CRITICA LETTERARIA 138

CIRO RICCIO Il meraviglioso padano nelle Poesie di Alberto Bevilacqua

LOFFREDO EDITORE - NAPOLI CIRO RICCIO Il meraviglioso padano nelle Poesie di Alberto Bevilacqua

1. Antecedenti e conseguenti: la forma contrappuntistica della poesia

L’incontro con la scrittura in versi e in prosa di Alberto Bevilacqua può destare, per talune associazioni spontanee che produce la me- moria involontaria di chi legge, il ricordo di una folgorante agnizio- ne d’autore sull’oscurità che tormenta sempre una vita autentica. La comunica John Keats corrispondendo con i suoi familiari nel mag- gio del 1819:

La vita di un Uomo che valga qualcosa è una continua allegoria e pochi sono gli occhi che riescono a vedere il Mistero di una vita – una vita come le scritture, una vita figurativa […]1.

«Vedere il Mistero», abbracciarlo, inoltrarsi nelle sue infinite ma- glie, addentrarsi nelle sue insenature, aggrapparsi alle sue sporgenze o precipitare nei suoi improvvisi avvallamenti; riuscire a disegnarne la Mappa, dunque sciogliere per un tratto l’allegoria che lo fa vivere e di cui esso è parte vitale, ma poi arenarsi a un passo dal compren- dere pieno; sfiorare l’approdo del significato per poi perderlo, ogni volta; scoprirne uno strato inatteso a ogni suo apparire; urtare un limite e dallo schianto vedere nascere una metafisica, cioè intuire, per l’anima che sa ascoltare, di quel limite la sua inesauribilità, pari al- l’orlo abissale di un verso che non si può mai chiudere, perché il battito della sua ipometria non sanata è il «fiato d’aurora» di chi, su quel margine contornato di segreto, resta aggrappato a contendere con il Tutto: «un tutto/ del niente/ di cui siamo il complicato espe- diente», potremmo già chiosare con una formula dell’autore.

1 Cfr. J. Keats, Lettere sulla poesia. Traduzione e cura di N. Fusini. Con una nota di A. Prete, Milano, Feltrinelli, 1992, p. 7. 90 CIRO RICCIO [2]

Il volume delle Poesie di Alberto Bevilacqua2, accolto nella colla- na mondadoriana di Poesia, è una prova ulteriore dell’esercizio che l’autore sperimenta da sempre, e che deriva dal semplice ma dram- matico sapere che la vita essendo una vocazione, una chiamata, a ogni appello deve tener dietro una risposta, sempre che si voglia davvero catturare l’autentico dell’essere umano. La risposta di Bevi- lacqua è un accanito cercare che ha per traguardo la ripetizione perpetua: l’inseguire senza sosta il mito dell’origine, la conoscenza dell’Inizio, tenendo la rotta di un’imperterrita navigazione verso il Principio, verso un’armonia che viene già prima, che è prenatale, pre-stabilita, che comincia a soffiare nello spazio sacro, fisico e spi- rituale insieme, di una placenta3 di madre. Ma se la leva concettuale di questo volume fosse solo quella azionata per ristabilire la grazia perduta dell’originario, non sarebbe una novità per il lettore attento, poiché quasi la totalità dei libri di Bevilacqua testimonia della spinta metafisica a ritrovare il principio: percorso che si è snodato attraverso una reiterata e sempre più capillare esplorazione di alcuni temi fondanti, puntelli della poetica dello scrittore parmigiano. Invece, di nuovo c’è qui che il poeta si fa «filologo di se stesso»4 allestendo un’opera in versi che può essere compresa fino in fondo soltanto da chi abbia già lungamente fre- quentato la sua arte. Il nuovo corpus, infatti, non solo sistema l’in- tero materiale poetico pubblicato nelle nove raccolte precedenti, di- stribuite su un arco temporale che va dal 1961 al 2005, ma assorbe anche, adattandole metricamente, porzioni dei romanzi dell’autore. Dunque, Bevilacqua si è trasformato per l’occasione in una specie d’ingegnoso architetto capace di orchestrare una costruzione che è nel contempo ordine e labirinto, poiché in essa si affolla una cospi- cua quantità di temi e di parole che sono la materia rifiorita delle sue precedenti illuminazioni liriche, ora intersecate in una miriade di soluzioni filologiche in cui, come in un sistema di scatole cinesi,

2 Cfr. A. Bevilacqua, Le poesie, a cura di A. Bertoni, Milano, Mondadori, 2007 (da ora in avanti siglato L. P.). 3 Cfr. L. P., pp. 140-141, Senza titolo, vv. 1-13, con omissis: «Anima placentale/ (…)/ propaggine amputata o distratta/ di una nostra e grande/ ombra declina- ta lontano/ ai primi templi e altopiani,/ rinviarne il luogo e il momento/ della congiunzione/ o della memoria/ è la spesa del tempo». Ma soprattutto cfr. L. P., Senza titolo, p. 367: «tua voce placenta della mia parola/ mio orecchio placenta del tuo dirmi/ ci piace/ anche il nostro silenzio prenatale». 4 La definizione, di G. De Rienzo, è contenuta nell’elzeviro Il Credo Padano di Alberto Bevilacqua, «Il Corriere della Sera», venerdì 9 novembre 2007. [3] IL MERAVIGLIOSO PADANO NELLE POESIE DI ALBERTO BEVILACQUA 91 ogni pezzo contiene e rimanda ad un altro pezzo, ogni scrittura è figura di parole vergate la prima volta, e poi riccamente disseminate nelle numerose opere successive: eppure questo circolo labirintico, in cui ogni segno viene riproposto in forme sia identiche sia mutate, spesso simili alle passate ma non più uguali perché ricontestualizzate, si sviluppa restando nel contempo ancorato a una sua saldissima e tutta interna ratio, che è assolutamente precisa, calcolata, pesata. Nella fitta trama osmotica di prosa e poesia, il precedente continua a inverarsi, a sigillare ogni nuovo discorso dell’autore, essendone lo stigma perenne. Valga solo un esempio di simile diramazione circolare: analiz- zando la sezione iniziale del volume, che rifulge del tutto nuova rispetto al materiale poetico delle parti successive, poiché costruita su carte, ritrovate di recente dall’autore, databili intorno agli anni Cinquanta e Sessanta, si noterà subito, a solo patto di conoscere anche il restante Bevilacqua, che interi brani dell’unità proemiale, tecnicamente un prosimetro, compaiono identici5 nel volume di rac- conti Storie della mia storia6, uscito quasi in concomitanza presso Einaudi. La complessità strutturale e concettuale di L. P., che accoglie e rivisita l’intera produzione poetica dell’autore, nonché i suoi nessi filologici e concettuali con non poche tra le trame della speculare

5 Sulla natura di tale simmetria, ora soltanto comunicata, si tornerà più dif- fusamente nel corso dell’analisi testuale concernente la prima sezione di L. P. 6 Cfr. A. Bevilacqua, Storie della mia storia, Torino, Einaudi, 2007. Si aggiun- ga che il gioco degli specchi concettuali e verbali che continua all’interno della vasta opera dell’autore – visto che, ultimo esempio in merito, le pagine di Storie della mia storia a loro volta riprendono segmenti di scrittura già apparsi altrove – si arricchisce poi di colori connessi a un’indagine sulle auctoritates, se alcune delle immagini mitopoietiche immortalate nelle pagine speculari di entrambi i volumi, Le poesie e Storia delle mie storie, rimandano talora a un testo, più volte apertamente evocato dallo scrittore, che deve considerarsi una pietra angolare nella formazione della poetica dell’uomo parmigiano. Questo libro è Il paese del melodramma di Bruno Barilli, la cui princeps risale al 1930, quattro anni prima della nascita dello scrittore. Riguardo alle simmetrie interne tra volumi in versi e in prosa dell’opera complessiva di Bevilacqua, si noti poi che una delle più spiccate risale alla fine del 2004, allorché uscirono quasi in contemporanea, con il medesimo titolo Tu che mi ascolti (formula che indica il costante dialogo con la madre, che continua dopo la morte di lei), un romanzo presso la Mondadori (ottobre 2004) e un’omo- nima raccolta di versi inserita nella «Collezione di poesia» dell’Einaudi. Il rap- porto dialettico tra le due scritture è anzi in quel caso così accentuato da auto- rizzare l’idea di un’autentica versione dall’uno all’altro testo. 92 CIRO RICCIO [4] opera narrativa, può essere resa in termini musicali. Si pensi alla funzione espletata dalla forma contrappuntistica del canone, che:

[…] si fonda sulla combinazione multipla dell’esposizione da parte di una voce (antecedente, proposta, dux) di un segmento melodico di ampiezza variabile e della sua ripetizione (imitazione, appunto) da parte di un’altra o di altre voci (conseguente, risposta, comes) alla me- desima altezza o ad altezza diversa. Ciò che contraddistingue l’imi- tazione canonica […] è il fatto che nel momento in cui il conseguen- te riprende il primo frammento proposto dall’antecedente, quest’ul- timo propone, in contrappunto con il conseguente, un secondo fram- mento, e lo stesso procedimento prosegue fino all’esaurimento del canone7.

Secondo una tale configurazione, potremmo dire che Bevilacqua ha fissato gli antecedenti in alcune opere fondamentali del passato, e che ad essi rispondono, in un ideale concerto poetico, innumerevoli conseguenti, che adottano le varie formule del canone inverso o a specchio o infinito, eseguiti nelle opere successive, in ognuna delle quali, d’altra parte, s’inseriscono parallelamente motivi inediti che, affiancandosi ai primi, producono una novità bilaterale: sia per le nuove angolazioni visuali e prospettive tematiche che propongono, sia per il loro contemporaneo amalgamarsi con le radici concettuali delle melodie già scritte per l’addietro. Allestendo una specie di caccia8 poetica, l’autore inizia una melodia, polline ancestrale della sua mente, e la insegue con altre sue voci che ne ripetono, ad altez- ze diverse, il disegno armonico. Ed è quasi superfluo aggiungere che ogni esecuzione vanta una sua irripetibile originalità. Osserviamo dunque da vicino qual è il risultato ultimo, “provvi- soriamente definitivo”, che offre il corpus di L. P.

2. La storia e il suo oltre: il meraviglioso padano

Il volume complessivo9 delle poesie di Alberto Bevilacqua è co- stituito da dieci sezioni, corrispondenti, tranne la prima, alle nove

7 Cfr. L. Azzaroni, Canone infinito. Lineamenti di teoria della musica, Bologna, Clueb, 1997, pp. 352-353. 8 La caccia «è un tipo speciale di madrigale che usa l’artifizio contrappuntistico del canone (il brano è così denominato perché una voce “caccia” l’altra)». Cfr. E. Surian, Manuale di storia della musica, Milano, Rugginenti, 1992, p. 123. 9 Si ricordi tuttavia che per l’addietro l’autore aveva già provveduto a due [5] IL MERAVIGLIOSO PADANO NELLE POESIE DI ALBERTO BEVILACQUA 93 raccolte pubblicate fino ad oggi dall’autore10. La prima sezione for- nisce invece materiale del tutto inedito da poco riscoperto. Da que- sto schema in apparenza semplice scaturisce una dinamicità filologica dovuta al fatto che tra le carte finora inedite, costituenti la prima unità del nuovo libro, l’autore ha ritrovato anche numerose stesure originali dei suoi versi già pubblicati, e le ha utilizzate per la nuova edizione, che riunisce sì le precedenti raccolte ma all’interno di un vasto progetto di revisione strutturale. Ne è prova, tra le altre, la «brillantissima intuizione», ricordata da Bertoni, di suddividere:

[…] in due parti il libro materno Tu che mi ascolti. Poesie alla madre, uscito da Einaudi nel 2005. La prima, concentrata sulle poesie della «detenzione» nell’Ospedale psichiatrico di C., l’ha collocata (Bevila- cqua, n.d.r.) come «Intermezzo» tra i capitoli delle Piccole questioni di eternità e di Legame di sangue. Alla seconda ha riservato invece il ruolo di completamento del climax, in chiusura di libro11.

Se poi si riprende l’annotazione fermata innanzi, il rilevare cioè come il corpus rifletta sì, pur stando l’immissione cospicua di va- rianti e l’elaborato riordino delle antiche sezioni liriche, le tappe delle precedenti raccolte poetiche, ma complichi poi la correlazione includendo porzioni narrative, inserite nelle parti in prosa della prima unità di L. P., oppure, in altri luoghi del corpus, trasferite nella misura del verso (motivo per cui la comprensione del testo poetico risulta piena soprattutto avendo in mente le precedenti scritture dell’autore), sarà chiaro in quale conto debba tenersi siffatta interte- sistemazioni antologiche della sua poesia, «condivise […] rispettivamente con Domenico Porzio e Maurizio Cucchi. Nella prima, infatti, Immagine e somiglian- za. Poesie 1955-1982. Antologia personale, Bevilacqua risistema e ricompone il corpus integrale della sua poesia, rispettando le raccolte ma spesso riscrivendo e riadattando le singole partiture testuali, con l’aggiunta di un tempo nuovo (dopo La crudeltà garzantiana del ’75). Nella seconda, Messaggi segreti del ’92, egli riorganizza invece l’insieme dei materiali poetici per nuclei tematici, tra , l’eros, il Po e gli esiti civili della sua ispirazione» (cfr. l’Introduzione di A. Bertoni in L. P., p. XII). 10 Esse sono, nell’ordine: A. Bevilacqua, L’amicizia perduta, Sciascia, Calta- nisetta-Roma, 1961; Id., L’indignazione, Milano, Rizzoli, 1973; Id., La crudeltà, Milano, Garzanti, 1975; Id., Immagine e somiglianza. Poesie 1955-1982. Antologia personale, a cura di D. Porzio, Milano, Rizzoli, 1982; Id., Vita mia, Milano, Mondadori, «Lo Specchio», 1985; Id., Il corpo desiderato, Milano, Mondadori, «Lo Specchio», 1988; Id., Piccole questioni di eternità, Torino, Einaudi, 2002; Id., Legame di sangue, Milano, Mondadori, 2003; Id., Tu che mi ascolti. Poesie alla madre, Torino, Einaudi, 2005. 11 Cfr. l’Introduzione di L. P., p. XXVII. 94 CIRO RICCIO [6] stualità interna per osservare il risultato dell’ultimo percorso auto- riale, scaturito dall’intersecare i nuovi contributi poetici (in realtà antichi poiché riscoperti di recente e tuttavia sorti in età anteriore all’apparizione della prima raccolta di versi pubblicata dal poeta) con i versi già conosciuti, ora sottoposti sia a dislocazione che a processi variantistici12 e di ricontestualizzazione. Quanto al senso della ripresa dell’intera opera poetica, ridefinita in modo tale da risultare nuova al lettore anche assiduo di Be- vilacqua, valgano intanto le riflessioni di Jonathan Sisco, che così scrive nella Nota al testo offerta alla fine del volume:

Alcuni ricchissimi ritrovamenti di minute redazionali e di dattiloscritti risalenti agli anni Cinquanta e Sessanta hanno spinto l’autore non solo a integrare la sua produzione poetica con l’aggiunta di un con- sistente gruppo di materiali inediti, i liminari Frammenti dal «Poema del fango», ma anche a riesaminare ogni singolo volume con l’inten- zione di restituirlo alla sua forma originaria. Così, seguendo le trac- ce fornite dalle carte riemerse, che conservano le opere in redazioni distinte da quelle poi uscite a stampa, Bevilacqua ha cercato di rico- stituire a posteriori ogni raccolta, riconducendola a una struttura per lui ideale, che collima con una dichiarata costruzione primigenia. Il lavoro d’autore, quindi, non è stato tanto quello di una correzione o di una modifica formale dovuta al trasformarsi del suo gusto o del suo stile. Egli ha piuttosto effettuato un’operazione di recupero e di scavo sulla propria poesia per restaurarne la fisionomia nativa e risalire a uno stadio testuale fino a oggi perduto13.

