e la Bat- taglia di Anghiari, o nei progetti per i monumenti equestri a Francesco Sforza e a Gian Giacomo Trivulzio, o nei ritratti, tra cui uno dei più bei disegni del Codice Atlantico (di Leonardo o dell’allievo Boltraffio) è il Ritratto di Isabella d’Aragona figlia del Re di Napoli (fig. 2). Ella va in sposa a Milano nel 1489 a Giangaleazzo Sforza (fig. 3), e, da vedova, diverrà duchessa di Bari dal 1501 al 1524 [5] (fig. 4).

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Figura 2. Leonardo da Vinci o Giovanni Antonio Boltraffio, Ritratto di Isabella d’Aragona, disegno. Mi- lano, Pinacoteca Ambrosiana. (da Leonardo da Vinci e il suo lascito. Gli artisti e le tecniche, Milano 2019)

Figura 3. Ignoto artista, Ritratti di Giangaleazzo Sforza e Isabella d’Aragona.

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Figura 4. Ritratto di Isabella d’Aragona, duchessa di Bari e Mappa catastale odierna della penisola della città di Bari (elaborazione di M. Pasculli, grafica di M. Esposito da Atlante del Barocco in Italia. Terra di Bari e Capitanta, Roma 1996).

Ritengo opportuno sottolineare che il progetto più innovativo di Isa- bella a Bari sia stato quello di ‘porre in isola’ la città (come ci tramanda il Beatillo nel 1637 e come ci testimonia il Mola nel 1774 attraverso una Carta geografica della città) [6] (fig. 5) con l’apertura di un largo canale navigabile dal mare sul litorale di ponente a 250 metri dal castello sino al porto sulla costa orientale, correndo sotto le mura della città lato terra. «Quanto alle premesse progettuali − concordo con la Pepe − il riferimento, nell’ambito della precedente espe- rienza milanese della duchessa, alle opere di ingegneria idraulica promosse dagli Sforza per il potenziamento e la manutenzione dei Navigli, e alla stessa frequen- tazione di Isabella d’Aragona con Leonardo da Vinci», l’ingegnere militare in- viato nel 1482 da Lorenzo il Magnifico da Firenze a Milano presso Ludovico il Moro, di cui sono noti i disegni per una città fluviale (figg. 6, 7, 8) [7].

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Figura 5. V. Lapegna, Carta scenografica della città di Bari, 1770. Bari, Biblioteca Metropolitana De Gemmis.

Figura 6. Leonardo da Vinci, Pianta e veduta a volo di uccello della città di Milano, con l’indicazione delle sue porte e le distanze segnate in braccia, Codice Atlantico, Milano, Pinacoteca Ambrosiana.

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Figura 7. Leonardo da Vinci, Macchine per la movimentazione della terra nello scavo dei canali (1502), Co- dice Leicester, collezione Bill Gate. (da L’acqua microscopio della natura. Il Codice Leicester di Leonardo da Vinci, Catalogo della Mostra, 2018).

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Figura 8. Leonardo da Vinci, Macchine per la movimentazione della terra nello scavo dei canali (1502), Co- dice Leicester, collezione Bill Gate. (da L’acqua microscopio della natura. Il Codice Leicester di Leonardo da Vinci, Catalogo della Mostra, 2018).

I navigli di Milano sono un sistema di canali navigabili (con baricentro nella città di Milano), che metteva in comunicazione il Lago Maggiore, quello di Como e il Basso Ticino aprendo al capoluogo lombardo le vie dell’acqua della Svizzera e dell’Europa nord-occidentale, dal Cantone dei Grigioni e dell’Europa nord-orientale. Leonardo curò il Naviglio maggiore “In tempo di Ludovico il Moro Leonardo, nel condur che fece le Acque del Naviglio della Martesana dall’Adda a Milano”, come si può leggere nel frontespizio del Trattato della Pittura di Leonardo da Vinci, stampato in Parigi da Giacomo Longlois nel 1651 [8]. Alla luce di quanto detto e per una analisi più puntuale del ‘porre in isola’ la città di Bari da parte di Isabella riporto le parole del Beatillo (Historia di Bari 1637): «Donna Isabella et appena vi giunse ch’entrò in pensiero, come Si- gnora grande, di ampliarla, abbellirla e fortificarla, con ‘porla in isola’ e farla circondarla dal mare. Per ciò fece un gran ponte, da un quarto di miglio fuor le muraglie al lito del mare di ponente e maestro, acciò al di là cominciassero le acque a penetrar dentro terra [9] e per un nuovo canale assai largo e profondo, che stava unito col ponte, scorressero fin dentro al molo, che sta dall’altra parte della Città [10]. Havea il canale fabriche grosse di qua e là, tanto distanti tra di

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Leonardo da Vinci, Isabella d’Aragona Sforza e la città di Bari. sé che tre buone barche poste in fila vi poteano entrare e navigare commoda- mente. Et andò l’opra tanto inanzi che giunsero l’acque sino al luogo c’hor vien detto Delle saline. In tutte le strade principali, per le quali da varij luoghi si viene a Bari, dovean farsi altri ponti sopra il canale fino al fine del corso; e tanto pensò la buona Signora d’ampliar Bari, quando vi era di spatio delle muraglie del Ca- stello e della stessa Città, fino all’acque. Ma, come sono le cose di questo mondo tutte imperfette, lasciò ella al meglio l’opera incominciata [11], acciò col tempo la riducesse la Duchessina sua figliuola a perfettione. Ma non hebbe questa tempo di farlo, per che fino alla vecchiezza, come aggiungeremo, stette fuori di Bari e, quando vi ritornò, in breve se ne morì». Continua di seguito Beatillo: «Durarono il ponte e le fabbriche della Duchessa fino al 1567, nel qual anno fu a due di Ottobre sì gran diluvio in Terra di Bari che, scorrendo con empito l’acque piovane per più di venti miglia de strada verso del mare, sboccaron den- tro al detto canale e, riempitolo di terra et altre bruttezze, rovinarono i ripari e gettarono il ponte a terra, restandone per vestigio fin hora una raccolta d’acque marine, a guisa d’un picciol lago, che serve tal hora per farvi caccia d’ucelli e dal nome della Duchessa, che '1 principiò, vien detto Mare Isabella. E per che nell’inverno alle piene dell’acque si congiunge tal volta questo laghetto col mar vicino, vi entrano allora alcuni pescicciuoli, per li quali poi a suo tempo vi con- corron gli ucelli» [12]. Nel 1770 lo storico Emanuele Mola nelle sue Memorie dell’illustre città di Bari (1770) nel Capitolo I dal titolo Estensione della Città, descrivendo la città che ha «pressocché la figura di un triangolo isoscele» [13] (1770) con la base lato terra e i lati lambiti dal mare, riporta le suddette parole del Beatillo sottolinean- done la validità storica perché ancora collegabili al suo tempo. A testimonianza si avvale anche “dell’annessa Carta Topografica di una tal Città” coeva al libro (1770) (fig. 5) e, accennando all’antica estensione della Città anche nell’entro- terra nel casale di Carbonara, tre miglia distante da Bari», afferma subito dopo: «Checché sia di ciò, egli è più sicuro come cosa a noi più vicina che la Regina Isabella Sforza, Duchessa di Bari, quivi risiedendo, avesse intrapreso di cingere la Città di un canale per cui passasse il Mare, cominciando detto Canale circa mezzo miglio distante dalla città verso tramontana, e di parte in parte co- stituendovi vari ponti, che corrispondessero alle varie strade, per le quali dalle vicine città e paesi perviensi a Bari. Cominciò infatti un tal lavoro col disegno altresì di riempire di nuovi edifici tutto quel vuoto, che sarebbe restato fra la città e il canale suddetto. Ma sfortunatamente essendo cadute in quel tempo dirottissime piogge in quelle vicinanze, inondarono di guisa il canale, e le fab- briche recentemente innalzate, che tutto distrussero e riempirono di fango e di pietre». E di seguito, dopo aver riportato le notizie del Beatillo, il Mola continua 158

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e afferma lo stato di fatto: «Così è sempre restato; per manifesto segnale di tale intrapresa un la- ghetto, nel sito ove cominciava il mentovato canale, che appellasi comune- mente ‘Mare Isabella’, e lungo il lido nello spazio che vi si frammezza osservansi i segni di antichi considerabili edifici già distrutti e atterrati, giacché dopo la partenza da Bari della detta Regina più non si pensò a ritentare l’impresa sud- detta. Bisogna vederne il citato autore della ‘Storia di Bari’» [14]. Sappiamo già che nel 1789 (a 15 anni dopo le Memorie della città di Bari del Mola) per il sopraffollamento della città di Bari veniva presentato al re Fer- dinando IV di Borbone da parte della stessa città la richiesta ufficiale di edificare fuori le mura un nuovo borgo. Nel 1813 durante il decennio francese veniva posta la prima pietra da Gioacchino Murat, da cui il nome ‘Bari murattiana’. Nel 1819, ritornati i Borbone, venivano abbattute le mura; il nuovo corso Fer- dinandeo (poi futuro Vittorio Emanuele) sviluppandosi a sud della città vecchia la separava nettamente dalla città nuova che si andava espandendo [15]. E quindi Giulio Petroni nel 1856 nella sua Storia di Bari [16], descri- vendo il bel Corso Ferdinandeo, ci tramanda l’interessante notizia che si era potuto formare abbattendo le antiche mura e colmando il vecchio sottostante fossato, ovvero – possiamo noi osservare – quello stesso fossato pieno di acqua di mare, dipinto dal Lapegna nel 1770 nella Carta scenografica della Città di Bari (fig. 5), a corredo del libro di Emanuele Mola: «La strada massima − scrive il Petroni − che divide l’antica città dalla nuova, e che noi chiamiamo corso Ferdinandeo, è ammirevole per ampiezza, varietà, gaiezza. Da l’un lato corrono in diritto ordine undici isole di palazzi, quali bianchissimi, quali a dolci tinte dipinti, varii di balconi, ringhiere, cornici; ne’ cui bassi s’aprono botteghe o scrittoi da mercatanti la più parte posti con eleganza. Dall’altro, ch’è il lato dell’antica città, ed una volta il più ignobile, or tutti rifatti gli edifici, vedi una bella varietà di altezze, di colori, di forme. E poiché quivi era l’antico muro ed il fosso, abbattuto quello e colmato questo si è fatto dello spazzo un ameno passeggio; dove quattro file di acaci ed ailandi, rallegrando d’un bel verde la vista, invitano nella state a grata ombra i passeg- gianti, e nel verno è così solatìo il luogo, che sovente, se non ne avvertissero le nude braccia degli alberi, crederemmo continua la primavera. Nel centro di que- sta la gran piazza Ferdinandea. Qui sorge il nuovo Teatro, che si distende nella fronte meglio di trecento palmi, quant’è quella del Palazzo dell’Intendenza, che gli sta di contro»[17]. La Carta scenografica in originale della città di Bari di Vincenzo Lapegna (conservata nella Biblioteca di Bari De Gemmis) (fig. 5) è datata 1770 e firmata in basso ai margini estremi, a sinistra del pittore Vincenzo Lapegna e a destra 159

Leonardo da Vinci, Isabella d’Aragona Sforza e la città di Bari. dall’incisore Bartolomeo Borghi [18]. È una pianta della città di Bari nota attra- verso il libro di E. Mola (1774) e variamente diffusa in riproduzioni in stampa, ma mai – per quanto mi risulta – studiata per quanto riguarda l’artista esecutore Vincenzo Lapegna e soprattutto per la strana presenza di un fossato ricolmo di acqua sotto le mura del lato terra, senza soluzione di continuità/in piena conti- nuità con l’acqua del mare che lambisce Bari lungo i due lati del ‘triangolo iso- scele’, a Ponente e a Levante. Proprio rileggendo attentamente questa preziosa Carta scenografica di Vincenzo Lapegna con analitica legenda, ho potuto percepire il significato di quel ‘por in isola’ che ci tramanda già il Beatillo (1637) come volontà strategica della Duchessa Isabella di creare (a ovest a 250 m. circa dal castello) un grande e artificiale canale «per cui passasse il mare», incanalandolo verso la terra e di conseguenza facendolo fluire nel canale appositamente costruito sotto le mura della città, tanto da renderlo navigabile per la larghezza di 3 barconi messi in fila. E proprio questa insolita potenzialità di navigabilità data al canale/fos- sato mi ha fatto pensare alla navigabilità dei navigli intorno alla città di Milano, quindi al sicuro rapporto della principessa Isabella con Leonardo da Vinci pre- sente a Milano alla corte degli Sforza (a cui partecipa la giovane Isabella spo- sando il duca Giangaleazzo Sforza) si deve questa geniale idea di ‘por in isola’ la città di Bari attraverso il grande fossato intorno alle Mura (n. 8 e n. 7 della Carta Lapegna 1770). Questo fossato sopravviverà fino al sec. XIX come ci testimonia il Petroni (1856), mentre il grande “corso” del mare sarà stravolto dall’empito del diluvio del 1567 e mai riattato, di cui rimane ancora testimo- nianza con il laghetto detto “mare Sabella” (vicino la chiesa di S. Francesco di Paola ancora oggi esistente) nella Pianta della città di Bari del 30 giugno 1790 (fig. 9) [19]. La Pianta porta questa iscrizione, prezioso per noi documento storico, a firma degli ingegneri Francesco Viti e Giovanni Palenzia:

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Figura 9. Pianta del Reg. Castello della città di Bari colle mura e, fossato, che racchiudono d.a Città dalla parte interna, unitamente col terreno, e Strade adiacenti alle stesse mura, e coll’idea del Sito da formarsi il nuovo Borgo 30 giugno 1790. (da G. Angelini e G. Carlone, Atlante storico della Puglia. 2. La Provincia di Bari, Capone Editore, Cavallino, 1987, fig. 65).

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«Pianta del Reg. Castello della città di Bari colle mura, e fossato, che racchiu- dono d.a Città dalla parte interna, unitam.te col terreno, e Strade adiacenti alle stesse mura, e coll’idea del Sito da formarsi il nuovo Borgo. Il colorito colla linea di Rosso, dinota il sito da costruirsi il nuovo Borgo, ripartito in isola e strade, che le framezzano». All’epoca di Isabella Bari [20] aveva una sola Porta di città (a ovest) cioè ‘Porta detta di Napoli’ (Porta Reale o Porta Castello) (al numero 1 della Carta di Lapegna) mentre solo nel 1610/1620 veniva aperta la seconda Porta, cioè ‘Porta della Marina’ a est, verso il porto cinquecentesco (al numero 44 della Carta del Lapegna). Entrambe le Porte si vedono nella Carta del Lapegna (1770) al n. 1 “Porta della Città detta di Napoli” e al n. 37 “Porta della Marina” e si nota come sia stato nel tempo deviato ad ansa il “fossato delle mura” all’altezza della “Porta di Marina” per la colmata di terra necessaria a un più comodo accesso alla città e contemporaneamente uscita verso il porto (numero 44). Già nella Pianta del Pacichelli [21] (fig. 10) ancora con il “Fossato della Città” incisione in b.n. del 1703, si percepisce la suddetta colmata di terra da- vanti alla Porta Marina, detta da lui “Porta Nova” (alla lettera G.) e la presenza dell’acqua sotto le Mura.

Figura 10. G.B. Pacicchelli, Pianta prospettica di Bari. (da Il Regno di Napoli in Prospettiva, Napoli 1703).

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Ancora di più si percepisce nella “Mappa di Bari” dell’incisore Giam- battista Albrizzi 1761 [22] (fig. 11), che è una esatta riproduzione dell’incisione di Pacichelli però colorata con identiche rappresentazioni all’interno dei caseg- giati e all’esterno, dell’acqua sotto le mura.

Figura 11. G.B. Albrizzi, Mappa di Bari, 1761.

Di ben altra qualità è la Carta scenografica (1770) del Lapegna (fig. 5) chia- mato dal Mola a corredare il suo libro (pubblicato nel 1774) con una descrizione topografica dei caseggiati diversa da quella del Pacichelli e dell’Albrizzi (e sicu- ramente coeva al libro stesso) e topografica delle stesse mura più articolate, in cui però ancora costante è la presenza dell’acqua del mare al di sotto delle mura. Molto importante è la puntuale legenda al di sotto della Carta scenografica (fig. 5), con ben 52 indicazioni dei luoghi con i relativi nomi, preziosa testimo- nianza, ancora a 2 secoli di distanza, della presenza di Isabella Sforza d’Aragona a Bari e, grazie a lei, dell’influenza del pensiero di Leonardo da Vinci nel pro- getto urbanistico e fluviale della nostra città. Ma chi era Vincenzo Lapegna, l’autore del disegno della Carta scenografica (1770) (fig. 5) ? Come dimostra il Catasto onciario del 1753, esisteva la famiglia 163

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Lapegna, costituita da «Michele La Pegna, pittore d’anni 63, Silvia Murro moglie anni 31» con i figli Giovanni, pittore di anni 24, Saverio, scultore di anni 20, Vincenzo pittore di anni 17. Dunque una famiglia di artisti, di cui tre pittori, il padre Michele La Pegna di anni 63 abitante nelle case del Venerabile Monastero della SS.ma Annunziata in Parrocchia del SS.mo Salvatore, e i figli Giovanni e il nostro Vincenzo di anni 17 [23]. Quando Vincenzo Lapegna esegue nel 1770 la Carta scenografica della città di Bari aveva 34 anni, cioè era un artista maturo ed anche affermato se veniva scelto come esecutore di una illustrazione destinata ad un libro sulla città scritto da Emanuele Mola, uno dei principali protagonisti della vita culturale di Bari, (nell’ambito di una collana nazionale a cura di Cesare Orlandi) e per di più de- dicata ad un illustre “primario Patrizio” della città di Bari Giordano Dottula [24]. Nella Carta Scenografica della Città di Bari (fig. 5) sono rappresentati anche i due stemmi (numeri 42 e 43) della Provincia di Bari e della città di Bari, de- scritti dal Mola e al numero 48 le “Due Medaglie Baresi in bronzo e piccole”: «Due stemmi ha Bari, l’uno come Capo di una Provincia del Regno, che si ap- pella Terra di Bari, e l’altro suo proprio. Il primo rappresenta un campo ango- lare azzurro, in mezzo di cui essi un Bastone Vescovile d’oro di San Nicola, e il resto del campo è d’argento, come si vede nell’annessa veduta (fig. 5). L’altro stemma proprio della città rappresenta uno scudo diviso da alto in basso, metà bianco e metà rosso, senz’altro segno. Stimasi che divisassero i baresi col color bianco la pura, candida Fede costantemente serbata alla cattolica religione, per tutto il tempo che furono sotto il dominio de’ Saraceni; e col vermiglio il pro- prio lor sangue, che pronti e apparecchiati stavano a spargere tutti per difesa e mantenimento dell’anzidetta cattolica lor fede. Fu poi aggiunto sull’impresa suddetta il mezzo busto di S. Niccolò» [25]. Ma ad Isabella si deve un organico piano di lavori di ammodernamento che avrebbe compreso «il rafforzamento delle mura del castello [medievale] con quattro baluardi e la costruzione della cinta (con quattro bastioni a spiovente) bastionata esterna del castello, con la sistemazione della piazza antistante di raccordo alla Porta urbica. Il progetto era inteso ad adeguare l’intero apparato difensivo cittadino alle moderne esigenze della difesa radente e nel contempo ad unificarlo in un medesimo sistema gestionale, con l’eliminazione della tradi- zionale antitesi tra castello e città. I criteri ispiratori di questa operazione di vasta portata si riallacciano evidentemente al grandioso piano di ammodernamento delle fortificazioni co- stiere del regno, cui aveva dato avvio il padre di Isabella Alfonso II d’Aragona

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e già di Calabria, all’indomani della guerra d’Otranto, con il contributo di ‘mae- stri di fortezza’ del calibro di Giorgio Martini, Ciro Bicci, Baccio Pontelli. Non si conoscono i nomi degli artefici cui si deve la costruzione delle tre possenti fronti bastionate del castello barese, che si allineano parallele ed equidistanti alle cortine del nucleo svevo: indubbiamente degli specialisti, che nonostante il congiunto impiego di alcuni elementi tradizionali (caditoie, cor- nici a beccatelli), sono informati degli innovativi impianti quadrati con bastioni acutangoli apprestati sullo scorcio del Quattrocento da Giuliano e Antonio da Sangallo nello Stato della Chiesa, e dei tardi progetti di Francesco di Giorgio, gli uni e gli altri generatori – secondo studi recenti – del più diffuso modello di fortificazione bastionata cinquecentesca.» [26]. Alla morte di Isabella nel 1524, le succede la figlia Bona (già regina di Polonia dal 1518 in quanto sposa di Sigismondo I), che continuò − nonostante risiedesse a Cracovia − l’intenso programma materno sia in campo di corte raf- finata, sia in campo di opere pubbliche quali il progetto idrico – ritengo di re- taggio leonardesco – di apertura di 10 cisterne pubbliche per dissetare la popo- lazione, a cui ne aggiunse ella due «altre di grandissima capacità, una vicino a San Domenico con questa Iscrizione: Bona Regina Poloniae praeparavit piscinas. Pauperes sitientes, venite cum laetitia, et sine argento. E un’altra sotto i Campanili del Duomo con questo nuovo motto, assai simile all’altro: Pauperes sitientes, venite cum laetitia, et sine argento; bibite aquas quas Bona Regina Poloniae praeparavit» [27]. Quest’ultima cisterna (fig. 12) è ancora presente, ma non è più leggibile l’iscrizione, che lo era ancora nel 1980 [28] ed è sotto la nostra cura il poter ottenere un cartello toponomastico “Largo cisterna di Bona Sforza” per tute- larla prima che venga distrutta completamente dai vandali.

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Figura 12. Cisterna/pozzo, superstite una delle due costruite sotto il ducato di Bona Sforza a completamento delle 10 cisterne pubbliche aperte da Isabella d’Aragona nel positivo sistema idrico di distribuzione dell’acqua per i cittadini. (da Ricerche sul Sei-Settecento in Puglia. I. 1978-79, Fasano, 1980).

L’attenzione di Leonardo all’acqua e ai moti dell’acqua che abbiamo vi- sto espletare finora attraverso i suoi disegni scientifici usati di supporto alla nostra dissertazione sulla città di Bari ‘per porre in isola’, ora la cogliamo anche nei suoi dipinti. Infatti i dipinti di Leonardo sono il frutto delle sue riflessioni scientifi- che espresse negli specifici Trattati: il già citato Codice Leicester per lo studio dell’acqua, il Codice sul volo degli uccelli (Torino, Biblioteca Reale), il Trattato di Architettura (elaborato con Francesco di Giorgio), il Libro di pittura di M. Leonardo da Vinci pittore et scultore fiorentino (pubblicato postumo nel 1651). Quest’ultimo comincia con questa frase-quesito di Leonardo Se la pittura è scientia o no e quindi, inoltrandosi nella disquisizione, afferma: «Quelli che s’in- namorano di pratica sanza scienza, sono come li nocchieri ch’entran in naviglio sanza timone o bussola, che mai hanno certezza dove si vadano. Sempre la 166

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pratica debb’essere edificata sopra la bona teorica». E così prendendo ad esem- pio alcuni dei suoi dipinti più famosi, dal giovanile intervento nel Battesimo di Cristo del Verrocchio alla Vergine delle Rocce, alla Gioconda, alla S. Anna, Madonna e Bambino Gesù, al tardo San Giovanni Battista, osservo che esprimono tutti tale assunto. Nel fiorentino Battesimo di Cristo (1475) (fig. 13) (Firenze, Uffizi) del fa- moso pittore Andrea Verrocchio a Firenze gli interventi giovanili dell’allievo Leonardo si possono subito cogliere nel particolare scientifico dei piedi di Cri- sto intorno alle cui caviglie si muove, formando dei cerchi concentrici, l’acqua del fiume. Propongo a confronto per analogia il disegno del Vecchio seduto su una roccia e studi sull’acqua (1506-1508) (fig. 13) (Royal Collection, Windsor Castle) [29] in cui Leonardo studia i vortici dell’acqua intorno agli ostacoli, offrendone una casistica come nel suo Del moto et misura dell’acqua della Biblioteca Apostolica Vaticana [30]. Nella milanese Vergine delle Rocce (1483-90) (oggi a Parigi al Louvre) (fig. 14) l’attenzione scientifica di Leonardo per le rocce si manifesta in tutto il di- pinto, e nel particolare delle rocce in fondo sulla sinistra nell’azzurro del cielo colgo riproposto il disegno dello Studio di formazione rocciosa verticale (1480-81 c.) (oggi a Londra, al Windsor Castle) [31] (fig. 14). «Djcho l’azuro in che si mostra l’aria non essere suo proprio cholore, ma è chausato da umidità chalda, vaporata in mjnutessimj e insensibili attimj [atomi] la quale pigla [piglia] dopo sé la per- chussione de razi solari e fassi luminosa sotto la oscurità delle immense tenebre della regione del fuocho, che di sopra le fa coperchio. E questo vedrà, come vidi io, chi andrà sopra Mon Boso [Monte Rosa], giogo delle Alpi che dividano la Franc[i]a dall’Italia.» [32].

