Novom Aliquid Inventum Scritti Sul Teatro Antico Per Gianna Petrone
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Atti e Convegni Novom aliquid inventum Scritti sul teatro antico per Gianna Petrone A cura di Maurizio Massimo Bianco, Alfredo Casamento Atti e Convegni Maurizio Massimo Bianco, Alfredo Casamento - Novom aliquid inventum. Scritti sul teatro antico per Gianna Petrone Realizzato con il contributo dei fondi MIUR “Incentivi alle attività base di ricerca - FFABR Anno 2017” Dipartimento Culture e Società © Copyright 2018 New Digital Frontiers srl Viale delle Scienze, Edificio 16 (c/o ARCA) 90128 Palermo www.newdigitalfrontiers.com ISBN (a stampa): 978-88-31919-61-6 ISBN (online): 978-88-31919-62-3 Indice Introduzione 7 MAURIZIO MASSIMO BIANCO, ALFREDO CASAMENTO Marginalia tragica 11 GIUSEPPE ARICÒ La consolatio del nulla. Note al secondo coro delle Troades senecane 33 SERGIO AUDANO Il Dyskolos: tragico o comico? 51 THOMAS BAIER Edipo e Mirra fra la terra e il cielo. Colpa e punizione nell’Oedipus di Seneca e nel mito ovidiano di Mirra 77 FRANCESCA ROMANA BERNO Fra strena e scaeva. Plauto e la cultura augurale dei romani 99 MAURIZIO BETTINI Nullius addictus iurare in verba magistri (a proposito di Quint. inst. 9, 2, 47) 115 ALBERTO CAVARZERE Le Troiane contro Ovidio: a proposito di Seneca Troades 830-835 123 RITA DEGL’INNOCENTI PIERINI Die Überwindung von Senecas Chortechnik. Die der bearbeitung von 1654 angehörenden chöre in Jakob Bal- des Jephtias 143 ECKARD LEFÈVRE Plauto e il tempo 163 GIANCARLO MAZZOLI Ne mox erretis: la convenzione della maschera nel teatro romano dal III secolo a.C. 181 SALVATORE MONDA Lettere dall’alfabeto in teatro, a scuola e in tribunale. Un itinerario allegorico 201 GABRIELLA MORETTI La pazzia di Ercole 233 GUIDO PADUANO Le cene di Cerere (Plaut. Men. 101) 243 LUCIA PASETTI Optimi vitae dies: il salutare carmen di Virgilio e un caso di ’ironia intertestuale’ nella Phaedra senecana 255 BRUNA PIERI Da Plauto al finale di The Comedy of Errors: “who deci- phers them?” (V, 1, 339) 279 ELENA ROSSI LINGUANTI Introduzione Pseudolo sta per lasciare la scena dopo aver affermato orgoglio- samente che nel corso della giornata riuscirà a compiere entrambe le imprese prefissate (effectum hoc hodie reddam utrumque ad vesperum, v. 530): sottrarre al padrone il denaro che serve a Calidoro e portare via al lenone Ballione Fenicio, la ragazza di cui il padroncino è innamo- rato. Lo spazio scenico assume una precisa marca temporale come a confermare la sacralità dell’impegno: ad vesperum, entro il tramon- to. Si tratta di un momento centrale all’interno dell’intreccio, perché, quasi in ossequio alla stessa spavalderia del servo, verrà messa in sce- na una commedia nella commedia. Inizia ora, tramite annunci teme- rari, la commedia di Pseudolo, di cui vengono esibite precise ‘regole d’ingaggio’ a partire, ad esempio, da un principio costitutivo della prassi teatrale: chi va in scena deve portare proposte nuove con nuo- ve maniere (qui in scaenam provenit / novo modo novom aliquid inventum adferre addecet, vv. 568-569). Un orgoglio esibito, quello del servo, che si traduce in un assunto dal sapore proverbiale: “le cose sono come tu le fai” (…omnes res perinde sunt / ut agas, vv. 577-578). Abbiamo scelto di prendere in prestito le parole di Pseudolo, che sappiamo gradite a Gianna Petrone, perché in esse vediamo un rifles- so dell’importanza