Raccontar Danzando Forme Del Balletto Inglese Nel Novecento
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61 Studi e Ricerche Studi umanistici – Arti Raccontar danzando Forme del balletto inglese nel Novecento Annamaria Corea University Press Collana Studi e Ricerche 61 Studi umanistici Serie Arti Raccontar danzando Forme del balletto inglese nel Novecento Annamaria Corea Studi umanistici Serie Arti Raccontar danzando Forme del balletto inglese nel Novecento Annamaria Corea 2017 Per la pubblicazione di questo volume la serie «Arti» si avvale di un contributo raccolto dagli amici in memoria di Monica Levy (1953-2006), slavista, traduttrice, appassionata d’arte. Copyright © 2017 Sapienza Università Editrice Piazzale Aldo Moro 5 – 00185 Roma www.editricesapienza.it [email protected] Iscrizione Registro Operatori Comunicazione n. 11420 ISBN 978-88-9377-027-9 DOI 10.13133/978-88-9377-027-9 Pubblicato a luglio 2017 Quest’opera è distribuita con licenza Creative Commons 3.0 diffusa in modalitàopen access. Distribuita su piattaforma digitale da: Centro interdipartimentale di ricerca e servizi Settore Publishing Digitale In copertina: Samuele Briatore, Raccontar danzando (2016), inchiostro. Alle tre donne in sahari Indice Introduzione 1 1. Il balletto narrativo nel Novecento: l’esempio inglese 9 1.1. La svolta d’inizio secolo: astratto vs narrativo 9 1.2. Preludio: dal balletto d’importazione al balletto nazionale 27 1.3. Il boom degli studi inglesi e il dibattito critico sul balletto 43 2. Il balletto inglese: temi, storie, generi 67 2.1. I balletti di Ninette de Valois ovvero il dipinto danzato 68 2.2. Psicologico e reale nei balletti di Antony Tudor e Robert Helpmann 73 2.3. Frederick Ashton tra favola e humour 86 2.4. John Cranko, Kenneth MacMillan e il “full-length ballet” 97 3. Strategie del racconto danzato 121 3.1. Programmi, scenari e altri testi per il balletto 126 3.2. Pantomima e “silent acting” 141 3.3. Tecnica, stile, interpretazione 156 Ballettografia 177 Bibliografia 187 Indice dei nomi 197 Ringraziamenti 209 Introduzione Fino agli anni venti del Novecento, il balletto è stato un genere teatrale d’impronta prevalentemente narrativa; basta solo uno sguardo ai titoli del passato, dal repertorio del ballet de cour a quello tardo romantico, per cogliere la tensione di quest’arte alla narratività. Effettivamente il balletto ha incontrato temi e storie di ogni sorta. Il mondo mitolo- gico, insieme a quello pastorale e burlesco, ha fornito innumerevoli spunti a partire dal Seicento, e il ballo era divenuto parte integrante e necessaria anche nelle commedie di Molière. Sin dal suo esordio nel XVIII secolo, anche il ballet d’action, genere sperimentale e aperto alle contaminazioni, ha accolto i più disparati soggetti letterari, da quelli ispirati a eroi e intrighi tragici a quelli romantici, esotici, storici, e alle fiabe. Eppure la presenza in scena di vicende note e personaggi illustri non è sempre bastata a confermare l’ambìto statuto drammatico a cui aspirava la danza, che faticò sempre molto a essere avvalorata come arte “imitativa”, relegata spesso al ruolo di arte decorativa, e quindi “frivola” passione dell’occhio. Nei primi decenni del XX secolo, con l’affermazione della danza moderna e di una nuova forma di balletto, divenne sempre più neces- saria una rimodulazione dei codici espressivi e coreografici del mo- dello ottocentesco. Se da una parte i sostenitori dell’astrattismo ricer- cavano la specificità della danza nella musicalità del solo movimento corporeo, dall’altra le “pioniere” del moderno si accaparravano la fa- coltà di esprimere le più grandi passioni dell’uomo con un linguag- gio completamente inedito. Fu inevitabile la crisi del balletto narrati- vo a serata intera, demodé e poco incline al gusto primonovecentesco. Uno dei meriti della prima generazione di coreografi riformatori, molti 2 Raccontar danzando dei quali attivi all’interno della compagnia dei Balletti Russi di Djagi- lev, fu la creazione di balletti in forma breve, che comunque sviluppa- vano un nucleo tematico o narrativo. Il Novecento, infatti, sfrutta interamente la vasta gamma tematica dei secoli passati, non abbandona neanche la fascinazione verso la fa- vola o il mondo degli dei e degli eroi antichi, e continua la pratica di trasporre in danza le grandi opere letterarie, sia da drammi che da ro- manzi. Sono soprattutto gli argomenti contemporanei a rientrare nelle conquiste del balletto moderno, con un approccio critico e interpreta- tivo che è ovviamente legato all’influenza delle nuove scienze umane, come la psicanalisi, o delle arti sorelle, il teatro e il cinema, con cui spesso si confronta, o ancora delle altre tecniche di danza che vengono assimilate o accostate a quella accademica. Se la forma breve fu predominante nel primo Novecento, il modello del balletto a serata intera – affermatosi nel secondo Ottocento con Ma- rius Petipa – ebbe la sua rivincita a partire dagli anni trenta nella Rus- sia sovietica. La pantomima convenzionale, incaricata nella tradizione classica di trasporre il discorso verbale in un linguaggio dei gesti di- venuto col tempo pedante e incomprensibile, fu il principale