GRUPPO ARCHEOLOGICO MILANESE

AQUILEIA (città di frontiera e Porta d’Oriente)

Viaggio di studio 29 – 30 settembre 1° ottobre 2017 Dispensa didattica per i partecipanti INDICE

Testo a cura di Danila Faccio

La storia ...... pag. 3 Il Foro ...... pag. 11 Il porto ...... pag. 14 Le mura ...... pag. 16 I magazzini e i mercati ...... pag. 17 Fondo Pasqualis ...... pag. 17 Le necropoli ...... pag. 18 Il grande mausoleo ...... pag. 20 Fondo Cal ...... pag. 21 Fondo Cossar ...... pag. 21 Le strade ...... pag. 22 Il teatro ...... pag. 23 L’anfiteatro ...... pag. 23 Il circo ...... pag. 24 Il palazzo imperiale ...... pag. 25 Le terme ...... pag. 26 I luoghi di culto ...... pag. 27

2 LA STORIA Aquileia, dopo la sua fondazione, diventò la terza città dell'Impero romano e il primo emporio marittimo, con Grado come porto di riferimento verso le sponde mediterranee greco-turche, siriane ed egiziane e all'apice del potere come città-stato, i confini del suo Patriarcato giungevano a toccare Augsburg, Monaco e Vienna verso Nord, e Budapest ad Est. La sua vocazione è di essere una terra di passaggio: sia per i Popoli che scendevano d'Oltralpe, come per quelli che giungevano dall'Europa orientale, tutti con il desiderio di migliorare le proprie condizioni di vita nella fertile pianura del Po, o di conquistare la Penisola o di giungere fino all'Adriatico per i propri commerci. Le prime strutture per lo stanziamento nel territorio sono i castellieri del Neolitico, collocati sulle colline, a debita distanza sia dalle montagne alte e fredde, sia dalla pianura insidiosa e malarica. Dapprima erano solo rifugi di fortuna come grotte o rudimentali capanne, in seguito gli abitanti costruirono muri a secco, formati da pietre raccolte nei dintorni e lavorate rozzamente, con lo scopo di delimitare e proteggere con delle mura più abitazioni. Queste piccole comunità, in principio autonome ed isolate, in seguito vennero collegate da sentieri che, a mano a mano si stabilivano rapporti e scambi e con l’intensificarsi dei contatti, si trasformarono in strade. Queste popolazioni dell'estremo nord-est erano conosciute col nome dei loro vicini più importanti, gli Euganei. Ma è Tito Livio a raccontare che nell'area intorno al golfo dell'alto Adriatico, si erano insediati invece i Veneti. O meglio i Paleoveneti, di stirpe indoeuropea e provenienza dalla Germania meridionale, presenti qui fin dal II millennio a.C. con una loro civiltà e cultura, che sarebbe poi fiorita nel millennio successivo. Polibio assicura della loro antichissima origine, mentre Erodoto parla di popolazioni illiriche, senza fornire riscontri troppo precisi. Ma non si può, mancando una vera documentazione, sapere molto sulla fase antica di queste terre, dove sono passati così tanti popoli. Scesi dalla Valle dell’Adige, si stabilirono lungo l'alto Adriatico "cacciandone gli Euganei che abitavano tra le Alpi e il mare". Un'immigrazione importante dunque, in grado di sottomettere gli indigeni che comunque rimasero, mescolati ai nuovi venuti o concentrati nelle valli minori. I Veneti subentrarono agli Euganei, ma ne assimilarono la cultura, usando persino i loro metodi di difesa. Erano gente pacifica, nota anche ad Omero, vissuta fra il XII e il I sec. a.C. nella vasta area identificabile col Veneto di oggi, con il Friuli Venezia Giulia e il Trentino. Un territorio omogeneo e aperto agli scambi come alle influenze esterne di Etruschi, Greci e Sloveni. Intorno al V sec. a.C. il tentativo degli Etruschi di allargarsi nella Valle Padana, sulle prime senza difficoltà, fu ostacolato dalla discesa dei Galli Celti. I Veneti rimasero sostanzialmente padroni del loro territorio, verso Nord e verso Est fino al mare. Il percorso degli invasori era invece sulla direttrice Sud, portandoli ad assalire Roma nel 390 a.C. Il territorio del nord-est è l'estremo angolo orientale della Pianura padana, piatta e provvista di vie d'acqua, ricco di storia, protetto dalla cinta alpina, raggiunto dall'Adriatico, che convoglia scambi e commerci verso il cuore dell'Europa. La pianura friulana era da sempre considerata poco adatta all'agricoltura, per le paludi, i corsi d'acqua erratici e la frangia lagunare variabile, ma luogo di facile accesso, passaggio abituale verso il mondo balcanico e danubiano fin dai tempi più antichi. Nell’area che sarà poi occupata dalla città romana, immediatamente a nord del Foro di recente sono stati messi in luce i resti di strutture insediative, che risalgono alla prima età del Ferro, dimostrando che nell’area esisteva già un abitato indigeno. Questo abitato preromano fu costruito su un ingegnoso 3 dispositivo di bonifica, costituito da travi orizzontali di quercia, quasi perfettamente orientati secondo i punti cardinali, e da pali conficcati in profondità nel terreno. L’analisi al radiocarbonio dei campioni di legno ha fornito una datazione compresa tra il 916 e il 790 a.C. Sopra questo impianto dovevano sorgere le capanne, probabilmente di forma quadrangolare, con pareti di legno e ramaglie rivestite di limo e argilla e i pavimenti in battuto. La tipologia dell’insediamento aquileiese ricorda da vicino quella di altri villaggi contemporanei dell’area veneta, come per esempio Concordia Sagittaria, dove la situazione ambientale era del tutto simile. L’insediamento preromano di Aquileia era inserito, infatti, in un paesaggio caratterizzato da un ambiente umido, con presenza di uno o più corsi d’acqua che lambivano l’insediamento stesso; il territorio circostante era occupato da una foresta discontinua principalmente di quercia e carpino, con presenza di frassino, olmo e ontano e di un sottobosco composto da nocciolo, sanguinella e corniolo. Le abitazioni erano dotate di un focolare per la cottura del cibo. Tuttavia, il ritrovamento di molti scarti di lavorazione di recipienti di terracotta potrebbe indicare, che negli stessi ambienti veniva prodotto del vasellame fittile. Si è supposto, inoltre, che vi avvenisse anche la lavorazione del ferro. L’insediamento protostorico sembra conoscere un’improvvisa crisi a seguito di un’alluvione avvenuta nel V sec. a.C. Dopo questo evento, le testimonianze archeologiche della continuità di vita del centro nel IV e nel III sec. a.C. diventano decisamente più frammentarie, anche se evidenziano la ricchezza di contatti e rapporti con il resto della penisola. In ogni caso, è dubbia, non avendo elementi archeologici decisivi a supporto, l’ipotesi dell’esistenza di un centro celtico o di influenza celtica precedente la colonia latina, ipotesi che deriva soprattutto dall’affermazione dello storico Tito Livio, secondo il quale la colonia sorse “nel territorio dei Galli”. Perché e come Roma arrivò fino a qui? La risposta è nella storia dell'imperialismo politico e militare dell'Urbe. Dopo le tre guerre puniche cominciate nel 264 a.C. e concluse vittoriosamente nel 146 con la conquista del mare e della costa nordafricana, dopo la sconfitta nel 283 dei Galli Senoni a Nord, Roma decise di fermare l'espansione celtica, di porre degli insediamenti difensivi sugli Appennini, e soprattutto di fondare Rimini e il suo porto strategico, come roccaforte per la sua avanzata a nord.

4 Roma intraprese la sua espansione verso Nord: batté Liguri e Galli, si alleò con Veneti e Cenomani, e continuò a creare colonie nella pianura (Bologna venne fondata nel 189, Modena e Parma nel 183) e costruì grandi strade di collegamento come l'Emilia e la Flaminia. E’ in tale contesto che viene fondata Aquileia nel 181 a.C., come avamposto di Roma verso Est. Lo scopo era liberare l'Adriatico dai pirati illirici e controllare l'area cispadana nella sua parte orientale e i valichi di più facile accesso. In quell'area, inoltre, l'espansione demografica dei Galli transalpini era penetrata fino a costruire una loro cittadella fortificata a sole dodici miglia dalla futura Aquileia intorno al 186 a.C., come racconterà Plinio il Vecchio. Nel 183 a.C. il Senato romano inviò Claudio Marco Marcello ad attaccare gli invasori, i quali, pur disponendo di un esercito di 12 mila uomini, si arresero presto, accampando tuttavia come pretesto della discesa le loro necessità di sopravvivenza e ribadendo intenzioni pacifiche, smentite dall'ingente bottino requisito con la forza dai soldati romani. A quelle contestazioni il Senato rispose consentendo loro di tornarsene liberi di dove erano venuti, al di là delle Alpi, contro l'impegno di non tentare mai più alcuna emigrazione verso Sud. A quel punto Roma non perse altro tempo, decise la fondazione di Aquileia nell'anno 572 di Roma (181 a.C.), incaricandone i triumviri Publio Scipione Nasica, Gaio Flaminio e Lucio Manlio Acidino: lo ricorda una lapide conservata nel Museo archeologico. Sulla riva destra dopo la confluenza dei due corsi d’acqua Torre e Natisone, navigabili da lì in poi e sfocianti nella placida laguna sorvegliata dall'avamposto di Grado, che Roma scelse di edificare il suo avamposto. Quali e quanti abitanti vi abbia trovato non è dato sapere.

L(ucius) Manlius L(uci) f(ilius) Acidinus, triu(m)vir Aquileiae coloniae deducundae Lucio Manlio Acidino, figlio di Lucio, triumviro (incaricato) della fondazione della colonia di Aquileia

Furono assegnati 50 iugeri di terreno a tremila coloni latini (forse di provenienza centro-meridionale: Apulei, Caeserni, Ovii), 100 ai centurioni e 150 ai cavalieri. La cerimonia della fondazione avvenne secondo il rito etrusco: invocata la benedizione degli dei, con un aratro trainato da un toro e una mucca, si delimitò l'area - un quadrato perfetto - con un solco in cui la terra veniva rivoltata verso l'interno. La leggenda vuole che un'aquila sorvolasse più volte il recinto: di qui il nome di Aquileia, ma forse deriva invece da un termine più arcaico legato all'acqua. Il primo compito della nuova città era quello di ospitare l'esercito e il deposito di armi, principali deterrenti per possibili invasori dall'Est. E, qualche anno più tardi, di ingrossare le file delle armate di Cesare e di Augusto nella loro avanzata oltre le Alpi. Aquileia era inizialmente colonia di diritto latino - la dodicesima dell'Italia settentrionale, dopo Rimini - cioè uno stato autonomo subordinato a Roma da un'alleanza, diversamente dai municipi di diritto romano, che consentivano ai loro residenti di essere considerati a pieno titolo cittadini dell'Urbe. I coloni insediati da Roma venivano considerati militari anche quando non lo erano, impegnati e pagati dall'esercito per le sue operazioni, comprendenti i lavori pubblici come strade e acquedotti, case, mura e palazzi; ogni cosa secondo i canoni urbanistici romani.