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Figura 13. Leonardo da Vinci, Battesimo di Cristo (1475), Firenze, Uffizi, e particolare dei piedi in acqua a confronto del disegno di Leonardo, Vecchio seduto su una roccia e studi sull’acqua (1506-1508), Londra, Windsor Castle. (da L’acqua microscopio della natura. Il Codice Leicester di Leonardo da Vinci, 2018).

Figura 14. Leonardo da Vinci, Vergine delle Rocce, Parigi, Louvre, e particolare del paesaggio, a confronto del disegno di Leonardo, Studio di formazione rocciosa verticale (1480-81c.), Londra, Windsor Castle. (da L’ac- qua microscopio della natura. Il Codice Leicester di Leonardo da Vinci, 2018).

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M. Pasculli Ferrara

Ed ancora nella Gioconda (1503-1515) (fig. 15), del secondo periodo mi- lanese di Leonardo, permane questa atmosfera emotiva del paesaggio, ma all’aperto, con pieno dominio della figura femminile su uno sfondo misto di terra, cielo, alberi, rocce, lago e ruscello, con profonde analogie – colgo – col disegno (fig. 15) Paesaggio con fiume (detto anche la Cascata delle Marmore) agli Uffizi in cui palpitano gli stessi elementi [33].

Figura 15. Leonardo da Vinci, Gioconda, Parigi, Louvre, particolare del paesaggio sullo sfondo, a confronto del disegno Paesaggio con fiume (detta anche la Cascata delle Marmore), Firenze, Uffizi. (da L’acqua microscopio della natura. Il Codice Leicester di Leonardo da Vinci, 2018).

Le figure femminili raddoppiano nel Cartone fiorentino della Sant’Anna, la Madonna, il Bambino Gesù e San Giovannino (1508) (oggi a Londra, National Gallery), una splendida “metterza”, che si rinnova nel dipinto Sant’Anna, la Vergine e il Bambino Gesù con l’agnellino (1510) (oggi a Parigi, Louvre) (fig. 16) con l’unica variante dell’agnellino, invece di S. Giovannino.

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Leonardo da Vinci, Isabella d’Aragona Sforza e la città di Bari.

Figura 16. Leonardo da Vinci, S. Anna la Vergine e il Bambino Gesù con l’agnellino (1510) (Parigi, Louvre), particolare delle rocce ai piedi delle Sante a confronto con il disegno Spaccato di un monte con strati (falde) a franapoggio, Codice Leicester. (da L’acqua microscopio della natura. Il Codice Leicester di Leonardo da Vinci, 2018).

Allo ‘sfumato leonardesco’ dello sfondo ricco di montagne rocciose az- zurre come nella Vergine delle Rocce, si contrappone il monolitico gruppo centrale della “metterza” in quel dolce incrociarsi di sguardi e di mani, mentre si dipar- tono in direzioni diverse i tre affusolati piedi come ‘segnalibri’ della sottostante realtà rocciosa tutta da indagare. E tale elemento roccioso ho riscontrato in un disegno del Codice Leicester (fig. 16) che viene definito dal Mottana “unico disegno decisamente geologico ideato da Leonardo” e che rappresenta lo spac- cato di un monte con strati (“falde”) a franapoggio [34]. Ma dove lo ‘sfumato’ è usato in modo intenso è nel San Giovanni Battista (1508-1513) (fig. 17), dipinto in cui scompare il paesaggio ed è sicuramente presente nell’atelier francese di Leonardo nel 1517 [35], un anno dopo il suo arrivo ad Amboise ove morirà nel 1519 in grande fama. Fama che già in vita aleggiava intorno alla sua figura ‘ge- niale’, tanto da essere rappresentato nel 1509-1511 − sotto le sembianze di Pla- tone − da Raffaello Sanzio nell’affresco della Scuola di Atene a Roma nelle Stanze Vaticane (fig. 18), immortalato per sempre. 170

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Figura 17. Leonardo da Vinci, S. Giovanni Battista (1508-1513), Parigi, Museo del Louvre.

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Leonardo da Vinci, Isabella d’Aragona Sforza e la città di Bari.

Figura 18. Raffaello, Scuola di Atene (1509-1511), Roma, Stanze Vaticane. Al centro la figura di Platone è impersonificata dal ritratto di Leonardo da Vinci.

Mi piace concludere ponendo a confronto le parole severe del biografo fiorentino Giorgio Vasari nelle Vite dei più eccellenti architetti, pittori et scultori italiani (1550): “Veramente mirabile e celeste fu Lionardo figliolo di ser Pietro da Vinci e nella erudizione e principi delle lettere arebbe fatto profitto grande, se non fuste tanto vario ed instabile” con le parole scientifiche del contemporaneo prof. Alessandro Nova: “I tanti passi straordinari del Codice Leicester sono lì a dimostrare che solo un pittore di grande talento avrebbe potuto fornire rispo- ste adeguate a problemi squisitamente visivi. Se Leonardo indagò con pervica- cia gli elementi in tutti i loro aspetti, lo poté fare perché era ‘armato’ di metodi, tecniche e domande che solo un artista avrebbe potuto porre e a volte risolvere” [36], sempre io ricordando la succitata ‘presenza progettuale’ di Leonardo da Vinci nella nostra città grazie alla vivace volontà della duchessa Isabella d’Ara- gona Sforza di ‘porre in isola’ la città di Bari (come una novella Milano), con un progetto attuato che è durato nel tempo dalla fondazione nel '500 alla fine 172

M. Pasculli Ferrara

del '700, caratterizzando dunque per due secoli la particolare fisionomia topo- grafica della città come abbiamo potuto dimostrare attraverso le mappe del Pa- cicchelli (1703), Albrizzi (1761), Lapegna (1770) e degli ingegneri Viti e Palizia (1790). Il successivo progetto dell’architetto Gimma (1812-1815) abolirà il ca- nale navigabile intorno a Bari, provocando la damnatio memoriae del ‘porre in isola’ di Isabella e della ‘presenza progettuale’ di Leonardo da Vinci, dando ini- zio alla fondazione della cosiddetta ‘Bari Murattiana’ (prima pietra posta da Gioacchino Murat, 1813).

Note

[1] M. Navoni, A. Rocca, La Pinacoteca Ambrosiana, De Agostini Libri: Novara, p. 338, 2015. [2] Il Genio a Trani, Catalogo della Mostra (Trani, Palazzo Beltrani, 6 aprile-30 giugno 2019), Trani, Edizione 2018. [3] M. Navoni, A. Rocca, 2015, p. 339. [4] Ibidem. [5] Verso la fine dell’Ottocento il disegno F290 inf. n. 8 (544x404 mm) viene esposto all’Ambrosiana come autografo di Leonardo da Vinci (B. Spadaccini, “Tristo è quel discepolo che non avanza il suo maestro”: su alcuni disegni di artisti leonardeschi in Ambrosiana, in Leonardo da Vinci e il suo lascito. Gli artisti e le tecniche, Catalogo della Mostra, Milano, Pinacoteca Ambrosiana, 17 settembre 2019-12 gennaio 2020, Silvana Editoriale: Milano, p. 90, nota 72, 2019). Dal 1907 è esposto all’Ambrosiana con la tradizionale identificazione in Isabella d’Aragona moglie di Giangaleazzo Sforza (A. Rovetta, I dipinti di Leonardo e dei leonardeschi, in P. Marani, M. Rossi, A. Rovetta, a cura di, L’Ambrosiana e Leonardo, Interlinea edizioni: Novara, p. 100, 1998) anche se viene attribuito al migliore allievo a Milano di Leonardo: Boltraffio almeno dal 1491 (B. Spadaccini 2019, p. 90, nota 72) per l’insolito uso della ‘punta metallica’ d’argento importato da Leonardo a Milano (ivi, pp. 71-72). La nuova attribuzione del disegno si deve a Giovanni Morelli (Le opere dei maestri italiani nelle gallerie di Monaco, Dresda e Berlino, Zanichelli, Bologna 1886, p. 439, nota 1) seguito da tutta la critica successiva e così esposto dal 1907 al 1966 nella Sala G dell’Ambrosiana (B. Spa- daccini 2019, p. 90, nota 72). «Isabella aveva avuto modo di apprezzare – osserva Rovetta – le doti del Boltraffio se, tramite il duca di Mantova, gli aveva richiesto copia del Ritratto del fratello Ferrante d’Aragona. Nel 1917 Malaguzzi Valeri vi riconobbe uno studio preparatorio per la pala d’altare raffigurante Santa Barbara commissionata nel 1502 per la chiesa milanese di Santa Maria presso San Satiro. Il riferimento alla pala, oggi nei Musei di Berlino, è stata sempre accolto. Una prima variante notevole rispetto al dipinto è nella direzione e nell’apertura dello sguardo. Un valore accessorio ha la presenza nel disegno di una collana, che d’altra parte riconduce all’ipotesi di un ritratto di ambiente cortigiano» (A. Rovetta 1998, p. 100). Anche la Spadaccini osserva che «la donna nel disegno, a differenza di quella nel dipinto, indossa un sontuoso abito, una collana rossa, forse di corallo, e ha lo sguardo rivolto verso il basso alla sua destra come prevedeva l’insegnamento di Leonardo; è forse una figlia o una moglie della nobiltà milanese» (B. Spadaccini 2019, p. 71). E quindi possiamo condividere quanto ipotizzato da Rovetta e Spadaccini, ritor- nando all’antica identificazione del disegno alla figura di Isabella d’Aragona, figlia del re di Napoli 173

Leonardo da Vinci, Isabella d’Aragona Sforza e la città di Bari.

Alfonso II, moglie del duca di Milano Giangaleazzo Sforza. Come prova di tale identificazione propongo il confronto con il Tondo (fig. 3) in cui Isabella è ritratta di profilo: stessa qualità mate- rica dei capelli, altezza e larghezza del collo, fronte alta, naso lineare, bocca sottile, occhi grandi come quelli che si intravedono abbozzati in alto a destra nel disegno. A suggellare il tutto: al collo, la collana rossa di corallo tipicamente napoletana. La figura emblematica di Isabella d’Aragona, figlia del re di Napoli Alfonso II, moglie del duca di Milano Giangaleazzo Sforza, poi duchessa di Bari, è stata oggetto sotto vari punti di vi- sta di recenti pubblicazioni: M.A. Stecchi De Bellis, Il sogno di Isabella. Un itinerario della memoria tra le donne del Rinascimento, Schena Editore: Fasano, 1991; R. Russo, Isabella d’Aragona duchessa di Bari, Editore Rotas: Barletta, 2005; A. Pignatelli Palladino, Nella Gioconda di Leonardo il sorriso di Isabella d’Aragona Sforza. Ducissa di Milano et Bari, Roma, luglio 2019; V. Melchiorre, Il ducato sfor- zesco di Bari, Mario Adda, 1990. [6] Cfr. A. Beatillo, Historia di Bari Principal Città della Puglia nel Regno di Napoli, Napoli 1637, pp. 189-190; A. Beatillo, Historia di Bari Principal Città della Puglia nel Regno di Napoli, in Napoli 1637; prima edizione moderna a cura di D. Lassandro e P. Ostuni, Cacucci Editore: Bari, pp. 248-249, 2018. Cfr. E. Mola, Memorie dell’illustre città di Bari Capo di tutta la Puglia e le sue isole adiacenti. Compendiose notizie sacre e profane, in C. Orlandi, Delle Città d’Italia, tomo III, Perugia 1774, pp. 1-2- 3: ristampa con prefazione di F. Tateo, LB Edizioni: Bari 2019. La Carta scenografica citata dal Mola è conservata in originale nella Biblioteca Metropolitana De Gemmis di Bari e così schedata: “Vincenzo Lapegna, Bartolomeo Borghi (incisore). Carta scenografica della città di Bari, capo di tutta la Puglia consagrata ai sublimi meriti di S.E. il signore D. Giordano Dottula Cavaliere dell’insigne Ordine Gerosolimitano di devozione e primario Patrizio di detta città. Biblioteca Metropolitana De Gemmis – Bari 1 carta geografica. Collocazione: C. GEOGR.13”. Ringrazio la dott. Federica Fella della Biblioteca De Gemmis per avermi concesso la relativa pubblicazione. [7] Pianta e veduta a volo di uccello della città di Milano, con l’indicazione delle sue porte e le distanze segnate in braccia (fig. 6), Macchine per la movimentazione della terra nello scavo dei canali (1502) (figg. 7, 8), rispettivamente del Codice Atlantico (Pinacoteca Ambrosiana, Milano) e del Codice Leicester (da A. Bernardoni, A. Neuwahl, Lavoro manuale e soluzioni tecnologiche nello scavo dei canali, in L’acqua microscopio della natura. Il Codice Leicester di Leonardo da Vinci, Catalogo della Mostra, Firenze, Uffizi, 30 ottobre 2018-20 gennaio 2019, Giunti Editore: Firenze, pp. 134, 150, 2018). Concordo con Adriana Pepe sulla frequentazione tra Leonardo e Isabella a Milano, per quanto riguarda le ‘pre- messe progettuali’ di Leonardo, dissento in parte dalla Pepe per quanto riguarda che: «l’opera venne realizzata solo in minima parte e l’alluvione del 1567 distrusse il ponte e il tratto di canale già eseguito», in quanto io dimostro però che il canale/fossato sotto le mura della città fu eseguito e permase fino all’inizio dell’Ottocento. [8] Libro Originale della Natura; scritto e figurato di proprio Carattere alla mancina dall’Insigne Pittore e Geometra Leonardo da Vinci. In tempo di Ludovico il Moro, nel condur che fece le Acque del Naviglio della Martesana dall’Adda a Milano, in Parigi stampato da G. Longlois 1651. [9] Per avere un’idea in generale di tali operazioni si confrontino, come esempio, il disegno di Leonardo Studi per la canalizzazione dell’Arno (1504 c.), Londra British Library, Codice Arundel e l’esplicativo dipinto di Amico Aspertini, Deviazione del fiume Serchio. Particolare, Lucca, San Fre- diano, Cappella di S. Agostino (da L’acqua microscopio della natura. Il Codice Leicester di Leonardo da Vinci, Catalogo della Mostra, Firenze, Uffizi, 30 ottobre 2018-20 gennaio 2019, Giunti Editore: Firenze, p. 366, scheda 12, e p. 91, 2018). [10] Cioè ad Est della Città di Bari. Sul ‘molo vecchio’ e poi sul ‘molo nuovo’, delimitanti rispettivamente in alto il Fortino S. Antonio e in basso il Porto cinquecentesco (detto ‘Porto 174

M. Pasculli Ferrara nuovo’, per distinguerlo dall’antico Porto medievale a ovest dismesso e perciò poi detto ‘vec- chio’, ma divenuto quest’ultimo ‘vecchio’ “Porto nuovo” dalla sua rifondazione con prima pietra posta nel 1855) e sulla Relazione del 1597 dell’arch. vicereale Domenico Fontana per un restauro resosi necessario al ‘Porto nuovo’. Cfr. M. Pasculli Ferrara, Domenico Fontana tra Bitonto e Bari, in S. Milillo (a cura di), Cultura e società a Bitonto e in Puglia nell’età del Rinascimento, Atti del VI Conve- gno Nazionale (Bitonto, Auditorium Fondazione Opera Santi Medici, 19, 20, 21 dicembre 2007), Congedo Editore: Galatina, pp. 275-296 figg. 4-10 (con bibliografia precedente), 2009. [11] Ricordiamo che la Duchessa Isabella d’Aragona Sforza lascia Bari nel 1522 per Napoli, perché malata e vi muore nel 1524, sepolta in S. Domenico Maggiore. Le succederà come Du- chessa di Bari la figlia Bona Sforza, già Regina di Polonia, perché sposa del Re Sigismondo I, morendo da vedova a Bari nel 1557, sepolta nella Basilica di S. Nicola nel monumento sepolcrale realizzato poi appositamente a Napoli dagli artisti A. Sarti, C. Bernucci, F. Zagarelli nel 1589 (M. Pasculli Ferrara, Arte napoletana in Puglia dal XVI al XVIII secolo (dai Documenti dell’Archivio Storico del Banco di Napoli a cura di Eduardo Nappi), Schena Editore: Fasano, pp. 73-122, 1983. [12] A. Beatillo, 1637, Ristampa 2018, pp. 248-249. [13] E. Mola, 1774, Ristampa 2019, pp. 1, 2, 3. [14] Ibidem. [15] M. Pasculli Ferrara, Itinerari in Puglia tra arte e spiritualità, De Luca Editori d’Arte: Roma, p. 94, 2000. [16] G. Petroni, Della Storia di Bari dagli antichi tempi sino all’anno 1856, Libri Tre, Napoli, Stamperia e Cartiera del Fibreno, Strada Trinità Maggiore n. 26, 1858, vol. II, pp. 372-373. [17] Ibidem. [18] Si tratta del famoso autore dell’Atlante generale del 1819, ricco di 156 carte geografiche oltre che di informazioni storiche, politiche e naturalistiche. [19] Cfr. M. Pasculli Ferrara, Gioacchino Murat e la Bari murattiana. Iconografia del sovrano e della città, in D. Donofrio Del Vecchio (a cura di), Gioacchino Murat e la nuova città di Bari, Atti del Convegno di Studio per il Bicentenario murattiano (Bari, 25 giugno 2013), Società di Storia Pa- tria, Bari 2015, pp. 94-95, figg. 1, 3, 4; A. Serratì, Sistemi urbanistici nella Puglia dell’Ottocento. Il caso emblematico della Bari murattiana dell’architetto Giuseppe Gimma, in D. Donofrio Del Vecchio 2015, pp. 138-139, fig. 8. [20] Cfr. M. Pasculli Ferrara, Schedatura dei Centri storici. Bari, in V. Cazzato, M. Fagiolo, M. Pasculli Ferrara, Atlante del Barocco in Italia. Terra di Bari e Capitanata, De Luca Editori d’Arte: Roma, pp. 507-511, 1996. . [21] G.B. Pacicchelli, Il Regno di Napoli in prospettiva, Napoli 1703. [22] Giambattista Albrizzi è incisore e tipografo editore veneziano, in attività nella seconda metà del XVIII secolo, nonché nipote dell’omonimo zio operante nello stesso campo. La “Mappa di Bari” di Albrizzi è una copia della pianta di T. Salomon, veduta di Bari, del 1740. [23] I. Di Liddo, La bottega di Giuseppe De Grecis nel Settecento a Bari, in N. Cleopazzo, M. Panarello, Oltre Longhi: ai confini dell’Arte. Scritti per gli ottant’anni di Francesco Abbate, Centro Studi Previtali, Portici 2019, pp. 309-315. [24] Di Vincenzo Lapegna abbiamo notizia di disegni per la macchina lignea dell’organo (1777) della chiesa di S. Domenico a Ferrandina e della cattedrale di Polignano a mare (I. Di Liddo, L’arte dell’intaglio. Arredi lignei tra XVII e XVIII secolo in Italia meridionale. Organi cantorie cori

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Leonardo da Vinci, Isabella d’Aragona Sforza e la città di Bari. pulpiti altari, Schena Editore: Fasano, pp. 93-94, 106, 2016) e analogamente del fratello lo scultore intagliatore Saverio Lapegna (ibidem). Sui Bianchi Dottula e le loro residenze nella città vecchia cfr. R. Zoppi, La scenografia del potere nobiliare in età barocca: il sistema residenziale della famiglia Dottula- Bianchi a Bari, Università degli Studi di Bari, Facoltà di Lingue e Letterature Straniere, Tesi di Laurea, a.a. 2006-2007. Relatore Mimma Pasculli Ferrara. [25] E. Mola, 1774, Ristampa LB edizioni Bari, Bari 2019, p. 4. [26] A. Pepe, Dall’età aragonese a Bona Sforza. L’immagine della città, in F. Tateo (a cura di), Storia di Bari dalla conquista normanna al Ducato Sforzesco, Giuseppe Laterza & figli Spa: Roma-Bari, pp. 434-435, 1990. [27] A. Beatillo, 1637, Ristampa 2018, pp. 273-274. [28] R. Buono, Fonti iconografiche dell’antica città di Bari e cenni storici sulla sua evoluzione urbana, in L. Mortari (a cura di ), Ricerche sul Sei-Settecento in Puglia. I. 1978-79, Schena: Fasano, p. 67, 1980. [29] Per il disegno del Vecchio seduto su una roccia e studi sull’acqua cfr. P.C. Marani, Il punto e la linea, la superficie e il vello dell’acqua. Disegnare il nulla, in L’acqua microscopio della natura. Il Codice Leicester di Leonardo da Vinci, Catalogo della Mostra (Firenze, Uffizi, 30 ottobre 2018-20 gennaio 2019), Giunti Editore: Firenze, p. 232, 2018. [30] Del Moto et misura dell’acqua è conservato nella Biblioteca Apostolica Vaticana, Roma. [31] Per lo Studio di formazione rocciosa verticale cfr. M. Kemp, L’acqua nell’arte di Leonardo: alcuni punti di riferimento, in L’acqua microscopio della natura. Il Codice Leicester di Leonardo da Vinci, Catalogo della Mostra (Firenze, Uffizi, 30 ottobre 2018-20 gennaio 2019), Giunti Editore: Firenze, p. 224, 2018. [32] Cfr. A. Nova, Il Codice Leicester come fonte per gli studi di Leonardo sull’aria e l’atmosfera, in L’acqua microscopio della natura. Il Codice Leicester di Leonardo da Vinci, Catalogo della Mostra (Firenze, Uffizi, 30 ottobre 2018-20 gennaio 2019), Giunti Editore: Firenze, p. 132, 2018. [33] M. Kemp 2019, pp. 222-223. [34] A. Mottana, Leonardo e la scoperta della storia della Terra, in L’acqua microscopio della natura. Il Codice Leicester di Leonardo da Vinci, Catalogo della Mostra (Firenze, Uffizi, 30 ottobre 2018 - 20 gennaio 2019), Giunti Editore: Firenze, p. 292, 2018. [35] È presentazione di M. Pomilio, in I Classici dell’Arte. Leonardo, Skira: Milano, pp. 144- 145, 2003. [36] A. Nova 2019, p. 133.

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ATTI E RELAZIONI LVI, (2021), 177-184

Renzo Rosso1 & Aurelia Sole2

[email protected], [email protected]

1Politecnico di Milano, 2Università degli Studi della Basilicata

L’EREDITÀ IDROMETRICA DI LEONARDO DA VINCI

LEONARDO DA VINCI’S HYDROMETRIC HERITAGE

Sommario Pur senza lasciare ai posteri un patrimonio sistematico di conoscenze, l’ere- dità di Leonardo da Vinci in tema di scienza e ingegneria dell’acqua è enorme. Questo saggio ricorda l’impulso alla osservazione delle correnti e, più in generale, alla misura delle portate idriche. Una materia sviluppata non soltanto per curiosità scientifica, ma legata anche agli interessi economici e sociali che le concessioni irrigue avevano nel Rinascimento, tuttora assai rilevanti nell’età del rapido cambiamento climatico. Abstract Although Leonardo da Vinci did not provide a systematic corpus of knowledge to posterity, his contribution to water science and engineering is huge. The essay recalls the impulse to the observation of free surface currents and, more generally, to the measurement of water flows in canals and rivers. His approach does not account for scientific interest only, but it also reflects the economic and social securities associated with irrigation, i.e. a crucial point in the Renaissance that still emerges in the current age of fast climate change.

