Studio di Compatibilità geologica geotecnica e di supporto alla compatibilità idraulica relativo all’adeguamento del P.U.C. del di Capoterra al Piano Paesaggistico Regionale e al Piano di Assetto Idrogeologico ______

PREMESSA...... 2

INQUADRAMENTO TOPOGRAFICO...... 3

PERIMETRAZIONE DELLE AREE A PERICOLOSITA’ DI FRANA E INONDAZIONE SECONDO IL VIGENTE PIANO DI ASSETTO IDROGEOLOGICO ...... 4

INDIRIZZI DI PIANO E PREMESSE RELATIVE ALLA COMPATIBILITA’...... 5

ANALISI DEI FENOMENI ED EVENTI STORICI DI DISSESTO NEL TERRITORIO ...... 7 1) eventi alluvionali...... 7 Alluvione del 1213 Novembre 1999 ...... 8 Alluvione del 22 ottobre 2008...... 10

2) analisi del progetto AVI (aree vulnerate italiane) e IFFI (inventario dei fenomeni franosi).12

INQUADRAMENTO GEOMORFOLOGICO...... 18 a) evoluzione geomorfologica generale e forme del rilievo ...... 18 b) caratteristiche geopedologiche ...... 23 c) Uso reale del suolo (tav. VI)...... 24

INQUADRAMENTO GEOLOGICO GENERALE...... 27

INQUADRAMENTO IDROGEOLOGICO ...... 29 a)...... idrologia superficiale 29 b) idrologia sotterranea ...... 37 c) considerazioni sul trasporto solido...... 38

PREMESSA AGLI STUDI GEOTECNICI ...... 45

DEFINIZIONE GEOTECNICA DEI LITOTIPI PRESENTI...... 45

INDICAZIONI SUGLI SCAVI E STABILITA’ DELLE PARETI...... 50

EVENTUALI VERIFICHE DELLA PORTANZA E CRITERI DI ANALISI DELLA STABILITA’ ...... 51

METODOLOGIA ED ANALISI DEI FENOMENI FRANOSI E DELL’INSTABILITA’ POTENZIALE DEI VERSANTI; PERICOLOSITA’ DA FRANA NEL TERRITORIO DI CAPOTERRA ...... 57

DEFINIZIONE DELLA PERIMETRAZIONE DEL RISCHIO FRANA A SEGUITO DELLO STUDIO DI COMPATIBILITA’ ...... 66

COMPATIBILITA’ DEL PIANO URBANISTICO AI SENSI DELLE NORME DI ATTUAZIONE NELL’AMBITO GEOLOGICO E GEOTECNICO...... 67

PROPOSTE GENERALI DI INTERVENTO E MITIGAZIONE PER I SISTEMI FRANOSI...... 73

MONITORAGGIO ...... 77

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE ...... 78

______1 Dott. Ing. Giovanni Perfetto Dott. Geol. Antonello Frau

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PREMESSA Con incarico conferito ai sottoscritti dal Comune di Capoterra, è stato realizzato il presente studio di compatibilità geologica, geotecnica e di supporto allo studio di compatibilità idraulica (presentato con elaborazione separata), per l’adeguamento del P.U.C. al P.P.R. ed al P.A.I. L’obbligatorietà della redazione del presente elaborato discende dall’art. 8 delle N.d.A. del P.A.I. nel quale, al comma 2, si riporta: “indipendentemente dall’esistenza di aree perimetrate dal PAI, in sede di adozione di nuovi strumenti urbanistici anche di livello attuativo e di varianti generali agli strumenti urbanistici vigenti i Comuni tenuto conto delle prescrizioni contenute nei piani urbanistici provinciali e nel piano paesistico regionale relativamente a difesa del suolo, assetto idrogeologico, riduzione della pericolosità e del rischio idrogeologico assumono e valutano le indicazioni di appositi studi di compatibilità idraulica e geologica e geotecnica, predisposti in osservanza degli art. 24 e 25 delle N.d.A. medesime , riferiti a tutto il territorio comunale o alle sole aree interessate dagli atti proposti all’adozione” . Inoltre sempre nel medesimo art. 8 al comma 5 si rileva che “in applicazione dell’articolo 26, comma 3, delle norme negli atti di adeguamento dei piani urbanistici comunali al PAI sono delimitate puntualmente alla scala 1: 2.000 le aree a significativa pericolosità idraulica o geomorfologica non direttamente perimetrate dal PAI” . In osservanza a quanto sopra esplicitato, il presente elaborato è stato quindi redatto ai sensi degli artt. 24 e 25 delle Norme di Attuazione del Piano di Assetto Idrogeologico e secondo i criteri di cui agli allegati E ed F delle citate norme e comprende pertanto i contenuti geologici e geotecnici, che integrano lo studio stesso, oltre alla definizione degli aspetti geologici di supporto a quelli idrologici ed idraulici di compatibilità. La parte geologica , che integra lo studio di compatibilità geologica e geotecnica, e che costituisce il quadro di riferimento della compatibilità idraulica, secondo quanto richiesto dalla normativa illustra: • l'assetto geologico di inquadramento; • la situazione litostratigrafica locale; • la definizione dell'origine e natura dei litotipi, del loro stato di alterazione e fratturazione e della loro degradabilità; • i lineamenti geomorfologici della zona, gli eventuali processi morfologici nonché i dissesti in atto e potenziali che possono interferire con l'opera da realizzare e la loro tendenza evolutiva; • i caratteri geostrutturali generali, la geometria e le caratteristiche delle superfici di discontinuità; • lo schema della circolazione idrica superficiale e sotterranea. • Analisi delle permeabilità dei suoli e dei substrati, analisi dei bacini idrografici in relazione alla compatibilità idraulica. L’analisi geologica è stata eseguita in conformità alla normativa vigente (Norme Tecniche sulle Costruzioni di cui al D.M. 14/01/2008) che definiscono i principi per il progetto, l’esecuzione e il collaudo delle costruzioni, nei riguardi delle loro prestazioni richieste in termini di requisiti essenziali di resistenza meccanica e di stabilità anche in caso di incendio e curabilità. Esse forniscono i criteri generali di sicurezza, precisano le azioni che devono essere utilizzate nel progetto e definiscono le caratteristiche dei materiali e dei prodotti e più in generale trattano gli aspetti attinenti alla sicurezza strutturale delle opere. Nello specifico si è fatto esplicito riferimento a quanto riportato al paragrafo 6.1.2 delle NTC 2008 secondo il quale “ le scelte progettuali devono tener conto delle prestazioni attese delle opere, dei caratteri geologici del sito e delle condizioni ambientali. I risultati dello studio rivolto alla caratterizzazione e modellazione geologica di cui § 6.2.1, devono essere esposti in una specifica relazione geologica. La caratterizzazione e la modellazione geologica del sito è stata quindi eseguita effettuando la ricostruzione dei caratteri litologici, stratigrafici, strutturali, idrogeologici, geomorfologici e, più in generale, di pericolosità geologica del territorio. Il modello geologico definito è inoltre elemento di riferimento per il progettista per inquadrare i problemi geotecnici e per definire il programma delle indagini geotecniche.

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La parte geotecnica che integra lo studio di compatibilità geologica e geotecnica comprende ed illustra: • la localizzazione dell'area interessata dall'intervento; • i criteri di programmazione ed i risultati delle eventuali indagini in sito e di laboratorio e le tecniche adottate con motivato giudizio sulla affidabilità dei risultati ottenuti; • la scelta dei parametri geotecnici di progetto; • la caratterizzazione geotecnica del sottosuolo in relazione alle finalità da raggiungere, effettuata sulla base dei dati raccolti con le indagini eseguite; • il dimensionamento dell'intervento; • i risultati dei calcoli geotecnici; • le verifiche di stabilità del pendio; • le eventuali interazioni con altre opere; • le conclusioni tecniche; • le diverse tipologie delle opere di consolidamento e le finalità di ognuna di esse con valutazione di tipo analitico che ne evidenzino l’efficacia in riferimento alle condizioni preintervento; • il piano di manutenzione degli interventi; • il piano di monitoraggio per il controllo della efficacia degli interventi di consolidamento ed il programma delle misure sperimentali. L’analisi geotecnica è stata eseguita in conformità alle Norme Tecniche sulle Costruzioni di cui al D.M. 14/01/2008 che forniscono i criteri generali di sicurezza, precisano le azioni che devono essere utilizzate nel progetto e definiscono le caratteristiche dei materiali e dei prodotti e più in generale trattano gli aspetti attinenti alla sicurezza strutturale delle opere. Inoltre si è fatto riferimento alla Circolare 2 febbraio 2009 n. 617 C.S.LL.PP. (G.U. n. 47 del 26 febbraio 2009 S.O. n. 27) Istruzioni per l’applicazione delle “Nuove norme tecniche per le costruzioni” di cui al D.M. 14 gennaio 2008.

INQUADRAMENTO TOPOGRAFICO Il territorio comunale di Capoterra è individuabile nella Carta Topografica d’Italia in scala 1:25.000, Foglio 565 sez. I (Capoterra) e 566 sez. IV (La Maddalena) e nella C.T.R.N. Sez. 565040 (Capoterra), 565070 (Monte Lattias), 565080 (Santa Barbara), 566010 (Ponte Maramura), 566050 (Villa D’Orri). E’ localizzato nel settore occidentale del Golfo di e confina con i comuni di a Sud, a Nord ed Ovest, Uta a Nord e Cagliari ad Est.

fig. 1 : Localizzazione topografica

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E’ Geograficamente delimitato, nel tratto compreso tra Cala d’Orrì e Ponte Maramura, dal , mentre il settore Ovest del territorio è delimitato da una cintura montuosa in cui svettano Monte Is Pauceris Mannus (quota 720 m. s.l.m.), Monte Capeddu (704 m.), M.te Conchioru (740 m.) , P.ta Is Postas (612 m.); P.ta Su Aingiu Mannu (605 m). A partire dalla quota di circa 25 m. s.l.m., si sviluppa il settore pedemontano e montano che mostra comunque uno scarso sviluppo edificatorio. Gran parte dell’edificato occupa le vaste aree subpianeggianti interne dell’entroterra costiero e quelle del settore costiero così come rappresentato nella fig. n° 2

fig. 2: distribuzione dell’edificato all’interno del territorio comunale

PERIMETRAZIONE DELLE AREE A PERICOLOSITA’ DI FRANA E INONDAZIONE SECONDO IL VIGENTE PIANO DI ASSETTO IDROGEOLOGICO

Nel presente paragrafo viene riportato un quadro riepilogativo della situazione di pericolosità e rischio sia di frana che di inondazione individuate nel vigente Piano di Assetto Idrogeologico Il suddetto Piano (PAI) individua le aree a rischio idraulico e di frana e ha valore di piano stralcio ai sensi della L. 183/89. Il PAI è entrato in vigore con Decreto dell’Assessore ai Lavori Pubblici n. 3 del 21/02/2006 ed è stato adottato e approvato limitatamente alla perimetrazione delle aree a pericolosità H4, H3 e H2 e a rischio R4, R3 e R2. Il Piano ha lo scopo di individuare e perimetrare le aree a rischio idraulico e geomorfologico, definire le relative misure di salvaguardia sulla base di quanto espresso dalla Legge n. 267 del 3 agosto 1998 e programmare le misure di mitigazione del rischio. Ha inoltre valore di piano territoriale di settore e prevale sui piani e programmi di settore di livello regionale provinciale e comunale in quanto finalizzato alla salvaguardia di persone, beni, ed attività dai pericoli e dai rischi idrogeologici (Norme di Attuazione del PAI, Art. 4, comma 4). Le previsioni del Piano producono pertanto effetti sugli usi del territorio e delle risorse naturali e sulla pianificazione urbanistica anche di livello attuativo, nonché su qualsiasi pianificazione e programmazione territoriale insistente sulle aree di pericolosità idrogeologica (N.A. PAI, art. 6).

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Le Norme di Attuazione del PAI prescrivono che i Comuni e le altre Amministrazioni interessate, provvedano a riportare alla scala grafica della strumentazione urbanistica vigente, i perimetri delle aree a pericolosità idraulica Hi e geomorfologica Hg e delle aree a rischio idraulico Ri e geomorfologico Rg , e ad adeguare contestualmente le norme dello strumento urbanistico (N.A. PAI, Art. 4, comma 5). Prevedono inoltre che nell’adeguamento della pianificazione comunale vengano delimitate le aree di significativa pericolosità idraulica e geomorfologica non perimetrate in precedenza dal PAI (N.A. PAI, Art. 26). Indipendentemente dall’esistenza di aree perimetrale dal PAI, i Comuni, in base all’articolo 8 comma 2, devono produrre appositi studi di compatibilità idraulica e geologicotecnica riferiti all’intero territorio comunale, approvati dall’Autorità Idraulica competente per territorio, integrandoli negli atti di Piano che costituiranno oggetto della verifica di coerenza (art. 31 commi 3, 5 L.R n.7/02). Gli ambiti di riferimento del Piano sono i sette SubBacini individuati, all’interno del Bacino Unico Regionale, ognuno dei quali è caratterizzato in generale da una omogeneità geomorfologica, geografica e idrologica: Sulcis, Tirso, CoghinasMannuTemo, Liscia, Posada – Cedrino, SudOrientale, FlumendosaCampidano Cixerri. Il Comune di Capoterra è compreso nel subbacino n° 7 del Flumendosa CampidanoCixerri. Il territorio comunale nella stesura del P.A.I. originario, è stato dapprima perimetrato (Deliberazione della Giunta Regionale n° 54/33 del 30/12/2004) nella Tavola n° 3 del subbacino n° 7, indicando sia gli areali inclusi nelle zone Hi 1, Hi 2, Hi 3, Hi 4 e sia gli areali interessati dagli eventi alluvionali del 1213 Novembre 1999 e l’area esondabile, definita dall’Ufficio Geologico Provinciale di Cagliari, sulla base di stime morfologiche (si osservino a tal proposito le Tav. II e III allegate alla presente). Successivamente, a seguito della realizzazione di alcuni interventi infrastrutturali di mitigazione, nell’anno 2006 (con Deliberazione della Giunta Regionale n° 17/12 del 26/04/2006 avente per oggetto: Comune di Capoterra. Approvazione nuove perimetrazioni, a seguito della realizzazione di interventi di mitigazione e studi di maggiore dettaglio, delle aree a pericolosità e rischio di inondazione ai sensi degli artt. 4 comma 5 e 37 comma 7, delle Norme di Attuazione del Piano Stralcio di Bacino per l’Assetto Idrogeologico (P.A.I.). è stata approvata una variante al Piano che ha riperimetrato alcuni degli areali ad elevata pericolosità e rischio. Il rischio frana nella perimetrazione iniziale (2004) non è stato adeguatamente indicato se non per un settore estremamente ridotto del territorio (confinante con la miniera di San Leone nel territorio di Assemini). La variante dell’anno 2006 ha invece interessato solo ed esclusivamente l’aspetto idraulico. I recenti e tragici eventi alluvionali sia del 22 ottobre 2008 e sia quello successivo del giorno 13/04/2009 hanno però indicato che la pericolosità di inondazione e il rischio effettivo devono necessariamente essere rivalutati con specifici studi di dettaglio che riguardino l’intero territorio di Capoterra. Inoltre a seguito dell’applicazione delle norme del P.A.I. si ritiene necessaria la definizione della pericolosità e rischio frana sull’intero territorio. Con il presente studio di compatibilità geologicageotecnica e di supporto alla compatibilità idraulica potranno quindi essere individuate, con riferimento all’intero territorio comunale, le zone di criticità sulle quali poter adeguatamente sviluppare una adeguata pianificazione urbanistica previa valutazione della sicurezza del territorio. Al fine di inquadrare correttamente le situazioni di rischio evidenziate nella perimetrazione originaria del P.A.I. adottato nel mese di Dicembre dell’anno 2004, si rimanda alle relative schede di riferimento allegate al P.A.I. originario.

INDIRIZZI DI PIANO E PREMESSE RELATIVE ALLA COMPATIBILITA’

Nel presente paragrafo sono indicati i macroobiettivi del P.U.C. attualmente in adeguamento al P.P.R ed al P.A.I..

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 verifica del dimensionamento del Piano, sulla base degli attuali fabbisogni, sia per le aree turistiche, residenziali che per quelle destinate ad attività produttive;  adeguamento della struttura dei servizi;  contenere l’espansione edilizia al fine di limitare la sottrazione di suolo alla sua naturale vocazione e vincolare l’espansione alle aree compatibili dal punto di vista paesaggistico ambientale e di sicurezza del territorio.  Obiettivi di sostenibilità ambientale riconosciuti a livello nazionale e internazionale per conseguire uno sviluppo sostenibile e che prevedono di contrastare i cambiamenti climatici, tutelare la biodiversità, ottenere una qualità dell’ambiente che garantisca la salute umana, utilizzare le risorse naturali in modo sostenibile e ridurre la produzione di rifiuti.  Definizione degli interventi di difesa del suolo atti ad assicurare l’incolumità delle persone coerentemente alle risultanze degli studi di maggior dettaglio; Le scelte che, nell'ambito del PUC, la comunità farà sul proprio futuro devono:  identificare i grandi valori ambientali, capaci di determinare invarianti, nei sistemi geologici, vegetativi, montani e vallivi, e di scorrimento delle acque;  valorizzare le grandi infrastrutture e provvedere a compensarne e limitarne gli effetti negativi;  caratterizzare le parti di territorio in rapporto alle risorse e vocazioni prevalenti;  definire la distribuzione dei ruoli nelle diverse parti di territorio per orientare gli investimenti, e minimizzare la conflittualità di usi entro le singole parti;  riorganizzare il complesso delle reti infrastrutturali locali in rapporto alle destinazioni, in particolare la rete stradale, ma anche le reti tecnologiche e delle tecnologie avanzate;  riorganizzare le reti civiche e dei servizi puntuali pubblici e privati in rapporto alla distribuzione concreta della popolazione nel territorio. Nel contesto appena delineato, per effetto della localizzazione del territorio di Capoterra entro l’area metropolitana, prossima agli insediamenti produttivi, di comunicazione e di innovazione tecnologica di Macchiareddu, ed ai grandi sistemi ambientali costiero, lagunare, pedemontano e montano, in tutto il territorio oggetto di studio sono state concentrate e raffittite infrastrutture di rango metropolitano, regionale, nazionale e comunitario quali la nuova S.S. 195 e in particolare la pipeline. Ne deriva che la ricerca e attuazione delle scelte future appena delineate, in un ambito così infrastrutturato, deve essere perseguita in un ottica di compatibilità delle diverse componenti sia ambientali che infrastrutturali e di sviluppo del territorio. Il processo di adeguamento del P.U.C. dovrà avvenire verificando la coerenza esterna con i piani e i programmi che interessano il territorio comunale, in modo da definire l’importanza degli stessi in fase di redazione e onde consentire il conseguimento di due obiettivi: • costruzione di un quadro di insieme strutturato contenente gli obiettivi ambientali già definiti e gli effetti ambientali attesi nell'ambito degli strumenti pianificatori esistenti; • il riconoscimento delle questioni già valutate negli altri piani e programmi di diverso ordine. Concordemente a tali obiettivi, si osserva che al fine di ottenere un raggiungimento degli stessi risulta necessario ed indispensabile che le scelte da attuare siano coerenti anche con la disciplina dell’assetto idrogeologico che si prefigge sia la messa in sicurezza delle aree già antropizzate attraverso azioni strutturali e non strutturali e sia la prevenzione

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del rischio attraverso norme d’uso del territorio. Tralasciando la messa in sicurezza che appartiene alla pianificazione e programmazione regionale, si osserva la contrario che la prevenzione deve essere tenuta in debito conto proprio nelle fasi di pianificazione locale attraverso un’accurata indagine e approfondimento delle problematiche di sicurezza del territorio, quale quella rappresentata nel presente studio. L’individuazione delle aree di pericolosità, ovvero di quelle aree soggette a fenomeni di dissesto per fenomeni franosi o di inondazione, porterà alla pianificazione dell’uso del territorio con la definizione della sua zonizzazione e conseguente disciplina relativa alla realizzazione di opere, attività e interventi compatibili. Analogamente l’individuazione degli elementi a rischio presenti nella aree pericolose, porterà a riconoscere le aree a rischio ovvero le aree dove il verificarsi di un fenomeno di dissesto idrogeologico può comportare danni, quantificabili con perdita di vite umane o di risorse del territorio. Da quanto detto appare quindi imprescindibile che a seguito della redazione dello studio di compatibilità, si possano meglio definire le previsioni urbanistiche effettuando l’eventuale rilocalizzazione o comunque l’adeguamento di quelle non compatibili già definite anche negli indirizzi di piano.

ANALISI DEI FENOMENI ED EVENTI STORICI DI DISSESTO NEL TERRITORIO

1) eventi alluvionali Dall’analisi delle diverse fonti emerge che nella cronistoria degli eventi alluvionali alcuni di questi hanno interessato il territorio comunale di Capoterra. Di seguito si tralascia l’analisi totale tratta da www.geologi.sardegna.it, che ha riguardato diversi settori della Sardegna ma della stessa si riportano unicamente i casi indicati nei quali viene citato il territorio di Capoterra.

1951 La pioggia cadde dal 15 sino al 19 ottobre, smettendo nel meridione dell'isola e proseguendo verso l’Ogliastra e il Sassarese per qualche giorno. Nel cagliaritano i danni più ingenti furono a Flumini di Quartu e a Capoterra , dove furono allagate le campagne per un totale di 1200 ettari.

1961 , 22 23 novembre L'evento interessò diversi comuni del Campidano di Cagliari e della piana del Cixerri tra cui , Decimoputzu, Assemini, Uta, , , Capoterra , Siliqua, Villasor, Villaspeciosa e la zona industriale di Macchiareddu. Le precipitazioni ebbero inizio nella giornata dal 22 e terminarono il giorno successivo.

1965 , 1718 e 25 ottobre Dopo le piogge intense del 1718 che colpirono le regioni settentrionali ed orientali dell’Isola i fenomeni si localizzarono nella giornata del 25 nel Campidano di Cagliari coinvolgendo oltre al Capoluogo anche i comuni di Uta, Assemini, Capoterra e Pula dove vi furono ingenti danni e molte furono le operazioni di salvataggio.

1985 , 2829 ottobre Le precipitazioni iniziarono nella zona di Cagliari e Capoterra , nella notte tra sabato 27 e domenica 28 Ottobre; smisero durante la giornata del 28 per riprendere verso le 13 del giorno successivo con uguale intensità. Le piogge del giorno 29 interessarono invece la zona del Sarrabus.

1986 , 1417 ottobre Le zone interessate furono il Cagliaritano e Capoterra , già colpite dall'alluvione del 1985, con la differenza questa volta il nubifragio fu molto più violento, con precipitazioni assai elevate, accompagnate da isolate trombe d'aria. La piena del Rio Santa Lucia fu responsabile dell'inondazione della piana di CapoterraPoggio dei PiniSaline ContivecchiMaddalena spiaggia . Determinante anche l'apporto di una certa quantità d'acqua del rio Cixerri, il quale però riuscì a trovare immediatamente sbocco a mare, attraverso lo stagno di Santa Gilla.

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1990 , 9 ottobre Un'ondata di maltempo colpì la provincia di Cagliari ed in particolare le zone attorno al capoluogo quali Capoterra , Uta, Assemini, San Sperate, Sestu, Dolianova e del Sulcis (Carbonia, San Giovanni Suergiu, Tratalias). A Capoterra i danni all'agricoltura furono notevoli ed in particolare vennero compromessi i raccolti di colture pregiate; il danno maggiore fu comunque la distruzione pressoché completa di decine di serre.

1999 , 111213 novembre Un'ondata di maltempo colpì la provincia di Cagliari e il Sarrabus. La violenta perturbazione provocò un’alluvione che colpì Capoterra , Assemini e Uta: i danni furono ingentissimi e ci furono 2 vittime. In 8 ore caddero 376 mm di pioggia.

2005 , 56 aprile Un nubifragio si abbatte su varie zone della Sardegna meridionale determinando numerose inondazioni e gravi danni alle colture e alle attività. Particolari danni si hanno in territorio di Pula, Domusdemaria, Sarroch e Capoterra . Inondazioni anche a Solanas.

2008 , mattina del 22 ottobre Nubifragio nel settore di Capoterra e dell’hinterland cagliaritano. Gravi allagamenti a Capoterra (Poggio dei Pini, Frutti D’oro II, Su Loi), Pirri e . Allagamenti anche nelle campagne di Sestu ed Elmas. In territorio di Capoterra, tra Poggio dei Pini e Fruttidoro II; muoiono annegate 4 persone. Un’altra vittima viene segnalata a Sestu.

Data l’intensità dei fenomeni e comunque la possibilità di reperire dati cartografici e metereologici di dettaglio , sono di seguito riportate le analisi svolte sia sull’alluvione del 1999 che dell’anno 2008.

Alluvione del 12-13 Novembre 1999 La cartografia del Piano Assetto Idrogeologico per il Comune di Capoterra riporta, oltre alle aree a pericolosità idrogeologica, le perimetrazioni delle aree colpite dall’alluvione del 1213 Novembre 1999; in quelle giornate si ebbero infatti precipitazioni di particolare intensità che determinarono estesi fenomeni di inondazione nelle campagna e nell’abitato di Capoterra. Alcuni dati reperiti su diversi siti internet riportano immagini sat che vanno in ordine dal pomeriggio del 12 Novembre 1999 alle 18:10 del giorno 13 Novembre. Esse evidenziano come la causa dell'alluvione sia stata una potente cella temporalesca a “V” con vertice puntato nel basso campidano, stabile per parecchie ore tra la serata del 12 e le prime ore del 13, e incudine della cella sospinta dalle forti correnti in quota sino alle coste meridionali della Corsica. La rigenerazione in loco di tale sistema precipitativo ha portato, a fine fenomenologia, accumuli davvero eccezionali. Per dare un'idea si riportano le località maggiormente interessate: Uta il giorno 12 ha avuto una precipitazione di 345,2 mm, mentre il giorno 13, 263,6 mm, Decimomannu il giorno 12 ha avuto 255 mm , il giorno 13 invece 278,4 mm .

Fig.3 : immagini sat relative all’evento del 1213 novembre 1999

Di seguito si riporta la cronistoria dell’evento in funzione degli orari di registrazione delle precipitazioni:

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Ore 00-06 del 12 Novembre 1999: Dai dati del Servizio Idrografico si evincono le seguenti precipitazioni:

Stazione Ore 00 - 03 Ore 03 - 06 Uta 95.6 mm 46.8 mm Decimomannu 11.8 mm 74.6 mm Villasor 4.8 mm 30.0 mm Nuraminis 0.2 mm 6.2 mm

Tab. I: Accumuli triorari tra le ore 00 e le ore 06 del 12/11/1999

Ore 06 -18 del 12 Novembre 1999: Nella mattinata le precipitazioni sono pressoché minime o nulle. Il Rio Santa Lucia, nella zona di Capoterra, è già in piena nonostante nella parte della foce non vi siano state precipitazioni.