5 La prevedibile difficoltà di trovare persone disposte a trasferirsi in luoghi così lontani e di frontiera fu superata dunque dai tanti incentivi, che decretarono il successo dell'impresa: 15 mila persone distribuite su un territorio di 400 chilometri quadrati. Si sa poco o quasi nulla sui regimi fondiari attuati e sulle colture prevalenti, salvo che per la produzione di vino, sicuramente ottimo già allora, come oggi. Il refosco dal peduncolo rosso, per esempio, si ottiene proprio da vigneti autoctoni. Nel giro di qualche decennio vi furono discreti investimenti, diretti ad accorpare ed allargare le proprietà fondiarie, attratti dai guadagni offerti dal mercato agrario, anche se abbiamo pochi studi sulle ville rustiche della zona. Ci sono invece fonti archeologiche ed epigrafiche che parlano di attività certe e ben remunerate, come la lavorazione di metalli, particolarmente del ferro, laterizi, ceramica e vetro. I buoni guadagni, oltre a favorire il lavoro di orafi e gioiellieri, portarono ad elevare il tenore di vita e quindi di spesa. E lo sviluppo del commercio e dell'import-export ne furono la conseguenza. In questo ambito le notizie sono più dettagliate: arrivavano le spezie come pepe e cannella dall'Oriente, incenso e papiro dall'Egitto, frutta e pece dalla Grecia, il vino di Candia e l'avorio dall'Africa. Dalla Dalmazia giungevano le pelli; lana e pecore dall'Istria; d'Oltralpe schiavi e agnelli per i sacrifici, l'ambra del Baltico. Etruschi e Fenici si rifornivano proprio qui di ambra, l'articolo più commerciato da loro nel Mediterraneo, insieme a vino, olio e granaglie. Si vendevano bene anche i grossi bufali catturati nelle selve del Timavo (fiume che scorre tra Croazia, Slovenia e Italia). Sui canali, che oltre al Natisone, attraversavano la laguna e sul porto di Grado, attualmente ricoperto dalle onde, non ci sono notizie, ma la Basilica di piazza del Municipio di Grado, gli splendidi resti con tracce romane ed i mosaici di stile aquileiese, sono la testimonianza di un approdo dei naviganti e degli ammalati diretti qui per la quarantena. Percorrendo otto miglia su un canale ben navigabile e ben protetto, si raggiungeva ad Aquileia un porto fluviale di tutto rispetto, che coinvolgeva l'antico corso del Natissa, del Torre e del Natisone; ancora oggi la sua conservazione attesta l'accuratezza dell'opera. Ma Aquileia era famosa anche per le sue mura, che ebbero vita molto travagliata: forse la città contava soprattutto sulle difese naturali, benché sul finire del VI sec. d.C. il poeta Ausonio la celebrasse ancora come moenibus et portu celeberrima. Mancano notizie sull'assetto sociale. Qual era la provenienza dei primi coloni? Per lo più Sanniti, come sembra? Quanti abitanti contava la città nel periodo della più rapida ascesa? Fra loro, quanti gli stranieri che vi erano approdati per i loro commerci? Macedoni, Egiziani, Siriani? Quanti gli schiavi, e di quali etnie? Com'erano composte le corporazioni dei mestieri e delle professioni? Le associazioni culturali? Forse dalle ricerche in corso sulle tante epigrafi rinvenute sarà possibile ottenere qualche significativa risposta. Quel che è certo invece è l'ennesimo tentativo dei Galli di riaffacciarsi qui, attirati dal fiorire economico dell'area. Questa volta per vie pacifiche, chiedendo l'autorizzazione al console Quinto Fulvio. Permesso negato per mancanza di spazi liberi, quando in verità nel 178 ben tremila Celto-Carni furono accolti nei pressi di Aquileia, avendo accettato di arruolarsi nell'esercito romano per presidiare il territorio. Per questo con delibera senatoriale del 169 fu stabilito di inviare in zona altre 1.500 famiglie di coloni, facendone così salire la popolazione ad almeno 20 mila unità. L'operazione fu affidata ai triumviri Tito Annio Lusco, Publio Decio Subulo e Marco Cornelio Cetego, che provvidero anche ad allargare e fortificare le mura della città. Ma tutto questo non fu ancora sufficiente, se nel 129 si dovrà ricorrere alle armi per assoggettare gli inquieti vicini e venne consentito ai Carni di scendere in pianura. Ma questo fu solo un permesso o un preciso volere e perfino un incentivo per aumentare la popolazione di un territorio ormai sistemato dal punto di vista politico e militare? Questi nuovi arrivi erano popolazioni in gran parte rurali, che portarono con sé il culto di Beleno. Per un paio di secoli la città fu il più forte presidio ai piedi delle Alpi orientali. Ma per gli interessi di Giulio Cesare e poi di Augusto di espansione e di conquista del mondo, sarebbe cambiata anche la funzione di Aquileia. Altre città erano diventate le piazze militari più avanzate ed Aquileia, più protetta e in pace, diventerà un grande emporio mercantile.

6 Nel 90 a.C. la Lex Julia municipalis conferiva agli abitanti di Aquileia la piena cittadinanza romana, ascrivendoli alla tribù Velina (dal lago omonimo della Sabina, nel Reatino) e trasformando la città in Municipio. Col successivo assetto di Augusto che divideva l'Italia in undici grandi regioni, alla decima Venetia et Histria veniva attribuito il territorio compreso fra il corso dell'Adda e le Alpi Carniche e Giulie, con capitale Aquileia.

La complessiva rete stradale del Settentrione italiano rispondeva al bisogno di collegare agevolmente Roma con Genova, Milano, Padova e il Nordest e quindi con quella nuova città di Aquileia voluta come baluardo difensivo e insieme base avanzata da cui partire alla conquista della costa orientale adriatica e dell'area danubiana. L'intero sistema viario dell'Istria faceva capo ad Aquileia. Non va sottovalutata inoltre la possibilità di arrivare ad Aquileia per vie d'acqua, da Ravenna e Chioggia fino ad Altino e Grado, passando per Adria, romanizzata già nel II sec. a.C. e punto nevralgico della costa adriatica, perché vi confluivano i traffici interni attraverso l'Adige e il Po. Fra strade e territorio c'era quindi un forte legame, che stabiliva una stretta corrispondenza: le prime determinavano ma anche seguivano lo sviluppo di un'intera area. Tornando ad Aquileia, salta agli occhi come la sua classe dirigente fosse particolarmente attenta nel gestire le relazioni con Roma: lealtà assicurata, ma senza farsi coinvolgere nelle lotte per il potere della Capitale, come ad esempio le guerre civili combattute fra i partiti di Pompeo e Cesare nel 49-45 a.C. Giulio Cesare, soggiornò ad Aquileia con tre delle sue legioni, stabilendovi per tre anni di seguito, dal 58 al 56, i quartieri invernali durante le campagne in Gallia, mentre la flotta romana svernava al sicuro nella rada di Grado. Augusto vi si trattenne a lungo, specialmente dopo la vittoria di Anzio su Antonio; nel 12 a.C. vi portò tutta la famiglia: la moglie Livia, la figlia Giulia e il figliastro Tiberio. Livia in particolare amava stare qui, e dimostrava di preferire il vino della costiera di Duino all'aromatico Falerno delle tavole di Roma. Per la città e il suo hinterland la pax augustea fu un periodo d'oro, essendo i confini ormai spostati sul Danubio, dalla Resia e dal Norico verso il centro Europa, la città beneficiava di un prestigio politico-amministrativo largamente riconosciuto, dedicandosi agli scambi di merci pregiate fra i Balcani, il Mediterraneo e l'Oriente, fra l'Italia e l'Europa centro-settentrionale. Legnami e metalli, lino e lane venivano qui opportunamente e sapientemente lavorati per accrescerne bellezza e valore, per poi venderli o esportarli a prezzi adeguati; la caccia e la pesca, con la relativa industria di conservazione; ceramiche e terrecotte, sfornate a pieno ritmo, finivano nei più lontani mercati: se ne sono ritrovate in Bosnia. Per non dire del lavoro superbo di vetrai, orafi, e incisori di pietre dure. La finezza dell'arte cittadina è ben rappresentata dalla qualità dei mosaici pavimentali che possiamo ancora ammirare: l'originalità e il cromatismo sono incomparabili rispetto a quelli dello stesso periodo rinvenuti altrove. Questo periodo più che positivo andò avanti piuttosto a lungo, sia pure con qualche difficoltà, come nel 169, quando Quadi e Marcomanni la cinsero d'assedio, ma con scarsa fortuna, per il tempestivo intervento di Marco Aurelio e Lucio Varo. In seguito furono ulteriormente rafforzate le difese murarie. La città subirà un altro assedio nel 238, ad opera di Giulio Severo Massimino detto "il Trace", il quale era stato acclamato Imperatore in Germania dalle sue truppe ed era diretto alla conquista di Roma. Lo storico Erodiano racconta la vicenda: gli Aquileiesi non esitarono ad abbattere il ponte sull'Isonzo per frenare l'avanzata del presunto sovrano. Per rappresaglia furono tagliati e abbattuti perfino i vigneti, tanto preziosi per la ricca agricoltura del territorio. L’unione e la forza dei difensori alla fine ebbero ragione di un esercito ben armato e collaudato: gli stessi soldati del suo seguito si ribellarono all'aspirante Imperatore, uccidendolo. Di queste drammatiche vicissitudini rimane la testimonianza offerta da due splendide sculture in bronzo (un’applique raffigurante un Vento e un ritratto in bronzo dorato) recuperate all’interno di due pozzi situati nel foro, dove erano state gettate probabilmente a seguito di disordini. Non è escluso che la testa di bronzo possa raffigurare proprio Massimino il Trace, che fu sottoposto dal Senato alla damnatio memoriae. Un altro sovrano, Gallieno, dimostrò interesse per Aquileia, trascorrendovi una vacanza con la moglie Solonina, prima dell'ascesa al trono. Ma come si svolgeva, sul versante più privato, la vita quotidiana in città? Si vestivano senza calzoni, a differenza dei vicini transalpini della Gallia; come a Roma, portavano la tunica di lino o di lana, la gente aveva un buon tenore di vita, erano cittadini di una "metropoli" che aveva raggiunto il mezzo milione di abitanti, ma questo forse è un dato esagerato. Un via vai di naviganti e mercanti, liberti e schiavi, che poi si ritrovavano a teatro, nell'arena e al circo, quest’ultimo un edificio consentito solo alle città scelte come residenza dagli Imperatori. Fuori del perimetro cittadino, i piccoli borghi, le ville e i giardini si allungavano verso il mare. Ma le cose cambiarono nel III sec. d.C. quando Diocleziano introdusse la riforma amministrativa dello Stato che declassava il ruolo storico di Aquileia. Per la sua posizione centrale nella Pianura padana, fu Milano ad affermarsi come cardine politico. L'ascesa di questa coincise col declino dell'altra. La via di uscita per la città altoadriatica, oltre al consolidamento della funzione di grande emporio marittimo e commerciale, fu quella di alzare il livello civile e culturale. Veterani illustri e agiati benestanti la sceglievano come luogo dove stabilire la loro residenza, ricchi proprietari terrieri del circondario vi erigevano la casa di città per ragioni di prestigio e per la qualità della vita. Data la sua importanza, Aquileia venne dotata, dal 294 ad almeno l’inizio del V sec., di una zecca. Sul piano della vita religiosa non si andava oltre all’affidarsi agli innumerevoli dèi preposti ai vari bisogni del vivere; di originale c'era solo il culto locale al dio Beleno, di derivazione celtico-carnica. Non si hanno tracce di vita artistica e letteraria, musicale e teatrale di particolare rilievo, né di scuole filosofiche o cenacoli letterari o palestre di oratoria. E tuttavia qui trovò terreno fertile la nuova fede: il cristianesimo. Le ripetute presenze imperiali, il nuovo ruolo politico di capitale provinciale e la crescita dei poli cristiani contribuirono tra il 300 e il 400 d.C. a fare di Aquileia uno dei centri più rinomati e prosperi dell’intero impero romano e di maggior rilievo sotto il profilo urbanistico ed architettonico, tanto da essere citata dal poeta Ausonio come quarta città d'Italia e fra le prime dieci dell'Impero; contribuisce a ciò il ruolo preminente della comunità cristiana di Aquileia. Come e con chi la fede cristiana sia giunta ad Aquileia non si sa per certo. Gli studi più accreditati partono dal IV sec. e oltre, poiché nemmeno i cataloghi episcopali, approssimativi e contraddittori, sono attendibili sugli esordi. In una città di almeno centomila abitanti e con un porto grande e ricco come Aquileia, con intensi traffici da e verso il Mediterraneo Centro-Orientale, là dove la fede cristiana era ormai nota e radicata, verosimilmente si erano insediati anche cittadini di origine palestinese.