Dunque il lavoro filologico dell’autore si allinea a perfezione con uno tra i motivi cardine della sua poetica, il procedere a ritroso, assistito da un’instancabile memoria cui si deve il trionfo dell’aura originaria: una vivida rameggiatura di percezioni uditive e olfattive e d’immagini nostre e altrui, che hanno segnato, già al principio, l’intero cammino della vita, e che possiamo ripristinare nel nostro intelletto solo se sappiamo inchinarci all’ascolto primigenio. Tranne qualche fuga, ogni parte, ogni singola vena dell’opera stanno a co- municarci, con ostinata e liturgica celebrazione delle origini, quanto sia stato indispensabile per Bevilacqua ripercorrere, fino quasi allo struggimento amoroso, i momenti e i luoghi dell’infanzia e della

12 Per quanto concerne le varianti strutturali intervenute a seguito della riu- nione in L. P. delle precedenti raccolte poetiche cfr. la Nota al testo di J. Sisco, pp. 403-410. Ma cfr. anche l’Introduzione di Bertoni, pp. V-XXVII. 13 Cfr. la Nota al testo di J. Sisco in L. P., pp. 403-404. [7] IL MERAVIGLIOSO PADANO NELLE POESIE DI ALBERTO BEVILACQUA 95 giovinezza, ruminare sensazioni e turbamenti esplosi nel diuturno incontro con una città, Parma, di cui egli saprebbe descrivere persi- no l’odore e il colore del suo vicolo più nascosto, poiché un lungo apprendistato interiore (dovuto soprattutto all’educazione ricevuta da una madre “diversa”, la cui esistenza difficile è stata provviden- ziale per creare il figlio scrittore) gli ha permesso di sondare le fibre intime della sua città fino a carpirne l’anima, e al punto tale da essere in grado di descriverla quell’anima, mostrandola anche a chi, non essendo parmigiano, può assaporarne l’humus affidandosi alla sua guida. Il rapporto tra il poeta e la sua città è così intenso da assomigliare talora a quello degli amanti: nel qual caso potrà acca- dere di incontrare Parma come fosse l’Eros, con lo slancio acrobatico mosso dallo smarrimento di chi vede sfumare l’oggetto del suo desiderio e si protende per riconquistarlo:

Parma dalle albe appartate nei quartieri per quanto m’ero illuso di bruciarne il rimpianto mi guardava con un dolore agli occhi di ragazza invecchiata che misura il suo sfiorire in un viso d’amante riapparso: sognò di me e io di lei un giorno di fanfare. Di vetro in vetro ne toccai la visione quasi potessi per sempre fermarla, correndo tra i viaggiatori ignari fino all’ultimo vagone sui binari deserti: svanì come doveva una gloria dimessa che ne porto, due modi di tornarsene vinti: io a una storia in transito, lei a un sottovia, Parma che diventava un fiato di nebbie, un uomo dentro una periferia14.

Nel curriculum vitae del cicerone Alberto risulta che egli ha sì fatto esperienza del mondo, ma sempre restando avvinghiato, con

14 Il testo è compreso nella raccolta La crudeltà. Cfr. L. P., pp. 111-112, vv. 7- 28. 96 CIRO RICCIO [8] una dedizione granitica, ai luoghi della sua terra: quel punto geo- grafico immerso nella pianura padana, che contiene già ogni storia della Storia15, ogni figura del grande concerto suonato nel teatro senza confini dell’Universo. Il sentirsi parte di un Tutto, elemento di una catena giammai ostruita, poiché altrimenti, turbando le leggi dell’Infinito, si squar- cerebbe l’ordine inscritto nella natura16, giunge, ben oltre l’esperien-

15 Non si spiegherebbe altrimenti come un autore che non ha fatto altro che parlare intensamente della propria terra e della propria storia segnata dai luo- ghi e dai personaggi parmigiani, sia tradotto in più di quaranta lingue. Mi sembra che da questo dato si possa estrarre un insegnamento ulteriore, indiret- tamente dispensato da Bevilacqua ai suoi lettori: tanto più si risulta universali quanto più si resta aggrappati alle proprie origini, che significa esattamente il contrario di una chiusura miope e reazionaria nel proprio particolare geografico e culturale. Infatti, come i grandi temi della poesia di ogni tempo sono sempre i medesimi, così le esperienze fondamentali nella vita degli uomini, emozioni e aspirazioni che li guidano, sono sempre identiche. Perciò il singolo tanto più abbraccia la storia degli altri quanto più, tramite un lavoro di scavo psicologico, si rende consapevole della propria storia. Tanto più conosce e comprende la sua storia, quanto più aspira a comprendere quella degli altri, per essere a sua volta dagli altri compreso. Ecco una via, una delle poche, che solo la letteratura conosce, della fratellanza universale. 16 Cfr. le riflessioni dell’autore intervistato da Parazzoli: «Si può assolutamente parlare di una vita dopo la vita. Questo sta scritto nei testi antichi e nei Vangeli. Noi non siamo soltanto mani e naso, non siamo soltanto le forme che nacquero dal plancton, noi abbiamo nel nostro interno particelle minime di materia oscura che sono la stessa materia del cosmo. Se noi pensassimo di finire dovremmo pensare che anche il cosmo finisce. Ma questo non è possibile perché gli universi non finiscono, noi non finiamo. […]. Noi veniamo da ciò verso cui andiamo, prima di essere concepiti noi abbiamo avuto una vita cosmica, noi vivevamo» (F. Parazzoli, Il gioco del mondo. Dialoghi sulla vita, i sogni, le memorie con Lalla Roma- no, , , , Susanna Tamaro, Antonio Tabucchi, Lara Cardella, Gina Lagorio, Alberto Bevilacqua, Luce D’Eramo. Pre- fazione di L. Zega, Cinisello Balsamo, San Paolo, 1998, p. 131). Le idee espresse mostrano numerose affinità con quelle sostenute da vari cosmologi che hanno divulgato con grande successo le proprie teorie. Cfr. per esempio le note di Barrow sulla struttura infinita del ciclo: «La vita è un processo, un flusso, in cui noi facciamo una comparsa temporanea per poi essere inglobati e sostituiti da altri esseri viventi. Un inizio e una fine rappresenterebbero una singolarità, una rottura dell’ordine naturale delle cose. Un simile iato sarebbe innaturale, inespli- cabile senza l’invenzione di altre forze operanti nell’universo. Da un punto di vista psicologico, avere un posto in un processo infinito assegna al credente che vi prende parte un ruolo da svolgere nell’ordine infinito della realtà, gli infonde un senso di comunanza con tutti gli esseri viventi e gli assicura una traiettoria personale che si rinnova continuamente» (J. D. Barrow, L’infinito. Breve guida ai confini dello spazio e del tempo, Milano, Mondadori, 2006, p. 13). [9] IL MERAVIGLIOSO PADANO NELLE POESIE DI ALBERTO BEVILACQUA 97 za umana dell’autore, a informare di sé lo spirito di un’intera comu- nità, la sua storia secolare, come si evince dalla lettura del compo- nimento in avvio dei Frammenti dal «Poema del fango», L’Addio di un umile Cristo antelamico scolpito:

– la Deposizione nella cattedrale di Parma morbido transito come di acqua chiara senza destinazione e l’agonia di un cristo che benevolmente si china su una spalla umana per ascoltare un piccolo silenzio terreno nella concentrazione universale di se stesso l’addio delicato tocco del cristo nel fermo colpo di scalpello dell’Antelami … Verdi che già in quel tocco, in quel colpo ebbe il larà della disperazione di Rigoletto17

Il testo si apre descrivendo uno dei capolavori sopravvissuti dello scultore romanico Benedetto Antelami, il bassorilievo della Deposi- zione, custodito nel Duomo di Parma, al cui centro risalta la figura del Cristo che mestamente s’incurva sulla parte destra del costato per essere ricevuto nelle braccia allungate di Nicodemo. Circola nella scena una carica di lancinante dolore, un’aura di tristitia che dal corpo del Cristo s’irradia verso i lati della raffigurazione. Di seguito, pochi versi bastano a immortalare la forza di un colpo la cui vibrazione spirituale si riaccende a contatto di chi, rice- vendola a distanza di secoli, ne disegna il futuro. Il testimone, colui che viene invaso dalla risonanza dell’antico fragore, è Giuseppe Verdi: egli, mentre avverte tutta la forza drammatica dello scalpello antelamico nel Duomo parmigiano, già scrive nella sua mente la musica della disperazione di Rigoletto nel finale dell’omonimo melo- dramma, allorché il buffone, scoperto il corpo agonizzante della figlia Gilda nel sacco in cui era convinto vi fosse il cadavere del duca, urla con animo inconsolabile contro i sortilegi della maledi- zione18.

17 Cfr. L. P., p. 5. 18 Cfr. il finale dell’atto terzo del libretto melodrammatico di Francesco Maria Piave. 98 CIRO RICCIO [10]

Se nel proemio del Poema del fango si staglia, con pochi ma deci- sivi tocchi, l’immagine di Verdi, è anche perché l’autore, concepen- do l’insigne musicista nell’atto estatico di essere rapito dal contatto con la materia antelamica, spiana il terreno opportuno per descrive- re l’ambiente, nel contempo reale e mitopoietico, in cui è cresciuto: il glorioso Oltretorrente, baricentro, insieme ai personaggi che lo popolano, dei successivi componimenti riuniti nella prima sezione del volume. Infatti, al musicista di Busseto spetta l’essere tra coloro che maggiormente fecondarono l’humus oltretorrentino. Le osserva- zioni di Bevilacqua, estratte da una tra le non poche interviste in cui l’autore si è espresso al riguardo, giovano a comprendere il senso di un’appartenenza geografica, quella all’Oltretorrente, elevata a desti- no culturale di chi lo ha abitato:

Parma entra dovunque in me, nella mia stessa composizione biochi- mica. È il mio esilio e il mio luogo. […]. A Parma sono nato, in un quartiere chiamato Oltretorrente. I suoi operai, i suoi artigiani, ave- vano una seconda vocazione […]: lavorare per il Teatro Regio. Io – bambino, ragazzo – andavo lì […] e li aiutavo. Si allestivano, insie- me, le scene dell’Ernani, dell’Otello, dell’Aida. […]. Altra considera- zione da fare. Parma è stata condotta per anni da una donna: l’arci- duchessa Maria Luigia d’Austria […]. Essa chiamò, da ogni parte d’Europa, cantori, poeti, attori, e li confinò prevalentemente nei rioni popolari (mia madre, di origine spagnola, si chiama Cantadori: qua- si un programma!). Questi rioni divennero la sede di un popolo che portava, nel suo tessuto, la creatività, l’invenzione pronta, la fantasia scenica appunto. […]. Divise da un corso d’acqua – il Parma, appun- to, o la Parma, accettando l’alterazione dialettale – sono coesistite, in intimo quanto contrastato contatto, la città dei borghesi, dei proprie- tari terrieri, degli agrari urbanizzati, e la città dei ceti popolari. La città popolare ha avuto un nome: Oltretorrente. Da una parte l’Oltretor- rente, dall’altra la cosiddetta Parma Nuova, la città economicamente agiata. Divisione di classe (tanti scontri di piazza, molto sangue e rancore), divisione di cultura, divisione di eventi e destini. L’ombra di Verdi fruttifica, soprattutto, in Oltretorrente. […]. Altra fatalità: Verdi scompare, e nasce, proprio in Oltretorrente, il suo grande in- terprete ed esecutore, Arturo Toscanini. […]. Ne consegue che, agli occhi del mondo musicale, l’Oltretorrente diventa mitico, un luogo da visitare, in certo qual senso da venerare. Altra sorte per la Parma nuova. Qui, la cultura vive più che mai di assimilazioni esterofile, di traduzioni, di imitazioni. Gli scrittori francesi e anglosassoni, tra Otto e Novecento dettano un gusto e uno stile. Molti soggiornano a Parma19.