Ore 18 -21 del 12 Novembre 1999: Nonostante manchino i dati di Capoterra, per questo intervallo orario, si rileva che fino alle ore 20 nella zona costiera di Capoterra, soffiò solamente un forte vento di scirocco, senza pioggia. I dati del Servizio Idrografico riferiti ad alcune stazioni sono così riassumibili:

Stazione Ore 18 - 21 Uta 72.6 mm Decimomannu 69.0 mm Villasor 22.4 mm

Tab.II: Accumuli triorari tra le ore 18 e le ore 21 del 12/11/1999

Ore 21 -24 del 12 Novembre 1999: E’ la fase più intensa e devastante del fenomeno. Dal sito internet di www.sardegna clima.it si rileva un’accurata descrizione dell’evento. “La cella convettiva presente nelle ore precedenti sopra Uta si è ulteriormente sviluppata. A questo punto viene interessato pure il comune di Capoterra, con accumuli persino maggiori a quelli di Uta. Considerando le correnti in quota e al suolo e gli accumuli registrati nelle varie stazioni, possiamo dire che la cella che andò a interessare Capoterra era la stessa che poche ore prima era già presente su Uta, ma non ci fu uno spostamento di questa verso sud, bensì un ingrossamento della stessa nella sua parte interessata da correnti ascendenti. Molto probabilmente pure questa cella si presentava a forma di V, ricordando che le piogge più intense si trovano nel vertice della V, possiamo immaginarci la zona di correnti ascendenti più intense collocata nella vallata tra il Monte Arcosu e il Monte Is Pauceris, con una incudine della nube, che si apre a ventaglio da SW a NE e va a interessare i paesi di CapoterraUtaDecimomannuAsseminiVilasorSestuVillaspeciosa e San Sperate. Gli accumuli registrati dalle stazioni a terra confermano questa evoluzione, perché diminuiscono più ci si sposta da SW verso NE, fino a divenire delle normali piogge nella Trexenta e nel Sarrabus. I danni in questa fase sono già elevatissimi, il terreno è saturo di acqua e i fiumi sono in piena, la pioggia caduta in un intervallo di tempo così limitato non riesce a essere smaltita nei letti dei torrenti e dei canali, spesso ostruiti o dalle dimensioni insufficienti per un evento fuori dagli schemi della climatologia della zona. A Capoterra, l’acqua scende dalla montagna con notevole forza e si incanala nelle vie del paese, allagando case ma anche trascinando macchine, distruggendo case e spazzando via muri, una donna perde la vita. Il cuore del paese, dove un vecchio torrente era stato imbrigliato in un tubo, viene spazzato via da una ondata di piena che distrugge completamente la zona sportiva. A Macchiareddu l’acqua cercando, una via per il mare, sommerge le strade e molte industrie e scava nuovi letti di torrenti che non si riempiranno più nei 10 anni successivi ”. Di seguito i dati del Servizio Idrografico

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Stazione 21 - 24 Uta 126.8 mm Decimomannu 99.6 mm Capoterra 163.0 mm Nuraminis 48.0 mm

Tab.III : Accumuli triorari tra le ore 21 e le ore 24 del 12/11/1999

13 Novembre 1999: Le piogge sull’area di Capoterra pian piano cessano mentre gli accumuli sono più consistenti verso i territori di Uta e Decimomannu. Anche per le ore successive della giornata del 13 Novembre non si ebbero sostanziali piogge nell’area di Capoterra mentre le stesse tenderanno gradualmente a diminuire a causa dello spostamento della cella temporalesca che è andata ad esaurirsi lentamente nella zona alluvionale oltre Decimomannu ed Uta. La perimetrazione delle aree colpite dall’inondazione del Novembre 1999 nella quale perse la vita un’anziana donna, è indicata nella Tav. II; nella medesima tavola è stato effettuato anche un confronto con le perimetrazioni P.A.I. degli anni 2004 e 2006

Alluvione del 22 ottobre 2008 Nella giornata del 22 ottobre 2008 precipitazioni intense, prevalentemente a carattere temporalesco, hanno interessato parte della regione Sardegna, e in particolare modo il territorio del Comune di Capoterra nel quale si sono manifestati eventi alluvionali di particolare intensità. Sono numerosissime le testimonianze rilevabili sia dai massmedia che dai diversi siti internet; anche alcuni documenti regionali redatti dall’unità di crisi istituita dalla R.A.S. all’indomani dell’evento, riportano dettagliatamente un quadro della situazione. In questa sede si è scelto di riportare, seppure in via sintetica, il resoconto dell’evento del 22 ottobre effettuato dal Centro Funzionale Centrale della Protezione Civile Nazionale ed elaborato dal servizio meteorologico e settore rischio idrogeologico ed idraulico integrandolo inoltre con ulteriori dati ufficiali desunti dalle elaborazioni della RAS.

A) Descrizione dell’evento: I massimi quantitativi di precipitazione puntuali, sono stati registrati tra l’area di allertamento Sard A (Iglesiente) e Sard B (Campidano), con epicentro nel comune di Capoterra nella Provincia di Cagliari. Le precipitazioni si sono distribuite temporalmente in due impulsi principali: dalle ore 5 alle 10 locali (dalle 03 alle 08 UTC) sulla provincia di Cagliari, e successivamente dalle ore 8 alle 12 locali (dalle 06 alle 10 UTC) sulla provincia dell’Ogliastra. Il fenomeno è stato caratterizzato da un flusso da ovest distinguibile in due passaggi. Alla stazione di S. Lucia di Capoterra, dalle ore 6:00 alle ore 7:00, si sono registrati 71,4 mm di pioggia, dalle 7:00 alle 8:00, 68,4 mm e dalle 8:00 alle 9:00 altri 80,6 mm, Il dato cumulato relativo all’intero evento è di 276,4 mm in circa 6 ore. L’evento appare ancora più gravoso se si considerano i dati registrati dalla stazione di Capoterra in località Poggio dei Pini che ha presentato durante l’evento delle discontinuità di registrazione e trasmissione dei dati. Tali valori indicano dalle ore 6:00 alle ore 7:00 valori registrati di 90 mm di pioggia, dalle 7:00 alle 8:00 quasi 150 mm e dalle 8:00 alle 9:00 altri 94 mm. Il massimo sulle tre ore parrebbe essersi verificato dalle ore 6:30 alle ore 9:30 per un totale di 350 mm ca. di pioggia. Le precipitazioni registrate sono state quindi critiche soprattutto per le durate minori tra 1 e 3 ore. I valori riportati corrispondono ad un più che deciso superamento delle soglie di criticità idrogeologia e idraulica “elevata” (definita in relazione a tempi di ritorno ventennali). Il dato di 350 mm, registrato per la durata di tre ore, sarebbe anch’esso paragonabile a quello osservato durante l’evento di Villagrande del 2004 e pari a 330 mm, nella stazione di Bau Mandara. Valori non lontani sono stati osservati ancora a Santa Lucia nel 1999. Gli afflussi hanno determinato la crisi diffusa del reticolo idrografico e dello stesso tessuto territoriale, producendo episodi, anche significativi, di inondazione.

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Fig. 4 : Cumulato di precipitazione periodo ottobre 2008gennaio 2009; rapporto tra il cumulato e la media climatologica (19611990)

Si noti come il valore del cumulato risulta superiore al doppio della media climatologica nelle due zone interessate dalle alluvioni di ottobre (area di Capoterra) e novembre (Baronie)

B) Analisi metereologica : L’avvio di una attività elettrica significativa sull’area è stata osservata verso le 6:00 ora locale del 22.10.2008. Il monitoraggio del fenomeno mediante i radar meteorologici facenti parte della rete nazionale operante presso il DPC, della quale fa parte anche il radar gestito dal Servizio Agrometeorologico della Sardegna (SAR) ha permesso di osservare lo sviluppo e l’evoluzione dei sistemi precipitativi. Dall’analisi agrometereologica e climatologica svolta dall’ARPAS , secondo quanto si può trovare nella bancadati del Dipartimento Idrometeoclimatico dell’ARPAS che copre il periodo 19322008, i cumulati giornalieri misurati a CapoterraPoggio dei Pini sono i massimi di cui si abbia traccia nella serie pluviometrica di Capoterra (il tempo di ritorno stimato con apposite tecniche statistiche è di circa 800 anni), mentre nella serie pluviometrica più vicina a Uta è presente un solo evento superiore: 400.0 mm misurati il 23 novembre 1961. Se, invece, si considera la distribuzione delle precipitazioni sul territorio per capire se questo tipo di eventi meteorologici siano già occorsi nel passato, si possono Fig. 5 : cumulato precipitazioni del 22/10/2008 (SAR) individuare almeno due eventi simili, sia

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come struttura spaziale del campo di precipitazione sia come valori dei massimi, e numerosi altri con cumulati di precipitazione inferiori. I due eventi più simili occorsero il 2223 novembre 1961 e il 1213 novembre 1999. Entrambi furono caratterizzati da precipitazioni eccezionali nell’area immediatamente a Est/Nordest della città di Cagliari e precipitazioni molti abbondanti nella costa orientale della Sardegna. Il 2223 novembre 1961, si osservarono 400 mm/24h a Uta, 200 mm/24h a Villasor e cumulati di precipitazione superiori ai 100 mm/24h nel Basso Campidano. Nel secondo episodio, invece, le precipitazioni cumulate su due giorni del Basso Campidano raggiunsero i 374.6mm/48h a Decimomannu e superarono i 200m in molte località circostanti (221.0mm a Capoterra).

C) Effetti e danni: Di seguito si riporta quanto definito nell’indagine conoscitiva svolta dall’Unità di crisi della RAS. ……..Già durante le prime due ore i versanti del bacino hanno mostrato i primi segni di cedimento idraulico. Il suolo è stato saturato rapidamente d'acqua e questa ha cominciato a scorrere sempre più copiosa sulla superficie dei campi, invece di infiltrarsi nel terreno. Ogni singolo impluvio di ogni singolo versante del piccolo bacino idrografico ha riversato sul Rio San Girolamo una considerevole massa d'acqua, pari a circa 750.000 mc, che ha confluito tumultuosamente lungo l'alveo naturale del fiume, travolgendo gli ostacoli che incontrava nel suo percorso, come alberi, strade, ponti, abitazioni. Durante la corrivazione l'acqua ha messo in movimento una rilevante massa di materiale solido, presumibilmente 250.000 mc, costituito in parte da massi e ciottoli spostati lungo l'alveo e prevalentemente da sabbia e limo provenienti dal suolo eroso lungo il percorso, in particolar modo da quei suoli lasciati nudi dai recenti incendi di fine estate, privi di quella copertura vegetale in grado di proteggere i versanti. Si sono prodotti così numerosi solchi di ruscellazione estemporanei, anche molto profondi. Gran parte di questo materiale solido, quello con granulometria più grossolana, è stato deposto all'interno del lago artificiale di Poggio dei Pini che ha funzionato come vasca di decantazione, riducendone però il volume d'acqua invasabile. Di conseguenza l'acqua che è arrivata a valle ha portato in carico materiale solido a granulometria più fine, come limi e argille, insieme al materiale costituente la diga stessa, seriamente danneggiata. Questa torbida ha travolto le infrastrutture e le abitazione a valle, provocando la morte di quattro persone e intrappolando a lungo decine di altri sopravissuti.

2) analisi del progetto AVI (aree vulnerate italiane) e IFFI (inventario dei fenomeni franosi) Nel 1989 il Dipartimento della Protezione Civile commissionò al Gruppo Nazionale per la Difesa dalle Catastrofi Idrogeologiche (GNDCI) del Consiglio Nazionale delle Ricerche, il censimento delle aree del paese colpite da frane e da inondazioni per il periodo 1918 1990. Successivamente si è provveduto ad estendere il censimento al periodo 19911994. Nel 1996 venne pubblicata una prima carta sinottica delle principali località colpite da movimenti franosi e da inondazioni. Da allora, si era provveduto a localizzare, come punti ed a scala 1:100.000, tutte le località note per essere state colpite da frane od inondazioni. Le notizie per le quali non è stato possibile individuare con ragionevole certezza la località colpita sono state cartografate in corrispondenza del capoluogo comunale . Ad ogni località è stato anche assegnato il grado di certezza nella localizzazione. Nonostante le numerose limitazioni, dovute alla complessità del territorio italiano, alla diversa sensibilità e conoscenza sia attuale che storica dell'impatto che le frane e le inondazioni hanno sul territorio, ed alle risorse limitate, il censimento rappresenta il più completo ed aggiornato archivio di notizie su frane ed inondazioni avvenute in questo secolo mai realizzato in Italia. Altro progetto di interesse nazionale e regionale utilizzato al fine di valutare la storicità dei fenomeni franosi, è il Progetto IFFI (Inventario dei Fenomeni Franosi in Italia), realizzato dall’ISPRA e dalle Regioni e Province Autonome, e che fornisce un quadro dettagliato sulla distribuzione dei fenomeni franosi sul territorio italiano. L'inventario ha censito ad oggi 485.000 fenomeni franosi che interessano un’area di 20.721 km 2, pari al 6,9% del territorio nazionale.

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Con riferimento al territorio di Capoterra si osserva che il database relativo all’archivio frane del progetto AVI non segnala alcun avvenimento nel territorio in esame. Anche il database del progetto IFFI non segnala alcuna problematica. Diversamente, dall’analisi dell’archivio delle piene del progetto AVI, emergono invece diversi eventi alluvionali che hanno interessato l’area in esame e per gli stessi sono riportate apposite descrizioni. Quasi tutti i casi citati si riferiscono all’area del Rio Santa Lucia prima delle operazioni di sistemazione idraulica avvenute negli anni 80. Le notizie riportate sono comunque generali e dalle stesse non è possibile stabilire con esattezza ne la localizzazione ne tantomeno gli effetti sul territorio di Capoterra differenziandoli da quelli adiacenti, specie se si considera che il limite urbano di Capoterra è prossimo al territorio di Assemini. Pur tuttavia si osserva che la fenomenologia maggiormente diffusa sui versanti del territorio di Capoterra, così come si osserva nei rilievi diretti, è un’associazione dei fenomeni di franamento ed inondazione con trasporto tipo debris flow. Ma nel database queste situazioni non sono comunque previste o vengono censite nella sola parte relativa alle piene. I 18 casi sono di seguito riassunti estrapolando le notizie principali che hanno interessato il territorio.

Codice Evento 600012 . Data 10/07/1921. La causa principale determinante è stato un evento meteoclimatico che ha causato danni ai seminativi e agli edifici civili. Tra gli effetti indiretti ristagni d’acqua. Le località investite sono parte integrante del Campidano meridionale (Guasila, Senorbì) ma si segnalano danni anche nel territorio di Capoterra nel Foglio IGM 234 quadrante IV orientamento SW.

Codice Evento 600018 . Data 01/11/1923. Coordinate dell’evento X: 1497800 Y:4337200. La causa principale determinante è stato un evento meteoclimatico che ha causato danni ad edifici civili. Tra gli effetti indiretti ristagni d’acqua. Viene segnalata 1 vittima. L’evento viene localizzato nel Foglio IGM 234 quadrante IV orientamento SW.

Codice Evento 600177 . Data 16/03/1960. Coordinate dell’evento X: 1497100 Y:4336300. Viene segnalata la morte di un ragazzo colpito da un fulmine. L’evento viene localizzato nel Foglio IGM 234 quadrante IV orientamento SW.

Codice Evento 600194 . Data 13/11/1961. Non è stato possibile definire esattamente gli effetti sul territorio di Capoterra in quanto l’evento ha interessato tutto il Campidano meridionale. Globalmente si riporta comunque che la causa principale è stata un evento meteo climatico e il sovralluvionamento, mentre secondariamente si sono verificate rotture arginali. Durata d’emergenza pari ad 1 giorno a causa delle operazioni di protezione civile. Vengono segnalati danni quali la perdita terreno agrario, vigneti e seminativi. Danni di grave entità anche agli edifici civili, strade provinciali, strade statali, ferrovia. Stimati 100 senza tetto e 200 sfollati. Tutto il Campidano è rimasto pressoché allagato dall'esondazione del rio Mannu. Crolli, allagamenti e numerosi sfollati nei paesi del circondario e nelle campagne.

Codice Evento 600195 . Data 22/11/1961. Anche in questo caso si tratta di un evento generale che ha coinvolto il Campidano di Cagliari ma vengono riportate alcune informazioni di dettaglio. La Durata dell’emergenza è stata di 4 giorni a causa delle operazioni di protezione civile. Sono segnalati interruzione di servizi con intensità grave (Strade Statali, Provinciali, Ferrovia), Danni agli edifici sia nei centri abitati che nelle case sparse nei comuni di Villaputzu, Uta, Decimomannu, Capoterra, Assemini, Cagliari. Inoltre si definisce la perdita di terreno agrario, prati e pascoli. Stimati 10 feriti, 1000 senza tetto, 1500 sfollati. I danni della tremenda alluvione ammontano a dieci miliardi, centinaia di case distrutte. Dovunque gli argini sono stati travolti e le acque si sono riversate nell'immensa pianura del Campidano inondando una superficie che si aggira approssimativamente sui cinquemila ettari. Il centro più colpito è Decimomannu dove un numero altissimo di abitazioni sono crollate. Drammatiche notizie anche da Capoterra dove il torrente Bau Mannu, straripando, ha invaso i campi. Rimasto bloccato un pastore con il

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suo gregge e nessun soccorso hanno potuto prestargli i Vigili del Fuoco a causa dell'estrema violenza della corrente, il giorno successivo, è stato finalmente tratto in salvo, seppur con enormi difficoltà ed il ferimento di un volontario. L’evento viene localizzato anche nel Foglio IGM 234 quadrante IV orientamento SW.

Codice Evento 600234 . Data 25/10/1965. Anche in questo caso si tratta di un evento generale che ha coinvolto però i territori di Uta e Capoterra. La Durata dell’emergenza è stata di 1 giorno a causa dell’interruzione del traffico causata dai danni alla viabilità comunale. Vengono segnalati anche danni agli edifici sia nel centro abitato che alle case sparse ed inoltre si riferisce tra i danni la perdita di terreno agrario. Stimati 10 senza tetto e 30 sfollati. L’evento viene localizzato nel Foglio IGM 234 quadrante IV orientamento NW.

Codice Evento 600352 . Data 24/09/1973. Si tratta di un evento generale che ha colpito parte della Sardegna meridionale. La causa principale determinante è stato un evento meteoclimatico che ha causato danni ai seminativi, case sparse, edifici civili, Strade statali e provinciali, linee ferroviarie ed elettrodotti. Tra gli effetti indiretti ristagni d’acqua. Le località investite sono parte integrante del Campidano meridionale (Senorbì, Cagliari, Teulada) ma si segnalano danni anche nel territorio di Capoterra.

Codice Evento 600426 . Data 02/12/1976. Si tratta di un evento meteoclimatico generale che ha colpito parte della Sardegna. Tra i dati generali dell’evento si segnalano danni anche nel territorio di Capoterra.

Codice Evento 600435 . Data 10/11/1978. Si tratta di un evento meteoclimatico generale che ha colpito i territori dei comuni di , Cagliari Pirri, Monserrato, Elmas, Capoterra, Cagliari.Tra i dati generali dell’evento si segnalano danni anche nel territorio di Capoterra.

Codice Evento 600516 . Data 28/09/1983. Si tratta di un evento meteoclimatico generale che ha colpito i territori dei comuni di Villacidro, Capoterra, Assemini, Cagliari, Torpè. Tra i dati generali dell’evento si segnalano danni anche nel territorio di Capoterra.

Codice Evento 600547 . Data 26/10/1985. Coordinate dell’evento. X: 1497300 – Y: 4336400. Tra le località colpite si cita Capoterra. Intensità dei danni è lieve su edifici civili e infrastrutture a rete.

Codice Evento 600548 . Data 27/10/1985. Coordinate dell’evento. X: 1497300 – Y: 4336400. Si tratta di un evento meteo climatico generale che ha colpito parte della Sardegna meridionale e tra le località si cita anche Capoterra. Tra le cause secondarie si indicano i fenomeni franosi e di sovralluvionamento. La durata d’emergenza è stata pari a 3 giorni a causa delle operazioni della protezione civile. Si segnalano danni ai beni con intensità grave, interruzione di servizi, perdita di terreno agrario, vigneti, frutteti prati e pascoli. Stimati 50 sfollati. 450 perdite di patrimonio zootecnico. Effetti indiretti: altri danni, ristagni d’acqua ed erosione. L’evento viene localizzato nel Foglio IGM 234 quadrante IV orientamento SO.

Codice Evento 600549 . Data 29/10/1985. Coordinate dell’evento. X: 1497300 – Y: 4336400. Si tratta di un evento meteo climatico generale che ha colpito parte della Sardegna meridionale e dell’Ogliastra e tra le località si cita anche Capoterra. Tra le cause secondarie si segnalano colate di detriti e sovralluvionamento, Tra i fiumi principali interessati si segnalano il Rio Picocca e il Rio S. Lucia. Tra i danni gravi la perdita di terreno agrario, vigneti, frutteti, Effetti indiretti: altri danni ristagni d’acqua. Il nubifragio abbattutosi nelle campagne di Capoterra ha colpito fortemente il settore agricolo, l'allevamento del bestiame e le vie di comunicazione. I danni più ingenti sono quelli riguardanti il patrimonio zootecnico, sono infatti annegati migliaia di animali tra capi ovini

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e vaccini, lasciando in serie difficoltà gli allevatori. Il centro abitato, nella cui piana si raccolsero le acque provenienti dal Rio Santa Lucia e da piccoli affluenti, si trovò nelle prime ore della mattinata isolato su tre lati ed al centro, da un vasto lago, dal quale spuntavano solo gli alberi, i pali dell'energia elettrica, in parte abbattuti da fortissime raffiche di vento, e numerose case isolate. La rete stradale e quella fognaria inesistente. L’evento viene localizzato nel Foglio IGM 234 quadrante IV orientamento SO.

Codice Evento 600561 . Data 13/10/1986. Come nel caso delle alluvioni dell'Ottobre 1985, le zone colpite furono il Sarrabus, la zona di CapoterraUta, quella del Cixerri ed in maniera meno grave l'Ogliastra. Anche questo evento interessò le zone colpite dall'alluvione dell'anno precedente, con la differenza che fu molto più violento, con precipitazioni assai elevate, accompagnate da isolate trombe d'aria. Le fonti non riportano una stima esatta dei danni subiti dalle popolazioni isolane e dalle strutture pubbliche. Si può affermare che in ordine di gravità, questo evento possa considerarsi tra i più gravi dal dopoguerra (dopo le alluvioni del 1951 e del 1971). Tra le località colpite si cita Capoterra ma la maggior parte degli eventi, almeno quelli più gravi, riguardano l’Ogliastra. La causa principale è l’evento meteo climatico mentre tra le cause secondarie si segnalano le frane e il sovralluvionamento. Durata d’emergenza 6 giorni a causa delle operazioni di protezione civile. Tra i corsi d’acqua principali interessati si segnalano il Rio Cixerri e il Rio Santa Lucia. Danni ingenti con perdita di terreno agrario, vigneti, frutteti prati e pascoli, danni agli edifici pubblici, industriali, case rurali, infrastrutture a rete. Si segnala 1 disperso, 5 vittime, stimati 250 senza tetto e 500 sfollati; 2000 unità le perdite di patrimonio zootecnico. Tra gli effetti indiretti si segnalano ristagni d’acqua e ulteriori danni e franamenti. Le Località colpite sono comunque numerose: Tortolì, Siniscola, Tertenia, Lanusei, Capoterra, Castiadas, Villasor, Muravera, Muravera San Priamo, Villaputzu, San Vito, Jerzu, Ilbono, Uta, comune di Siliqua, comune di Iglesias, comune di Burcei, comune di Vallermosa, comune di Domusnovas. Per la zona in oggetto si segnalano danni ingenti ed inconvenienti per le popolazioni, nelle zone di Capoterra e Uta. A nord del primo comune nella zona prossima alla chiesetta campestre di Santa Lucia, si verificò un incidente mortale dovuto certamente alla fatalità. Una donna fu vittima di un tentativo di attraversamento disperato del rio omonimo. Il corpo della sfortunata venne trovato due giorni dopo, impigliato su dei cespugli a vari chilometri dal luogo della sciagura. La piena del Rio Santa Lucia fu la responsabile dell'inondazione della piana di Capoterra Poggio dei Pini Saline Contivecchi Maddalena spiaggia. Determinante anche l'apporto di una certa quantità d'acqua del Rio Cixerri, il quale però riuscì a trovare immediatamente sbocco a mare, attraverso lo stagno di Santa Gilla. Tutte le opere di difesa idraulica lungo il Rio Santa Lucia, vennero cancellate dal moto impetuoso dell'acqua.

Codice Evento 600579 . Data 19/01/1988. L’evento ha colpito gran parte dei comuni della Sardegna meridionale e dell’Ogliastra. La causa principale è al solito l’evento meteo climatico; tra le cause secondarie si cita il sovralluvionamento. I danni di intensità grave hanno coinvolto reti infrastrutturali e tra i comuni colpiti si indica anche Capoterra sebbene non sia dato di capire quale sia l’entità del danno.

Codice Evento 600599 . Data 12/05/1990. Coordinate dell’evento X: 1497300 Y:4336400. La causa principale determinante è stato un evento meteoclimatico che ha causato danni ad edifici civili e infrastrutture di comunicazione (viabilità comunale). Tra gli effetti indiretti ristagni d’acqua. L’evento viene segnalato nel Foglio IGM 234 quadrante IV orientamento SW.

Codice Evento 600606 . Data 09/10/1990. Si tratta di un evento generale che ha colpito parte della Sardegna meridionale nei comuni di Uta, Sarroch, Carbonia, Capoterra, Cagliari, Giba. La durata d’emergenza è stata pari a 1 giorni a causa delle operazioni di protezione civile, interruzione di servizi. Stimati 20 senza tetto e 60 sfollati. Effetti indiretti: altri danni ristagni d’acqua. Per Capoterra, tra i dati generali si riporta la notizia che i danni all'agricoltura furono notevoli, in particolare vennero compromessi i raccolti di

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colture pregiate, ma il danno maggiore fu la distruzione quasi completa di decine di serre. L’evento è segnalato nel Foglio 234 quadrante IV.

Codice Evento 4600004 . Data 22/11/1961. Si tratta di un evento generale dove tra i tanti centri si segnala anche il territorio di Capoterra. Questi i dati indicati: Corsi d’acqua: Bau Mannu, Riu Mannu, Flumineddu, Mogoro, Fluminimannu, Tirso, F. Flumini e Spinosa. Ad Oristano 48 ore di pioggia ininterrotta dove l'acqua ha raggiunto anche i 30 centimetri di tirante. Tra le località secondarie colpite si segnala Capoterra su f’une e coccu, 5 case crollate e 20 edifici lesionati.

Gli eventi segnalati nel Progetto AVI e qui riportati per ciò che concerne le inondazioni, non sono accompagnati da cartografie di delimitazione degli eventi. A prescindere da qualsiasi altra considerazione in merito, si osserva che dai dati storici emerge comunque una forte predisposizione al dissesto idrogeologico limitatamente alle inondazioni per l’intero territorio comunale di Capoterra. Il dato, a parere dei sottoscritti, deve comunque essere relazionato anche con gli aspetti propri di dissesto da franamento in quanto al superamento di determinate soglie, specie sui depositi sedimentari recenti ed attuali, si verifica il superamento della resistenza al taglio dei materiali con conseguente mobilizzazione degli stessi e presa in carico da parte dei corsi d’acqua. Il trasposto solido evidenziato e documentato specie nell’evento dell’ottobre 2008, deve infatti essere relazionato con la forte pericolosità da franamento specie in seno ai depositi detritici e colluviali dell’area montana.

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STUDIO DI COMPATIBILITA’ GEOLOGICA GEOTECNICA E DI SUPPORTO ALLA COMPATIBILITA’ IDRAULICA

PARTE GEOLOGICA

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INQUADRAMENTO GEOMORFOLOGICO a) evoluzione geomorfologica generale e forme del rilievo L’evoluzione geomorfologica del territorio di Capoterra è il risultato della combinazione dei processi di natura endogena ed esogena e come tale è quindi influenzata dalla struttura geologica, intesa, sia come caratteristiche mineralogicopetrografiche delle rocce, sia come giacitura e diversa competenza, in relazione alla resistenza che le stesse rocce presenti oppongono agli agenti del modellamento esogeno. Da un punto di vista strettamente geografico, nel territorio possono essere distinti due diversi complessi geomorfici; uno di tipo pianeggiante e con una certa omogeneità litologica per via della presenza del complesso alluvionale recente ed antico mentre l’altro con caratteristiche geomorfologiche collinari e montuose, con forti dislivelli e ripide pareti rocciose e in presenza di condizioni geologiche e processi geomorfici differenti dalle restanti parti della piana antistante. Il limite geomorfologico tra queste due macrounità è netto e di origine tettonica, essendo rappresentato dalla faglia occidentale a grande rigetto del graben campidanese. Data la variabilità dei processi geomorfologici agenti, distingueremo di seguito le caratteristiche dell’unità geomorfologica montana e collinare da quella subpianeggiante e pianeggiante che confina con il settore costiero. Il primo sistema geomorfico (in cui ricadono i settori montani dei principali bacini idrografici) è quello rappresentato dalle aree di affioramento dei litotipi scistosi e granitici paleozoici. All’interno delle sequenze paleozoiche si può talora differenziare, almeno in via generale, l’aspetto a tratti maggiormente ondulato di alcuni settori nei quali l’omogeneità litologica permette un modellamento progressivo non differenziato da quello in cui sia per effetto della variabilità litologica all’interno delle formazioni metamorfiche o al passaggio tra queste e quelle granitiche, o per la presenza di manifestazioni filoniane o spesso in presenza di estese discontinuità di tipo tettonico o fratturazioni diffuse, sono presenti testate emergenti fratturate, forme aspre e acclivi con forti dislivelli e pendenze.