8 La prima fonte certa sta negli Atti del Concilio di Arles del 314, nella lista dei presenti sono citati Thodorus episcopus et Agathon diaconus de civitate Aquileiensis. Pertanto all'indomani della grande persecuzione di Diocleziano (303-304) la Chiesa qui è già saldamente costituita. E’ certo che Costantino era venuto più volte ad Aquileia, volendo farne la base per la conquista della Pannonia e della Dalmazia. Dopo aver battuto Massenzio a Saxa Rubra, sulla riva destra del Tevere appena fuori del Ponte Milvio e dopo aver promulgato a Milano il famoso editto del febbraio 313 sulla libertà di culto, nel 318 e nel 320; poi nel 324, quando con l'uccisione del cognato Licinio era rimasto unico Imperatore; e ancora nel 326, di ritorno verso Roma. Quando Costantino risiedeva ad Aquileia, abitava con la sua corte in un grande palazzo imperiale. Gli eredi continuarono la tradizione: il figlio Costante, che gli era succeduto nel 337, fece costruire la grande basilica post-teodoriana, mentre il fratello Costantino II, che aveva avuto le Gallie ma accampava pretese anche da queste parti, fu ucciso nel 340 fra Aquileia e la Laguna, il corpo gettato nell'Aussa. Nel 350 divenne il quartiere generale dell’usurpatore al trono Magnenzio e nel 361 due legioni che avevano tradito la causa di Giuliano vi avevano trovato rifugio e a causa del loro rifiuto di riconoscerlo come legittimo imperatore, Aquileia subì un duro assedio. Infine, nel 387 un altro usurpatore fece di Aquileia la sua base per lo scontro con Teodosio. Queste continue lotte indussero Aquileia a dotarsi di una nuova cinta muraria. Non va infine dimenticato il ruolo sempre maggiore assunto dal cristianesimo in questi secoli; la stessa Aquileia divenne uno dei centri propulsori della nuova religione e fu anche sede di un concilio, nel 381 d.C., cui prese parte anche Ambrogio, vescovo di Milano. Questo comportò, ovviamente, anche delle modifiche all’assetto urbano della città, che venne dotata di edifici per il nuovo culto, i quali costituirono, accanto al foro, nuovi e forti poli di aggregazione per la comunità aquileiese. Ma l’età d’oro di Aquileia coincidente con il IV sec. portò progressive e sempre maggiori problematiche di natura militare. Infatti torna ad essere occupata nel 388 d.C. dall’usurpatore Magno Massimo, incalzato da Valentiniano II, e subì poi continue minacce dalle aree orientali, che sfociarono nelle invasioni delle truppe di Alarico capo dei Goti, ai cui attacchi resistette due volte, nel 401-402 e nel 408. Ma le continue crisi militari ebbero il loro nefasto effetto anche sotto il profilo della vitalità economica. Sappiamo grazie ad Ammiano Marcellino, che alla fine dell’assedio del 361 d.C. il Natisone con “grandi opere” venne deviato e prosciugato; ciò determinò probabilmente un progressivo inaridimento delle potenzialità commerciali e infrastrutturali per la città poiché è certo che da quel momento la banchina portuale e i suoi spazi divennero assolutamente inutili per la città. Di segno negativo appare per la città anche il trasferimento della capitale imperiale da Milano a Ravenna (402 d.C.), che segnò il venir meno di equilibri geo-politici fino ad allora favorevoli ad Aquileia e all’Italia a nord del Po. Iniziò così una parabola discendente, segnata dal ridursi dei traffici commerciali e dal moltiplicarsi dei fatti d’arme, che ne destabilizzarono l’economia e la sicurezza. La città peraltro fu ancora teatro di complicate vicende legate alle usurpazioni imperiali. In questo percorso di progressivo declino, il 18 luglio del 452 d.C., data che pone simbolicamente fine alla città romana, Attila e gli Unni riuscirono con molta fatica ad espugnare la città, violata per la prima volta dopo oltre 600 anni di invincibilità, saccheggiando e incidendo pesantemente sul tessuto architettonico e socio-economico. La valutazione dell’evento, talvolta relegato ad esagerazione storiografica, talaltra ritenuto degno di fede, è difficile, ma un dato che impone seria riflessione è la documentata presenza di numerosi contesti archeologici in cui tracce di distruzione appaiono riferibili alla metà del V sec. d.C. Significativo è pure il fatto che dopo questa cesura cronologica la maggior parte degli edifici non appaia più vivacemente frequentata e, nella maggior parte dei casi in stato di abbandono. Il foro, tra gli altri complessi, sembra devastato da un incendio in questo periodo e dalla fine del V sec. diviene punto di prelievo di materiali e di distruzione.

9 È peraltro certo che la vita di Aquileia non cessò, ma l’evento, segnò una marcata linea di discontinuità nella vita della città. Da questo momento è certa una contrazione complessiva dell’abitato, che sembra relegarsi progressivamente nella zona meridionale attorno al nucleo episcopale cresciuto dall’inizio del IV sec. e divenuto polo catalizzatore di indubbia forza. Vivrà ancora a lungo la città cristiana e patriarcale, attraversando le dominazioni degli Ostrogoti (490), dei Bizantini, dei Longobardi (568), dei Franchi (774) e le incursioni degli Ungari (898-942). Nel 967 Ottone I concede al Patriarcato l'amministrazione della giustizia, ponendo le basi per il riconoscimento del suo ruolo politico, il cui suggello è dato dall'investitura feudale da parte di Enrico IV nel 1077, per durare fino alla rinuncia al potere temporale nel 1445 (dopo un periodo di dominio veneziano). Dal 1509 la città ricade sotto la dominazione austriaca, che si prolungherà - con l'intermezzo di ripetute occupazioni francesi fra fine ‘700 e inizio ‘800 - fino all'annessione all'Italia nel 1915. Il passaggio del testimone dall'Aquileia romana all'Aquileia cristiana e il fondamentale ruolo di quest'ultima hanno significato un totale oblio della città repubblicana ed imperiale, nonostante l'ininterrotta continuità di vita, che però non ha riguardato la forma urbana: si è verificato infatti non un riuso, ma una sistematica demolizione dei monumenti antichi, le cui spoglie sono state reimpiegate nei nuovi edifici di culto oppure coinvolte nella diaspora verso altri centri del potere religioso, civile ed economico. Pertanto si era persa la memoria, ad esempio, della localizzazione di tutti i principali complessi pubblici, la cui riscoperta avvenne gradualmente dal XVIII sec., con i primi sondaggi e scavi che erano, come ovunque, indirizzati al reperimento di "tesori", essendo svolti in massima parte dai proprietari dei terreni. Solo nel XX sec. anche sotto l'impulso della celebrazione della romanità si diede seguito ai ritrovamenti procedendo al restauro e spesso anche alla ricostruzione dei monumenti. Al periodo fra le due guerre mondiali risale l'identificazione del foro, il cui scavo è durato decenni, man mano che proseguivano gli espropri delle abitazioni che vi insistevano - ma senza che sia stato ancora possibile ricucire la sua bipartizione da parte della strada regionale, già statale - e che è stato oggetto tra il 1934 e il 1940 di una suggestiva parziale anastilosi di alcune colonne, secondo la tecnica, al tempo ampiamente sperimentata, delle integrazioni in materiale laterizio. Nel 1934 veniva inaugurata la passeggiata lungo il porto fluviale, di cui erano state indagate entrambe le banchine, lasciando poi in vista quella occidentale. A seguito di un progettato intervento edilizio - che dovette quindi essere realizzato altrove - è invece il riconoscimento negli anni sessanta delle Grandi Terme, uno dei complessi pubblici più rilevanti per l'epoca tardo-antica, allora ricoperto, ma ora nuovamente interessato da indagini sistematiche per una futura musealizzazione in sito, come pure il teatro, l'anfiteatro e il circo, anche loro localizzati grazie a limitati saggi a partire dall'800; molto meno noti sono viceversa gli edifici di culto. Tra il primo e il secondo dopoguerra venivano indagate anche numerose domus, e un tratto di un sepolcreto. Se quest'ultimo è stato riproposto per la visita fin dal 1941, per quanto riguarda gli edifici privati si può seguire nel tempo la graduale evoluzione delle strategie adottate post-scavo: era dapprima consuetudine lo strappo dei mosaici, che si possono di conseguenza ammirare in Museo, ma senza nesso con il loro contesto; successivamente si preferì nella maggior parte dei casi la ricopertura delle domus con tutti i loro apparati decorativi (mosaici, ma anche affreschi parietali). Solo a partire dagli anni sessanta e per alcune aree tuttora visitatili (fondi Cossar e CAL) si giunse subito alla valorizzazione in posto, seppure inizialmente con interventi di protezione molto pesanti; recentemente si stanno studiando nuove soluzioni per consentire una visione di quanto resta della città antica attraverso questi “ritagli”, integrati il più possibile nel suo tessuto reso nuovamente leggibile. Aquileia è stata dichiarata patrimonio dell'Umanità dall'UNESCO nel 1998, questi i criteri della scelta: è stata una delle più grandi e più ricche città dell'Impero Romano; poiché “gran parte dell'antica città è rimasta intatta e ancora sepolta”, è il più completo esempio di una città dell'antica Roma nell'area del Mediterraneo; il complesso della Basilica Patriarcale di Aquileia è la testimonianza del ruolo decisivo nella diffusione del Cristianesimo nell'Europa nel primo Medioevo.

10 1. Cardine massimo (?); 2. ; 3. Mura e porte della cinta tardoantica; 4. Porta urbica settentrionale; 5. Decumano c.d. di Aratria Galla; 6. Foro; 7. Edificio sovrappostosi al Comitium; 8. Edificio sovrappostosi al Macellum; 9. Porto fluviale; 10. Banchina orientale del Natiso cum Turro; 11. Banchina e magazzino (?) sull’attuale fiume Ausset; 12. Banchina sull’attuale fiume Natissa; 13. Basilica civile; 14. Teatro; 15. Anfiteatro; 16. Castellum aquae dell’acquedotto; 17. Schola?; 18. Mercato alimentare; 19. Circo; 20. Grandi Terme; 21. Villa suburbana delle Marignane; 22. Horrea (magazzini); 23. Complesso basilicale ed episcopio; 24. Mercati sul Natissa; 25. Complesso delle cd. Piccole Terme (fase tardoimperiale); 26. Complesso dei cd. Mercati a sud del Natissa; 27. Ponti su corso d’acqua affluente del Natiso; 28. Ponte sul Natiso a Monastero; 29. Via per Tergeste (Trieste); 30. Via per Emona (Lubiana); 31. Tracciato stradale di raccordo con la via per il nord; 32. Via lungo il fiume Natissa; 33. Necropoli sudoccidentale (erroneamente detta della via Annia); 34. Basilica di Monastero; 35. Basilica di San Felice; 36. Basilica di San Giovanni. (Elab. C. Tiussi da L. Bertacchi, Nuova pianta archeologica di Aquileia, Udine 2003)