degli studi sul teatro greco e latino. Studi teatrali che, pur essendo da sempre un genere privilegiato dalla filologia classica, nel corso del ventesimo secolo hanno visto notevoli allargamenti di prospettive. Un nuovo sguardo, infatti, ha portato a superare il panorama interpretativo della critica analitica e a cogliere di volta in volta la connessione tra aspetti performativi e scrittura, a indagare a fondo le relazioni con i contesti, le trasfor- Introduzione mazioni sociali, le aspettative del pubblico, smontando via via pre- giudizi consolidati, valorizzando al contempo nuove categorie di lettura e di definizione critica. Crediamo di poter affermare che Gianna Petrone, certo non uni- ca, ha lavorato (e lavora!) nel solco di questa rinnovata attenzione, sulla scia degli insegnamenti di un Maestro, Giusto Monaco, da lei amatissimo e sempre vivo nei suoi ricordi: chi la conosce può testimo- niare dell’entusiasmo con cui, guidata da una curiosità senza soste, si è confrontata con la scrittura teatrale antica ma anche, in svariate oc- casioni, con lo sterminato campo delle scritture e riscritture moderne. La battuta di Pseudolo costituisce forse l’esempio più evidente di questo sguardo appassionato al mondo del teatro antico. Qui non possiamo non rilevare la forza semantica di quell’inven- tum, che vale certamente come ‘trovata’, ma in cui si legge in filigra- na l’intenso processo euristico – l’inventio appunto – che presiede ad ogni atto creativo. Inventio è parola cara a Gianna Petrone, che qualche anno fa intitolava “Leuconoe. L’invenzione dei classici” una collana di studi; in quella circostanza precisava che «leggere i classici significa “inventarli”, nel senso di rinvenirvi qualcosa di non visto prima, ma anche in quello di “trovarli” o “ritrovarli” sulla propria strada intellettuale». Riteniamo di poter cogliere in queste parole un’eco, neppure troppo remota, del verso plautino: nella promessa del servus si misura, in fondo, la sfida intellettuale della novità di una proposta, l’orgoglio poetico di prospettare ‘sentieri inesplorati’. Sulla scia dell’antico interesse di Gianna Petrone per gli studi plau- tini e teatrali in genere abbiamo dunque pensato che delle riflessioni sul teatro antico costituissero il regalo più gradito in occasione del suo recente pensionamento. Ben lontani dall’idea di una Festschrift, la misura ridotta di una raccolta di studi di amici che hanno condiviso percorsi di studio, frequentazioni antiche o più recenti, ci è parsa la giusta dimensione di un dono adeguato alla natura della studiosa. Non vogliamo aggiungere altre parole a questa premessa, sebbene per noi sia forte la tentazione di dare voce a qualche piccolo fram- mento dei tanti momenti intensi con la maestra e con la collega. Ma, come insegnano le commedie, bisogna sapere porre una conclusione e non ‘tirarla per le lunghe’, perché soltanto nella giusta misura alber- ga la possibilità di tenere desta l’attenzione del pubblico. E, ancora 8 Introduzione sulla scorta dello Pseudolus, certi di interpretare i sentimenti di Gian- na Petrone, ci piace raccogliere l’invito finale rivolto agli spettatori: in crastinum vos vocabo (v. 1335). Per domani è già pronta un’altra scena, perché sappiamo con sicurezza che Gianna continuerà a lavorare con l’entusiasmo e la passione intellettuale di sempre. Maurizio Massimo Bianco, Alfredo Casamento 9 Marginalia tragica GIUSEPPE ARICÒ I. ENN. TRAG. FR. CII, 207 JOC. Non poche discussioni ha suscitato il fr. CII, 207 Joc. di Ennio (= 203 Ribb.3; 233 Vahl.2; F 88 TrRF), risalente all’Iphigenia: quae nunc abs te viduae et vastae virgines sunt1. L’esegesi più probabile resta ancora quella di Vahlen, ribadita da Alfonso Traina. Il frammento corrisponderebbe al v. 737 dell’Ifigenia in Aulide, nel quale Agamennone, per indurre Clitemestra a partire, adduce l’argomento della inopportunità che le figlie rimaste ad Argo rimangano sole (cito dal v. 735): Αγ. οὐ καλὸν ἐν ὄχλῳ σ’ ἐξομιλεῖσθαι στρατοῦ. Κλ. καλὸν τεκοῦσαν τἀμά μ’ ἐκδοῦναι τέκνα. Αγ. καὶ τάς γ’ ἐν οἴκῳ μὴ μόνας εἶναι κόρας. Ennio sarebbe «partito dal concetto centrale di μόνας», e l’avreb- be espresso con due sinonimi «accoppiati [...] in un nesso allitterante della più veneranda tradizione sacrale: uiduertatem uastitudinemque (preghiera a Marte citata da Catone, agr. 141, 2)»2. 1 Dal Servius auctus, Aen. 1, 52: sane vasto pro desolato veteres ponebant. Ennius Iphigenia: quae ... sunt. Probabilmente da leggere come un verso trocaico mutilo all’inizio (tr8: Ribb.1-2-3) o, meglio ancora, alla fine (tr7: VAHLEN 1907 [ma 1888/89], 407; VAHLEN 19032, ad loc., in apparato; GRILLI 1965, 205), piuttosto che – sottoponendo il testo a trasposizioni forzate – come un senario giambico: quae nunc abs te viduae et vastae sunt virgines (DÜNTZER 1837, 445); quae nunc abs te sunt vastae et viduae virgines (BERGK 1884 [ma 1844], 231); quae nunc sunt abs te viduae vastae virgines (RIbbECK 18712 nel Corollarium, XXIX; RIbbECK 1875, 103); quae nunc sunt abs te viduae et vastae virgines (MÜLLER 1884, addirittura nel testo); quae nunc abs te sunt viduae et vastae virgines (TRAGLIA 1986, 320 n. 144). 2 TRAINA 19742, 153, col riferimento a FRAENKEL 1960, 342. Cfr. VAHLEN 1907, 408; VAHLEN 19032, in apparato e, più recentemente, WARMINGTON 1935, 306 e TRAGLIA 1986, 320 n. 144. Giuseppe Aricò Un’interpretazione, questa, che si avvantaggia non poco rispet- to ad altre precedenti. Né il riferimento di Ribbeck (ma risalente a Düntzer) all’accusa di Ifigenia nei confronti di Elena in Iph. Aul. 1333- 1335 ἰὼ ἰώ, / μεγάλα πάθεα, μεγάλα δ’ ἄχεα / Δαναΐδαις τιθεῖσα Τυνδαρὶς κόρα3, né la proposta di Lucian Müller di riconoscere nel frammento «verba [...] Clytaemnestrae querentis quod virginum coe- tus cariturae sint Iphigenia»4 appaiono plausibili. Il primo richiamo, infatti, non mette in evidenza se non una generica analogia col nostro testo5; il secondo trova un ostacolo nel fatto che la circostanza descrit- ta da Ennio è riferita esplicitamente al presente (nunc [...] sunt). C’è però un’altra proposta, formulata più recentemente da Jocelyn, che, con qualche integrazione, può costituire un’ipotesi alternativa a quella ricordata all’inizio. Lo studioso parte dall’osservazione che «in a play about the Trojan expedition one would naturally interpret the words quae nunc abs te viduae et vastae virgines sunt as a part of a com- plaint uttered by a woman against the commander: because of his actions the young women of Greece have been left without suitors and the means of bearing children»; poiché questo motivo, che si ri- trova più volte nei drammi di Euripide, manca nell’Ifigenia in Aulide, si potrebbe supporre che esso sia stato introdotto da Ennio nel suo ri- facimento, nell’ambito di un contesto corrispondente all’attacco della Clitemestra euripidea ad Agamennone (vv.