Università Degli Studi Di Milano Bicocca Facoltà Di Scienze Della Formazione
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Università degli Studi di Milano Bicocca Facoltà di Scienze della Formazione Scuola di Dottorato in Scienze Umane Dottorato in Antropologia della Contemporaneità Etnografia delle Diversità e delle Convergenze Culturali XXVI ciclo UN ANTROPOLOGO IN BICICLETTA: ETNOGRAFIA DI UNA ASSOCIAZIONE CICLISTICA GIOVANILE di Massimo Pirovano Tutor: Prof. Ugo Fabietti Coordinatore: Prof. Ugo Fabietti 2015 1 2 INDICE 0. Prologo p. 5 1. Ritornare sul campo. Antefatti, metodi e problemi della ricerca p. 9 1.1 Un’etnografia a partire dal corpo p. 10 1.2 Interlocutori privilegiati p. 19 1.3 Relazioni e atteggiamenti p. 27 2. L’Unione Ciclistica Costamasnaga: una normale eccezione in Brianza p. 33 2.1 Il contesto di origine p. 34 2.2 Il territorio e il tessuto produttivo p. 42 2.3 Chiesa, campanili e “aria di modernità” p. 46 3. In bicicletta: dal gioco alla “passione” p. 53 3.1 Prove e emozioni infantili p. 53 3.2 Autorità pedagogiche e modelli agonistici p. 61 3.3 Una “malattia” di piaceri e sacrifici p. 71 4. Dentro e fuori la società: ruoli, capitali e relazioni p. 85 4.1 Un’ Unione differenziata p. 86 4.2 La macchina economica e le forme del capitale p. 101 4.3 Gli impegni organizzativi e il rapporto con la Federazione p. 121 4.4 Le buone ragioni del fare p. 141 5. Con le gambe e con la testa. Un apprendistato complesso p. 161 5.1 Un corpo messo bene in bici p. 164 5.2 Intelligenza, tecnica e tattica p. 190 5.3 “Campioni non si nasce”: evidenze biologiche e disciplina di vita p. 200 6. I tempi e i luoghi del corridore p. 227 6.1 Stagioni p. 230 6.2 Carriere p. 261 6.3 Appartenenze p. 306 7. Per concludere p. 325 Bibliografia e sitografia p. 337 Interviste e documentazione fotografica p. 349 3 “Non ho mai scritto versi per la bicicletta, ma so che è il mezzo più comodo ed economico di locomozione. So, anche, ora che ci penso, che diverte, ispira, a sognare ed arricchisce di immagini. La bicicletta oggi ci ricorda i giorni della fanciullezza e della gioventù, la casa, il paese, la campagna e gli appuntamenti con le ragazze. L’uomo sulla bicicletta è un uccello: un albero volante!” (Ignazio Buttitta, La Bicicletta,1984.) “Filastrocca del gregario/corridore proletario,/ che ai campioni di mestiere/ deve far da cameriere,/ e sul piatto, senza gloria, serve loro la vittoria./ Al traguardo quando arriva,/ non ha applausi, non evviva./ Col salario che si piglia/ fa campare la famiglia/ e da vecchio poi si acquista/ un negozio da ciclista .” (Gianni Rodari, Filastrocche in cielo e in terra, 1960) “Sono felice, posso vedere come lo scienziato col microscopio degli uomini in fuga metro per metro. Non ho vergogna a dirlo che l’ho sognato tutta la vita, questo piacere.” (Cesare Zavattini, Film di una tappa, “Il campione”, 1956) “Certe cose però bisogna farle, per comprendere un po’ perché si fanno” (Giulio Angioni, Il sale sulla ferita, 2010) 4 Prologo La bicicletta è di moda e pertanto i suoi usi e le sue rappresentazioni possono essere considerate anche un oggetto significativo di indagine sul piano sociale e culturale. Il fatto è evidente se si considera il numero di persone che la usano in varie parti del mondo, sia per gli spostamenti della vita quotidiana, sia per il tempo libero, sia quando lo sport e il lavoro si abbinano nelle competizioni spettacolari per un pubblico che assiste alle gare dal vivo o in televisione. Nei paesi ricchi, alla bicicletta e alla pratica ciclistica, turistica o agonistica, sono dedicati molti giornali specializzati che descrivono e analizzano i vari modelli e i componenti di questa macchina prodigiosa, che danno notizie e aggiornamenti continui sull’abbigliamento tecnico e sui percorsi pensati per chi viaggia in bicicletta. Le televisioni dedicano alle gare di questo sport centinaia di ore di trasmissione. Oltre ai giornalisti che vivono di questi interessi, anche alcuni studiosi importanti hanno scritto e continuano a scrivere sulla bicicletta e sulla pratica ciclistica, come testimonia un caso editoriale curioso ma emblematico. L’editore italiano, non certo specializzato come altri nei libri sullo sport, si è trovato in difficoltà a tradurre per la sua collana “incipit” due volumetti scritti da altrettanti intellettuali tra i più noti della nostra epoca: Ivan Illich e Marc Augé. Uscito nel 1978 per la prima volta, il libro del filosofo della descolarizzazione si intitolava Energie, vitesse et justice sociale ma era stato tradotto in italiano con il titolo Elogio della bicicletta, il che ha sconsigliato di rendere letteralmente con queste stesse parole il titolo originale del libro di Marc Augé, uscito in Francia 30 anni dopo, che da noi è diventato Il bello della bicicletta (Augé 2009). Il libro di Illich ha in realtà una portata più generale, come del resto indica il titolo originale, poiché arriva a proporre l’uso auspicabile della bicicletta come esito ragionato e ragionevole di una serie di considerazioni sullo