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Antonio Russo

Siamo a 25 km da , in . Non ci sono luci, è notte; la notte tra il 15 e il 16 Ottobre 2000. È una stradina come tante, una strada che parte da Tbilisi e va verso il confine con l’Armenia. Una strada come tante, ma c’è una differenza. Su quella stradina di campagna c’è il corpo di un uomo.

E anche la strada a dire la verità non è come tante. Perché su quella strada c’è la base russa di Vasiani.

Il corpo presenta evidenti segni di percosse che gli hanno procurato lesioni mortali; un colpo al torace probabilmente è la causa della morte.

Non è un cittadino georgiano, ma è un italiano. Probabilmente un turista. La polizia georgiana pensa a un brutto episodio di criminalità, crede di averne la conferma quando raggiunge la casa della vittima, a Tbilisi.

La porta è aperta e l’appartamento è a soqquadro. Probabilmente una rapina finita male.

Quando comunicano la notizia all’Italia però qualche dubbio comincia a nascere. Il corpo ritrovato nella campagna di Tbilisi non è un turista. È un reporter freelance che lavora molto spesso per Radio Radicale. Sui suoi documenti non c’è scritto “Giornalista” perché non ha mai voluto iscriversi all’ordine.

Ha 40 anni, e si chiama Antonio Russo

----- Davide Cavuti, compositore e regista di Francavilla al Mare, ha scritto le musiche il testo di “Lettera ad Antonio”, sulla vita del nostro ribelle spento di oggi. A interpretarla è l’attore Arnoldo Foà.

Antonio Russo era stato capace, la notte del capodanno 2000, di raccontare i festeggiamenti da un villaggio al confine tra la Georgia e la Cecenia, nell’area di Pankisi. Il capodanno dal Caucaso, con tre ore di anticipo rispetto al nostro. Non era uno scoop particolare, ma in radio “funzionò” meglio di qualsiasi altra trasmissione fatta da Radio Radicale a quell’ora. Era uno dei pochissimi giornalisti rimasti ancora in Cecenia.

Nel suo ultimo intervento pubblico Antonio Russo aveva parlato della possibilità che in Cecenia si utilizzassero proiettili all’uranio impoverito, causando oltre alle morti dirette degli spari anche danni all’ambiente.

In una telefonata alla madre parlava di una videocassetta che mostrava torture e violenze dei reparti militari russi ai danni della popolazione cecena.

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Ma aveva parlato anche della motivazione più grande della sua presenza in Georgia: raccogliere documenti e prove per difendere il Partito Radicale Transnazionale dalle incredibili accuse della Federazione Russa, che minacciavano di fare escludere il partito dall’ONU. Accuse di narcotraffico, pedofilia e terrorismo.

Proprio qualche giorno, qualche ora prima della sua morte, Antonio aveva comunicato ad Olivier Dupuis, radicale belga al momento vicepresidente della Delegazione per le relazioni con le Repubbliche transcaucasiche, di essere in procinto di tornare in Italia con le prove che scagionavano il PRT.

Nelle sue intenzioni, quella documentazione avrebbe dovuto comporsi in un dossier da consegnare nelle mani dell’alto commissario ONU per i diritti umani, Mary Robinson.

L'appartamento che Russo aveva in affitto a Tbilisi da diversi mesi è stato messo sottosopra, e i documenti non ci sono. Come non ci sono il suo telefono satellitare e il suo computer portatile.

----- L’unico brano che parla di Antonio russo è quello che vi abbiamo proposto prima. Della guerra in Cecenia invece sono in tanti, anche Italiani. Questo è Francesco De Gregori, con “Il vestito del violinista”.

Antonio Russo non era esattamente un tipo da scrivania. Aveva raccontato direttamente dai territori di cui stava parlando, aveva sempre scelto di mescolarsi: in Ruanda e durante i massacri hutu e tutsi; in , quando uomini, donne e bambine venivano sgozzati; a , quando i cecchini freddavano i civili al mercato.

Radio Radicale l’aveva inviato anche in , dove – unico giornalista occidentale presente nella regione durante i bombardamenti NATO – rimase fino al 31 marzo 1999 per documentare la pulizia etnica contro gli albanesi cossovari. Nel corso di quelle settimane collaborò anche con altri media e agenzie internazionali. In quell'occasione fu protagonista di una rocambolesca fuga dai rastrellamenti serbi, unendosi a un convoglio di rifugiati kosovari diretto in treno verso la Macedonia.

Il convoglio si fermò durante il percorso e Antonio Russo raggiunse a piedi: di lui non si ebbero notizie per due giorni, nei quali lo si diede per disperso.

Il materiale di quella fuga rocambolesca non venne mai venduto a nessuno, ma consegnato al Tribunale sulla ex-jugoslavia, per documentare la pulizia etnica dei generali di Milosevic.

Non condivise l’esperienza nemmeno con i suoi colleghi; quando lo intervistano a Skopje in merito all’esperienza, la sua risposta è: “Senti, Mentana, adesso m’hai rotto il cazzo”.

