Capitolo Quinto L'unità Italiana 1. L'italia Tra
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CAPITOLO QUINTO L’UNITÀ ITALIANA Sommario: 1. L’Italia tra reazione e liberalismo. - 2. Cavour. - 3. La guerra di Crimea. - 4. La ripresa dei moti mazziniani e l’alleanza con Napoleone III. - 5. La seconda guerra d’indipendenza. - 6. La spedizione dei Mille e la nascita del Regno d’Italia. - 7. Aspetti sociali, economici e politici del nuovo regno. 1. L’ITALIA TRA REAZIONE E LIBERALISMO Come si è visto, la fine dei moti del 1848-49 coincide con la ripresa della politica reazionaria nella maggior parte degli Stati europei che mira a cancellare ogni traccia dell’ondata rivoluzionaria. Anche se i moti si risol- vono nel fallimento della rivoluzione popolare e democratica, ciò nondime- no comportano anche la definitiva affermazione della classe borghese- moderata. Negli anni successivi la borghesia sarebbe riuscita ad esercitare un ruolo di primo piano nella gestione del potere economico e politico, fino a farsi garante dell’ordine costituito contro ogni tentativo, interno o esterno, di sovvertimento. Ad eccezione del Regno di Sardegna, negli Stati italiani l’Austria ap- poggia una dura politica reazionaria. Soprattutto nel Lombardo-Veneto vie- ne ripristinato un rigido regime poliziesco ed è severamente repressa qualsiasi attività anche lontanamente suscettibile di aprire la strada a nuovi tentativi rivoluzionari. Uno dei più drammatici episodi di repressione si verifica nel 1852 sugli spalti della fortezza di Belfiore, a Mantova, dove vengono impiccati alcuni patrioti italiani (tra cui il sacerdote Enrico Tazzoli) colpevoli di aver raccol- to denaro per il «prestito nazionale» con cui Mazzini intendeva finanziare ulteriori azioni di lotta armata contro gli austriaci. Questo episodio (cono- sciuto come la vicenda dei «martiri di Belfiore») provoca lo scoppio di un tentativo rivoluzionario a Milano (6 febbraio 1853) che è stroncato con una dura repressione. Una violenta reazione è attuata anche nei ducati, nello Stato Pontificio e nel Granducato di Toscana. La durezza dei regimi viene parzialmente ridi- 44 Capitolo Quinto mensionata quando, nel 1857, l’arciduca Massimiliano d’Asburgo (fratello dell’imperatore) sostituisce il reazionario Radetzky. La reazione più spietata si ha nel Regno delle due Sicilie, dove Ferdi- nando II imbastisce una serie di processi che conducono nelle carceri bor- boniche anche prestigiosi intellettuali come Luigi Settembrini, Silvio Spa- venta e Carlo Poerio. Il Regno di Sardegna è l’unico Stato italiano a conservare la Costituzione concessa nel corso dei moti del 1848. Il nuovo sovrano, Vittorio Emanuele II, mantiene in vigore lo Statuto concesso da suo padre Carlo Alberto e ciò gli vale l’appellativo di «re galantuomo». Il re di Sardegna è, in realtà, una personalità fortemente autoritaria e la sua decisione di mantenere lo Statuto è dettata dal desiderio di accattivarsi l’opinione pubblica liberale anche degli altri Stati ita- liani. La politica di Vittorio Emanuele ha comunque successo e sia i liberali che, successivamente, i democratici moderati guardano al Piemonte come al centro propulsore della lotta patriottica italiana contro l’Austria. La ratifica del trattato di pace con gli austriaci, nonostante le moderate condizioni imposte al Piemonte (che l’Austria crede di poter nuovamente attirare nell’orbita degli Stati reazionari), provoca una crisi nelle istituzioni sabaude in quanto i deputati democratici del parlamento di Torino si rifiuta- no di ratificare la Pace di Milano. Vittorio Emanuele II decide allora di sciogliere le camere e indice nuove elezioni invitando gli elettori a votare, con il Proclama di Moncalieri, per i deputati disponibili a firmare la pace. Si tratta di un gesto chiaramente anticostituzionale, in quanto il sovrano ha influenzato direttamente l’elettorato e, nel proclama, fa anche intendere che se le sue indicazioni non fossero state seguite avrebbe provveduto personal- mente a firmare il trattato senza rispettare le garanzie costituzionali. Sta di fatto che la nuova camera appena eletta ratifica la Pace di Milano e il ministero d’Azeglio può realizzare una serie di riforme liberali. La più importante di queste è rappresentata dalle cosiddette leggi Siccardi (dal nome del ministro che le propone nel 1850), che limitano notevolmente i privilegi dei quali beneficiava il clero piemontese, tra cui il diritto degli ecclesiastici ad essere giudicati da un tribunale speciale. 