IL FORO All’interno del perimetro urbano, Aquileia presentava fin dall’inizio una suddivisione dell’area in isolati regolari separati da un reticolo di vie che si incrociavano ad angolo retto (quelle con direzione nord-sud erano dette cardini, quelle con andamento est-ovest decumani). In una posizione abbastanza centrale della città venne costruito il foro, la cui prima fase si può collocare già nel II sec. a.C. Si trattava di una piazza rettangolare, di circa m 140 x 55, forse priva di portici nella sua prima fase, ma circondata da alcuni edifici molto importanti tra cui a nord-ovest il Comizio, un edificio scoperto di forma circolare dotato di gradini riservato alle assemblee elettorali, e 11 uno dei templi principali della città. Alla decorazione repubblicana di quest’ultimo sono state ipoteticamente riferite alcune figure e alcune lastre di rivestimento fittili, attualmente esposte nei magazzini del Museo. Il foro, che era considerato il luogo più prestigioso della città, nel corso dell’età repubblicana, dovette progressivamente riempirsi di statue onorarie. Tra queste spiccano oltre alla base di Lucio Manlio Acidino, quella di Tito Annio Lusco, triumviro legato alla seconda deduzione del 169 a.C., già noto dalle fonti letterarie (Tito Livio). L’iscrizione, rinvenuta nel 1995 nel settore occidentale del foro, rappresenta uno straordinario documento per la storia di Aquileia nel II sec. a.C. L’importanza dell’epigrafe risiede nell’elenco delle mansioni affidate al magistrato: la redazione delle leggi per l’amministrazione della colonia, l’aggiornamento del senato locale, la costruzione di un tempio, la cui localizzazione precisa è sconosciuta, ma che doveva affacciarsi sulla piazza. Nel periodo compreso tra l’ultimo quarto del I sec. a.C. e la prima metà del I sec. d.C. vennero effettuati una serie di importanti interventi edilizi e il foro, assunse il suo aspetto definitivo, successivamente, infatti, furono apportate solamente delle modifiche non sostanziali all’apparato decorativo, mentre la struttura generale del complesso rimase immutata. La piazza fu lastricata e circondata da un portico sopraelevato di tre gradini, e attorno ad essa vennero costruiti edifici a carattere amministrativo e una serie di botteghe. Alla base dei gradini correva una canaletta per lo scolo dell’acqua piovana. Tra gli edifici pubblici, risale agli anni iniziali del regno di Augusto (27 a.C.-14 d.C.) la basilica civile, il luogo deputato alla gestione degli affari e della giustizia, che fu realizzato lungo il lato sud della piazza. Ai lavori dette il proprio contributo C. Aratrius, personaggio di probabile origine aquileiese che derivava la propria ricchezza dalla produzione di laterizi. Il suo atto di munificenza a favore della comunità aquileiese è ricordato su un’importante epigrafe conservata a Este. Alla stessa famiglia, evidentemente particolarmente facoltosa, apparteneva anche Aratria Galla, che finanziò a proprie spese la lastricatura in basoli di pietra della strada adiacente alla basilica forense. Il lato orientale della piazza era occupato da botteghe (tabernae), mentre sul versante opposto era, forse, collocato il tempio capitolino. L’assetto del lato nord è quasi completamente sconosciuto, tranne per l’edificio identificato con il Comizio, che venne demolito e obliterato da una nuova struttura, la cui funzione non è ancora chiara. Tutti questi edifici, affacciati sulla piazza, davano luogo ad un complesso di grandiose proporzioni e di notevole impatto visivo, data anche la maestosità del suo apparato decorativo. In vari punti del foro dovevano trovarsi statue che celebravano personaggi illustri della città e, soprattutto, membri della famiglia imperiale. Lo testimoniano non solo le basi di statue trovate sulla piazza, ma anche i numerosi ritratti di imperatori conservati nel Museo. Alla fine dell’epoca giulio-claudia, la costruzione di tutti gli elementi afferenti il complesso forense risultava ultimata e la struttura generale della principale piazza della città doveva esser ormai ben definita. Due importanti interventi, però, vennero eseguiti tra gli ultimi decenni del II sec. d.C. e l’inizio del III sec. d.C. Si data all’epoca degli ultimi imperatori Antonini il rifacimento parziale della 12 decorazione della parte superiore del portico. Sopra l’architrave correva una balaustra costituita da blocchi parallelepipedi in corrispondenza delle colonne e da lastre nello spazio tra queste. Le lastre erano lavorate a rilievo con figure di putti o di aquile reggenti una ghirlanda. Sui blocchi erano raffigurati, invece, la testa di Giove Ammone e quella di Medusa. Questo motivo venne riproposto nei fori di molte città proprio per il suo forte significato, ovvero quello dell’esaltazione del potere imperiale che si estendeva da Oriente (simboleggiato da Giove Ammone, particolarmente venerato in Egitto) a Occidente (Medusa). A questo stesso periodo viene anche riferita la costruzione di un edificio particolarmente monumentale, testimoniato dalla grande trabeazione in marmo in parte oggi visibile lungo la “”. Non è ancora chiaro a quale struttura appartenesse questa imponente decorazione, dal momento che alcuni frammenti sono stati trovati nella zona del porto, altri in quella del foro, altri ancora nell’ambito delle “Grandi Terme” tardoantiche. Una delle ipotesi attribuisce al complesso forense questo elemento architettonico. In età tardoantica, il ruolo del foro subì un profondo cambiamento dovuto, prevalentemente, alle profonde trasformazioni politiche e religiose avvenute nella società romana in questi secoli. In particolare, l’ingresso del cristianesimo portò alla costruzione di nuovi poli di aggregazione per la comunità aquileiese, individuabili nel complesso episcopale voluto dal vescovo Teodoro e negli altri edifici ecclesiali sorti tra la fine del IV e l’inizio del V sec. d.C. Il complesso forense, tuttavia, non perse totalmente la sua importanza. Qui, infatti, venne concentrata la memoria storica della città, rievocata sia attraverso le statue esposte nella piazza sia attraverso la decorazione dei portici. Non è un caso, infatti, che le basi dei due triumviri L. Manlius Acidinus e T. Annius Luscus siano rimaste sulla piazza fino all’abbandono del complesso forense, avvenuto alla fine del V sec. d.C. Nel IV sec. d.C., venne effettuata un’aggiunta al portico del foro: sull’attico furono incisi i nomi dei personaggi più importanti della storia locale (i cosiddetti summi viri). Altre statue erano esposte sulla piazza forense, esibite, probabilmente, senza voler trasmettere un particolare messaggio politico, ma con la funzione di decorare la piazza. La fine dell’utilizzo del Foro non fu probabilmente dovuta ad un episodio isolato, quanto ad una lenta e progressiva dismissione che proseguì anche dopo la data fatidica del 452 d.C. Nella sua ultima fase di vita, la piazza, ormai danneggiata in varie parti, diventa un luogo di raccolta di materiali lapidei provenienti anche da altri settori della città romana. La mancata manutenzione del sistema di scolo delle acque trasformò il lastricato in una sorta di bacino palustre, responsabile della formazione di uno spesso strato di torba che, tra il VI e il IX sec., ricoprì il lastricato stesso e i monumenti su di esso depositati. Le colonne sopravvissute fino ai nostri giorni sono quelle appartenenti al braccio orientale del portico, che furono rialzate e integrate in laterizio negli anni Trenta. I capitelli compositi, in calcare di Aurisina come i fusti e le basi, sono datati alla tarda età degli imperatori Antonini (circa 170-180 d.C.). La piazza è interamente pavimentata con lastre di calcare di Aurisina, aventi larghezza costante e lunghezza variabile. Esse appartengono alla fase giulio-claudia del foro (prima metà del I sec. d.C.), ma in alcuni casi furono sostituite nel corso del tempo con materiali di reimpiego, tra i quali anche iscrizioni. 13 A sud del foro, è visibile un lungo tratto di una delle strade urbane di Aquileia, il cosiddetto decumano di Aratria Galla, dal nome della cittadina aquileiese che fu la generosa finanziatrice dell’opera di pavimentazione nella prima metà del I sec. d.C. La strada delimita il sito della basilica civile, disposta lungo il lato breve del foro e oggi riconoscibile solo in minima parte. La grande costruzione (90 x 29 m), adibita a funzioni giudiziarie e ad altri usi, fu costruita nella prima età augustea, ma venne radicalmente ristrutturata alla fine del II sec. d.C., con l’aggiunta di due absidi contrapposte. Essa si affacciava sul decumano con due accessi, mentre sul lato opposto un ingresso monumentale la collegava ai portici del foro. In epoca imprecisata, ma verosimilmente nel VI sec., ad essa si sovrappose un poderoso muro di difesa, nel quale furono riutilizzati molti materiali architettonici e scultorei provenienti dalle sue rovine.

IL PORTO Per Aquileia la creazione di un porto fluviale sul Natiso cum Turro (Natisone con il Torre), che costeggiava a est la città, fu una condizione necessaria per diventare un grande emporio commerciale del centro nord-adriatico. Oggi, a ricordo del fiume su cui sorgeva l’impianto portuale rimane solo un corso d’acqua di risorgiva, il Natissa. In epoca antica, invece, questo corso d’acqua era ampio e di grande portata, come dimostrano i resti delle strutture portuali e delle banchine costruite lungo le sue sponde, distanti circa 48 metri. Un sensibile restringimento dell’alveo si verificò, però, in epoca tardoantica, quando vennero meno le opere di dragaggio del fiume, attuate, invece, con costanza nei secoli precedenti. Difficile immaginare che il terrapieno su cui attualmente si estende la passeggiata archeologica del porto fluviale, la cosiddetta Via Sacra, occupa proprio lo spazio in cui un tempo scorreva il fiume, o che alle spalle della banchina si sviluppasse un lunghissimo edificio. Delle strutture portuali repubblicane non rimane molto, ma la loro esistenza è confermata dal particolare andamento delle mura in questa zona della città che, evidentemente, dovettero tener conto della presenza di questo impianto. Le strutture attualmente visibili del porto sono per lo più attribuibili alla fase costruttiva della prima età imperiale e sono uno degli esempi meglio conservati del mondo romano. Da quanto rimane in vista dopo gli scavi di Giovanni Brusin negli anni Venti e Trenta del secolo scorso, si può immaginare la loro organizzazione, non solo lungo la sponda occidentale del fiume, ma anche lungo la sponda orientale, che però risultò di impatto meno monumentale rispetto a quella opposta, e pertanto venne ricoperta dopo gli scavi.

26 A – Pianta delle strutture portuali della prima metà del I sec. d.C. I magazzini sono addossati alle mura repubblicane: nel 238 furono rinforzate dal torrione rotondo che invase un magazzino. B – pianta delle strutture portuali successive L’opera di risistemazione e di monumentalizzazione del porto aquileiese venne intrapresa, probabilmente, in epoca augustea, quando si rese necessaria la realizzazione di una serie di lavori edilizi, indispensabili ad adeguare la città al suo ruolo di importante polo commerciale. Venne così creato un