bersaglio del nuovo filone narrativo, mentre la centralità del contenuto rima- neva un punto fermo. Naturalmente, ai racconti fiabeschi del passato si sostituirono storie politicamente e socialmente più impegnative, in concomitanza con i dettami del Realismo socialista, che mettessero “in ballo” alcuni momenti esemplarmente drammatici della storia dell’u- manità, come la Rivoluzione francese o la rivolta degli schiavi romani. Il nuovo dram-balet russo, oltre a rivedere l’aspetto dellafabula , modifi- cò anche le strategie narrative e performative, ricorrendo per esempio a un modello di recitazione di tipo stanislavskiano e a una gestualità più vicina alla quotidianità, al realismo delle scene, a una tecnica della danza sempre più fine ed eloquente. Contemporanea al balletto sovietico, che pur contava su una ferrea tradizione, è la nascita di quello inglese, che dalla sua parte non ave- va una scuola autoctona, ma solo un passato di tecniche e produzioni importate dall’estero. Rivelazione del XX secolo, il balletto inglese è divenuto nel giro di solo qualche decennio pietra miliare della danza mondiale, in grado di competere con le più antiche tradizioni francesi italiane danesi e russe, ed emblema di uno stile che negli anni si è an- dato definendo tipicamente British. Introduzione 3 In particolare, la linea narrativa – che rappresenta l’argomento cen- trale di questa ricerca – occupa un posto privilegiato nel repertorio dei coreografi di cui ci occuperemo e offre spunti per rintracciare e mettere in luce quelle novità coreografiche che hanno portato tra gli anni trenta e settanta a una ridefinizione del ballet d’action e delle sue componenti. Certamente influenzata dai russi, la scuola inglese ha mo- strato sin dagli esordi una forte inclinazione al balletto narrativo che si è via via distaccata dai modelli fino ad allora esistenti. La geniale fondatrice dell’attuale Royal Ballet, Ninette de Valois, seppe modulare con notevole acume il ventaglio creativo della compagnia, assimilan- do la tradizione “classica” e favorendo d’altro canto la nascita di un balletto moderno, originale e ricco d’intuizioni innovative. Un balletto “nazionale”. Le riflessioni del passato intorno a questo tema sono varie e com- plesse, e inevitabilmente legate a questioni ancora oggi aperte: la ri- vendicazione della danza a essere considerata un’arte imitativa, l’as- similazione della forma drammatica alla struttura dei balletti, dunque la natura e la configurazione del libretto di ballo, la pantomima come strategia del racconto, infine le concezioni e le etichette di “astratto” e “narrativo”, che portano alla luce l’entità stessa della danza, conte- sa fra una concezione astratta, che privilegia il rapporto con la musi- ca, e l’altra drammatica e imitativa che si vuole sostituire in qualche modo alla parola. Tematiche queste ricorrenti nella storia del balletto che convergono tutte nell’urgenza non solo di rendere la danza un’arte autonoma e pari alle altre, ma anche di trovarne una specificità, che via via si è andata configurando in modo diverso. Il primo capitolo si sofferma in larga parte sugli studi inglesi di danza, che hanno avuto una straordinaria fioritura nel primo Nove- cento, mettendo a fuoco attraverso una selezione di articoli e saggi il nostro ambito privilegiato di ricerca, ovvero la tendenza specifica- mente “drammatica” del balletto inglese a partire dagli anni trenta del XX secolo. Accanto alle riflessioni critiche, ricavate dagli scritti coevi e dagli articoli pubblicati soprattutto nella rivista specializzata «The Dancing Times», sono le opere più significative dei coreografi, analizzate nel secondo capitolo, che fanno emergere i caratteri origi- nali e incisivi di un rinnovato balletto d’azione, come l’interesse per la psicologia, il senso dello humour, la ricerca del contatto con la re- altà contemporanea. Se nei primi due decenni si producono balletti narrativi di un solo atto, a partire dal 1948 – anno di Cinderella di 4 Raccontar danzando Frederick Ashton, primo full-length ballet inglese – i coreografi britan- nici si sono cimentati sempre più spesso nella forma complessa del balletto lungo; e nel 1957 The Prince of the Pagodas di John Cranko se- gnò in questo senso un ulteriore passo in avanti, vantando la prima partitura originale composta appositamente da Benjamin Britten. Gli argomenti portanti del terzo capitolo puntano, dunque, attraverso al- cuni casi esemplificativi, sull’approfondimento di aspetti già emersi nei capitoli precedenti: l’entità dei diversi testi “scritti” per la danza, considerati sia nella loro funzione di scrittura drammaturgica sia in quella di strumento fruitivo dello spettacolo; la pantomima e l’aspetto della recitazione; il training, e quindi le strategie stilistiche, interpre- tative ed espressive del coreografo e del danzatore per rendere pos- sibile il racconto. Completano il volume una ballettografia essenziale, relativa ai principali lavori trattati, e una bibliografia di riferimento. Il materiale iconografico e audiovisivo, dove non specificato, è stato con- sultato nell’Archivio del Royal Opera House e nella Biblioteca Philip Richardson della Royal Academy of Dance.