Perché non si sentiva un protagonista o un eroe. Aveva paura, tanta paura. La sera prima di sparire sul treno aveva parlato in diretta alla radio per due ore. E aveva esordito così: “qui è un casino”.

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Del resto non gli piacevano nemmeno gli alberghi internazionali per cronisti. Li considerava parte di una specie di circuito turistico ad hoc dedicato alla stampa di guerra. Antonio li chiamava “i viaggi organizzati”.

Lui cercava una casa per ospitare amici, gente del posto che fosse disposta a raccontare. Per loro e con loro cucinava e beveva. A Prishtina era stato così, era stato così anche a Tiblisi. Cercava di sbarazzarsi al più presto degli interpreti e dell’inglese standard da inviato, per assimilare e assimilarsi agli interlocutori del luogo.

Spesso preferiva far parlare le fotografie, le riprese amatoriali che poi faceva circolare in Rete. Era l’evidenza cruda della guerra in Cecenia: prove, andava alla ricerca delle prove di un genocidio quando ancora le cronache dei giornali parlavano solo di “ceceni mafiosi”.

Marco Pannella lo aveva definito «Un radicale che fa il giornalista, non un giornalista che fa il radicale».

Il suo nome compare nella lapide dei martiri ad Arlington, nel museo della stampa di Washington, assieme a quello di altri giornalisti scomparsi in servizio.

Agli amici Antonio diceva: «Chi ci ascolta e legge deve poter comprendere una realtà in cui non è presente. Questo è lo sforzo che dobbiamo compiere». Per questo impegno, di capire e far capire, lo hanno ucciso.

----- Il prossimo brano che ascoltiamo è di NATO, una ragazza molto giovane che si veste in scena come una ragazza suicida cecena. Al di là della condanna di azioni disperate a scapito di persone innocenti, è interessante capire come il terrorismo sia una reazione alla guerra cecena scatenata dalla . NATO canta in georgiano, in ceceno, in arabo, in persiano e in tagico (la lingua ufficiale del Tajikistan). Ascoltiamo Chor Javon, che dice: Quattro compagni vicini si armarono e con grande speranza si misero in cammino Il padre svegliò i suoi figli Disse che l’alba spuntava dal cielo I ragazzi ascoltarono il padre e andarono alla caccia Il cielo tuonava, il lampo colpiva All’improvviso dal precipizio la valanga cadde e inghiottì i compagni L’imam fece il funerale ai cadaveri la loro madre si batteva la testa su una pietra e piangeva in lutto i suoi figli

Che l’omicidio di Antonio Russo abbia ragioni politiche è probabile. Ma certa è la determinazione con cui ha inseguito, cercato le notizie in situazioni di totale, assoluto e controllato black-out dell’informazione. Dove cercarle imponeva il contatto con persone che avrebbero messo a rischio la sua incolumità. Paesi in cui chi ti fa fuori è sicuro che non sarà

www.seunribellespento.org | [email protected] ​ ​ facile capire se sei stato ammazzato per i dollari che hai in tasca o per quello che hai visto e raccontato.

Alcuni conoscenti di Antonio dicono che stava studiando gli effetti che le armi non convenzionali russe avevano sui bambini ceceni. Mentre altre voci affermerebbero che il motivo dell’uccisione di Antonio sia lo stesso che ha portato alla scomparsa di altri suoi colleghi, vale a dire che Russo avesse per le mani un’intervista ad una signora georgiana che si sarebbe rivelata essere la vera madre di , sbugiardando così la biografia ufficiale del leader russo secondo la quale sua madre era una donna russa deceduta nel 1998. Ovviamente nessuna delle due versioni trova un riscontro ufficiale così come, a quasi vent'anni dalla tragica fine di Antonio, non solo nessuno è stato condannato ma nemmeno messo sotto accusa per la sua palese uccisione.

Del resto i fatti del 11 settembre 2001 hanno mischiato di nuovo le carte offrendo la possibilità alla Russia di inserire il conflitto ceceno nella più globale guerra al terrorismo di matrice islamica, trovando così nuovi e fortissimi alleati. Anche se inizialmente il movimento d’indipendenza ceceno aveva ben poco da spartire con il terrorismo islamico.

Purtroppo le cose in Cecenia dal duemila ad oggi sono solo peggiorate. E anche se se ne parla certamente molto più di prima le informazioni che ci arrivano sono filtrate a dovere dai servizi segreti e come abbiamo visto non è molto sano spingersi troppo in là nel tentativo di scoprire che cosa realmente stia bollendo nel pentolone caucasico.

----- Resta che Antonio Russo è stato ucciso, come sei anni dopo verrà uccisa un'altra giornalista scomoda, Anna Politoskaja, «colpevole» di denunciare gli stessi crimini.

L’ultimo brano con cui ci lasciamo è di Giovanni Allevi e si chiama Foglie di Beslan, ispirato all’attacco suicida ceceno alla scuola di Beslan.

Ci risentiamo alle 8:00 di Lunedì prossimo.

Se un ribelle spento passa il testimone, siamo pronti a prenderlo?

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