14 complesso sistema di infrastrutture, formato da nuove banchine e da un lungo edificio retrostante che si apriva verso il fiume e da una serie di altre attrezzature portuali costruite lungo il fiume e lungo altri corsi d’acqua, anche artificiali, posti nel territorio circostante la città. Ulteriori trasformazioni risalgono all’età di Costantino (306-337 d.C.) pochi anni prima che, proprio sopra le banchine, venissero erette le nuove mura di cinta, che decretarono, assieme al restringimento dell’alveo, il progressivo abbandono del porto. Il porto vero e proprio si sviluppava per quasi 400 metri ed era costituito da una banchina, formata da un poderoso sistema di lastroni verticali di pietra d’Istria sormontati da blocchi parallelepipedi a incastro, che costituivano il piano di carico e scarico superiore, destinato alle imbarcazione di grossa stazza. A poco meno di due metri dalla sommità della banchina correva un largo marciapiede, che doveva servire alle attività di carico per imbarcazioni di dimensioni minori. Dal livello inferiore si staccavano le rampe che si congiungevano alle strade urbane, in corrispondenza delle quali vi erano due ampi piani inclinati che permettevano di accedere ai retrostanti magazzini. Una curiosità: sulla superficie dei marciapiedi, sono incisi talvolta dei piccoli schemi per il gioco, utilizzati dai marinai e degli addetti alle attività portuali come passatempo. Ancora oggi possiamo vedere sulle banchine, a distanze regolari, alcuni blocchi parallelepipedi sporgenti, in alcuni casi con l’estremità arrotondata, caratterizzati da un foro passante verticale. Secondo gli studiosi poteva trattarsi di anelli d’ormeggio per le imbarcazioni oppure di fori per l’inserimento di gru lignee per il carico e lo scarico delle merci. Sul piano di carico inferiore, esistevano invece dei blocchi con foro passante orizzontale, più piccoli dei precedenti, utilizzati per fissare le cime d’ormeggio dei navigli. Dal porto si raggiungeva il centro della città percorrendo tre strade lastricate: quella più meridionale, che portava direttamente al decumano di Aratria Galla, scendeva al fiume con una gradinata, mentre le altre due erano leggermente digradanti verso il corso d’acqua. Su entrambi i lati di queste ultime si aprivano delle rampe perpendicolari, anch’esse lastricate, che consentivano l’accesso ai magazzini retrostanti di cui restano i muri perimetrali in laterizio dei lati lunghi. Questo edificio aveva una forma inusuale, molto lunga e stretta, infatti in rapporto alla lunghezza, che superava addirittura i trecento metri, la larghezza era assai limitata, non più di tredici metri. Il complesso, costruito all’inizio del I sec. d.C. demolendo in parte le retrostanti mura di cinta repubblicane, serviva probabilmente come magazzino per lo stoccaggio delle merci, forse con annessi ambienti riservati ad uffici. Vi si accedeva da almeno due ingressi dotati di gradinata. È probabile che le rampe di collegamento con la città passassero sotto l’edificio. Oltre a queste installazioni più propriamente funzionali al commercio, è probabile che altri edifici fossero compresi nel complesso portuale; tra questi, si suppone l’esistenza di uno o più templi, di cui uno forse dedicato a Nettuno, il dio del mare e protettore dei naviganti. Il porto costituiva, oltre che il punto di partenza e di arrivo di molte merci, anche uno dei principali accessi alla città e per questo aveva anche la funzione, in un certo senso, di anticipare a quanti giungessero ad Aquileia la ricchezza e l’importanza della città. Una particolare attenzione venne quindi, verosimilmente, posta all’apparato decorativo di questa struttura, che doveva essere ornata da molte statue, come fa presumere il rinvenimento di alcuni frammenti scultorei nel letto del fiume Natissa. Tra questi, vanno segnalati un torso di una statua di generale, munito di una corta spada, e la prua di una nave, che faceva probabilmente parte di un monumento eretto per celebrare una vittoria navale. In un punto imprecisato lungo la banchina è, invece, stato trovato un ritratto di Gaio Cesare, uno dei nipoti di Augusto; si può dunque pensare che anche questa scultura fosse esposta lungo la sponda del fiume. La prosperità economica nuovamente raggiunta da Aquileia dalla fine del III sec. d.C. in poi determinò la necessità di potenziare le strutture portuali e di immagazzinamento. Nuovi interventi interessarono, quindi, il complesso del porto, che venne munito di altri spazi per lo stoccaggio delle merci. Gli stessi magazzini costruiti nella prima epoca imperiale subirono dei cambiamenti; gli interni, infatti, furono suddivisi in due o tre navate mediante la costruzione di grossi pilastri. Si segnala anche un innalzamento generale dei piani di calpestio, dovuto, probabilmente, a problemi idrogeologici. 15 Sopra le banchine si possono facilmente riconoscere i resti di una grossa struttura, spessa quasi tre metri, sovrappostasi in età tardo-antica (IV sec.) alle strutture portuali. Il fiume, o ciò che rimaneva di esso, forniva così un ulteriore presidio alle difese murate, che erano dotate anche di torri. In una fase ancora successiva (V secolo?) fu costruita un’altra linea di mura di cinta a potenziamento della precedente, ancora più avanzata in ciò che rimaneva dell’alveo fluviale. La Via Sacra è la suggestiva passeggiata archeologica che si sviluppa all’ombra dei cipressi tra il porto fluviale e l’area della basilica. Realizzato negli anni Trenta del secolo scorso con la terra di risulta degli scavi del porto, l’itinerario mette in mostra una ricca scelta dei materiali lapidei rinvenuti nello scavo del porto.

LE MURA La funzione strategica di Aquileia quale avamposto militare spiega l’imponenza della cinta muraria repubblicana, caratterizzata da un andamento prevalentemente rettilineo, ma anche adattato alla morfologia del terreno e condizionato dal corso d’acqua Natiso cum Turro. La cortina muraria, costruita in alzato interamente in mattoni, era rinforzata da poderose torri. Attualmente non è possibile vedere nessuno dei numerosi tratti di questa cinta urbica messi in luce dalle indagini archeologiche condotte dall’Ottocento ai giorni nostri, in quanto essi furono nuovamente interrati dopo gli scavi. Va tenuto presente, inoltre, che le mura repubblicane vennero quasi completamente smantellate fino alle fondazioni a partire dalla prima età imperiale, quando la loro funzione difensiva venne meno grazie alla raggiunta stabilità politica.

L’accesso alla città era consentito da un numero imprecisato di porte urbiche che si aprivano su tutti i lati del perimetro murario urbano e dovevano rendere Aquileia inaccessibile al nemico, ma era anche l’immagine della grandezza della nuova colonia. Per questo, le porte avevano un impianto monumentale arricchito da decorazioni scultoree di sicuro impatto visivo: tra queste i grandi telamoni fittili, oggi esposti nei portici del Museo Archeologico Nazionale, che si presume ornassero uno o più degli accessi alla città repubblicana. L’espansione edilizia di Aquileia nella seconda metà del I sec. a.C. superò la linea delle vecchie mura repubblicane. La cinta venne progressivamente smantellata, anche se alcuni tratti dovettero rimanere in piedi almeno fino all’assedio di Massimino il Trace nel 238 d.C., come testimonia lo storico Erodiano. L’opera di demolizione delle mura non riguardò, tuttavia, le porte, o almeno una parte di esse, anzi, per tale motivo, furono arricchite di elementi strutturali e decorativi che le resero ancor più monumentali. Al rifacimento di una delle porte urbiche aquileiesi, attuato probabilmente in epoca augustea o tiberiana, possono essere riferiti, ad esempio, due clipei con decorazione vegetale, uno dei quali conservato a Grado ed uno visibile nella passeggiata archeologica allestita lungo il porto. In epoca tardoantica, momento in cui si profilò nuovamente l’esigenza di proteggere la città dalle continue lotte e dal pericolo di assedi che sconvolsero queste zone dell’impero, si rese necessaria la costruzione di nuove mura. Il perimetro della nuova cinta risultò notevolmente più ampio rispetto a quello d’epoca repubblicana: era indispensabile, infatti, che la cortina muraria tardoantica salvaguardasse anche il quartiere degli 16 edifici di spettacolo e quello meridionale caratterizzato dalla presenza di numerosi magazzini, nonché l’area del porto. In particolare, l’inglobamento del circo o dell’anfiteatro rispondeva anche ad esigenze di carattere strategico, dal momento che queste, qualora lasciate all’esterno delle mura, sarebbero potute divenire delle roccaforti per i nemici in caso di eventuali assedi. La nuova cinta venne costruita usando molto materiale di riutilizzo, come risulta evidente nel tratto realizzato sopra la banchina portuale e attualmente visibile dalla passeggiata archeologica. La presenza di due basi onorarie di Gallieno e Salonina, reimpiegate in un tratto delle mura, costituisce un dato cronologico significativo: esse testimoniano, infatti, che la cinta sarebbe stata realizzata dopo la morte dell’imperatore (268 d.C.). In alcuni punti della città, ovvero a sud-ovest e a sud-est, sono stati trovati dei tratti di mura che costituiscono un raddoppio della cortina tardoantica. Il ritrovamento in uno dei torrioni di un’iscrizione che ricorda Teodosio I (morto nel 395 d.C.) e i figli Valentiniano e Arcadio costituisce, anche in questo caso, un termine cronologico dopo il quale assegnare la costruzione di questi settori di mura. Immediatamente a sud della basilica civile e del decumano che l’affianca sono emersi i resti di un'imponente cinta di fortificazione, costituita da una sequenza di bastioni triangolari dal caratteristico andamento a linea spezzata. Questa nuova linea difensiva, raggiungibile verso ovest da una strada interpoderale, sanciva di fatto l’abbandono di tutta la parte settentrionale della città romana, a cominciare dal foro, e si arroccava invece a difesa dell’abitato sviluppatosi intorno al complesso basilicale. A est, le mura si raccordavano al precedente circuito murario di età tardoantica, mentre in corrispondenza dell’asse viario principale nord-sud di Aquileia romana si apriva una porta urbica. Questa nuova cinta, con l’antemurale rettilineo che la precede e che si sovrappone in parte alle rovine della basilica civile, è stata recentemente assegnata al VI sec., dopo la guerra greco-gotica (535-553 d.C.) e la riconquista bizantina.

I MAGAZZINI E I MERCATI Da quanto noto al momento attuale dalla ricerca archeologica, risulta che durante il regno dei Flavi oltre alla conclusione della costruzione dei magazzini del porto, vennero anche realizzati dei nuovi edifici per lo stoccaggio delle merci. Nell’area situata a sud dell’attuale basilica cristiana, infatti, venne realizzato, al posto di strutture abitative, un deposito per le granaglie (horrea), come hanno evidenziato indagini archeologiche effettuate nel secolo scorso. Con la costruzione di questo edificio, iniziò a connotarsi sempre meglio la funzione di questo settore della città come area destinata a complessi utilitari, funzione che diventerà sempre più evidente con la realizzazione di altre strutture analoghe in epoca tardoantica. La scelta cadde su questa zona per ovvi motivi di carattere funzionale, dal momento che permetteva dei collegamenti diretti con il traffico navale, grazie ai numerosi approdi dislocati lungo le rive del Natisone, le cui sponde furono rinforzate da spessi muri verosimilmente proprio in epoca flavia. L’imponente edificio ricalcava un modello presente anche a Milano e a Treviri, caratterizzato dalla presenza di una corte rettangolare centrale scoperta, fiancheggiata da due aule suddivise in navate da pilastri. Ancora più a sud, in un’epoca non meglio precisabile, vennero edificati tre mercati, più modesti, costituiti da piazze cinte da un portico presumibilmente ligneo. Aquileia fu anche dotata di un nuovo mercato alimentare, posto in una posizione estremamente funzionale, ovvero al centro della città, tra il foro e il porto. Questa felice localizzazione può forse spiegare la lunga vita di questo edificio, che, pur con modifiche strutturali, venne utilizzato dall’età costantiniana fino alla prima metà del V sec. d.C.

FONDO PASQUALIS Gli scavi eseguiti nel 1953-54 da G. Brusin all’estremità sud-orientale dell’antica città hanno portato alla scoperta di due tratti delle mura di cinta tardoantiche e, accanto al primo edificio basilicale cristiano eretto dal vescovo Teodoro, un complesso funzionale costituito da un enorme magazzino (horrea) e da

17 tre piccole aree scoperte lastricate, interpretate come mercati. Il grande edificio fu abbattuto solo nel Settecento e venne raffigurato da studiosi locali: le sue arcate cieche erano alte circa venti metri e il cortile centrale era circondato da strutture in muratura o da semplici porticati lignei, sotto i quali i venditori, in tarda età imperiale (IV-V sec.), esponevano le proprie merci. Il collegamento con il vicino corso del Natisone è testimoniato dalle aperture riscontrate sulle mura di cinta: evidentemente in questo punto esistevano degli approdi per il rifornimento dei punti di vendita. Delle tre strutture identificate come mercati, ne sono attualmente visibili due: sono pavimentate in arenaria e materiale di reimpiego. La più orientale si articola intorno a un’area scoperta, dotata di un pozzo e di canalette di raccolta dell’acqua nella parte settentrionale. I blocchi quadrati con fori passanti che la delimitano, erano probabilmente destinati a reggere dei sostegni lignei per una copertura, a protezione degli spazi di vendita. La più occidentale, invece, analogamente costruita intorno ad un cortile centrale, rivela la presenza su ogni lato di porticati, alle spalle dei quali si dovevano inserire le varie botteghe. In una di queste furono rinvenute, interrate, una trentina di anfore: al momento della scoperta, esse contenevano ancora chicchi di grano bruciati. La doppia linea di mura difensive visibile nel fondo Pasqualis, che proteggeva la città da sud, appartiene ad una fase avanzata dell’età imperiale (IV sec.), quando la città fu dotata di una nuova cinta, che in questo punto seguiva l’andamento del fiume Natiso. La linea più interna, spessa tre metri, è costruita con abbondante materiale di riutilizzo, proveniente dalla demolizione di edifici in altre parti della città. Ad essa si collegava, sul lato interno, una torre rettangolare che è stata ricoperta dopo gli scavi. La linea più esterna, di larghezza inferiore, costituì probabilmente un potenziamento del tratto retrostante e fu aggiunto probabilmente in pieno V sec.

