RELAZIONE Sul Gruppo Separat E Il Contesto Dell'attentato Del 2 Agosto
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Commissione parlamentare d’inchiesta concernente il “dossier Mitrokhin” e l’attività d’intelligence italiana RELAZIONE sul gruppo Separat e il contesto dell’attentato del 2 agosto 1980 di Lorenzo Matassa Gian Paolo Pelizzaro INDICE °°° Avvertenza pag. 3 Premessa pag. 4 Capitolo 1. Il cui prodest del depistaggio pag. 5 Capitolo 2. La “pista libanese” (genesi del depistaggio) pag. 10 Capitolo 3. Il ruolo di Rita Porena pag. 29 Capitolo 4. Il ruolo di Bassam Abu Sharif pag. 38 Capitolo 5. L’accordo pag. 54 Capitolo 6. La vicenda dei missili di Ortona pag. 67 Capitolo 7. Il ruolo di Abu Anzeh Saleh pag. 85 Capitolo 8. La violazione dell’accordo pag. 102 Capitolo 9. La sanzione pag. 117 Capitolo 10. Thomas Kram pag. 124 Capitolo 11. L’organizzazione Separat pag. 155 Capitolo 12. Il segreto di Stato pag. 169 Capitolo 13. Riflessioni conclusive pag. 177 2 Avvertenza Il documento che qui di seguito sarà sviluppato approfondisce, nel contesto del terrorismo internazionale, aspetti delle dinamiche storico-politiche e delittuose connesse alla strage consumatasi nella stazione ferroviaria di Bologna la mattina del 2 agosto 1980. È opportuno evidenziare che il presente lavoro non concerne una reinterpretazione dei fatti così come ormai consolidati nelle pronunce giudiziarie o una rimeditazione degli stessi da una diversa visuale. Questa relazione costituisce strumento di completamento delle ricostruzioni già consegnate dai giudici nelle varie sentenze (Corte di Assise di Bologna, sentenza dell’11 luglio 1988, Corte di Assise di Appello di Bologna, sentenza del 18 luglio 1990, Corte di Cassazione a Sezioni Unite, sentenza del 4 giugno 1992, Corte di Assise d’Appello di Bologna, sentenza del 16 maggio 1994 e Corte di Cassazione a Sezioni Unite, sentenza del 13 novembre 1995) con l’obiettivo, soprattutto, di risolvere – alla luce delle nuove acquisizioni probatorie promosse grazie al lavoro della Commissione – molti dei dubbi e degli interrogativi consolidatisi nei giudicati. La necessità di mantenere il quadro dei rilievi di merito, per quanto possibile, scevro da condizionamenti di tipo sillogistico o presuntivo impone agli scriventi l’indicazione specifica delle fonti di prova poste a sostegno di ogni riferimento. A questo proposito si segnala che, per fonti di prova si intendono: • Atti giudiziari • Atti pubblici • Atti classificati in varia maniera • Note formali • Appunti manoscritti • Appunti dattiloscritti • Notizie provenienti da fonte aperta • Pubblicazioni • Resoconti parlamentari • Audizioni • Riferimenti normativi Queste fonti sono indicate nella cronologia degli atti di archivio e/o presenti al protocollo della segreteria della Commissione e comunque nella disponibilità della stessa. Ragioni metodologiche e di completezza nella illustrazione delle risultanze rendono necessario sottolineare, infine, che il presente rapporto viene chiuso “allo stato degli atti”. Roma, 10 febbraio 2006 3 Premessa Un’azione eclatante e sanguinaria può costituire il momento iniziale di una strategia che usa vittime innocenti per l’ottenimento di un risultato, ma può esserne anche il drammatico e apparentemente incomprensibile epilogo. La presenza di un terrorista straniero in una città e in prossimità di un luogo dove sarà consumata la strage più grave nella storia repubblicana può essere una singolare ed estranea casualità, ma può manifestare una precisa causalità se una lunga e non discontinua linea di risultanze probatorie può far ritenere che quella presenza non è frutto di una tragica e fortuita circostanza. La vicenda che, grazie alle fonti probatorie acquisite dalla Commissione, sarà ricomposta in queste pagine non muove il suo inizio dall’esplosione dell’ordigno che spezzò la vita di 85 persone, ne ferì più di duecento e ottenebrò le coscienze dell’intera comunità nazionale e internazionale. Non è questa la genesi della storia. Né l’azione di un terrorista venuto da lontano ne sarà l’epilogo. Il motivo di questa scomposizione storica si comprenderà leggendo le pagine che seguono, ma qui è necessario evidenziare che i quasi 26 anni trascorsi da quell’eccidio hanno consolidato alcune certezze giudiziarie, hanno permesso di acquisire altre evidenze documentali e, infine, hanno consentito di porsi da una visione internazionale che mai nessuno avrebbe immaginato prima dell’anno 1989, allorché il collasso del Blocco dei Paesi dell’Est (con la caduta del muro di Berlino) ha aperto l’accesso a luoghi mai esplorati di un sistema di potere e delle sue polizie segrete. Se la successione storica delle fasi: ACCORDO VIOLAZIONE DELL’ACCORDO SANZIONE può far comprendere il motivo dell’azione ritorsiva da parte di chi intimava il “rispetto” dei “patti”, soltanto attraverso