2. CAVOUR Nel novembre del 1852 la Presidenza del Consiglio piemontese è assun- ta da Camillo Benso, conte di Cavour. Figura di primo piano della destra L’unità italiana 45 liberale, Cavour si accorda con l’esponente più importante della sinistra moderata, Urbano Rattazzi, per realizzare una politica di riforme moderate. Questo avvicinamento sarebbe poi stato ricordato come il connubio. Camillo Benso nasce nel 1810 da una nobile famiglia torinese e viene avviato alla carriera militare. A causa delle simpatie liberali manifestate nel corso dei moti del 1830-31 si trova in una situazione difficile nei confronti delle gerarchie militari e decide, quindi, di abbandonare l’esercito per dedi- carsi alla cura dei propri affari. Compie numerosi viaggi in Italia e all’estero (Inghilterra, Francia, Bel- gio, Svizzera) per approfondire le proprie conoscenze economiche e politi- che, dopodiché, tornato in patria, si dedica soprattutto a introdurre miglio- ramenti sensibili nella conduzione della tenuta agricola familiare di Lesi, trasformandola in un’azienda moderna. Contemporaneamente, scrive opere di carattere economico e legislativo. Per quanto riguarda le teorie economiche, abbandona ben presto le idee giacobine coltivate in gioventù e, dopo essere venuto a contatto con le espe- rienze politiche e sociali di altri paesi europei, si orienta definitivamente verso un liberalismo di tipo inglese, basato sulla convinzione che solo la libertà dell’individuo può permettere la creazione di una società moderna. Inoltre ritiene necessario spingere la borghesia più illuminata sulla via di quelle riforme che, migliorando le condizioni di vita dei ceti meno abbienti, avrebbero scongiurato la minaccia delle rivoluzioni. Messosi in luce già durante il ministero d’Azeglio (all’interno del quale, nel 1850, era stato Ministro dell’agricoltura e delle finanze), nel 1852 Cavour è nominato Capo del Governo. Il suo primo intento è quello di trasformare il Piemonte in uno Stato moderno e progredito, impostato su un regime costitu- zionale in grado di porsi sullo stesso piano dei più avanzati Stati europei, primo su tutti l’Inghilterra. A tale scopo continua l’opera di modernizzazione dell’agri- coltura, sottoscrive importanti trattati commerciali con Francia, Belgio e Inghil- terra e avvia la costruzione della linea ferroviaria Torino-Genova che, oltre ad essere una grandiosa opera di ingegneria, permette di incrementare i traffici commerciali, finanche transoceanici, in partenza dal porto ligure. Cavour attua anche una riforma del sistema fiscale, colpendo maggior- mente le classi più ricche che, conseguentemente, cominciano ad avversare la sua politica. Nel 1855, con l’intento di limitare ulteriormente i privilegi di cui godo- no le gerarchie ecclesiastiche, si fa promotore di una serie di riforme tra le 46 Capitolo Quinto quali la più importante è quella che prevede la riduzione del numero degli ordini religiosi e l’incameramento da parte dello Stato dei beni immobili da essi posseduti. Queste riforme scatenano l’opposizione della destra clericale, al punto che il re Vittorio Emanuele II (sollecitato dal vescovo di Casale, Luigi Na- zari di Calabiana) costringe Cavour a presentare le dimissioni. La «crisi calabiana» dura comunque solo pochi giorni perché il malcontento del- l’opinione pubblica spinge il sovrano a riaffidare il governo a Cavour. 3. LA GUERRA DI CRIMEA Dopo il fallimento dei moti del ’48 il Piemonte diventa il polo d’attra- zione ideale per tutti i liberali della penisola e Cavour, intenzionato a pro- muovere l’ingrandimento dello Stato sabaudo nell’Italia settentrionale, si impegna in una politica antiaustriaca che sottolinei la «funzione nazionale» del Regno di Sardegna. Lo statista sabaudo si propone altresì di inserire il Piemonte in un conte- sto internazionale conquistandosi l’appoggio di Napoleone III, il quale ama presentarsi come il difensore delle nazionalità oppresse. Anche per questo Cavour è favorevole alla partecipazione del Piemonte alla guerra di Crimea, a sua volta causata dal riacutizzarsi dell’annosa questione d’Oriente e dal fatto che i falliti tentativi di riforma interna dell’impero turco continuavano a tener vive le agitazioni indipendentiste delle popolazioni balcaniche di religione greco-ortodossa. Fedele alla politica espansionistica della Russia verso il Mediterraneo, nel 1853 lo zar Nicola I tenta di imporre al sultano turco il proprio protetto- rato su tutti i cristiani dell’impero ottomano. Ne riceve, però, un sostanziale rifiuto, sicché per rappresaglia le truppe zariste occupano i principati danu- biani di Moldavia e Valacchia (pressappoco corrispondenti all’attuale Ro- mania). Francia e Inghilterra, favorevoli al mantenimento dello status quo nell’area mediterranea, nel giugno del 1854 si alleano con la Turchia, en- trando in guerra contro l’imperialismo russo e sconvolgendo i piani di Ni- cola I, convinto che le potenze europee non si sarebbero opposte alle sue iniziative espansionistiche. La guerra viene combattuta in Crimea, principalmente intorno alla fortez- za russa di Sebastopoli, che resiste all’assedio degli anglo-francesi per quasi un anno (dall’ottobre del 1854 al settembre