LE NECROPOLI Lungo le importanti strade che entravano ed uscivano dalla città, ma anche lungo gli assi viari minori, vennero a disporsi già in età repubblicana le necropoli, che si svilupparono e si ampliarono nei secoli fino a raggiungere la distanza di 3-4 chilometri dal centro urbano. Le strutture sepolcrali messe in luce dagli scavi archeologici risalgono soprattutto all’epoca imperiale, così come quelle tuttora in vista nel cosiddetto “sepolcreto”. Ma, anche se le informazioni sull’articolazione delle aree sepolcrali in età repubblicana sono scarse, vi è una cospicua presenza di statue e di altre parti di monumenti funerari nelle collezioni museali. Tra queste opere, si segnalano, in special modo, alcune grandi statue in calcare, un cippo a forma di elmo e una serie di corredi funerari provenienti da tombe del I sec. a.C. Le vie sepolcrali offrono uno spaccato interessante di quella che era la società aquileiese: attraverso i monumenti funebri, infatti, si mostrava, a quanti passavano lungo queste vie, quali erano la ricchezza e il potere della propria famiglia. Per questo i più ricchi si facevano costruire strutture imponenti, come i mausolei, dominati dalle statue dei defunti. Attualmente è visibile un’unica necropoli, il cosiddetto “sepolcreto” in via XXIV Maggio, in cui si possono vedere i vari tipi di monumenti funerari utilizzati ad Aquileia e anche l’evoluzione dei riti di sepoltura, dall’incinerazione all’inumazione. I cinque sepolcri di famiglia sono disposti sul lato nord di una strada secondaria in uscita dalla città. Nulla rimane invece delle tombe sul lato opposto. Di dimensioni variabili in lunghezza ma di eguale profondità, essi appartenevano ad altrettante famiglie aquileiesi (Stazia, Giulia, Trebia, Cestia e una anonima). I sepolcri sono recintati da muretti in mattoni sormontati da una copertura lapidea di forma semicilindrica che aveva lo scopo di proteggerli dai danni causati dalle intemperie. All'interno sono sistemate le tombe dei membri della famiglia: sarcofagi, are-ossuari, urne cinerarie, segnacoli, stele

18 funerarie appartenenti a secoli diversi. Sulla base dei monumenti ancor oggi visibili e delle tombe che vi sono state scavate, i recinti vennero utilizzati a partire dal I sec. d.C. Il primo recinto apparteneva agli Stazi, una ricca famiglia di commercianti. Il prospetto è formato da eleganti pilastrini decorati a bassorilievo e posti in diagonale. Sui fianchi delle piccole are angolari sono raffigurati un cantaro e una brocca, oggetti usati nei refrigeria (riti di commemorazione dei defunti). Al centro si erge l'imponente ara del capofamiglia posta su quattro gradini, con un coronamento a girali; è priva di iscrizione poiché il dado è di restauro. Nell'ara più piccola con cuspide piramidale furono deposte le ceneri della sedicenne Fabrizia Severina appartenente ad una famiglia diversa, legata agli Stazi da vincoli di amicizia o di parentela. Nel piccolo sarcofago fu deposta la salma di Lucio Fermo, morto in tenerissima età. Nel secondo recinto, il più povero, non sono state trovate iscrizioni per cui non si sa a chi appartenesse. Il terzo era della famiglia dei Giuli. La fronte è costituita da spesse lastre alternate a lesene e sormontate da una cimasa liscia su cui è incisa l'iscrizione IN FR(ONTE) P(EDES) XXIII IN AGR(UM) P(EDES) XXX che indica le dimensioni del recinto: la fronte misura 23 piedi (circa m 7), il lato 30 piedi (circa m 9). La parte originale dell'iscrizione è soltanto la cifra XXX, ma è stato facile integrarla dato che si è mantenuta la distanza fra i muretti laterali e la formula indicante la pedatura compare spessissimo sulle tombe. Nel recinto ci sono due are: la più piccola è dedicata allo schiavo Venusto: VENUSTO SER(VO) RARISSIMO C(AIUS) JULIUS TROPHIMUS - Gaio Giulio Trofimo pose quest'ara in memoria di Venusto, schiavo di eccellenti qualità. Una sepoltura così onorevole per uno schiavo era un fatto inconsueto a quei tempi e si può spiegare soltanto supponendo un profondo legame affettivo. L’ara più grande ha la cuspide scolpita con simboli funerari: i delfini intrecciati al tridente di Poseidone-Nettuno, dio del mare, alludono al viaggio dei morti verso l'occidente sede del mondo infero, situato oltre le Colonne d'Ercole e il misterioso Oceano; il volto alato è quello del dio Tanato, personificazione del sonno eterno e anche la pigna non è puramente decorativa, ma aveva un significato funebre complesso che si riallacciava ai culti misterici di Dioniso e Cibele, nei quali essa simboleggiava la potenza vitale, la fecondità, il perdurare della vita. Le are piramidate avevano nel dado la cavità per deporvi le ceneri del defunto. Il quarto recinto apparteneva alla famiglia dei Trebi. I grandi sarcofagi documentano l'uso dell'inumazione, rito che lentamente s'impose sulla cremazione a partire dal II sec. d.C. Il restauro li ha lasciati al livello originario sopraelevato rispetto a quello degli altri monumenti e ciò indica che l'area fu utilizzata molto tempo dopo. Essi hanno il coperchio a doppio spiovente con acroteri angolari; sui fianchi sono ben visibili le scanalature in cui veniva colato il piombo al momento di sigillare la tomba. Il coperchio di un sarcofago è scolpito in modo da rappresentare il tetto di una casa fatto di tegole piane accostate e di coppi che coprono le fessure fra l'una e l'altra. Nel recinto c'è anche un gruppo scultoreo raffigurante una donna seduta a colloquio con una bimba alata; forse ricorda una defunta che contempla la propria anima oppure una madre che saluta la figlioletta morta trasfigurata in Psiche. L'originale, integro, è conservato nel Museo. L'ultimo recinto apparteneva ai Cesti o agli Emili. Su un cippo sormontato da una sfera schiacciata è appena leggibile l'iscrizione dedicatoria posta da Lucio Cestio Potito a ricordo di Emilia Primitiva, che si era acquistata merito vivendo onestamente. Purtroppo molte informazioni degli scavi delle necropoli aquileiesi sono andate perdute, anche se hanno restituito molti oggetti del corredo funerario. Ma, paradossalmente, è proprio la grande quantità di monumenti sepolcrali di tutti i tipi conservati nel Museo Archeologico a fornire delle indicazioni significative sulla vita sociale di Aquileia. Nel 2016 sono stati condotti nuovi scavi dalla Fondazione Aquileia con la supervisione della Soprintendenza Archeologia del Friuli Venezia Giulia, per riportare all’antico splendore i cinque recinti, scavati da Giovanni Brusin tra il 1939 e il 1940. 19 Sono state realizzate le strutture di contenimento delle alte scarpate e la sostituzione dei drenaggi, per porre rimedio ai periodici allagamenti dell’area. E’ stata effettuata la pulizia e il consolidamento dei monumenti e dei muri dei recinti ed approntato l’impianto di illuminazione, che permette la suggestiva visita notturna al complesso. Infine i lavori hanno riguardato la sistemazione delle zone interne, dove esisteva la possibilità, poi confermata, che vi fossero ulteriori tombe antiche a cremazione e ad inumazione. E’ stato così intrapreso uno scavo archeologico delle sepolture. Le tombe di nuova individuazione sono costituite da 28 inumazioni (di cui una doppia), per lo più in fossa (ma con evidenza della presenza di casse lignee) o in cassa litica o di laterizi. Per le incinerazioni (con i resti deposti in cassetta, anfora, olla litica o fittile o in vetro) si è proceduto al loro recupero per lo scavo in laboratorio dei corredi interni, con elementi talvolta perfettamente integri. Un dato di eccezionale interesse, infine, è emerso dal recinto II: ceramiche e resti ossei animali, probabilmente testimonianza dei riti che venivano svolti nelle aree funerarie.

IL GRANDE MAUSOLEO Lungo la via Giulia Augusta, a sud del foro, è stato ricostruito nel 1956 da una famiglia privata (Candia) un grande mausoleo, alto 17 m i cui resti vennero alla luce nel 1891 nella località Roncolon di Fiumicello, pochi chilometri ad oriente di Aquileia, sull'antica via Gemina, la quale collegava Aquileia a Tergeste, l'odierna Trieste. I criteri di restauro non sono approvati da tutti gli esperti; alcuni ritengono arbitrarie sia la struttura che le proporzioni del monumento, piuttosto difficili da ricavare data l'esiguità dei frammenti ritrovati. La ricostruzione propone un grande dado posto su gradini in cui è situata la cella funeraria per i membri della famiglia. Il dado è bipartito orizzontalmente da una fascia a meandro; la zona superiore della facciata è decorata da tre archi con festoni vegetali da cui pendono piccole maschere; sotto i festoni compaiono un tritone e una bellissima testa taurina. Nella zona inferiore correva l'iscrizione dedicatoria di cui rimangono soltanto alcune lettere; al di sotto, un fascio littorio e una sedia curule rovinati ma leggibili. Sul dado è posta l'edicola con eleganti colonnine e cuspide decorata a squame; qui è sistemata la statua-ritratto acefala del personaggio per il quale fu innalzato il monumento. Sui punti angolari della fronte del recinto sono posti due bei leoni ruggenti che ghermiscono con una zampa la testa di un ariete. La toga del personaggio, lo scrinium ovvero la cassetta cilindrica porta documenti che sta ai suoi piedi, il fascio littorio e la sedia curule permettono di riferire la tomba ad un importante magistrato municipale di cui rimangono ignoti sia il grado che l'identità. I caratteri stilistici indicano che il monumento risale all'età di Augusto.