19 Cfr. AA.VV., Un autore. Una città. Interviste con , Carlo Bernari, [11] IL MERAVIGLIOSO PADANO NELLE POESIE DI ALBERTO BEVILACQUA 99

Nel corso degli anni, Bevilacqua ha spesso ricordato la sua estra- zione oltretorrentina, il suo provenire da un mondo anticonformi- sta, in un certo qual modo eversivo, rispetto a quello borghese e agiato dell’altra Parma: un ambiente testimone di duri accadimenti storici20 e popolato di una seducente magia, che il bambino Alberto comincia a conoscere tramite la nonna materna Amelia Bacchini. Durante le vigilie nella casa occupata dalla depressione della madre del poeta, è lei ad iniziare alla letteratura il giovanissimo nipote leggendogli i grandi romanzi dell’Ottocento e le cronache di viaggio di Magellano e di Giovanni Caboto21, ed è sempre lei ad avvicinarlo al mistero rendendolo spettatore di comportamenti che fanno asso- migliare questa donna emiliana ai modelli femminili immortalati da Márquez: Amelia Bacchini come Ursula Iguarán, allorché, in compa- gnia del piccolo Alberto, d’improvviso interrompeva la lettura delle pagine di Caboto e abbandonava nel letto il bambino per alcune sue sortite notturne, invocata dall’esterno, chiamata ad uscire fuori del- l’abitazione per obbedire, ob-audire, alle voci che soltanto a lei era dato di captare:

Caboto, nelle pagine del libro rimasto aperto sul letto, interrompeva il suo viaggio meraviglioso, e io lasciavo che, a passi felici, l’Amelia amata dalla gente scomparisse sulla sinistra, verso la balconata. Doveva restarmi per sempre negli occhi quel suo “dolce uscire” nella ghiaia che scricchiolava sotto i suoi piedi. Mi batteva forte il cuore, mi perdevo anch’io per il giardino e mi appostavo a spiarla: ma neppure una volta ho avuto l’ardire di sporgere la testa oltre quell’angolo di muro, quei brandelli d’edera che mi consentivano di vedere solo la sua figura estatica. Le sue labbra che si muovevano in domande e risposte per me senza suono. Mentre contemplava il “qualcosa” per cui si animava, i suoi occhi acquistavano una malizia amorosa che non le riconoscevo […]. C’era davvero qualcuno, là,

Alberto Bevilacqua, , Giovanni Testori, , a cura di A. Benassi. Introduzione di A. G. Sabatini, Torino, ERI Edizioni Rai, 1982, pp. 68- 72, con omissis. 20 L’Oltretorrente, infatti, fu storicamente anche il luogo di un’eroica resi- stenza antifascista, «luogo sacro contro le dittature (del manganello e del dena- ro), il cuore di un’Emilia che non si levò il cappello» (cfr. A. Bevilacqua, Viaggio al principio del giorno, Torino, Einaudi, 2001, p. 41). 21 Cfr. A. Bevilacqua, I sensi incantati, Milano, Mondadori, 1991, p. 15: «La depressione di mia madre ci teneva insonni in lunghe veglie durante le quali […] l’Amelia mi leggeva i grandi romanzi dell’Ottocento e […] le cronache dei grandi viaggiatori, esploratori dell’ignoto: Caboto, Magellano, ma era Caboto ad affascinarmi più di tutti». 100 CIRO RICCIO [12]

nella balconata da cui indubbiamente scendeva un alone a illumina- re le sue spalle, i cenni malinconici o allegri che la sua mano traccia- va nell’aria? Poteva trattarsi della luna, mi dicevo; ma come mai, allora, quel diffuso chiarore si produceva anche quando la luna non c’era, e persino in certe notti di pioggia?22

La nonna materna diventa figura per eccellenza di quel misterio- so prodigio che spira nei luoghi dell’Oltretorrente. Simbolo di una realtà aperta alla magia, se osservata da postazioni non convenzio- nali, sono soprattutto gli Strioni:

[…] temuti nelle dicerie popolari come i maghi delle leggende […]. Facevano i mestieri più diversi: barcari, venditori ambulanti, cercatori dell’oro pressoché inesistente… Tuttavia, l’autorità poliziesca, che ancora ai primi del secolo li metteva al palo nelle piazze, continuava ad averne sospetto. Oltre il confine, e nell’altro regno del Po, si obbediva infatti a leggi primitive e a influenze occulte che contempla- vano anche la magia; Strione e Strioni se ne facevano medium, pro- ducendosi in fenomeni di telepatia, chiaroveggenza e precognizione, o in guarigioni prodigiose e cerimonie propiziatorie che, accanto alla gioia dei sensi, serenamente evocavano i morti, che apparivano nei greti23.

S’è detto realtà che può – in potenza, non già in atto – essere contornata di un alone magico, perché al lettore spetta infine deci- dere se fermarsi alla notizia storica, riportata dallo stesso Bevilacqua, da cui si ricava che gli Strioni furono «raccontatori orali» e «fabulatori ambulanti, che portavano i loro carrozzoni e le loro storie in mezzo ai fuochi dei grandi inverni del Nord o nel sole spaccapietre del Sud»24, o approvare le suggestive esplorazioni dello scrittore nei territori del magico, l’infiltrazione della traccia “strionica” nei cir- cuiti della chiaroveggenza e della telepatia25. Se designiamo questa

22 Cfr. ivi, pp. 15-16. 23 Cfr. ivi, pp. 20-21. 24 Cfr. A. Bevilacqua, Viaggio al principio del giorno, cit., p. 20. 25 Del resto è lo stesso Bevilacqua che definisce questa alternativa nello scri- vere a un amico: «Ho cercato spesso di parlartene (degli Strioni, n.d.r.), ma tu non mi ascoltavi, m’interrompevi esclamando: “Le tue stramberie, della tua fantasia che galoppa troppo, ma che farci? È il ferro del tuo mestiere, la fanta- sia”. Forse hai ragione tu. Avete ragione tutti quanti. Che senso ha ricordare che gli Strioni, considerati dalle dicerie popolari come i maghi delle leggende, esi- stevano davvero fino al dopoguerra […]? Li rivedo a gruppi festosi, i Maestri e le Chimere […]» (Ivi, p. 6). La potenza visionaria dello scrittore s’innalza oltre [13] IL MERAVIGLIOSO PADANO NELLE POESIE DI ALBERTO BEVILACQUA 101 alternativa, aprendo a una discussione che sembra allontanare dal dominio critico, e che però archivieremo proprio restituendola alla sfera letteraria, è per una precisa ragione: è noto come nel corso della sua vicenda umana e artistica, Bevilacqua, in virtù forse di un antico istinto (maturato nel corso dell’infanzia oltretorrentina) a re- cepire il potenziale eclissato della realtà, si sia accostato, narrandone l’esperienza nei suoi romanzi26, alla sfera sensitiva e del trascenden- te, intesa soprattutto come l’impercettibile e il microscopico che pul- lulano e agiscono sotto la superficie del visibile. Per tale motivo, in passato è spuntata una diatriba avente per bersaglio alcuni suoi libri, in particolare quella sorta di dittico costituito da I sensi incan- tati e Un cuore magico. Si è contestato allo scrittore che l’impronta teorica della sua narrazione sarebbe soltanto una versione masche- rata di neospiritualismo antiscientifico declinato secondo la precetti- stica del New Age. Chi ha esposto questa tesi27, ha anche paragona- to Bevilacqua ai letterati che sul finire dell’Ottocento, «stanchi e disillusi di fronte alle promesse della ragione positivista e della scienza (…) riscoprivano allora il mistero, lo spiritismo, l’occulto». A noi sembra di poter spegnere siffatta polemica senza discuterla28, il limite della ragione incardinata nella lettura razionale del reale per aprirsi all’universo magico degli Strioni. 26 In particolare cfr. I sensi incantati, cit. e Un cuore magico, Milano, Mondadori, 1993. 27 Cfr. M. Introvigne, La nuova religione di Alberto Bevilacqua, «Cristianità», n. 223 (1993). Il contenuto di questo intervento era stato di poco anticipato nell’articolo, del medesimo autore, Ma quanto “New Age” c’è dentro i romanzi di Alberto Bevilacqua, «Avvenire», 5 novembre 1993. Alla replica dello scrittore parmigiano Introvigne ha risposto con un ulteriore articolo, Lo scrittore, il Cirlìnn e il lago tibetano, «Avvenire», 18 novembre 1993. 28 In questa sede, interamente dedicata a un esame critico-letterario della poesia di Bevilacqua (porzione della sua opera peraltro esente da quella polemi- ca riservata al contenuto di alcuni suoi romanzi, e pertanto lacunosa poiché incurante dell’indissolubilità filologica di prosa e poesia nell’opera dello scritto- re), non ci sembra infatti di dovere entrare nel merito di quel dibattito, che però possiamo lambire proprio fermandoci al dato letterario. Si consideri per esem- pio l’incipit del romanzo I sensi incantati. Lo scrittore narra di un evento acca- dutogli alle pendici del Kamalu, fra il Nepal e il Tibet. In compagnia d’altri, stordito dal profumo dei rododendri, raggiunge il “Lago degli eventi futuri”, «nei cui vortici balenano immagini che mostrano fatti che stanno per accadere». In quell’istante egli vede un volto di donna, che poi, tornato a Roma e a distan- za di tempo, scoprirà appartenere a una sensitiva di nome Miriam, con la quale entrerà in stretto contatto. Per il lettore anche incredulo di fatti descritti come autentici, nulla osta all’apprezzare la restituzione artistica, liricamente modula- ta, di un contenuto impartecipato sul versante logico. Tra gl’innumerevoli esem- 102 CIRO RICCIO [14] e non per sottrarci così al confronto dialettico, bensì per il motivo che la controversia, se esposta in tal guisa, non ha i fondamenti per sussistere. Non crediamo che Bevilacqua, per aver raccontato di personaggi dalle facoltà straordinarie o dei circhi degli Strioni o della “Maturla” o delle “Vaghèzie” o delle “Fantàzie”29, sia l’enne- simo «deluso dalle ideologie razionaliste e scientiste», che pertanto «riscopre i medium e la magia». Accreditare una simile lettura, in- fatti, significa avventurarsi su un terreno sdrucciolevole che distrae dal nucleo letterario mai disertato dallo scrittore. Mancano i tasselli per costruire il j’accuse suaccennato se solo si pensa che il lavoro di Bevilacqua resta tutto interno alla letteratura, glorificandone una sua espressione nobilitata da una tradizione insigne. Proprio ram- mentando quella tradizione, prima abbiamo marcato la differenza tra la fonte storica, che documenta la pratica ambulante di perso- naggi clowneschi imbonitori del popolo nelle piazze paesane, e l’esposizione lirica cha dal dato storico si diffonde nei distretti del realismo magico. Bevilacqua parte dalla notizia storica per fondare il suo meraviglioso padano, potremmo dire attingendo al formula- rio della critica tassiana30, poiché il rapporto ci sembra il medesimo: anche qui c’è la storia, che appartiene alla giurisdizione del vero, e c’è la poesia, cui non solo compete il verisimile ma anche il fine di

pi cfr. l’attacco del romanzo: «Può succedere che, dal cuore oscuro dell’univer- so, giungano all’uomo certe premonizioni o rivelazioni di ciò che accadrà. Rien- tra nel normale. L’eccezione consiste, semmai, nella maggiore intensità, nel più sviluppato potere di comunicazione magica con cui la premonizione si insinua in alcuni privilegiati. Si tratta di facoltà attraverso le quali la natura concede al suo mistero di diradarsi, lievemente, affinché possa illuminarci con i segnali di una solidarietà superiore che addolcisce le nostre solitudini» (Ivi, p. 9). Si noti in particolare l’uso sapiente, cardarelliano verrebbe da annotare, dell’avverbio, trattenuto in quella pausa che serve a cadenzare il dischiudersi, appena percet- tibile, del mistero circolante nella natura. 29 La “Vaghèzia” è «la parabola istintiva con cui un po’ s’inventa e un po’ no, rubando alla realtà quel tanto di inverosimile che sempre contiene, e che realtà resta». Le “Fantàzie” sono i «matti pensieri», mentre con “Maturla” s’in- tende la «mattana regina» (cfr. Storie della mia storia, cit., p. 35). 30 Cfr. T. Tasso, Gerusalemme liberata, a cura di L. Caretti, Torino, Einaudi, 1993, p. XXVIII: «Anche il “magismo”, realizzato con l’innesto del meraviglioso religioso entro la storia, corrisponde del resto a questo senso costante del miste- ro, che grava sulla vita, e la fa pensosa e dolente […]». Si noti poi che anche nell’opera del Nostro, fatte le debite distinzioni, spira un diffuso senso del mistero, al punto che in essa non poche volte la lettura del reale risulta impen- sabile se spogliata dell’enigma che ne completa l’accadere. [15] IL MERAVIGLIOSO PADANO NELLE POESIE DI ALBERTO BEVILACQUA 103 dilettare, cioè d’integrare il verisimile con il meraviglioso, lì cristia- no, qui padano, parmigiano. Questo ci sembra il senso prioritario da accordare alla disamina dell’opera, sulla cui scia è necessario armonizzare le frequenze interpretative per comprendere le ouvertures dell’autore nei regni della magia. Se per esempio riflettiamo sulle componenti che salda- no il discorso mitopoietico dello scrittore, l’accenno alla repressione poliziesca andrà classificato come idoneo a mettere in rilievo la presenza eccezionale degli strioni: così distanti dalla normalità bor- ghese della Parma al di là del fiume, e in un certo senso sovvertitori dell’ordine sociale per via del loro istrionico operare secondo forme che potremmo definire di magia anarchica, essi sembrano per certi aspetti svolgere la medesima funzione sociologica affidata nella tra- gedia al farmakòs, colui che viene allontanato, espulso, condannato dal consesso cittadino perché ritenuto pernicioso, portatore di un rischio per la comunità. Il pericolo maggiore è che i “normali”, coloro che vivono irreggimentati nella norma, possano intravedere nel paradigma del diverso i sentieri di una realtà alternativa, diver- gente dalla spenta dottrina sociale che osserva la massa. Il rimando al mondo “strionico” che cozza con quello borghese e scompiglia le carte della sua ordinarietà per certi aspetti meschi- na, s’inserisce nei temi cardinali dell’opera complessiva dell’autore, riproposto in numerosi punti, per esempio nell’incipit di uno dei testi più incisivi di Bevilacqua, Viaggio al principio del giorno, vibran- te sinossi dei motivi essenziali della poetica dell’autore:

Lo chiamano l’“Argine dei Folli”. […]. Percorrendo l’argine, si ha la sensazione di lasciarsi alle spalle, per sempre, la terra in cui la mia gente, con la sua logica, la sua operosità, ha costruito nei secoli le glorie della sua Storia, le grandezze della sua musica, trionfi negli affari (Parma, oggi, è una capitale economica del mondo). Nello stesso tempo, si ha la voglia di appartenere […] all’altro territorio che si apre oltre il confine. Laggiù hanno sempre vissuto, a dispetto della logica, arguti e stralunati, in un mondo, o sottomondo, che si serve di parole chiave: “Fantàzie” (matti pensieri), “Maturla” (la mattana regina). E “Vaghèzia”… La parabola istintiva con cui un po’ si inventa e un po’ no, rubando alla realtà quel tanto di inverosimile che sempre contiene, e che realtà resta31.