Foto n°1 : Forme aspre e fratturate sulle metamorfiti (S’Arcu de Is Sennoras) e sui graniti

Tali settori maggiormente aspri sono abbastanza visibili nel settore posto in sinistra idrografica del Rio San Girolamo, nei tratti apicali di tale bacino (foto n° 1), nel settore compreso tra Arcu S. Antoni e sino al limite del bacino idrografico del Rio Baccu Tinghinu , oppure nella vallata del Canale Baccu Liconosu , o ancora nel settore montano posto in destra idrografica del Rio Lacunedda . Per effetto dei forti dislivelli e dell’erodibilità delle rocce i settori di versante sottostanti tali litologie sono in genere ricoperti da spesse coltri di detrito, attive. Gli spessori delle coltri sono talora metrici specie nelle zone dove sono presenti canaloni in detrito (specie negli affluenti del 1° e 2° ordine posti sulla sinistra idrografica del Rio San Girolamo – foto n° 3). La loro granulometria e grossolana e assumono l’aspetto di una breccia con blocchi litoidi a tratti metrici immersi in una matrice sabbioso ghiaiosa.

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Foto n°2: canalone detritico (vers. Est P.ta Aingiu Mannu) e falda detritica (Baccu Liconosu)

In tutti i settori montani si ha una forte organizzazione della rete fluviale e un approfondimento vallivo talora lungo linee principali di frattura, con tratti ad elevatissima acclività e valli strette e tortuose con incisioni prevalentemente a “V”. Tutte le valli montane, localizzate in seno alle medesime formazioni litologiche, sono in genere simmetriche. In netta contrapposizione con l’Unità geomorfologica costituita dalle rocce scistose e da quella massive sia granitiche che metamorfiche, per effetto di una rottura di pendio più o meno accentuata, si sviluppa l’unità geomorfologica (secondo sistema geomorfico ) dei depositi quaternari costituita dalle forme più dolci e scarsamente acclivi. Nella piana trovano sviluppo sedimenti e materiali talora sciolti per accumulo detritico di falda (specie nella zona pedemontana di transizione alle litologie granitiche), materiali granulari più o meno addensati dei terrazzi fluviali antichi a tessitura prevalentemente sabbiosa e ghiaiosa, materiali a tessitura eterogenea dei depositi di conoide di deiezione torrentizia (glacis auct.) che degradano verso la piana dove si raccordano alle alluvioni antiche terrazzate. Lo sviluppo morfologico della piana è comunque stato fortemente condizionato dalle attività antropiche che hanno talora interrotto la continuità dei terrazzi alluvionali. Questi ultimi hanno la classica morfologia piatta, debolmente inclinata verso i corsi d'acqua principali (Rio S. Lucia, Rio S. Girolamo) e la costa. Gli orli dei medesimi hanno altezze in genere comprese tra 0 e 5 metri ma nei casi più evidenti posti a ridosso degli alvei principali attivi, l’orlo raggiunge altezze anche di 10 metri. Sia le alluvioni terrazzate antiche sia quelle recenti sono incise dagli alvei attuali e coperti dai sedimenti successivi. Il forte dislivello tra i punti più elevati del bacino e i tributari principali e quindi l’elevata energia del rilievo, determinano attualmente un forte modellamento fluviale della piana in cui scorrono il Rio Masoni Ollastu, il Rio Santa Lucia e il Rio San Girolamo. Mentre infatti le zone a monte sono principalmente modellate per effetto del ruscellamento diffuso ed incanalato e quindi sono sede di importanti fenomeni erosivi e di forme di tipo gravitativo e di ruscellamento, il tratto a valle risente più spiccatamente di un modellamento di tipo fluviale data la presenza di un alveo principale sufficientemente largo nel quale si manifestano forme tipiche ed erosioni dovute alla presenza dell’acqua. I corsi d’acqua indicati scorrono su tratti subpianeggianti con pendenze dell’ordine dell’1%, generando un alveo largo ma scarsamente inciso che si snoda, nel caso del Rio San Girolamo e del Rio Masoni Ollastu, con andamento scarsamente meandriforme sino alla sezione di chiusura. Alcuni meandri sono abbastanza larghi ma non sempre regolari, le rive concave hanno scarpate di erosione leggermente incise, e nella riva convessa si notano apporti solidi maggiori per eccessiva sedimentazione; le sponde sono a tratti molto basse ma sono state anche rimodellate o rivestite a seguito degli interventi di messa in sicurezza. Per ciò che concerne il tratto costiero litoraneo si osserva invece che lo stesso è compreso nel settore occidentale del golfo di Cagliari, tra il Ponte Maramura e Cala d'Orri. Sono presenti sabbie fini e depositi di spiaggia talora ciottolosi; la tendenza evolutiva

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generale è in erosione fatta eccezione per un settore posto a ridosso della bocca lagunare dove si manifesta una tendenza della linea di riva all’avanzamento. Per ciò che concerne la dinamica geomorfologica si evidenzia che per effetto della morfologia del territorio, a seguito anche dell’analisi dell’acclività, particolarmente elevata in tutto il settore centro occidentale a partire dalla zona pedemontana, considerato che quasi il 50% del territorio di Capoterra ha una acclività maggiore del 20% e che circa il 30% del medesimo ha un’acclività di oltre il 40%, si comprende che per effetti morfostrutturali l’energia del rilievo sia particolarmente forte e tale da favorire condizioni di instabilità sia nei versanti con ripercussioni nella piana antistante. E’ quindi evidente che le condizioni di pericolosità da franamento siano notevoli, specie laddove sono presenti pareti verticali e forme aspre, ai piedi delle quali si depositano estese conoidi di detrito, come è altrettanto prevedibile una forte pericolosità idraulica nella piana. Nella presente saranno comunque meglio esplicitate le diverse situazioni di criticità presenti sul territorio e negli appositi paragrafi le tipologie di dissesto sia per fenomeni gravitativi e sia per fenomeni di inondazione. Le azioni e i processi agenti sul territorio sono state distinti in funzione dell’azione che li ha generati distinguendo anche le diverse forse in funzione della struttura, forme fluviali e di versante dovute al dilavamento, forme marine ed antropiche.

• le forme influenzate dalla litologia e dalle strutture Nel territorio in esame sono largamente diffuse le forme del paesaggio che mostrano di derivare o comunque di essere state condizionate nella loro evoluzione dai motivi strutturali e litologici che interessano le diverse formazioni rocciose. La concentrazione di tali forme è certamente elevata in seno alle litologie metamorfiche e a quelle granitiche dove possono essere meglio identificate, le discontinuità tettoniche, gli orli di scarpata di faglia, le faccette di scarpata tettonica, orli di scarpata ripida influenzata dalla struttura, creste e picchi rocciosi. Le faglie sono distribuite con andamento prevalente NNWSSE ma sono abbastanza distribuite lineazioni con andamento quasi ortogonale SWNE. Tipiche forme di erosione sui graniti (alterazione sferoidale, torrioni, tafoni etc.) sono direttamente dipendenti dalla struttura. Foto n° 3 : erosioni sui graniti (tafoni)

• le forme e processi di versante dovuti alla gravità e al dilavamento Le forme di accumulo più diffuse relative ai processi guidati dalla gravità sono i detriti di falda (foto n° 2) presenti specie nell’area montana al piede delle ripide pareti delle metamorfiti paleozoiche. Assumono spessori e caratteristiche diverse nelle aree invece granitiche dove la granulometria tende a volte ad essere più fine. Alle falde dei versanti occupati dalle metamorfiti, come appare diffusamente su tutto il settore in sinistra idrografica del Rio San Girolamo, i detriti, specie lungo i canaloni, sono distribuiti con continuità come coperture talvolta spesse anche diversi metri, messi in posto durante Foto n° 4 : frana di crollo nei graniti diverse fasi morfoclimatiche dal Pleistocene

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superiore all'attuale; si tratta di accumuli caotici di brecce e blocchi rocciosi anche di dimensioni metriche, talvolta pseudostratificati per quelli più antichi. Le falde detritiche presentano elevata attività determinata sia dalla saltuaria alimentazione di detriti provenienti dal disfacimento della cornice rocciosa soprastante, sia dalla elevata acclività del substrato roccioso si cui poggiano, il quale localmente ha un angolo di scarpa superiore all'angolo di attrito interno delle coperture detritiche; questo fattore insieme alla infiltrazione delle acque al contatto tra basamento e copertura, predispongono la falda all'instabilità. E’ inoltre da non sottovalutare la presenza di accumuli di frane antiche e recenti, determinate dal crollo o ribaltamento di blocchi , che indicano fenomeni gravitativi attivi . Tali fenomenologie sono invece maggiormente diffuse in seno alle masse granitiche. Sempre all'interno di questa classe sono stati cartografati, con una diversa simbologia, i depositi di conoide che si rinvengono nella fascia sia pedemontana che subpianeggiante antistante. Si tratta di superfici aventi pendenza tra il 2% e il 10 % connesse a processi di erosione, trasporto e accumulo di materiale detritico ad opera dei corsi d’acqua. Tale fenomenologia è osservabile attualmente al piede di affluenti di secondo ordine dei principali corsi d’acqua ma hanno avuto una notevole espansione in passato caratterizzando la dinamica geomorfologica della zona antistante la piana alluvionale. Le conoidi sono attualmente localmente incise ai margini da orli di scarpata sui quali scorrono i principali corsi d’acqua. E’ comunque evidente che tutti gli aspetti direttamente legati ai fenomeni dovuti alla gravità devono essere strettamente connessi a quelli fluviali; i complessi montani sono infatti soggetti a intensi fenomeni di dilavamento, e nei settori più acclivi possono essere messi in movimento i blocchi isolati dall’alterazione che lavora principalmente nelle discontinuità più superficiali. A secondo dell’energia erosiva delle acque potranno essere presi in carico i materiali che potranno appunto essere trasportati e depositati a valle dando origine alle diverse forme geomorfologiche caratteristiche di accumulo Il ruscellamento diffuso delle acque superficiali genera superfici con forme attive di erosione areale determinando localmente la totale asportazione dell'orizzonte superficiale del suolo fino a causare un vero e proprio troncamento degli orizzonti pedogenici. Tali processi, sono funzione di molti fattori tra cui la distribuzione e la concentrazione della intensità pluviometrica, la struttura e la tessitura del suolo; tuttavia la maggiore frequenza si riscontra sui versanti a profilo regolare e media pendenza delle aree granitiche arenizzate, soprattutto in quelle aree in cui è carente la protezione di una adeguata copertura vegetale, immediata conseguenza dei ripetuti incendi. L'evoluzione di questo processo in alcune località dove aumentano gli spessori delle arenizzazioni o sono presenti le coltri detritiche, determina la formazione di solchi di erosione ; si tratta di forme attive, generate dall'incanalamento delle acque su superfici non protette dalla vegetazione o favorite da pratiche agricole non idonee, come le arature secondo le linee di massima Foto n° 5 : solco erosivo (M. Arbu) pendenza. Generalmente il fenomeno presenta una progressione di erosione regressiva verso monte ( testate di erosione regressiva ). I processi morfogenetici caratteristici del dilavamento e della dinamica fluviale sono particolarmente diffusi nella piana e strettamente connessi con la concentrazione e l'intensità delle precipitazioni. Lo studio dei medesimi è direttamente connesso agli aspetti idrologici; per l’identificazione di alcune forme si è quindi proceduto alla definizione del reticolo idrografico e delle linee di displuvio principali. I patterns di drenaggio risultano nettamente diversi in relazione alle litologie che attraversano. Nel complesso magmatico (graniti) il drenaggio è fortemente controllato dalla tettonica; le incisioni vallive sono

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chiaramente impostate sul sistema di fratturazione caratteristico (NNWSSE e SWNE), e danno origine ad un pattern di tipo angolato. Le vallecole, spesso simmetriche hanno un profilo caratteristico a “V” e danno luogo a una morfologia aspra caratterizzata da forti dislivelli ed elevate pendenze. Nell’area subpianeggiante e sui depositi di conoide, il reticolo idrografico si semplifica notevolmente; in genere i corsi d’acqua maggiori (S. Lucia, Masoni Ollastu e San Girolamo) proseguono il loro corso verso il mare, con andamento meandriforme e alveo a tratti fortemente inciso e attivo (come mostrano chiaramente gli orli di terrazzo fluviale) mentre tutte le linee secondarie di ruscellamento si disperdono nelle coltri detritiche e nei sedimenti delle conoidi o ancora nelle opere di sistemazione eseguite per l’edificazione. L’analisi geomorfologica della piana consente di definire le aree di terrazzo definite da orli a tratti ripidi aventi altezza anche di 10 metri (ad esempio Rio S’acqua e Tomasu o Rio Masoni Ollastu) in genere caratterizzate da forme di erosione particolarmente attive e insistenti con erosioni a solchi, fenomeni gravitativi, erosioni basali etc.; altrove gli orli dei terrazzi fluviali sono oramai manifestamente inattivi ma gli stessi interferiscono e favoriscono, specie in occasione di fenomeni di deflusso particolari (come in occasione dell’ultima alluvione) l’incanalamento delle acque correnti. La piana alluvionale ad est di Capoterra, verso lo , è attraversata, come già detto, dal Rio di S. Lucia, principale corso fluviale del comune che sbocca nello stagno al limite del territorio comunale. Qui la morfologia è decisamente pianeggiante e segnata frequentemente dai canali artificiali dovuti alla bonifica del margine ovest della fossa campidanese. In tali settori inoltre la morfologia ed i caratteri dei suoli presenti danno localmente luogo a zone con caratteristiche di drenaggio lento, con la presenza di falde stagionali superficiali, che potrebbero determinare zone di ristagno d'acqua temporaneo. Qualche zona di ristagno d'acqua stagionale, depressa, è inoltre individuabile sempre nella piana (zona Is Piscinas) sebbene la loro origine sia direttamente connessa comunque alla rete idrografica in parte scomparsa.

• Le forme e i processi di origine marina, lagunare e lacustre Gli stagni occupano solo una piccola porzione del territorio comunale di Capoterra e sono caratterizzati dalla presenza di depositi fluvio lacustri idromorfi e a tessitura fine con appunto scarso drenaggio delle acque superficiali. A ridosso di questa fascia si stende la piana caratterizzata come già detto da una fitta rete di canali di bonifica. La zona costiera appare come già detto in erosione, questo anche a causa del limitato apporto di sedimento dai corsi d’acqua maggiori intercettati con opere di sbarramento fluviale. Fatta eccezione per il tratto posto in corrispondenza della bocca lagunare, tutta la zona costiera manifesta una tendenza all’arretramento. Il verso del trasporto solido lungo riva è orientato in direzione SWNE, mentre alcuni apporti solidi fini provengono proprio dall’area del canale lagunare.

• Le forme di origine antropica Le attività antropiche hanno modificato in maniera sostanziale le caratteristiche naturali del paesaggio; sebbene nell’analisi geomorfologica si sia tenuto conto e siano state definite le principali opere di sbarramento fluviale, le ex attività di cava e miniera etc., appare certamente evidente che sia stata l’urbanizzazione talora incontrollata la principale causa di modifica dei sistemi morfologici e idrogeologici del territorio. Le modificazioni del reticolo idrografico secondario attraverso operazioni di bonifica atte a garantire l’edificazione; l’intercettazione dei compluvi al fine di favorire l’incanalamento delle acque per uso agricolo; l’edificazione in corrispondenza delle aree soggette a forti processi di dinamica erosiva, la realizzazione di opere viarie spesso non accuratamente definite in funzione delle caratteristiche geomorfologiche del territorio e altre che non stiamo qui ad elencare, hanno modificato in maniera sostanziale l’assetto geomorfologico del territorio. Tutto ciò incide in maniera sostanziale specie sul deflusso delle acque superficiali così come sarà meglio esplicitato nelle parti della relazione riguardanti la compatibilità idraulica.

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b) caratteristiche geopedologiche L’ambiente pedologico del territorio va visto in relazione alle caratteristiche delle formazioni geolitologiche presenti, ai diversi aspetti morfologici, climatici e vegetazionali. Poiché la litologia del substrato o della roccia madre ha una importanza fondamentale quale fattore nella pedogenesi dei suoli, le unità principali sono state delimitate in funzione delle formazioni geologiche prevalenti, e successivamente all'interno di esse sono state individuate delle subunità, distinte dalla morfologia del rilievo, dall'acclività e dall'uso del suolo prevalente. Le unità cartografiche così definite comprendono associazioni di suoli , cioé suoli differenti distribuiti armoniosamente in un dato paesaggio. La classificazione dei suoli utilizzata é quella proposta da Servizio del Suolo degli Stati Uniti ("Soil Taxonomy" del U.S.D.A.). Nel settore considerato, è stato possibile evidenziare diverse unità cartografiche. Sui litotipi metamorfici scistosi (Formazione di Pala Manna e Genna Muxerru) affioranti nel territorio, il suolo è generalmente assente o con roccia affiorante, con profilo AC e subordinatamente ABwC, poco profondo, tessitura da franco sabbiosa a franco argillosa, mediamente permeabile, subacido, parzialmente desaturato o poco spesso e caratterizzato da un eccesso di scheletro. Nell’area in cui affiora invece la Formazione di San Vito il profilo di suolo più diffuso è ABwC, ABtC e subordinatamente AC, da poco profondo a profondo, con tessitura da franco sabbiosa a franco argillosa, da permeabile a mediamente permeabile, subacido, parzialmente desaturato. Per ciò che concerne i pedotipi che si sviluppano sulle aree magmatiche (unità intrusive, campo filoniano etc.) si hanno ugualmente settori in cui i profili maggiormente diffusi sono AC, ABwC, con roccia affiorante e subordinatamente suoli a profilo ABtC, da poco a mediamente profondi, da sabbioso franchi a franco sabbioso argillosi, permeabili, da subacidi ad acidi, parzialmente desaturati. Localmente Nell’area pianeggiante i suoli assumono invece un profilo ABtC, A BtgCg e subordinatamente AC. Sono in genere profondi, con tessitura da franco sabbiosa a franco sabbioso argillosa in superficie, da franco sabbioso argillosi ad argillosi in profondità. La permeabilità è in genere variabile da permeabili a poco permeabili, con reazione da subacidi ad acidi, da saturi a denaturati. Ai fini della valutazione dello scorrimento superficiale conseguente ad eventi estremi, è stata effettuata una classificazione dei suoli dal punto di vista della capacità di infiltrazione. In particolare, sulla base dei tematismi di base definiti nei paragrafi dedicati, è stata mappata la distribuzione della permeabilità dei suoli raggruppandoli in funzione della loro capacità di infiltrazione. Considerato che nelle aree caratterizzate dalla presenza di litologie, lo spessore del suolo è sempre in genere assai esiguo, sono stati definiti i diversi caratteri di permeabilità sia distinguendoli sulla base della capacità di infiltrazione dei Fig. 6: Legenda permeabilità dei suoli e substrati suoli e sia sulla base della permeabilità dei substrati (porosità, fratturazione). Per i dettagli si osservi la Tav. VII

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c) Uso reale del suolo (tav. VI) L’analisi diretta eseguita in sede di elaborazione del P.U.C., integrata anche con l’osservazione delle fotografie aeree, ha consentito di elaborare una carta dell’Uso reale del suolo dalla quale sono emersi dati significativi riguardanti la distribuzione dei diversi ambienti naturali e colturali e quindi di potenziali effetti stabilizzanti per ciò che concerne le aree a rischio di frana. Di seguito si riporta la legenda della Carta di Uso del suolo utilizzata (che deriva dalla Legenda Corine Land Cover e che è stata utilizzata nell’ambito del presente studio). La struttura della legenda prevede 4 livelli di approfondimento gerarchici, partendo da un primo livello in cui il territorio viene diviso in 5 grandi classi: 1. SUPERFICI ARTIFICIALI 2. TERRITORI AGRICOLI 3. TERRITORI BOSCATI ED ALTRI AMBIENTI SEMINATURALI 4. TERRITORI UMIDI 5. CORPI IDRICI Partendo da questa classificazione, per approfondimenti successivi, sia nel contenuto informativo, che nel dettaglio geometrico e quindi cartografico, si è arrivati ad un IV livello di approfondimento. La descrizione delle voci di legenda (laddove disponibili) intende fornire un quadro di riferimento dei criteri seguiti per la discriminazione delle classi nella Carta di Uso del suolo (con leggeri accorpamenti rispetto alla legenda usata a livello regionale); riveste un’importanza notevole come riferimento per la terminologia utilizzata nei diversi contesti tecnici e scientifici. La condivisione di questa classificazione permette di armonizzare, secondo uno standard europeo, informazioni descrittive di estrema importanza non solo in questa fase di pianificazione ma anche nella pianificazione paesaggistica. Di seguito si riportano i tematismi individuati nella carta dell’uso reale del suolo (tav VI)

1) Superfici articiali Tessuto residenziale denso e compatto: Spazi strutturati dagli edifici e dalla viabilità. Gli edifici la viabilità e le superfici ricoperte artificialmente occupano più del 50% della superficie totale. La vegetazione non lineare e il suolo nudo rappresentano l'eccezione. Sono compresi i tessuti storici, quelli novecenteschi e comunque quelli strutturati ad isolati chiusi, continui. I tessuti composti da palazzine e villini con spazi aperti intervallati agli edifici.

Tessuto residenziale rado Zone urbane discontinue con ampi spazi aperti dove comunque gli edifici, la viabilità e le superfici ricoperte artificialmente coprono oltre il 50% della superficie totale.

Tessuto residenziale rado e nucleiforme Superfici occupate da costruzioni residenziali distinte ma raggruppate in nuclei che formano zone insediative di tipo diffuso a carattere estensivo. Gli edifici, la viabilità e le superfici coperte artificialmente coprono meno del 50% e più del 10% della superficie totale dell'unità cartografata. Devono risultare evidenti forme di lottizzazione nell'area individuata.

Fabbricati rurali Superfici occupate da costruzioni rurali, fabbricati agricoli e loro pertinenze – stalle, magazzini, caseifici, cantine viticole, frantoi, ecc.. che formano zone insediative disperse negli spazi seminaturali o agricoli. Gli edifici, la viabilità e le superfici coperte artificialmente coprono meno del 30% e più del 10% della superficie totale dell’unità cartografata.

Insediamenti industriali/artigianali e commerciali e spazi annessi Comprende strutture ospedaliere o scolastiche, uffici, impianti di smaltimento rifiuti e depurazione acque etc..., che da soli o in associazione occupino più di 1 ha di superficie. Devono risultare inclusi gli spazi annessi (parcheggi, viabilità, verde di arredo).

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Reti ed aree infrastrutturali stradali e ferroviarie Reti stradali e spazi accessori Aree eliportuali ed eliporti

Aree estrattive Estrazione di materiali inerti a cielo aperto, anche in alveo (cave di sabbia, nghiaia e di pietra) o di altri materiali (miniere a cielo aperto). Sono qui compresi gli edifici e le installazioni industriali associate oltre a superfici pertinenti a cave o miniere abbandonate e non recuperate.

Discariche Depositi di rottami a cielo aperto, cimiteri di autoveicoli

Cantieri Spazi in costruzione, scavi e suoli rimaneggiati

Aree verdi urbane Spazi ricoperti da vegetazione compresi nel tessuto urbano Ne fanno parte parchi urbani di varia natura (ville comunali, giardini pubblici e privati, compresi gli edifici e i manufatti interni al perimetro).

Aree ricreative e sportive Cimiteri

2) Territori agricoli Comprendono gli edifici sparsi e i relativi annessi, quando non classificabili nella classe dei territori modellati artificialmente perché di estensione inferiore all’unità cartografabile.

Seminativi in aree non irrigue: Sono da considerare perimetri non irrigui quelli dove non siano individuabili per fotointerpretazione canali o strutture di pompaggio. Vi sono inclusi i seminativi semplici, compresi gli impianti per la produzione di piante medicinali, aromatiche e culinarie.

Prati artificiali Colture foraggere ove si può riconoscere una sorta di avvicendamento con i seminativi e una certa produttività, sono sempre potenzialmente riconvertibili a seminativo, possono essere riconoscibili muretti o manufatti.

Seminativi semplici e colture orticole a pieno campo Vivai Colture in serra

Vigneti Superfici piantate a vite, comprese particelle a coltura mista di olivo e vite, con prevalenza della vite.

Frutteti e frutti minori Impianti di alberi o arbusti fruttiferi. Colture pure o miste di specie produttrici di frutta o alberi da frutto in associazione con superfici stabilmente erbate. Sono compresi i noccioleti e i mandorleti da frutto.

Oliveti Superfici piantate a olivo, comprese particelle a coltura mista di olivo e vite, con prevalenza dell’olivo.

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Prati stabili Superfici a copertura erbacea densa a composizione floristica rappresentata principalmente da graminacee non soggette a rotazione. Sono per lo più pascolate, ma il foraggio può essere raccolto meccanicamente. Sono comprese inoltre aree con siepi.

Colture temporanee associate all’olivo Colture temporanee associate ad altre colture permanenti Colture temporanee associate al mandorlo

Sistemi colturali e particellari complessi Mosaico di appezzamenti singolarmente non cartografabili con varie colture temporanee, prati stabili e colture permanenti occupanti ciascuno meno del 50% della superficie dell'elemento cartografato.

Aree prevalentemente occupate da colture agrarie con presenza di spazi naturali importanti Le colture agrarie occupano più del 25% e meno del 75% della superficie totale dell'elemento cartografato

Aree agroforestali Colture temporanee o pascoli sotto copertura arborea di specie forestali inferiore al 20%. La specie forestale arborea è diversa dalla sughera.

3) Territori boscati e ambienti seminaturali Bosco di latifoglie Formazioni vegetali, costituite principalmente da alberi, ma anche da cespugli e arbusti, nelle quali dominano le specie forestali latifoglie. La superficie a latifoglie deve costituire almeno il 75% della componente arborea forestale. Sono compresi in tale classe anche le formazioni boschive di ripa e gli uliveti abbandonati ricolonizzati da vegetazione naturale anche in una fase avanzata di evoluzione a bosco. Sono comprese anche le sugherete miste con altre latifoglie, qualora non possano essere classificate come boschi puri di sughera.

Pioppeti, saliceti, aucalitteti etc. anche in formazioni miste

Sugherete Popolamenti puri di querce da sughera con copertura >25% con evidenti cure colturali.

Boschi di conifere Formazioni vegetali costituite principalmente da alberi, ma anche da cespugli ed arbusti, nelle quali dominano le specie forestali conifere. La superficie a conifere deve costituire almeno il 75% della componente arborea forestale, altrimenti è da classificare bosco misto di conifere e latifoglie.

Macchia mediterranea Associazioni vegetali dense composte da numerose specie arbustive, ma anche arboree in prevalenza a foglia persistente, in ambiente mediterraneo.

Area a ricolonizzazione naturale Aree in ambito agricolo caratterizzate dall’avanzata reinvasione di specie arbustive.