1. INTRODUZIONE Cinque secoli fa le discipline scientifiche erano assai meno incardinate di oggi. “Idraulica” indicava un insieme di discipline che oggi consideriamo se- parate e autonome. Oltre all’idraulica vera e propria, oggi confinata nello studio delle modalità e delle leggi generali dell’equilibrio e del moto dei liquidi, l’uni- verso delle conoscenze sull’acqua si frantuma ora in numerose discipline, che allora erano invece dei capitoli dell’idraulica: l’idrologia, l’idrografia, l’idrome- tria, la meccanica dei fluidi, l’aerodinamica, l’idraulica fluviale, l’idrogeologia, l’idraulica marittima e costiera, la oceanografica, le costruzioni idrauliche, le macchine idrauliche; senza citare i legami fra alcuni di questi argomenti e la termodinamica, la meteorologia, la climatologia e la chimico-fisica. In tutti queste aree del sapere, chi studia i manoscritti di Leonardo da Vinci trova tracce, talvolta rudimentali ma più spesso profonde, di una linea di pensiero che avrebbe potuto produrre contributi fondamentali alla scienza e all’ingegneria dei secoli successivi, se diffusa tempestivamente, come che pur- troppo non accadde. Non solo nel campo dell’acqua, ma in molti altri settori 177

L’eredità idrometrica di Leonardo da Vinci

del sapere e della tecnica, oggi Leonardo veste perfettamente i panni del pre- cursore, meglio di qualunque altro personaggio della storia. Media e studiosi, gente comune e dignitari, laici e religiosi, tutti sono curiosi di scoprire qualcosa di nuovo e diverso sul genio toscano che contribuì a traghettare l’Europa dall’umanesimo al Rinascimento più di ogni altro. Soprattutto, a favore, imma- gine e somiglianza delle proprie tesi. Assieme al Codice Leicester, l’Atlantico e il Windsor contengono le perle della eredità leonardesca; i più interessanti, variegati e profondi spunti di riflessione sull’acqua. Questo breve saggio ne discute alcuni degli aspetti salienti nel campo dell’idrometria. Perché proprio l’idrometria? Qui ci sostiene il pen- siero di Leonardo, richiamato in premessa da ogni buon testo di idrologia: “Se ti addiviene di trattare delle acque, consulta prima l’esperienza e poi la ragione”. Una cita- zione che non si trova tal quale nei manoscritti leonardeschi che abbiamo finora consultato (pochi). Ma che, in testata, riportano moltissimi lavori, in differenti lingue e diverse variazioni, dai manuali più noti a livello globale [1] alle pubbli- cazioni specifiche di respiro locale [2].

2. IL PRIMATO DELL’IDROMETRIA Sia nel mondo occidentale sia in quello orientale, gli antichi ritenevano che le grandezze idrauliche da misurare fossero soltanto quelle che avevano un diretto interesse economico: le portate dei canali e delle condutture che distri- buivano acqua irrigua e potabile. Per esempio, gli Egizi eseguirono per millenni misure sistematiche di livello del Nilo in numerose stazioni idrometriche lungo il corso del fiume, installando le stadie - oggi note come nilometri - che fornivano l’informazione essenziale per prevedere l’arrivo e l’entità delle esondazioni, be- nefiche se non essenziali alla produzione agricola. Nel Medioevo questa attitu- dine non mutò, giacché non si svilupparono affatto quelle misure di altre gran- dezze, come la velocità delle correnti idriche naturali, che avrebbero avuto un interesse soprattutto scientifico o al più speculativo. Invero, lo studio, l’osser- vazione e l’interpretazione del mondo fisico fu, per migliaia di anni, sostanzial- mente qualitativa; soltanto il Rinascimento sviluppò la consapevolezza che, per saperne di più e migliorare le cose, fosse indispensabile salire un nuovo gradino: introdurre l’approccio quantitativo accanto a quello qualitativo. Questa consa- pevolezza portò allora sviluppare tecniche e strumenti idonei alla misura delle varie grandezze, comprese quelle che caratterizzano il moto delle acque. Nel campo dell’idrologia, dell’idraulica e della meccanica dei fluidi, Leo- nardo fu certamente un pioniere nell’intraprendere questa strada. I suoi mano- scritti descrivono una moltitudine di metodi, strumenti, procedure per misurare la velocità delle correnti libere, della velocita delle imbarcazioni, della spinta dei 178

R. Rosso & A. Sole

getti, nonché delle spinte idrostatiche e dei campi di pressione. Fin dall’inizio, la concezione leonardesca è chiarissima. Nel 1482, in partenza per Milano, Leo- nardo scrive a Ludovico il Moro di saper “condure le acque da un luogo a un altro”. Come ogni ingegnere, chiamato a corte per lavori importanti, Leonardo ap- puntò un promemoria con le cose da fare, vedere e verificare a Milano. E la parola “misura” gioca il ruolo più importante: “Misura di Milano e borghi. Misura del Castello. Misura di naviglio, conche e sostegni e barche maggiori, e spesa. Trova uno maestro d’acqua e fatti dire i ripari d’essa e quella che costa. Un riparo e una conca e uno naviglio e uno molino ala lombarda. Un nipote di Gian Angelo dipintore ha uno libro d’ac- que, che fu del padre. Pagolino, detto Assiolo, è bono maestro d’acque”. Quando, giunto da poco a Milano, ebbe l’incarico ducale di migliorare il regime naturale dei deflussi di un piccolo corso d’acqua, il Nirone, per evi- tarne le esuberanze e utilizzarne meglio le acque, egli appuntò: “Prima di comin- ciare, farò qualche esperimento” (Codice Atlantico f.831r). Sperimentare, ossia mi- surare, prima di decidere è un requisito essenziale per poter prendere e soste- nere decisioni razionali, come scrive sempre riguardo all’idrografia milanese sullo stesso foglio: “Molte furono le terre principali delle province, le quali essendo poste sopra i loro fiumi principali, sono state consumate e distrutte da questi fiumi […]. E la scienza dell’acqua dà cognizione precisa dei suoi ripari”.

3. IL RUOLO DEL DISEGNO La maggioranza degli studiosi dell’opera scientifica e tecnica di Leo- nardo hanno messo l’accento sulla parola, senza una pari attenzione alle tante, eloquenti, limpide immagini che integrano i suoi scritti. Nello studio della mec- canica dei fluidi vinciana, in generale, e in quello dell’acqua, in particolare, non si possono trascurane le numerose immagini contenute nei manoscritti. Come ha scritto Maltese, Leonardo è “il maggiore studioso di scienza delle immagini, che io abbia mai incontrato” e proprio le immagini sono come una delle vie principali d’espressione umana [3]. Se si eccettua il lavoro antologico di Francesco Luigi Maria Arconati (Del moto e misura dell’acqua, c.1643) l’elemento essenziale del linguaggio visivo è stato spesso trascurato al favore della parola. E lo stesso Arconati, che rimane la più rilevante eccezione, ha introdotto figure sue pro- prie, molte volte irrispettose della forma e del significato originali. Secondo Enzo Macagno - lo studioso che, durante la seconda metà del secolo scorso, ha approfondito gli studi sull’opera di Leonardo nel campo dell’acqua più di tutti – la parola e l’immagine sono componenti inseparabili: “questa condizione d’inseparabilità e realmente critica per quanto riguarda scienza e tecnica, dove esistono tutte le combinazioni possibili fra quello che si dice ottimamente con sole parole e quello che si esprime ottimamente con sole immagini. Provate a descrivere con immagini i 179

L’eredità idrometrica di Leonardo da Vinci

postulati dell’idromeccanica razionale e con parole i meccanismi di un orologio. Come caso intermedio, provate a spiegare soltanto verbalmente o soltanto figurativamente la teoria delle deformazioni d’un fluido nell’intorno di un punto” [4]. Un esempio dell’efficacia dell’integrazione tra immagine e misura è pro- prio la citata planimetria del torrente Nirone. Fu probabilmente tracciata sul posto, viste le pieghe del foglio dove i numeri a penna indicano le distanze [5]. Un corso d’acque non lo si descrive a parole, ma se ne disegna il tracciato, corredando la traccia degli elementi quantitativi essenziali. Nei manoscritti di Leonardo, analizzare le immagini è altrettanto im- portante che comprendere il testo, specialmente quando nel foglio manca del tutto una discussione corrispondente all’immagine. Per esempio, a lato dei due schizzi di fontana del Codice Leicester (34r) Leonardo appunta “strumento dell’av- versario”, forse perché rappresentano tentativi dell’avversario di dimostrare il moto perpetuo dell’acqua, come sembrano indicare i disegni stessi. Né gli anti- chi, né Leonardo molti secoli più tardi, potevano risolvere analiticamente il re- bus della famosa fontana, la paradossale macchina idraulica inventata nel primo secolo dopo Cristo da Erone di Alessandria, giacché ignoravano una dinamica che soltanto Newton avrebbe fatto conoscere al mondo. Ma sia Erone, sia Leo- nardo presero l’esperienza come maestra e giudice per decidere con fermezza su questo punto: il moto perpetuo non esiste [6].

4. LA MISURA IDROMETRICA Accettando la lezione di Biswas, il metodo ideato per misurare la velo- cità nei canali e nei fiumi tramite il galleggiante idrometrico costituisce proba- bilmente il primo serio tentativo in questo campo [6]. Leonardo annota nel Codice Leicester, 13v: “Modo di sapere quanto un’acqua corre per ora. Questo si fa col tempo armonico e si potrebbe fare col polso se il tempo del suo battere fosse uniforme. Ma più è sicuro in tal caso il tempo musicale col quale si noterà quanto spazio percorre una cosa portata da essa acqua per 10 o 12 di questi tempi e con questo tal modo si farà regola generale in qualunque canale eguale ma non fiumi che quando corrono di sotto non sembra che si muovano di sopra. Come un piccolo peso presso al fondo delle acque trasparenti il quale sia congiunto con filo alla cosa che si sostenga sopra dell’acqua insegna la varietà de moti dentro alla superficie dell’acqua”. Leonardo scopre come la velocità dell’acqua che scorre sia diversa alle diverse profondità, cioè che il canale non sia eguale e che la cosa portata dall’acqua, cioè il galleggiante, fornisca soltanto la velocità superficiale, da sola insufficiente a valutare la cinematica della corrente e calcolare la portata. Ciò lo porta a ideare

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il galleggiante composto, dove i corpi solidi trascinati dall’acqua sono due, col- legati da un filo, come mostra lo schizzo sullo stesso foglio del Codice Leicester: il dispositivo assume una velocità intermedia fra quelle che il galleggiante supe- riore e la zavorra assumerebbero se non fossero collegati, così che la velocità misurata si avvicina alla velocità media della corrente lungo la verticale [7]. L’annotazione sulla trasparenza dell’acqua, a prima vista inessenziale ai fini della misura, è invece indispensabile per “osservare” se la velocità in pro- fondità sia maggiore o minore di quella superficiale. Nell’eredità di Leonardo ci sono altre varianti dello strumento, come nel caso in cui i due galleggianti sono collegati da un’asta rigida, non dal filo (Manoscritto A, folio 42v). In tal modo, anche se la torbidità dell’acqua impedisce di vedere la zavorra, l’inclinazione dell’asta, individuabile dalla parte emersa, mostra se la zavorra precede il galleg- giante o meno, se la velocità in profondità sia maggiore o minore di quella in superficie. Ma c’è un’ulteriore intuizione: l’importanza di misurare il tempo con precisione. Leonardo giudica inaffidabile la pulsazione cardiaca e suggerisce di basarsi sul tempo musicale o tempo armonico, del quale non ci ha peraltro lasciato una definizione univoca: nel Codice Arundel si trovano due definizioni dell’unità di tempo armonico, la milleottantesima parte dell’ora (3.33 secondi) e la tremillesima parte dell’ora (1.2 secondi) più vicino a quello che doveva es- sere all’epoca il tempo di scansione delle battute musicali [8]. Ma Leonardo po- teva anche pensare a un valore maggiore se suggeriva di estendere la misura della velocità dell’acqua a una durata di 10 o 12 tempi armonici: una durata pari a 33 o 40 secondi sembra più ragionevole per ottenere misure precise, anziché di soli 12 o 14 secondi.

5. IL VALORE DELL’ACQUA Leonardo non si occupò soltanto di misure idrometriche a scopo scien- tifico, ma anche e soprattutto di misure pratiche, più tradizionali per la sua epoca. Qui fornisce innumerevoli spunti originali: in particolare, sulla misura della portata delle acque irrigue addotte dai canali artificiali. Tra le molteplici soluzioni, spicca il manufatto progettato nel celebre disegno a colori del foglio 831r del Codice Atlantico, sia sotto il profilo idraulico, sia sotto quello storico: “Naviglio di San Cristoforo di Milano, fatto addì 3 di maggio 1509” è la nota- zione a margine della tavola. In località San Cristoforo era stato costruito fin dal secolo XII uno degli scaricatori di piena del Naviglio che diede origine al Lambro Meridionale [9]. Il sistema presenta sei bocche rettangolari aperte nel muro di sponda verticale del Naviglio e sovrapposte a due a due. La cornice disegnata intorno a ciascuna 181

L’eredità idrometrica di Leonardo da Vinci bocca suggerisce che fossero realizzate con materiale diverso da quello del corpo murario, orifizi scolpiti in blocchi di pietra, poi inseriti nel muro di mat- toni. Proprio questo sistema era da secoli utilizzato nel Milanese; anzi, addirit- tura compreso negli Statuti del Comune di Milano del 1216 quale standard per luci di dimensioni precise e durevoli, allo scopo di garantire il più possibile il valore della portata erogata e la sua costanza nel tempo [10]. D’altra parte, proprio a San Cristofaro, Leonardo era titolare di un di- ritto d’acqua di 12 once accordatogli dal Re di Francia Luigi XII (oltre a uno stipendio annuo di 400 tornesi) in ricompensa dei suoi servigi di pittore e inge- gnere di fiducia. Leonardo ebbe molta difficolta a farsi pagare quel diritto. In quel periodo il Milanese soffriva dei guai dovuti all’incertezza delle misure e ai conseguenti facili furti d’acqua. A più riprese i governi tentarono il riordino delle utenze irrigue e la modulazione (taratura) delle bocche di presa: nell’arco della vita di Leonardo ci furono le campagne di modulazione di Francesco Sforza (1472) e di Ludovico il Moro (1494) e, poi, quelle del successivo governo francese (1502 e 1518). La loro ravvicinata frequenza dimostra lo scarso suc- cesso, dovuto al fatto che (manomissioni a parte) le bocche non erano modu- lari, cioè non erano in grado di erogare portate neppure approssimativamente costanti al variare del livello nel Naviglio: una carenza alla quale si sarebbe posto rimedio soltanto nel 1571, con l’adozione dell’Edificio Magistrale Milanese ideato da Giacomo Soldati [7]. Ai primi del 500 l’oncia d’acqua milanese era la portata che sortiva “per semplice pressione” ovvero con battente non troppo elevato, da una bocca ret- tangolare alta 4 once e larga 3: queste once sono unità di lunghezza, pari a circa 5 centimetri, da non confondere con l’omonima unita di portata. Pertanto se le 12 once di Leonardo avessero dovuto uscire tutte da una sola bocca di presa, questa avrebbe dovuto essere alta 4 once (circa 20 cm) e larga 36 (circa 180 cm). Invero, il sistema è più complesso e prefigura una apertura alternata dei diversi orifizi. Le bocche di presa e le relative portate abbondano nei manoscritti leo- nardeschi, laddove egli espone molto chiaramente la dipendenza della portata dai livelli di monte. Leonardo era molto sensibile all’idrometria pratica, che d’al- tronde doveva essere oggetto di ampia discussione negli ambienti tecnici ed economici dell’epoca. E bisogna anche considerate che egli si doleva molto per non riuscire a riscuotere il suo diritto d’acqua a San Cristoforo [11]: remava contro sia chi temeva ripercussioni negative del prelievo sulla navigazione, sia chi sosteneva che quei soldi non dovessero arricchire un privato. Comunque, il conquibus non gli veniva liquidato o con la scusa della sic- cità o in attesa di una delle tante modulazioni delle bocche. E, circa un anno prima

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di eseguire quel disegno, Leonardo aveva scritto ai governanti il proprio disap- punto (minuta di lettera nel Codice Atlantico, 317r-b). Si dubita che Leonardo abbia mai potuto recuperare i suoi crediti, ma siamo certi che il suo diritto d’ac- qua era ancora valido nel 1519, all’epoca della sua morte, come risulta da un codicillo del suo testamento, pubblicato da Richter [12]. “Ultima volunta supradicta al dicto M. Baptista de Vilanis presente et acceptante ii dritto de laqua che qdam bone memorie Re Ludovico XII ultimo defuncto ha alias dato a epso de Vince suxo ii fiume del naviglio di Sancto Cristoforo ne lo Ducato di Milano per gauderlo per epso de Vilanis a sempre…”. Il valore economico e sociale dell’acqua ha guidato l’opera di Leonardo lungo tutta la sua traiettoria personale e professionale, come traspare dalla nota sullo stesso foglio 831r del Codice Atlantico a sintesi delle caratteristiche, as- sieme economiche e tecniche, del Naviglio Grande: “Vale 50 ducati d’oro, rende 125 mila ducati l’anno il Naviglio ed è lungo 40 miglia e largo braccia 20”. Sono 71.4 km di lunghezza e 11.9 m di larghezza, uno standard che abbiamo preso oggi a riferimento nel disegnare i nuovi Navigli milanesi [13].

6. CONCLUSIONI Pur avendo progettato anche un torchio da stampa (Codice Atlantico, 358r-v) Leonardo non stampò mai una riga dei suoi scritti, giacché non aveva alcun interesse per la scienza come corpus organizzato di conoscenze, né come impresa pubblica e collettiva. Egli la declinava per se stessa, sviluppandola su sollecitazioni pratiche, progettuali, da ingegnere o architetto oberato di incarichi professionali. Tra l’altro, molti di questi incarichi non riusciva neppure a por- tarli a termine, attirandosi anche qualche commento poco benevolo [14]. E possiamo anche concludere che Leonardo proponeva soluzioni ingegneristiche ai problemi della società assai prima che lo stato delle conoscenze fosse suffi- cientemente avanzato per tali soluzioni [15]. Secondo Fassò, il vortice irrotazionale è il fenomeno idraulico su cui potrebbero aver influito davvero le idee di Leonardo, quello che si forma spon- taneamente svuotando una vasca dallo scarico di fondo; e che s’incontra pure nelle correnti fluviali e in atmosfera [7]. Il suo straordinario acume intuitivo gli aveva svelato il carattere cinematico fondamentale del vortice, come annotò nel Codice Atlantico (296v-b): “il moto elico o vertiginoso di ogni liquido è tanto più veloce quanto egli è più vicino al centro della sua rivoluzione”. Fu Gian Battista Venturi, padre del tubo omonimo con cui si misura tuttora la velocità di un fluido in una condotta, il primo a studiare il vortice

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irrotazionale negli ultimissimi anni del XVIII secolo. Il suo interesse fu proba- bilmente stimolato dalla lettura di Leonardo, di cui aveva studiato i manoscritti trasportati a Parigi dopo la conquista di Milano da parte di Napoleone. “Se così è, sarebbe questo il primo caso in cui detti manoscritti influirono direttamente sullo sviluppo dell’idraulica. Possiamo sperare che non sia l’ultimo?” [16]

7. RIFERIMENTI [1] P.S. Eagleson, “Dynamic Hydrology”, McGraw-Hill Inc., New York, 448p, 1970. [2] F. Antoniol, “Acque antiche... Nuove industrie. L’acqua del canale Brentella e lo sviluppo dell’energia elettrica”, collana “I Quaderni di Fra Giocondo” n. 3, Terra Ferma, Vicenza 2009. [3] C. Maltese, “Per una storia dell’immagine”, Bagatto Libri, Roma, 1989. [4] E. Macagno, “Flow in the art, science and technology of Leonardo da Vinci”, Symposium Leonardo da Vinci, Kunst, Wissenschaft und Technik in der Natur, Wissenschaftszentrum Nordrhein- Westfallen, Essen, 3 -4 marzo 1995. [5] A. Marinoni, “Il Codice Atlantico della Biblioteca Ambrosiana di Milano” (Volumi IX- XII, p.1576), Giunti Editore, Firenze, 2000 (pubblicato in facsimile, originale consultabile via web). [6] A.K. Biswas, History of Hydrology. North-Holland Publishing Company, London, 1970. [7] C.A. Fassò, “Birth of hydraulics during the Renaissance period”. In: “Hydraulics and Hy- draulic Research, A Historical Review”, Edited by A.A. Garbrecht, Balkema, Rotterdam, 1987. [8] A. Marinoni, “Leonardo, la musica e lo spettacolo”. Raccolta Vinciana, Fascicolo XXII, Milano-Castello Sforzesco, 1987. [9] G. Bruschetti, “Storia dei progetti e delle opere per l'irrigazione de! Milanese”, Coi tipi di Giuseppe Ruggia e C., Lugano, 1834. [10] E. Lombardini, E., Dell’origine e del progresso della scienza idraulica nel Milanese e in altre parti d’Italia. Osservazioni storico-critiche concernenti principalmente i lavori di Leonardo da Vinci, di Benedetto Castelli e di Gian Domenico Guglielmini. Edizione III con rettificazioni e aggiunte, Editore B. Saldini, Milano, 1872. [11] G. Calvi, “I manoscritti di Leonardo da Vinci dal punto di vista cronologico, storico e biogra- fico”, Zanichelli, Bologna, 1925. [12] J.P. Richter, “The literary works of Leonardo da Vinci”, Samson, Low, Marston Searle & Rivington, London, 1883. [13] S. Sibilla, M.C. Sciandra, M.C., R. Rosso & C. Lamera, “Hydraulic approach to Navigli canal daylighting in Milan, Italy”, Sustainable Cities and Society, 32: 247–262, 2017. [14] B. Cerretani, “Ricordi”, a cura di G. Berti, Leo S. Olschki, Firenze, 1993. [15] L. Pfister, H. H. G. Savenije, and F. Fenicia, “Leonardo da Vinci’s Water Theory: On the Origin and Fate of Water”, IAHS Press, Wallingford, 2009. [16] E. Levi, “Leonardo precursore della scienza idraulica”. In: “Leonardo e l’età della ragione”, a cura di E. Bellone e P. Rossi, Scientia, Milano, 1982.

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ATTI E RELAZIONI LVI, (2021), 185-192

Giovanni Saccani

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Società Dante Alighieri – Comitato di Torino

GIOVANNI PIUMATI, THEODOR SABACHNIKOFF E L’AVVENTURA DEL CODICE SUL VOLO DEGLI UCCELLI DI LEONARDO DA VINCI GIOVANNI PIUMATI, THEODOR SABACHNIKOFF AND THE AFFAIR OF THE CODEX ON THE FLIGHT OF BIRDS BY LEONARDO DA VINCI

Sommario La presenza del Codice sul volo degli uccelli di Leonardo da Vinci nel patrimonio della Biblioteca Reale di Torino è dovuta a due collezionisti stranieri: il russo Theodor Sabachnikoff e il ginevrino Henri Fatio. Studiato da Giovanni Piumati e da Sabachnikoff, il Codice ha subito non poche traversie: fu ereditato alla morte di Leonardo da Francesco Melzi per poi passare di mano in mano fino alla sua dispersione. Negli anni finali dell’800 Piumati e Sabachnikoff comprarono diversi fogli del manoscritto ricomposto integralmente nel ‘900.

Abstract The presence of the Code on the flight of birds by Leonardo da Vinci in the patrimony of the Royal Library of is due to two foreign collectors: the Russian Theodor Sabachnikoff and the Genevan Henri Fatio. Studied by Giovanni Piumati and Sabachnikoff, the Codex has undergone many difficulties: it was inherited at the death of Leonardo by Francesco Melzi and then passed from hand to hand until his dispersion. In the final years of the 19th century, Piumati and Sabachnikoff bought several sheets of the manuscript completely recomposed in the 20th century.