Laggiù, nell’Oltretorrente, hanno sempre vissuto «a dispetto del- la logica»: il complemento di modo risulta davvero efficace per

31 Cfr. A. Bevilacqua, Viaggio al principio del giorno, cit., p. 5. 104 CIRO RICCIO [16] carpire l’essenza del mondo “strionico”, di cui l’autore ha fatto espe- rienza negli anni della sua formazione, quando in compagnia della madre, ma anche del padre o della nonna, gli capitava d’imbattersi in personaggi stravaganti, bizzarri, creativi e scentrati che hanno colpito il suo animo al punto da spalancargli le porte di una realtà inconsueta, illuminata dalle manifestazioni dell’irregolarità geniale e fantasiosa. È solo il caso di rammentare che né il vocabolo “strione”, varian- te obsoleta di istrione32, né la realtà magica, che esso evoca, dipen- dono dall’invenzione artistica dell’autore: lo provano testimonianze sia in ambito giuridico, per esempio remote carte di procedimenti civili e penali33, sia in campo letterario, all’interno della tradizione

32 Cfr. per esempio T. De Mauro, Il dizionario della lingua italiana, Torino- Milano, Paravia Mondadori, 2000, ad vocem. 33 Cfr. per esempio i Quaterni inquisitionum dell’Archivio Storico del Comune di Bormio (si tratta di «ottanta buste che a partire dal 1501 […] registrano i procedimenti civili e penali con relative sentenze, oltre a semplici indagini, querele, denuncie, notifiche. […]. La serie contiene in generale gli atti per la tutela dell’ordine pubblico […] e necessariamente i provvedimenti per impedire lo svolgimento delle pratiche magiche». Cfr. il seguente procedimento, archiviato elettronicamente con assegnazione di codice SB060= ACB, Quaterni inquisitionum, sorte estiva 1615 (18, 19, 22, 26 giugno 1615-23 maggio 1616). Così recita l’istan- za: «Persone: Giannantonio Zuccola di Le Prese. Procedimento giudiziario: Giannantonio Zuccola di Le Prese, contro Martino Rauscino di Morignone, per ingiuria (18 giugno 1615-23 maggio 1616). Querela di Giannantonio Zuccola di Le Prese, abitante a Bormio, contro Martino Rauscino di Morignone, che lo ha ingiuriato rinfacciandogli di appar- tenere a una schiatta di stregoni. In Christi nomine. Amen. Anno 1615. Die dominico 18 mensis junii. “Coram magnifico domino Joanne Capel de Bevio, honorabile domino pre- tore Communis et Terre Burmii, nec non dominis Nicolao Imeldo et Philippo Laurentio, offitialibus maioribus ipsius Communis Burmii, in stupha magna Pretorii sedentibus, comparuit ser Joannes Antonius filius ser Dominici Zuccole delle Presis, habitator Burmii, querelando contra Martinum, filium quondam Joannis de Rauscinis de Murignono, Communis Burmii predicti, modo ut sequitur, videlicet: Ritrovandomi io venerdì di sira prossimo passato nelli Ronchi in compagnia di messer Gervasio Grusino, dove inaquà alcuni miei prati, so- pravenne esso Martino Rauscino, qual veniva dalla Terra di Bormio. Et avvici- nandomi io ad esso Martino, gli domandai che mi desse satisfatione di quel tanto che mi restava. Al che di subito detto Marino rispose: Mi non v’ho de dare niente! Et io gli disse: Farò che quel di raggion aspetta. Et di subito esso Martino soggionge: Si ritrovaremo fuori di qua!, con minacciarme che, ritrovan- dosi fuori di là, mi voleva offendere. Donde io gli risposi: Quando a te pare et piace, si ritrovaremo. Dove che, di subito ingiuriosamente, rispose esso Martino verso di me, dicendo: Ah, razza di strion che tu sei! Stando le qual parole in- [17] IL MERAVIGLIOSO PADANO NELLE POESIE DI ALBERTO BEVILACQUA 105 comico-realistica, per esempio le Rime del Lasca34, oppure i versi di Carlo Porta per quanto concerne la poesia dialettale35, od ancora, campione tra i molti, la scrittura scapigliata di Carlo Dossi, quello della Vita di Alberto Pisani36 e delle Note azzurre37. Dunque in vari autori della letteratura risulta l’occorrenza del lemma “strione”; inoltre, come accennato, esso campeggia anche in alcune carte processuali degli atti d’inquisizione, amara prova di una superstizione abbracciata dalla lex. Tuttavia, per restare al cam- po letterario, analizzando anche ad ampio raggio le occorrenze, si noterà come spesso il vocabolo sia impiegato con sola funzione di variante per stregone, senza che il suo uso implichi alcun tipo di giuriose, dimando raggione, o che mi mantengha che sia tale, o che redicha secondo forma di Statuto. […]”». (sottolineatura nostra). Cfr. http://bor- mio.lombardiastorica.it. Cfr. l’elenco dei procedimenti giudiziari, ad vocem. 34 Cfr. i versi dedicati ad Agnolo Firenzuola in Le rime burlesche edite e inedite di ANTONFRANCESCO GRAZZINI detto il Lasca, per cura di C. Verzone, Firenze, Sansoni, 1882: «Se Dio vi guardi e vi mantenga sano/ il corpo tutto di dentro e di fuore,/ ditemi se voi siete ciurmadore,/ pedagogo, strione, o cortigiano?» (vv. 1-4, sottolineatura nostra). 35 Cfr. il Lament del marchionn di gamb avert in C. Porta, Poesie, a cura di D. Isella, Napoli, Ricciardi, 1959: «Quij duu popoeu de foeugh, lustre, strion,/ che in dove varden lasse nel sbarbaj,/ spionaven da duu taj/ bislongh come la sferla di maron» (vv. 233-236. Sottolineatura nostra). 36 Cfr. C. Dossi, Vita di Alberto Pisani, nota introduttiva di A. Arbasino, Torino, Einaudi, 1976, al principio del capitolo nono, dove si parla del mago: «Eppure, cotesta casa, non avea niente di strano! non gronde sporgenti, non fumajoli bizzarri o torrette, non cabalistici segni. Era una borghesìssima casa, col suo rispettabile numero senza né l’uno né il tre, a due piani, semplicemente rinzaffata di bianco, e dalle persiane grigie. – Ma le persiane stàvano sempre chiuse! Ebbene? che volea ciò dire? ch’essa avea molto più sonno delle altre. […]. A lei era rimasto, fitto e saldato, il racconto di due operai, i quali, ammessi nella misteriosa casetta per aggiustare un camino che pativa di fumo, avèano scorto sopra un gran tondo una testa mozzata, ancora con i capelli, con gli occhi invetriti e con in bocca… una pipa. Tonio, inoltre, il garzone, narrava con la voce in cantina, che lo strione, tràttolo a un certo punto in disparte, avèagli offerto una pila di doppi marenghi, purché gli fosse andato a strappare un braccio di una tal croce di legno appesa a una tal porta…» (sottolineatura nostra). 37 Cfr. Id., Note azzurre, a cura di D. Isella, Milano, Adelphi, 1964, alla nota n. 3711: «Io e Mons.re Bignami in una casipola, un dì, confondiamo e fughiamo uno di tali strion stobbiaroeu, tirando fuori i soliti argomenti relat. alla buona- fede, alla ignoranza, al ciarlatanismo. – Poi usciamo. Strada facendo, il discorso passa allo spiritismo e il Bignami mi parla con riverenza dei mediums etc. Concl. È una ignoranza la nostra un po’ più alta di quella dei contadini, ma è sempre ignoranza» (sottolineatura nostra). 106 CIRO RICCIO [18] prossimità ideologica, da parte dello scrittore, al segno prodigioso che il termine dovrebbe incidere. Non così nell’opera di Bevilacqua, se la riproduzione del clima di magia suscitato dalla parola non solo si affaccia in numerosi suoi libri sostenuta dalla professione di fede lirica dell’autore, ma comporta poi, come vedremo, il dispiegarsi di una lingua «clandestina»38 detta la “Leggera”, una sorta di argot padano che riflette sul piano linguistico quel mondo di fantasiosi dissipatori della morale comune.

3. Gli attori del mito padano: gli irregolari dell’Oltretorrente

Il nesso magico-lessicale appena descritto non tarda a profilarsi in L. P., già nell’intermezzo in prosa che segue al testo proemiale del Poema del fango:

Città, paesi, rovine, audio, video, autostrade: ah, le metropoli! Va il nostro carrozzone di Strioni, balenghi, guittume omerico, stomaco argilloso-calcareo […], frombolieri della passività civile, insomma degli sparacacca, ma questo è ovvio, senza radici stabili, ovvio anche questo, ma portatori delle loro radici mai tradite sulle spalle come croci o travi […]39.

Attirano le aperture espressionistiche zampillanti dallo scavo archeologico della poetica autoriale, che sguazza gioiosa nei detriti, nei sedimenti, negli accumuli calcarei, nella poltiglia argillosa, allu- sione evidente al racconto biblico della creazione, perché creaturali sono i connotati dei personaggi anarchici che affollano il carrozzone, innocenti di cui il progresso farà strage. È il Poema del fango perché è un inno del fango, plasmabile a futura memoria, ma non nel fango, come Zanzotto titolò un suo scritto in cui fotografava, nel sistema poetico montaliano, «l’importanza, scandalosa, schiaccian- te» di magmi e fossili che offendono l’uomo svestendolo di «ogni familiarità col suo ambiente, predicandogli […] la sua insignificanza, anzi il suo perdersi già in atto nel mare magnum dei residui, veri signori del mondo»40. Qui, al contrario, c’è un trionfo del fango

38 Cfr. L. P., p. 175. 39 Cfr. L. P., pp. 5-6. 40 Cfr. A. Zanzotto, L’inno nel fango, in Id., Scritti sulla letteratura. Vol. I. Fantasie di avvicinamento, a cura di G. M. Villalta, Milano, Mondadori, 2001, p. 18. Per associazione, si noti poi che qualcosa dello sperimentalismo linguistico [19] IL MERAVIGLIOSO PADANO NELLE POESIE DI ALBERTO BEVILACQUA 107 avente per cornice e allestimento scenografico un favoloso mito padano, come mostra il brano Nascita della Cicci:

Un giorno si ricordò improvvisamente di qualcosa che era accaduto prima del nascere della sua memoria. Del Po. Della Piena che copri- va la terra, e lei andava per i labirinti di quell’universo d’acqua. Su una barca coi resti di esseri scomparsi, fra colonne di fango. […]. Cominciarono i livelli massimi. I torrenti correvano per i paesi. La gente non seppe da che parte fuggire e le bestie si ammassarono e inseguirono il tuono scambiandolo per la voce del Bio che le chia- mava, finalmente, preferendole agli esseri umani. […]. Fu il regno del fango. […]. E c’era una bottiglia di vetro blu, con un tappo d’oro. Una notte, a uno schianto nel fango, essa si ruppe […]. La marea fangosa tuonò più lontano e passò in cavalcate come su un’al- tra terra […]41.

Si noti anche, a sostegno del precedente avvertimento circa l’in- tertestualità tra numerosi passi della sezione proemiale di L. P. e non poche pagine di Storie della mia storia, che il brano riferito rispunta, leggermente cambiato, nel racconto Il tempo della leggenda, posto in apertura del volume in prosa:

Un giorno mi ricordai improvvisamente di qualcosa che era accadu- to prima del nascere della mia memoria. Rividi la piena e con essa le prime immagini della mia vita: il Po copriva la terra dalle rive parmensi al Delta […]. A Polesine, Colorno e Roccabianca comincia- rono i livelli massimi e anche i torrenti superarono i segnali di guar- dia correndo per i paesi. La gente non sapeva da che parte fuggire e le bestie si ammassarono e inseguirono il tuono scambiandolo per la voce del Bio che le chiamava finalmente preferendole agli esseri umani42.