Area a ricolonizzazione artificiale Aree in cui sono evidenti gli interventi e le opere preparatorie agli impianti come gradonamenti, buche ecc. anche se talvolta, attualmente, la vegetazione spontanea può avere preso il sopravvento sulle specie impiantate.

Spiagge di ampiezza superiore ai 25 metri

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Aree dunali coperte da vegetazione di ampiezza superiore ai 25 metri Aree con vegetazione rada > 5% e < 40%

4) Territori umidi Saline

5) Corpi idrici Fiumi, torrenti e fossi Canali e idrovie Bacini artificiali Lagune laghi e stagni costieri

INQUADRAMENTO GEOLOGICO GENERALE Ai fini della valutazione della compatibilità geologica geotecnica ed idraulica, è stato eseguito un rilevamento geologico diretto di dettaglio atto ad aggiornare le basi geologiche già conosciute quali appunto la base dati fornita dalla R.A.S. (Carta geologica ex progetto CARG) ed inoltre la Carta geologica allegata al vigente P.U.C. di Capoterra. La definizione dei diversi tematismi è basata su criteri di distinzione litologica, differenziando cioè unità dotate di caratteristiche litologiche, petrografiche e/o mineralogiche, sedimentologiche ecc. riconoscibili sul terreno e distinguibili da quelle adiacenti. Sono stai poi distinti i limiti tra Unità litologiche e terreni di copertura significativi, le faglie, le strutture principali. Questo elaborato costituisce la base informativa, assieme alla carta dell’uso reale del suolo e a quella dell’acclività, per la definizione della carta dell’instabilità potenziale dei versanti. Dall’esame e rilievo si osserva che l’ossatura geologica del territorio è rappresentata dalle litologie metamorfiche paleozoiche di anchizonaepizona appartenenti alle falde esterne e alla zona esterna (Iglesiente –Sulcis) e da quelle magmatiche granitiche connesse all’orogenesi ercinica. Tali litologie occupano tutto il settore pedemontano e collinare posto a Ovest del territorio. Il settore Est del medesimo e che si sviluppa sino alla piana costiera, è invece occupato dai depositi a diversa consistenza, derivati dall’erosione dei rilievi e che si sono depositati nella piana antistante. Nello specifico, la successione litologica riscontrata nel territorio e uniformata con la nomenclatura ufficiale, può essere così riassunta dall’alto verso il basso riportando quando esplicitamente indicato negli elaborati grafici (Tav. IV)

Depositi quaternari  Depositi lacustri, palustri. Età: Olocene  Depositi di spiaggia. Sabbie e ghiaie, talvolta con molluschi, etc. Età: Olocene  Depositi alluvionali attuali dei principali corsi d’acqua costituiti da ghiaie poligeniche con ciottoli e blocchi. La sedimentazione, specie verso il mare, è localmente fine di tipo sabbioso e limoso argilloso. Età Olocene  Depositi alluvionali recenti ed attuali, a granulometria grossolana, costituiti da ghiaie con intercalazioni di sabbie, legati prevalentemente alle fasce golenali ma non terrazzati. Età Olocene  Depositi di versante. Detriti con clasti angolosi, talora parzialmente cementati, età Olocene. Sono particolarmente diffusi sui versanti degli elementi fisiografici principali e presentano spessori anche di anche diversi metri.  Depositi alluvionali terrazzati costituiti prevalentemente da ghiaie poligeniche con limitate lenti e livelli di sabbie, limi e ghiaie a stratificazione incrociata, associati prevalentemente a meccanismi di deposito di cono torrentizio Età Olocene.  Sintema di Portovesme: subsintema di Portoscuso costituito da ghiaie alluvionali terrazzate, poligeniche, subordinatamente da sabbie e ghiaie a stratificazione incrociata e planare, detriti di versante e brecce a clasti mediamente grossolani a spigoli angolosi. Età Pleistocene sup.).

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Complesso Intrusivo e filoniano tardo palezoico. Unità intrusiva di Villacidro  Filoni idrotermali a prevalente quarzo, spesso mineralizzati a barite e fluorite, con solfuri metallici (Pb, Zn, Cu, Fe, etc). Età: CarboniferoPermiano  Porfidi granitici, di colore prevalentemente rosa e rosso, a fenocristalli di Qtz e Kfs, a giacitura prevalentemente filoniana, talvolta in ammassi. Età Carbonifero – Permiano  Filoni intermediobasici a composizione andesitica o basaltica, a volte porfirici, con fenocristalli di anfibolo in pasta di fondo da afirica a microcristallina; generalmente molto alterati. Età Carbonifero –Permiano  Facies Punta de Peis de Pruna (UNITÀ INTRUSIVA DI VILLACIDRO). Leucomonzograniti a biotite a grana media o mediofine, rosati, da equigranulari a moderatamente inequigranulari, tessitura isotropa. Litofacies di bordo da porfiriche a microgranulari con frequenti lenti aplopegmatitiche metriche. In località Monte Pauliaria è assai notevole l’abbondanza di vene quarzose ed ossidi di ferro. Età Carbonifero Permiano

Unità intrusiva di Santa Barbara  Facies S'Arcu Varzia (UNITÀ INTRUSIVA DI SANTA BARBARA). Il litotipi è particolarmente diffuso nell’area del M. Santa Barbara, vicino all’abitato di Poggio dei Pini, dove vasti affioramenti di microgranodioriti si rinvengono intrusi dalle manifestazioni di leucomonzogranito a biotite. Dal punto di vista tessiturale la microgranodiorite si presenta macroscopicamente isotropa a struttura porfirica con abbondanti fenocristalli di pl, qz, Kfeld, Età: Carbonifero – Permiano  Facies S'Arriu de Sa Figu (UNITÀ INTRUSIVA DI SANTA BARBARA). Masse tonaliticogranodioritiche microgranulari, da metriche a ettometriche (P.ta Moru Nieddu, M. S. Barbara), talora associate a xenoliti del basamento metamorfico. Età Carbonifero Permiano.

Basamento metamorfico Paleozoico. Unità Tettonica dell’Arburese: Arenarie di San Vito  ARENARIE DI SAN VITO. Alternanze irregolari, da decimetriche a metriche, di metarenarie mediofini, metasiltiti da brune a grigie, caratterizzate da laminazioni pianoparallele, ondulate ed incrociate e/o convolute, di spessore dal millimetri al centimetro (P.ta Su Aingiu Mannu), e metasiltiti micacee di colore grigio. Localmente sono presenti intercalazioni di metamicroconglomerati poligenici minuti, a prevalenti clasti subarrotondati di quarzo e di subordinate quarziti cui si associano metarenarie microconglomeratiche con clasti subarrotondati di quarzo e con frequenti granuli detritici di plagioclasio e muscovite nella matrice, Età: Cambiano – Ordoviciano

Zona esterna dell’Iglesiente –Sulcis. Successione “post discordanza sarda” Formazione di Pala Manna La formazione di Pala Manna è di tipo vulcano sedimentaria sinorogenica (flysch ercinico tipo Culm). Si tratta di materiali deposti nell’avanfossa della catena ercinica e ripresi poi successivamente nei movimenti traslativi. Si distinguono:  FORMAZIONE DI PALA MANNA. Alternanza di metarenarie e metasiltiti con laminazioni incrociate e pianoparallele; localmente metaconglomerati ad elementi di liditi e rare metavulcaniti basiche cloritizzate e metavulcanoclastiti., Età Carbonifero  Litofacies nella Formazione di pala Manna: Metaquarzoareniti listate in bancate, Età Carbonifero

Formazione di Genna Muxerru (Scisti a Graptoliti auct.)  FORMAZIONE DI GENNA MUXERRU. Metapeliti e metasiltiti nere carboniose, talora sottilmente stratificate, grafitose, in genere con pirite e localmente fossilifere. Nella parte alta sono presenti intercalazioni di lenti e/o livelli di originari calcari e marne

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con livelli pelitici , trasformati in skarn mentre nella parte inferiore della formazione gli scisti carboniosi contengono intercalazioni di liditi. Età: Siluriano.

Per ciò che concerne l’area marina sono state identificate le seguenti categorie:  sabbie fini, Età Olocene  Prateria a Posidonia oceanica su matte morta, Età Olocene

Nella Carta geolitologica sono stati associati tutti gli elementi simbologici connessi alla stratigrafica e struttura. In particolare: Stratificazione a polarità sconosciuta Stratificazione rovesciata; Superficie di scistosità della II fase ercinica. Contatto stratigrafico Faglia certa, presunta Faglia trascorrente certa, presunta Sovrascorrimento principale certo, presunto

INQUADRAMENTO IDROGEOLOGICO a) idrologia superficiale L’area in questione, secondo la classificazione dei bacini sardi riportata nel Piano di Assetto Idrogeologico, è inclusa nel Sub – Bacino n° 7 Flumendosa – Campidano – Cixerri. Le acque del settore non si immettono però in alcuno dei bacini idrografici delle aste principali ma all’interno dell’area sono presenti diversi bacini montani che saranno meglio caratterizzati nel proseguo della presente relazione, che drenano le acque direttamente verso il tratto costiero antistante. All’interno del territorio di Capoterra possono essere quindi distinti i seguenti bacini idrografici secondari: Bacino idrografico dello Stagno di Cagliari che occupa la porzione Nord orientale del territorio e sul quale non si rileva un’idrografia incanalata ben definita; Bacino idrografico del Rio Santa Lucia che drena le acque della vallata del Gutturu Mannu e sul quale si riversano le acque del settore urbano e collinare antistante l’abitato di Capoterra. Il bacino è impostato globalmente su litologie prevalentemente metamorfico scistose e nel tratto ricadente nel territorio di Capoterra è impostato sui depositi alluvionali antichi e recenti fatta eccezione per l’area granitica di Monte Arbu e delle aree scistose retrostanti (Punta S’acquaferru, Punta Sa Stiddiosa). All’interno del territorio l’asta principale è orientata in direzione NNWSSE per una lunghezza di circa 4,3 Km prima di riversare le sue acque direttamente nello stagno. Gli affluenti principali nell’area del territorio comunale provengono tutti dalla destra idrografica e possono essere così distinti. Il Rio S’acqua e Tomasu , che nasce nel versante occidentale di Monte Arbu e che con andamento EW si snoda a nord dell’abitato di Capoterra su una vallata che nel tratto antistante l’abitato si presenta a fondo prevalentemente piatto, profonda ed incisa e sui cui fianchi sono evidenti intensi processi erosivi attivi. Nel territorio di Capoterra drena un bacino idrografico avente superficie di circa 1,8 Kmq di cui il 25% circa è occupato da metamorfiti granitiche e scistose impermeabili mentre la restante parte è impostata sull’unità idrogeologica detritico quaternaria e su quella delle alluvioni plioquaternarie. Il

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settore costituito dalle unità litologiche è anche quello caratterizzato da pendenze maggiormente elevate maggiori del 20% e nella parte apicale maggiori dell’80%. I tratti montani del bacino e alcuni settori del tratto medio basso sono comunque caratterizzati da processi erosivi di rilievo in aree franose che danno origine al trasporto solido a tratti grossolano del corso d’acqua. Alcuni compluvi del settore orientale del versante del Monte Arbu e sino alla località Santa Rosa, si sono riattivati unicamente in occasione dell’evento del 2008. L’analisi della cartografia storica, svolta ai fini della valutazione dell’evoluzione della rete idrografica, evidenzia la presenza all’interno del bacino di numerose incisioni vallive con testate di erosione regressiva che si approfondivano in corrispondenza del passaggio tra le coperture detritiche colluviali e l’area granitica del rilievo (M. Arbu). Tali compluvi che confluivano all’interno del centro urbano (Rio Liori), sono attualmente intercettati dal canale di guardia e immessi direttamente nel Rio S’acqua e Tomasu. Il Rio Liori che così come già detto raccoglieva le acque del settore orientale del Monte Arbu e con orientamento EW, convoglia i deflussi direttamente nel Rio Santa Lucia dopo aver accolto anche le acque del Rio Congia (canale interno all’edificato). Il corso d’acqua è attualmente parzialmente tombato e attraversa il centro abitato di Capoterra. Parte dei deflussi che lo alimentavano, dal tratto montano, sono attualmente incanalati a seguito della realizzazione delle opere di bonifica idraulica, verso il Rio S’acqua e Tomaso. Di seguito sono riportate alcune ricostruzioni dell’andamento della rete idrografica citata (Rio S’Acqua e Tomaso, Rio Liori e tratto iniziale del Rio Santa Lucia) in relazione all’espansione dell’abitato a partire dalla fine del 1800. In via del tutto generale si osserva che rispetto alla situazione attuale, le differenze sostanziali sono da porre in relazione con le opere di bonifica eseguite a seguito dell’alluvione del 1999 con le quali sono stati intercettati alcuni compluvi per immetterli in bacini idrografici differenti. L’espansione residenziale ha inoltre modificato in modo particolare, l’assetto idrografico superficiale nell’area della frazione di Santa Rosa e all’interno del centro urbano che negli anni si è inoltre spinto ad inglobare le fasce spondali del Rio S’Acqua e Tomaso. Inoltre il riordino fluviale del Rio Santa Lucia ha regolarizzato i deflussi in tutto il settore orientale del territorio.

Fig. 7: Rete idrografica (rosso) e margine dell’edificato (tratteggio giallo) alla fine del 1800

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Fig. 8: Rete idrografica (blu) e margine dell’edificato (tratteggio giallo) intorno al 1970

Fig. 9: Rete idrografica (giallo) nella situazione attuale

Il Rio Baccu Tinghinu scorre nel margine meridionale dell’abitato; raccoglie le acque del settore posto tra Punta Sa Stiddiosa e Monti Arrubiu; con un alveo ben definito attraversa la compagine paleozoica impermeabile sino all’ingresso della zona di bonifica antistante l’area del cimitero. Da qui è comunque incanalato con opere di bonifica sino al Rio Santa Lucia. Il suo bacino ha una superficie di circa 3,5 Kmq di cui circa 1 Kmq è occupato da litologie metamorfiche e granitiche paleozoiche caratterizzate da un’acclività medio elevata, a tratti fittamente boscate. Vaste aree montane sono caratterizzate dalla presenza di estese aree detritiche che alimentano il trasporto solido del corso d’acqua. La ricostruzione dell’andamento del suo corso, a partire dall’area in cui sorge il cimitero comunale, risulta difficoltosa a causa della mancata indicazione nella cartografia, del deflusso principale del corso d’acqua.

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Fig. 10: Confronto nel tempo della rete idrografica del Rio B. Tinghinu

Nella figura 10 si osserva chiaramente che sia nella cartografia di fine 1800 (I.G.M. in scala 1:25.000) e sia nella Carta Tecnica Regionale di fine anni 70, l’asta fluviale veniva segnata sino al tratto antistante dell’abitato. L’analisi della figura 11 svolta sull’ortofoto del 1954 sembra invece mostrare un percorso del Rio Baccu Tinghinu a Nord dell’area cimiteriale (segnata in rosso).

Fig. 11: Rio Baccu Tinghinu nei pressi dell’area cimiteriale (ricostruzione ipotetica da ortofoto del 1954)

In effetti analizzando le caratteristiche geomorfologiche dei luoghi, osservando che il tratto collinare granitico antistante il cimitero orienterebbe i deflussi in fase di piena verso NE, si ritiene probabile che il corso d’acqua seguisse un percorso immediatamente a Nord del cimitero. ______32 Dott. Ing. Giovanni Perfetto Dott. Geol. Antonello Frau

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In definitiva si ritiene comunque che il deflusso si disperdesse poi nella conoide alluvionale antistante formata proprio dal trasporto operato nel tempo dal corso d’acqua

Fig. 12: Ricostruzione del deflusso del Rio Baccu Tinghinu nei pressi dell’area cimiteriale

Le acque del Rio Baccu Tinghinu , disperdendosi nella conoide antistante, andavano in parte ad alimentare le falde freatiche della piana e in parte riemergevano in funzione della geomorfologia e della stratigrafia prima del Rio Santa Lucia e si immettevano o direttamente nel medesimo oppure nel Rio S’acqua is Margianis immediatamente adiacente che scorreva più a sud ed ora attualmente quasi totalmente bonificato. Il Rio S’Acqua is Margianis attualmente bonificato e che riceve le acque del Rio Baccu Tighinu dai canali artificiali eseguiti a monte dell’area cimiteriale, segue attualmente un percorso artificiale orientato prevalentemente in direzione EW e che ricalca comunque l’andamento storico del medesimo desunto dalla cartografia storica. Il bacino idrografico è estremamente limitato e impostato totalmente nell’area costituita dai depositi alluvionali. Poco più a sud si sviluppa, con andamento prevalentemente meandriforme e con alveo definito all’interno del complesso alluvionale, il Rio de Is Coddus che si immette sul Rio Santa Lucia a valle della zona di Is Pixinas. La superficie del Bacino imbrifero che confina con quello del Rio San Girolamo è di circa 6,15 Kmq. Parte dello stesso, per una superficie di circa 1 Kmq, è impostato sulle litologie granitiche. In questi settori l’acclività è in genere medio elevata mentre nella parte restante del bacino è in genere al di sotto del 10 %. L’asta principale è orientata in prevalenza in direzione EW e comunque ha un alveo a tratti ben delineato e inciso. Il bacino si trova comunque in condizioni medio basse di erodibilità di materiali grossolani e il trasporto solido è limitato a materiali a granulometria medio fine. Si noti anche come l’area depressa di Is Piscinas rappresenta la zona di recapito delle acque di tali settori.

Bacino Idrografico del Rio San Girolamo . Le conoscenze dell’evoluzione della rete idrografica del Rio San Girolamo sono certamente di buon livello a causa purtroppo degli eventi che hanno coinvolto il territorio nell’alluvione del 2008. Lo studio ricognitivo eseguito da parte del gruppo di lavoro della Direzione Generale della Pianificazione Urbanistica, ha riportato dei dati esaurienti in merito alle caratteristiche del bacino idrografico e all’evoluzione della rete idrografica (alcuni dati riportati nella presente sono tratti da tale studio). Ulteriori informazioni sono inoltre state desunte dallo studio eseguito dall’Assessorato Lavori Pubblici per la definizione del Piano Stralcio Fasce Fluviali per il Rio San Girolamo e Masoni Ollastu. ______33 Dott. Ing. Giovanni Perfetto Dott. Geol. Antonello Frau

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Fig. 13: bacino idrografico dell’asta principale del Rio San Girolamo

Il bacino idrografico del Rio San Girolamo comprende attualmente anche quello del Rio Masoni Ollastu e presenta uno sviluppo areale con sezione di chiusura alla foce, pari a 25.6 Kmq. In realtà è possibile operare una distinzione considerando la sezione di chiusura alla confluenza dei due corsi d’acqua è si valuta in 15,1 Kmq l’estensione del bacino idrografico del Rio Girolamo e di 10.5 Kmq quella del Rio Masoni Ollastu.

Fig. 14: Suddivisione dei bacini idrografici nel territorio comunale

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Fig. 15: Rio San Girolamo e Rio Masoni Ollastu nella Cartografia del fine 1800

Il bacino è impostato per circa 11,0 Kmq sulle litologie granitiche prevalentemente impermeabili o scarsamente permeabili; il settore posto in sinistra idrografica che confina con l’isola amministrativa di Assemini è invece costituito da litologie metamorfiche (ugualmente con scarsa permeabilità) per una estensione di circa 1 Kmq. Vaste aree sono inoltre occupate da detriti di falda (circa 0,5 Kmq) e la parte restante del bacino è impostata sui depositi alluvionali quaternari. Tale area subpianeggiante è caratterizzata dalla presenza di vari terrazzi alluvionali che delimitano l’alveo di piena del Rio San Girolamo e sono caratterizzati sia da una infrastrutturazione diffusa e sia da aree agricole. I settori montani sono talora fittamente boscati e si rimanda alla carta dell’uso reale del suolo (tav. VI) per un approfondimento in merito. Il tratto montano è caratterizzato da un’acclività medio elevata e soggetto a forti erosioni. Gran parte delle aree detritiche sono localizzate in seno agli affluenti secondari che provengono dalle zone sommitali. Il pericolo di erosione dei suoli può essere considerato elevato. I principali affluenti del Rio San Girolamo sono il S’Arriu de Sa Figu ed il Canale S. Antoni in sinistra idrografica; in destra idrografica il riu de Sa Scabitzada, il canale Santa Barbara, il riu Is Tintionis ed il riu de Malamorti. Il pattern è di tipo dendritico per effetto della presenza di vaste aree impermeabili; l’asta principale è rivolta dapprima NS e per effetto delle lineazioni tettoniche tende a disporsi successivamente EW e NNWSSE sino alla foce. Dall’analisi della cartografia storica emerge che i due corsi d’acqua (Rio San Girolamo e Rio Masone Ollastu), avevano in passato due foci distinte che sono state unificate intorno agli anni 50. Specialmente a ridosso della foce, dalla medesima cartografia, si rileva la presenza di terrazzi marini che segnano l’area di foce dei corsi d’acqua. La presenza di queste forme indica una morfologia passata, precedente alle opere di deviazione degli alvei attuali e relativa all’ambiente di transizione tra la foce e il mare, sede di fenomeni di sedimentazione di materiali fini e ancora interessata da fenomeni di ingressione marina durante le mareggiate. Ulteriori modificazione dell’assetto idrografico nel bacino sono inoltre avvenute sia a seguito della realizzazione degli sbarramenti nel settore di Poggio dei Pini (costruito intorno

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al 1960) e sia con la costruzione di numerosi invasi di accumulo ad uso agricolo, spesso alimentati con canali di derivazione dal corpo idrico principale oppure costruiti in prossimità di tratti di alveo abbandonati dove hanno inoltre direttamente intercettato la falda freatica sottostante. A seguito delle urbanizzazioni inoltre anche gli affluenti secondari sono stati spesso interessati da opere varie di bonifica e deviazione.

Bacino Idrografico del Rio Masoni Ollastu . Abbiamo già accennato al fatto che il Bacino idrografico è attualmente parte integrante di quello del Rio San Girolamo sebbene in passato, prima dell’intervento dell’uomo avvenuto intorno agli anni 50, i due corsi d’acqua avessero due foci differenti. L’area montana del bacino è impostata interamente su litologie magmatiche a carattere granitico, su una superficie globale di circa 9 kmq. La restante parte drena invece le acque che circolano sulle coperture detritiche quaternarie. Il bacino si presenta soggetto localmente ad intensa attività erosiva sebbene sia comunque da considerare maggiormente stabile rispetto a quello adiacente del Rio San Girolamo. Sono infatti meno diffuse le coperture detritiche e i principali processi geomorfici sono solitamente legati a movimenti gravitativi che interessano il substrato granitico fratturato. La rete idrografica si presenta ben sviluppata con un pattern di tipo dendritico; l’asta tributaria è orientata in direzione WSWENE, condizionata dalle maggiori linee strutturali, mentre l’affluente maggiormente sviluppato proviene dalla destra idrografica (Rio Peppi sa Betuia) che con andamento prevalente in direzione NS raccogliendo le acque del Canale sa Craba, Canale Pisanu etc. dal settore meridionale del territorio, si innesta nel tributario principale alla quota di circa 100 m. s.l.m. Alla quota di 50 m ca. s.l.m., lasciate le profonde vallate paleozoiche, il corso d’acqua si snoda con andamento leggermente meandriforme all’interno dei terrazzi alluvionali fortemente incisi e interessati da intensi processi erosivi sui fianchi. A monte dell’area di Su Spantu, convergono inoltre le acque di alcuni affluenti minori il cui drenaggio è fortemente condizionato dalla presenza di diverse opere di captazione ed invaso per uso agricolo. Tale settore pedemontano del bacino idrografico, immediatamente a valle della direttrice dei primi rilievi allineati con “Sa Punta de Garroccu Farza”, è stato fortemente condizionato dalle numerose opere antropiche, come si rileva dall’analisi della cartografia storica.

Fig. 16: Bacino idrografico del Rio Masoni Ollastu

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Fig. 17: Settore pedemontano del bacino idrografico del Rio Masoni Ollastu

Le lineazioni “fucsia” indicano l’idrografia come rilevata dalla Carta I.G.M. della fine del 1800. Dalle stesse si rileva l’andamento della rete idrografica nei tratti in cui la stessa non è attualmente cartograficamente individuabile. Nei sopralluoghi diretti effettuati si rileva però che alcuni attraversamenti sono comunque tuttora visibili nonostante le notevoli trasformazioni antropiche e confermano l’assetto sopraevidenziato. L’elemento idrografico più importante e che ha subito importanti trasformazioni è però rappresentato dal Rio Lacunedda, a sud del limite del bacino idrografico attuale (linea rossa). I deflussi di tale corso d’acqua, per effetto delle variazioni operate nel tratto compreso tra Casa Cardia e Casa Angioni, si sviluppano attualmente al di fuori del limite del bacino idrografico mentre gli stessi venivano in passato convogliati naturalmente nel bacino del Rio Masoni Ollastu.

Bacino Idrografico del Monte Nieddu Il bacino idrografico si sviluppa nella parte montana del territorio di Capoterra, all’interno della compagine paleozoica sia granitica che metamorfica, ma i deflussi sono comunque orientati verso l’agro di Sarroch. Le acque vengono incanalate nelle aste idrografiche principali del Rio S’Arrideli, Canale is Scillaras, Rio de Bidda Mare. Le aste fluviali scorrono su vallate a “V”, profondamente incise e simmetriche; e danno origine ad un pattern di tipo dendritico per effetto della impermeabilità dei substrati.

b) idrologia sotterranea Sulla base della Carta geolitologica, accorpando le formazioni secondo le specifiche dei manuali R.A.S, è stato possibile definire una cartografia di tipo idrogeologico distinguendo i litotipi in base al diverso grado di permeabilità. Si è giunti così a suddividere lo stesso territorio in unità cartografiche a permeabilità omogenea ( Unità Idrogeologiche ). La permeabilità delle diverse formazioni è stata ricavata da un’indagine bibliografica preliminare, dalla carta litologica, e dai manuali R.A.S. Alle permeabilità dei substrati, sono stati poi sovrapposti i tematismi lineari e puntuali (idrografia, pozzi, ricostruzione della isopiezometrica etc.) Per ciò che concerne la descrizione delle classi di permeabilità si riporta sinteticamente la descrizione delle suddivisioni effettuate nel territorio:

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o Unità detritico carbonatica quaternaria rappresentata da sabbie marine di spiaggia e dunari, sabbie derivanti dall’arenizzazione dei graniti; detriti di falda, caratterizzata da una permeabilità alta per porosità;

o Unità delle alluvioni plio quaternarie rappresentata da depositi alluvionali; conglomeratici, arenacei, argillosi; depositi lacustropalustri, a permeabilità per porosità complessiva mediobassa; localmente medioalta nei livelli a matrice più grossolana.

o Unità magmatica paleozoica costituita dal complesso intrusivo ercinico: leucograniti, monzograniti, granodioriti, tonaliti, gabbri, gabbrotonaliti, granitoidi, filoni di porfidi riolitici, aplitici, pegmatitici, di quarzo e basaltici, ammassi di micrograniti. La permeabilità complessiva è bassa per fessurazione; localmente media in corrispondenza delle aree con sistemi di fratturazione sviluppati.

o Unità Metamorfica Superiore Paleozoica rappresentata da argilloscisti, metarenarie, metasiltiti, metavulcaniti, metatufi, metatufiti, quarziti, metapeliti, metaconglomerati, metarcose, metagrovacche, filladi, marmi, metacalcari nodulari, subordinati metacalcari. La permeabilità complessiva è bassa per fessurazione; localmente, in corrispondenza delle lenti carbonatiche, medioalta per fessurazione e carsismo.

