La Notomia D'amore Del Famoso Albicante Furibondo

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La Notomia D'amore Del Famoso Albicante Furibondo LA NOTOMIA D’AMORE DEL FAMOSO ALBICANTE FURIBONDO 1. LA VITA E LE OPERE DI GIOVANNI ALBERTO ALBICANTE iovanni Alberto Albicante, poeta laureato che si distinse tra i suoi G contemporanei per un radicato legame con la corte di Milano della prima metà del Cinquecento, fu intellettuale e cortigiano di indubbia fa- ma, e beneficiò di vasta considerazione nell’ambiente meneghino dell’e- poca.1 Tuttavia, come già rilevato altrove da parte di chi scrive, «assai scarse, e parzialmente incerte, sono le notizie sulla biografia dell’autore» (cf. Al- bicante, Historia [Bellone]: 15): ignota la data di nascita (collocabile co- munque nel capoluogo lombardo, forse nella basilica di san Babila,2 tra la fine del secolo XV e l’inizio del successivo) cosí come quella di morte (il termine post quem potrebbe essere il 1567, anno di pubblicazione de Le gloriose gesta di Carlo V, opera la cui paternità è però dubbia),3 non rimane che qualche sporadico cenno autobiografico, non sempre verificabile, estratto da alcuni passi dei suoi scritti.4 Sappiamo – è stato anticipato – che venne insignito della laurea poe- tica; a fornirne preziosa testimonianza è soprattutto il passo iniziale di una lettera del primo marzo 1540 di Pietro Aretino indirizzata proprio all’Albicante: Se io, fratel caro, fusse gran cappellaccio come son piccol vermine, la magica non mi cavaria de la testa che lo avermivi dato in preda non causasse quel ciò 1 Sulla vita culturale milanese del secolo XVI si vedano in particolare Tissoni Ben- venuti 1989: 41-55, Albonico 1990, Albonico–Milani 2002: 17-21, 49-58, 72-7, 83-6, 89- 101, 105-11, 118-26, Albonico 2013: 45-59. 2 Cf. Lancetti 1839: 412. 3 Cf. infra. 4 In assenza di uno studio di insieme sulla sua figura e sulla sua traiettoria artistica, a eccezione di alcune ricognizioni variamente affidabili e ormai in larga misura datate (si pensi ad es. a Manno 1874: 75-81, Sabatini 1960, al pur ancora imprescindibile Asor Rosa 1960: 1-2; si vedano anche Quadrio 1739: IV, 139-43, Mazzucchelli 1753: 326-30, Ginguené 1822: 440, Lancetti 1839: 412-6, Tiraboschi 1884: 172, Bertani 1901: 129-34, Salza 1903: 46-8, 65), il suo profilo migliore si legge certamente in Procaccioli 1999: 7 ss. Carte Romanze 5/1 (2017): 87-229 – ISSN 2282-7447 http://riviste.unimi.it/index.php/carteromanze/index 88 Carte Romanze 5/1 (2017) che si sia che permette che più non mi scrivete; ma essendo da meno che l’ombra del lauro del quale vi coronano le mani Ducali, non vado pensando che la felicità di qualche nuova fortuna vi accenda ne la mente il fuoco de la superbia, perché la liberalità (salvo l’onore del comun nostro padrone) solo si allarga inverso de i gaglioffi.5 Secondo Vincenzo Lancetti6 tale onore gli venne concesso da Ludovico il Moro, in virtù della sua considerevole attività di mecenate a favore di artisti e intellettuali: questi si spense però a Loches nel 1508, quando il nostro era ancora, considerata la cronologia delle sue opere, in età puerile. Da parte loro, Alberto Asor Rosa prima (cf. Asor Rosa 1960) e Paolo Procaccioli poi (cf. Aretino, Lettere I [Procaccioli]) ipotizzano che Albi- cante ricevette l’onorificenza dal marchese del Vasto, cui è dedicata la Notomia d’Amore, divenuto, successivamente alla morte del cardinale