20 FONDO CAL Nella vasta area demaniale, originariamente interposta tra il principale asse stradale, oggi ricalcato dalla strada moderna, e l'anfiteatro, sorto al di fuori del primitivo circuito murario di età repubblicana, si sviluppava un quartiere residenziale di Aquileia. I resti - rinvenuti nell’area oggi nota come fondo Cal - appartengono a più abitazioni e a diverse epoche della storia urbana di Aquileia, segno che le dimore furono oggetto nel corso del tempo (dal I al IV-V sec. d.C.) di numerose modifiche, ristrutturazioni e accorpamenti. Si tratta di almeno sei domus, centrate su corti porticate talvolta allestite a giardino, attorno a cui si articolano grandi ambienti di rappresentanza, appartamenti destinati alla vita della famiglia, piccoli impianti termali. Importante appare la fase tardoantica, quando gli edifici vennero dotati di ambienti absidati, un tempo interpretati come "oratori" cristiani ed ora invece identificati con grandi sale di pregio destinate al ricevimento, ampiamente diffuse in tutto il mondo romano nella tarda Antichità. Nell’area nord si trova una grande sala absidata, oggi protetta da una struttura moderna, preceduta da una corte colonnata e considerata una sala di rappresentanza della casa di un ricco proprietario, che aveva inglobato più nuclei abitativi preesistenti, formando un unico grande complesso: verso sud, ne facevano forse parte un’altra sala con abside e una grande aula di ricevimento. Il mosaico “del Buon pastore” (IV sec.) decora l’aula absidata: la sua figura è posta in un cerchio al centro del tappeto musivo, che nella parte restante è formato da un elaborato schema geometrico di rombi e quadrati con inscritti spazi ottagonali. I soggetti raffigurati (oltre al Buon pastore, negli ottagoni compaiono pesci, delfini, pavoni, anatre, busti maschili e femminili) non sono necessariamente da leggere in chiave cristiana, come si è a lungo pensato, ma rientrano più genericamente nel repertorio figurativo adottato anche da non cristiani in pieno IV sec. A ovest del nucleo residenziale del fondo Cal, è oggi visitabile un'altra casa di abitazione (casa dei mosaici bianco-neri). Articolata su un peristilio interno, essa era composta da più ambienti, con corridoi di disimpegno. Sulla base dei mosaici geometrici a tessere bianche e nere, la fase principale si data all’età augustea. Al di sotto di questi, sono state messe in luce strutture precedenti, con diverso orientamento.

FONDO COSSAR L’area archeologica del fondo Cossar è parte di uno degli isolati meridionali di Aquileia romana, delimitato da una strada nord-sud, di cui qui si conserva il basolato, e da un asse viario parallelo messo in luce più a ovest e si contraddistingue per i resti di almeno due o tre abitazioni. Le case presentano resti murari e pavimentali riferibili a diverse epoche, dal I al IV sec. d.C. Nel settore meridionale, sono presenti numerosi mosaici risalenti agli ultimi decenni del I sec. a.C. o all’inizio del I sec. d.C. e a nord si vi sono i resti murari e musivi forse di un terzo nucleo residenziale. I recenti scavi hanno permesso di riconoscere nel settore centrale dell’area archeologica il perimetro di un’unica grande casa di oltre 1.300 metri quadri, che si sviluppava trasversalmente fra i due assi stradali. L’impianto, dell’inizio del I sec. d.C., gravitava su uno spazio centrale scoperto, circondato da un ambulacro mosaicato e dotato di una fontana. Su questo giardino si affacciava l’ambiente principale della casa, con semplice superficie musiva a fondo bianco. Adiacenti alla strada, sono state riconosciute delle botteghe; dall’altra parte, invece, è stato individuato l’atrio, sorretto da quattro colonne, sul quale convergevano diversi ambienti della parte privata della casa. E’ stato ritrovato un peso di pietra con un’iscrizione, probabilmente il nome del proprietario della domus, Tito Macro. In particolare lo scavo ha portato all’individuazione di porzioni non disturbate delle fasi altomedievali (VI-VIII sec.) del complesso residenziale, quasi ovunque asportate negli scavi del passato, mirati a raggiungere i pavimenti musivi della fase romana. Queste preziose evidenze permetteranno di ricostruire, almeno in parte, le poco note vicende insediative e storiche di Aquileia dopo la fatidica data dell’assedio di Attila del 452. È previsto l’avanzamento dello scavo in tutti i settori della domus, da cui ricavare le piante dell’edificio a supporto dei progetti di ricostruzione e valorizzazione.

21 Intanto, è stata già avviata la sistemazione degli antichi resti con rimozione delle piattaforme in cemento realizzate negli scorsi anni Sessanta per esporre in situ i mosaici tra loro sovrapposti, ma rivelatesi non adeguate a una moderna conservazione e fruizione dei resti. L’obiettivo è di realizzare la copertura dell’area della domus e integrare le evidenze della fase d’impianto della casa (I sec. d.C.) con le tracce delle sue articolate evoluzioni di III e IV sec. Infine, è stata avviata da poco una seconda indagine presso l’angolo sud-orientale dell’area per rimettere in luce i resti delle mura della città di età romana repubblicana (II sec. a.C.), con il torrione sommariamente individuato nei vecchi scavi del 1930.

Il mosaico del Buon pastore dall’abito singolare, recentemente restaurato dal gruppo Mosaicisti Ravenna grazie al contributo della Fondazione Aquileia e in attesa di essere ricollocato sul fondo Cossar, decorava un vasto ambiente di rappresentanza, situato a nord della domus centrale. All’interno di una cornice ad archetti, la figura del Buon pastore, con il tipico bastone e le figure di ovini alle sue spalle, è inserita all’interno di un cerchio, a sua volta inscritto in un cerchio più grande: lo spazio tra di essi è riempito con tralci di vite e figure di fagiani e pavoni. Negli angoli tra il cerchio maggiore e il quadrato in cui esso è inscritto compaiono le figure delle Quattro Stagioni. Il mosaico ripropone dei temi figurativi tipici della cultura artistica del IV sec., ma non necessariamente di ispirazione cristiana. Alla fine dell’800 le ricerche archeologiche riportarono alla luce in questa area altri importanti tappeti musivi come il c.d. Asarotos oikos (“pavimento non spazzato”), il mosaico della vite annodata con fiocco e il mosaico con Nereide su toro marino.

LE STRADE La città di Aquileia era al centro di una fitta rete di strade, che raggiungevano o si dipartivano dal centro urbano in tutte le direzioni. Il collegamento con l’Italia centrale era garantita dalla via Annia, che si innestava alla dopo aver toccato Concordia, Altino, Padova e Adria; la via per la Padania, la via Postumia, che raggiungeva Genova attraverso Concordia, Oderzo, Vicenza, Verona e Cremona; la via per il Norico (Austria), la cosiddetta , che nella località Carnia si biforcava in due rami per Virunum (attraverso la Val Fella) e per Auguntum (lungo la Valle del But); la via per la Pannonia (Slovenia-Ungheria), attraverso la valle Vipacco fino a Julia Emona (Lubiana); secondo alcuni anche questa strada si chiamava Postumia; la via per l’Istria, detta via Gemina, fino a Trieste (il nome Gemina ma per alcuni è riferito ad altra arteria). Indagini archeologiche condotte in più punti della città hanno messo in luce varie porzioni della sua rete stradale, strutturata fin dall’epoca della fondazione della colonia, ma sottoposta a continue opere di manutenzione e restauro. Attualmente si possono vedere, a sud del foro, un tratto di una via molto importante che faceva da collegamento tra il porto e il complesso forense (il cosiddetto decumano di Aratria Galla) mentre, negli scavi a nord della basilica cristiana (fondo Cossar), si possono osservare i resti di un’altra strada, sulla quale si affacciavano alcune abitazioni. Le vie aquileiesi erano pavimentate con basoli in trachite euganea disposti “a schiena d’asino”, per consentire il deflusso dell’acqua piovana, ed erano delimitate da marciapiedi.

22 IL TEATRO Presso le mura occidentali si allineavano da nord a sud edifici di grande impatto visivo che aumentarono il prestigio di Aquileia quali il circo e le grandi terme, e soprattutto gli spazi riservati allo svolgimento degli spettacoli, quali il teatro e l’anfiteatro. Del teatro, realizzato probabilmente nella seconda metà del I sec. a.C., si conosce ben poco. Nel 2015 è iniziato uno scavo archeologico nella vasta area demaniale estesa tra il Foro e le Grandi terme, preceduto e integrato da una serie di prospezioni geofisiche, allo scopo di verificare direttamente sul terreno un’ipotesi avanzata, secondo la quale proprio in quel luogo si sarebbero trovati i resti dell’antico teatro cittadino. L’intuizione ha trovato una prima conferma già nella campagna di scavo del 2015 e si avvale degli ulteriori risultati emersi nel 2016. Le indagini archeologiche hanno permesso di individuare diversi tratti di una serie di lunghe e potenti strutture murarie disposte a raggiera (muri radiali), scandite in due settori da un muro curvilineo intermedio. Nel loro complesso queste strutture presentano le caratteristiche tipiche degli impianti sostruttivi in muratura che sorreggono la cavea di molti edifici per spettacoli di età romana. Come dimostrato dallo scavo, i muri radiali terminavano verso l’esterno con un pilastro. Allo stato attuale delle ricerche sembra che il diametro della cavea fosse di circa un centinaio di metri. Al teatro sono stati riferiti alcuni elementi di provenienza sconosciuta, tra cui quattordici blocchi in trachite euganea pertinenti alle gradinate, sui quali sono incisi i nomi dei titolari dei posti a sedere. All’apparato decorativo di questo edificio, invece, possono essere ipoteticamente attribuiti dei telamoni stanti, di cui si conservano in Museo tre esemplari realizzati in arenaria, ed uno inginocchiato in marmo, riprodotto su disegni ottocenteschi.

L’ANFITEATRO L’anfiteatro romano di Aquileia era stato oggetto nel tempo di diverse indagini archeologiche, a partire da alcuni scavi occasionali nel 1700 e a inizi 1800 fino a più rigorosi, ma sempre parziali scavi realizzati fra fine Ottocento e inizi Novecento a opera di Enrico Maionica e poi nel 1934-35 e nel 1946- 47 da Giovanni Brusin. Grazie a tali interventi, dell’edificio si conoscevano in via del tutto generale le dimensioni complessive e l'ubicazione nel quadro della città romana, ma rimanevano ancora da chiarire numerosi aspetti architettonico-strutturali e l'inquadramento cronologico. In particolare, dopo la metà del Novecento questa costruzione così importante e monumentale della città non era mai più stata oggetto di 23 indagini: particolarmente interessante risultava l’area demaniale di palazzo Brunner perché nel suo sottosuolo si nasconde circa un quarto dell’intera superficie dell’edificio, mai scavata precedentemente, almeno a quanto risulta dalla documentazione nota. La ricerca è stata avviata il 7 luglio 2015, dopo aver condotto alcune prospezioni geofisiche da un’equipe di studenti e dottorandi dell’Università di Verona. Attraverso una serie di ampliamenti e approfondimenti mirati delle aree scavate nel corso degli anni 2015-2016 la campagna 2017 ha portato a grandi novità scientifiche per la comprensione dell’anfiteatro, tali da integrare la conoscenza che se ne aveva per tutta una serie di aspetti planimetrici, costruttivi e decorativi. In particolare nel 2017 si è messa in luce un’intera porzione dell’ellisse, compresa fra due dei corridoi radiali che permettevano l’ingresso all’arena: la modularità della costruzione e il confronto con i dati raccolti nel corso delle indagini otto e novecentesche hanno permesso così di ricostruire l’intera pianta del monumento. Si trattava di una costruzione imponente, che misurava 142 metri sull’asse maggiore e 107 metri sul minore, poco più piccola dell’arena veronese, cui era simile architettonicamente. L’edificio si ergeva su un sistema di murature ellittiche e radiali, a sostegno delle gradinate, impostate su una poderosa massicciata di fondazione; ai piedi della cavea si apriva una larga canaletta in mattoni sesquipedali in ottimo stato di conservazione, per quanto coperta dall’acqua di falda attualmente più alta rispetto all’età romana, oltre la quale si innalzava un muro che correva tutto attorno all’arena – al fine di proteggere gli spettatori dagli animali nello spazio dove si scontravano con i gladiatori – e di cui si sono rinvenuti in crollo alcuni degli elementi architettonici che lo decoravano. Di particolare interesse, anche ai fini di un’eventuale, futura valorizzazione, risultano alcune murature dell’edificio che si conservano in alzato per 1.70 metri in altezza: si tratta del muro ellittico e di alcuni dei muri radiali disposti su due raggiere concentriche a sostegno delle gradinate per il pubblico. Concluso l’uso primario per spettacoli attorno al IV sec. d.C., come sembrano attestare alcune monete e materiali raccolti, il luogo conobbe presto una nuova frequentazione; i muri radiali, ancora almeno in parte in alzato, vennero infatti usati fra V e VII sec. per realizzare modeste strutture abitative, di cui gli scavi hanno evidenziato piani d’uso e focolari, mentre l’area dell’antica orchestra venne ridotta a spazio rurale. In seguito le murature antiche furono soggette ad una serie di spoliazioni che si protrassero nei secoli almeno fino al 1700, confermate in particolare dal rinvenimento di una larga calcara, ove le pietre dell’edificio vennero trasformate, appunto, in calce. Tuttavia, per quanto riguarda la puntuale definizione cronologica delle varie fasi di frequentazione del sito, come per quelle di costruzione e uso del monumento, si resta in attesa dello studio dei materiali raccolti e delle analisi al C14 e archeometriche, tuttora in corso di realizzazione. Nel 2015 è stata rinvenuta anche una poderosa e finora ignota platea ellittica, larga quasi 6 metri, all’esterno dell’edificio. Gli scavi condotti dal 2015 ad oggi dall’Università di Verona hanno permesso, in sostanza, di capire dimensioni, articolazione planimetrica e sistema costruttivo di questo monumento, che doveva essere una delle costruzioni più grandi e complesse di Aquileia, in considerazione anche del terreno molto difficile dal punto di vista idrologico in cui esso venne realizzato. Le ricerche archeologiche fatte da Enrico Maionica tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento hanno portato alla luce materiali significativi, tra cui due elementi della gradinata con incisi i nomi dei detentori dei posti a sedere e cinque pezzi di lastroni a forma di delfino, oggi custoditi nei portici e nei magazzini del Museo.