Occorre precisare che la precedente distinzione, in assenza di sicure prove di permeabilità che consentano l’esatta determinazione del coefficiente K, è stata effettuata sulla base dei dati riportati in letteratura e dall’insieme delle osservazioni di campagna relative agli aspetti litologici, giaciturali etc. E’ comunque possibile che la permeabilità di certi litotipi, in seno alla medesima formazione, possa essere differente perchè al limite delle classi di permeabilità sopra definite. Sulla base delle informazioni suindicate, si osserva che il territorio in questione costituisce un complesso idrogeologico ben caratterizzato e relativamente semplice in funzione dei suoi aspetti morfologici e geologici. In generale la parte impermeabile o scarsamente permeabile del bacino è costituita dalle metamorfiti paleozoiche e dalle vulcaniti granitiche (bassa o nulla permeabilità per fessurazione) mentre tutti gli altri depositi presentano in genere una variabilità di permeabilità in funzione della tipologia di sedimento. Dal punto di vista idrogeologico le infiltrazioni che avvengono in seno alle coltri detritiche specie nelle aree di conoide, tendono ad alimentare le falde freatiche e profonde sottostanti. La piana di Capoterra presenta infatti sia un livello freatico superficiale e sia un potenziale sviluppo di un acquifero multifalda per effetto della variazioni della serie deposizionale alluvionale. La presenza di sedimenti più o meno fini intervallati alla deposizione di materiali ciottolosi e sabbiosi più grossolani, consente infatti la formazione di falde sospese che possono essere intercettate con le opere di trivellazione. Il livello freatico superficiale può comunque raggiungere il livello statico del p.c. in occasione di periodi di forte ricarica. L’ipotetica ricostruzione delle linee di deflusso sotterranee è stata eseguita sulla base del rilievo delle quote piezometriche dei diversi pozzi presenti nella piana. Si rileva che l’orientamento generale è in genere EW, con assi di drenaggio più o meno paralleli nella parte alta del territorio e tendenti a convergere verso l’area costiera. c) considerazioni sul trasporto solido Al fine di fornire dati utili in merito alle caratteristiche del trasporto solido, si riportano preliminarmente alcune considerazioni in relazione alle caratteristiche dei bacini idrografici indicati nella presente relazione. Le caratteristiche dei bacini devono logicamente essere diversificate in funzione della morfologia e dei parametri che differenziano i diversi tipi di trasporto. Vi sono dei settori nei quali prevale un trasporto solido in sospensione

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mentre altrove occorre procedere al calcolo della magnitudo, ossia il volume massimo di materiale detritico posto in movimento durante un evento di trasporto di massa su un conoide. Specie in occasione dell’ultimo episodio di inondazione si è potuto infatti rilevare, nel caso del bacino del San Girolamo, che l’evento di piena si è sviluppato con fenomenologie tipiche di trasporto di massa. Da un punto di vista generale si osserva che nei corsi d’acqua il trasporto solido è definito dall’azione che la corrente esercita sul fondo e sulle sponde dell’alveo in modo tale che il materiale venga movimentato a seconda delle caratteristiche dimensionali dello stesso e delle caratteristiche idrodinamiche. In via del tutto generale si osserva che la forza di trascinamento limite può essere in via generale espressa dai seguenti valori:

Granulometria Forza di trascinamento limite (Kg/m 2) Sabbia da 0.5 mm 0.240 Terra 0.500 Sabbia grossa 0.650 ghiaietto 1.250 ghiaia Da 1.400 a 2.900 ciottoli 3.200 Grossi ciottoli 15.000

Tab. IV : Forze di trascinamento limite

Sotto l’aspetto delle modalità di trasporto si distinguono sia la soluzione, la sospensione, il trascinamento e la fluitazione mentre sotto l’aspetto quantitativo lo stesso trasporto può avvenire sia in sospensione che come trasporto di fondo. Nel metodo di Aulitzky, riportato in letteratura, vengono distinte quattro categorie di trasporto definite per pericolosità crescente :  colate detritiche (debris Flow o muddebris flow)  correnti iperconcentrate (debris flood)  trasporto di fondo (bedload)  trasporto di sospensione prevalente (flood creek) Con il termine debris flow definito anche con il sinonimo di “colate detritiche” o “trasporto di massa” si intendono tutti i particolari e caratteristici eventi alluvionali a carattere non stazionario e con evoluzione in tempi molto rapidi caratterizzati da una elevata potenza distruttiva proprio per la velocità e la forza di impatto connessa al trasporto ingente di materiali litoidi a velocità non trascurabili. Si tratta infatti di manifestazioni parossistiche, caratterizzate da una concentrazione volumetrica dei sedimenti compresa generalmente tra il 30% e il 70% (fluido non newtoniano) che si possono generare per svariati motivi: dalla mobilitazione di sedimenti grossolani depositati nell’alveo di un torrente a seguito dell’instaurarsi di una corrente liquida superficiale prodotta da piogge intense; dal collasso di un versante con successiva trasformazione del movimento franoso in colata detritica dalla fluidificazione del materiale di una frana traslazionale o di scoscendimento in atto sia per passaggio di una corrente idrica superficiale sia per una emergenza idrica nella zona di cedimento; dal crollo di una diga naturale prodotta dall’occlusione del torrente a seguito di un evento franoso precedente o da una ostruzione in alveo dovuta a tronchi d’albero fluitati. La prima causa descritta risulta essere in genere quella più frequente e spesso può portare alla mobilizzazione di depositi prodotti in occasione di fenomeni precedenti, spesso di massi anche di dimensione ciclopica. Nel caso del territorio di Capoterra, anche sulla base dell’analisi dell’evento dell’anno 2008, si ipotizza comunque che la fenomenologia avvenuta a livello montano sia direttamente connessa sia al primo che al secondo caso.

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L’osservazione porta a constatare che la movimentazione, propagazione e arresto (completo e parziale) delle colate di detrito avviene sostanzialmente in concomitanza ad eventi pluviometrici caratterizzati da elevata intensità e che a causa della sollecitazione meteorica, i preesistenti volumi di materiale solido presenti nel bacino vengano parzialmente mobilitati in maniera graduale o repentina fino a dare origine ad un deflusso misto liquidosolido.

Fig. 18 : schema del processo di svolgimento di un debris flow Per ciò che concerne le altre tipologie di trasporto si evidenzia: correnti ipoconcentrate (debris flood): sono flussi di massa solida ed acqua con concentrazione volumetrica dei sedimenti in genere compresa tra il 20 e il 30% che solitamente non ha caratteristiche distruttive o di impatto come quelli prodotti da una colata; trasporto di fondo (bedload): moto dei sedimenti per scorrimento del letto attraverso il rotolamento, strisciamento e saltazione dei ciottoli e in genere la concentrazione dei sedimenti è solitamente del 1520% delle portate liquide. Si verifica in condizioni di pendenza modesta, tali per cui la miscela formata da acqua e particelle può essere assimilata ad un fluido newtoniano e il meccanismo è di tipo idrodinamico Trasporto in sospensione prevalente (flood creek): pericolosità degli eventi trascurabile in quanto il materiale trasportato è prevalentemente a granulometria fine e in sospensione. Anche questa tipologia di trasporto si verifica in condizioni di pendenza modesta, tali per cui la miscela formata da acqua e particelle può essere assimilata ad un fluido newtoniano e il meccanismo è di tipo idrodinamico

Per ciò che concerne la valutazione del trasporto medio annuo con riferimento ai bacini maggiori del territorio, si osserva che lo stesso, analogamente a quanto effettuato nella redazione del Piano Stralcio Fasce Fluviali, potrà essere valutato attraverso il metodo di Gavrilovic (1959). Le valutazioni espresse per il Rio San Girolamo nell’ambito della rivisitazione ed integrazione dello studio del Piano Stralcio fasce Fluviali, rilevano come per lo stesso corso d’acqua possa essere valutato, sull’intero bacino, un volume complessivo di circa 1200 m 3/anno; di questi circa 300 m 3/anno dovrebbero fermarsi presso il piccolo invaso di Poggio dei Pini, mentre i restanti 900 m 3/anno potrebbero pervenire direttamente in mare. Nel medesimo studio citato eseguito dalla R.A.S., si definisce che i volumi ricavati sono nel complesso bassi sia in assoluto sia in relazione al contesto sardo, che di per se stesso è già caratterizzato da valori di trasporto solido potenziale modesti; tali risultati sono dovuti al concorso di tre differenti fattori ovvero l’estesa copertura boschiva, un substrato costituito in prevalenza da rocce cristalline poco erodibili, l’assenza di aree in frana. Analogamente a quanto indicato per il Rio San Girolamo, per il quale nella presente si ritiene che il valore indicato dalla R.A.S. dovrebbe essere ridotto di circa un 25%, una indicazione di massima con applicazione del medesimo metodo al Rio Masoni Ollastu, consente di definire un valore di trasporto medio annuo per tale bacino pari a 600 mc circa. Valori invece estremamente contenuti variabili nell’ordine dei 100150 mc/anno possono essere definiti per gli altri corsi d’acqua minori (S’Acqua e Tomasu, Baccu Tinghinu).

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Da quanto sinora evidenziato a parere degli scriventi, si evince che comunque la tipologia di movimento, potenzialmente attuabile anche in funzione delle caratteristiche geologicomorfologiche dei bacini idrografici di Capoterra, e sulla base delle osservazioni di quanto accaduto nell’ultima alluvione dell’ottobre 2008, può essere differenziato nella seguente maniera: o Aree montane e pedemontana, tipica di debris flow (e correnti ipoconcentrate) alimentato da un bacino di drenaggio nel quale avviene l’erosione anche di materiali di grossa cubatura che tramite il canale di flusso determinano la formazione di conoidi di deiezione in corrispondenza dell’area pedemontana . o Aree pianeggianti e subpianeggianti: trasporto di fondo e trasporto in sospensione e locali correnti ipoconcentrate. A seguito della valutazione delle condizioni geomorfologiche dei bacini idrografici si ritiene che gli apporti principali durante gli eventi simili a quelli dell’alluvione del 2008, derivino da movimenti in massa che avvengono soprattutto in corrispondenza dei corpi idrici fluviali del I e II° ordine. Data l’importanza dei movimenti di massa che generano ingenti quantità di solidi disponibili, ci soffermeremo di seguito su alcune considerazioni di carattere generale relative ai debris flow evidenziando che le condizioni di innesco di un tal fenomeno sono sempre legate ad una improvvisa disponibilità d’acqua, a seguito di precipitazioni intense ma di breve durata, in un materiale già saturato o prossimo alla saturazione da precedenti eventi di pioggia. Diventa quindi di fondamentale importanza la definizione di una soglia di “allarme” ossia della definizione della quantità critica di pioggia e delle soglie al di sopra delle quali il rischio di innesco di un debris flow è molto alto. In genere si fa ricorso a due parametri fondamentali: intensità delle precipitazioni I, espressa in mm/ora la durata delle precipitazioni D, espressa in ore Uno dei modelli di definizione delle curve di soglia ritenuto abbastanza valido a livello mondiale è stato quello proposto da Caine (1980) che identificò la retta critica I = 14,82 D 0,39 A livello nazionale per alcune regioni del nord Italia (Piemonte, Lombardia, Toscana, Campania) sono state comunque sviluppate ulteriori relazioni di tale forma (I=aD b). Effettuando un’analisi a ritroso dell’evento avvenuto a Capoterra, si ritiene che per effetto della morfologia dei luoghi e per l’esplicarsi degli eventi, possa essere comunque definita una relazione molto simile a quelle prodotte per le Alpi Apuane (I=26.87D0.64 ) o per la Valtellina (I=44.67D0.78 ) ma sarebbe auspicabile pervenire alla realizzazione di un modello in tal senso, con appropriati studi di dettaglio. Per ciò che concerne la valutazione della magnitudo, le valutazioni quali quantitative espresse per il Rio San Girolamo nell’ambito della rivisitazione ed integrazione dello studio del Piano Stralcio fasce Fluviali rilevano come per lo stesso corso d’acqua, a seguito dell’analisi effettuata in ambiente GIS dei rilievi digitali del terreno, svolti in fase di pre e post alluvione, possa essere quantificato un volume deposto di 69.024 m3 nel tratto a monte della sezione Hydrocontrol, di 77.697 m3 nel tratto compreso tra il suddetto e lo sbarramento di Poggio dei Pini e di 54.566 m3 nel tratto della valle alluvionale sottostante lo sbarramento e sino alla confluenza con il Rio Masoni Ollastu. L’analisi quantitativa del trasporto solido effettuata nell’ambito del suddetto progetto della R.A.S., avvenuto durante l’evento alluvionale dell’ottobre 2008 ha quindi permesso di stimare un volume di materiale sedimentato di poco superiore ai 200.000 m3. L’applicazione della formula di D’Agostino 0,67 del 1996 (M s= 29100A ) secondo i redattori dello studio è quella che più si avvicina al valore calcolato dal confronto dei rilievi digitali del terreno in ambiente GIS e convalidato con i sopralluoghi effettuati dopo l’evento alluvionale. Secondo quindi tale ricostruzione il Rio San Girolamo, sulla base delle caratteristiche del bacino idrografico e delle alluvioni storicamente registrate, ha la potenzialità di generare un conoide di deiezione ad alta pericolosità. Le valutazioni sopra espresse esplicitano inoltre che l’applicazione delle Formule empiriche, riportate nella seguente tabella tratta dallo studio citato, forniscono tutte valori sottostimati fatta eccezione per quella di D’Agostino (già citata).

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APPLICAZIONE FORMULE EMPIRICHE ANALISI GIS

Formula Autore Volume stimato 0,61 3 Ms= 13600A Takei (1986) 71.238 m 3 Ms= K bAi Kronfellner – Kraus (1984) 69.061 m 201.287 m 3 0,67 3 Ms= 29100A D’Agostino (1996) 179.394 m

1,5 -0,3 3 Ms= 39Ai (IG)(IT) D’Agostino (1996) 63.601 m

1,3 3 Ms= 211Ai D’Agostino (1996) 55.434 m

-0,005A 3 Ms= (667e )Ai D’Agostino Cereato, Coali (1996) 84.054 m 1,28 3 Ms= 70Ai (IG) D’Agostino et Alii (2001) 70.399 m

Tab. V : Risultati della valutazione della magnitudo espresse per il Rio San Girolamo (tratta dagli studi regionali eseguiti nell’ambito della rivisitazione del PSFF)

Nel presente studio si osserva che ritenendo certamente rispondente alla realtà l’analisi GIS; l’applicazione delle suddette formule empiriche dovrebbe essere relazionata anche alle caratteristiche geomorfologiche e geolitologiche dei bacini idrografici. Le stesse andrebbero applicate anche per singoli settori in corrispondenza delle aste montane comunque limitando l’applicazione del peso della superficie del bacino unicamente alle condizioni in cui lo stesso si trova nelle condizioni di sviluppare un trasporto di massa (escludendo quindi il contributo delle superfici inerenti le aree subpianeggiante e costiere che verrebbero ad aumentare e sovradimensionare il valore determinando una non rappresentatività dell’applicazione ). Ai fini del calcolo potrebbero quindi seguirsi due possibilità:

o applicazione del metodo empirico unicamente ai settori del bacino ricadenti in area montana e pedemontana del Rio San Girolamo e Rio Masoni Ollastu o eventuali altri corsi d’acqua (quindi utilizzando una sezione di chiusura rispettivamente immediatamente a valle della sezione Hydrocontrol e nell’area immediatamente a valle dello sbarramento sventrato di Is Guventus);

o Sommatoria delle eventuali magnitudo calcolate in corrispondenza delle aste montane affluenti sia in destra e sinistra idrografica che sono responsabili dei maggiori apporti per debris flow specie per la presenza di estese aree detritiche e potenzialmente instabili . Il primo caso tiene però conto di estese aree di bacino idrografico nel quale si rilevano anche adeguate condizioni di stabilità per effetto della presenza di aree granitiche e rocciose; in questo caso il contributo areale nelle formule è quindi elevato e si sta applicando una formulazione generale ipotizzando che un’eventuale conoide di deiezione si sviluppi immediatamente a valle dei punti considerati. Applicando il metodo di d’Agostino solo al settore di bacino indicato, si avrebbe nel caso del Rio San Girolamo una magnitudo pari a ca. 107.000 mc (quindi nettamente sottodimensionata). La seconda ipotesi è quella nella quale potrebbero trovare applicazione anche altri sistemi di calcolo come per esempio le formulazioni eseguite nell’ambito di bacini aventi materiali facilmente movimentabili ed erodibili. La presenza infatti di estese fasce detritiche (talora pseudocoesive), computate singolarmente nei diversi settori in cui si sono proprio sviluppati movimenti in massa (rete idrografica del I e II ordine) permette l’applicazione di formule empiriche quali quelle del metodo di Bottino e Crivellari che comunque consentirebbe di stimare un valore di magnitudo di oltre 200.000 mc come apporto e quindi sommatoria dei contributi di tutte le aste secondarie sino alla sezione Hydrocontrol . Anche l’applicazione del metodo di D’Agostino, applicato singolarmente ai singoli bacini in cui possono svilupparsi unitariamente i singoli episodi è di poco inferiore al valore ottenuto, ed è pari a circa 170.000 mc per il medesimo tratto (sino all’ Hydrocontrol ).

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Se tali dati si ritengono quindi rappresentativi (ottenuti quindi utilizzando un contributo areale non pari all’intera superficie del bacino con chiusura alla foce ma solo ed esclusivamente dei tratti in cui possono manifestarsi i movimenti di massa), la pericolosità associata al trasporto solido e quindi all’eventuale formazione di una conoide sarà allora differente. Nel presente studio si valuta infatti che immediatamente a valle dei tratti citati, il flusso assumerà con ogni probabilità l’aspetto di una colata con le volumetrie indicate (con la maggiore concentrazione volumetrica) mentre si svilupperà verso valle (nei tratti in cui comincia a diminuire l’energia e la pendenza) assumendo l’aspetto di una corrente ipoconcentrata. Considerando infatti anche la suddivisione della pericolosità riportata in letteratura da Rickenmann (1995) si osserva che per pendenze del letto o del versante nella zona di partenza > del 25% e con un canale costituito da materiale completamente mobilitabile con potenziale di rischio di rottura elevato (F>10.000 mc) quali le condizioni che si possono appunto riscontrare nelle aree montane dei bacini considerati, la classe di rischio per l’esplicarsi di una colata detritica è molto elevato. Per pendenze comprese tra 15% e 25% la classe di rischio tende a diminuire notevolmente. Medesime considerazioni possono comunque essere assunte in via generale per il Rio Masoni Ollastu dove alla sezione citata potrebbe appunto essere calcolata una magnitudo di circa 120.000 mc con possibilità di innesco di una conoide di deiezione ad elevata pericolosità. Una magnitudo di circa 15.000 mc potrebbe invece essere associata al Rio Baccu Tinghinu a sud di Casa Musiu laddove lo stesso si innesta nell’area subpianeggiante.

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STUDIO DI COMPATIBILITA’ GEOLOGICA GEOTECNICA E DI SUPPORTO ALLA COMPATIBILITA’ IDRAULICA

PARTE GEOTECNICA

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PREMESSA AGLI STUDI GEOTECNICI

Così come meglio specificato nella premessa, in questa sezione geotecnica saranno analizzati in dettaglio tutti gli aspetti direttamente connessi alla definizione delle caratteristiche dei substrati. Per ciò che concerne gli aspetti legati alla localizzazione delle aree di interesse si rimanda alla sezione introduttiva della presente relazione di compatibilità; per la visualizzazione grafica delle aree si rimanda invece alle tavole grafiche allegate alla presente. Si evidenzia che per ciò che concerne le indagini geotecniche in sito e in laboratorio, non è stata attuata alcuna campagna significativa di indagine ma vengono espressi in via generale, in funzione delle peculiarità, le metodologie di analisi geotecnica in funzione delle tipologie di casistiche riscontrate. Inoltre la presenza di una successione stratigrafica facilmente osservabile e i fronti di scavo e riporti presenti nelle aree in tutto il territorio comunale, consentono e hanno consentito di avere a disposizione numerosi settori di osservazione dai quali trarre dati utili per eventuali verifiche.

DEFINIZIONE GEOTECNICA DEI LITOTIPI PRESENTI Sulla base delle caratteristiche geolitologiche del settore è stata effettuata una riclassificazione delle litologie ed una valutazione dello stato di aggregazione, del grado di alterazione e del conseguente comportamento meccanico che le singole unità assumono nei confronti dei possibili interventi insediativi e infrastrutturali che lo strumento urbanistico introduce. Per quanto riguarda i materiali delle coperture, il riferimento fondamentale è quello che richiama il processo di messa in posto del deposito o dell’accumulo, lo stato di addensamento, la tessitura dei materiali costituenti. I litotipi presenti nel territorio sono stati accorpati sulla base delle loro caratteristiche secondo la seguente classificazione:

o litotipi coerenti – leucomonzograniti, monzogranodioriti, filoni acidi e basici non stratificati e fratturati o litotipi coerenti – metarenarie, metasiltiti, metaquarziti, metavulcaniti e metaconglomerati plurilitologici stratificati e fratturati o litotipi semicoerenti; materiale granulare cementato o molto addensato a grana prevalentemente grossolana o litotipi semicoerenti, terreni eterogenei ad assetto caotico o litotipi incoerenti, materiale detritico eterogeneo ed eterometrico o litotipi incoerenti, materiale granulare sciolto o poco addensato a prevalenza grossolana o litotipi incoerenti, materiale granulare sciolto o poco addensato a prevalenza sabbiosa o litotipi incoerenti, materiale granulare sciolto o poco addensato a prevalenza fine

La differenziazione sopra riportata permette di definire che i settori nei quali è attualmente svolta l’edificazione come sotto riportati, sono rappresentati da:

Centro urbano di Capoterra : litotipi semi coerenti rappresentati da materiali granulari cementati o molto addensati a grana prevalentemente grossolana; nel settore posto a SE dell’abitato verso il tratto iniziale di Via Cagliari e Viale Trento si rinvengono invece litotipi semi coerenti rappresentati da terreni eterogenei ad assetto caotico;

Frazione Santa Rosa : nel settore Ovest sono presenti litotipi coerenti rappresentati da vulcaniti magmatiche. La restante parte della frazione, fatta eccezione per il settore estremamente meridionale della stessa, è posto sui litotipi incoerenti,

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sebbene caratterizzati a tratti da deboli spessori, rappresentati da materiali detritici eterogenei ed eterometrici.

Poggio dei Pini : quasi tutte le aree infrastrutturate e quelle immediatamente limitrofe sono ubicate su litotipi coerenti a carattere granitico; solo nei settori a sud dell’azienda Buccellato o nella Residenza del Poggio e tutto il quartiere posto tra Via S. Agostino e Via Eraclito sono posti su litotipi semicoerenti rappresentati da materiali granulari cementati o molto addensati a grana grossolana. Alcuni settori intermedi sono caratterizzati da terreni eterogenei ad assetto caotico. La medesima situazione si riscontra nella lottizzazione del Rio San Girolamo.

Frutti D’Oro e Su Spantu : tutti i terreni posti sia sulle frazioni indicati che nelle immediate vicinanze sono rappresentati da litotipi semi coerenti ad assetto caotico.

Residenza del Sole : quasi tutti i terreni di edificazione che nelle immediate vicinanze sono rappresentati da litotipi semi coerenti ad assetto caotico fatta eccezione per i settori che sono prossimi alle saline dove i depositi sono di tipo incoerente per effetto della presenza di materiale sciolto o poco addensato a grana in prevalenza fine.

I settori caratterizzati dalla presenza di elementi litoidi e coerenti sono quindi quelli collinari e montani. Per ciò che concerne le litologie derivate dalle magmatiti erciniche (leucomonzograniti, monzogranodioriti, filoni acidi e basici, fratturati) , si osserva che all’interno delle diverse differenziazioni, è comunque presente una variabilità strutturale che condiziona la qualità dell’ammasso. In via del tutto generale si osserva che quasi tutte le vulcaniti sane si presentano dure e compatte con struttura granulare massiccia. Laddove presente, l’alterazione superficiale dell’ammasso è localmente limitata ad alcuni centimetri di prevalente disgregazione di tipo granulare. Sono presenti numerose fratture che separano e talvolta isolano totalmente volumi unitari rocciosi anche di grosse dimensioni. Non si rilevano particolari famiglie di discontinuità ma le fratture appaiono in genere variamente orientate e inclinate. In determinati settori l’arenizzazione dei graniti si spinge per qualche metro e si ha un passaggio graduale dal litotipo duro e compatto a quello estremamente fratturato con caratteristiche simili più ad una terra ghiaiosa e sabbiosa. In tali casi, per qualsiasi verifica vengono quindi utilizzati i criteri della meccanica delle terre e non della meccanica delle rocce. Al fine di fornire alcuni parametri utili per caratterizzare i litotipi magmatici sani, è stata effettuata una classificazione utilizzando alcuni dati sufficientemente rappresentativi della situazione globale ma che, in rapporto alla situazione geologica riscontrata definisca le condizioni peggiori in cui si possa trovare l’ammasso stesso. Si evidenzia che ai fini della caratterizzazione dell’ammasso roccioso rivestono particolare importanza la definizione dei parametri che riguardano la composizione geometrica delle discontinuità (orientazione, spaziatura, persistenza e dimensioni dei blocchi), il meccanismo di trasmissione degli sforzi e la circolazione idrica (scabrezza, apertura dei giunti, permeabilità e caratteristiche del materiale di riempimento). Ai fini della definizione della qualità dell’ammasso roccioso è stato utilizzato il metodo di Bieniawski (1989). Esso si basa sul rilievo di sei parametri ad ognuno dei quali è assegnato un peso: R1 resistenza a compressione uniassiale della roccia intatta; R2 indice RQD; R3 spaziatura delle discontinuità; R4 condizioni delle discontinuità; R5 condizioni idrauliche; R6 orientamento delle discontinuità. La classificazione definisce due valori dell’indice RMR: RMR base = R1 + R2 + R3 + R4 + R5

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RMR corretto = R1 + R2 + R3 + R4 + R5 + R6 I parametri di resistenza e di elasticità sono dedotti dall'RMR base : coesione in termini di tensioni efficaci: c’ = 5 — RMR base (KPa); angolo d’attrito in termini di tensioni efficaci: φ’= 5 + RMR base /2 (°); modulo di deformabilità: relazione di Bieniawski (1978) Ed =2 RMR base – 100 (Gpa) con RMR base > 50 relazione di Serafim Pereira (1983) (RMRbase – 10)/40 Ed =10 (Gpa) con RMR base < 50 Il valore di RQD (parametro R2) può essere determinato indirettamente dalle relazione di Priest e Hudson (1976): RQD = 100 e –0,1 n (0,1 n + 1) con n numero medio di giunti per metro. Sulla base dei seguenti parametri di ingresso rilevati in corrispondenza degli ammassi sommitali ipotizzando dei litotipi granitici fratturati ma scarsamente alterati e in condizioni di giacitura delle discontinuità favorevoli al pendio:

PARAMETRI VALORI R1 resistenza a compressione uniassiale 100,00 MPa R2 R.Q.D. 30,0 % R3 spaziatura delle discontinuità 0,40 m R4a lunghezza discontinuità 1 3 m R4b apertura discontinuità 1 5 mm R4c rugosità Leggermente rugosa R4d riempimento Nessuno R4e alterazione Leggermente alterata R5 condizioni idrauliche Asciutto R6 orientamento discontinuità (pendio) Favorevole Alterabilità della massa rocciosa Media resistenza all'alterazione

Tab VI : parametri di ingresso nella classificazione di Bieniawski (graniti)

Si ottengono i seguenti risultati.

base corretto RMR 57,6 52,6 Classe III III Descrizione Discreto Discreto φ (°) 33,8 31,3 c (KPa) 288,12 263,12 Ed (GPa) 15,25 5,25 Q index 4,544 2,607 RSR index 55,24 52,04

Tab VII: di Bieniawski

Se la stessa verifica viene eseguita considerando invece i medesimi parametri di ingresso ma con orientamento delle discontinuità in maniera sfavorevole (caso b) al pendio si ottiene:

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base corretto RMR 57,6 32,6 Classe III IV Descrizione Discreto Scadente φ (°) 33,8 21,3 c (KPa) 288,12 163,12 Ed (GPa) 15,25 3,68 Q index 4,544 0,283 RSR index 55,24 39,20

Tab VIII: risultati classificazione di Bieniawski (caso b)