Ca- racciolo, governatore di Milano: accogliendo l’ipotesi, non si compren- derebbe il riferimento alle «mani Ducali» contenuto nell’epistola dell’Are- tino. Andrà in definitiva ritenuto, in accordo con Ersparmer (1998: 368, n. 2) e Procaccioli (1999: 143, n. 3), e con una certa dose di certezza, che il riconoscimento giunse per volontà Federico II Gonzaga – dedicatario del più noto scritto albicantiano, l’Historia de la guerra del Piamonte –, primo dei figli maschi di Francesco II Gonzaga e di Isabella d’Este, dall’8 aprile 1530 duca di Mantova per volere di Carlo V. Poeta laureato e affermato uomo di corte, quindi, ma anche soldato: siamo infatti a conoscenza della sua partecipazione diretta, come militare dell’esercito spagnolo, alla guerra di Piemonte narrata nella succitata Hi- storia, combattuta tra le truppe di Francesco I e quelle di Carlo V, conclu- sasi nel 1538 con la tregua di Nizza e con l’incontro dei due reggenti ad Acqua Morta. È lo stesso poeta, in più passi del poema, a certificarlo: Non men di gli altri io fui dentro et fori col Conegrano in scaramuccia francho, et già segnanda tutti i grandi honori di chi ne l’arme poco v’era stanco; et spesse volte fui, tra l’herbe e fiori, d’esser disteso con mi’ arme al fianco: ma la fortuna mi vedeva ignudo, più volte, con le man, mi fece scudo. (108, 1-8) 5 La lettera è edita in Aretino, Lettere II (Procaccioli): 190-1 e Procaccioli 1999: 143. 6 Cf. Lancetti 1839: 412-6. L. Bellone – La Notomia d’Amore del famoso Albicante furibondo 89 Tuonar il cielo, l’aria d’ogni canto, tremar la terra spave‹n›tosa vidi: cosí fu posto intorno tanto et tanto terror di Marte da soldati fidi. (132, 1-4) Io sempre gli fui appresso et stetti attento quando ch’all’arme risonar le squille, et vidi sempre quel signor contento d’innanimar le genti a mille a mille. (214, 1-4) Et un Palavicino, inclito et degno d’ogni gran lode che si spera et brama, io vidi sempre farsi appress’al segno dove ch’all’arme ogni guerre si chiama. (222, 1-4)7 In età contemporanea la traccia lasciata dall’Albicante è invece focalizza- bile principalmente nel riflesso delle aspre polemiche con alcuni dei più noti avventurieri della penna del secolo XVI, Anton Francesco Doni e soprattutto Pietro Aretino, a testimonianza di una indole diremmo – coi suoi biografi – “violenta” e di una comprovata competenza polemica, molto probabilmente messa a partito dai padroni milanesi,8 contro audaci virtuosi del duello verbale, «“doti” che gli valsero gli attributi di “me- schino”, “furibondo” e “bestiale”, appellativi che lo stesso autore usò nei titoli di alcune delle sue opere più conosciute» (Albicante, Historia [Bel- lone]: 16), a partire proprio dalla Notomia d’Amore.9 Sul piano poetico, e più in genere letterario, di Giovanni Alberto Al- bicante permane oggi scarsa eco: il suo nome ricorre sí nel catalogo dei “laureati”, ma esclusivamente, o quasi, per il carattere repertoriale 7 Per ulteriori dettagli si rimanda a Albicante, Historia (Bellone). 8 Cf. Procaccioli 1999: 8. 9 Si legge, ad esempio, nella dedica dell’opera al Marchese del Vasto (c. 2r, cf. anche infra): «Et se saranno per aventura qualche ingegni rabbiosi che mi roderanno con la lingua, non me ne curo, perché queste sono le mie primitie fatte, senza studio, senza consiglio et senza cura, e senza aiuto di fortuna, ch’è peggio per me, ma aspettino in breve che verrà fuori il travagliar d’arme et d’amore de’ cavalieri moderni, dove si ve- dranno fatti horrendi di un Trimarte, di un Rodomare, e vederassi l’Albicante furibondo attacarsi a un corno della luna per andar più in suso e voler inpaurir gli altri pianeti, sí che in questo mezzo non temerà percosse di lingue mordaci, né temerebbe il flagello di flagilli, con l’aiuto di Trimarte». 