1. INTRODUZIONE Il Codice sul volo degli uccelli di Leonardo da Vinci giunge a Torino in Biblioteca Reale grazie a due importanti donazioni successive tra loro. La sua presenza nel patrimonio bibliografico che fu dei Savoia potrebbe quindi sembrare casuale. In effetti le scelte della dinastia sabauda, in ambito culturale, non sembrano centrali nella lunga vicenda storica che vanno dalla fondazione del ducato alla tormentata epopea del Regno d’Italia. Analizzando alcune vicende ci sono sicuramente elementi che contrastano questa impressione. Una 185

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sicura eccezione è stata l’azione di Carlo Alberto che fa tesoro delle politiche culturali dei suoi predecessori – Carlo Emanuele I e Vittorio Amedeo II su tutti – dando impulso a una politica di rinnovo delle istituzioni culturali e accrescendo il patrimonio artistico dello Stato sabaudo. Con il lavoro di Domenico Promis, primo bibliotecario nominato da Carlo Alberto alla guida della nuova Biblioteca Reale, vengono acquistate opere importantissime tra cui i disegni di Leonardo. Da questa politica Torino otterrà una fama internazionale che rimarrà anche nei decenni successivi all’epoca carloalbertina. Una eredità culturale che consentirà l’inserimento di Torino nel più ampio movimento intellettuale post Statuto Albertino e post unitario trasformando la città in un polo di attrazione per artisti e intellettuali. È in questo contesto che il pittore e intellettuale Giovanni Piumati si appassiona all’opera di Leonardo diventandone un cultore di chiara fama. Sarà durante una “trasferta” a Bonn come professore, che diventa sodale al suo allievo Theodor Sabachnikoff, ricchissimo mecenate russo, con il quale progetterà l’approfondimento degli studi leonardeschi: da questa amicizia inizia l’avventura che porterà il Codice sul volo degli uccelli alla Biblioteca Reale di Torino.

2. IL CODICE A TORINO Luigi Firpo, nella sua prefazione al Codice sul volo degli uccelli edito ad Alpignano (TO) nel 1991 per i tipi di Tallone, sostiene che la presenza del Codice di Leonardo da Vinci nel patrimonio della Biblioteca Reale di Torino è dovuta essenzialmente a due illustri collezionisti stranieri: il russo Theodor Sabachnikoff e al ginevrino Henri Fatio – un collezionista svizzero – che nel 1920 dona a Vittorio Emanuele III i fogli mancanti del codice vinciano completando così il manoscritto studiato dal piemontese Piumati e, appunto, dal russo Sabachnikoff che nel 1893 donò a re Umberto I la parte più consistente del manoscritto vinciano da lui acquistato (a parte un foglio ricuperato dallo stesso Piumati). Questi i fatti salienti, ma come mai proprio a Torino alla corte sabauda? Prima di giungere in possesso della Biblioteca Reale il prezioso Codice ha subito non poche traversie. Le peripezie dell’opera, infatti, sono state ben descritte molte volte: insieme alle altre opere di Leonardo il Codice fu ereditato dal suo allievo Francesco Melzi (per testamento datato 23 aprile 1519); dalle mani di Francesco Melzi, che conservò gelosamente le opere nella sua villa di Vaprio D’Adda (in provincia di Milano), l’opera passò quindi nelle mani del suo successore Orazio che non riservò le stesse attenzioni riservate da Francesco al 186

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patrimonio leonardesco provocandone la prima drammatica dispersione tra vari collezionisti. Uno di questi – ci informa sempre Firpo – è il nobile Giovanni Ambrogio Mazenta che arrivò a possedere ben tredici volumi riconducibili a Leonardo e che li donò intorno al 1590 ai due fratelli Alessandro e Guido che nuovamente li dispersero vendendoli in parte a Pompeo Leoni, scultore e noto collezionista e responsabile dello smembramento di molti codici vinciani. Nel XVIII secolo il Codice approdò alla Biblioteca Ambrosiana di Milano, da dove fu trasferito, su ordine di Napoleone, all’Institut de France di Parigi. Nella metà dell’Ottocento il manoscritto venne nuovamente trafugato, questa volta da Guglielmo Libri - descritto da Firpo come «insigne matematico e ineguagliato saccheggiatore di biblioteche» - diviso in due lotti e quindi probabilmente disperso tra vari collezionisti. Da questa serie di peripezie il Codice viene finalmente ricomposto grazie all’azione di Piumati e Sabachinokoff prima e di Fatio poi, come abbiamo detto, e le due vicende sono incontrovertibili e risapute ma sulle ragioni di così generosi doni non ci sono notizie certe; sul dono a Umberto I, sempre Firpo sospetta maliziosamente che la generosità di Sabachnikoff fu influenzata dalla bionda, affascinante e colta Regina Margherita che, si sa, amava i libri e circondarsi di persone di spicco nel mondo della cultura. A corte gestì un circolo culturale settimanale – i famosi incontri del “Giovedì della Regina” dove non mancava la Lectura Dantis e al quale partecipavano intellettuali di fama, anche internazionale, basti citare il più grande classicista del secolo Theodor Mommsen o il ministro dell’istruzione pubblica Emilio Broglio o le frequentazioni con Giosuè Carducci (e vedremo che tutti costoro avranno a che fare con la Biblioteca Reale) che le dedicò l’ode Alla regina d'Italia e certamente non è un caso che la sua maschera funeraria sia conservata, appunto, in Biblioteca Reale. Fatti noti; meno noto è che la biblioteca personale della Regina fosse decisamente considerevole tanto che, nonostante le inevitabili dispersioni, rappresenti ancora oggi un patrimonio notevolissimo conservato in tre fondi (in tre diverse biblioteche, la Nazionale Universitaria e la Reale di Torino e quella del Quirinale). Ma certo questa non poté essere la ragione di Henri Fazio che non risulta conoscesse la Regina che nel 1920 viveva quasi sempre nella villa di Bordighera. La casualità però non può convincere quando si tratta di opere così importanti. Una possibile ragione può risiedere nel prestigio che la Biblioteca Reale aveva già raggiunto dopo la metà dell’Ottocento. Con l’unità d’Italia il mito dantesco del veltro verrà ripreso nel Risorgimento e associato a Vittorio Emanuele II che realizza l’unificazione: un prestigio dapprima nazionale che porterà nel patrimonio della Reale tantissime opere (di Dante ma

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Piumati, Sabachnikoff e l’avventura del Codice sul volo degli uccelli

non solo). Negli anni tra il regno di Umberto I e gli anni successivi alla Grande Guerra si concretizzano altre importanti acquisizioni che porteranno la Biblioteca Reale a essere conosciuta in tutta Europa. Le donazioni pervenute sono la prova della realizzazione del progetto carloalbertino di dare un respiro internazionale a Torino e alle istituzioni culturali della città. Un primo prestigioso riconoscimento in questo senso era stato dato da Theodor Mommsen che nella corrispondenza con Carlo Promis – fratello di Domenico, il bibliotecario nominato da Carlo Alberto - esalta Torino come unico centro italiano degli «studi seri» individuando proprio nella Biblioteca Reale e nella Regia Accademia delle Scienze gli enti di eccellenza nella ricerca. Nel 1863 il marchese Emanuele d’Azeglio convince Vittorio Emanuele II ad affiancare lo straordinario codice di Galeazzo Maria Sforza – conosciuto come il “Leggendario Sforza Savoia” – acquisito da Carlo Alberto nei primissimi anni ’40 dell’Ottocento, con un nuovo preziosissimo codice vergato dal quindicenne Ludovico Maria Sforza – detto il Moro – noto semplicemente come “Codice Sforza”: sappiamo che il d’Azeglio aveva numerose richieste per la vendita del codice in suo possesso ma nelle sue lettere insiste che un così prestigioso documento non può che essere della Reale. Sempre per dono, per il tramite della Regina Margherita, si deve la presenza nella collezione reale di un altro importantissimo manoscritto autografo: la relazione Dell’unità lingua italiana e dei mezzi di diffonderla di Alessandro Manzoni. La relazione venne richiesta dal ministro dell’Istruzione pubblica del regno d’Italia Emilio Broglio. Documento importantissimo per lo sviluppo linguistico e politico dell’Italia unita, venne donato dal ministro come regalo di nozze alla giovane coppia reale facendolo inserire in un prezioso cofanetto di ebano e pietre dure fatto costruire ad hoc dall’Opificio delle pietre dure di Firenze. Queste acquisizioni sono le gemme in attesa del diadema. Il prestigio internazionale della Biblioteca è ormai consolidato e si deve probabilmente alla fama tra antiquari e studiosi se Henri Fatio dona a Vittorio Emanuele III i fogli mancanti del codice vinciano completando così il manoscritto studiato dal piemontese Piumati e dal russo Sabaschnikoff.

3. IL CODICE E L’OPERA DI PIUMATI E SABACHIKOFF L’intero Codice sul volo degli uccelli è composto da 18 carte (oltre le due copertine); il titolo dell’opera con il quale è ormai conosciuto in tutto il mondo è frutto di una convenzione, Leonardo infatti non gli diede alcuna intestazione. 188

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Il Codice reca scritto il nome dell’autore sull’esterno della copertina anteriore e, in tarda grafia di ignoto, il titolo Ucelli et altre cose; la scritta – ormai quasi illeggibile – è attribuita da Firpo a Pompeo Leoni, che l’aggiunse sicuramente dopo esserne entrato in possesso nei primi del Seicento. Secreto de polso materiales, questa è la frase che compare - scritta normalmente - all’interno della copertina anteriore del manoscritto, le uniche altre parole scritte in chiaro, si trovano nell’angolo superiore destro dell’interno della copertina posteriore: si tratta di una lista in cui sono elencati, in colonna con a fianco i relativi importi, le spese del Maestro e cioè “mona 48, Crusca 4, in paglia 23, Chiave 6, A me 28, pollo 2”. Leonardo somma questi importi (111) e dalla somma sottrae l’importo destinato a se stesso (A me 28) sottrae poi la probabile cifra di 148 con 111 ottenendo il resto di 37 (la probabile rimanenza dei soldi a sua disposizione?). Le pagine del Codice contengono, oltre alle osservazioni sul volo degli uccelli anche spiegazioni su come coniare medaglie e fare i colori, le scritte sono intercalate da disegni di volatili (il nibbio è l’uccello più rappresentato ma troviamo anche il pipistrello), da figure geometriche, disegni meccanici e - in terza di copertina - da un disegno architettonico; compaiono, inoltre sottostanti ai testi anche sette disegni di Leonardo in sanguigna: una gamba virile, un ramoscello, una grande foglia, un probabile fiore, un probabile papavero, una foglia seghettata e una testa virile. In occasione dell’esposizione delle opere di Leonardo alla Reggia di Venaria il giornalista scientifico Piero Angela, partendo da un suggerimento di Carlo Pedretti e avvalendosi delle sofisticate tecnologie della Polizia Scientifica (il RIS di Parma), attraverso l’invecchiamento elettronico del volto che compare sulla carta 10v del Codice, ha evidenziato una notevole somiglianza con il più famoso Autoritratto. La fortuna editoriale del Codice, per sommi capi, nasce con Giambattista Venturi che nel 1797 a Parigi per i tipi di Duprat pubblica Essai sur les ouvrages physico-mathématiques de Leonard de Vinci avec des fragmens tirés de ses manuscrits apportés de l’Italie, un opuscolo che da alcuni viene considerato il punto di partenza per gli studi moderni su Leonardo ma è Gustavo Uzielli nelle sue Ricerche intorno a Leonardo da Vinci pubblicate a Firenze nel 1872 che dedica tutto un capitolo alla descrizione del Codice sul Volo degli uccelli. Saranno però Giovanni Piumati e Theodor Sabachnikoff a pubblicare il primo facsimile del Codice sul volo degli uccelli il loro studio porta a una l’edizione curata nei minimi particolari dando origine a una pubblicazione con diversi caratteri di modernità che la rendono, a mio parere, un documento multimediale ante litteram. Il Codice venne edito a Parigi nel 1893 da Rouveyre,

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Piumati, Sabachnikoff e l’avventura del Codice sul volo degli uccelli

Piumati stesso cura la trascrizione e le note, mentre la traduzione francese è di Charles Ravaisson-Mollien. Copia autografata di questo studio venne donato a Umberto I e alla consorte Margherita; il volume, anch'esso conservato in Biblioteca Reale, è reso unico dalle dediche particolari dei due autori che scrivono imitando la scrittura rovesciata e sinistrorsa di Leonardo da Vinci. La struttura del libro è straordinariamente moderna nella sua concezione: al suo interno troviamo un fac-simile del Codice sul volo degli uccelli di prodigiosa fattura, inciso e impresso da E. Angerer e Goeschl in Vienna; non contenti di ciò i due appassionati studiosi di Leonardo progettano di inserire alcune veline su cui sono riprodotti i singoli disegni contenuti nel Codice leonardesco. Le “veline” sono a loro volta incollate da un solo lato per consentire, sollevandole, di vedere il disegno in trasparenza e goderne appieno i geniali tratti. I disegni così isolati vengono descritti e commentati. Strumento, ripeto, straordinario per la capacità di anticipare bisogni di comunicazione che solo circa due secoli più avanti potranno essere soddisfatti dall'avvento della multimedialità. Piumati e Sabachnikoff non si fermano al codice leonardesco sul volo, il loro progetto di studiare e ricostruire tutti i codici di Leonardo prosegue e verranno così pubblicati con lo stesso criterio i Codici di Anatomia mentre il solo Piumati studiò l’edizione del Codice Atlantico. Vicende ancora poco studiate – benché lo meriterebbero – portarono i due appassionati studiosi ad abbandonare il loro progetto (in parte proseguito da altri studiosi nord europei) che rimane modernissimo nella concezione e fondamentale per riportare l’opera di Leonardo al centro degli studi.

4. CONCLUSIONI Quella del Codice sul volo degli uccelli è sicuramente una avventura affascinante e straordinaria che si è conclusa a Torino nella Biblioteca Reale dove è conservato e tutelato dalle ingiurie del mondo ma che prosegue con la planetaria rinomanza della collezione torinese grazie alla sensazionale iniziativa dell'invio su Marte, a bordo della navicella della Nasa Curiosity, il più grande e intelligente rover laboratorio mai inviato sul pianeta rosso, di un chip che contiene l'Autoritratto di Leonardo da Vinci e il Codice sul volo degli uccelli, considerato il fondamento della storia del volo. La missione del rover della Nasa realizzato nell'ambito della missione Mars Science Laboratory (Msl) è durata due anni con l’approdo delle opere leonardiane - possedute dalla Reale per rimarcare un rinnovato prestigio internazionale, anzi ormai planetario - su Marte. 190

G. Saccani

Una avventura che ha avuto un esito felice dovuto – oltre che alla fortuna che governa l’umanità - anche a un progetto politico che parte da lontano nel tempo, legato alla dinastia dei Savoia e a quei suoi rappresentanti che puntando sulla cultura e sull’arte per dare prestigio alla casata ducale che aveva ambizioni reali, fecero di Torino un centro rinomato per la ricerca e lo studio. Su tutti, a mio avviso, Carlo Alberto che nella sua smania collezionistica seppe circondarsi di eruditi e ricercatori che cambiarono il volto alle istituzioni culturali e artistiche della città; con lui i famosi disegni di Leonardo entrano in Biblioteca Reale e col loro potere di attrazione si inizia un percorso virtuoso che porterà a Torino anche il Codice forse più presente nell’immaginario collettivo.

5. RIFERIMENTI Il mio intervento al convegno si basa sulla mia esperienza come direttore della Biblioteca Reale che ho diretto dal 2012 al 2018, incarico che mi ha portato a esporre le opere di Leonardo in molti paesi del mondo e a doverne curare la conservazione, la tutela e la valorizzazione. Per la redazione del testo sono state utilizzate le opere citate in questa bibliografia minima. Le opere sono citate per autore (principale, curatore o altro) per evitare di alfabetizzare quasi tutte le opere sotto la voce Leonardo da Vinci, quelle dello stesso autore sono in ordine crescente di data.

Ambasciata Italiana a Mosca, G. Saccani, “Codice sul volo degli uccelli”, Treviso, Grafiche Antiga, 2012 J. da Badia Polesine, “Codice sul volo degli uccelli”, Milano, Spartaco Giovene, 1946. C. C. Bambach, “Leonardo da Vinci. Master Draftsman”, New York, Metropolitan Museum of Art, 2003 A. Bertini, “I disegni italiani della Biblioteca Reale di Torino”, Roma, Istituto poligrafico dello Stato, 1958. A. Bertini, “Prima mostra dei disegni italiani della Biblioteca Reale di Torino”, Torino, Donaggio, 1950. E. Carusi, “I fogli mancanti al Codice di Leonardo da Vinci su ’l volo degli uccelli”, Roma, Danesi, 1926. L. Firpo, “Codice sul volo degli uccelli”, Torino, Tallone, 1991. G. Giacobello Bernard, “Leonardo e le meraviglie della Biblioteca Reale di Torino”,. Milano, Electa, 1998. A. Griseri, “I grandi disegni italiani nella Biblioteca Reale di Torino”, Roma, RAS, 1978.

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Piumati, Sabachnikoff e l’avventura del Codice sul volo degli uccelli

M. Kemp “Leonardo da Vinci. The mystery of the Madonna of the Yarnwinder”, Edimburgh, Trustees of National Galleries of Scotland, 1992. P. C. Marani, “Leonardo”, Milano, Electa, 2005. A. Marinoni, “Il Codice sul volo degli uccelli”, Firenze, Giunti, 1976. M. C. Misiti, “I disegni di Leonardo. Diagnostica, conservazione, tutela”, Roma, Istituto Centrale per il Restauro e la Conservazione del Materiale Archivistico e Librario, 2014 C. Pedretti, “Disegni di Leonardo da Vinci e della sua scuola alla Biblioteca Reale di Torino”, Firenze, Giunti Barbera, 1975. C. Pedretti, “I disegni di Leonardo da Vinci e della sua cerchia nella Biblioteca Reale di Torino”, Firenze, Giunti, 1990. T. Sabachnikoff, G. Piumati, “Codice sul volo degli uccelli e varie altre materie”, traduzione in lingua francese di C. Ravaisson-Mollien, Parigi, Rouveyre, 1893. G. Saccani, C. Vitulo, “Leonardo da Vinci in Biblioteca Reale di Torino tra tutela e valorizzazione”, in “Accademie e Biblioteche d’Italia”, 2013. G. Saccani, “Il Codice sul volo degli uccelli di Leonardo da Vinci e la straordinaria storia della collezione leonardesca della Biblioteca Reale di Torino”, “Leonardo da Vinci: beyond the visible”, Tokyo, Mainichi Newspapers, 2016 G. Saccani, “Il codice sul volo degli uccelli”, Firenze, Milano, Giunti, 2017 G. C. Sciolla, “Le collezioni d’arte della Biblioteca Reale di Torino. Disegni, incisioni, manoscritti figurati”, Torino, Istituto San Paolo di Torino, 1985. G. C. Sciolla, “Da Leonardo a Rembrandt. Disegni della Biblioteca Reale di Torino”, Torino, Allemandi, 1990. G. C. Sciolla, “Nuove ricerche in margine alla mostra: Da Leonardo a Rembrandt”, Torino, Fondazione San Paolo, 1990. P. Salvi, “Leonardo da Vinci. Tresaures from the Biblioteca Reale”, Torino, Hapax, 2014. C. Silvy, “Manuscript Sforza: fac-simile d’aprés le manuscript original appartenant a M. le Marquis D’Azeglio, ambassadeur de Sardaigne à Londre”, London, J. Clayston, 1860. J. T. Spike “Leonardo da Vinci and the Idea of Beauty”, Firenze, Centro Di, 2015. A. Uccelli, “Il libro del volo di Leonardo da Vinci”, Milano, Industrie Grafiche Italiane Stucchi, 1952 G. Uzielli, “Ricerche intorno a Leonardo da Vinci”, Firenze, Pellas, 1872. G. Venturi, “Essai su les ouvrages phisico-mathématiques de Leonard de Vinci avec des fragmens tirés de ses manuscrits apportés de l’Italie”, Paris, Duprat, 1797. E. Zanon, “Il libro del Codice del volo. Leonardo da Vinci”, Milano, Leonardo3, 2009.

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ATTI E RELAZIONI LVI, (2021), 193-204

Francesco Sdao

[email protected]

Scuola di Ingegneria, Università degli Studi della Basilicata

LEONARDO DA VINCI: LA GEOLOGIA PRIMA DELLA GEOLOGIA

LEONARDO DA VINCI: THE GEOLOGY BEFORE THE GEOLOGY

Sommario Leonardo da Vinci, uno dei più grandi geni della storia dell’umanità, ha profondamente indagato sui processi naturali, ed in particolare su quelli geologici. In molte sue opere ha espresso opinioni e principi innovativi e ben fondati su alcuni temi di geologia; le sue scoperte e le sue intuizioni sono molto più in accordo con le attuali teorie geologiche che con quelle espresse dagli studiosi suoi contemporanei. Tutto ciò ben qualche secolo prima che Ulisse Aldrovandi, nel 1603, coniasse il termine Geologia, Niccolò Stenone, nella seconda metà del XVII secolo, ne enunciasse le leggi fondamentali e James Hutton, nel 1785, introducesse il fondamentale principio dell’Uniformitarismo. Pertanto, Leonardo da Vinci può essere considerato il precursore della moderna geologia, perché ha parlato di geologia prima della geologia. Abstract Leonardo da Vinci, one of the greatest genius in the history of humanity, has continuously and deeply investigated the natural phenomema, particularly the geological processes. In many of his works he has expressed, demonstrating them, innovative and well-founded opinions and principles on some geological topics; his discoveries are much more in agreement with current geological theories than with those expressed by his contem- poraries. All this a few centuries before Ulisse Aldrovandi, in 1603, coined the term Geology, Niccolò Stenone, in the second half of the seventeenth century, enunciated its fundamental laws and James Hutton, in 1785, introduced the fundamental principle of Uniformitarianism. Therefore, Leonardo da Vinci can be considered the precursor of mod- ern geology, because he spoke about geology before geology.

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Leonardo da Vinci: la Geologia prima della Geologia

1. INTRODUZIONE Leonardo da Vinci è stato uno dei più grandi geni visionari e creativi dell’intera storia dell’Umanità: è stato un eccelso pittore, scultore, disegna- tore, architetto, ingegnere e scienziato [1]. Leonardo da Vinci ha continua- mente e profondamente indagato sui processi naturali, ed in particolari sui processi geologici, considerando essenziale per l’uomo la conoscenza della geologia (La cognizione del tempo preterito e del sito della terra è ornamento e cibo delle menti umane, CA, 365v). In moltissime opere, dai codici, ai trattati, dai disegni ai dipinti, si colgono chiare evidenze di principi e teorie ben fondati su feno- meni geologici, anche complessi. Molti sono gli schizzi e gli abbozzi in cui i processi naturali e geologici sono ben impostati e interpretati. In molti dipinti e disegni i paesaggi geologici, con le loro rocce, le loro acque, i loro fenomeni naturali, sono rappresentati con scientificità e realismo. Solo pochissimi pittori, tra cui il Mantegna e il Pollaiolo, ma in nessun caso con la cura dei particolari di cui sono ricche le opere di Leonardo, hanno avuto l’abilità di dipingere in modo fedele la geologia di un territorio. Il suo spiccato senso di osservazione, la sua esperienza (a tal proposito, nel Codice Atlantico scrive: leonardo vinci discie- polo della sperentia) e la sua propensione alla sperimentazione gli hanno consen- tito di esprimere opinioni innovative sulla geomorfologia, sull’idrogeologia, sulla sedimentologia e su tante altre branche delle Scienze della Terra. Come ha evidenziati J.P. Richter [2], le sue scoperte sono molto più in accordo con le attuali teorie geologiche che con quelle espresse dagli studiosi suoi contempo- ranei. Tutto ciò fa di Leonardo da Vinci l’antesignano della Geologia: perché ha parlato di geologia prima che la geologia moderna iniziasse il suo lungo cammino. E tutto questo prima che Ulisse Aldrovandi coniasse, nel 1603, il termine Geo- logia, che Niccolò Stenone, nella seconda metà del XVII secolo, enunciasse le leggi fondamentali della stratigrafia, e James Hutton, nel 1785, introducesse il fondamentale principio dell’Uniformitarismo (Il presente è la chiave del passato). È il pioniere e non il fondatore della Geologia perché i suoi principali scritti scien- tifici, ed in particolare il Codice Leicester (CL), la principale fonte delle sue idee geologiche, attirarono l’attenzione degli scienziati italiani solo nei primi decenni del ‘900; tra questi si ricordano Mario Baratta e soprattutto Giuseppe de Lo- renzo [3]. Il suo spirito di osservazione, le sue continue sperimentazioni ne fanno anche il precursore del metodo scientifico sperimentale, di cui Galileo Galilei è stato il fondatore. Nel lavoro, ricorrendo all’esame di alcuni dipinti, disegni e brani dei principali codici leonardeschi, saranno illustrate alcune idee di Leonardo sulla sedimentologia, sull’idrogeologia, sulla geomorfologia fluviale e sull’instabilità dei versanti. 194

F. Sdao

2. LEONARDO DA VINCI E LE ACQUE SOTTERRANEE. Leonardo da Vinci, in tutta la sua vita, ha indagato sull’origine delle ac- que e sui meccanismi della circolazione idrica sotterranea e superficiale. Nelle sue riflessioni sul Corpo della Terra, riportate nel Codice Leicester, il primo trat- tato organico di idrologia e di scienze delle acque, l’origine della vita è stretta- mente legata al fluire dell’acqua, tant’è che il corpo della Terra, a similitudine dé corpi de li animali è tessuto di ramificazioni di vene (fiumi, condotti sotterranei, ndr), le quali congiunte, e son costituite a nutrimento e a vivificazione d’essa terra e dé sua creati (CL, f. 33v). Secondo Leonardo la circolazione sotterranea dell’acqua avveniva lungo le già menzionate vene, mediante le quali l’acqua risale, grazie al calore sotterra- neo (il livello del mare esalato dalli fochi che stan nel centro over corpo della terra - CL f. 33v), dal fondo dell’oceano alle cime delle montagne, da cui scaturisce per tor- nare, attraverso torrenti e fiumi, di nuovo al mare (Figura 1).