È questo un caso emblematico di quel meraviglioso padano di cui s’è detto in precedenza. Infatti, manifesto è il cenno storico al- l’alluvione del Polesine, avvenuta nel novembre del 1951. Sulla fon- te s’innesta poi il racconto favoloso tessuto di elementi epici cui si mescolano scampoli desacralizzati della cultura cristiana per forma- re insieme il genesi allucinato d’impronta parmense43. di matrice zanzottiana sembra rivivere nell’incipit di Fotogrammi della vittima audiovisiva (L. P., L’indignazione, p. 80, vv. 1-2): «Speaker-sacerdos et absolutio vitrea/ l’assolveranno in dieci milioni di ascolto». 41 Cfr. L. P., pp. 9-11 con omissis. 42 Cfr. Il tempo della leggenda in Storie della mia storia, cit., p. 5. 43 Cfr. un altro passo del racconto: «[…] mentre al posto dei santi protettori 108 CIRO RICCIO [20]

È proprio in questo mondo, scaturito dalla furia naturale e da imprese ed episodi leggendari, che sbarcano il lunario i fuggitivi della mediocrità collettiva. Sono l’Orlando, il Teuta, la Cicci, il Bi- goncia, e innumerevoli altri. Sono i guastatori della morale ingras- sata al sole dell’opinione comune, loro che portano sulle spalle, come Cristo la croce, un altro costume, cucito con i fili della fanta- sia, della creatività, dell’estro ridanciano, del ghiribizzo improvviso cha fa deragliare dai binari dell’irreggimentazione ideologica. Sono pericolosi al punto da essere invisibili per chi resta sicuro dall’altra parte:

[…] nessuno si accorge del nostro carro che va, si ferma, pianta baracca e burattini, riparte… Nessuno ci vede… Noi rapidi e invisi- bili sommergibili dell’aria. Nel cuore della metropoli, in quel grandore dove non c’è più primavera. Infatti, noi non siamo nel cuore di nessuno, siamo nel nocciolo di ciliegia del tempo…44

Si possono cogliere in questo brano i riflessi di una disputa ac- cesa da non pochi dei nostri scrittori novecenteschi, riguardante lo scontro tra città e campagna, scienza e natura. Ma a ben vedere, non c’è solo il recupero di una controversia datata. Gli strioni e i “balenghi” senza radici che attraversano le inospitali metropoli, in- carnano quell’essere altro che in ciascuno di noi la razionalità ope- rosa ha insabbiato. Una gioia dissipatrice del grigiore congiunto a ogni es muss sein vivacizza la loro esistenza, non più imbrigliata dalle convenzioni né disciplinata dal rispetto del patto sociale. avanzava l’Ersatz atteso da secoli, con un biancore di vesti battesimali, patrono degli assassini e delle donne malfamate, ma capace di trasformarsi nell’Orlando Innamorato» (Ibidem). 44 Cfr. L. P., p. 6. Per ulteriori rimandi, nel volume, al rapporto asimmetrico tra l’attenzione prestata dagli alternativi d’Oltretorrente nell’osservare gli altri e il loro contemporaneo non essere visti, ignorati dall’ipocrita cecità altrui, cfr. il seguente brano: «Vediamo che gli uomini sono tutti omoni che portano feltri e tabarri e parlottano fra loro. Le donne s’allontanano guardandosi indietro e si nascondono in capanni ingombri di vecchie ancore, ansane e vele […]. Cerchiamo d’insegnare, a chi non può ascoltarci, una verità tanto elementare che per essere pensata e detta richiede un sapere senza illusioni: non c’è che l’assurdo» (L. P., p. 13). Anche in questo caso, per approfondire l’intertestualità interna all’opera di Bevilacqua, si sottolinea che il medesimo brano, leggermente modificato, si trova inserito nel racconto Parmenio: «Constatava che gli uomini erano tutti omoni che portavano feltri e tabarri e parlottavano tra loro. Mentre le donne s’allontanavano dai paesi guardando indietro e si nascondevano in capanni ingombri di vecchie ancore, ansane e vele […]» (cfr. Storie della mia storia, cit., p. 14). [21] IL MERAVIGLIOSO PADANO NELLE POESIE DI ALBERTO BEVILACQUA 109

Chi è irregolare genera allarme e dunque va perseguito. Come accade all’Orlando nel brano L’autorità giudiziaria vede, spesso, anche l’invisibile:

«Arresto momentaneo e interrogatorio dell’Orlando. Occupazione di suolo pubblico. Presunti atti osceni». – Mestiere? – Lavoro di fantasia. – Matto. E perché? –I matti non hanno perché. È così che sono felici. – Un perché. Subito. – Credo nella realtà come immaginazione. E viceversa. Credo nella verità come ipotesi e menzogna. – Un perché che non capisco. Ti ordino di darmi un perché che sia chiaro. – Credo che la vita consista negli eventi strani che ne smentiscono la logica. Nelle meraviglie del possibile45.

Nella prima risposta dell’imputato risuona un’eco palazzeschiana, si sente «l’eversiva trasgressione della leggerezza»46 di Perelà. La fantasia non può essere misurata, sfugge al controllo del Potere. Di fronte alla disarmante naturalezza dell’Orlando, che scardina le protezioni della logica, i funzionari dell’apparato, incapaci di segui- re i voli della sua mente fervida, si ostinano a chiedere il “perché”. Ma l’intonazione vigorosa e intimidatoria della domanda si sbricio- la davanti all’assunto del prigioniero, che in poche battute, leggère e precise, depotenzia la lettura integralista della realtà: a ben vede-

45 Cfr. L. P., p. 15. Anche in questo caso si annota l’ennesima intertestualità con il volume in prosa citato sopra. Nel racconto Parmenio si legge, con alcune varianti, il medesimo dialogo: «Lo fecero uscire dalle file degli arrestati nel cortile e lo introdussero nella sala d’armi. – Mestiere? – chiese il tenente. – Lavoro di fantasia. Il frustino lo colpì contro il cuore. – Nome e cognome. – Mi chiamano Matto Parmenio. Parmenio, come il Bettoli. – Matto? E perché? – I matti non hanno perché. È così che sono felici. – Ti ordino di darmi un perché. E subito! Parmenio alzò le spalle. Rispose dolcemente e a caso: – Credo nella realtà come immaginazione. E viceversa. Credo nella verità come ipotesi e menzogna […]. Credo che la vita consista negli eventi strani che ne smentiscono la logica. Nelle meraviglie del possibile» (cfr. Storie della mia storia, cit., pp. 12- 13). 46 Con questa formula Gino Tellini intitola un suo studio sul romanzo palazzeschiano: Perelà e l’eversiva trasgressione della “leggerezza”, in Aldo Palazzeschi et les avant-gardes, a cura di G. Tellini, Atti del colloquio Internazionale, Istituto italiano di Cultura, Parigi, 17 novembre 2000, Firenze, Società Editrice Fiorenti- na, 2002, pp. 43-68. 110 CIRO RICCIO [22] re, essa è solo un’ipotesi, una tra innumerevoli altre accantonate per vantaggio o per cecità. Del resto, altri indicatori accendono una memoria dello scrittore fiorentino espansa in queste pagine. Emblematico il titolo del se- guente testo, Si riparte, saltimbanchi, verso le terre di Francia o di Parsifal e Liutprando:

sgombra sagrati il carro chiassoso di teatranti in fuga e comici nel controluce di ciliegi e gelsi allunano le morte musiche, le risate perdute – per un vento che ingolfa tendoni e mongolfiere a strisce rosse, resto, poeta, il mondo che subito si fa la sola bianca occhiata del disperso nel deserto polare della grazia isolata resto il nano buffone che s’attarda perso il tamburo, breve sosta dove il tempo prolunga il suo sosia, fino a stravedere ciò che solo stravisto inganno non è, con pazienza e sempre so dove trovarmi a caso stazioni, stazioni adolescenti, quel tanto di buriana vanto mi presti a piombo lo schianto mancato che lascia a terra un’inezia, i miei resti47

Il “saltimbanco” del titolo attiva subito il ricordo dei celebri versi finali del Chi sono? di Palazzeschi48. Con una differenza ragguarde- vole, però: nel poeta funambolo il ricorso al clownesco serve alla

47 Cfr. L. P., pp. 18-19. 48 Cfr. i vv. 20-21 di Chi sono?: «Chi sono?/ Il saltimbanco dell’anima mia», in A. Palazzeschi, Poemi, ristampa anastatica, a cura di A. Dei, Parma, Zara, 1996. [23] IL MERAVIGLIOSO PADANO NELLE POESIE DI ALBERTO BEVILACQUA 111 dissacrazione della funzione poetica, che poi, in Lasciatemi divertire, giunge a rovesciarsi in aperta parodia. In Bevilacqua, oggetto della demistificazione è invece una certa funzione espletata dalla società, rigettante la sregolatezza artistica. Ma non è questo l’unico divario. Infatti, sebbene il poeta porti sulla scena dei versi le ragioni di personaggi strambi e bizzarri, garanti di una luminosa alternativa all’angustia borghese, l’insopprimibile carica esistenzialistica da cui è nutrito non gli consente poi – passaggio invece attivato in Palaz- zeschi – di mascherare la sua critica in caricatura, come dimostrano la seconda e la terza strofe del componimento citato, che assopisco- no il preludio giullaresco in amare introspezioni ontologiche. Altri riverberi della poetica palazzeschiana balenano nel Poema del fango, non solo nei versi ma anche negli intervalli prosastici, per esempio il seguente:

Li flagellavano e li avvelenavano. La Guardia Regia ne vigilava l’ago- nia […]. Gridate tutte le verità, persa la voce, lo Strione soffiava davanti a sé e al fuggire della sabbia apparivano parole ben incise, parole non schiave che erano modi di essere con la chiaroveggenza. […]. Lo Strione moriva con le labbra spaccate, le orecchie recise, senza più la forza di spingersi in alto verso la luce e la magia con cui era riuscito a comunicare. […]. Un giorno al palo misero una donna. […]. La Striona aveva le mani e i piedi piccoli, gli occhi celesti, il corpo pieno e solare; quando le si avvicinò e la baciò, la udì balbettare i suoni di una lingua stramba che significa felicità e piacere49.

Lo Strione, agonizzante, è messo al palo, dileggiato, umiliato, annichilito. È un po’ la sorte che toccava all’incendiario dell’omoni- mo componimento dedicato da Aldo a Marinetti:

In mezzo alla piazza centrale del paese, è stata posta la gabbia di ferro con l’incendiario. Vi rimarrà tre giorni perché tutti lo possano vedere. Tutti si aggirano torno torno all’enorme gabbione, durante tutto il giorno, centinaia di persone. – Guarda un pochino dove l’ànno messo!

49 Cfr. L. P., pp. 16-17. 112 CIRO RICCIO [24]

– Sembra un pappagallo carbonaio. – Dove lo dovevano mettere? – In prigione addirittura. – Gli sta bene di far questa bella figura!50

Un’altra affinità può osservarsi in relazione alla «matrice cristo- morfa del personaggio eponimo»51 de L’Incendiario, che agisce, entro un’intelaiatura poematica e concettuale ovviamente diversa, anche nei ritratti dello Strione flagellato e avvelenato, nuovo Christus patiens del paganesimo padano, e della Striona che in limine mortis balbetta «i suoni di una lingua stramba». Tuttavia, vale ancora la differenza fermata innanzi: in Palazzeschi l’ingrediente parodistico stempera, nella prima sezione del compo- nimento, ed estingue, almeno in superficie, la tragicità simbolizzata dalla figura dell’incendiario irretito nella gabbia dell’improperio e dell’apostrofe:

– Lo faranno morire dalla rabbia! – Morire! È uno che se la piglia! – È più tranquillo di noi! – Io dico che ci si diverte. (…) – Quando l’ànno interrogato, – à risposto ridendo, – che brucia per divertimento. – Dio mio che sfacciato! – Ma che sorta di gente!52

Inoltre, a voler estendere il campo delle possibili fonti nell’ambi- to della comparatistica, è plausibile ravvisare, nel rantolo penoso dello Strione che incontra la morte «con le labbra spaccate, le orec- chie recise, senza più la forza di spingersi in alto verso la luce e la

50 Cfr. A. Palazzeschi, L’Incendiario, a cura di G. Nicoletti, Milano, Mon- dadori, 2001, p. 3, vv. 1-15. 51 Così Nicoletti nell’esame critico del componimento palazzeschiano (ivi, p. XI). Quanto all’analogia, fermata sopra, sull’esposizione del personaggio nel- la vetrina dell’ingiuria, cfr. l’annotazione del medesimo studioso, che, per de- scrivere la trappola in cui è caduto l’incendiario, parla della «ricorrente, ludica pena della berlina» e di un «figura trasparente dell’interdizione sociale, di pre- valente matrice moralistica e filistea, già prima manifestatasi attraverso lo sguardo giudicante di persone in rituale movimento e ora trasformatasi in un vero e proprio spettacolo di piazza» (Ibidem). 52 Ivi, pp. 3-5, vv. 20-23; 61-65. [25] IL MERAVIGLIOSO PADANO NELLE POESIE DI ALBERTO BEVILACQUA 113 magia con cui era riuscito a comunicare», una memoria della fine inflitta all’albatro baudelairiano:

L’hanno appena posato sulla tolda, e già il re dell’azzurro, goffo e vergognoso, pietosamente accanto a sé strascina come fossero remi le grandi ali bianche. Com’è fiacco e sinistro il viaggiatore alato! E comico e brutto, lui prima così bello!53

L’albatro incarna la natura del Poeta che volando con le ali della fantasia, dell’intelligenza e del sentimento s’innalza al di sopra della mediocrità generale. Se però viene catturata e fatta precipitare, la creatura intangibile perde leggerezza e splendore, mutati nell’impac- cio e nella difficoltà silenziosa di chi arranca su un terreno straniero, additato da tutti. Al pari, la potenza inebriante dello Strione – simbo- lo dell’estro fantasioso sguinzagliato nei territori delle visioni alterna- tive alla reductio razionale, nella quale la realtà viene angustamente costretta – è degradata e avvilita a contatto con le guardie regie: la loro violenza dissipa l’aura favolosa che avvolge la creatura sensitiva, rimpicciolita e inerme nel mondo della logica a ogni costo. L’abilità di Bevilacqua consiste nel saper mescolare e fondere di continuo il dato storico con quello fantastico. Così, la descrizione del martirio degli Strioni, condotta con tonalità mitologiche in fog- gia padana, è in un certo senso mitigata dalla notizia storica circa la provenienza sociale degli abitatori dell’Oltretorrente, dato sul quale s’imbastisce, secondo un dispositivo poematico già notato, la trama del meraviglioso:

Erano abitatori di sottoripa, confusi al fango con gli stessi bacini e canali, nubi di pesci e relitti di maree preistoriche. Barcari, paratori, venditori ambulanti di libri e cappelli, piccadori, brentadori e navaroli54.