90 Carte Romanze 5/1 (2017) dell’opera, che ha come noto il proposito di «censire il censibile».10 Il suo debutto va individuato proprio con la pubblicazione del poema in ottava rima Notomia d’Amore del famoso Albicante Furibondo (Napoli, 1536; poi Bre- scia 1538 e Venezia 1539), dedicato al marchese del Vasto.11 La composizione “maggiore” dell’intellettuale milanese è senz’altro l’Historia de la guerra del Piamonte (edizioni: Milano 1538; Venezia e Bologna, 1539), uno degli esponenti più rappresentativi delle cosiddette «Guerre in ottava rima», genere caratterizzato da storie talvolta minori, ma che ripro- ducono – riciclando da un lato il canone dei poemi cavallereschi, dall’altro le tradizioni dell’oralità canterina nelle nuove forme della stampa – quasi mezzo secolo di guerre d’Italia. Con una apprezzabile interferenza di co- dici, e con piglio cronachistico, Albicante espone, nello specifico, il sesto conflitto franco-spagnolo che tra il 1535 e il 1538 devastò la regione su- balpina: «vi si trovano battaglie sanguinose ed eroiche imprese, episodi che si fissano – attraverso l’ottava rima, sistema comunicativo che è al contempo tipologia discorsiva e culturale – nella memoria di diverse ge- nerazioni prima di fare il loro ingresso, per altra via, nella Storia e nei suoi costitutivi ritmi epocali» (Albicante, Historia [Bellone]: 27).12 Nello stesso metro, sebbene con sezioni in prosa e inserti in latino, è redatto il prezioso Trattato de l’intrar in Milano di Carlo V,13 stampato nel 1541 a Milano per i tipi di Andrea Calvo,14 dedicato alla duchessa Gio- vanna d’Aragona:15 il trattato è meritevole di attenzione in special modo 10 Ibid. 11 Cf. infra. 12 L’opera verrà d’ora in poi contrassegnata talvolta (soprattutto nei capitoli di ana- lisi linguistica e nelle note al testo) con la sigla HGP. 13 Il titolo per esteso è Trattato de l’intrar in Milano di Carlo V. C. sempre Augusto con le proprie figure de li archi, et per ordine, li nobili vassalli et prencipi et signori cesarei, fabricato et composto per l’Albicante, et con privilegio di sua maestà stampato. 14 Cf. c. 29 r: «Nullum bonum irremuneratum. Nullum malum impunitum. Medio- lani. Apud Andream Calvum .M.D.XXXXI.». 15 Cf. cc. 1v-2r: «Alla illustrissima et eccellentissima signoria, unico ornamento di bellezza et virtù. Donna Giovanna Aragona di Colonna. L’Albicante. Sogliono li poeti, per auspicio di perpetuar le lor opere, con invocatione propiciarse una de le sacre muse, acciò gli sia favorevole, in conseguire quello a cui elli aspirano, onde io per tal cagione, veramente guidato dal divino Apollo, in cambio di Calliope, ricorro al favore di Vostra Eccellentia et essa sola, invoco in mio auspicio et aiuto, che essendo il soggietto raro, per la grandezza di Cesare era anco necesario appoggiarlo a raro anzi maggior sustenta- mento che di Muse, qual è le divine gratie tante, che in Vostra Signoria Illustrissima risplendono et la fama, di ciò invaghita, con gli aperti vanni, ne sparge il grido per ogni L.
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