Figura 1. Codice Leicester (foglio 3v) con i particolari delle vene d’acqua sotterranea e del meccanismo di circolazione idrica sotterranea [1].

Successivamente (intorno al 1483) le sue vedute sull’origine e sulla cir- colazione sotterranea dell’acqua cambiarono, convincendosi che l’acqua delli fiumi non dal mare ma dalli nuvoli ha origine [CA f. 433r] e che la pioggia ruscellando 195

Leonardo da Vinci: la Geologia prima della Geologia e trasportando materiale solido si raccoglie in rivoli, torrenti e fiumi che allargano le loro valli e consumano le radici de’ monti laterali [Codice Arundel (CAR), f. 161r]. Ed ancora…Ma nelli monti, l’acque piovane subito penetrano essa terra, e discorran infra le fessure delle pietre e empie di sé le vene e i corpi cavernosi [CL f.3r]. Quindi, sono le stesse piogge che alimentano il deflusso idrico sotterraneo, completando quello che oggi è conosciuto come ciclo idrogeologico delle acque. Leonardo si è anche occupato di idrogeologia e di dinamica idrica sot- terranea: infatti in molti fogli del Codice Leicester sono trattati temi interessanti e complessi di dinamica idrica sotterranea, di formazione di sorgenti, di inter- venti strutturali di captazione delle acque sotterranee. Nei primi anni del ‘500, durante il suo soggiorno in Lombardia, si è imbattuto, nei pressi del Lago di Como, nella Fonte Pliniana, un’importante sorgente carsica intermittente (con portate idriche dell’ordine dei 3000 l/min) [4], già menzionata da Plinio il Vec- chio, nella sua Naturalis historia. Nel Codice Leicester, Leonardo ne descrive le principali caratteristiche e i meccanismi di intermittenza: Come in molti lochi si trova vene d’acqua che sei ore crescono e sei ore calano e io per me n’o veduta una in su lago di Como ditta fonte pliniana la qual fa il predetto crescere e diminuire in modo che quando versa macina più mulina e quando manca cali si c’egli é come guardarsi lacqua in un profondo pozo (CL, f. 11v). Nel famoso quadro il Battesimo di Cristo (dipinto da Verrocchio e da Leo- nardo nel periodo 1472 – 1475) (Figura 2) è possibile osservare uno dei più noti meccanismi di formazione di una sorgente idrica. Tralasciando molti altri par- ticolari di natura geologica presenti in questo dipinto, e di cui parleremo in se- guito, ci soffermiamo sull’acclive balza rocciosa presente tra il Cristo e il Batti- sta. Questa balza è modellata in una roccia arenacea di colore giallo ocra, ospi- tante rari livelli argillosi scuri, conosciuta come Formazione del Macigno (Oli- gocene – Miocene) e diffusamente affiorante nell’Appennino Tosco-Emiliano [5]. Se osserviamo con attenzione la balza rocciosa, la parte inferiore, fino a metà altezza, è costituita da arenarie ben stratificate, praticamente impermeabili, con sottili laminazioni a giacitura orizzontale, mentre la parte superiore è, in- vece, composta da blocchi arenacei con laminazioni verticali, permeabili per fessurazione, verosimilmente crollati dalla parete retrostante (Figura 2). Al pas- saggio fra queste due situazioni strutturali, in corrispondenza di un interstrato argilloso impermeabile più scuro, sgorga un vivace zampillo d’acqua. Pertanto, questa sorgente si realizza per la presenza di un acquifero roccioso permeabile per fessurazione e per un limite di permeabilità (interstrato argilloso) che impe- disce il deflusso idrico verticale. Quindi, Leonardo, oltre a conoscere alcuni meccanismi di formazione di sorgenti, aveva compreso il ruolo della permeabi- lità delle rocce nella genesi delle sorgenti e quello che la fessurazione ricopre 196

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nella permeabilità delle stesse. Infatti, nel Codice Leicester si legge: dove le pietre si mostrerà per taglio o poco obblique verso il cielo quivi fia gran penetrazione d’acqua…e se le pietre che si mostrano al cielo colle lor fronti, sarà lastre di minuta grossezza, queste fien bevitrici d’assai acqua piovana.

Figura 2. Verrocchio e Leonardo. Il Battesimo di Cristo (1472 – 1475 ca). La stella rossa indica il macereto di frana crollato, permeabile per fessurazione e costituente l'acquifero della piccola sorgente visibile nell’ellisse bianco.

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Leonardo da Vinci: la Geologia prima della Geologia

3. LA GEOMORFOLOGIA FLUVIALE E I MEANDRI Leonardo da Vinci si è occupato di geomorfologia fluviale con acume e competenza. Le sue prime osservazioni di geomorfologia fluviale hanno ri- guardato il Torrente Vincio, un piccolo corso d’acqua che lambiva il borgo dov’era nato, riconoscendo la gradualità con cui si sviluppano i processi erosio- nali. I suoi studi sulla dinamica fluviale, sulle piene fluviali, sull’erosione accele- rata, sulla sedimentazione fluviale sono essenzialmente basati su meticolose os- servazioni e ripetute sperimentazioni. Ha descritto e interpretato, con copiosi particolari, le principali morfologie fluviali e i relativi processi idrodinamici: gli alvei rettilinei, i corsi d’acqua rami intrecciati, i fiumi a meandri con le loro barre, i loro alvei sinuosi e le sponde asimmetriche [6]. Il tema geomorfologico del meandro è presente in molte opere pittoriche di Leonardo: per esempio nella Madonna dell’Aspo, in cui un fiume a meandri solca le dolci colline toscane (Figura 3). Certamente Leonardo ha come modello Antonio del Pollaiolo, un innovatore nella tecnica pittorica del paesaggio. I suoi meandri, si osservi in particolare il dipinto Ercole e Idra (Figura 3), sono tracciati con realismo e preci- sione. Tuttavia, i meandri disegnati da Leonardo, oltre ad essere realisti e minu- ziosi nei particolari, sono ricchi di evidenze sedimentologiche, idrogeologiche e geomorfologiche che ne fanno spesso un vero e proprio trattato di dinamica fluviale. Quanto fin qui detto è chiaramente osservabile in molte mappe idro- grafiche conservate nella Royal Collection del Castello di Windsor e nel Codice di Madrid II, tra le quali: la Carta generale della Toscana, le Carte idrografiche delle Piane Pisana, di Firenze e del Valdarno inferiore redatte per la progettazione del Ca- nale di Firenze a difesa dalle periodiche alluvioni dell’Arno. Spicca, per conte- nuti scientifici, per proprietà topografiche innovative, per precisione, la Mappa d’Imola, un disegno a stilo, matita dura e penna colorata, redatto nel 1502 e conservato nella Royal Library di Windsor (Figura 4). Questa Mappa, che, con una vista zenitale, rappresenta il prototipo delle attuali foto aeree, riporta l’an- damento sinuoso del Fiume Santerno, nella parte che lambisce la Città di Imola [7]. Una particolarità che colpisce l’occhio di un osservatore è la diversa risolu- zione spaziale con cui Leonardo riporta la Città di Imola e i meandri del Fiume Santerno. La città, con i suoi quartieri, le sue case, i suoi canali, è riportata con una risoluzione dell’ordine del metro, mentre i particolari geomorfologici e se- dimentologici del Fiume Santerno sono definiti con una scala centimetrica – si noti, in particolare, la minuziosità con cui sono riportate le alluvioni sabbioso- ghiaiose del greto del fiume. La serie di meandri, con andamento sinuoso e con 198

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raggio di curvatura a luoghi diverso, si dipana, incassata, all’interno di un pree- sistente alveo caratterizzato da una area di esondazione più larga.

Figura 3. Leonardo da Vinci: La Madonna dell’Aspo (1501, collezione privata (a sinistra). Antonio del Pollaiolo: Ercole e Idra (1475 ca, Galleria Uffizi, Firenze)

Il profilo trasversale asimmetrico dell’alveo – molto acclive sul lato con- cavo e poco ripido su quello convesso, è evidenziato dalle diverse sfumature di colore giallo ocra e dalla fittezza dei tratti a penna (quest’ultime sembrano mi- mare delle vere e proprie isoipse). Di notevole pregio scientifico sono: la defor- mazione dell’impianto urbano a Sud-Est dovuta alle interferenze fluviali avve- nute in età post-romana [7]; la precisione con cui sono tracciate e collocate le barre di meandro; i diffusi processi erosionali che coinvolgono le sponde con- cave dei meandri, causati dall’accrescimento delle barre laterali; la rappresenta- zione simbolica di oggetti e strutture presenti sulla carta. I simboli, la più o meno marcata fittezza delle linee tracciate a penna, la diversità di forma delle diverse anse dei meandri rendono questa carta dinamica, evidenziando il pro- cesso morfoevolutivo dei meandri, processo ben compreso da Leonardo e, at- traverso questa Mappa, tramandato ai posteri.

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Leonardo da Vinci: la Geologia prima della Geologia

Figura 4. Mappa d’Imola e i meandri del Fiume Santerno (1502) Royal Library, Windsor

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4. LEONARDO DA VINCI E LE FRANE Leonardo si è anche occupato di processi geomorfologici e di modella- mento del rilievo e del ruolo che l’acqua svolge come agente modellatore. Emblematico a tal proposito è il suo celeberrimo aforisma: l’acqua disfa li monti e riempie le valli e vorrebbe ridurre la Terra in perfetta sfericità, s’ella potesse (CA, f. 185, vc). In questi studi si è occupato di fenomeni erosionali, di piogge intense, di alluvioni e di frane come agenti modellatori del paesaggio. In merito alle frane, Leonardo si è anche occupato di cause scatenanti e di in- terventi di consolidamento. Nicola Casagli, in una conferenza tenuta in occa- sione del 500° anniversario della morte di Leonardo, ha parlato delle frane che storicamente si generano sulla Collina di Monte alle Croci a Firenze e del ruolo avuto da Leonardo nell’individuazione delle cause e degli interventi in occa- sione di un importante evento di frana del 1499 [8]. Per quanto concerne le frane di Monte alle Croci (Firenze), queste sono storicamente note e legate es- senzialmente a due fattori scatenanti: lo scalzamento al piede in corrispondenza di alcune cave di terreni argillosi disposti a franapoggio; lo spargimento selvag- gio delle acque sul versante per l’inadeguatezza della rete fognaria [9]. A seguito della frana che coinvolse nel 1499 la collina, l’Arte di Calimala nominò una com- missione tecnica composta da Leonardo da Vinci, da Giuliano da Sangallo, da Jacopo del Pollaiolo, da Filippo Legnaiuolo e da Simone del Caprino, Giunta Maestro dell’Arte di Calimala. In un documento dell’Archivio di Stato di Firenze, datato 1499, è ri- portato l’esito dei lavori della commissione [8]. Leonardo da Vinci ebbe a di- chiarare: quanto a' S. Salvadore, et a' rimedi di quello secondo ha dato il disegno e per quello si vede da' mancamenti dell'edifitij, e dall'acque, che vanno tra’ falde delle pietre in sino dove si fanno i mattoni, e quivi in parte sono tagliate le falde, e quella parte dell'edifitio, dove sono tagliate le falde, et il mancamento, e che rifendendo, e tagliando le falde si rimetterebbe. E tener nete le fogne. Leonardo con grande perizia ed esperienza aveva corretta- mente diagnosticato il problema ed individuato la soluzione [8, 9]. In un recente lavoro, Margottini [10] evidenzia in un celebre disegno leo- nardiano, il Burrone Roccioso (Figura 5), chiare evidenze di un movimento di massa, riconducibile ad uno scivolamento di roccia che evolve a fenomeni di crollo, che ha interessato una formazione rocciosa massiva dura molto fessu- rata, su cui poggia una formazione più tenera stratificata (Figura 5).

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Leonardo da Vinci: la Geologia prima della Geologia

D

A

B

Figura 5. Il Burrone roccioso (1480 – 1481, The Royal Collection, Castello di Windsor). La freccia rossa indica la superficie di scorrimento. A: corpo di frana, B: macereto di frana; C: roccia massiva; D: roccia tenera stratificata.

Leonardo, quindi, conosceva bene i meccanismi di frane, dagli scivola- menti ai crolli. Anche nel Battesimo di Cristo è verosimilmente presente una frana: infatti, l’acquifero della sorgente, di cui si è già parlato, è costituito da blocchi arenacei delimitati da grosse fratture scivolati e crollati dalla parete retrostante e accatastati su un balconcino di roccia (Figura 6). Il movimento di questi blocchi è comprovato dalla diversa laminazione presente nella balza rocciosa: a giacitura orizzontale nella parte inferiore di balza stabile, a giacitura verticale nei blocchi crollati; da alcuni blocchi ruotati in leggera contropendenza.

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Figura 6. Il Battesimo di Cristo. Particolare. La freccia indica i blocchi fessurati e crollati dalla parete retrostante; le stelle indicano i blocchi ruotati in leggera contropendenza.

5. RIFERIMENTI [1] AA VV (2018). L’acqua microscopio della natura. Il Codice Leicester di Leonardo da Vinci. A cura di P. Galluzzi, 399 pp, Giunti Ed). [2] J.P. Richter. The notebook of Leonardo da Vinci, New Yrk, Dover Pubbls, vol. II, 1939 [3] G. De Lorenzo. Leonardo da Vinci e la Geologia. 195 pp, Zanichelli ed. 1920 [4] A. Cigna. The Flow rate of the Fonte Pliniana (Como, Italy): two thousands years of data. Acta Carsologica, vol. 37, pp 95 – 100, 2008 [5] G.B. Vai. I viaggi di Leonardo lungo le valli romagnole: riflessi di geologia nei quadri, disegni e codici. In: Pedretti C (ed), Leonardo, Machiavelli, Cesare Borgia. Arte, storia e scienza in Romagna, 2003 [6] D. Alexander. Leonardo da Vinci and fluvial geomorphology. American Journal of Science. Vol. 282, pp 735 – 755, 1982 [7] G.B. Vai. Leonardo, la Romagna e la Geologia. In Romagna: vicende e protagonosti, pp 126 – 156, 1986

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Leonardo da Vinci: la Geologia prima della Geologia

[8] N. Casagli. Leonardo da Vinci, La storia della prima relazione geologica. Conferenza 500° Anni- versario della morte di Leonardo da Vinci, Firenze, maggio 2019. [9] [ P. Canuti, N. Casagli, R. Fanti, G. Agostini, C. Margottini- Natural hazards and cultural heritage in Florence: the slope instability of Monte alle Croci. Giornale di Geologia Applicata, vol. 1, pp 123 – 130, 2005. [10] C. Margottini. Leonardo da Vinci and landslides. Landslides Journal, Springer ed., 2019.

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ATTI E RELAZIONI LVI, (2021), 205-211

Antonio Surdo

[email protected]

Istituto Nazionale di Fisica Nucleare – Sezione di Lecce

L’OCCHIO CHE SVELA I MISTERI DELL’UNIVERSO THE EYE DISCLOSING THE UNIVERSE MISTERIES

Sommario Il modo di guardare alla Natura si è evoluto nel tempo, dall’apparenza dei fenomeni all’esplorazione degli aspetti più nascosti o contrari al senso comune. Le innovazioni tecnologiche hanno poi consentito lo sviluppo di nuovi strumenti e tecniche osservative, frutto dell’inventiva, dell’ingegno e del paziente lavoro di molte persone, nel segno dell’eredità del genio innovatore di Leonardo. Ciò ha permesso di progredire nella nostra conoscenza dell’Universo. Abstract The way of looking at Nature evolved in time, from the simple appearance of phenomena to the investigation of the most hidden or uncommon aspects. The technology progress then allowed the development of innovative instruments and techniques, as a result of the creativity, the ingenuity and the patient work of many peaple, in the sign of the legacy of the Leonardo’s innovative genius. This allowed us to advance in the Universe knowledge.

1. INTRODUZIONE In che modo osserviamo l’Universo? Quanto sono importanti gli stru- menti adoperati? Esso è così come ci appare? Fin dai tempi antichi, gli esseri umani hanno scrutato il cielo, rimanendone affascinati e cercando di svelarne i misteri. Per molti secoli, tutte le osservazioni, benché motivate spesso da esi- genze di ordine pratico, venivano infine ricondotte a una visione basata su leg- gende e miti cosmogonici. Con le posizioni delle stelle sulla volta celeste veni- vano disegnate delle costellazioni, associate a vicende e personaggi mitologici, alle quali venivano generalmente attribuiti significati e contenuti di natura astro- logica. Ma, come si vedrà meglio più avanti, è con la civiltà dell’antica Grecia che la speculazione filosofica sul mondo naturale, quindi anche il modo di guar- dare alla realtà, assume una connotazione peculiare e per certi versi rivoluzio- naria.

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L’occhio che svela i misteri dell’Universo

La svolta nel campo dell’osservazione sperimentale avviene poi quando si afferma un modo del tutto nuovo di guardare alla natura: si cominciano ad osservare i fenomeni naturali con senso critico, non limitandosi cioè ai soli aspetti qualitativi del fenomeno, ma cercando di descriverlo in modo rigoroso, nella convinzione di poterlo comprendere razionalmente. Ciò si realizza piena- mente nel ‘600 con l’affermarsi del metodo sperimentale elaborato in primo luogo da Galileo Galilei, che di fatto inaugura la Scienza Moderna.

2. DA TALETE ALLA RIVOLUZIONE COPERNICANA Nell’antica Grecia troviamo un gran numero di studiosi che hanno la- sciato segni indelebili nel campo dell’Astronomia, soprattutto nella costruzione filosofica della struttura dell’Universo. In primo luogo occorre ricordare Talete e Anassimandro, che fondano la scuola di Mileto, il cui contributo ai futuri sviluppi della Scienza è universalmente riconosciuto. Vi è poi Pitagora, che, traendo ispirazione dalla scuola di Mileto, lascia in eredità al mondo intero l’im- portanza teorica della Matematica come chiave per capire “il mondo delle forme e delle idee”. Da Pitagora in poi, una caratteristica comune a molti stu- diosi è quella di cercare di descrivere la struttura dell’Universo e il moto dei corpi celesti in termini ordinati, usando immagini geometriche, ad esempio sfere concentriche e perfette, e secondo leggi matematiche. A sua volta, Aristo- tele divide il Cosmo in due parti, una perfetta e incorruttibile oltre la Luna, l’altra caotica e corruttibile. Al di là delle “stelle fisse” egli colloca il “motore” di tutto l’Universo. Infine, il grande astronomo C. Tolomeo, vissuto ad Alessandria d’Egitto nel II secolo d.C., il cui merito principale è di averci lasciato un grande trattato di Astronomia, l’Almagesto, oltre ad aver elaborato un suo sistema astronomico. L’universo tolemaico, sferico, geocentrico e immutabile, sostan- zialmente non dissimile da quello aristotelico, rimarrà di fatto valido per oltre un millennio. La svolta si avrà nel ‘500, ad opera dell’astronomo polacco N. Coper- nico (1473-1543), il quale studia in Italia, prima a Bologna e poi a Padova, e nel clima stimolante dell’Umanesimo italiano si entusiasma degli antichi testi clas- sici, a partire da quelli greci, e studia a fondo l’Almagesto. Il suo approccio è però del tutto nuovo: non limitarsi ad accettare ed applicare un modello già esistente, ma avere il coraggio di apportarvi le modifiche necessarie per miglio- rarlo a fondo. Copernico elabora allora il “modello eliocentrico”: al centro vi è il Sole, attorno a cui la Terra orbita insieme agli altri pianeti. Ciò rende molto più semplice la descrizione del moto dei pianeti. E’ la “rivoluzione coperni- cana”, le cui radici profonde si rinvengono nella scuola di Mileto del VI secolo 206

A. Surdo

a.C. L’idea rivoluzionaria della scuola di Mileto è che il mondo può essere com- preso con la ragione: usando in maniera accorta l’osservazione e la ragione, si può riuscire a descrivere in modo rigoroso i fenomeni naturali, cogliendone tutti gli aspetti e le cause, al di là dell’apparenza, e apportando ripetute corre- zioni alla visione corrente del mondo. Questo radicale cambio di mentalità rap- presenta il primo grande e decisivo salto di qualità, grazie al quale le nostre conoscenze sul mondo naturale e sulle leggi che lo governano ha potuto pro- gredire enormemente.

3. GALILEI E LA NASCITA DELLA SCIENZA MODERNA Si arriva così a G. Keplero (1571-1630), le cui tre semplici leggi sono in grado di descrivere esattamente ed in maniera semplice il moto dei pianeti at- torno al Sole, e a G. Galilei (1564-1642). Lo scienziato italiano è intimamente convinto della validità del modello copernicano, così come della razionalità pro- fonda della natura e della possibilità quindi di poterla descrivere in maniera ri- gorosa. Egli si fa inviare dall’Olanda uno strumento di nuova invenzione, il cannocchiale, e compie un gesto semplice, ma nello stesso tempo rivoluziona- rio: lo punta verso il cielo … E vede cose nuove e inattese: montagne sulla Luna, macchie sul Sole, anelli intorno a Saturno, quattro lune orbitanti intorno a Giove, le fasi di Venere, … Molti di questi fenomeni confermano l’idea di Copernico. Ma Galilei va oltre, traendo le conseguenze fino in fondo: se il moto dei pianeti è governato da leggi matematiche e la Terra è un pianeta come gli altri, anche il moto dei corpi sulla Terra deve essere regolato da leggi matematiche. Studia così il moto degli oggetti liberi da forze esterne, le oscillazioni di un pendolo, la caduta dei gravi, ecc.., facendo delle prove: per la prima volta nella storia si esegue un esperimento. Nasce così il metodo sperimentale, che sta alla base della scienza moderna. Grazie ad esso, egli formula le prime leggi mate- matiche del moto dei corpi, dimostrando che la perfezione matematica non appartiene solo al Cielo. Sono le base della prima grande teoria unificante nella storia della Scienza, la legge di Gravitazione Universale, che verrà da lì a poco formulata in maniera completa e coerente da I. Newton (1642-1727). La forza di gravità, espressa in formula dalla legge di Newton, agisce ugualmente sulla Terra e in Cielo: è il più completo sovvertimento di tutto lo schema mentale del mondo aristotelico!

