Trilussa E Scarpetta
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TRILUSSA E SCARPETTA doardo Scarpetta debuttò a Roma al teatro Metastasio, ora spa E rito, nel 1877. Poi con i superstiti comici del e< San Carlino » - erano già spenti Antonio Petito, il famoso « Pulcinella », e Pasquale Altavilla - egli tornò nella Capitale l'anno appresso reci tando al Quirino. Dal 1890, o poco dopo, lo Scarpetta s'insediava al teatro Valle e d'allora sistematicamente dava tre mesi di rappresen tazioni all'anno, prediletto e acclamato dal pubblico romano e da quello cosmopolita che si riversava a Roma. In questi periodi Edoardo Scarpetta faceva trasportar da Napoli cocchio e cavalli per la sua passeggiata al Corso, additato dai romani con compiacenza, e faceva trasportare anche grosse casse di pasta ali mentare di Gragnano che divorava, da buon napolitano, quotidia namente. Un giorno, al principio di questo secolo, il conte Andrea Sola, mecenate lombardo, scrittore, deputato e soprattutto appassionato del teatro invitò a colazione nel suo soggiorno romano alcune signore e alcuni artisti, fra cui la principessa di Gravina, Trilussa e Scarpetta. Il nostro Trilussa era già celebre allora, soprattutto per il poe metto Er Serrajo che l'editore Voghera gli aveva stampato nel 1903. Come è noto Er Serrajo è suddiviso in tre parti: Er Comizzio - La Ribbejione - La fine dello Sciopero. Naturalmente, a cena compiuta, Trilussa fu invitato a recitare qualche sua poesia ed egli disse la prima parte del Serraglio, il Co mizio. Appena terminato, gli astanti invitarono il comico napolitano a dir qualcosa di suo e Scarpetta dichiarò che avrebbe recitato di nuovo il Comizio di Trilussa ma ... in dialetto napolitano ! Questa traduzione apparve in un opuscolo, assai raro, stampato nel 1904 dalla Tipografia Editrice Romana ch'era in via della Prezza e fu dedicata ad una delle convitate e precisamente alla principessa di Gravina. 75 « A Lei, illustre e gentile amica - scriveva Scarpetta - io de Quanno steva sguarrato ncopp'a sabbia, dico questo libriccino, che mi ricorda due o tre ore fra le più liete Libero, sciolto, ntiempe 'e primmavera, della mia vita: una colezione offerta con squisita cordialità dall'on. Abbracciato e cuccato c'a mugliera. conte Sola ad alcune signore e a pochi amici. Era fra questi anche E penzava 'o tramonto, quanno pare Trilussa il quale, per meglio rallegrar la mensa, disse, com'egli sa Che 'o sole russo russo cumm'o ffuoco dire, il suo Comizio. La improvvisata fu entusiasticamente accolta. D'o cielo cade nterra, e a poco, a poco Ma io ne avevo preparata un'altra; e, dopo il giovane e geniale poeta Fenesce che se stuta dint'o mare ... romano, ridissi il Comizio in dialetto napolitano. Eccole, illustre si Pe chi patisce 'e smanie e pucundria, gnora, spiegata così la nascita del libriccino, in fronte al quale, come Chest' è l'ora cchiù brutta che nce sia! un augurio, mi piace oggi segnare il suo nome. Vorrebbe or Ella Il Leone narra le pene e le angherie che gli fa soffrire l'impre sapere pure il perchè della pubblicazione? Perchè mi lusinga la spe sario del circo : ranza di far cosa grata anche a Lei, che forse, come altri, non ha Fra l' antre cose ha scritto ner programma p~tuto perfettamente gustare nel dialetto romanesco (la principessa Gravina era napolitana) il bel componimento poetico del Trilussa. Che un giorno ho divorato un domatore! Se mi sono ingannato, Ella, ch'è così indulgente, mi perdoni almeno No, nun è vero affatto! È un impostore! la buona intenzione e il devoto e grato ricordo che serbo di 'Lei ». Lo passino ammazza/lo in braccio a mamma! A titolo di curiosità riporto qualche saggio della traduzione, te È 'na redarne che se fa 'sto micco nendo presente la prima edizione del Serrajo di Voghera. Pe' venne più bijetti e fasse ricco. Trilussa: Ed ecco come Scarpetta rigira il classico cc possino ammazzallo » : Er Leone rinchiuso in una gabbia Fra l'anti cose, int'o cartiello ha miso In der vedè' da un finestrino aperto Che na vota sbramaie nu dumatore. Er celo e er mare, aripenso' ar deserto Nun 'o credite affatto, nonsignore, E ar tempo che sdrajato su la sabbia Addò? - Chi? Quanno mail - A chi aggio acciso? Libberamente, senza tante noje, Ve mbroglia, 'o dice apposta pe ngannare, Passava la giornata co' la moje. Pe vennere bigliette e fa denare. E ripenso' ar tramonto: quanno pare Che er sole, rosso rosso come er foca, L'Orso ammonisce l'Aquila, che spazia i cieli e che sembra di Scivoli già dar celo e a poco a poco sinteressarsi della riunione di protesta: Finisce che se smorza drento ar mare. In arto nun se sentono li lagni, Pe' chi patisce de malinconia In arto nun se vedono le pene, Questa è l'ora più peggio che ce sia! Da quel/' artezza lì, tutto va bene! Scarpetta: Poveri e ricchi, tutti so' compagni/ Nu Lione nzerrato int'a na gabbia, Bisogna scegne pe' conosce a fanno Da nu poco 'e pertuso isso guardava Tutte le birbonate de 'sto monna! ... 