La precisazione geografica dei luoghi da cui essi giungono è vanificata dall’ingresso dell’immaginazione poetica, che plasma al- tre provenienze, altri legami, altre storie:

Dall’Abbazia di Pomposa e dal Gran Bosco della Mesola fino a Sabbioneta e Casalmaggiore. Eppure li immaginavamo venire da

53 Cfr. C. Baudelaire, L’albatro, vv. 5-10, in Id., I Fiori del male e altre poesie. Traduzione di G. Raboni, Torino, Einaudi, 2006. 54 Cfr. il brano Mettevano al palo gli Strioni, in L. P., p. 16. 114 CIRO RICCIO [26]

nessuna terra e li riconoscevamo trovandoli raffigurati nei Tarocchi Infami e nei Libri d’ore tra fregi con uccelli, delfini, tripodi con la simbolica fiamma55.

Bertoni parla al riguardo di «un’epica dal basso», che «riesce […] a concedere fiato, voce, respiro a quelle frange non allineate di déracinés che oggi non popolano più l’ambiente contadino, ma si sono trasferite dentro i nostri scenari urbani […]»56. Su questa scia, adottando la prospettiva sociologica ma ricondu- cendola ad ambito letterario, vengono in mente i Navigli cantati da Alda Merini. La poetessa delinea una contrapposizione topografica e culturale di natura simile a quella della città emiliana divisa da un corso d’acqua in una parte popolare e un’altra borghese. La Merini, infatti, sente nostalgia per una Milano evaporata, quella carente di risorse economiche eppure copiosa di artisti e intellettuali e sede di numerose osterie in cui si affollava un’umanità varia, appassionata, stravagante, magari dedita anche al sotterfugio per poter sopravvi- vere. È la Milano del vecchio quartiere Ticinese e dei Navigli. Lì s’inventano ogni giorno la vita i falsi-bugiardi, quelli costretti ad armeggiare per procurarsi il necessario:

I falsi-bugiardi del Naviglio che somigliano ad acque infette e sono banderuole ferite dalla confusione e dal freddo; i falsi-bugiardi che seminano zizzania ovunque, in quella palandrana di desiderio che sono le loro sconfitte;57

Tuttavia, v’è da aggiungere che l’epica moderna della Merini non concede nulla al meraviglioso, costruendosi interamente sulla descrizione realistica e insieme nostalgica di figure e luoghi di una Milano scomparsa, come attestano quelli immortalati nelle Satire della Ripa: le lavandaie «coi capelli spettinati e irti che sembravano delle streghe, rabbiose come i cani per la vita grama», un’altra dalle «gonne putride», che «porta chili di roba immonda/ al naviglietto nascosto,/ e lì consuma sapone e bestemmie»; e poi la donna che vende numeri al lotto e guarda «con soverchia avarizia», il maroc-

55 Ibidem. 56 Cfr. L. P., pp. XXII-XXIII. 57 Cfr. A. Merini, I falsi-bugiardi del Naviglio, in Ead., Canto Milano, Lecce, Manni, 2007, p. 25, vv. 1-7. [27] IL MERAVIGLIOSO PADANO NELLE POESIE DI ALBERTO BEVILACQUA 115 chino che commercia le bambole, il tabaccaio che «soppesa la po- sta», la verduriera che chiacchiera senza pausa, e le «[…] osterie dormienti,/ dove la gente culmina nell’eccesso del canto»58.

4. La lingua della “Leggera”

Nell’Oltretorrente parmigiano germoglia, quale riflesso del talen- to esistenziale dei suoi personaggi scapestrati, la lingua della “Leg- gera”:

lingua rotta, spezzata furiosa pania di dolcissime aurore “di fango brutto e molle d’acqua” (Rodomonte) lingua che insogni insonnie e insognato mi tieni, allusione d’assenze: lingua di lingua stregata di gola spompata dai gridi assurdi ai pioppi lombardi […]59

Non è un caso che nel definire questa koinè Bevilacqua citi un verso del Furioso, quello riferito a Rodomonte che:

Di fango brutto, e molle d’acqua vanne

58 Cfr. ivi, p. 9 e pp. 49 e segg. La descrizione realistica dei personaggi e dei luoghi dei Navigli milanesi si congiunge all’amara consapevolezza che quel mondo si è dileguato. Sulle sue macerie è cresciuta una città irriconoscibile: «Milano è diventata una belva/ non è più la nostra città,/ adesso è una grassa signora/ piena di inutili orpelli» (Ivi, p. 19). Aggiungo che, alla luce dell’espe- rienza umana della poetessa milanese, segnata dai numerosi ricoveri in manico- mio, si possono individuare altri punti di contatto con l’opera di Bevilacqua, segnatamente nei versi dell’autore parmigiano dedicati alla madre, che subì una sorte simile a quella della Merini. In particolare cfr. in L. P. la sezione, all’inter- no della raccolta Piccole questioni d’eternità, intitolata Interpretando in versi la detenzione di mia madre nell’ospedale psichiatrico di C. (pp. 275-306). Si leggano, a mo’ d’esempio, i vv. 23-27 del componimento Un’altra visita (L. P., p. 304): «- stavi/ dopo l’elettroshock/ in un tuo angolo del mondo/ che hai scavato con le unghie dentro l’ospedale/ … e mi hai chiesto chi ero». La discussa pratica medica è al centro di molte pagine drammatiche, in versi e in prosa, della Merini. Tra i numerosi rimandi, cfr., per esempio, A. Merini, La polvere che fa volare, in Ead., La pazza della porta accanto, a cura di C. Gagliardo e G. Spaini, Milano, Bompiani, 2004, pp. 135-156. 59 Cfr. La lingua della Leggera (… e l’Ariosto per prima la intuì), L. P., p. 164, vv. 1-8. 116 CIRO RICCIO [28]

tra il foco e i sassi e gli archi e le balestre, come andar suol tra le palustri canne de la nostra Mallea porco silvestre, che col petto, col grifo e con le zanne fa, dovunque si volge, ample finestre. Con lo scudo alto il Saracin sicuro ne vien sprezzando il ciel, non che quel muro60.

Interessante rileggere anche l’ottava che nel canto XIV precede quella appena ricordata:

Rodomonte non già men di Nembrotte indomito, superbo e furibondo, che d’ire al ciel non tarderebbe a notte, quando la strada si trovasse al mondo, quivi non sta a mirar se intere o rotte sieno le mura, o s’abbia l’acqua fondo: passa la fossa, anzi la corre e vola, ne l’acqua e nel pantan fino alla gola61.

Rodomonte: il pagano dalle grandi passioni, che abbandona l’eser- cito in preda all’ira per la scelta di Doralice, che gli ha preferito Mandricardo; il cavaliere capace d’innamorarsi a prima vista, non appena scorge Isabella. Anch’ella fuggirà il suo amore, e anzi mo- rirà pur di resistergli. E allora egli innalzerà un mausoleo sulla tomba di lei, sfidando tutti quelli che transitano in quel punto: una follia d’amore e di guerra simile a quelle di Orlando. Infine il paga- no, nel tentativo di disturbare le nozze di Bradamante, troverà la morte nel duello con Ruggiero. Nelle ottave lette si descrivono la sua furibonda superbia e il suo infangarsi nella corsa spavalda e rabbiosa. C’è il fango, elemento cardine dei Frammenti del Poema di L. P., e c’è un personaggio che è simbolo di eccesso, dismisura, intemperanza, sfrenatezza. Inoltre, anche Rodomonte, in sintonia con gli attori centrali del Furioso, è un esecutore del grande tema del desiderio, motore del tumultuoso divenire delle azioni umane, e volàno delle passioni smisurate. Dunque Rodomonte è colui che eccede, esagera, oltrepassa. Colui che va oltre: concetto che alberga anche nelle preposizione usata per de- nominare il luogo cantato da Bevilacqua, che già nel suo nomen si presta a essere centro di accoglienza di quanti soverchiano la misura.

60 Cfr. L. Ariosto, Orlando Furioso, a cura di C. Segre, Milano, Mondadori, I Meridiani, 2006, canto XIV, ottava n. 120. 61 Ivi, ottava n. 119. [29] IL MERAVIGLIOSO PADANO NELLE POESIE DI ALBERTO BEVILACQUA 117

Quanto alla fonte prescelta, Ariosto, si sa che è il maestro del- l’ironia, il poeta che sa cogliere le incongruenze e le contraddizioni dell’agire umano, spesso grazie al processo, determinante nella strut- tura poematica del Furioso, di sovrapposizione e avvicendamento del mondo reale e del mondo immaginario: metodo che in qualche modo rivive nell’affresco mitopoietico di Bevilacqua, in cui realtà e immaginazione di continuo si accavallano. Il richiamo ariostesco implica poi dell’altro, congiunto strettamente all’opzione linguistica. Dall’autore del Furioso, soprattutto quello delle edizioni del 1516 e del 1521, ci ricorda Bertoni62, ovvero, aggiungiamo, non ancora de- purate (in effetti con una percentuale revisionistica inferiore a quan- to si potrebbe credere) alla luce delle istruzioni sul volgare impar- tite dal Bembo nelle sue Prose di lì a pochi anni (1525), «Bevilacqua trae la nuova lingua gergale, di confine e assieme di trasmutazione tra italiano e koinè dialettale padana»63. Le risorse espressive della “Leggera”, governate dalla perizia dell’autore, riescono a immortalare l’intera gamma dei sentimenti umani, come mostrano i testi raccolti in Vita mia64. Nell’imprecazio- ne espressionistica che traduce una domanda sul senso buio del- l’esistere, si percepisce un’eco dell’interrogazione affidata da Leo- pardi al suo pastore errante. Davvero seducente la descrizione della notte stellata, che, al pari della luna leopardiana, mostra una muta e impenetrabile bellezza:

che pirläda di steli, ocialìna è la notte, vécia di tue gioventù, bâzi su bâzi per non dirmi un’ostia, per farmi anche a me tacere, strenciosa notte de l’amore, ah se potessi parlare… prenderò l’allegria dell’una, con un magone da non dire65

62 Cfr. L. P., p. XXII. 63 Ibidem. 64 Cfr. L. P., pp. 151-186. 65 Cfr. La notte de l’amore, L. P., p. 166. In nota l’autore riporta la versione in lingua: «che balordata luccicante di stelle,/ la notte si è messa occhialini a montatura d’oro, vecchia di tutte le tue gioventù,/ baci su baci per non dirmi un’ostia,/ per farmi/ anche me tacere, lei che imbavaglia e mette le manette/ notte de l’amore,/ ah/ se potessi parlare… // prenderò il tranvai/ dell’una, 118 CIRO RICCIO [30]

Pochi versi possono bastare a scolpire un carattere e una figura, un po’ come avviene nelle migliori epigrafi. Così leggiamo dell’Alceo, che pensa e agisce scosso dalla «mattana di vento»:

notte d’infame, che vénta, stanòta, vénta maturla, malissia ad néva: io, quasi – decide l’Alceo – mi vado a masàre adés che son in chiarìna … l’Alceo che l’ha con la vénta e vola a far di pomice qualche butùna de drè con la scusa di andar a morire: com’è muta la muta, qui, se un cantar la stòla66

Non mancano i ritratti collettivi, come quello che mostra una tipica scena di vita paesana nei bar delle piazze:

i capèi al vent- che mument, al nas in sö! i niulon d’ pasarot … in d’al pstà la calada cme as magna adasi adasi, se sfa in boca na muliàga

i stan sedu a l’uverta i stan bén cme sota al stes linsöl i se brasan cun l’Iris, insémma, e dopu i fan: mah!67 con un magone da non dire». A proposito della memoria leopardiana, un segno più vistoso se ne ricava dalla lettura del testo posto in apertura della raccolta La crudeltà: «Spietata crudeltà/ […]/ perché non cedi,/ perché ancora fai il verso/ all’usignolo, perché/ t’allieti al volo d’una mosca?» (cfr. L. P., p. 89, v. 1 e vv. 16-19). 66 Cfr. L’Alceo, L. P., p. 167. In nota figura la versione in lingua: «notte d’infame,/ che mattana di vento, stanotte,/ che annuncio subdolo di neve:/ io quasi/ decide l’Alceo/ vado ad ammazzarmi adesso che sono ubriaco/ … L’Alceo/ ce l’ha ancora con la vénta e vola/ a borseggiare qualche/ pederasta/ con la scusa di andare a morire: / come/ la coscienza, la muta, affonda nel silenzio della vita/ qui, se un cantare la chiama a rispondere». 67 Cfr. Al Bar Blu, L. P., p. 168, vv. 1-12. In nota, come al solito, la versione [31] IL MERAVIGLIOSO PADANO NELLE POESIE DI ALBERTO BEVILACQUA 119

La “Leggera” offre anche un campionario delle espressioni carat- teristiche che incorniciano il gioco amoroso secondo la tradizione oltretorrentina. Se ne vedano alcune68: l’andare a traghéla d’amori, ovvero «l’incedere tipico del ganzo a caccia di ragazze»69; l’andare a coscioso70, cioè l’unirsi fisicamente; il cirlìnn71, che significa «ragazze e, in particolare, l’adescarle malizioso degli uomini, tra i cespugli, nei pioppeti, durante le feste». Ma soprattutto la “Leggera” è una lingua duttile, che può essere in tutti i modi lavorata per cavarne risorse espressive inedite: atti- vità verbale condotta principalmente dai lunatici del luogo, che sperimentano le ribonze de la luna, cioè «le similitudini capricciose», «lo storpiare, tipico di qui, parole per averne/ il balzo dritto del- l’ironia»72. La “Leggera” potrà anche intendersi come uno dei mezzi, all’in- terno di un ben oliato sistema di pesi e contrappesi, che permette all’autore di muoversi con agevolezza tra i due campi della storia, in tal caso linguistica, e del meraviglioso73: se infatti l’Oltretorrente

in lingua: «gli sfaccendati – che momento, il naso per aria!/ i nuvolosi di passerotti/ … aspettando il calare del sole/ come si mangia adagio adagio,/ si sfa/ in bocca un’albicocca/ stanno seduti all’aperto/ stanno bene/ come sotto allo stesso lenzuolo/ s’abbracciano con l’Iris, tutti insieme/ e dopo/ fanno: mah!». 68 Oltre le quali cfr. anche la sezione Diletti nei modi e nella lingua della “leg- gera”, posta all’interno della raccolta Il corpo desiderato (cfr. L. P., pp. 220-225). 69 Cfr. L. P., p. 183. 70 Cfr. L. P., p. 176. 71 Cfr. L. P., p. 181. 72 Cfr. L. P., p. 182. 73 Il meccanismo da noi individuato è verificabile non solo in L. P., ma nell’impianto generale dell’opera omnia dell’autore. Svolgiamo un esempio tra i molti. Nel prosimetro Viaggio al principio del giorno della madre di sua madre, l’Amelia, Bevilacqua scrive «che parlava con gli Strioni di Po considerandoli fratelli, specie con il loro Re, detto il Fiammingo, e conosceva bene la loro lingua […]». Ma aggiunge anche, riconducendo il discorso in un ambito storico che è quello drammatico vissuto dall’Italia in cammino verso la dittatura, che «l’Amelia […] aveva avuto dodici figli: otto femmine, quattro maschi. E questi quattro erano, zio Toni in testa, fra i più attivi protagonisti della Resistenza emiliana». E di questa straordinaria donna si narra anche il modo in cui affron- tò «Mussolini in piazza a viso aperto, quando era stata posta la prima pietra del monumento a Corridoni. Riporta una cronaca: “La prima pietra venne posata nel maggio del ’24, presenti, con le autorità e molto pubblico, la madre, in gramaglie, dell’eroe, e Benito Mussolini, il quale sceso con adatta scaletta nelle fondamenta, stesa con lucida cazzuola e con la disinvoltura propria di un bravo 120 CIRO RICCIO [32]