spreco di energia, sull’eccesso di inquinamento e sui paradossi del mito della velocità, che caratterizzano le società industrializzate (Illich 2006). Il libro di Augé, d’altra parte, mette in rilievo i significati sociali e culturali che per circa un secolo hanno avuto i gesti epici compiuti dagli atleti nelle competizioni in bicicletta, i cui protagonisti con le loro imprese hanno impersonato valori che hanno determinato un fascino a volte eroico su milioni di appassionati e di spettatori. Oggi, d’altra parte, anche secondo l’antropologo francese, la bicicletta - specialmente in ambiente urbano - appare quale un mezzo ecologico di trasporto e di comunicazione, capace di favorire la riduzione 5 dell’inquinamento, la salute del corpo e il miglioramento delle relazioni sociali. Sembra dunque superato il pregiudizio che ha gravato a lungo sullo sport come attività non degna di interesse scientifico. Il filosofo Eugen Fink – in un suo testo degli anni '50 – segnalava lo stigma che la tradizione culturale occidentale ha massicciamente esercitato nei confronti dell'esperienza del gioco: il che - aggiungiamo noi – è valso anche a livello popolare, almeno in contesti sociali economicamente fragili. Da una parte il filosofo tedesco pensa all'idea, diffusa tra gli intellettuali della sua epoca, del gioco come “un fenomeno marginale della vita umana, una sua manifestazione periferica, una possibilità di esistenza che si dà solo di quando in quando”, per cui “abitualmente il gioco si determina per contrasto con la serietà della vita.” (Fink 2008: 8-9) L’interesse assai raro da parte dei filosofi nei confronti dello sport è stato negli ultimi decenni compensato dagli studi importanti di diversi storici e sociologi, mentre ci sembra che siano ancora pochi gli antropologi che si sono occupati delle pratiche sportive, ed in particolare del ciclismo. Eppure la bicicletta ed i suoi usi rappresentano un oggetto e delle pratiche diffuse ed importanti nella vita quotidiana di moltissime persone, che hanno influito sulle relazioni sociali almeno dalla fine dell’800 ad oggi. Il “velocipede”, infatti, dopo essere stato considerato uno dei simboli della modernità, tra le altre macchine che hanno accompagnato l’industrializzazione, lo sviluppo delle tecniche e il diffondersi del mito della velocità, avendo perso molto del suo smalto originario come status symbol, messo in ombra o ridicolizzato dai veicoli individuali e familiari a motore, oggi sembra rappresentare il simbolo di una serie di valori - per certi versi ‘antimoderni’ - per gli uomini della contemporaneità, ed in special modo per molti intellettuali, che lo considerano e lo propongono come uno strumento eccellente per una mobilità e una socialità sostenibili. Queste considerazioni conducono ad un elogio della bicicletta che, specialmente in ambiente urbano, può servire come veicolo di spostamento quotidiano: per chi lo sceglie la preoccupazione di disporre di un mezzo che sia prima di tutto veloce lascia il posto alla coscienza dei vantaggi di una pratica motoria benefica e non inquinante, nonostante i rischi che si possono correre nel traffico. Ma esiste ancora, resiste - e in certe parti del mondo, si diffonde - un altro tipo di pratica ciclistica caratterizzata dall’approccio agonistico, i cui protagonisti – giovanissimi, giovani, adulti e anziani – si impegnano e si appassionano pedalando per competere, con gli altri o con se stessi, affrontando percorsi impegnativi e raggiungendo velocità che risultano spesso inimmaginabili o incredibili per i molti profani che non hanno mai usato una bicicletta “da 6 corsa” o da competizione, e che non si sono mai sottoposti ad un allenamento di settimane o di mesi per ottenere quei risultati. Si tratta di un fenomeno sociale radicato e diffuso, specie in alcune parti d’Italia, come la Brianza, a nord di Milano. Ce ne si può accorgere percorrendo in auto le strade che costituiscono i percorsi prediletti dai ciclisti, dove specialmente nei giorni dei weekend si formano gruppi consistenti di pedalatori, in “abbigliamento tecnico” simile a quello dei corridori professionisti, che rallentano il traffico automobilistico o lo ostacolano, dando luogo anche a schermaglie verbali sui diritti delle auto e delle bici. La gran parte di questi cicloamatori (torneremo sul termine nel suo significato tecnico o gergale) sono adulti o anziani. Meno numerosi sono i ragazzi in età scolare, che tuttavia sono i protagonisti più precoci di quella pratica ciclistica, fatta di allenamenti e di gare, che subentra alle prime pedalate fatte per gioco e per puro divertimento, da bambini e vicino a casa. Il progetto che ha guidato il nostro lavoro è stato quello di indagare con gli strumenti dell’etnografia, questo fenomeno sociale e culturale, andando sul campo, dove gli attori sociali di queste pratiche vivono e fanno sport, per conoscerne le abitudini e per studiarne la traiettoria formativa attraverso un esame delle relazioni sociali che costituiscono il contesto di avviamento alla pratica agonistica.