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L’occhio che svela i misteri dell’Universo

4. GLI STRUMENTI PER LE OSSERVAZIONI DA TERRA La nuova costruzione intellettuale di Newton si rivela di portata im- mensa e su di essa poggerà in larga misura lo sviluppo tecnologico dei secoli successivi (‘700 e ‘800) nel campo dell’ottica. A partire dai primi cannocchiali, vengono messi a punto strumenti ottici (telescopi) sempre più potenti, che per- mettono di esplorare distanze sempre maggiori. Il progredire delle possibilità di osservazione dell’Universo diviene allora impetuoso e numerose si susse- guono le scoperte in campo astronomico: vengono scoperti i pianeti più lontani (Urano e Nettuno) e altri corpi celesti (asteroidi) del sistema solare; si com- prende che il Sole è solo una tra gli oltre cento miliardi di stelle che compon- gono la nostra galassia, la Via Lattea, a sua volta una delle innumerevoli galassie che popolano il Cosmo, raggruppate in ammassi e super-ammassi, … Si osser- vano fenomeni del tutto nuovi e inaspettati, come l’espansione dell’Universo, scoperta da E. Hubble nel 1929, con il telescopio di Mt. Wilson. La luce visibile è però solo un piccolo intervallo dell’amplissima gamma di frequenze che la radiazione elettromagnetica può assumere. E’ naturale allora chiedersi se l’Universo non possa apparire enormemente più ricco se osservato nelle diverse bande di frequenza. Così, nei primi decenni del ‘900 si realizzano le prime antenne radio per l’osservazione del cielo (radiotelescopi) e le scoperte non tardano ad arrivare, numerosissime. Solo per citare una delle più impor- tanti, nel 1965 viene scoperta la cosiddetta radiazione cosmica di fondo, ad opera di A. Penzias e R. Wilson: si tratta di una radiazione nella banda delle microonde, con un picco a 2.725 K, che sembra permeare tutto lo spazio in maniera pressocché uniforme. Essa è considerata come il residuo fossile delle fasi iniziali della nascita dell’Universo, in accordo con il modello cosmologico del Big Bang.

5. LO STUDIO DEL COSMO DALLO SPAZIO Le osservazioni astronomiche in onde radio e microonde, così come nella luce visibile, sono possibili dalla superficie terrestre perché l’atmosfera è trasparente per tali lunghezze d’onda. Ma ci si rende ben presto conto che la stessa atmosfera limita fortemente le possibili osservazioni, poiché da una parte non consente di spingersi oltre una certa distanza e dall’altra assorbe le radia- zioni più energetiche, impedendo la rivelazione da terra dei fenomeni nell’ul- travioletto e oltre. Inoltre, nel 1912 vengono anche scoperti i Raggi Cosmici, un flusso di particelle cariche (elettroni, protoni e nuclei più pesanti) provenienti dal Co- smo, che investe incessantemente il nostro pianeta da ogni direzione. La loro

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A. Surdo

origine ed i meccanismi di accelerazione fino ad energie elevatissime sono tut- tora oggetto di studio, ma appare chiaro fin da subito come essi rappresentino una nuova forma di “radiazione”, estremamente utile per poter sondare tanti oggetti e fenomeni astrofisici poco conosciuti. Anche per i raggi cosmici, come per la radiazione elettromagnetica oltre la luce visibile, è impossibile attraver- sare tutta l’atmosfera terrestre: le particelle dei raggi cosmici che arrivano fino al suolo (elettroni, fotoni, muoni, neutrini) derivano infatti dell’interazione delle particelle cosmiche con le molecole dell’aria, in cui si generano cascate di par- ticelle secondarie. Si impone dunque in maniera chiara la necessità di andare al di là dell’at- mosfera, per poter estendere le osservazioni alle energie più elevate. Ciò viene reso possibile a partire dalla metà del ‘900 dai progressi in campo tecnologico, grazie ai quali si progettano e sviluppano nuovi rivelatori di raggi X, raggi gamma (γ) e particelle, e questi dispositivi vengono portati in alta quota nell’at- mosfera su palloni aerostatici o si installano su satelliti e su stazioni spaziali orbitanti. Un’enorme finestra si spalanca così sul Cosmo, che porta a numerosis- sime scoperte e a nuovi scenari: occhi diversi vedono cieli diversi (Figura 1), fornendo informazioni complementari che aiutano a comprendere meglio i fenomeni.

Figura1. L’Universo osservato alle diverse lunghezze d’onda: nelle microonde (a sinistra), nel visibile (al centro), nei raggi γ (a destra). Anche i rivelatori per lo studio diretto dei raggi cosmici vengono instal- lati su satelliti o sulla Stazione Spaziale Internazionale. Due esempi per tutti: i telescopi FERMI, per la rivelazione della radiazione γ da sorgenti astrofisiche, e DAMPE, per lo studio dei raggi cosmici e la ricerca di Materia Oscura. In entrambe le imprese, la Puglia è direttamente coinvolta con l’Università di Bari e del Salento e le rispettive Sezioni dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare. Per lo studio dei raggi cosmici di energia molto elevata, tuttavia, occorre impiegare rivelatori di grande superficie che debbono necessariamente operare a terra o al più a grande altitudine: ad esempio il rivelatore ARGO, installato in Tibet, a 4300 m s.l.m., e l’Osservatorio Pierre AUGER, esteso ben 3000 km2

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L’occhio che svela i misteri dell’Universo

nella pampa Argentina, per gli studi alle energie estreme. Per i rivelatori installati a terra, infine, l’atmosfera terrestre può essa stessa far parte del sistema di rive- lazione, in quanto essa induce la produzione di luce Čerenkov e luce di fluore- scenza, che possono essere raccolte e studiate con opportuni telescopi.

6. L’ASTRONOMIA MULTI-MESSAGGERO Lo studio dei raggi cosmici consente di indagare su molti fenomeni astrofisici ancora poco o per nulla conosciuti. Si ipotizzano vari tipi di sorgenti di raggi cosmici ed i meccanismi di produzione che si pensa agiscano prevedono spesso anche la emissione di neutrini, particelle neutre e molto elusive. Cosic- ché l’individuazione di una sorgente cosmica di neutrini equivarrebbe a scoprire una sorgente di raggi cosmici. I neutrini hanno il vantaggio di essere neutri e molto penetranti, ma proprio perché debolmente interagenti sono molto diffi- cili da rivelare. Perciò i “telescopi per neutrini” devono avere una grande massa ed operare in ambiente schermato da ogni altro tipo di radiazione. Essi vengono installati nei laboratori sotterranei (ad es. MACRO e BOREXINO, presso il Laboratorio Sotterraneo del Gran Sasso), in ambiente sottomarino (ANTA- RES e Km3NeT, nel Mediterraneo), o sotto i ghiacci dell’Antartide. Proprio qui ICECUBE, nel 2012, identifica i primi due eventi di neutrini astrofisici di altis- sima energia, segnando così l’inizio della nuova “astronomia a neutrini”. Lo stesso ICECUBE, il 22 settembre 2017, osserva un evento da neu- trino proveniente dalla direzione di un Nucleo Galattico Attivo già noto per l’emissione di raggi γ. In coincidenza temporale con quest’evento, due diversi telescopi per raggi γ rivelano una intensa emissione elettromagnetica nella stessa direzione. E’ la nascita della cosiddetta “astronomia multi-messaggero”: un evento di natura astrofisica è osservato simultaneamente con diversi tipi di ra- diazione, così da fornire informazioni complementari sullo stesso fenomeno. Una nuova, ulteriore finestra sull’Universo viene aperta nel 2012 con la prima rivelazione delle onde gravitazionali emesse nella fusione di due buchi neri. Questo tipo molto peculiare di “radiazione”, previsto dalla Relatività Ge- nerale di Einstein, è in realtà una perturbazione dello spazio-tempo, causata dal movimento delle masse, che si propaga alla velocità della luce. Essa è estrema- mente debole e solo la messa a punto di tecnologie estremamente sofisticate, risultato di uno sviluppo durato decenni, ha consentito la sua rivelazione da parte di tre osservatori (tra cui VIRGO, in Italia) che, come tre grandi occhi spalancati, scrutano costantemente il cielo. Per uno di questi eventi, nel 2017, viene osservata anche la controparte elettromagnetica, nella forma di lampi γ e nell’ottico: un altro grande successo per l’astronomia multi-messaggero.

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7. CONCLUSIONI Le modalità e gli strumenti usati per l’osservazione dell’Universo si sono enormemente evoluti nel corso del tempo, a partire dalle più antiche os- servazioni della natura di cui abbiamo testimonianza. In questa evoluzione si possono riconoscere due passaggi cruciali: il modo nuovo di guardare alla realtà naturale avvenuto nel ‘500 con la rivoluzione copernicana, ma che affonda le sue radici nella scuola di Mileto dell’antica Grecia; l’innovazione tecnologica che ha consentito via via lo sviluppo e l’impiego di strumenti e tecniche osser- vative sempre nuovi. L’insieme di questi due elementi ci ha portati a svelare alcuni dei misteri dell’Universo e ci permette tuttora di progredire nella sua comprensione.

8. RIFERIMENTI [1] C. Rovelli, “La realtà non è come ci appare”, Raffaello Cortina Editore, 2014. [2] A. Bettini, “Da Talete a Newton”, Edizioni Bollati Boringhieri, 2019.

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ATTI E RELAZIONI LVI, (2021), 213-218

Giuseppe Tagarelli

[email protected]

Consiglio Nazionale delle Ricerche - Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Medi- terraneo (CNR-ISAFoM), Rende (CS)

PAESAGGI LEONARDESCHI DALL’ANNUNCIAZIONE ALLE MARCITE

LEONARDO’S LANDSCAPES FROM ANNUNCIAZIONE TO THE MARCITE

Sommario I paesaggi leonardeschi sono rappresentazioni in cui l’artista raffigura i ri- sultati delle speculazioni scientifiche dello scienziato in materia, di geologia, idrologia, car- tografia, botanica e meteorologia. Oggi non solo i paesaggi ma anche gli appunti ed i disegni contenuti nei manoscritti di Leonardo hanno il merito di determinare una consapevolezza diffusa del valore del paesaggio, come elemento identitario, come manifestazione di cultura e come possibile sviluppo economico di un territorio. Abstract Leonardo's landscapes are representations in which the artist depicts the results of the scientist's scientific speculations on geology, hydrology, cartography, botanic and me- teorology. Nowadays the landscapes as well as the notes and drawings raise a widespread awareness of the value of the landscape, as an identity element, as a manifestation of culture and as a possible economic development of a territory.

Nella storia dell’arte italiana, solo a partire dal Trecento la rappresenta- zione del paesaggio, come elemento dotato di carattere autonomo, torna a far parte integrante della raffigurazione artistica. Il principale artefice di questa ri- voluzione fu Giotto che con le sue opere contribuì ad affrancare il paesaggio dalla marginalità in cui, l’arte paleocristiana prima, e quella bizantina poi, lo avevano relegato per fare da sfondo alle raffigurazioni sacre. Giotto rappresenta i suoi personaggi in uno spazio reale che, come avviene nell’affresco del dono del mantello ad un povero da parte di San Francesco (1295-1297/1299), pre- senta un paesaggio roccioso, contornato da alberelli e da case arroccate tra le mura merlate di Assisi [1]. Se Giotto nei suoi affreschi aveva restituito al pae- saggio caratteri di verosimiglianza, è con l’opera “Allegoria ed effetti del buon

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Paesaggi leonardeschi: dall’Annunciazione alle marcite e del cattivo governo” di Ambrogio Lorenzetti (1338-1340) che il panorama urbano e rurale, sebbene presenti ancora motivi allegorici, costituisce una pietra miliare nella storia artistica del paesaggio. Secondo Flavio Caroli “Questo è l’esatto momento nel quale il «pensiero in figura» occidentale, con uno scatto ideativo di indicibile potenza, torna ad agganciare la realtà: non solo la realtà fisica e psicologica dell’uomo (questo è un traguardo già toccato da Cimabue e da Giotto), ma la realtà naturale, la natura visibile che da questo momento di- venta il secondo referente, con la realtà fisica della creatura umana, per cercare un senso all’esistenza su questo pianeta” [2] Più tardi, durante il Quattrocento la rappresentazione del paesaggio viene fortemente influenzata dagli studi sulla prospettiva a cui contribuiscono artisti ed intellettuali come Brunelleschi, Masaccio e Leon Battista Alberti. Le regole geometriche cambiano la rappresentazione del paesaggio, ma esse inci- dono tanto sul piano tecnico-artistico quanto su quello intellettuale, riflettendo una concezione antropocentrica del mondo. L’artista riproduce l’uomo e le sue azioni, ponendoli al centro dello spazio pensato che, naturale o urbano, diventa dimensione della relazione e del rapporto dell’uomo con il mondo [3]. E’ in questo nuovo panorama artistico rinascimentale, dove “l’arte co- stituisce una delle attività con cui l’uomo scopre e annette il paesaggio alla cul- tura” [4], che si inserisce la produzione artistica di Leonardo da Vinci, permeata dell’idea che la natura è l’alleato più importante della pittura perché “La pittura rappresenta al senso con più verità e certezza l’opere de la natura, che non fanno le parole o le lettere” [5]. Già nel disegno “Paesaggio con la valle dell’Arno” (datato 5 agosto 1473) emerge l’approccio innovativo di Leonardo nei confronti della natura. Gli elementi del paesaggio sono rappresentati senza una linea continua di con- torno, ma delineati con un fitto tessuto di tratti orizzontali, obliqui, semicirco- lari e ad alone grazie ai quali l’artista riesce ad evocare l'atmosfera vibrante che riempie lo spazio [3]. Leonardo, poco più che ventenne, traspone già, in questo piccolo disegno a penna, il frutto delle sue osservazioni dei fenomeni naturali. In primo piano il tratto è più marcato ma, procedendo verso l’orizzonte esso quasi scompare, perché in natura gli oggetti lontano dall’osservatore appaiono senza contorni e “Adunque tu, pittore, farai le piccole figure solamente accennate e non finite, e se altrimenti farai, sarà contro gli effetti della natura tua maestra” [5]. E’ così che il “Paesaggio con la valle dell’Arno” che probabilmente doveva servire da stu- dio per i paesaggi che fungevano da sfondo nelle opere commissionate alla bot- tega del Verrocchio, è finito per diventare, come afferma il filosofo Cesare Lu- porini, “Il primo paesaggio autonomo della storia dell’arte” [6].

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G. Tagarelli

Con l’ “Annunciazione” (1472-1475 circa), opera per molti non attri- buibile completamente a Leonardo, si apre la stagione degli sfondi paesaggistici, intesi non solo come l’opportunità di pervadere con un’aurea di misticismo le singole rappresentazioni, quanto anche come spazi pittorici in cui l’artista ha l’occasione di raffigurare i risultati delle speculazioni scientifiche dello scien- ziato, soprattutto relative alla geologia, all’idrologia e alla meteorologia [7]. Nell’Annunciazione viene utilizzata la prospettiva lineare ma anche la prospet- tiva aerea, una rappresentazione illusionistica della profondità che Leonardo teorizzò e mise in pratica per primo: “Evvi un'altra prospettiva, la quale chiamo aerea imperocché per la varietà dell'aria si possono conoscere le diverse distanze di varî edifici termi- nati ne' loro nascimenti da una sola linea, come sarebbe il veder molti edifici di là da un muro che tutti appariscono sopra l'estremità di detto muro d'una medesima grandezza, e che tu volessi in pittura far parer piú lontano l'uno che l'altro” [5]. Si tratta di una tecnica pittorica che definisce le distanze tra gli oggetti, soprattutto in base all’intensità luminosa ed alle variazioni dei toni. Leonardo intuisce che l’aria non è del tutto trasparente perché, man mano che gli oggetti sono lontani dall’osservatore, essa si fa più “grossa”, ossia più densa a causa dell’umidità. Le montagne, il porto e le imbarcazioni sullo sfondo vengono così rappresentate con una variazione della gamma cromatica che va dal grigio azzurro all’azzurro chiaro, così come lo stesso artista scrive nei suoi appunti raccolti nel Trattato sulla Pittura “Tu sai che in simil aria le ultime cose vedute in quella, come son le montagne, per la gran quantità dell'aria che si trova infra l'occhio tuo e dette montagne, queste paiono azzurre, quasi del color dell'aria, quando il sole è per levante. Adunque farai sopra il detto muro il primo edificio del suo colore; il piú lontano fàllo meno profilato e piú azzurro, e quello che tu vuoi che sia piú in là altrettanto, fàllo altrettanto piú azzurro; e quello che tu vuoi che sia cinque volte piú lontano, fàllo cinque volte piú azzurro; e questa regola farà che gli edifici che sono sopra una linea parranno d'una medesima grandezza, e chiaramente si conoscerà quale è piú distante e quale è maggiore dell'altro.” [5]. Le osservazioni scientifiche verranno tradotte arti- sticamente in tutte quelle opere, successive all’Annunciazione, in cui Leonardo decise di avvalersi di uno sfondo paesaggistico, come per esempio “Sant’Anna la Madonna, il Bambino e l’agnellino” (1510-1513). In quest’opera il paesaggio montano sullo sfondo appare tanto monumentale da sembrare legato agli studi geologici ed idrologici, in particolare alle sue osservazioni sul ciclo eterno della natura [7]. Come fa notare Carlo Vecce, “risulta evidente lo stretto legame fra le montagne nei dipinti leonardeschi e l’ininterrotta ricerca scientifica sulla terra ….. Ma l’aspetto straordinario della visione di Leonardo consiste nel fatto che le sue montagne sono viste in movimento: le loro rocce non sono il simbolo di stabilità ….. ma rivelano allo scienziato la loro continua trasformazione” [8]. E’ anche questa la chiave di lettura del paesaggio roccioso della “Vergine delle 215

Paesaggi leonardeschi: dall’Annunciazione alle marcite rocce” (1483-1486). La grotta che si apre alle spalle della Madonna mette in evidenza la presenza di un corso d’acqua montano che anticipa le speculazioni sul piano geologico ed idrologico relative al “corpo della terra” secondo le quali i corsi d’acqua sotterranei attraverso le falde riescono a raggiungere le montagne come le vene che trasportano il sangue percorrendo l’intero corpo umano [7]. La “Gioconda” (1503-1504 1510-1515), l’opera forse più iconica della storia dell’arte, è stata indagata sotto molteplici aspetti: l’abito, l’espressione del viso, i capelli, le mani, la posa e la stessa identità della Monna Lisa sono stati oggetto di innumerevoli studi. Anche il paesaggio sullo sfondo è da tempo og- getto d’interesse da parte di storici, geografi e critici d’arte. Secondo molti stu- diosi il paesaggio alle spalle della Monna Lisa fu rielaborato ripetutamente dal maestro fino alla sua morte [9, 10]. Argan lo definisce “uno strano paesaggio, infi- nitamente profondo, fatto di rocce corrose e sfaldate tra corsi d'acqua, come un'atmosfera sa- tura di vapori in cui si rifrange e filtra la luce.” [3]. Il dibattito ancora aperto è circa la sua esatta localizzazione; la tesi dominante è che si tratti di un paesaggio reale e la rappresentazione leonardesca di un ponte a più arcate, posto alla destra della Gioconda, ha portato ad ipotizzare che si tratti di una zona nel comune di Bobbio in provincia di Piacenza dove il ponte Gobbo sovrasta il fiume Trebbia [11] o, e questa è la tesi più accreditata, di un’area nei pressi di Arezzo dove il ponte Buriano, costruito intorno alla metà del Duecento, si erge sul fiume Arno [12]. In effetti, Leonardo conosceva bene quest’ultima area avendola rappre- sentata su una mappa autografa, oggi conservata nella collezione reale inglese a Windsor. E’ la zona in cui l’Arno riceve le acque della Val di Chiana e che presenta i calanchi, rilievi ripidi ed appuntiti, nella Gola di Pratantico, i cosid- detti “monti aguzzi”, raffigurati alla sinistra della Gioconda, la cui formazione è così spiegata dal Leonardo scienziato "L'acqua che scolassi della terra scoperta dal mare, quando essa terra s'innalzassi assai sopra del mare, ancora ch'ella fussi quasi piana, comincerebbe a fare diversi rivi per le parte più basse d'esso piano ...... E cosi si andrebbon consumando i lati di tali fiumi insino a tanto che li tramezzi d'essi fiumi si farebbono acuti monti, e così scolati tali colli, comincerebbono a seccarsi e creare le pietre a falde maggiori o minori, secondo le grossezze de' fanghi che li fiumi portorono in tal mare per li loro diluvi" [7]. Alcuni autori sono del parere che allineando l’estremità alla destra del di- pinto a quella opposta emerga, secondo la prospettiva aerea, il paesaggio omo- geneo della Val di Chiana riportato nella mappa di Windsor. In realtà non esiste un unico punto di osservazione dal quale si possa vedere, allo stesso tempo, il versante del Pratomagno, il ponte Buriano, la confluenza tra l’Arno e il canale della Chiana, la dorsale appenninica tra Arezzo ed il lago di Chiana e infine il lontano lago Trasimeno. L’ipotesi è che per riprodurre il paesaggio della Gio- conda che mettesse insieme tutti questi elementi, Leonardo si sia servito, allo 216

G. Tagarelli

stesso tempo, della tecnica cartografica utilizzata per comporre la mappa della Val di Chiana e la tecnica della prospettiva aerea. Seguendo tale procedimento definito “prospettiva topografica”, Pezzutto ha ricostruito digitalmente il pae- saggio della Gioconda a partire da tutti gli elementi sopraindicati, avvalorando così l’ipotesi di una rappresentazione nata da una sintesi di disparati elementi paesaggistici. Allo stesso modo lo studioso ha individuato il paesaggio raffigu- rato nella “Sant’Anna la Madonna, il Bambino e l’agnellino” nell’area tra il monte Rosa e la Valsesia; lo scorcio riprodotto nell’ “Annunciazione” nella zona compresa tra Pisa e Firenze; ed infine il panorama rappresentato nella “Madonna dei Fusi” (1501) nella valle del fiume Adda ad est di Milano [12]. Il tentativo di individuare le aree rappresentate nei paesaggi leonardeschi, aldilà degli aspetti artistici e scientifici, ha un grande interesse per le ripercussioni so- ciali, economiche e culturali che possono avere sul territorio. Nella definizione di paesaggio, redatta dal Consiglio d’Europa, infatti, entra in gioco anche la dimensione percettiva delle comunità locali che interpretano e attribuiscono significato al territorio che fa da sfondo alla loro vita quotidiana. Ossia si rico- nosce al paesaggio un ruolo essenziale nel contesto della vita delle popolazioni locali, perché espressione del loro comune patrimonio culturale e naturale, fon- damentale alla costituzione della loro identità. Il territorio di Vigevano, in pro- vincia di Pavia, è un interessante esempio di paesaggio leonardesco. Tra il 1492 ed il 1494, infatti, Leonardo, ingegnere ducale di Ludovico Maria Sforza, annota diversi appunti relativi alla tenuta agricola della Sforzesca ed al territorio circo- stante. Le annotazioni ed i disegni, raccolti soprattutto nel Manoscritto H, spa- ziano dalle “Vigne” ai “Mulina” di “Vigievine”. Leonardo è attratto anche dalla scala d’acqua di Vigevano “sotto la Sforzesca, di 130 scaglioni alti ¼ e larghi ½ braccio, per la quale cade l’acqua e non consuma niente nell’ultima percussione; e per tale scala è disceso tanto terreno che à secco un padule, cioè, riempiuto; e se n’è fatto praterie, di padule di gran profondità” (Manoscritto H (IFP), H2, c. 17v), una tecnica agronomica uti- lizzata per bonificare ed anche per portare l’acqua a velocità ridotta sulla mar- cita. Una coltura storica introdotta nella Pianura Padana dai monaci cistercensi grazie alla particolare ricchezza di acque risorgive tipica della valle del Ticino che consentiva la coltivazione di erbe da foraggio anche durante la stagione invernale ed il cui nome derivava dall’abitudine di lasciare a marcire l’ultimo taglio invernale del campo. I paesaggi leonardeschi, prima di essere un’espressione artistica, sono dunque il frutto dello sviluppo del suo pensiero scientifico, dallo studio della geologia alla cartografia, dall’idrologia alla meteorologia. Dopo cinquecento anni dalla scomparsa dell’artista e dello scienziato, essi hanno il merito di deter- minare una consapevolezza diffusa del valore del paesaggio, come elemento 217

Paesaggi leonardeschi: dall’Annunciazione alle marcite

identitario e come manifestazione di cultura e di possibile sviluppo economico. È la cosiddetta socialità del paesaggio, sancita a Firenze nella Conven- zione Europea del Paesaggio.