Le stesse verifiche possono essere effettuate anche per le metamorfiti (metarenarie, metasiltiti, metaquarziti, metavulcaniti e metaconglomerati plurilitologici stratificati e fratturati) che in genere si presentano abbastanza coerenti e comunque al massimo caratterizzati da superfici di scistosità marcate e interessate da vari sistemi di giunti variamente spaziati. Applicando il medesimo metodo, ipotizzando condizioni cautelative tipiche di un ammasso roccioso fratturato (R.Q.D. 30%) con spaziatura ridotta delle discontinuità e nelle condizioni sottoindicate:

PARAMETRI VALORI R1 resistenza a compressione uniassiale 50,00 MPa R2 R.Q.D. 30,0 % R3 spaziatura delle discontinuità 0,20 m R4a lunghezza discontinuità 1 3 m R4b apertura discontinuità 1 5 mm R4c rugosità Leggermente rugosa R4d riempimento <5 mm mater. tenero R4e alterazione Poco alterata R5 condizioni idrauliche Asciutto R6 orientamento discontinuità (pendio) Favorevole Alterabilità della massa rocciosa Media resistenza all'alterazione

Tab IX : parametri di ingresso nella classificazione di Bieniawski (metamorfiti)

Si ottengono i seguenti risultati:

base corretto RMR 46,2 41,2 Classe III III Descrizione Discreto Discreto φ (°) 28,1 25,6 c (KPa) 231,02 206,02 Ed (GPa) 8,04 6,03 Q index 1,278 0,733 RSR index 47,91 44,71

Tab X: risultati classificazione di Bieniawski

Se la stessa verifica viene eseguita considerando invece i medesimi parametri di ingresso ma con orientamento delle discontinuità in maniera sfavorevole al pendio si ottiene:

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base corretto RMR 46,2 21,2 Classe III IV Descrizione Discreto Scadente φ (°) 28,1 15,6 c (KPa) 231,02 106,02 Ed (GPa) 8,04 1,91 Q index 1,278 0,079 RSR index 47,91 31,87

Tab XI: risultati classificazione di Bieniawski (caso b)

Si osservi che la fenomenologia di crollo può comunque avvenire (anche con blocchi significativi) in presenza di ammassi rocciosi classificabili in qualsiasi classe di qualità. Il distacco e il crollo possono quindi avvenire in qualsiasi situazione esaminata sia che l’ammasso venga classificato in classe I che in classe V. Per ciò che concerne gli SLU in rocce non fratturate si osserva che la resistenza a compressione libera della roccia va presa con il suo valore caratteristico al quale si applica un fattore di sicurezza pari a 1,6 ossia:

Nelle rocce fratturate il valore di progetto della resistenza deve essere rappresentativo del comportamento dell’ammasso. Si devono quindi ricavare i parametri di resistenza dell’ammasso attraverso i vari metodi (RMR, HoeckBrown) in vari punti dell’ammasso e dai vari rilievi si ricostruiscono la media e la variabilità dei parametri di resistenza e quindi il 5° percentile (della distribuzione della media o del campione, secondo il problema geotecnico)

Per ciò che concerne i litotipi semicoerenti e incoerenti, considerata l’estrema variabilità locale di tali sedimenti, è sempre auspicabile effettuare una accurata caratterizzazione geotecnica atta ad individuare correttamente i parametri geotecnici necessari per le verifiche di stabilità dei pendii e di dimensionamento di eventuali opere. Inoltre l’analisi geotecnica dovrebbe essere sempre relazionata alla parte geologica al fine di individuare anche eventuali elementi geomorfologici di interesse per gli aspetti edificatori (ad esempio i paleoalvei) In via del tutto generale si osserva che permane una certa difficoltà di ottenere parametri esatti per i materiali detritici e alluvionali per effetto della notevole eterogeneità della composizione granulometrica e clastica: frazioni sabbiose, e limose sono infatti i costituenti che “legano” blocchi e ciottoli “litoidi” di varia dimensione, ma più frequentemente a pezzatura grossolana, spigolosi, di natura eterogenea (granitica e scistosa) e che conferiscono al complesso dei detriti e alluvioni un medio e a tratti alto grado di addensamento o pseudocoesione. Per tali motivi si considera in questa sede che i dati ottenibili da elaborazioni potrebbero essere in alcuni casi fuorvianti e molto dispersivi nonché di scarso significato per l’eterogeneità riscontrata in fase di osservazione sui numerosi scavi, fronti e esistenti nel territorio. Per la condizione di rottura superficiale, in caso di dimensionamento, considerando l’insieme delle alluvioni e dei detriti, la condizione limite richiederebbe l’adozione di un valore di coesione pari a 0 (C=0) e un angolo di attrito sostanzialmente pari a 30° 33° circa; più elevato nel caso delle ghiaie. Cautelativamente possono essere assegnati valori di peso di volume di 1.6 1.9 t/m 3 – (tenuto conto del fatto che la massa detritica è costituita in parte da elementi litici di dimensione centimetrica e decimetrica e che quindi in genere il peso di volume da considerare dovrebbe essere pari ad un valore intermedio tra quello del terreno e quello degli elementi litici), angolo di attrito pari cautelativamente a 30°; coesione=0 sebbene il materiale abbia un grado di cementazione che conferisce una pseudocoesione tale da consentirne (assieme all’effetto dell’angolo di attrito) la stabilità su parete subverticale. Nell’area subpianeggiante le

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verifiche dovrebbero essere sempre condotte, a vantaggio della sicurezza, ipotizzando comunque la presenza dell’acqua sul piano fondale o comunque ipotizzando l’azione destabilizzante delle pressione d’acqua. L’adozione di tali parametri nel complesso alluvionale, sarebbe comunque abbastanza cautelativa e a vantaggio della sicurezza per qualsiasi dimensionamento ma è comunque necessaria una adeguata caratterizzazione di ogni singolo intervento infrastrutturale eseguendo una accurata progettazione di natura geologica e geotecnica secondo le disposizioni di legge in vigore. In realtà qualora si dovessero applicare i concetti della nuova normativa, di cui alle NTC 2008 entrate in vigore nel mese di luglio 2009, per certe categorie di opere occorrerà inserire il concetto di variabile aleatoria. Per i nostri scopi basta ricordare che una variabile non è un numero singolo ma un insieme o pacchetto di numeri riferito alla stessa grandezza fisica. La variabile può essere rappresentata da vari parametri (ad esempio media) ma la trattazione deve necessariamente riguardare tutti i possibili valori della variabile, e non solo il valore atteso (media). Con la nuova normativa non si utilizzano infatti più i valori di resistenza dei parametri geotecnici così come riscontrati in una normale certificazione di laboratorio ma occorre definire i valori caratteristici dei parametri di progetto.

INDICAZIONI SUGLI SCAVI E STABILITA’ DELLE PARETI

In relazione alle modalità di esecuzione delle opere si evidenzia che eventuali interventi di scavo o di rimodellamento di pendii, dovrebbero sempre essere caratterizzati sulla base di accurate progettazioni geologiche e geotecniche definendo gli appositi parametri di progetto sulla base di indagini specifiche. Pur tuttavia, considerando alcune disposizioni di carattere generale si evidenzia che interventi di scavo per profondità inferiore ad 1,0 metri saranno comunque in genere svolti, con la massima probabilità, su terreni di riporto o orizzonti pedologici a diversa consistenza ma nei quali non si verifica la necessità (tranne rari casi) di utilizzo di opere di sostegno delle pareti. Tutti gli eventuali approfondimenti o comunque gli eventuali interventi (anche solo di sistemazione) che potenzialmente potrebbero interessare profondità maggiori a quelle indicate o comunque interventi su parete etc.., necessitano di un allargamento dello scavo, con conseguente possibilità che lo stesso debba essere opportunamente sbadacchiato. Nonostante in certi casi si riscontri una buona coesione dei sedimenti terrigeni, specie nei casi in cui debbano essere effettuate lavorazioni che comportano anche tempistiche abbastanza lunghe di esecuzione delle lavorazioni, si consiglia la protezione dello scavo con sistemi idonei e comunque la rimozione e rimodellamento degli strati superficiali più allentati. Si evidenzia che l’apertura di uno scavo, anche provvisorio, altera sempre la pendenza naturale delle scarpate creando i presupposti per pericolosi incrementi degli sforzi di taglio, i quali possono condurre alla creazione di superfici di rottura e quindi al collasso dello scavo. La scelta delle pendenze di sicurezza da assegnare al profilo degli scavi dipende dalla resistenza al taglio del terreno, dall’altezza dello scavo e dalle condizioni di circolazione delle acque sotterranee (parametri che devono quindi essere sempre riscontrati con accurate progettazioni ed indagini in situ). Si riporta di seguito un grafico ricavato dalla letteratura ricavato dal frutto dell’esperienza acquisita sul comportamento dei pendi in vari tipi di terreno e rocce.

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Fig. 19: inclinazione delle scarpate in funzione delle condizioni litologiche

Si osservi come nel caso ad esempio di interventi che possano essere svolti nella piana di Capoterra, caratterizzata dalla presenza di terreni poco coerenti o incoerenti, possano essere consigliate pendenze su terreno comprese tra 1/1 e 1/1.5. Per i pendii naturali o artificiali in zona sismica, le norme vigenti hanno introdotto nuove disposizioni che consentono l’uso di metodi di verifica pseudostatici già noti (Fellenius, Bishop, Morgestern, Janbu, Espinoza ), e metodi di analisi dinamica, valutando sempre in modo opportuno le azioni indotte dalle vibrazioni sismiche. Per i parametri di resistenza a taglio del terreno si possono in generale usare i valori applicabili in condizioni statiche non drenate. Per i terreni coesivi il parametro appropriato è la coesione non drenata cu, eventualmente modificata per tener conto dell’elevata velocità di applicazione del carico e degli effetti di degradazione ciclica sotto sollecitazione sismica (ove tale modificazione sia necessaria e suffragata da dati sperimentali adeguati). Per i terreni non coesivi, il parametro di resistenza appropriato è la resistenza a taglio ciclica non drenata, che dovrebbe tener conto dell’eventuale incremento di pressione interstiziale. L’incremento di pressione interstiziale o la perdita di rigidezza del terreno vanno valutati in generale mediante prove sperimentali di tipo ciclico riferite alle effettive condizioni iniziali. In assenza di tali prove, ed a titolo di verifica preliminare, tale incremento può essere stimato mediante correlazioni empiriche.

EVENTUALI VERIFICHE DELLA PORTANZA E CRITERI DI ANALISI DELLA STABILITA’

La verifica di portanza nella realizzazione di opere ed infrastrutture dovrà essere effettuata intervenendo direttamente con l’ausilio di apposite e appropriate indagini geotecniche in situ ed in laboratorio. Occorre evidenziare che dal Luglio 2009 sono entrate in vigore le nuove norme NTC 2008 e pertanto le relazioni e le indagini devono essere eseguite in conformità alla normativa vigente (Norme Tecniche sulle Costruzioni di cui al D.M. 14/01/2008) che definisce i principi per il progetto, l’esecuzione e il collaudo delle costruzioni, nei riguardi delle loro prestazioni richieste in termini di requisiti essenziali di resistenza meccanica e di stabilità anche in caso di incendio e curabilità. Esse forniscono i criteri generali di sicurezza, precisano le azioni che devono essere utilizzate nel progetto e definiscono le caratteristiche dei materiali e dei prodotti e più in generale trattano gli

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aspetti attinenti alla sicurezza strutturale delle opere. Inoltre è necessario fare riferimento alla Circolare 2 febbraio 2009 n. 617 C.S.LL.PP. (G.U. n. 47 del 26 febbraio 2009 S.O. n. 27) Istruzioni per l’applicazione delle“Nuove norme tecniche per le costruzioni” di cui al D.M. 14 gennaio 2008. In particolare si segnala il punto 2.7 del D.M. 2008 secondo il quale, sebbene sia obbligatorio l’utilizzo del metodo di calcolo agli stati limite definito nel punto 2.6 della normativa, è ammesso che per le costruzioni di tipo 1 e 2, e Classe d’uso I e II, limitatamente a siti ricadenti in Zona 4, il Metodo di verifica alle tensioni ammissibili. Per tali verifiche si deve fare riferimento alle norme tecniche di cui al D.M. LL. PP. 14.02.92, per le strutture in calcestruzzo e in acciaio, al D.M. LL. PP. 20.11.87, per le strutture in muratura e al D.M. LL. PP. 11.03.88 per le opere e i sistemi geotecnici. Relativamente al suddetto punto, anche la Circolare esplicativa definisce che in generale le NTC impongono di adottare, per le verifiche, il metodo agli stati limite di cui al § 2.6 della normativa; a tale imposizione sono ammesse alcune eccezioni finalizzate a consentire, nel caso di ridotta pericolosità sismica del sito e di costruzioni di minore importanza sia in termini di progettazione che in termini di destinazione d’uso, la tradizionale verifica alle tensioni ammissibili. Fanno dunque eccezione all’imposizione citata le costruzioni di tipo 1 (VN ≤10 anni) e tipo 2 (50 anni ≤ VN <100 anni) e Classe d’uso I e II, purché localizzate in siti ricadenti in Zona 4; per esse è ammesso il metodo di verifica alle tensioni ammissibili, da applicare utilizzando i riferimenti normativi riportati nelle NTC. Per l’identificazione della zona sismica in cui ricade ciascun comune o porzione di esso, occorre fare riferimento alle disposizioni emanate ai sensi dell’art. 83, comma 3, del DPR 6.6.2001, n. 380. La Sardegna e nello specifico il Comune di Capoterra ricade in zona 4 e per la stessa è quindi ammesso il calcolo e la verifica con le tensioni ammissibili quando l’opera in progetto può essere classificata di tipo 1 e 2 così come indicato nella tabella 2.4.I del decreto:

Qualora si utilizzino i metodi di calcolo alle tensioni ammissibili, le verifiche potranno essere eseguite con diversi sistemi, sviluppati da vari autori, che presuppongono un comportamento del terreno di tipo rigidoplastico con rottura di tipo generale. Di seguito sono riportate le espressioni di calcolo secondo i metodi seguiti da Terzaghi, Meyerhof, BrinchHansen sia per il carico ammissibile che per i cedimenti. Le verifiche possono essere eseguite considerando ancora la normativa base del D.M. 11/03/88 nelle tipologie di classi sopraelencate. I metodi di calcolo della capacità portante per una fondazione superficiale sviluppati dai vari autori presuppongono un comportamento del terreno di tipo rigidoplastico con rottura di tipo generale. Per tenere conto dei casi di rottura locale si possono seguire le indicazioni di Terzaghi (1943) riducendo angolo d'attrito e coesione o di Vesic (1943) applicando dei fattori correttivi all'equazione del carico limite.

Metodo di Terzaghi Espressione del carico limite:

q = c N c S c ξ c+ q 0 N q ξq+ 0,5 γ B N γ S γ ξ γ in cui: - B è la larghezza della fondazione: B = Br 2 eB, (Br = larghezza della fondazione reale; eB = eccentricità lungo B); - L è la lunghezza della fondazione: L = Lr 2 eL (Lr = lunghezza della fondazione reale; eL = eccentricità lungo L);

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- D è la profondità del piano di posa della fondazione; - φ è l’angolo d’attrito ; - c è la coesione; - γ è il peso di volume ;

- q0 = γD è il sovraccarico ; - Nc, N q, N γ sono i fattori di capacità portante : 2 π tan φ Nq = tan (45 + φ/2) e ; Nc = (N q 1) / tan φ; per Nγ Terzaghi non ha fornito un'espressione analitica ma un grafico in cui N γ è espresso in funzione dell'angolo d'attrito;

- Sc, S γ sono i fattori di forma della fondazione : - per fondazione nastriforme :

Sc = 1; Sγ = 1 · per fondazione rettangolare: Sc = (1 + 0,2 B/L);

Sγ = (1 0,2 B/L);

· ξc, ξq, ξγ sono i fattori correttivi per la rottura locale ;

· Metodo di Meyerhof Espressione del carico limite :

q = c N c S c D c I c ξ c + q 0 N q S q D q I q ξ q+ 0,5 γ B N γ S γ D γ I γ ξ γ in cui: o B è la larghezza della fondazione: B = Br 2 eB (Br = larghezza della fondazione reale; eB = eccentricità lungo B); o L è la lunghezza della fondazione: L = Lr 2 eL (Lr = lunghezza della fondazione reale; eL = eccentricità lungo L); o D è la profondità del piano di posa della fondazione ; o δ = angolo d’inclinazione del carico rispetto alla verticale ; o φ è l’angolo d’attrito ; o c è la coesione ; o γ è il peso di volume ;

o q0 = γD è il sovraccarico ; o Nc, N q, N γ sono i fattori di capacità portante : 2 π tan φ Nq = tan (45 + φ/2) e ; Nc = (N q 1) / tan φ; Nγ = (N q 1) tan(1,4 φ); o Sc, S q, S γ sono i fattori di forma della fondazione : posto K = tan 2(45 + φ/ 2) Sc = 1 + 0,2 K B/L; con φ = 0 → S q = 1; con φ > 0 → S q = 1 + 0.1 K B/L ; Sγ = S q ; o Dc, D q, D γ sono i fattori di profondità del piano di posa : posto K = tan 2(45 + φ/ 2)

Dc = 1 + 0,2 √K D/B ; con φ = 0 → D q = 1; con φ > 0 → D q = 1 + 0,1 √K D/B Dγ = D q; o Ic, I q, I γ sono i fattori di inclinazione del carico : 2 Ic = I q = (1 δ/90) ; 2 Iγ = (1 δ/φ) ; o ξc, ξq, ξγ sono i fattori correttivi per la rottura locale ;

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Metodo di Brinch-Hansen Espressione del carico limite per terreni con φ>0:

q = c N c s c d c i c b c g c ξ c+ q 0 N q s q d q i q b q g q ξ q + 0,5 γ B N γ s γ d γ i γ b γ g γ ξ γ in cui o B è la larghezza della fondazione: B = Br 2 eB (Br = larghezza della fondazione reale; eB = eccentricità lungo B); o L è la lunghezza della fondazione: L = Lr 2 eL (Lr = lunghezza della fondazione reale; eL = eccentricità lungo L); o D è la profondità del piano di posa della fondazione ; o δ = angolo d’inclinazione del carico rispetto alla verticale ; o φ è l’angolo d’attrito ; o c è la coesione ; o γ è il peso di volume ;

o q0 = γD è il sovraccarico ; o Nc, N q, N γ sono i fattori di capacità portante 2 π tan φ Nq = tan (45 + φ/2) e ; Nc = (N q 1) / tan φ; Nγ = 1,5 (N q 1) tan φ;

o sc, s q, s γ sono i fattori di forma della fondazione : Sc = 1 + 0.2 (B/L)(1 + Sin φ)/(1 Sin φ); Sq = 1 + 0.1 (B/L)(1 + Sin φ)/(1 Sin φ); Sγ = S q o ic, i q, i γ sono i fattori d’inclinazione del carico : η = angolo d’inclinazione della fondazione con l’orizzontale H = componente del carico orizzontale alla fondazione N = componente del carico verticale alla fondazione

5 iq = [1(0,5 H)/(N + B L c cot φ)] ic = i q (1iq)/(N q1) 5 con η = 0 → iγ = [1(0,7 H)/(N + B L c cot φ)] 5 con η > 0 → iγ = [1((0,7η°/450)H)/(N + B L c cot φ)]

· dc,d q,d γ sono i fattori di profondità della fondazione : 2 con D/B ≤ 1 → dq = 1 + 2 tan φ (1 Sin φ) D/B 2 con D/B > 1 → dq = 1 + 2 tan φ (1 Sin φ) arctan(D/B) dc = d q (1 d q)/(N c tan φ) dγ = 1 o bc, b q, b γ sono i fattori d’inclinazione del piano di posa della fondazione: η= angolo d’inclinazione della fondazione con l’orizzontale 2 bq = b γ =(1 ηtan φ) bc = b q (1 b q)/(N c tan φ)

o gc, g q, g γ sono i fattori d’inclinazione del terreno: o β = angolo d’inclinazione del terreno con l’orizzontale 2 gq = g γ =(1 tan β) gc = g q (1 g q)/(N c tan φ) o ξc, ξq, ξγ sono i fattori correttivi per la rottura locale ;

Rottura locale Secondo Terzaghi (1943) si può tenere conto della rottura locale adottando valori ridotti dell'angolo d'attrito e della coesione:

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tg φr = 0,666 tg φ; cr = 0,666 c;

Per ciò che concerne l’applicazione della nuova normativa si evidenzia che la novità fondamentale riguarda non solo la definizione dei valori caratteristici ma anche la definizione della resistenza di progetto che deve essere inferiore a quella di Ed .

Fig. 20 : schema di utilizzo del vecchio metodo alle tensioni ammissibili

Fig. 21: schema di utilizzo del nuovo metodo agli stati limite

Ai fini del calcolo occorrerà procedere dapprima con la scelta dei valori caratteristici dei parametri di progetto.

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Fig. 22: sintesi sulla scelta dei valori caratteristici del terreno

Fig. 23: sintesi sulla verifica SLSP per fondazioni superficiali

I punti fondamentali della verifica geotecnica nelle nuove norme sono quindi i seguenti: determinazione dei valori caratteristici dei parametri di progetto scelta del DA (Approccio di progetto 1 o 2); determinazione di Rd (Stati limite ultimi) determinazione di Sc (cedimenti caratteristici) negli stati limite di esercizio; verifica disequazione: Ed≤Rd, Ed≤Cd.

Per ciò che concerne l’analisi di stabilità dei pendii, in base alla nuova normativa si osservano le seguenti distinzioni: o pendii naturali: si utilizzano i valori caratteristici, non sono specificati nella normativa gli approcci di progetto (ossia a parte l’utilizzo dei valori caratteristici la procedura rimane simile a quella del D.M. 11.03.1988 o pendii artificiali, rilevati, fronti di scavo: si utilizza totalmente il nuovo metodo NTC

Una considerazione di importanza fondamentale è il fatto che il vecchio coefficiente di sicurezza nelle verifiche pseudostatiche è ora sostituito dal rapporto Rd/Ed che deve avere un valore minimo definito dal progettista secondo i dettagli inerenti ogni singola verifica;

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un concentto quindi quasi simile a quello definito dalla circolare esplicativa 30483 del D.M.11/03/1988. Secondo le NTC sono tre i metodi possibili di verifica: o metodi pseudostatici o metodo degli spostamenti (Newmark o simili) o Analisi dinamica avanzata (FEM e simili)

METODOLOGIA ED ANALISI DEI FENOMENI FRANOSI E DELL’INSTABILITA’ POTENZIALE DEI VERSANTI; PERICOLOSITA’ DA FRANA NEL TERRITORIO DI CAPOTERRA

Sulla base delle indicazioni riportate nel Piano di Assetto Idrogeologico e considerata la natura dell’incarico volta a valutare la compatibilità geologica geotecnica ed idraulica del P.U.C. e quindi delle trasformazioni previste a livello urbanistico, ed integrando l’osservazione diretta di eventuali dissesti visibili con i dati di dettaglio di natura litologica, tettonica, geomorfologica, idrogeologica, le caratteristiche climatiche e le influenze antropiche, è stato possibile effettuare un confronto incrociato di tutti i fattori predisponenti la franosità. Inoltre è stato possibile definire le cause determinanti l’instabilità e la zonizzazione anche mediante l’utilizzo dell’ overlay mapping o sovrapposizione cartografica. A tal fine, elementi fondamentali, sono costituiti dalle Carte tematiche di base, di discriminazione e di sintesi elaborate e tarate sulla base del rilevamento diretto (eseguito localmente in scala 1:2.000) e della fotointerpretazione, ed essenziali per un completo quadro conoscitivo delle tematiche indagate. E’ stato quindi possibile comprendere il tipo, le modalità e la dinamica evolutiva dei principali fenomeni franosi analizzandoli in dettaglio e definire esattamente dapprima una carta della instabilità potenziale dei versanti (Tav. VIII) e successivamente, mediante anche l’analisi dei fenomeni esistenti (carta della franosità (tav. X) e quelli provenienti dall’osservazione diretta (verifica diretta delle aree nelle quali sono evidenti i cinematismi o comunque di quelle nelle quali a seguito dell’overlay mapping sono apparse a vario grado di pericolosità), quella della pericolosità di franamento del settore resa graficamente in diverse scale (tav. XI –XIII). Tale pericolosità è stata relazionata con le previsioni urbanistiche in modo da definire e pianificare lo sviluppo territoriale sulla base della sicurezza del territorio medesimo ed eliminando eventuali previsioni incompatibili con gli indirizzi di piano già definiti. Da ciò è derivata la Carta del Rischio da frana (tav. XII), basata sulla definizione della carta degli elementi a rischio (definiti omogeneamente anche per la compatibilità idraulica alla quale si rimanda) secondo le metodiche indicate già nello studio del PAI e che comunque di seguito saranno poi puntualmente analizzate. Lo studio del territorio è stato condotto dapprima secondo una griglia di analisi ben precisa in relazione ai fattori che producono il dissesto. La descrizione morfologica ha evidenziato quali siano i principali processi agenti, così come l’analisi degli altri fattori ha messo in luce la presenza di un territorio variamente boscato nelle aree montane, in genere ad acclività medioelevata ed interessato da fenomeni di franamento attivi in prossimità degli affioramenti metamorfici e granitici o nelle coltri detritiche e direttamente o potenzialmente nelle aree interessate da interventi antropici (edificato in prossimità degli orli di scarpata dei terrazzi) o soggetti a forti processi erosivi. Il grado di instabilità del territorio deriva dalla presenza e dall’interazione di diverse cause e fattori che è quindi necessario determinare con precisione. Sono stati individuati alcuni gruppi di cause o fattori connessi all’instabilità, detti fattori predisponenti, sulla base delle affinità genetiche: cause geologiche, cause geomorfologiche, cause idrogeologiche, cause climatiche e cause antropiche e uso del suolo e sua composizione.

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Fattori predisponenti Cause Geologiche In relazione alle “cause geologiche” (litologia e tettonica) sono state già indicate le caratteristiche composizionali, tessiturali, litostratigrafiche e strutturali che condizionano il comportamento geomeccanico e in generale le condizioni di instabilità. Nell’area in questione, in cui è stata valutata la pericolosità, si possono distinguere diverse unità geolitologiche fondamentali: le metamorfiti, il le litologie a carattere granitico, i detriti di falda, le coperture colluviali e alluvionali. Tutti i terreni e i litoripi possono essere meglio classificati in funzione delle loro caratteristiche di coesione così come distinte anche a livello geotecnico: o Litologie a comportamento coesivo : argille o Litologie a comportamento litoide : metamorfiti e litologie a carattere granitico. Tutte le litologie, generalmente più o meno fratturate, possono produrre blocchi, generalmente spigolosi e talvolta scollati dalla massa ed in posizione instabile lungo le pareti e sulle sommità; o Litologie a comportamento granulare o simile , come i depositi colluviali, i suoli, i detriti di falda le sabbie non cementate che presentano resistenza tra i granuli di tipo attritivo. Inoltre, poiché il comportamento geomeccanico di ogni corpo geologico dipende dalla interazione tra i suoi caratteri litostratigrafici e gli eventi tettonici che tale corpo ha subito, la suddivisione in unità litotecniche operata, ognuna caratterizzata da uno specifico comportamento nei confronti della franosità e dell’erosione, è frutto della considerazione congiunta di questi due fattori. La prima fase di definizione della instabilità potenziale dei versanti deve comunque necessariamente tenere in debito conto i fattori geologici che possono essere definiti invariabili e correlare gli stessi, definendone i relativi pesi, con la giacitura degli strati, le pendenze dei versanti e l’uso del suolo. Nell’ambito della procedura di overlay mapping , ai fini della definizione di una prima ricostruzione degli scenari di instabilità, seguendo le linee guida predisposte dalla R.A.S. per la definizione degli studi, sono stati assegnati dei pesi esemplificativi alla litologia, secondo il seguente schema:

classe Descrizione peso

detrito di falda, coni detritici e conoidi di deiezione 1

Depositi lagunari, lacustri e palustri 5

Alluvioni ghiaiose recenti ed attuali degli alvei fluviali 5 Alluvioni ghiaiose, antiche e terrazzate 5 Alluvioni prevalentemente sabbiose 5 Calcescisti, micascisti, argilloscisti 5 graniti, granodioriti massicci privi di copertura ed alterazione 6

Tab XII: Pesi attribuiti alle diverse litologie

- Cause Geomorfologiche e Orografiche (processi geomorfologici, morfometria, acclività dei versanti geometria del versante e suo orientamento in funzione della litologia, forte pendenza, etc.). Dal loro esame possono essere selezionati i diversi processi geomorfologici che si sono succeduti nel determinare la dinamica evolutiva passata ed attuale della forma del territorio. Nell’area di interesse ricorre una dinamica geomorfologica particolarmente intensa, a livello gravitativo, in gran parte delle aree montane e collinari; intensi processi erosivi di pianura sono invece legati alla dinamica fluviale e a processi erosivi su versanti e scarpate degli orli dei terrazzi fluviali.

