La Filologia Dell

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La Filologia Dell LA FILOLOGIA DELL’OPERA ITALIANA FRA TESTO ED EVENTO Fabrizio Della Seta [email protected] Università di Pavia Philology of the Italian Opera between Text and Event Abstract The paper discusses the guidelines Operatic editions should account on which current critical editions for this temporal dimension, and of operatic music are based, with at the same time offer a text that particular reference to the nine- can be used in today’s theatri- teenth-century Italian opera. The cal practice; lacking this require- basic principle, gradually acquired ment, the economic sustainability by decades of experimentation, is of such editorial enterprises will that the sources, rather than docu- fail. These criteria are illustrated menting the transmission of a text with the example of the edition, in given once and for all, record the progress but already employed for traces of a series of performative performance, of the fi rst opera of events that have occurred in the Vincenzo Bellini, Adelson e Salvini historical life of the work, even (1825). beyond the will of the authors. La musicologia si è posta problemi di critica testuale a partire dalla metà del XIX secolo, quando furono avviate le prime grandi serie di opera omnia.1 Solo all’inizio del Novecento ha però cominciato ad ap- plicare ai testi musicali metodologie scientifi camente fondate; era perciò inevitabile che la neonata fi lologia musicale mutuasse dalle consorelle di tradizione secolare, la classica e la romanza, concetti e metodi fon- damentali, in particolare quelli di ‘intenzione dell’autore’ e di ‘versione d’ultima mano’.2 1 Per un profi lo storico della fi lologia musicale vd. Caraci 2005. 2 La prima edizione che presenti indiscutibilmente queste caratteristiche è quella delle opere musicali di Guillaume di Machaut, curata da Friedrich Ludwig tra il 1926 e il 1929 e completata postuma da Heinrich Besseler nel 1954 (Ludwig-Besseler 1926-1954); non Keywords: Music / Musical Theatre / 19th-century Opera /Music Textual Criticism / Critical Editions of Operas Fabrizio Della Seta Questi furono i principi guida delle edizioni musicali di buona parte del Novecento, comprese le ‘nuove’ edizioni degli autori classici (Bach, Mozart, Beethoven, Schubert) e moderni (Schönberg, Hindemith) pubbli- cate nel secondo dopoguerra. Tale paradigma entrò in crisi a partire dagli anni Settanta, quando per la prima volta si pensò di produrre edizioni critiche dei grandi operisti italiani dell’Ottocento, poi anche del Sei e Set- tecento, repertori che in precedenza non erano ritenuti meritevoli di cure fi lologiche. Ci si rese conto che, applicato al teatro musicale, il concetto tradizionale di testo, inteso quale oggetto defi nito in cui si fi ssa il pensiero dell’autore, doveva essere profondamente ripensato.3 Quello operistico è infatti un genere istituzionalmente multitestuale e multiautoriale; esso nasce grazie a un processo creativo in cui hanno parte poeti, composi- tori, cantanti, scenografi , impresari ed editori. Più che documentare la trasmissione di un testo dato una volta per tutte, i testimoni (partiture manoscritte e a stampa, libretti, manuali scenici, bozzetti, da un certo momento anche registrazioni audio e video) conservano le tracce di una vicenda storica che si è svolta prevalentemente sui palcoscenici, di una serie di eventi. La variante non va considerata come una sorta di acci- dente di percorso, ma come un suo modo d’essere intrinseco.4 In altre parole, con riferimento al titolo di questo incontro, lo studio fi lologico dei testi operistici si è trovato di fronte a una situazione di ‘liquidità’ ben prima che il termine diventasse di moda. Per il periodo che va dalla metà del Seicento fi no al primo decennio dell’Ottocento sono rari i testimoni che si possano ricondurre diretta- mente all’autore (autografi , copie dimostrabilmente autorizzate, per non parlare delle edizioni a stampa). A questo periodo si applica quindi pre- valentemente una fi lologia della copia che è stata, lo si sapesse o meno, più bédieriana che lachmanniana. Infatti, a parte i numerosi casi di opere con testimone unico, per le tradizioni pluritestimoniali il tentativo di co- struire uno stemma si rivela spesso impossibile. Ciò non perché la loro tradizione sia irreversibilmente contaminata, ma perché i singoli testi- moni, piuttosto che anelli di una catena di trasmissione, devono essere a caso di un poeta-musico di forte consapevolezza autoriale, sancita già in vita da una tradizione manoscritta risalente direttamente a lui. 3 Si vedano le discussioni in Gossett 2006; Della Seta 2006; Carnini 2017. 