RIFERIMENTI [1] M. Tazartes, “Storie di San Francesco. Francesco dona il suo mantello a un cavaliere povero” in Giotto, Rizzoli Editore: Milano, p. 80, 2004. [2] F. Caroli, Il volto e l’anima della natura. Mondadori Editore: Milano, 2010. [3] G.C. Argan, Storia dell’arte italiana. Volume terzo. Editore Sansoni: Firenze, 1974. [4] E. Turri, Antropologia del paesaggio. Edizioni di Comunità: Milano, p. 56, 1983. [5] Leonardo da Vinci. Trattato della Pittura. Carabba Editore: Lanciano, 1947. [6] A. Nava. “Addj 5 daghossto 1473: l’oggetto e le sue interpretazioni” in Leonardo da Vinci on nature: knowledge and representation, Eds. F. Frosini, A. Nova, Marsilio: Venezia, pp. 285-301, 2015. [7] F. Zöllner. Il paesaggio di Leonardo da Vinci fra scienza e simbolismo religioso. Raccolta Vinciana, 31, pp. 231-256, 2005. [8] C. Vecce. “Leonardo e le sue montagne” in: Les montagnes de l'esprit: imaginaire et histoire de la montagne à la Renaissance. Actes du Colloque international, Saint-Vincent (Vallée d'Aoste), les 22-23 novembre 2002 / réunis par Rosanna Gorris Camos, Musumeci Editore: Aosta, pp. 89-105, 2005. [9] J. Shell, G. Sironi. Salaì and Leonardo's Legacy. The Burlington Magazine, 133, pp. 95-108, 1991. [10] F. Zöllner. Leonardo da Vinci. Sämtliche Gemälde und Zeichnungen. Taschen: Colonia, 2003. [11] C. Glori, U. Cappello. Enigma Leonardo. Decifrazione e scoperte. La ricerca. La Gioconda. In memoria di Bianca. Ginevra Benci: il cartiglio decifrato. La ricerca in immagini. Cappelli Editore: Bologna, 2011. [12] D. Pezzutto. Leonardo’s Landscapes as Maps. OPUSeJ 201206262038LLM, 2012-10- 24, 1-31, 2012

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COMUNICAZIONI

ATTI E RELAZIONI LVI, (2021), 221

Diego Cantalupi

[email protected]

Conservatorio di Musica “Niccolò Piccinni” Bari

LEONARDO LA MUSICA E GLI STRUMENTI MUSICALI

L’opera musicale di Leonardo, seppure non primaria tra i suoi interessi, si sviluppò su diversi fronti: improvvisatore nel canto e suonatore della lira, nobile strumento che nel mito classico era prerogativa di Orfeo e della musa Erato, fu anche inventore e progettista di nuovi strumenti musicali. Vasari tramanda che fosse un grandissimo musicista e che avesse co- struito una lira in argento, in parte a forma di una testa di cavallo «cosa bizzarra e nuova, acciò ché l'armonia fosse con maggior tuba e più sonora di voce». Con questo strumento Leonardo partecipò a una gara musicale indetta alla corte sforzesca, «laonde superò tutti i musici, che quivi erano concorsi a sonare». Se la sua attività di 'musico practico' è difficile da descrivere, poiché basata su una prassi improvvisativa e quindi non scritta, i progetti degli stru- menti musicali racchiusi nei suoi manoscritti permettono tuttavia di compren- dere l'influenza del genio anche in questo campo.

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ATTI E RELAZIONI LVI, (2021), 222-224

Nicolò Carnimeo [email protected] Università degli Studi di Bari Aldo Moro

LA CONQUISTA DELLO SPAZIO E LA SUA REGOLAMENTAZIONE GIURIDICA. UN NUOVO MASTER IN TECNOLOGIE E DIRITTO AEROSPAZIALE NELL’UNIVERSITÀ DI BARI

Leonardo da Vinci scrive su uno dei suoi leggendari taccuini: “Il sole no’ si’ move” (Codice di Francia, Manoscritto F, 41v), molto prima delle rivoluzio- narie teorie eliocentriche di Copernico e Galileo. A tale postulato leonardesco non ha mai fatto seguito alcuno studio o formulazione ipotetica che prefiguri un processo teorico; praticamente un as- sioma per lui, tanto da non ritenere necessaria alcuna forma di attenzione ulte- riore, di approfondimento. Il messaggio, però, deve essere forte e chiaro per noi che amiamo e ci ispiriamo al suo ingegno ed animati da curiosità rivolgiamo lo sguardo più at- tento verso il “quarto ambiente” , lo Spazio Extra-atmosferico. Molto presto, infatti, si è arrivati ad intuire che le opportunità di ritorno economico delle future attività spaziali avrebbero aperto uno scenario di diffi- cile regolamentazione, già dal primo lancio dello Sputnik, nel 1957, anche se il momento storico e la presenza di pochi attori protagonisti lasciava una certa autonomia decisionale alle grandi potenze che detenevano il monopolio dell’ac- cesso allo spazio. Va da sé che l’art. 1 paragrafo 1 della legge italiana 28/01/1970 n. 87 (di ratifica dell’ Outer Space Treaty, pilastro del diritto spaziale internazionale il quale afferma che: “L’esplorazione ed utilizzazione dello spazio extra-atmosferico, com- presi la Luna e gli altri corpi celesti, saranno svolte a beneficio e nell’interesse di tutti i paesi, quale che sia il grado del loro sviluppo economico a scientifico e saranno appannaggio dell’in- tera umanità”) nella sua generica formulazione, non può più rispondere alle esi- genze stringenti dei nuovi scenari economico-commerciali del settore spaziale.

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La conquista dello spazio

L’impressionante accelerazione di ritmo delle attività spaziali in senso lato, e la conseguente moltiplicazione della portata delle ricadute attuali ed in itinere, siano esse in campo politico, scientifico, tecnologico o economico-fi- nanziario, ci obbligano senza esitare ad una massiccia e mirata operazione di riforma dell’apparato giuridico. Il Corpus Iuris Spatialis (composto da cinque Convenzioni delle Nazioni Unite) che fonda la sua stabilità applicativa su alcuni principi base quali “patri- monio comune dell'umanità”, o “libertà di esplorazione” unito a quello della “non appropriazione”, o ancora della responsabilità assoluta per le attività in- traprese nello spazio (a carico dello Stato di immatricolazione) lascia, di contro, margini interpretativi assai rischiosi su concetti generici come quello di “utiliz- zazione dello spazio” o di “benefits” applicati allo sfruttamento di risorse spaziali, temi cardine della “New space economy”. Tra i punti salienti proprio i “benefits” rappresentano la sfida più com- plessa da regolamentare sotto il profilo diplomatico, economico-commerciale, e, soprattutto, giuridico. L’esigenza di una rapida regolamentazione inter- nazionale emerge anche dalla moltiplicazione delle pianificazioni di missioni spaziali con l’obiettivo di testare, per esempio, le possibilità di estrazione di preziosi metalli da asteroidi, come nel caso di OSIRIS-Rex (frutto di una colla- borazione tra NASA ed un gruppo di aziende private), o della società califor- niana, Deep Space Industries, che entro il 2019, con la missione Prospector-1, pro- getta attività di carotaggio su asteroidi a fini commerciali, senza dimenticare iniziative come Space X di Elon Musk che promette missioni su Marte, Blue Origin di Jeff Bezos, e Virgin Galactic di Richard Branson che aprono il nuovo ed attraente scenario del “Turismo Spaziale” alla portata di (quasi) tutti. La "New space economy", offre oggi alla Puglia un posto di primo piano ed i numeri parlano chiaro nel Documento di Programmazione Strategica dell'ARTI: tra il 2007 e 2015 le esportazioni hanno registrato un incremento del 306% e la quota di laureati occupati in tutto il comparto aerospaziale è passata dal 14,2% al 29,6%. La straordinaria opportunità che fornisce questo settore in espansione esponenziale credo vada colta, inoltre, nella trasversalità politica dei consensi, visto anche il percorso legislativo senza ostacoli della recente legge sul riordino della governance nell'Agenzia Spaziale Italiana, varata a fine dicembre 2017. Nuovi e numerosi strumenti legislativi a livello internazionale ed euro- peo, talvolta molto audaci come la legge lussemburghese (in vigore dal 1 agosto 2017) sullo sfruttamento commerciale delle risorse spaziali (asteroidi ed etc.) da parte dei privati, attendono solo di essere applicati.

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N. Carnimeo

Ovviamente c'è tanto da fare, e la formula strategica attuale potrebbe preparare nuovi scenari, parlo della Quadruple Helix Model of Innovation che pre- vedendo finalmente un maggiore coinvolgimento della società civile credo sia oggi la chiave di volta delle amministrazioni pubbliche evolute. Ci sono tutte le condizione perchè la nostra regione diventi, attraverso tutte le sue eccellenze, un modello nel settore spazio in Italia ed Europa. La sinergia tra l'istituzione regionale, il DTA, le Università, l'industria ed i cittadini pugliesi ha già le potenzialità per produrre effetti rilevanti e visibili. E' chiaro che nel raggiungimento di un obiettivo di tale entità occorre attivarsi su più fronti ma probabilmente il primo è quello accademico; bisogna creare le condizioni per la formazione di nuove figure professionali che abbiano competenze trasversali (giuridiche, scientifiche, manageriali) nel settore spa- ziale, attualmente appannaggio di tecnici ( ingegneri, fisici) sarebbe un grande passo avanti. Sulla base di questa visione l'Università di Bari in collaborazione con il Distretto Tecnologico Aerospaziale Pugliese e l’Aeronautica Militare, si sono attivati al fine di istituire il primo Master in " Tecnologie e diritto aerospaziale” in Puglia (e nel Mezzogiorno). Si tratta di un ambizioso programma formativo suddiviso in 15 moduli: di cui 6 di natura tecnico- scientifica, 2 di politica-isti- tuzionale ed industriale, e 7 di taglio strettamente giuridico. Si prevede, inoltre, l’opzione per i partecipanti di scegliere la formula short master, nonché la frequenza a singoli eventi formativi (con accreditamenti dei singoli ordini professionali di pertinenza, es. ordine avvocati, ordine inge- gneri). L’obiettivo da raggiungere è la formazione una figura professionale pe- culiare che maturi una competenza trasversale nel crescente sviluppo del com- parto aerospaziale che vede il territorio pugliese ormai scenario privilegiato.

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ATTI E RELAZIONI LVI, (2021), 225-226

Francesco Cupertino [email protected] Politecnico di Bari

L’EVOLUZIONE DEL ‘MORE ELECTRICAL AIRCRAFT’ DAGLI ALBORI DELL’AVIAZIONE AI GIORNI NOSTRI

La storia dell’aviazione si è evoluta di pari passo con le applicazioni elettriche. Sin dall’inizio del secolo scorso, la presenza di accumulatori e gene- ratori elettrici a bordo dei velivoli ha abilitato l’utilizzo di strumentazione di volo che ha incrementato l’autonomia e la sicurezza dei velivoli. Il ‘fly-by-wire’ che permette di inviare in modalità elettronica i comandi del pilota e la guida autonoma sono solo due esempi di tecnologie abilitate dalla presenza a bordo dei sistemi elettrici. È stato però negli ultimi due decenni che, grazie alla matu- rità tecnologica raggiunta dai sistemi elettrici, si è assistito alla progressiva so- stituzione di apparati ed attuatori meccanici con analoghi sistemi alimentati da energia elettrica. Sistemi quali l’avviatore della turbina, il compressore dell’aria della ca- bina, il condizionamento dell’aria, il sistema di sbrinamento delle ali ed il con- trollo dell’assetto dei flap sono stati elettrificati, realizzati quindi con motori elettrici, trasformando il velivolo tradizionale nel ‘more electrical aircraft’. Tra le ricadute positive di questa trasformazione si possono elencare la riduzione del peso, la maggiore efficienza, la semplificazione della manuten- zione e la possibilità di attuare logiche di controllo più efficaci per la sicurezza. La potenza elettrica totale utilizzata a bordo dei velivoli più recenti come il Boeing 787 Dreamliner ha superato il megawatt, valore confrontabile con quello associato a diverse centinaia di appartamenti e difficile da prevedere fino alla fine del secolo scorso. In questo contesto si sviluppano le attività del labo- ratorio pubblico-privato denominato Energy Factory Bari, avviato nel 2010 per iniziativa del Politecnico di Bari e della azienda AVIO AERO. Negli ultimi anni nel laboratorio sono state sviluppate le tecnologie per un nuovo motore aero- nautico destinato a velivoli passeggeri di piccola taglia.

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L’evoluzione del ‘more electrical aircraft’ dagli albori dell’aviazione ai giorni nostri

Anche in questo caso, l’adozione delle tecnologie elettriche ha miglio- rato le prestazioni del velivolo in termini di consumo di carburante, emissioni, comfort di guida e sicurezza. Nonostante gli importanti progressi tecnologici degli ultimi anni, i veli- voli restano degli oggetti particolarmente inquinanti. Per una definitiva ridu- zione delle emissioni inquinanti sarebbe necessaria una nuova rivoluzione tec- nologica che porti dal ‘more electrical’ al ‘all electrical aircraft’ nel quale anche la propulsione sarà generata a partire dall’energia elettrica. Sebbene il peso delle batterie ad oggi disponibili renda impraticabile la realizzazione di un velivolo di medio raggio a propulsione elettrica, ci sono dei settori nei quali il velivolo elet- trico potrebbe non essere una realtà molto distante. Diverse aziende stanno sviluppando dei piccoli velivoli elettrici per la mobilità urbana di merci e pas- seggeri in contesti particolarmente congestionati. A breve potrebbe diventare possibile raggiungere in pochi minuti l’ae- roporto di una grande metropoli partendo dal centro della citta a bordo di un velivolo elettrico. Anche in questo contesto sono già impegnati i ricercatori del Politecnico di Bari del laboratorio Energy Factory Bari. Sono attualmente in fase di studio delle soluzioni che renderanno più sicuri gli elicotteri grazie all’adozione di sistemi di propulsione elettrica, sostituendo o affiancando i si- stemi di propulsione tradizionali. La presentazione descriverà le principali tappe dello sviluppo del ‘more electrical aircraft’ evidenziando i principali benefici ottenuti e proverà ad im- maginare quali futuri scenari potranno essere aperti dalle tecnologie elettriche. In particolare, saranno presentate alcune attività di ricerca e sviluppo svolte presso il Politecnico di Bari in collaborazione con importanti aziende operanti nel settore aeronautico.

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ATTI E RELAZIONI LVI, (2021), 227-228

Basilio Di Martino

[email protected]

Direttore degli Armamenti Aeronautici

LEONARDO E IL SOGNO DEL VOLO. INTUIZIONI E REALTA’

In quella incredibile stagione della storia che va sotto il nome di Rina- scimento è ancora presto per parlare di scienza modernamente intesa, un con- cetto che molto deve alle formulazioni rigorose di Galileo Galilei e Isacco New- ton, due figure di giganti che solo qualche decennio dopo avrebbero fatto la loro comparsa sulla scena, ma è certamente possibile individuarne le premesse in quell’attenzione per la matematica, per la geometria e per lo studio dei feno- meni naturali che è propria di molti dei protagonisti di quell’irripetibile periodo della vicenda umana. Questa attenzione caratterizzava la maggioranza degli in- terpreti delle arti figurative, e non solo, come sarebbe logico attendersi, degli architetti, una categoria al tempo indistinguibile da quella degli ingegneri, ma anche i più celebrati maestri della pittura e della scultura, protesi a superare gli schematismi e i codici rappresentativi dell’arte gotica. Tra gli altri vi fu certamente anche Leonardo da Vinci che nelle sue opere condensò buona parte del sapere del tempo creando capolavori immor- tali oggetto ancora oggi di studi e interpretazioni più o meno fantasiose. La dimensione “scientifica” dei suoi studi appartiene invece a un mondo più per- sonale e più intimo, traducendosi in appunti e schizzi che sembrano il frutto di curiosità e interessi personali più che di ricerche organiche, prestandosi a essere ricondotti a un contesto che oggi collocheremmo nella categoria degli hobby e dei passatempo. E’ soltanto nel XIX secolo che la riscoperta e lo studio dei codici leo- nardeschi rivelano la poliedricità e la genialità del loro autore, sottolineando però al tempo stesso come queste intuizioni non abbiano quasi mai trovato pratica applicazione, anche per i limiti della tecnologia disponibile, e in primo luogo per la mancanza di idonee fonti di potenza. Una serie di fattori, tra i quali non furono certo secondari la curiosità del pubblico per tutto ciò che aveva un

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Leonardo e il sogno del volo. intuizioni e realta’ alone di mistero, e almeno in Italia l’intenzione di esaltare il genio italico in funzione del consolidamento dell’ancor giovane stato unitario, contribuirono alla fortuna di questi codici indipendentemente da una seria valutazione dei loro contenuti. Tutto questo non sminuisce l’importanza delle intuizioni di Leonardo ma, se possibile, restituisce loro una dimensione più umana e più autentica, ben lontana da quella di una sorta di mago o di veggente in grado di divinare il futuro. La sua capacità di confrontarsi con i campi più disparati del sapere, ti- pica dell’uomo del Rinascimento, trova il suo fondamento nel sapere degli an- tichi, un sapere a cui Leonardo ha un accesso più mediato di altri suoi contem- poranei stante la poca dimestichezza con i classici, e nell’osservazione della na- tura, e questo può valere anche per i suoi ben noti schizzi di macchine volanti. Il volo librato era una soluzione che aveva già trovato degli interpreti, e forse proprio per questo motivo è anche il tipo di applicazione, e forse la sola, che Leonardo davvero sperimentò, e che più di ogni altra appare antesignana di realizzazioni pratiche a lui posteriori di centinaia d’anni. Gli studi sulle ali battenti, per quanto affascinanti e basati su un approfondito esame delle ali degli uccelli, hanno invece molto di velleitario, soprattutto per la scarsa o nulla attenzione al problema del rapporto peso-potenza, mentre più interessanti, al- meno dal punto di vista concettuale se non da quello della effettiva praticabilità, sono gli schizzi di un ipotetico elicottero a vite elicoidale. Un carattere che po- tremmo definire ludico hanno infine i ben noti disegni di un paracadute, un dispositivo per il quale all’epoca era difficile immaginare un utilizzo che andasse più in là dell’esibizione spettacolare e rischiosa del salto da una torre o dal ciglio di un dirupo. Il vero significato dell’opera di Leonardo non sta quindi in una sua ipotetica quanto improbabile capacità di prevedere il futuro, ma nella capa- cità di interpretare al meglio un’epoca di passaggio, in cui l’uomo guarda con curiosità alla natura recuperando chiavi di lettura che gli vengono dal passato e forgiandone di nuove.

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ATTI E RELAZIONI LVI, (2021), 229

Nicola Giglietto

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Politecnico di Bari

IL COSMO MERAVIGLIOSO: OSSERVAZIONI DEL CIELO AD ALTE ENERGIE

L’osservazione del cielo è sempre stata accompagnata da un misto di sentimenti tra meraviglia e stupore, per la bellezza con cui ci appare, e smarri- mento per le domande sul perché ci appare così come lo vediamo. Dall’antichità sino ai nostri giorni questi sentimenti continuano ad ac- compagnarci nell’osservazione del cielo e hanno ispirato la filosofia, i primi passi dell’astronomia ma anche utilizzate quali aiuto per la navigazione o per l’agricoltura. Le nuove osservazioni hanno semmai aumentato lo stupore e l’in- canto con cui guardiamo le immagini dal cielo, e addirittura cerchiamo di ap- propriarcene utilizzandole come gadget (salvaschermo, sfondi, fotografie) dei nostri strumenti o dei nostri arredi. In questa esposizione verrà mostrato l’aspetto “violento” e anche più intrigante del cielo mostrando come la finestra osservativa utilizzata sino all’ini- zio del ‘900 rivelasse un volto tranquillo e affascinante del cielo, mentre l’aper- tura a osservazioni in tutte le lunghezze d’onda possibili ha iniziato a svelare il lato più turbolento del cielo. Verrà quindi mostrato il percorso della scienza nelle sue osservazioni con strumenti sempre più raffinati sino alle soglie di quella che sarà la realtà osservativa nei prossimi anni per l’astrofisica: le osser- vazioni multi-messaggero, nelle quali non è più solo il fotone ad essere utiliz- zato quale messaggero del cielo ma anche neutrini ed onde gravitazionali.

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ATTI E RELAZIONI LVI, (2021), 230

Mauro Lastella

[email protected]

Comando Militare Esercito Puglia

L’ESERCITO ITALIANO E L’OMAGGIO AL GENIO UNIVERSALE

La ricorrenza dei cinquecento anni della morte di Leonardo da Vinci, è una preziosa occasione per celebrare il contributo del “Genio Universale” al progresso scientifico, artistico e culturale, non solo del nostro Paese. L’Esercito ha voluto per questo dedicare proprio a Leonardo ed al suo genio il Calendesercito 2019 evidenziando come taluni progetti dell’epoca trovano oggi concreta applicazione in molti dei mezzi ed equipaggiamenti in dotazione alla Forza armata, analogie richiamate nelle illustrazioni dei dodici mesi del ca- lendario. Tra gli innumerevoli meriti leonardeschi vi è certamente quello di aver tenuto sempre al centro l’uomo e aver saputo guardare oltre pensando all’ap- parentemente “impossibile” . Attraverso uno studio critico e immaginario è stato infatti un vero propulsore di scoperte e creazioni che, nei secoli successivi, si sono rilevate alla coscienza umana con applicazioni tanto nel mondo civile quanto in quello militare. Il Calendesercito 2019, mediante il simbolo universalmente noto dell’Uomo Vitruviano, vuole ribadire il ruolo essenziale e determinante svolto dall’Individuo – operatore militare- nel perdurante legame, simbiotico e inscin- dibile, tra Uomo e Tecnologia. Infatti, se la mente continua a rappresentare l’anima di ogni innova- zione, valori quali sacrificio, perseveranza e determinazione, tutti tipici della condizione militare, costituiscono indiscutibilmente gli elementi catalizzanti e la linfa vitale di qualsivoglia progetto e ci ricordano che l’Esercito vede nella componente umana e nella dedizione profusa dagli uomini e dalle donne in divisa e dal Personale civile della F.A., quotidianamente impegnati a supporto delle Istituzioni, la sostanza del proprio essere.

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ATTI E RELAZIONI LVI, (2021), 231

Mario Nicola Mazziotta

[email protected]

INFN Sezione di Bari

UNA NUOVA ERA PER L’OSSERVAZIONE DELL’UNIVERSO: LA FISICA MULTI-MESSAGGERO

Lo studio dei fenomeni catastrofici che avvengono nell’Universo è ef- fettuato con strumenti sensibili alle diverse radiazioni provenienti dallo spazio. Negli ultimi anni, grazie alla moltitudine di apparati attualmente operanti, è emersa l’opportunità di condurre questi studi con un approccio “multi-messag- gero”. In questa presentazione verrà illustrato lo stato attuale delle ricerche nel campo della fisica astroparticellare delle alte energie e verranno discussi gli ul- timi risultati ottenuti dalle osservazioni multiple effettuate utilizzando stru- menti sensibili ai vari tipi di radiazione.