'A muntagna, 'a pianura ... e ricurdava 76 77 Da coppa nun se sentene mai lagne, APPRODO NELL'URBE Da coppa nun se vedene mai pene, Da chell' altezza là tutto va bene, Povere e ricche tutte so' cumpagne! S' ha da scennere pe vede' a zefjunno Tutte le birbantate de stu munno. amma mi fece l'ultima M raccomandazione, si E terminiamo con l'intervento al comizio del Maiale : asciugò una lagrima Un povero Majale ammaestrato, che le rigava, ostinata, la Che spesso entrava in gabbia cor Leone guancia, e mi lasciò partire Pe' fa' convince er pubbrico cojone per il mio destino: verso Che el Re de la foresta era domato, Roma, sogno della mia ado Se fece esci' un rumore da la gola lescenza concitata e caparbia. Domannò scusa e prese la parola ... A nulla erano valse le dolci pressioni di parenti e amici, Scarpetta così abilmente traduce: e specialmente dei familiari Nu povero Majale ammaestrato, che mi volevano lì, nel paese Che traseva int'a gabbia c'o Lione, rupestre, a loro conforto e ~ Pe fa credere a quacche cucuzzone orgoglio: O Roma o morte! Che il Re della foresta era domato, Roma mi apparve, di notte, nell'ampiezza festosa di piazza dei Se fa nnanze dicenne: « Permettete Cinquecento, con lo splendore e il vario brillare delle sue mille luci, Voglio parla' pur'io, se lo credete ... ii. vicine e lontane. Poi la lussuriosa fontana delle Naiadi; poi via Na zionale, accesa di colori fino all'infinito (così parve alla mia eccitata ETTORE VEo fantasia), gaudiosa e solenne come una via trionfale. E trionfo era stato il mio sulle forze che mi volevano legato alla terra su cui ero nato: avevo anelato a lungo alla tua eterna grandezza, o Roma, e quella notte mi pareva che anche tu lieta mi accogliessi tra le « braccia marmoree », immensa e generosa. L'immagine tenue del campanile del paese s'era ormai dissipata nell'anima, tutta pervasa di te, del tuo splen dore: l'età non consentiva di volgersi indietro, spingeva prepotente in avanti e in alto la grandio5ità dei sogni e delle speranze. In te vedevo, o Roma, il seme d'ogni frutto buono, l'essenza sublime ed eterna della vita: il sentimento purissimo delle cose belle e delle cose sante. Nè tu quella mia speranza deludesti, o Roma, giacchè, anche fra le mille bufere, sempre in te, nel fascino dei tuoi monumenti, ho disegno da: trovato la quiete dell'anima, e il perdono, il compatimento, la pietà G1cc1 ZANAzzo: Eduardo Scarpetta . Roma, Perino, 1890. ~~~· , ~~ 79 liifft .... _, . ~ !il iV\22. __ -. ~~~ -- - - --..;:.~• &-~.-!:;.. · ~~~""=--\.. ,;·":"~ . ---..;:::: --..... -=- dell'umana perfidia. E a te ritorno ogni volta che una voce nemica, esterna o interna, turba e incrina il cristallo dell'intima pace che vado col sacrificio fingendo a me stesso : allora io ti cerco e ti trovo, ine sausta e inesauribile amica, nella muta notte, come la prima volta in cui ti vidi, aureolata di sogno. Ti cerco e ù trovo nelle vie del su burbio papale, nei misteriosi avanzi di tempi tenebrosi, nelle austere colonne, nelle solide e gravi mura, negli ampi ar.chi cupi d'ombre profonde, nell'ardimento delle opere nuove lancianti nel futuro l'an tica solenne maestà della tua grandezza. In te sento rinascermi nel cuore, o Roma, il vecchio frustrato amore alle cose eterne, dimenùco per te ogni bassa contingenza e ogni viltà, chè tu assommi e fondi X-_,, quel che d'imperituro c'è nel vecchio e nel nuovo, in te ogni umana "" grettezza perde di peso e di vigore, sicchè ispiratrice ti fai solo di o ;:e magnanime cose. <Z :.J o: Benedetta sia, dunque, quella notte di felicità che mi ti svelò, :.J V; quella mia giovanile follia che mi fece cittadino della tua civiltà, che ....J LJ..I mi fece -tuo umile figlio, felice sol di servirti e di amarti come madre % santa e purificatrice. ~ o.. VINCENZO DIGILIO ::: o...-; oe: o ()~ (disegni del/' autore) es o N % u..:u % :...- ~-M'E~Y-~ .. ~P. ROMA AR TRAMONTO Quanno che se fa notte e cala er sole Roma la vedi diventà dorata; Pija 'na luce carda, appassionata: Fiamme alti vetri e lampi alle lenzole. L'Avemmaria te sfiocca n'infiorata - De sòni, de pensieri, de parole: E dietro ar Cupolone e rose e viole Pioveno giù nell'aria imbarsamata. Poi, piano piano, un velo se distenne Su tutto; e come un pispillìo d'amore Senti a festa intoccà 'na campanella. E lì te prenne un non so che, te prenne Che te fa piagne; e te sospira er core: Oh! Roma, Roma mia, quanto sei bella! ANTONIO SPINOLA (disegno di Pio Pullini) 6 )()}( ~ LI CARCIOFOLI ALLA GIUDIA / Quattro carciofoletti alla giudia Fritti dorati, bionni, scrocchiarelli Sò stati sempre la passione mia, Cento vòrte più mejo de cervelli.