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L’erodibilità delle successioni metamorfiche è elevata e fortemente condizionata dalle strutture tettoniche; ha progressivamente dato luogo ad una notevole quantità di materiale detritico (di volumetria anche elevata) a seguito dei crolli rocciosi, che si è depositato al piede dei versanti con angoli di pendio elevati e quindi spesso in condizioni di forte instabilità. Frequenti sono infatti in tale ambito i canaloni di detrito dai quali si sono originati anche eventi di trasporto di massa durante l’ultima alluvione del 2008. Diversa invece l’erodibilità dell’ammasso granitico che da luogo a fenomeni gravitativi di crollo roccioso per effetto della forte fratturazione; in corrispondenza degli affioramenti le coperture detritiche originatesi sono comunque arealmente contenute e in genere con una scarsa componente fine a vantaggio della presenza di blocchi rocciosi volumetrici. I fenomeni in atto all’interno delle compagini rocciose testè descritte, si possono definire genericamente “frane di crollo” come forma Foto n° 6: ammasso granitico fratturato accelerata, aggravata o catastrofica, a causa di un aumento degli sforzi di taglio, della diminuzione della resistenza d’attrito, della diminuzione della coesione. È necessario sottolineare la continuità nel tempo e l’imprevedibilità nell’accadere, di questo tipo di dissesto franoso, amplificato in maniera particolare dalle cause precedentemente elencate, con notevole aumento durante la stagione piovosa. Sebbene la maggior parte dei litotipi si presentino duri e compatti, come più volte osservato nella presente, i singoli ammassi sono spesso interrotti da più famiglie di fratturazione verticali, subverticali, suborizzontali e ad andamento vario, giunti talvolta abbastanza larghi, che delimitano blocchi separati dal resto del complesso spesso senza che tra i due elementi ci sia alcuna dipendenza. Talvolta si osservano anche fratturazioni curvilinee o inclinate sulle quali risulta più facile, sotto l’azione di spinte eccessive o per diminuzione della resistenza al taglio lungo la discontinuità, l’esplicarsi di movimenti di tipo gravitativo. In generale si evidenzia che le problematiche di distacco interessano gran parte degli ammassi rocciosi. Ai fattori predisponenti associati alle condizioni delle intersezioni delle lineazioni, delle condizioni idrauliche (per circolazione superficiale) dei giunti, dalla generale geometria del versante, vanno associati quei fattori scatenanti rappresentati, oltre dalla gravità, dall’azione ciclica di gelo e disgelo, dalle frequenti alternanze di insolazione per effetto dell’esposizione, dalla presenza di una vegetazione rupestre che tende a colonizzare le fratture e che pertanto esercita talvolta una continua pressione sulle discontinuità, sia nel corso della crescita dell’arbusto, che dall’azione di leva quando la parte non sotterranea della pianta è soggetta all’azione del vento. Da tale associazione ne deriva una situazione di instabilità latente in tutti i settori considerati senza alcuna differenziazione. In funzione delle caratteristiche strutturali dell’ammasso è stato comunque possibile definire diverse tipologie di instabilità comuni a tratti sia alle litologie metamorfiche che a quelle di tipo granitico, associate alla fase di distacco: • plane failure (scivolamento lungo un piano inclinato): è il caso di un piano di discontinuità meno inclinato del pendio (cioè che viene a giorno sul versante in condizioni di franapoggio). Per un movimento di questo tipo sono richieste condizioni di subparallelismo tra la direzione della discontinuità ed il fronte della parete in esame in un range di +/ 30°. (Questa tipologia di movimento è quella che si rinviene abbastanza frequentemente nell’area indagata) • Wedge failure (scivolamenti di cunei di roccia). La formazione di un cuneo di roccia può verificarsi quando due discontinuità si intersecano dando luogo ad un cuneo roccioso e la loro linea di intersezione emerge sul piano del versante.

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(fenomenologia poco diffusa) • Toppling failure (ribaltamento di blocchi). Si può verificare nel caso di discontinuità con direzione quasi parallela a quella del versante, in un range di +/ 30° ma con direzione opposta di immersione a 180° e linea di massima pendenza molto inclinata. • Rotture nelle quali il piano di scivolamento non coincide con le superfici din discontinuità perché l’ammasso roccioso è molto fratturato o la roccia è caratterizzata da un basso valore di resistenza

Fig. 24: Differenti tipi di rottura nei pendii rocciosi (tratto da Hoek e Bray 1981)

Il materiale così prodotto è caratterizzato successivamente da un insieme di fenomeni di caduta libera, impatti, proiezioni, rimbalzi, scorrimenti, in genere scarsamente interagenti tra loro. A seconda delle condizioni morfologiche della base, si avranno anche fasi di urto regolate dal coefficiente di restituzione normale e tangenziale al pendio nel punto di impatto; coefficiente che è funzione della o massa e forma del corpo; o angolo di incidenza; o proprietà meccaniche del corpo e del materiale presente sul pendio; o velocità di traslazione e di rotazione del corpo. Spesso può esplicarsi successivamente una fase di rotolamento che è direttamente connesso all’acclività del pendio e dall’angolo di attrito dinamico del blocco. Tuttavia il rotolamento può esplicarsi quando il diametro del blocco è molto maggiore della scabrosità del pendio. E’ abbastanza diffuso anche un pseudo rotolamento con successivi e ravvicinati impatti e perdite di contatto con il terreno. Le traiettorie che derivano dall’alternarsi delle sequenze anzidette possono essere molteplici e comunque dipendono sia dalle caratteristiche del blocco che da quelle del pendio inclinazione ed irregolarità, tipologia, Foto n° 7: aree detritiche (P.ta S’Acquaferru) densità e caratteristiche degli ostacoli presenti, caratteristiche meccaniche). In genere comunque il materiale si accumula lungo i principali canaloni o comunque forma delle spesse aree detritiche mascherate dalla vegetazione. L’arresto infatti può avvenire per progressiva diminuzione dell’energia cinetica del blocco o per impatto diretto con superfici diverse. Nell’ambito delle coperture detritiche sono invece diffusi scivolamenti rotazionali, colamenti etc, ; fenomenologie particolarmente attive in funzione anche della pendenza e della quantità d’acqua all’interno delle coltri; tra le fenomenologie più evidenti si rinvengono le conoidi legati ai fenomeni deposizionali legati all’attività torrentizia. E’ difficile comunque che il movimento franoso sia classificabile come singolo. ______60 Dott. Ing. Giovanni Perfetto Dott. Geol. Antonello Frau

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Riguardo le tipologie e gli stili di attività con le quali si può manifestare un evento franoso si rileva che specie con riferimento alle ipotetiche misure di monitoraggio da adottare, in accordo con il Working Party on World Landslide Inventory (1993, 1994) è auspicabile conoscere se una frana si può classificare come:  in avanzamento se la superficie di rottura tende a propagarsi nella direzione di movimento;  retrogressiva se la superficie di rottura si propaga in senso opposto a quello di movimento del materiale spostato;  confinata se pur essendo presente una scarpata non è visibile o sviluppata la superficie di scorrimento al piede della massa spostata;  costante se il materiale instabile continua a muoversi senza apprezzabili variazioni della superficie di rottura e del volume di materiale spostato;  in allargamento se la superficie di rottura tende a propagarsi verso uno o entrambi i fianchi. Inoltre è importante conoscere lo stile di attività che descrive come diversi meccanismi di movimento definiscano la frana. E’ evidente che tale contributo potrà variare nel tempo oltre che nello spazio. Una frana si può classificare come:  complessa se caratterizzata dalla combinazione, in sequenza temporale, di due o più tipi di movimento (es. crollo, ribaltamento, colamento o flusso);  composita se caratterizzata dalla combinazione di due o più tipi di movimento (crollo, ribaltamento, colamento o flusso) simultaneamente in diversi settori della massa spostata;  successiva se è caratterizzata da un movimento dello stesso tipo di un fenomeno precedente e adiacente, in cui però le masse spostate e le superfici di rottura si mantengono ben distinte;  singola se caratterizzata da un singolo movimento del materiale spostato;  multipla se si tratta della ripetizione molteplice dello stesso tipo di movimento.

Oltre alla definizione dei movimenti franosi, così come sopra descritta, si sottolinea che il progressivo aumento della pendenza di un versante corrisponde in genere ad un aumento del suo grado di instabilità. Si ha infatti un’accelerazione dei processi che favoriscono l’erosione superficiale; inversamente una pendenza estremamente bassa rallenta il deflusso delle acque, favorisce eventuali fenomeni chimici e chimicofisici di alterazione del suolo e del substrato litologico. L’incrocio dei fattori litologici (geologici) e quelli geomorfologici (specie dell’acclività) consente in prima analisi la definizione delle instabilità potenziali; ossia la propensione o vocazione naturale dei versanti alla stabilità o instabilità; vocazione non influenzata direttamente o indirettamente dall’attività umana. Anche per ciò che concerne l’acclività, ai fini della definizione della carta dell’instabilità potenziale dei versanti, sono stati assegnati dei pesi, quali quelli indicati nelle linee guida del P.A.I. e così riassumibili

Classi di pendenza Peso 0 10% +2 1120% +1 2135% 0 3650% 1 >50% 2 Tab XIII: Pesi attribuiti alle diverse classi di acclività

- Uso e tipo del suolo (assenza di copertura vegetale, sua intensità e tipo, etc.). Al presente studio è stata allegata la Carta dell’Uso reale del Suolo già rilevata con studio di dettaglio nell’ambito della pianificazione urbanistica; i dati significativi sono già stati esposti nella parte generale. Come “causa antropica” che può modificare direttamente o indirettamente la stabilità del pendio, si può includere la realizzazione di strutture e infrastrutture ma è da mettere in primo piano la conservazione o modificazione della

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copertura vegetale spontanea, che generalmente contribuisce ad una stabilizzazione del versante (si pensi ai fenomeni di degradazione indotti a causa degli incendi). Considerando comunque le pesistiche assegnate alle diverse classi di uso del suolo riportate nelle linee guida del P.A.I. (leggermente modificate solo per l’ambito urbano), ai fini della realizzazione della Carta dell’instabilità potenziale dei versanti, è stata effettuata una ripartizione dei pesi secondo la seguente tabella XIV:

1111 , 1112, 1121, 1112, 1211, 1212, 122 +1 1221, -1 124 0 131 +1 1321 +1 1322 +1 133 +1 141 +2 1421 +2 143 +2 2111 -2 2112 -1 2121 -2 2123 0 2124 0 221 -2 222 0 223 0 231 -1 2411 0 2413 0 2414 0 242 -1 243 0 244 +2 3111 +2 31121 +2 31122 +2 3121 +2 3231 +2 3241 +1 3242 +2 3311 -1 3313 -2 333 -1 422 0 5111 -2 5112 -2 5122 -2 521 0 Tab. XIV: Pesi attribuiti alle diverse classi di uso del suolo

- Cause Idrogeologiche e Climatiche (precipitazioni di forte intensità concentrata, escursione termica e insolazione, etc). Importante è il ruolo dell’acqua come “causa idrogeologica” sull’instabilità dei versanti e sulla predisposizione all’instabilità geomorfologica. L’acqua infatti condiziona negativamente le caratteristiche geomeccaniche, causando la riduzione o annullamento della resistenza d’attrito, di tutti i tipi di terreni, specialmente quelli a componente argillosa. Nei casi in questione la circolazione idrica è abbastanza varia in

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funzione della variabilità riscontrata nelle formazioni affioranti ma si segnala che nelle aree metamorfiche e granitiche le permeabilità sono in genere abbastanza contenute con evidente trasformazione delle precipitazioni in deflussi immediati. Le caratteristiche climatiche, possono contribuire all’innesco di fenomeni di instabilità, con particolare riguardo alla piovosità. I dati climatologici, corredati di grafici termopluviometrici forniscono tutte le informazioni correlabili con l’incremento dell’instabilità geomorfologica.

Dall’incrocio dei fattori indicati, attribuendo i pesi necessari alla litologia, alla pendenza dei versanti, all’uso del suolo e a tutte le variabili studiate, è stato possibile definire una serie di classi teoriche del territorio analizzato che passano da condizioni di instabilità massima a condizioni di stabilità. Nello specifico, sulla base delle metodologie indicate nelle linee guida del P.A.I., è stata realizzata la carta dell’instabilità potenziale dei versanti (tav. VIII) secondo le pesistiche indicate e si è comunque osservato che la rispondenza del modello con tali pesistiche non è comunque del tutto rispondente alla realtà per il territorio in esame almeno con riferimento alle aree pianeggianti.

Classe di instabilità Descrizione Pesi 1 Situazione potenzialmente stabile Da 10 a 12 2 Instabilità potenziale limitata Da 7 a 9 3 Instabilità potenziale media Da 4 a 6 4 Instabilità potenziale forte Da 1 a 3 5 Instabilità potenziale massima Da – 3 a 0

Tab. XV: classi di instabilità in funzione dei pesi assegnati

Si è cercato pertanto di modellizzare il territorio effettuando anche una seconda prova, variando i pesi dell’acclività e di altre limitate classi dell’uso reale del suolo in funzione della geomorfologia (unità geomorfologica pedemontana e montana da quella subpianeggiante) e l’accorpamento derivato dalla sommatoria dei pesi . In tale maniera è stata ottenuta una carta dell’instabilità potenziale dei versanti (Tav. IX) rappresentante una situazione maggiormente rispondente a quanto osservabile sul territorio. In ogni caso si osserva che per il successivo passaggio dalla carta dell’instabilità potenziale dei versanti, mediante l’integrazione dell’osservazione diretta dei fenomeni, della carta della franosità etc, si è giunti ad una definizione della pericolosità da frana che comunque è rispondente alle necessità della pianificazione ma dove la discriminate è comunque l’osservazione diretta e di verifica dei principali fenomeni e processi geomorfologici associati a quelli dell’instabilità potenziale derivata dalla procedura di overlay mapping. In ogni caso, dall’osservazione dei due modelli della carta dell’instabilità potenziale dei versanti si può in prima analisi osservare che quasi tutto il settore subpianeggiante e pianeggiante del territorio mostra caratteristiche di instabilità da bassa a nulla; al contrario l’area montana e pedemontana assume invece una instabilità medio elevata.

Carta della franosità

Si è già accennato al fatto che l’analisi storica dei fenomeni effettuata sia con la ricerca nel progetto AVI che nel progetto IFFI, non ha dato alcuna indicazione della presenza di movimenti franosi nel territorio di Capoterra. In ogni caso è stata predisposta una carta della franosità Foto n° 7: affluente 2° ordine Rio S. Girolamo) (tav. X) che tiene conto di tutte le osservazioni dirette e derivate dalla fotointerpretazione, nella quale si manifestano gli

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episodi di crollo roccioso e quelli di movimento gravitativo sulle coltri detritiche. Inoltre sono state inserite alcune aree poste in corrispondenza dei maggiori terrazzi fluviali (Rio S’acqua e Tomasu e Rio Masoni Ollastu e parte del Rio San Girolamo dove i fenomeni erosivi si presentano particolarmente intensi e possono essere sede di movimenti gravitativi. I fenomeni più evidenti riportai nella Carta sono quelli già indicati nella parte geomorfologica della presente relazione (crolli rocciosi nelle metamorfiti e nelle aree granitiche) ma si segnalano anche le estese coltri detritiche sui versanti e sui canaloni dove l’insieme dei processi di ruscellamento incanalato e di instabilità di versante possono produrre estesi movimenti di massa e colamento.

Carta della pericolosità per frana Il passaggio successivo, per giungere alla definizione della pericolosità da frana nel territorio, è stato quello di correlare le diverse Carte dell’instabilità potenziale, con quella della franosità e processi geomorfologici agenti, con i dati geomorfologici diretti e con quelli scaturiti da analisi sul territorio. In questa fase si è anche tenuto conto della pericolosità così come definita nelle linee guida PAI secondo la seguente legenda:

Pericolosità (Hg) Descrizione Classe Intensità Hg1 moderata I fenomeni franosi presenti o potenziali sono marginali Hg2 media zone in cui sono presenti solo frane stabilizzate non più riattivabili nelle condizioni climatiche attuali a meno di interventi antropici (assetti di equilibrio raggiunti naturalmente o mediante interventi di consolidamento) zone in cui esistono condizioni geologiche e morfologiche sfavorevoli alla stabilità dei versanti ma prive al momento di indicazioni morfologiche di movimenti gravitativi Hg3 elevata zone in cui sono presenti frane quiescenti per la cui riattivazione ci si aspettano presumibilmente tempi pluriennali o pluridecennali; zone di possibile espansione areale delle frane attualmente quiescenti; zone in cui sono presenti indizi geomorfologici di instabilità dei versanti e in cui si possono verificare frane di neoformazione presumibilmente in un; intervallo di tempo pluriennale o pluridecennali Hg4 Molto Zone in cui sono presenti frane attive, continue o stagionali; zone in elevata cui è prevista l’espansione areale di una frana attiva; zone in cui sono presenti evidenze geomorfologiche di movimenti incipienti

Tab. XVI: Classi di pericolosità

Il valore attribuito a ciascuna classe è così indicato: Hg1 = 0,25 Hg2 = 0,50 Hg3 = 0,75 Hg4 = 1

Nello specifico, ai fini della definizione della Carta della pericolosità per frana (tav. XI, XII), si è tenuto conto anche della seguente ripartizione dell’accorpamento secondo le linee guida del P.A.I. adattata naturalmente alle osservazioni dirette sul territorio.

Hg1 - Aree a pericolosità moderata Le aree che ricadono in questa classe sono caratterizzate da condizioni generali di stabilità dei versanti, ovvero presentano i seguenti caratteri: • classi di instabilità potenziale limitata o assente (classe 2 e classe 1); • presenza di copertura boschiva; • esposizione prevalente dei versanti: Nord; • litologia prevalente: depositi alluvionali sabbiosi, etc.

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Hg2 - Aree a pericolosità media Le aree che ricadono in questa classe sono caratterizzate da prevalenti condizioni di media pericolosità, in particolare da: • classe di instabilità potenziale media (classe 3) • fenomeni di soliflusso • fenomeni di dilavamento diffuso • frane di crollo non attive/stabilizzate • frane di scorrimento attive/stabilizzate • aree di conoidi non attivatisi recentemente o completamente protette da opere di difesa • superfici degradate per pascolamento • presenza di copertura boschiva • esposizione prevalente dei versanti: Nord • litologia prevalente: depositi alluvionali depositi sabbiosi, porfidi, graniti massicci

Hg3 - Aree a pericolosità elevata Le aree che ricadono in questa classe sono prevalentemente caratterizzate da fenomeni quiescenti e potenziali tali da condizionare l’uso del territorio; in particolare da: • classe di instabilità potenziale forte (classe 4) • presenza di lineamenti tettonici • pareti in roccia • orlo di scarpata o di terrazzo • falde e coni di detrito colonizzati • fenomeni di erosione delle incisioni vallive • frane di crollo quiescenti • frane di scorrimento quiescenti • deformazioni gravitative profonde di versante non attive • aree di conoidi attivi o potenzialmente attivi parzialmente protette da opere di difesa e di sistemazione a monte • fenomeni di fluidificazione dei suoli • fenomeni di soliflusso • fenomeni di dilavamento diffuso e concentrato • litologia prevalente: depositi detritici; depositi alluvionali antichi, recenti, attuali; depositi argillosi; calcescisti, micascisti, argilloscisti; filladi; anfiboliti, gneiss fratturati; graniti alterati con copertura di sabbioni.

Hg4 - Aree a pericolosità molto elevata Le aree che ricadono in questa classe sono, in prevalenza, caratterizzate da una concentrazione di fenomeni in atto tali da condizionare fortemente l’uso del territorio; in particolare da • classe di instabilità potenziale massima (classe 5) • falde e coni di detrito attivi, in particolare posizionati in quota e su versanti esposti a sud • aree di conoidi attivi o potenzialmente attivi non protette da opere di difesa e di sistemazione a monte • canaloni in roccia (e non) con scarico di detrito • frane di crollo attive • frane di scorrimento attive • scivolamenti rapidi in roccia, detrito, fluidificazione di terreni sciolti superficiali • piccole frane • deformazioni gravitative profonde di versante attive • crolli e fenomeni di instabilità lungo l’intaglio stradale. • litologia prevalente: detrito di falda, coni detritici e conoidi di deiezione, alluvioni ghiaiose, antiche e terrazzate, sabbie eoliche, sabbie, anche grossolane con livelli

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ghiaiosi ed intercalazioni di arenarie,graniti, granodioriti alterati con potenti coperture di sabbioni arcosici

In definitiva è stata ottenuta quindi la Carta della pericolosità da frana nella Tav. XI la cui perimetrazione è stata resa alla scala 1.10.000 per tutto il territorio e in scala 1.2.000 (tav. XII) nelle aree prossime all’abitato (Rione Santa Rosa e Poggio dei Pini).

DEFINIZIONE DELLA PERIMETRAZIONE DEL RISCHIO FRANA A SEGUITO DELLO STUDIO DI COMPATIBILITA’

E’ chiaro che la definizione della pericolosità da franamento con il presente studio di compatibilità geologica geotecnica, produce una variazione della perimetrazione sinora esistente (P.A.I. 2004) e che non teneva conto ne dell’estensione territoriale del Comune di Capoterra ne tantomeno delle peculiarità delle aree interessate da potenziali e attivi fenomeni di instabilità gravitativa. La perimetrazione costituisce quindi motivo di variante al Piano di Assetto Idrogeologico che potrà comunque essere presentata in seguito direttamente dall’Ente Comunale secondo le specifiche definite dalla Regione Autonoma della Sardegna. L’intersezione della pericolosità indicata con la Carta degli Elementi a rischio, ha consentito la definizione della Tavola del Rischio da frana (tav. XII) riproposta a seguito del presente studio per l’intero territorio nella scala 1:10.000. A tal proposito si osservi che per la definizione degli elementi a rischio ci si è basati sulle linee guida del P.A.I. secondo quanto riportato nella tabella seguente.

Classe Valore Descrizione E4 1.00 Centri urbani ed aree urbanizzate con continuità; nuclei rurali minori di particolare pregio; zone di completamento; zone di espansione; grandi insediamenti industriali e commerciali; servizi pubblici prevalentemen te con fabbricati di rilevante interesse sociale; infrastrutture pubbliche (infrastrutture viarie principali strategiche); zona discarica rifiuti speciali o tossici nocivi; zona alberghiera, zona campeggi e villaggi turistici; beni architettonici, storici, artistici E3 0.75 Nuclei urbani non densamente popolati; Infrastrutture pubbliche (strade statali, provinciali, e comunali strategiche, ferrovie, lifelines, oleodotti, elettrodotti, acquedotti); aree sedi di significative attività produttive (insediamen ti artigianali, industriali, commerciali minori); zone per impianti tecnologici e discariche RSU o inerti, zone di cava. E2 0.50 Aree con limitata presenza di persone; aree extraurbane poco abitate, edifici sparsi. Zona agricola generica (con possibilità di edificazione), zone di protezione ambientale rispetto, verde privato; Parchi, verde pubblico non edificato; infrastrutture secondarie. E1 0.25 Aree libere da insediamenti e aree improduttive; zona boschiva; zona agricola non edificabile; demanio pubbli co non edificabile e/o edificabile.

Tab. XVII : Classificazione degli elementi a rischio

La definizione degli elementi a rischio è stata rielaborata in funzione degli aggiornamenti attuali; l’eventuale configurazione definitiva del rischio sulla nuova zonizzazione urbanistica potrà essere definita successivamente in fase di predisposizione della variante al P.A.I. recependo quindi il nuovo piano urbanistico approvato. Il rischio associato è stato così determinato sulla base della seguente tabella utilizzando la seguente formula: Rg= Hg E V

• Hg = L a pericolosità geologica, al contrario della definizione di pericolosità idraulica, è di non agevole definizione in quanto risulta spesso non quantificabile la frequenza ______66 Dott. Ing. Giovanni Perfetto Dott. Geol. Antonello Frau

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di accadimento di un evento franoso. Per tale motivo si assume una suddivisione della pericolosità in quattro classi già definite nel paragrafo precedente • E = elementi a rischio, elementi a rischio; ai sensi del citato DPCM 29/09/98 sono costituiti da persone e cose suscettibili di essere colpiti da eventi calamitosi. Ai fini del presente lavoro si classificano secondo la Tabella XVII, nella quale ad ogni classe è stato attribuito un peso secondo una scala tra [0, 1]. • V = vulnerabilità intesa come capacità a resistere alla sollecitazione indotte dall’evento e quindi dal grado di perdita degli elementi a rischio E in caso del manifestarsi del fenomeno. Ogni qualvolta si ritenga a rischio la vita umana, ovvero per gli elementi di tipo E4, E3 e parte di E2, la vulnerabilità, secondo quanto si evince dal DPCM 29/09/98, sarà assunta pari all'unità; per quanto concerne gli elementi di alto tipo occorrerebbe provvedere ad effettuare analisi di dettaglio sui singoli cespiti ma esse esulano dai limiti delle attività previste dal dispositivo di legge e, pertanto, anche a tali elementi si attribuirà un valore di vulnerabilità ancora unitario

. Hg 4 Hg 3 Hg2 Hg 1 E1 Rg1 Rg 1 Rg 1 Rg 1 E2 Rg 2 Rg 2 Rg 1 Rg 1 E3 Rg 3 Rg 3 Rg 2 Rg 1 E4 Rg 4 Rg 3 Rg 2 Rg 1

Tab. XVIII : calcolo del rischio

dove: Rg1 ≤0,25; 0,25< Rg2 ≤0,50 0,50< Rg3 ≤0,75 0,75< Rg4 ≤1

Sulla base delle relazioni suindicate, è stata redatta la Carta del Rischio frana indicata nella tav. XII . L’accorpamento è stato eseguito secondo al seguente legenda:

Classe Valore Descrizione Rg1 ≤ 0.25 Dan ni sociali ed economici e al patrimonio ambientale marginali Rg2 ≤ 0.50 Sono possibili danni minori agli edifici, alle infrastrutture e al patrimonio ambientale che non pregiudicano l’incolumità del personale, l’agibilità degli edifici e la funzionalità d elle attività economiche Rg3 ≤ 0.75 Sono possibili problemi per l’incolumità delle persone, danni funzionali agli edifici e alle infrastrutture con conseguente inagibilità degli stessi, l’interruzione di funzionalità delle attività socioeconomiche e danni rilevanti al patrimonio ambientale Rg4 ≤ 1.0 Sono possibili la perdita di vite umane e lesioni gravi alle persone, danni gravi agli edifici, alle infrastrutture e al patrimonio ambientale, la distruzione delle attività socio economiche.