è la terra degli strioni, magicamente descritti a partire da una noti- zia storica, lo stesso luogo assurge anche a specola privilegiata degli usi dialettali impastati in una specie di koinè che ricalca le espres- sioni degli abitanti delle terre attraversate dal fiume Po. Non solo: a rafforzare il polo della storia contribuisce la memo- ria di un evento accaduto negli anni Venti del secolo scorso, simbo- lo dell’eroismo civile diffuso nell’Oltretorrente:

Qui scoppiò, nel ’22, la rivolta degli Arditi del Popolo, che restò l’unico caso di sconfitta strategica subito dagli squadristi condotti da Italo Balbo […]. I resistenti furono all’incirca trecento, contro forze avversarie dieci volte superiori, e assai meglio armate. Li guidava un artigiano: Guido Picelli74.

Memorabile ribellione di popolo che la poesia cattura nei versi de L’indignazione75 come fosse l’ennesima figura dello scandalo della croce, l’ennesima «temporalizzazione dell’eterno»76, del Dio che in- contra la sofferenza per incontrare gli uomini. La nuova crocefissione, titolo che vuol significare il suo scandalo sempre replicato nella storia, riconduce il destino di molti a quello dell’uno, il nuovo martire in cui si riunisce il dolore di tutti: il ragazzo ucciso dal colpo di fucile, la cui morte si trascina il furore della piazza rimasta attonita:

Una folla che in questa estate di furore invece ghiacciato come le croci antelamiche, blasfema contro lo scherno dei picchiatori assassini, muratore, un po’ di malta tolta da un altrettanto lucido recipiente, e fatta scor- rere su di essa la pietra appesa a un cavo, ebbe a pronunciare la nostra massima Impara l’arte e mettila da parte”. Ma la cronaca non dice che dalla folla uscì un grido: – Bagolòn!… Che muratore non sei mai stato. E adesso ti fai muratore dei morti. Il Duce, conoscendo il dialetto, sapeva benissimo che “bagolòn” significa bugiardo matricolato. […]. L’Amelia andò a mettersi sotto il palco. Il Duce la riconobbe e, per non guastare la festa, le rispose con un sorriso impassibile: – Ce l’hanno insegnato insieme, Cantadori Amelia. Contär dil bali, raccontare menzogne, fa parte della politica che frutta» (cfr. Viaggio al principio del giorno, cit., pp. 39 e 41-42): aneddoto davvero efficace per denunciare la retorica fasulla della propaganda fascista intesa a organizzare il consenso. 74 Cfr. AA.VV., Un autore. Una città, cit., p. 70. 75 Cfr. L. P., pp. 61-86. 76 Sul paradosso concettuale di temporalizzazione dell’eterno realizzata dal Dio che s’incarna, cfr. le pagine iniziali del saggio di G. Moretto, L’attimo (augenblick) in Søren Kierkegaard e in Friedrich Schleiermacher, «Humanitas», 61 (5- 6/ 2006), pp. 904-918, in particolare pp. 904-906. [33] IL MERAVIGLIOSO PADANO NELLE POESIE DI ALBERTO BEVILACQUA 121

cresce insieme a un feroce vento che flagella, ma si fa in ciascuno persona furore in un’aria invece danzata di vita, impennata di gioventù: si fa silenzio al colpo di fucile nella schiena di un ragazzo … è storia consueta che chiede quella testa che sollevano sorelle mani, […]77

5. L’ossimoro nei versi: la monodia polifonica di L. P.

Se nel vaglio critico di L. P. abbiamo fermato la riflessione so- prattutto sui Frammenti dal Poema del Fango è perché, lo si è detto, essi costituiscono anche la porzione finora inedita dei materiali in- seriti nel corpus. D’altro canto, il parallelo ripescaggio da parte dell’autore di minute redazionali e dattiloscritti78 antichi ha influito sulla metamorfosi delle passate raccolte poetiche, che, assorbite nel nuovo corpus, sono state oggetto di numerosi processi variantistici, secondo le dinamiche testuali e gl’interventi filologici richiamati all’avvio del nostro discorso. A questo punto è necessario riflettere non tanto sui contenuti delle singole raccolte, di cui già molto si è detto per il passato e da parte di nomi illustri della critica79, quanto sull’effetto che la riunio- ne complessiva in L. P. delle precedenti opere poetiche di Bevilacqua comporta, alla luce della vivace intertestualità interna, di natura tematica ancor prima che lessicale, da noi indicata come segno di- stintivo dell’opera omnia del Nostro. Anche solo scorrendo l’indice di L. P., il lettore avvisterà un’ab-

77 Cfr. La Nuova Crocefissione (Parma, la “Rivolta del ’22”), in L’indignazione, L. P., p. 70, vv. 1-12. 78 Cfr. in L. P. l’avvertenza critica di J. Sisco (cfr. alla nota n. 13). 79 Sulla poesia di Bevilacqua si sono espressi nomi illustri della letteratura e della critica italiane, da Palazzeschi a Sciascia, da Carlo Salinari a Giansiro Ferrata a Giovanni Testori. In particolare l’autore ha considerato preziosi e “veggenti” i commenti di Caproni e del Getto. Si aggiunga inoltre la fama internazionale, testimoniata in particolare dagli interventi di Borges e Ionesco (cfr. A. Bevilacqua, Viaggio al principio del giorno, cit., pp. 54-58). 122 CIRO RICCIO [34] bondante polifonia di temi, ma sempre governata dal leitmotiv che dirige la mente poetica e che si può definire all’ingrosso una passio- ne o mania delle origini. In un certo senso la polifonia è sempre ricondotta a monodia. Il canto primordiale continua a «infuturarsi nel totale» polifonico delle cellule melodiche sviluppate dalla poe- sia. La metafora musicale, impiegata per spiegare un simile movi- mento, è arricchita dai versi dell’autore ispirati dall’oratorio di Haydn, la Creazione:

perdona alla mia insonnia i tuoi sogni l’averti persa per qualche svista … ’Or rosa della luce e cellula sonora madre d’ogni cellula Do Maggiore nella Creazione di Haydn dal nulla alla modulazione infinita80

Alla mania poetica dell’origine corrisponde il tema in Do Mag- giore, che torna infinitamente modulato in tonalità diverse, da quel- le vicine ai toni più lontani. In questo sistema di relazioni perfino l’argomento teologico può essere affrontato trasferendolo nel dominio di uno dei temi ispiratori del canto di Bevilacqua, quello della figura materna, sia quando viene catturato un momento d’inaspettata felicità che sgorga all’im- provviso manifestarsi di Dio:

Dio, che ti sei tradito con me una volta, venia felice non avida gola, in un Ballo Gardenia del Trenta, mia madre ballava un pensiero di te nel suo Caminito, mai t’ho sentito più vivo81.

Sia quando il sentimento di Dio è, più drammaticamente, un’in- vocazione di sofferenza scandita nei passi solitari di un corridoio dell’ospedale psichiatrico:

Signore, che mi vedi misurare queste mura con passi

80 Cfr. ’Or: rosa della luce, in Piccole questioni d’eternità, L. P., p. 251, vv. 1-6. 81 Cfr. L. P., p. 102. [35] IL MERAVIGLIOSO PADANO NELLE POESIE DI ALBERTO BEVILACQUA 123

da detenuta, io sconto la tua colpa: l’esserti figlia la mia mente malata … altre non ne commetto a nessun legno hai diritto dunque di farti crocifiggere che non siano le mie braccia: io le stendo al muro per te affinché ne approfitti – il mio scheletro è di noce robusta, il meglio a cui possa aspirare una croce per l’ultimo zelo di un Dio: […]82

Stato d’animo che può raggiungere, in quel luogo di reclusione e separatezza dal mondo, le vette di una teomachia irriverente:

carcere della ragione blasfema Deposizione mia jena mio niente miei tanti cuori dove il mio cuore ogni giorno lo spacca a vita il pugnale mio Onnidemente Signore della pietà83

Inoltre, come conseguenza delle varianti strutturali che interven- gono nella composizione di L. P., anche il gruppo compatto delle “poesie teologiche” contenute nella raccolta La crudeltà viene inau- gurato da una dedica antelamica:

… queste cantiche quasi minime sculture e lune e lunette di religiosità antelamica nel mio Battistero – trasparenze anche di architetture miniate in prospettiva “Allegoria della vita secondo la leggenda di Baarlam” … timbro nel Coro nelle sue Deposizioni cristallinità di linee nell’attraversare il buio

82 Cfr. La crocefissione, in Piccole questioni d’eternità, L. P., pp. 287-288, vv. 1-15. 83 Cfr. Nenia maniacale, in Piccole questioni d’eternità, L. P., p. 288. 124 CIRO RICCIO [36]

nelle Stagioni e nei Mesi … Dedico a Benedetto Antelami84

La dedica diventa lo strumento per prospettare il discorso reli- gioso come ennesima figura della relazione con la terra natale. La teologia disintegrata di Bevilacqua, in cui si respirano a tratti accen- sioni quasi turoldiane ma trasferite su di un piano prosciugato della robusta fede che animava il padre servita85, se da un lato può sfer- rare contro Dio accuse fulminanti86, articolate, potremmo dire, in brachilogie teologiche di sapore caproniano, dall’altro riesce a dise- gnare commoventi alleanze di solitudine tra Dio e l’uomo, «entram- bi in esilio l’uno rispetto all’altro, l’uno dentro l’altro»87:

… noi ventriloqua mente dei tuoi troppi infiniti, inviscerata storia dei vuoti della tua umana memoria88

*** non so chi per mano portò per primo l’altro chi per primo diede all’altro i suoi sogni89

84 Cfr. Senso e dedica (L. P., p. 101). 85 Cfr. per esempio i seguenti versi: «più assurdo, Signore, non puoi farmi/ – io vado soltanto/ per la forza che hai/ di buttarmi a spinte/ dove non so, dove non sai» (cfr. Il disgelo, L. P., p. 105, vv. 9-13); «… non del mio credere in te è questione/ […]/ è piuttosto questione/ del tuo credere in me» (cfr. Assolo, L. P., p. 106, vv. 1-6, con omissis). 86 Si legga questo, tra i vari esempi adducibili. Rivolgendosi a Dio, viene detto: «se il chiunque tu sia/ è solo il bisogno della nostra follia» (cfr. Coro, L. P., p. 104, vv. 5-6). 87 Il poetico scambio delle reciproche solitudini, quella di Dio e quella del- l’uomo, assomiglia al contenuto di una riflessione teologica di Elie Wiesel: «Quindi, che cos’è l’uomo? Un punto interrogativo riflesso in, e opposto a, e completato da un altro punto interrogativo. Poiché c’è ricerca (quest) in ogni domanda (question). La ricerca di Dio da parte dell’uomo e la ricerca infinita dell’uomo da parte di Dio. Entrambi sono in esilio l’uno rispetto all’altro, l’uno dentro l’altro. Entrambi anelano a una risposta, forse alla stessa risposta» (cfr. E. Wiesel, Sei riflessioni sul Talmud. Avvertenza di U. Eco. Con una nota di U. Volli, Milano, Bompiani, 2004, pp. 50-51). 88 Cfr. Coro, L. P., p. 103, vv. 1-3. 89 Cfr. Jeu De Cartes: Amen, L. P., p. 103, vv. 5-7. [37] IL MERAVIGLIOSO PADANO NELLE POESIE DI ALBERTO BEVILACQUA 125

Esteso è il ventaglio policromo dei temi convogliati in L. P. Non manca il caso di un testo che potrebbe definirsi quasi un capitolo di geografia e storia della letteratura. È La panchina gialla, posto a chiu- sura della prima sezione di L. P. Ed è, per l’autore, un ulteriore ritorno alle origini, al tempo della scuola, sebbene il movimento della poesia conduca poi lontano, lungo quella rete di amicizie intellettuali stipulate da un uomo che ha avuto occasione d’incontrare non pochi notabili della cultura italiana e non solo. Leggiamone la prima strofe:

Pasolini che scrive di me e da me chiede “l’irrelato fantasma idillico” con lode, in delizia del verso il mio professore Bertolucci di storia dell’arte al liceo Romagnosi di Parma non concorda e in me, scrivendone, vede “il poeta shelleyano fanciullo”, il terzo che amò della mia poesia il “poema del fango” e l’“Antelami”, Mario Colombi Guidotti, è morto in un incidente stradale solo ieri, io il poeta che l’ha visto vivo, il solo, poche ore prima90