IL CIRCO La costruzione del circo nella zona nord-occidentale della città venne a completare l’assetto di questa fascia urbana, divenuta un vero e proprio “quartiere degli spettacoli” grazie alla presenza del teatro e dell’anfiteatro. Attualmente ben poco rimane di questo edificio, quasi completamente spogliato nell’età post-antica. Non è ancora chiara l’epoca di costruzione di questa struttura, per la quale sono state avanzate due ipotesi: secondo alcuni studiosi il circo sarebbe stato eretto alla fine del II sec. d.C., 24 secondo altri all’epoca di Massimiano (286-310 d.C.). Un’importante trasformazione della fisionomia di questo edificio di spettacolo avvenne con la costruzione delle mura tardoantiche, che inglobarono tutto il lato lungo occidentale. Dubbia è anche l’estensione totale del circo; stando a quanto rilevato da alcuni archeologi, esso non avrebbe superato i 385 metri, così da rispettare il tracciato della via Annia che usciva da questa parte della città; altri autori, invece, ritengono che la lunghezza del circo fosse di 450 m e raggiungesse l’angolo nord-occidentale delle mura. Quale che fossero le caratteristiche strutturali del circo, è possibile che esso fosse collegato ad una residenza imperiale, secondo uno schema attestato a Roma (circo di Massenzio), Milano, Salonicco, Antiochia, ecc. Nel 1878 fu rinvenuta nel Fondo Cassis presso la località Marignane, nel luogo dove si collocano i resti del circo della città antica una meridiana solare. Il manufatto è databile al II sec. d.C. Non è nota la sua originaria collocazione, che non può essere quella del sito di ritrovamento, collocandosi nel mezzo della pista del circo. L'ipotesi che trovasse sede poco distante dal luogo dove fu scoperta, ad esempio presso la spina dell'edificio, contrasterebbe con le analisi tecniche del funzionamento dell'orologio, che parrebbe compatibile con una latitudine più meridionale di quella in cui si colloca Aquileia. La meridiana si compone di una tavola in pietra calcarea di Aurisina (m 1,05 x 2,10) a cornice aggettante e rialzata a modanature; la sostengono due basi cilindriche; intorno al tavolo, lungo tre lati, si colloca una panca per seduta anch'essa in pietra. Su un lato della superficie del tavolo è incisa una meridiana solare orizzontale, che sfrutta la proiezione d'ombra, diversificata a seconda delle stagioni, di un indicatore verticale (gnomone), oggi scomparso, che era originariamente inserito nell'apposito foro presente sulla tavola. La figura riproduce il disegno astronomico di riferimento per la misurazione delle linee orarie in funzione delle diverse stagioni dell'anno; entro due incisioni concentriche intorno al disegno è riportata la sequenza in latino dei venti ordinati secondo il quadrante dei punti cardinali: desesolinus (levante, che spira da est), eurus (scirocco, da sud est), auster (austro, da sud), africus (libeccio, da sud-ovest), faonius (zefiro, da ovest), aquilo (maestrale, da nord- ovest), septentrio (tramontana, da nord), boreas (bora, da nord-est). All'interno del cerchio un'iscrizione riporta il nome dell'autore dell’orologio: Marcus Antistius Europus.

Si tratta di un pezzo eccezionale in quanto costituisce uno dei rari manufatti di questo tipo conosciuti dell'antichità: più comuni sono infatti le meridiane per la misurazione del tempo di tipo diverso, più semplici, con struttura a scafo emisferico, rinvenute anche ad Aquileia. Opere di questo tipo dovevano essere legate ad una committenza molto elevata: non mancano del resto le testimonianze della presenza nei pressi del circo di dimore delle classi più ricche: proprio qui, in epoca tardoantica, si trovava una ricca struttura residenziale collegata al circo, forse lo stesso palazzo della corte dell'imperatore, come sembrano anche indicare i preziosi reperti rinvenuti, tra cui numeroso materiale scultoreo di reimpiego appartenente ad un ciclo dinastico imperiale.

IL PALAZZO IMPERIALE L’esistenza di una struttura abitativa in grado di accogliere la famiglia imperiale e la sua corte sembra provata dal panegirico, pronunciato nel 307 d.C. in occasione delle nozze tra Costantino e Fausta, che ricorda l’Aquileiense palatium, ma la sua localizzazione non è stata ancora chiarita. Le proposte finora avanzate a tal proposito sono due, e significativamente rimandano proprio all’area del

25 circo. Secondo la prima ipotesi, la dimora imperiale potrebbe essere identificata in un edificio trovato a ovest del circo, in località Marignane che, per quanto scavato solo parzialmente, mostra delle dimensioni imponenti e, soprattutto, presenta una decorazione pavimentale di altissimo livello. La seconda ipotesi, invece, spingerebbe a ricercare la residenza a est dell’edificio di spettacolo. Se è pur vero che in questa zona non sono ancora state trovati dei resti che possano essere riferiti ad un’abitazione di tale levatura, è anche vero che una posizione all’interno della mura sembrerebbe più consona a questo edificio che, forse, poteva esser ornato da delle splendide sculture quali in grandi clipei con busti di divinità e alcune statue di imperatori, ampiamente rilavorate, che sono attualmente conservati nel Museo Archeologico.

LE TERME Un altro edificio a destinazione ricreativa venne ad aggiungersi nell’età tardoantica in questo settore della città, ovvero le terme. Questo complesso monumentale, conosciuto come “Grandi Terme”, non è ancora stato scavato interamente ma ha restituito finora molti ambienti pavimentati da splendidi mosaici, tra cui spiccano quelli con figure di atleti. Si ritiene che questo edificio sia stato costruito nell’epoca tardocostantiniana, non solo sulla base dei motivi figurativi e stilistici presenti sulle superfici musive, quanto, soprattutto, per il ritrovamento di un’epigrafe che ricorda le thermae felices Constantinia(na)e. È, dunque, verosimile che sia stato proprio l’imperatore Costantino ad aver promosso la realizzazione di questo edificio pubblico.

Dal 2002 e ricollegandosi agli scavi condotti fra il 1922 e il 1987 dalla Soprintendenza, gli archeologi dell’Università di Udine stanno ricostruendo la storia di questo complesso termale, che comprendeva vasche per i bagni caldi (calidaria) e freddi (frigidaria), un’ampia piscina lastricata e grandi ambienti con raffinati pavimenti musivi. Il gigantesco complesso ruotava attorno ad una grande salone centrale di 47 x 20 m pavimentato in marmo e circondato da coppie di vasche per i bagni freddi. Ai limiti nord e sud si trovavano due grandi saloni e in altra posizione spazi per i bagni, spazi riscaldati da forni e vani di servizio. Assai ricche erano le decorazioni pavimentali realizzate in marmo, mosaico di vari tipi e lastre di pietre locali ed importate. I frammenti di decorazioni architettoniche, colonne, intarsi parietali in pietre pregiate, intonaci dipinti e statue, rinvenuti nei riempimenti successivi allo spoglio dell’impianto, sono oggi gli unici testimoni del lusso originario. Fra VI e VII sec. i ruderi furono riutilizzati come abitazioni con sepolcreto annesso. Infine, dopo un lungo abbandono, a partire dal XIII-XIV sec. il complesso fu completamente spogliato delle strutture murarie e l’area destinata a scopi agricoli e all’edificazione, con materiale di reimpiego, di strutture rurali. La campagna di scavo del 2017 condotta dal Dipartimento di Studi umanistici e del patrimonio culturale dell'Università di Udine sul sito delle Grandi Terme costantiniane che, con i loro 25 mila metri quadrati di estensione, sono uno dei più vasti impianti termali pubblici dell'Italia settentrionale romana, vedrà al lavoro un team di 290 persone tra studenti, tirocinanti e specializzandi, per la realizzazione di un importante intervento di restauro, sostenuto finanziariamente dalla Fondazione Aquileia e concordato con la Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio del Friuli Venezia Giulia. L'intervento

26 rappresenta la prima tappa delle attività di conservazione e valorizzazione, che progressivamente restituiranno sul terreno la pianta delle Grandi Terme e la disposizione dei loro vasti saloni. Uno degli interventi sarà il ripristino del contenimento dei pavimenti a mosaico a motivi geometrici in pietra e cotto, appartenenti all'ultima fase della vita delle terme tra la fine del IV e il V sec. d.C., operazione indispensabile per evitarne il degrado.

I LUOGHI DI CULTO Poche sono le strutture individuate da scavi archeologici, che possano con certezza essere riferite a dei luoghi di culto. A fronte di questa carenza, va, invece, ricordata la grande quantità di iscrizioni che attestano la presenza di specifici culti ad Aquileia: come l’esistenza di un santuario dedicato a Nettuno, eretto, probabilmente in epoca giulio-claudia ma forse nei decenni immediatamente successivi, nei pressi del porto. Allo stesso periodo può essere riferita la costruzione di un altro tempio, quello di Iside e Serapide, elevato, anch’esso, nella zona limitrofa il complesso portuale. Si trattava certamente di un santuario di una certa rilevanza, data la grande quantità di materiale votivo rinvenuto in questo settore della città. Nei pressi dell’anfiteatro, invece, erano situate, probabilmente, altre due aree santuariali, quella sacra a Nemesi, e quella dedicata a Esculapio. Altri luoghi di culto erano collocati lungo le vie extraurbane, nella periferia più prossima alla città. L’esistenza di queste costruzioni è testimoniata, anche in questi casi, da numerose dediche, che purtroppo non trovano corrispondenza in altrettanti elementi strutturali.

27 Bibliografia

- Storia di Aquileia e di Grado dalle origini ai giorni nostri, Paolo Scandaletti, Edizioni Biblioteca dell’Immagine, Pordenone, 2014 - Il Museo Archeologico Nazionale di Aquileia, a cura di Paola Ventura, Electa, 2013 - Aquileia, viaggio nel tempo, Fondazione Aquileia, Grafica Goriziana, - Aquileia città di frontiera, Fondazione Aquileia Archeologia Viva Giunti - Aquileia nell’antichità, Giulia Mian Cristiano Tiussi, www.academia.edu - Aquileia e San Canzian, Gabriella Brumat Dellasorte, Storti Edizioni, Venezia, 2005-2010 - Piani di valorizzazione per Aquileia Progetto scientifico, a cura di Jacopo Bonetto e Marta Novello, Fondazione Aquileia, agosto 2011

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