Tab. XIX: rischio geologico

COMPATIBILITA’ DEL PIANO URBANISTICO AI SENSI DELLE NORME DI ATTUAZIONE NELL’AMBITO GEOLOGICO E GEOTECNICO

Per ciò che concerne la pericolosità e il rischio frane, a seguito delle verifiche puntuali effettuate e quindi di quanto più sopra descritto, è stato possibile identificare le diverse

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situazioni di pericolosità e rischio sul territorio dal quale dovranno essere eventualmente stralciate le previsioni non compatibili. Attualmente quindi sulla base delle N.d.A. del P.A.I. non sono previsti interventi di edificazione in aree suscettibili di pericolosità da frana elevata e molto elevata. Le situazioni nelle quali la zonizzazione prevede interventi in aree sottoposte a pericolosità media Hg 2 dovranno essere attentamente vagliate secondo i criteri stabiliti dalle N.d.A. del P.A.I che dovranno essere recepite interamente nello strumento urbanistico. Nello specifico si osserva che la distribuzione nel territorio delle aree Hg 3 e Hg 4 è limitata prevalentemente alle zone montane già assoggettate ad una disciplina urbanistica abbastanza restrittiva e che impedisce di fatto l’edificazione e la realizzazione di opere in contrasto con la perimetrazione delle aree a pericolosità di frana elevata. Un caso a parte è dato dalle pendici del Monte Arbu e dalla valle del Rio Masoni Ollastu dove sarà impedita comunque l’edificazione e ogni trasformazione del suolo. Le zone Hg 2 tendono invece ad avvicinarsi all’abitato e occupano spesso aree di espansione residenziale classificabili come aree libere di frangia o lotti interclusi nei quali è ammessa la realizzazione anche di nuove opere ed edificazioni che dovranno essere comunque attentamente valutate previa acquisizione degli studi di compatibilità geologicageotecnica nei casi previsti dalla normativa. Considerando la specificità dell’indagine di dettaglio si osserva che sono state riportate in scala 1.2.000 le perimetrazioni delle aree a pericolosità e rischio frana circostanti le zone urbanizzate. Di seguito sono riportati alcuni esempi.

Rio S’Acqua e Tomasu A prescindere dalla valutazione della pericolosità idraulica, si osserva che l’area del terrazzo e l’incisione valliva è interessata da processi e fenomeni erosivi attivi che ne giustificano l’inserimento in Hg 3 e per le quali si ritiene indispensabile la massima tutela. L’edificazione è infatti avanzata sull’orlo del terrazzo dove sono però evidenti i solchi erosivi e i processi destabilizzanti sulle sponde a tratti elevate dell’incisione fluviale. Ad aggravare la situazione di instabilità si aggiungono le infiltrazioni di acque sia subsuperficiali (a tal fine si osservi come anche nella cartografia storica fossero evidenti delle nicchie di erosione regressiva direttamente connesse alla circolazione idrica subsuperficiale) e i fenomeni di ruscellamento delle acque superficiali che in caso di forte piovosità, in tratti del centro urbano nei quali non è attualmente effettuata la corretta raccolta delle acque bianche, finiscono per defluire direttamente sulle sponde del corso d’acqua incidendo il substrato e talora determinando l’instabilità anche di opere di sostegno esistenti. Si osservi che anche l’evento dell’anno 2008 ha indotto cedimenti e franamenti localizzati all’interno dell’alveo con scivolamenti e colamenti per superamento della resistenza al taglio dei depositi o per semplice scalzamento basale operato dalla corrente.

Foto n° 9: cedimenti e franamenti indotti sull’orlo del terrazzo a seguito dell’alluvione

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Ne consegue che sia per effetto delle caratteristiche del depositi e sia per la concomitanza degli effetti e processi geomorfici attivi, rilevabili in situ, l’orlo del terrazzo fluviale sia da considerare ad elevata pericolosità di franamento. La relativa perimetrazione della pericolosità riportata anche in scala 1.2.000, è evidenziata nella figura 25.

Fig. 25 : perimetrazione della pericolosità da franamento sull’area del Rio S’Acqua e Tomasu

Qualsiasi trasformazione del suolo dovrà essere impedita nell’area classificata Hg3. Al fine di salvaguardare l’area da fenomeni di dissesto potenziali ed evitare così la prosecuzione dell’erosione regressiva, potranno essere attuate lungo l’alveo adeguate opere di protezione spondale. Queste avranno anche il compito di garantire adeguate condizioni di sicurezza alle strutture già esistenti in quanto saranno atte a proteggere l’erosione fondale. La stabilizzazione dei pendii potrà avvenire con le tecniche di rinforzo indicate nel proseguo della presente relazione. A tutela dell’area dovranno altresì essere portate a compimento tutte le opere di intercettazione dei deflussi superficiali (rete delle acque bianche) all’interno dell’abitato che attualmente convergono in maniera diffusa ed incontrollata verso l’alveo. Dovrà altresì essere curata l’immissione di qualsiasi recapito in alveo evitando erosioni concentrate. Sarebbe inoltre auspicabile la realizzazione di una opportuna rete di piezometri di controllo su tutto il lato infrastrutturato che si affaccia all’alveo in modo da monitorare l’oscillazione delle falde sottostanti ed eventuali spostamenti del suolo. Sul lato Nord della vallata (sinistra idrografica), le attività agricole dovranno essere tali da evitare arature e realizzazione di solchi erosivi in direzione ortogonale all’asse della vallata; è inoltre auspicabile la realizzazione di un’opportuna fascia di rinverdimento lungo il perimetro dell’orlo definendo accordi pubblicoprivati di tutela. La quantificazione delle risorse necessarie esula dal presente studio.

Santa Rosa e aree limitrofe dell’abitato L’area di Santa Rosa è in parte localizzata sui graniti e in parte sulle coltri detritiche e in quelle colluviali. L’analisi mediante procedura di overlay mapping definisce una elevata pericolosità da franamento. E’ stata comunque eseguita una verifica di dettaglio che permette di valutare la pericolosità da franamento elevata solo ed esclusivamente per le aree non infrastrutturate poste nei settori del tratto intermedio ed elevato del versante. L’azione erosiva e i processi sul versante specie di erosione diffusa ed incanalata, e locale ______69 Dott. Ing. Giovanni Perfetto Dott. Geol. Antonello Frau

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fluidificazione ed asportazione dei suoli, sono particolarmente attivi e tali da giustificare l’inserimento dell’area nella ripartizione riportata. Alle quote più alte del versante sono visibili locali manifestazioni erosive tipiche di erosione concentrata con erosione regressiva e anche dall’ortofoto (Fig. 27) scattata a seguito degli episodi di inondazione dell’anno 2008, si nota come l’area sia stata interessata da un forte ruscellamento diffuso e concentrato che ha dato luogo a locali fluidificazioni del materiale.

Fig. 26 : perimetrazione della pericolosità da franamento nell’area di Santa Rosa

Fig. 27 : esempi di processi erosivi in atto e potenziali nell’area di Santa Rosa

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Considerato che le aree sono suscettibili di edificazione, si evidenzia che qualsiasi intervento in area Hg 2 dovrà essere definito a seguito dell’approvazione di appositi studi di compatibilità geologica geotecnica nei casi previsti dalle N.d.A. All’interno dell’area classificata Hg 2 (sia urbana che periurbana) dovranno essere adeguatamente controllati i fenomeni di erosione superficiale, l’instabilità latente per effetto della scarsa resistenza delle terre ed evitare l’apertura di fronti di scavo elevati e/o il mantenimento di scavi aperti senza che gli stessi siano adeguatamente protetti da apposite opere di sostegno. Sulle aree libere della zona Hg2 non suscettibili di edificazione, nonché sulle aree Hg3 dovranno essere realizzati opportuni interventi di sistemazione idraulico forestale atti a proteggere i terreni dai fenomeni erosivi areali e concentrati. Dovranno inoltre essere previsti accurati sistemi di protezione delle erosioni regressive (opere di difesa e stabilizzazione) che si manifestano nei tratti in cui si ha l’immissione selvaggia di acque superficiali (canali esistenti) sui terreni. Dovranno inoltre essere evitate le arature e la realizzazione di solchi lungo le linee di massima pendenza.

Poggio dei Pini L’instabilità del settore è legata sia alla presenza di estese fratturazioni con pericolosità di crollo roccioso nell’ambito delle litologie granitiche sovrastanti l’area ed inserite in zona Hg3 e sia ai fenomeni di instabilità che si possono manifestare sulle coltri detritiche e colluviali che bordano appunto l’ammasso e in particolare anche il settore posto a ridosso dell’invaso. Considerato che la realizzazione di opere ed instrastrutture nell’ambito della nuova pianificazione urbanistica del territorio coinvolgerà al massimo aree classificate a pericolosità da franamento media (Hg2) si evidenzia che ai fini della tutela del suolo e quindi al fine di evitare l’innesco di potenziali fenomeni di dissesto, la progettazione di ogni singolo intervento dovrà sempre essere accompagnata nei casi previsti dalle norme, da una relazione di compatibilità geologicageotecnica che dovrà appunto valutarne l’ammissibilità in dettaglio.

Fig. 28: esempi di processi erosivi in atto e potenziali nell’area di Poggio dei Pini In ogni caso ai fini della tutela del suolo e al fine di non aggravare la situazione di pericolosità idrogeologica presente e identificata a seguito dello studio di compatibilità, ai sensi delle norme di attuazione del P.A.I. è necessario che ogni singolo intervento garantisca

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comunque un miglioramento delle condizioni di stabilità. All’interno dell’area classificata Hg 2 (sia urbana che periurbana) dovranno essere adeguatamente controllati i fenomeni di erosione superficiale, l’instabilità latente per effetto della scarsa resistenza delle terre ed evitare l’apertura di fronti di scavo elevati e/o il mantenimento di scavi aperti senza che gli stessi siano adeguatamente protetti da apposite opere di sostegno. Sulle aree libere della zona Hg2 non suscettibili di edificazione, nonché sulle aree Hg3 dovranno essere realizzati opportuni interventi di sistemazione idraulico forestale atti a proteggere i terreni dai fenomeni erosivi areali e concentrati e interventi di rinforzo attivi e passivo e di consolidamento dell’ammasso roccioso.

In tutte le aree del territorio si osserva che comunque qualsiasi intervento ai sensi dell’art. 23 delle N.d.A. del P.A.I. deve essere tale da: • migliorare in modo significativo o comunque non peggiorare le condizioni di funzionalità del regime idraulico del reticolo principale e secondario, non aumentando il rischio di inondazione a valle; • migliorare in modo significativo o comunque non peggiorare le condizioni di equilibrio statico dei versanti e di stabilità dei suoli attraverso trasformazioni del territorio non compatibili; • non compromettere la riduzione o l’eliminazione delle cause di pericolosità o di danno potenziale nè la sistemazione idrogeologica a regime; • non aumentare il pericolo idraulico con nuovi ostacoli al normale deflusso delle acque o con riduzioni significative delle capacità di invasamento delle aree interessate; • limitare l’impermeabilizzazione dei suoli e creare idonee reti di regimazione e drenaggio; • favorire quando possibile la formazione di nuove aree esondabili e di nuove aree permeabili; • salvaguardare la naturalità e la biodiversità dei corsi d’acqua e dei versanti; • non interferire con gli interventi previsti dagli strumenti di programmazione e pianificazione di protezione civile; • adottare per quanto possibile le tecniche dell’ingegneria naturalistica e quelle a basso impatto ambientale; • non incrementare le condizioni di rischio specifico idraulico o da frana degli elementi vulnerabili interessati ad eccezione dell’eventuale incremento sostenibile connesso all’intervento espressamente assentito; • assumere adeguate misure di compensazione nei casi in cui sia inevitabile l’incremento sostenibile delle condizioni di rischio o di pericolo associate agli interventi consentiti; • garantire condizioni di sicurezza durante l’apertura del cantiere, assicurando che i lavori si svolgano senza creare, neppure temporaneamente, un significativo aumento del livello di rischio o del grado di esposizione al rischio esistente; • garantire coerenza con i piani di protezione civile.

Qualsiasi intervento previsto sul territorio, in qualsiasi zona urbanistica e in qualsiasi zona di pericolosità dovrà comunque essere svolto a seguito di un’accurata progettazione svolta con il supporto di studi geologici e geotecnici di dettaglio svolti secondo quanto riportato nella normativa vigente, atti ad individuare i processi in atto e potenziali e ad individuarne le opportune opere di mitigazione.

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PROPOSTE GENERALI DI INTERVENTO E MITIGAZIONE PER I SISTEMI FRANOSI

L’analisi geologicomorfologica e idrogeologica ha consentito di evidenziare che le condizioni di instabilità, di pericolosità e rischio geomorfologico nel territorio in questione, sono da ricondurre prevalentemente a potenziali fenomeni franosi dei versanti rocciosi e in detrito. Tale fenomeni si verificano specie in occasione di forti precipitazioni per effetto della continua infiltrazione delle acque nelle fratture e sui depositi detritico colluviali dei versanti e a seguito del peggioramento indotto sui terreni nel tempo per effetto dei fenomeni erosivi. Tali fenomeni sono comunque attivabili anche a seguito di un semplice intervento antropico in funzione delle condizioni litologiche e di coesione dei litotipi interessati . Le cause innescanti dei movimenti franosi sono quindi da ricondurre prevalentemente alla casistica sopra definita; occorre pertanto prevedere accurati interventi di protezione sui versanti specie in occasione di interventi ammissibili sul territorio, non solo stabilizzandone le situazioni di instabilità ma specialmente proteggendo dall’erosione le diverse sezioni esposte. I settori indicati ad elevata e molto elevata pericolosità ma anche talora quelli a media pericolosità di franamento potrebbero necessitare di adeguati progetti di stabilizzazione sul quale dovranno essere svolti ulteriori e locali approfondimenti di tipo geologico, idrogeologico e geotecnico. Tutti gli interventi dovranno necessariamente però ritenersi adeguati non solo dal punto di vista tecnico ma anche di inserimento ambientale visto in contesto paesaggistico nel quale eventualmente si dovrà operare. Da un punto di vista generale si evidenzia comunque, che al fine di mitigare l’esposizione alla pericolosità e al rischio occorrerà pertanto seguire un duplice approccio: ridurre le forze che tendono a provocare i dissesti e le rotture e/o intervenire con opere che aumentino le forze resistenti. Considerato che sul territorio potrebbero rendersi necessari interventi di stabilizzazione e/o consolidamento, si riporta di seguito un elenco di interventi ammissibili (non di certo esaustivo ma solo indicativo) distinguendo di seguito le proposte di intervento per la stabilizzazione dei pendii in terreni da quelli in roccia.

interventi di stabilizzazione dei pendii in terreni Le considerazioni di seguito riportate possono essere applicate a tutte le aree indagate dove sono affioranti le masse detritico colluviali instabili o alluvionali. Si segnala che le principali tecniche che possono essere adottate per ridurre gli sforzi tangenziali agenti lungo le potenziali superfici di scivolamento e quindi che permettono, in genere, di ridurre le forze agenti sul pendio, sono riconducibili alla modifica della geometria del versante e all’esecuzione di opere per il drenaggio delle acque superficiali e sotterranee. Possono essere altresì definiti interventi che permettono di aumentare le forze resistenti. Poiché le forze che tendono a causare il movimento di un pendio sono fondamentalmente di tipo gravitativo un semplice approccio per aumentare il grado di stabilità è quello di ridurre la massa di un terreno potenzialmente interessata dal movimento. In tal caso le principali tecniche che possono essere adottate per ridurre gli sforzi tangenziali agenti lungo la superficie di scivolamento, comprendono: - la modifica della geometria del pendio, - l’esecuzione di drenaggi superficiali - l’esecuzione di drenaggio profondi. Alcuni esempi grafici esemplificativi e applicativi per esempio in relazione alla realizzazione della viabilità o ancora finalizzato a stabilizzare un pendio sono di seguito riportati:

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Fig. 29 : esempi di proposta di rimozione di materiale instabile per limitare il potenziale scivolamento del lato di monte della fondazione del rilevato

Fig. 30 : esempi di proposta di drenaggio superficiale di un pendio

Fig. 31 : esempi di utilizzo dei dreni di intercettazione per rilevati

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Fig. 32 : esempi di utilizzo di sistemi di drenaggio profondo

Nel caso si intenda intervenire con la opere di stabilizzazione che tendano ad incrementare le forze resistenti nei confronti di una potenziale od esistente frana, sebbene siano disponibili diverse tecniche, si possono distinguere le seguenti due macro categorie:

- interventi che contemplano l’applicazione di forze resistenti al piede della frana (contrafforti, berme al piede, opere di sostegno) - interventi che permettono di aumentare la resistenza interna del terreno, nella zona interessata dalla rottura al fine di stabilizzare il pendio senza interventi esterni (rinforzo dei terreni mediante geosintetici, ancoraggi etc.)

Fig. 33 : schemi di classificazione dei sistemi di stabilizzazione più impiegati ______75 Dott. Ing. Giovanni Perfetto Dott. Geol. Antonello Frau

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interventi di stabilizzazione dei pendii rocciosi I metodi di stabilizzazione dei pendii rocciosi richiedono analisi e verifiche diverse da quelle finora definite. Nel caso specifico esaminato essi possono essere ricondotti al disgaggio, rinforzo e protezione.

Fig. 34 : schemi di classificazione dei sistemi di stabilizzazione più impiegati

Per ciò che concerne il disgaggio , si evidenzia che con tale termine si intendono una serie di operazioni non limitate esclusivamente alla rimozione di blocchi rocciosi ma anche alla riprofilatura di materiale alterato instabile, all’abbattimento di alberi le cui radici sono sistemate in corrispondenza delle fratture, alla rimozione di blocchi instabili isolati dai giunti di stratificazione e scistosità e inoltre la ripulitura delle trincee di accumulo alla base. Gli interventi dovrebbero essere eseguiti solamente quando la rimozione è tale da lasciare in condizioni di stabilità il fronte del pendio. L’esecuzione deve essere preceduta da attente valutazioni di tipo geognostico e geomorfologico; tra le diverse tipologie di intervento sono preferibili le tecniche di abbattimento controllato. Gli interventi di rinforzo devono invece tendere a minimizzare il rilascio tensionale dell’ammasso roccioso. Di conseguenza, in funzione della perdita del grado di mutuo incastro fra i blocchi, si avrà una conseguente diminuzione della resistenza al taglio. Potranno ad esempio essere utilizzati sia ancoraggi attivi (pretesi) che passivi (non pretesi); nel caso si debbano stabilizzare blocchi rocciosi già mossi, sarebbe necessario installare direttamente ancoraggi attivi allo scopo di evitare ulteriori spostamenti. In certi casi può essere sufficiente l’uso di bulloni intendendo per tale tipo di sistema di stabilizzazione quello proposto nelle raccomandazioni A.I.C.A.P. ossia un tipo particolare di ancoraggio costituito da una certa lunghezza, presenza della testa di ancoraggio, possibilità di messa in tensione generalmente senza controllo degli allungamenti e armatura costituita esclusivamente da barre di acciaio. Anche la tiratura deve essere tale da aumentare l’effetto delle forze stabilizzanti; si evidenzia però che nel loro dimensionamento il bulbo di ancoraggio deve trovarsi sempre ad una profondità superiore a quella della superficie potenziale di scivolamento per poter esercitare la sua forza stabilizzante. L’inclinazione ottimale deve essere determinata eseguendo il rapporto tra la tangente dell’angolo di resistenza al taglio e il coefficiente di sicurezza da raggiungere con l’intervento.

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Per ciò che concerne la protezione si evidenzia la possibilità di impiego di reti metalliche, barriere paramassi, trincee di raccolta al piede. Una metodologia che può trovare larga applicazione nelle aree indagate, in funzione della morfologia dei luoghi, è quella di protezione della sezione esposta che è interessata dall’erosione differenziale. L’accumulo di terre, alla base della parete, in modo da costituire un rilevato modellato, può quindi permettere di ottenere il duplice risultato di controllo dei distacchi rocciosi e di protezione dall’erosione.

Per ciò che concerne gli interventi specifici di protezione idraulica si rimanda all’apposita sezione della relazione di compatibilità idraulica presentata con elaborazione separata. Tutti gli interventi qui indicati e consigliati dovranno scaturire da apposite progettazioni che dovranno coinvolgere l’Amministrazione Comunale per ciò che concerne eventuali interventi pubblici mentre potranno essere certamente prescritti a carico dei privati in funzione della tipologia di intervento prevista nelle aree a pericolosità idrogeologica. Le priorità in ogni caso sono rappresentate dalle aree cartografate in scala di dettaglio e poste a ridosso dell’area urbana.

MONITORAGGIO

La presente relazione riguarda nello specifico la valutazione della compatibilità di un Piano Urbanistico e occorrerà definire quindi un piano di manutenzione e monitoraggio del territorio al fine di garantire adeguate condizioni di sicurezza e mantenere in condizioni di efficienza le strutture già realizzate e quelle che si realizzeranno. Le conseguenze derivanti dalla valutazione dello stile d’attività delle frane sulle scelte di realizzazione delle reti di monitoraggio, riguardano l’individuazione della tipologia e dell’ubicazione dello strumento da posizionare. In funzione, per esempio, della variazione (temporale e/o spaziale) delle modalità di movimento, andranno previsti strumenti di diversa tipologia, o con diversa risoluzione e campi di lettura, così come in funzione dell’ubicazione e della fase evolutiva. In ogni caso le frane complesse e composite, sono quelle per cui la realizzazione di una rete di monitoraggio presenta le maggiori difficoltà. Nel caso di frane singole, multiple e/o successive si può invece presentare la possibilità di utilizzo breve di uno strumento e quindi di poter prevedere un suo successivo riposizionamento, in prossimità di settori instabili o instabilizzabili. In ogni caso si osserva che la prevenzione del rischio (comprende le attività volte ad evitare o ridurre al minimo la possibilità che si verifichino danni conseguenti agli eventi franosi) e l’adozione di misure di salvaguardia e attività di prevenzione devono essere programmate per tutte le zone in cui il rischio sia socialmente non tollerabile ( R3 ), con priorità assoluta per le zone ad alto rischio ( R4 ). In base ai dati della previsione urbanistica si ravvisa che non vi sono comunque previsioni di ampliamento e comunque edificazione in aree ad elevato e molto elevato pericolosità di rischio da frana. Pur tuttavia anche nelle aree a pericolosità media occorre comunque sviluppare accurati progetti di insediamento che siano comunque muniti di tutti gli approfondimenti geologici, geotecnici e di compatibilità atti a mitigare i fenomeni indicati e le criticità nelle aree quali quelli del ruscellamento diffuso ed incanalato, dell’erosione dei suoli, della stabilità dei fronti di scavo e dei pendii a seguito di eventuali movimentazioni delle terre, della verifica di stabilità delle fondazioni, il tutto relazionato ad un intorno significativo dell’opera prevista. E’ comunque auspicabile che le aree segnalate come aree pericolose siano tenute costantemente sotto controllo e monitoraggio in quanto anche dalle aree montane si possono avere notevoli ripercussioni in caso di franamento specie sul trasporto solido dei principali corsi d’acqua per effetto di movimenti di massa. Sarebbe quindi auspicabile la:

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 verifica periodica delle aree in relazione alle pericolosità evidenziate  manutenzione ordinaria e straordinaria  definizione di un sistema di rilevamento periodico di tipo topografico o geodetico di eventuali capisaldi connessi agli spostamenti che possono avvenire su superfici instabili o all’interno del singolo pendio  definizione del rilievo degli spostamenti mediante misure fotogrammetriche  esecuzione di misurazioni periodiche di tipo estensimetrico e clinometrico di aree significative in cui sono posizionati ammassi rocciosi

I metodi indicati, allo stato attuale, dovranno trovare almeno applicazione specie con riferimento alle aree classificate ad elevata pericolosità del Rio S’acqua e Tomasu. L’edificazione ha infatti raggiunto l’orlo del terrazzo sul quale per la concomitanza di fattori non si escludono comunque possibilità di innesco di fenomeni franosi regressivi.

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE Con incarico affidato ai sottoscritti dal Comune di Capoterra, è stato realizzato il presente studio di compatibilità geologica, geotecnica e di supporto alla parte idraulica finalizzato all’adeguamento del P.U.C. al P.P.R ed al P.A.I. Sulla base dei dati esistenti e delle valutazioni di dettaglio, lo studio ha permesso di individuare una successione stratigrafica costituita da metamorfiti e vulcaniti erciniche a cui si sovrappongono sedimenti alluvionali e coltri detritiche. La morfologia dell’area è strettamente subpianeggiante e pianeggiante nel tratto costiero ma nel tratto Ovest si presenta con caratteristiche tipiche collinari e montane. I principali processi geomorfici sono riconducibili al ruscellamento diffuso ed incanalato e a processi gravitativi di instabilità delle aree metamorfiche, granitiche e dei detriti di falda dell’area collinare e montana. Altre instabilità e processi erosivi di particolari entità sono rilevabili nei bordi di alcuni terrazzi fluviali. Dal punto di vista idrologico è stata effettuata una accurata valutazione dei deflussi e attraverso l’analisi della cartografia storica e degli elementi geomorfologici, si è giunti ad una ricostruzione dell’andamento dei deflussi nei singoli bacini idrografici prima della delle modificazioni indotte con gli interventi antropici. Al fine di fornire utili indicazioni in relazione alla compatibilità idraulica sono state inoltre riportate alcune considerazioni di dettaglio in merito al trasporto solido evidenziando nel contempo l’alta pericolosità per l’innesco di trasporto di massa (debris flow) sia nei bacini secondari che in quelli primari del Rio San Girolamo e Masoni Ollastu immediatamente a ridosso dell’area subpianeggiante. Dal punto di vista idrogeologico si rileva che la falda è prossima al p.c. specie in condizione di saturazione dei suoli; si rilevano numerosi pozzi freatici e lo sfruttamento della falda appare comunque continuo e apprezzabile per le attività anche di tipo agricolo. Le caratteristiche dei terreni, con riguardo all’edificabilità e alla stabilità sono state accuratamente indicate nella sezione geotecnica pervenendo anche ad una definizione dello stato di qualità degli ammassi rocciosi. Per ciò che concerne la compatibilità della pianificazione urbanistica in relazione alle pericolosità da frana, si rileva che è stato eseguito uno studio sull’intero territorio pervenendo ad una mappatura delle aree instabili. Le stesse sono state divise secondo i diversi criteri di pericolosità individuate nelle linee guida del P.A.I. Su tali basi si è giunti ad una rilocalizzazione delle previsioni di piano non compatibili. Lo schema di pianificazione esclude qualsiasi possibilità di modifica dei suoli dalle aree a pericolosità elevata e molto elevata. Nelle aree di frangia, nei lotti interclusi presenti a ridosso dell’abitato e nelle quali l’analisi del presente studio di compatibilità è giunta ad una valutazione media della medesima, gli interventi ammissibili potranno essere attuati previa approvazione degli studi di compatibilità e muniti di appositi studi ed indagini di tipo geologico e geotecnico. Dovranno essere correttamente studiate in dettaglio le criticità

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segnalate nel presente studio e laddove l’intervento sia ammissibile dovranno essere accuratamente progettati gli interventi di mitigazione attraverso al realizzazione di opere adeguate alla difesa del suolo. Di importanza fondamentale è la valutazione della pericolosità da franamento della vallata del Rio S’acqua e Tomasu; l’edificazione si è infatti spinta a ridosso dell’orlo del terrazzo fluviale incrementando la situazione di instabilità per una serie di fenomeni erosivi che necessitano di adeguato controllo. Per tale area e per altri settori (Poggio dei Pini, Santa Rosa) sono state riportate alcune indicazioni per la realizzazione di opere di mitigazione e controllo. In conclusione si rileva la piena compatibilità della previsione urbanistica del P.U.C. di Capoterra a seguito dello studio dei livelli di pericolosità da frana eseguito sul territorio. Si rimanda alle norme di attuazione del P.U.C. il recepimento delle prescrizioni delle N.d.A. del P.A.I. e di quelle derivanti dalle limitazioni dell’uso del territorio derivate dal presente studio di compatibilità.

Nurallao, lì 15/11/2010 I professionisti

Dott. Ing. Giovanni Perfetto

Dott. Geol. Antonello Frau

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