l’esplicitazione del contenuto negoziale può comprendersi perché la sua natura inconfessabile portò a preferire la salvaguardia del segreto alla verità sulla morte degli innocenti ossia a perpetrare il più grave tra i depistaggi. Se a dirigere la mano dell’incaricato della sanzione fu lo stesso soggetto sottoscrittore dell’accordo violato, ecco che l’azione di un terrorista venuto da lontano può essere compresa. Soprattutto quando quel terrorista apparteneva all’organizzazione permanentemente preposta alle sanzioni. Se questo filo d’Arianna dei perché appare senza cesure o contraddizioni si deve desumere, necessariamente, che la circostanza relativa alla presenza del terrorista tedesco Thomas Kram a Bologna, nel giorno in cui venne compiuto l’attentato, non possa ritenersi casuale, ma causale e debba essere sottoposta ad un rinnovato approfondimento di tipo giudiziario. 4 1. Il cui prodest del depistaggio La Corte di Cassazione, nella sua pronuncia a Sezioni Unite del 13 novembre 1995, ha così rassegnato la dinamica della manovra depistante attuata dagli allora organi apicali del SISMI (e di soggetti esterni ad esso collegati) che interessò le indagini sull’attentato alla stazione ferroviaria di Bologna, del 2 agosto 1980: In entrambe le definitive pronunce si è dato atto che l’episodio del 13 gennaio 1981 altro non rappresentava che la manifestazione più clamorosa di una programmata azione di depistaggio, opportunamente predisposta ed inserita in una complessa strategia, già attuata, in forma subdola, prima ancora che quella valigia venisse collocata sul treno. Pertanto, l’episodio del 13 gennaio 1981 non può essere dissociato dalla complessa condotta rispetto alla quale rappresentò l’epilogo, se non a costo di infrangere la stessa verità organica dell’oggetto del giudizio già concluso. Orbene, che fosse stata realizzata una complessa azione di depistaggio da parte di alcuni preposti ai servizi di sicurezza emergeva già dalla condanne definitive riportate da BELMONTE e MUSUMECI, avendo la Corte di Assise d’Appello di Roma nella citata sentenza, dato atto delle ragioni per le quali l’episodio del 13 gennaio 1981 non poteva essere riconducibile nell’alveo di una personale ed estemporanea iniziativa dei due ufficiali del SISMI, non foss’altro perché essa aveva avuto l’autorevole avallo del defunto generale SANTOVITO, che, in quel periodo, dirigeva il servizio di sicurezza militare. Ed una volta accertato che l’episodio del 13 gennaio 1981 altro non era che la manifestazione più saliente di un unico, precostituito programma delittuoso, alla cui realizzazione, con diversi ma omogenei contributi, avevano partecipato tutti e quattro gli imputati ricorrenti1, quella circostanza aggravante non poteva non essere riconosciuta sussistente in relazione alla condotta degli stessi imputati: l’attribuzione di una unitaria, articolata e solidale condotta calunniatrice, animata da una costante ed omogenea volontà, culminata con la drammatica rappresentazione della persistente attualità della strategia del terrore, non giustificava una diversa decisione, neppure nei confronti di Licio GELLI e Francesco PAZIENZA non foss’altro perché la collocazione di quella valigia su quel treno altro non era, come già si è detto, se non l’ultimo degli atti esecutivi di un unico programma delittuoso. 1 Giuseppe Belmonte, Pietro Musumeci, Francesco Pazienza e Licio Gelli. 5 Sulla base delle argomentazioni rese dai Supremi Giudici è agevole enucleare i seguenti passaggi di sintesi del processo logico attribuiti alle condotte degli allora vertici dei servizi di sicurezza: 1. è certo che vi fu un depistaggio: ossia una serie di azioni continuate e coordinate volte a deviare l’attenzione dei magistrati inquirenti dalla verità. 2. la “programmata azione di depistaggio” faceva parte di una “complessa strategia” che ebbe il suo epilogo nella vicenda del 13 gennaio 1981 con il ritrovamento di una valigia carica di esplosivi, armi e documenti sul treno Taranto-Milano2. 3. questo episodio, l’ultimo di una serie di “atti esecutivi di un unico programma delittuoso”, aveva la sua direzione gerarchica al più alto grado di responsabilità del servizio segreto militare. Per dirla con le parole del presidente degli Stati Uniti d’America, Dwight D. EISENHOWER, “queste attività hanno regole e metodi di segretezza intesi a fuorviare e dissimulare”. Già, “fuorviare” e “dissimulare”, attività, queste, sulle quali i giudici di Roma si sono espressi in termini lapidari: La diacronica ricostruzione dei fatti, basata su prove documentali e testimoniali e sulle dichiarazioni degli stessi imputati fa emergere una macchinazione sconvolgente che ha obiettivamente depistato le indagini sulla strage di Bologna3. Se i tre punti sopra enucleati appaiono chiari, inequivocabili e insuperabili sulla base dell’esame del giudicato, non altrettanto si può