4 Come ha scritto Carl Dahlhaus, per questo repertorio «la sostanza dell’opera, di per sé non afferrabile, è presente esclusivamente nell’insieme delle sue varianti» (Dahlhaus 2009, p. 152). [ 112 ] La fi lologia dell’opera italiana fra testo ed evento considerati e trattati quali ‘registrazioni’ di singoli, o anche di più eventi spettacolari (anche se raramente è possibile stabilire di quali).5 Intorno al 1810 la situazione cambia: di Rossini possediamo autografi di quasi tutte le opere successive alla quinta, La scala di seta del 1812, così come della maggior parte di quelle di Mercadante, Pacini, Donizetti, Bellini, Verdi e Puccini. Il formarsi di un repertorio teatrale di lunga du- rata fa sì che nell’Ottocento gli autografi tendano sempre più a essere conservati dagli impresari o dagli autori stessi, per arrivare poi agli ar- chivi degli editori oppure alle biblioteche. A partire da questo momento quella operistica è prevalentemente una fi lologia d’autore: il testo è stu- diato nella sua evoluzione nel tempo, sia nella fase del suo formarsi, come studio del processo compositivo, sia successivamente alla sua apparizione pubblica, come studio delle varianti introdotte dall’autore nelle varie ri- prese da lui stesso curate. Oltre alle partiture autografe, hanno grande importanza le copie delle partiture e i manoscritti delle singole parti orchestrali. Questi ul- timi sono materiali rari, perché facilmente deperibili, ma per esempio la biblioteca-museo dell’Opéra di Parigi ne conserva una gran quantità; sulla base di essi è stato possibile realizzare edizioni del Guillaume Tell6 e, per ora provvisoria, del Don Carlos,7 nonché di avviare una edizione completa delle opere teatrali di Giacomo Meyerbeer.8 Questi materiali, generalmente di mano di copisti assai poco precisi, furono usati in te- atro e recano le tracce vive delle esecuzioni, nei casi fortunati di quelle avvenute in presenza dell’autore; essi forniscono dunque informazioni fondamentali sulla prassi esecutiva. Ma quando autografi e parti orche- strali attestano soluzioni diverse per la stessa musica, a chi appoggiarsi per stabilire il testo ‘autentico’? Vale più un dettato autografo forse superato o una stesura imprecisa di copista che è forse conserva tracce di modifi che volute dall’autore e sicuramente una testimonianza della prassi esecutiva? 5 Occorre precisare che la musica operistica di questo periodo era soggetta a una doppia circolazione: di partiture complete a uso dei professionisti del mondo teatrale, più rara- mente di collezionisti, e di pezzi singoli a uso degli appassionati; è chiaro che le arie sepa- rate, spesso successivamente raccolte e rilegate, sono da considerarsi opuscula che vivono di vita propria rispetto all’opus per cui furono composte. 6 Bartlet 1992. 7 Günther-Petazzoni 1974-1980. 8 Döhring et al. 2010. [ 113 ] Fabrizio Della Seta Non solo: le stesse parti e partiture furono usate per decenni, fi no al pieno Novecento, anche quando l’autore era morto da tempo, e di questa storia recano i segni. Inoltre vari studiosi hanno insistito sul ruolo dei cantanti, a volte promossi a co-creatori, in casi estremi a creatori tout court. Per un’epoca in cui non esisteva ancora la registrazione audio- video, assumono un’importanza imprevista, oltre ai resoconti coevi, te- stimoni quali i quaderni manoscritti nei quali i cantanti annotavano le loro varianti personali, gli inserti tardivi nelle copie e anche le edizioni a stampa, quasi esclusivamente riduzioni per canto e pianoforte, che a volte rifl ettono una pratica esecutiva piuttosto che il pensiero del compositore. Perché dunque fermarsi alle esecuzioni avvenute lui vivente e sotto il suo controllo e non seguire la storia di tutti i successivi allestimenti, magari fi no a oggi?9 La risposta ha motivazioni sia estetiche nonostante tutto continu- iamo a essere convinti che Rossini è l’autore del Barbiere sia pratiche e, perché no? economiche.10 Requisito primario di un’edizione musicale è quello di essere utilizzabile per l’esecuzione, ed è diffi cile immaginare, anche facendo ricorso a rappresentazioni ipertestuali, edizioni che met- tano sullo stesso piano tutto ciò che un’opera è stata in secoli di vita sulle scene; ribadisco: più per motivi pratici che di legittimità estetica. (Con ciò ho appena accennato al campo delle edizioni digitali, le cui potenzialità le più giovani colleghe che parleranno dopo di me illustreranno con com- petenza assai maggiore della mia). Per questo le edizioni critiche di opere, almeno di quelle ottocentesche,11 continuano a essere realizzate con metodi tutto som- 9 Vd. Di Cintio 2017 e Mattei 2017. 10 Mentre metto a punto queste righe esce il libro polemico di un fi lologo romanzo (Ra- pisarda 2018) che s’interroga sulla spendibilità sul mercato della sua disciplina (e della fi - lologia in generale) giungendo a metterne seriamente in questione la sopravvivenza. Senza entrare nel merito della polemica, osservo che l’età relativamente
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