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ATTI E RELAZIONI LVI, (2021), 232-233

Renato Morisco

[email protected]

Accademia Pugliese delle Scienze

2 MAGGIO 2019: A TAVOLA CON LEONARDO

Leonardo da Vinci, uomo d’ingegno e di indubbio talento universale del Rinascimento e una delle più geniali menti dell’umanità. Inventore, artista, scienziato, architetto, scultore, trattatista, scenografo, anatomista, musicista, disegnatore Leonardo da Vinci nutriva una forte passione per il mondo della risto- razione. Si racconta che, durante gli anni di apprendistato presso la bottega del maestro Andrea del Verrocchio, per accrescere le entrate economiche, lavo- rasse come cameriere presso la Taverna delle Tre Lumache nelle vicinanze di Ponte Vecchio a Firenze. Nel 1473 Leonardo venne promosso a cuoco, ma per un fatto piuttosto insolito: tutti i cuochi della taverna morirono misteriosamente avvelenati e lui rimase il solo nella gestione. L’artista prese con serietà la nuova pseudo promozione, rinnovando i menù della taverna con quella che oggi definiamo nouvelle cuisine per il suo lato sperimentale. Cinque anni dopo la taverna prese fuoco a causa di una violenta lite tra scorribande fiorentine. Leonardo però non si rassegnò e decise di avviare un'at- tività con l’amico Sandro Botticelli, denominandola Taverna delle Tre Rane che chiuse poco tempo dopo l'apertura forse a causa dell'eccessiva stranezza dei piatti, non particolarmente gradita ai commensali. La mente leonardesca non si fermò alla creazione di ricette, ma ideò anche strumenti per la cucina precursori del nostro frullatore o del nostro gi- rarrosto. Secondo Leonardo, il bravo cuoco doveva avere una cucina sempre in ordine: un fuoco sempre acceso, una riserva continua d'acqua sempre bollente, un pavimento sempre pulito, macchine per lavare, tritare, affettare, pelare e ta- gliare, una macchina per togliere i cattivi odori dalla cucina per nobilitarla con

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2 maggio 2019: a tavola con Leonardo un'aria gradevole e senza fumo. E poi era fondamentale la musica, perché la gente avrebbe lavorato meglio. Gli ingredienti indispensabili in cucina non coincidevano solo con le erbe e spezie ma anche con attrezzi adeguati. Leonardo ci ha lasciato alcune ricette come l’Acquarosa. Nei suoi scritti sono state recuperate idee di antipasti veloci. Ci ha inoltre descritto le proprietà di alcune verdure per agevolare la digestione lenta e i benefici di una zuppa con determinati ingredienti. Delineò inoltre alcuni dei principi del galateo ad oggi ancora validi.

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ATTI E RELAZIONI LVI, (2021), 234

Cristiano Nervi

[email protected]

Arsenale della Marina Militare di Taranto

INGEGNO E VIRTÙ

Il geniale ingegnere del Rinascimento è legato a doppio filo con l’Ar- senale della Marina Militare di Taranto. Questo non solo perché un arsenale militare marittimo può conside- rarsi il tempio dell’ingegneria navale, ma soprattutto, perché l’Arsenale di Ta- ranto fece scuola, poco più di cento anni fa, per il recupero di una grande nave che portava il nome dello scienziato toscano, la Regia Nave Leonardo Da Vinci, divenendo il punto di riferimento mondiale delle tecniche di lavoro e di recu- pero subacqueo. L’episodio risale alla notte del 3 agosto 1916, durante la quale, per cause tutt’oggi non chiarite, un incendio divampò all’interno di uno dei depo- siti munizioni di poppa della corazzata Da Vinci, ormeggiata, insieme alle altre navi da battaglia dell’Armata, nel seno di ponente del Mar Piccolo di Taranto. Una fortissima deflagrazione aprì degli squarci nello scafo della nave, che af- fondò posandosi capovolta sul fondo del mare. Poco dopo iniziarono i lavori di recupero della corazzata che furono senza precedenti (era la prima volta nella storia che veniva tentata un’impresa simile). Quella grandiosa opera d’ingegneria navale consentì di affrancarsi psi- cologicamente da una perdita tanto dolorosa, soprattutto in termini di vite umane. Un’impresa memorabile che costituì un vero e proprio vanto per l’Italia e, in particolare, per le maestranze dell’Arsenale tarantino, il cui motto è PAR INGENIO VIRTUS, ovvero IL VALORE È PARI ALL’INGEGNO.

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ATTI E RELAZIONI LVI, (2021), 235-237

Antonio Paglionico

[email protected]

Accademia Pugliese delle Scienze

LEONARDO DA VINCI PRECURSORE DELLA GEOLOGIA MODERNA

Leonardo da Vinci (1452-1519) è sicuramente il precursore della mo- derna Geologia, ma non il suo fondatore, in quanto le sue riflessioni sulla for- mazione e sulle trasformazioni del pianeta terra sono diventate note ed esami- nate nella loro complessità solo nel ‘900 , quando la Geologia si era consolidata come scienza. Questo accresce il valore delle sue osservazioni, frutto delle sue elaborazioni e della sua genialità su problemi alla cui soluzione si è pervenuti nei secoli successivi . Infatti se Leonardo nell’arte e nelle altre scienze affonda le sue radici nella tradizione del passato, di contro nello studio dell’essere e del divenire del pianeta terra, si affida solo alla luce della sua esperienza e delle sue osservazioni senza insegnamenti di antichi o coevi maestri. Per Leonardo l’esperienza è il mezzo attraverso il quale ci si può avvi- cinare e scoprire le leggi generali della natura che egli individua nel principio di “causalità’’. Seguendo tale principio Leonardo, prima di G. Galilei e di F. Ba- cone, pone le fondamenta del metodo induttivo e sperimentale. Queste basi, Leonardo le costruì partendo dall’esperienza, e le cementò con il principio della ragione e della causalità. Egli, dopo aver assunto l’esperienza come base di ogni conoscenza, ed aver ritenuto che la legge di causalità regola tutto l’andamento dell’universo, non si arresta davanti ad un dogma. La causalità non può riferirsi ad alcuna potenza esteriore chiamata ‘’DIO’’ che opera mediante atti soprannaturali o miracoli. Il suo pensiero s’identifica con quello di Anassagora e di altri filosofi greci e non con quello biblico-cristiano di un DIO dotato di una onnipotenza permanente e capace di sospendere o di invertire, con un atto di volontà, le leggi fisiche della natura. Seguendo tali convinzioni Leonardo divenne un per- fetto ‘’ateista’’ e da ciò partì per comprendere la genesi e il divenire del pianeta terra, avulso da qualsiasi intervento divino. 235

Leonardo da Vinci precursore della Geologia moderna

Tra le diverse e molteplici ricchezze del suo sapere Leonardo ‘’inserì’’ anche la conoscenza dei mutamenti della terra cioè di quella Scienza che secoli dopo fu chiamata Geologia. Così, come già accennato, mentre per le altre scienze aveva trovato e trovava precursori e contemporanei, in questa materia invece, egli si trovò solo difronte ai problemi che presentava la terra con rocce, fossili e continue mutazioni dovute all’azione dell’aria, dell’acqua e del fuoco. Nella Geologia, quindi più che in qualunque altra scienza che abbracciò, si può seguire e ammirare la sagacia dell’osservazione, la rigorosità dell’intui- zione e la profondità del suo genio. Per avere coscienza di ciò bisognerebbe esaminare che cosa il mondo antico sapesse o avesse intuito della Geologia e rendersi conto che poco o niente di tale scienza fosse nota ai suoi tempi. La Geologia di Leonardo: Leonardo cominciò le sue ‘’peregrinazioni’’ con osservazioni di campo in Toscana e nell’Italia centrale rivolgendo la sua attenzione ai fenomeni che si potevano osservare e che si erano realizzati in quella piccola parte della super- ficie terrestre in cui viveva. In questo percorso si scontrò con l’ignoranza del suo tempo pervasa dal preconcetto biblico della stabilità dell’universo e del rac- conto del ‘’diluvio universale’’. I passi che Leonardo fece in questo campo furono da lui sottoposti a continui e ripetuti controlli che gli permisero di elaborare al meglio la conce- zione fondamentale del continuo divenire e trasformarsi del pianeta terra. Al primo posto di questa elaborazione poniamo l’interpretazione dei ‘’fossili’’ a cui seguì l’intuizione della formazione degli strati sedimentari, le ipotesi sulla genesi delle montagne, le intuizioni sul continuo modificarsi della superficie terrestre, sino alle previsioni del futuro del pianeta terra. Dall’importanza e significato dei fossili, per la maggior parte di origine marina, rinvenuti in aree molto distanti dal mare, ricavò per esempio indicazioni sulla diversa estensione del mare sulla superficie terrestre. Leonardo, inoltre ebbe chiara l’intuizione che i fondali marini erano costituiti da strati sedimentari orizzontali, ma non riusciva ad immaginare e comprendere come questi potes- sero essere stati sollevati, raddrizzati e piegati dalle forze orogenetiche che for- mano le catene montuose. Su questo argomento intervennero molto più tardi C. Lyiell (1797- 1924) e A. Gieckie (1835-1924) i veri fondatori della Geologia . Egli però aveva compreso la funzione delle forze erosive delle acque che mise in relazione con l’accumulo di sedimenti che generavano nuove aree territoriali lentamente emergenti dal mare. Questi fenomeni attualmente costituiscono interi “capitoli’’ della Geologia col nome di Geografia fisica e Geomorfologia. Egli intuì inoltre come l’erosione delle terre emerse da parte degli agenti esogeni (acqua e vento) 236

A. Paglionico

produce l’alleggerimento delle aree emerse, mentre l’accumulo dei sedimenti deposti sui fondali marini li appesantisce e da tali osservazioni “partorì’’ l’idea rivoluzionaria dell’ isostasia. Leonardo si cimentò, inoltre, su ipotesi che riguar- davano il passato e il futuro del pianeta e questo gli permise di considerare la terra come un corpo vivente soggetto anch’esso ad un ciclo di vita . Alcuni dei principi fondamentali della Geologia moderna furono quindi teorizzati ed an- che dimostrati da Leonardo: a) la confutazione completa del racconto biblico della genesi e del diluvio universale; b) la dimostrazione che i ‘’fossili’’ erano resti di organismi marini e che i ‘’terreni fossiliferi’’ erano depositi stratificati in fondali marini durante lunghi periodi di tempo; c) la continua e irresistibile opera di erosione degli agenti meteorici, che trasportano frammenti di rocce e li depositano nei bacini marini formando gli strati sedimentari ; d ) la previ- sione di futuri mutamenti del pianeta terra. Per capire il grande valore delle osservazioni di Leonardo e le sue intuizioni nel campo della Geologia occorre- rebbe ripercorrere il cammino da essa fatta nei secoli dopo di lui, fino al periodo in cui si costituì come Scienza. Questo cammino ci mostra come, dopo quattro secoli, siano state accertate molte delle osservazioni, intuizioni e deduzioni lu- cidamente enunciate da Leonardo. Un confronto tra le sue intuizioni e alcune delle attuali moderne conoscenze geologiche verrà effettuata nel corso della relazione programmata per il prossimo 2 maggio durante l’evento.

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ATTI E RELAZIONI LVI, (2021), 238

Pierluigi Pirrelli

[email protected]

SITAEL S.p.A., Mola di Bari

IL SOGNO DEL VOLO: DALL’ORNITOTTERO AI VOLI SUBORBITALI

Dall’osservazione degli uccelli l’uomo ha sempre saputo che è possibile volare ed ha sempre sognato di poterlo fare. A partire dall’ornitottero e dal paracadute di Leonardo le soluzioni trovate per realizzare tale sogno sono mol- teplici: sfruttare la spinta di Archimede ed essere più leggero dell’aria, alla base di dirigibili e mongolfiere, sviluppare forze aerodinamiche dall’interazione di un profilo alare con l’aria, da cui derivano aeroplani ed elicotteri, generare una spinta superiore al peso del velivolo secondo il principio di azione e reazione, concetto applicato negli odierni missili e nei lanciatori spaziali. Ad oggi la frontiera del volo umano è rappresentata del volo sub-orbi- tale, in grande evidenza grazie al sogno, ormai diventato realtà, del magnate Richard Branson e della sua Virgin Galactic di rendere lo spazio una meta turi- stica. La Puglia ha in questo un ruolo di primo piano e Sitael, che è già la più grande impresa privata italiana operante in ambito spaziale e leader mondiale nel settore dei piccoli satelliti, sta guidando con Virgin Galactic un’iniziativa tecnologica e commerciale per effettuare voli suborbitali dallo spazioporto di Grottaglie, il primo spazioporto in Europa.

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ATTI E RELAZIONI LVI, (2021), 239

Giovanni Scillitani

[email protected]

Università degli studi di Bari Aldo Moro

LEONARDO E IL MONDO ANIMALE

Il genio di Leonardo si occupò del mondo animale spaziando su mol- teplici aspetti, dall'anatomia comparata al comportamento, dal mondo senso- riale alla meccanica del movimento fino allo studio delle forme fossili. Gli studi di Leonardo avevano prevalentemente scopi pratici, quali la realizzazione di opere d'arte o di macchine usando modelli animali ma non di meno le sue ri- cerche contribuirono in modo determinante allo sviluppo del moderno metodo d'indagine biologica.

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ATTI E RELAZIONI LVI, (2021), 240-242

Franca Tommasi

[email protected]

Università degli Studi di Bari

LEONARDO DA VINCI E LA VISIONE SCIENTIFICA DELLA BOTANICA

Il grande Leonardo da Vinci, di cui nel 2019 ricorrono i 500 anni dalla morte, è un genio poliedrico noto soprattutto per le sue invenzioni, per le opere pittoriche e per la sua attività di scienziato. Incarna in pieno lo spirito del Rina- scimento esprimendosi nei più svariati campi della conoscenza. Egli ha avuto numerose intuizioni innovative in vari campi, ha lasciato numerosi progetti d’avanguardia e soprattutto ha avuto un ruolo notevole nei progressi della co- noscenza anticipando con le sue osservazioni scoperte che sarebbero state fatte diversi anni dopo. La sua attività, sebbene inserita nel contesto dell’epoca in cui è vissuto, mostra aspetti meno noti, ma molto significativi come il ruolo notevole da lui avuto anche nella Biologia vegetale. Acuto osservatore di tutti gli aspetti della natura nelle sue diverse forme e organismi, realizza disegni di tipo analitico e qualità fotografica di piante, ani- mali, uomo. La sua attività principale di pittore lo porta ad osservare, interpre- tare, porsi domande e cercare risposte. Il dover riprodurre nei suoi dipinti piante lo induce a guardarle con attenzione e a cogliere particolari dei quali la sua genialità e le sue doti non comuni gli fanno intuire e comprendere il senso e lo inducono ad elaborare in modo innovativo alcune caratteristiche delle piante. Nelle sue opere grafiche spesso interpreta ciò che vede, aggiungendo talvolta rielaborazioni personali, ma quasi sempre riporta in modo quasi foto- grafico ciò che osserva. Si può considerare il primo scienziato che ha distinto la forma dalla funzione e se Galileo è considerato il padre del metodo scientifico, Leonardo lo ha applicato diversi decenni prima di lui. Leonardo ebbe l’intenzione di scri- vere un’opera sulle piante, ma probabilmente non lo fece mai, anche se nei suoi taccuini ha lasciato numerosi appunti che sono stati largamente studiati da vari autori. Fra i suoi appunti sulle piante, notevoli sono le intuizioni sulla fillotassi che egli riproduce nelle opere pittoriche talvolta rielaborandola in forme che lo 240

Leonardo da Vinci e la visione scientifica della Botanica affascinano, come la spirale. In quest’ultima egli vede il divenire e la cerca non solo nelle piante, ma in tutti gli esseri viventi. Osservando i fusti legnosi, com- prende che le cerchie del legno sono il risultato della crescita in spessore del fusto interpretandone correttamente il significato e cogliendo anche il concetto dell’influenza delle condizioni climatiche sul loro sviluppo. Benché il microscopio non esistesse ancora e anzi sarebbe stato inven- tato molti decenni dopo, comprende che esistono i tessuti di conduzione delle piante, che essi sono di diverso tipo e che attraverso di essi scorre la linfa. Com- prende che le piante per vivere hanno bisogno di acqua e di luce precorrendo con le sue intuizioni le ricerche che solo nel XX secolo avrebbero chiarito gli aspetti fondamentali del metabolismo delle piante. Realizza la coltura idropo- nica che ha consentito numerose scoperte scientifiche e che viene usata oggi anche in applicazioni agronomiche. Distingue la forma dalla funzione in modo da anticipare la ben più recente distinzione fra la Botanica e la Fisiologia vege- tale, ma nello stesso tempo le integra fra loro precorrendo il concetto sintetico della Biologia vegetale di oggi. Le sue osservazioni lo inducono a disegnare, riprodurre accuratamente varie specie di piante e a cogliere le somiglianze e le differenze, in un tentativo di identificazione e classificazione di specie che condividono lo stesso am- biente. Da questi disegni traspare il morfologo, il fisiologo e il sistematico di specie vegetali. Realizza i suoi disegni con tecniche innovative per il suo tempo e realizza anche dei tentativi di conservare piante e foglie. Con l’olio e la fulig- gine imprime le forme vegetali in modo da conservarle su un supporto, realiz- zando di fatto dei campioni di erbario. I suoi disegni mettono spesso a con- fronto specie diverse nella stessa famiglia cogliendo e disegnando analogie e differenze, indicando che spesso Leonardo si cimenta con la classificazione delle piante. Alcune immagini dei suoi disegni si ritrovano nei suoi dipinti e affreschi, così che spesso costituiscono una sorta di firma dell’autenticità della sua opera. Su questa base, infatti, la versione della Vergine delle Rocce conser- vata al Louvre gli viene attribuita con certezza, mentre. il quadro conservato a Londra viene attribuito anche a suoi allievi. La Biologia vegetale al tempo di Leonardo aveva le massime espressioni negli studi di Aristotele, Teofrasto, Pli- nio il Vecchio e Dioscoride. A quest’ultimo si deve lo studio di piante soprat- tutto con applicazioni nella medicina. Al tempo di Leonardo nascevano gli er- bari figurati, ovvero rappresentazioni fantasiose di piante e i primi orti botanici di Pisa, Firenze e Padova intesi come orti dei semplici, ovvero collezioni di piante officinali. Anche in questo Leonardo precorre i tempi interessandosi e descri- vendo specie non solo officinali. Forse non è del tutto corretto attribuirgli in 241

F. Tommasi

modo puramente celebrativo e forzato conoscenze moderne che forse non po- teva avere al suo tempo, ma è innegabile che ci abbia comunque tramandato quello che oggi un uomo di scienza sa di dover fare: studiare, osservare, ripro- durre, porsi domande, cercare risposte, formulare ipotesi e cercare dimostra- zioni. La sua sete di conoscenza, la voglia di sperimentare, il suo spirito acuto sono oggi più vivi che mai dopo 500 anni e le sue opere, disegni, appunti ci parlano oggi come 500 anni fa. La sua scrittura particolare a specchio, da man- cino, ne fanno un uomo non comune e affascinante e ce lo rendono attuale come se dovessimo andare a incontrarlo nella sua bottega e dovessimo discu- tere con lui i particolari che il suo genio ci ha tramandato.

RIFERIMENTI

F. Capra, Leonardo e la botanica, 2018 , Aboca W. Emboden, Leonardo da Vinci on plants and gardens, 1987 F. Zöllner, Leonardo da Vinci, Taschen, 2015

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ATTI E RELAZIONI LVI, (2021), 243

Tito Vespasiani

[email protected]

Segretario Generale Autorità di Sistema Portuale ADSPMAM

LEONARDO E LA PORTUALITA’

Leonardo da Vinci è stato un uomo di grande ingegno e talento, versato in tutte le arti e aperto a qualsiasi interesse. Egli si definì “omo sanza lettere” sol- tanto per distinguersi dall’élite umanistico-letteraria del suo tempo e per affer- mare contro quella speculazione filosofica astratta il suo programma di ricerca scientifica basata sull’esperienza diretta, sull’indagine e sullo studio dei feno- meni naturali. In questi, infatti, Leonardo vedeva non soltanto l’origine e la ra- gione di ogni cosa esistente, ma anche la strada per creare qualcosa di nuovo. Non a caso tutte le sue invenzioni, anche quelle tecniche e meccaniche, parti- rono dalla semplice osservazione dei fenomeni naturali tra cui il volo degli uc- celli e il movimento dell’acqua. Gli studi sull’acqua di Leonardo Da Vinci costituiscono un importante cardine dell’universo scientifico attuale e, nonostante risalgano a circa cinque secoli fa, ancora oggi sono un valido strumento di rappresentazione e di studio della forza devastatrice dell’acqua . I primi studi di Leonardo risalgono al 1488-89, durante le visite fre- quenti a Pavia; essi si basavano sulla costruzione di conche e sostegni d’acqua. Tra i numerosi progetti viene ricordato quello relativo all’espansione e all’am- modernamento della città di Milano, avvenuto durante gli anni di servizio a favore di Ludovico il Moro. Un altro progetto riguardava il collegamento tra Como e Milano, e tra Milano e il fiume Po. In realtà il lavoro rimase incompiuto fino agli inizi dell’800. Ulteriori studi di Leonardo si riferiscono alla costruzione del naviglio tra Firenze e Pisa. Il suo sogno, infatti, era quello di far diventare Firenze una importante e prestigiosa città di mare. Tra i capitoli, interessanti e suggestivi che saranno sfogliati dal Segretario generale nel suo intervento, particolare attenzione verrà data all’interesse e alle possibili tracce lasciate dal genio del Rinascimento italiano nelle città di Cesenatico e di Otranto.

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Indice

E. SCANDALE Introduzione alle celebrazioni del V centenario della 7

morte di Leonardo da Vinci E. SCANDALE Leonardo da Vinci e la Puglia, tra passato e futuro 15

Relazioni

G. AVANZINI Revisione critica di progetto delle macchine volanti di 37 Leonardo L. BORZACCHINI The bird is an instrument which works according to 47 mathematical laws L. BOSSI Big machines to study the infinitely small world 57 P. DE PALMA Frontiere della conoscenza a distanza di 500 anni: il volo 63 degli uccelli e il volo ipersonico F. GARGANO Una nuova era per l’osservazione dell’universo: la fisica 69 multi-messaggero A. L. GIANNONE Dal mito all’interpretazione: momenti della ricezione 77 di Leonardo nella letteratura italiana del Novecento F. GIORDANO Da uno spazio scientifico ad uno spazio civile 89 R. GIORGINO Leonardo da Vinci nella storia della medicina 101 G. MANISCO 100 anni prima di Hans Lippershey, di Jakob Metius e 109 di Galileo Galilei: il cannocchiale di Leonardo da Vinci – 1508/1509 M. MAZZEO Sulle spalle dei giganti: le origini greche della scienza di 123 Leonardo M. MOSSA Il contributo di Leonardo da Vinci nel campo dell’Idraulica 131 N. NERI Il genio e la guerra. Leonardo da Vinci ingegnere militare 141 M. PASCULLI FERRARA Leonardo da Vinci, Isabella d’Aragona 149 Sforza e la città di Bari R. ROSSO & A. SOLE L’eredità idrometrica di Leonardo da Vinci 177 G. SACCANI Giovanni Piumati, Theodor Sabachnikoff e l’avventura del 185 Codice sul volo degli uccelli di Leonardo da Vinci F. SDAO Leonardo da Vinci: la geologia prima della geologia 193

A. SURDO L’occhio che svela i misteri dell’universo 205 G. TAGARELLI Paesaggi leonardeschi dall’Annunciazione alle marcite 213

Comunicazioni

D. CANTALUPI Leonardo e la musica e gli strumenti musicali 221 N. CARNIMEO La conquista dello spazio e la sua regolamentazione 222 giuridica. Un nuovo master in Tecnologie e Diritto aerospaziale nell’Università di Bari F. CUPERTINO L’evoluzione del ‘more electrical aircraft’ dagli albori 225 dell’aviazione ai giorni nostri B. DI MARTINO Leonardo e il sogno del volo. Intuizioni e realtà 227 N. GIGLIETTO Il cosmo meraviglioso: osservazioni del cielo ad alte 229 energie M. LASTELLA L’esercito italiano e l’omaggio al genio universale 230 N. MAZZIOTTA Una nuova era per l’osservazione dell’universo: la 231 fisica multi-messaggero R. MORISCO A tavola con Leonardo 232 C. NERVI Ingegno e Virtù 234 A. PAGLIONICO Leonardo da Vinci precursore della geologia moderna 235 P. PIRRELLI Il sogno del volo: dall’ornitottero ai voli suborbitali 238 G. SCILITANI Leonardo e il mondo animale 239 F. TOMMASI Leonardo da Vinci e la visione scientifica della botanica 240 T. VESPASIANI Leonardo e la portualità 243

Finito di stampare nel mese di Febbraio 2021 presso Gra ca 080 S.r.l. per conto dell’ Accademia Pugliese delle Scienze