L’incipit segnala il rapporto confidenziale che Bevilacqua ebbe con Pasolini, di cui resta impronta poetica nella sezione Dall’episto- lario, anche in versi, con Pier Paolo Pasolini91, interna alla raccolta L’amicizia perduta. D’altra parte, Pasolini è anche l’autore della for- tunata formula di «officina parmigiana»92, riferita al gruppo di gio- vani scrittori, tra cui, oltre il Nostro, Gian Carlo Conti, Giorgio Cusatelli, Gian Carlo Artoni, e altri, che si misurarono, ciascuno a suo modo, con il magistero di Attilio Bertolucci, passaggio obbliga- to per ogni autore parmigiano della generazione del Nostro93. E da

90 Cfr. La panchina gialla, in L. P., p. 26, vv. 1-14. Cfr. anche l’annotazione di Bertoni, che parla di un testo «polifonico e composito (perché intessuto di auten- tici materiali epistolari)», di cui «colpisce in primo luogo l’intrusione della madre dell’io […] nel rapporto tra i due amici, attraverso una lettura “di nascosto” delle lettere pasoliniane chiuse a chiave in un cassetto […]» (L. P., pp. XVI-XVII). 91 Cfr. L. P., pp. 54-58. 92 Cfr. P. P. Pasolini, «Officina parmigiana» (1957), in Id., Passione e ideologia, Milano, Garzanti, 1977, pp. 412-414. 93 Cfr. le note di Bertoni in L. P., pp. XIII e segg. Sullo stesso tema, in forma più sistematica e con esame esteso a numerosi altri scrittori emiliani e romagnoli, 126 CIRO RICCIO [38] qui poi si allarga subito la catena delle discendenze: se Bertolucci fu professore di Bevilacqua, del primo fu insegnante di liceo Cesare Zavattini, un’altra auctoritas di quella geografia culturale94. Le frequentazioni parmigiane sono un po’ il battesimo, l’ideale “incominciamento” intellettuale di una serie nutrita ed eccellente di colloqui dello scrittore con personalità del mondo non solo lettera- rio ma anche cinematografico. Incontri e alle volte autentici sodalizi che si riflettono nei suoi versi, per esempio quelli scritti Dopo un dibattito con Jean-Luc Godard95, padre della Nouvelle Vague, o dopo una conversazione con il regista cecoslovacco Karel Reisz96, o a se- guito di una traversata notturna per le strade romane in compagnia di Paolo Volponi97. Talora all’autore piace inviare “lettere in versi”, come quella a Roberto Rossellini, nel cui finale si esprime una con- cezione negativa della Storia, già anticipata, in L. P., nel testo dedi- cato a un altro regista, l’ungherese Miklos Jancso98:

– nata è la Storia non più che da un’usura casuale dell’esistere, a nulla necessaria: non importa se varia da un ghigno da culla a sgomento da comete99

Non mancano riverberi dei contatti avuti con il mondo religioso. Il caso maggiore è offerto dal poemetto Essere Papa100, scritto «in occasione del settantacinquesimo compleanno di Paolo VI» su com- missione dell’«Osservatore romano», che diede avvio anche a un cfr. G. M. Anselmi, A. Bertoni, L’Emilia e la Romagna, in A.A. Rosa (a cura di), Letteratura italiana. Storia e geografia, III: L’età contemporanea, Torino, Einaudi, 1989, pp. 385-462, in particolare pp. 430-435. 94 Sulla figura di Zavattini e sul suo rapporto con Bertolucci nato sui banchi di scuola, nonché sui riflessi culturali di quel sodalizio in terra emiliana, cfr. A. Bertolucci, C. Zavattini, Un’amicizia lunga una vita. Carteggio 1924-1984, a cura di G. Conti e M. Cacchioli, Parma, Monte Università Parma Editore, 2004, in particolare l’introduzione alle pp. 5-67. 95 Cfr. L’indignazione, L. P., pp. 76-77. 96 Cfr. ne L’indignazione, Morgan, matto da legare (conversando con Karel Reisz dopo la proiezione del suo film), L. P., p. 82. 97 Cfr. ne L’indignazione, Una sera, attraversando Roma con Paolo Volponi (e convenendo su alcune idee comuni), L. P., p. 78. 98 Cfr. ne L’indignazione, Silenzio e grido (a Miklos Jancso): «Della Storia rimar- rà questa rotaia/ che dal nulla al nulla conduce» (L. P., p. 83, vv. 4-5). 99 Cfr. ne L’indignazione, Da una lettera in versi a Roberto Rossellini, vv. 13-16 (L. P., p. 84). 100 Cfr. in Immagine e somiglianza, L. P., pp. 138-139. [39] IL MERAVIGLIOSO PADANO NELLE POESIE DI ALBERTO BEVILACQUA 127 carteggio tra il Pontefice e il poeta: a riprova dell’ampio ventaglio e del calibro intellettuale delle relazioni umane che Bevilacqua ha sperimentato. D’altro canto, il poeta riesce a stipulare un patto tra scienza e religione che s’incontrano sul fecondo versante dei suoi interessi e studi cosmologici. Interessante rileggere quanto da lui dichiarato al riguardo nel corso di un’intervista:

Sappiamo benissimo che fino a quando “i ragazzi di via Panisperna” non ruppero l’atomo noi avevamo un’idea diversa del tempo e della luce. E avevamo idea che l’atomo fosse il punto terminale. Gli scien- ziati con i quali ho collaborato negli ultimi vent’anni della mia vita sono arrivati oggi a chiarire che tutto ciò è falso, che esiste la legge del piccolo, più piccolo, e ancora più piccolo. E l’infinitesimo più piccolo rispecchia il cosmo secondo la dichiarazione cristiana: “Dio è in noi e noi siamo in Dio”101.

In termini cosmologici Bevilacqua è in grado perfino di rappre- sentare quel tipo di religiosità che è propria dei moderni e che è al centro del discorso filosofico del Novecento intorno all’«essere get- tato» di heideggeriana memoria:

La spora originaria si divise e fu un grande trauma. […]. Il peccato originario è questo, la cacciata dal paradiso, cioè dal senso della materia cosmica. Accadde che la materia cosmica, la materia mini- ma, la materia della luce, “fiat lux”, acquistò corpo in una realtà effimera e da lì ebbe inizio il travaglio dell’uomo, il travaglio della vita102.

L’immaginazione dell’autore, accesa dall’infinitesimamente pic- colo delle particelle103 universali, offre nuove letture delle trepidazioni

101 Cfr. F. Parazzoli, Il gioco del mondo. Dialoghi sulla vita, i sogni, le memorie, cit., p. 128. 102 Ivi, p. 133. 103 A parte il riferimento classico al poema lucreziano, l’argomento di fisica atomistica e quantistica interessa la poesia più di quanto si possa solitamente immaginare. Al proposito si leggano, per esempio, le osservazioni di Antonio Prete: «Un’onda di probabilità, nella fisica delle particelle, non descrive uno stato o un luogo, ma una realtà fisica virtuale, tra l’esistenza e la non-esistenza, tra la presenza e l’assenza. Non appartiene a questa condizione anche la poesia? Che cosa essa indica se non un’altra realtà? “La Poesia”, dice Baudelaire, “è quel che c’è di più reale, è quel che è del tutto vero solo in un altro mondo”. […]. La materia del poeta ha molti tratti in comune con la materia che la fisica quantistica rappresenta: un vuoto di realtà, uno scorrere del virtuale, del potenziale, il do- 128 CIRO RICCIO [40] e delle desolazioni umane sviluppando similitudini con gli assunti cosmologici. Da uno di questi, una particella della coppia virtuale cade nel buco nero per lasciare l’altra libera di sfuggire verso l’infinito, nasco- no, per somiglianza, i seguenti versi:

… assiste profondità di sguardo alla nudità infine degli eventi estremi: frantuma il suo senso smarrito universo ch’era in noi modellato solo un istante fa cui serviva la lunghezza umana del braccio a misura d’amore lineamenti della tua figura i sassolini policromi di ciò che fu la terra … forse quel tanto d’eterno è solo questo: la pazienza bambina a ricomporre la nostra identità non più identica, tuttavia, non più verticale con l’arte bizantina del mosaico è il puro orizzontale di secoli, stirpi, qualche raro mattino che svola lassù come una fiammata … noi qui prolungate ombre degli oggetti come se fossimo il loro breve avvenire104 minio di un divenire i cui frammenti si fanno realtà solo nell’istante in cui sono osservati» (cfr. A. Prete, Della poesia per frammenti. Prose scelte. Con un saggio di P. Gabellone, Verona, Anterem, 2006, pp. 25-26, con omissis). 104 Cfr. la sezione Similitudini con L’“Universo in un guscio di noce” (Hawking) all’interno della raccolta Legame di sangue (L. P., pp. 324-327. Il testo citato è alle pp. 324-325). Il procedimento adottato, che fa scaturire la scrittura poetica da un asserto scientifico, ricorda quello, assai simile, impiegato da Calvino per narrare le storie sulla luna, la terra, il sole, le stelle, le galassie, lo spazio e il tempo. In quei racconti, l’autore si serve «del dato scientifico come d’una carica propulsiva per uscire dalle abitudini dell’immaginazione, e vivere anche il quotidiano nei termini più lontani dalla nostra esperienza». Ognuno di essi presenta dapprima una notizia scientifica sulla cui base il racconto, di cui è protagonista un impre- cisato personaggio, Qfwfq, viene imbastito. Si legga un esempio, dall’incipit della storia Il cielo di pietra: «La velocità di propagazione delle onde sismiche all’in- terno del globo terrestre varia a seconda delle profondità e delle discontinuità tra i materiali che costituiscono la crosta, il mantello e il nucleo». Cfr. I. Calvino, La me- [41] IL MERAVIGLIOSO PADANO NELLE POESIE DI ALBERTO BEVILACQUA 129

La lettura del reale sotto specie cosmologica giunge a ispirare talune esecuzioni di un altro motivo conduttore della poetica auto- riale, quello amoroso. Anche la dialettica dell’amore può essere ri- condotta ai principi delle leggi universali:

ma il ritmo galattico binario di due corpi amorosi per pura contraddizione di lunghezze d’onda pure similari porta alla collisione, all’infinito divario: […]105

L’algido assunto scientifico fa pendant con il purissimo disingan- no che orienta i versi de Il corpo desiderato106, silloge in cui Bevilacqua raggiunge vette prodigiose nel farsi esegeta dell’amore «di un tan- to/ scentrato sempre/ dal suo preciso bersaglio»107. Il disastro del- l’amore finito viene impresso dentro stampi analogici o similitudini di esemplare sarcasmo:

ero il piovasco d’autunno del tuo amore pura metereopatia

*** è come quando salta una lampada, credimi, il nostro farci contatto (non parliamo di sesso d’amore) non regge al carico elettrico, si fulmina qualcosa, è certo, può darsi una fantasia mia o invece così tua che ti approssima fino a farti me stesso

moria del mondo e altre storie cosmicomiche, con presentazione dell’autore, Milano, Mondadori, 1997, p. VI. Riguardo alla composizione, precisa l’autore: «Delle venti storie comprese in questo libro, La distanza della Luna, Senza colori, Sul far del giorno, Giochi senza fine, Lo zio acquatico e I Dinosauri facevano già parte delle Cosmicomiche (Einaudi, Torino 1965); altre sei – La molle Luna, I cristalli, L’origine degli Uccelli, L’inseguimento, Il guidatore notturno e Il conte di Montecristo – erano uscite in Ti con zero (ivi, 1967); le restanti otto erano inedite in volume» (ivi, p. V). 105 Cfr. ’Or: rosa della luce, in Piccole questioni d’eternità, L. P., pp. 251-252, vv. 25-29. 106 Cfr. L. P., pp. 187-242. 107 Cfr. Prime, IV, vv. 9-11, in Il corpo desiderato (poesie d’amore), L. P., p. 191. 130 CIRO RICCIO [42]

e tu ne rimani lontanissima, siderale108

Nell’esegesi amorosa, al polo opposto del disincanto più taglien- te sta l’allestimento di un raffinatissimo «cerimoniale erotico», cam- po fertile per le possibilità espressive di Bevilacqua, che mostra, come nota Bertoni nell’introduzione109 di L. P., di essere un vero maestro del genere. E su questo secondo versante della poesia d’amo- re del Nostro si ricostituisce, ancora una volta, il legame con l’iden- tico, l’originario lirico da cui tutto proviene, poiché la serie degli incontri amorosi è in un certo senso inaugurata e illuminata dal- l’iniziazione oltretorrentina che avviene con il silenzioso favore del- la «madre-amante»110, cui basta solo uno sguardo negli occhi del figlio per capire il suo ingresso nel mondo adulto. Da tale perfezione d’intesa tra il figlio, che ha «spaccato ogni minuto del vivere»111 della madre, e quest’ultima, la cui voce è pla- centa112 di ogni parola del futuro poeta, si avvia un discorso d’ine- sauribile senso, scaturente dalle migliaia di parole vergate dall’uo- mo che s’è fatto poeta per la madre, se possiamo considerare lei il motore dell’animazione lirica di Bevilacqua. L. P. accoglie, con le varianti strutturali rammentate in precedenza, il grosso dei compo- nimenti dedicati nel corso di una vita alla madre e compresi nella silloge Tu che mi ascolti, speculare, come s’è detto, alla narrazione in prosa dallo stesso titolo, di cui la raccolta poetica è, nel contempo, causa ed effetto, ispirazione e risultato: ultima tappa di un dialogo provvisto di pagine memorabili già dal tempo del romanzo Lettera alla madre sulla felicità113. Il «duetto per voce sola», metafora che il poeta attinge dalla sfera musicale per esprimere l’inarrivabile inten- sità del suo rapporto con la madre, poeticamente sigillato a partire dai versi adolescenziali «io cerco un ventre/ orgoglioso e umiliato/

108 Cfr. L. P., pp. 197 (Piccoli motti amorosi, 4, vv. 4-6) e 205-206 (Ascoltando Leporello, vv. 54-64). 109 Cfr. L. P., p. XXIV. 110 Cfr. L. P., Senza titolo, p. 382, vv. 1-5: «-ricordi/ quel qualcosa pari alla vita/ che ci faceva dispari nel doppio dove/ io ti chiamavo/ madre e amante […]» 111 Cfr. Il funerale in Tu che mi ascolti, L. P., p. 363, vv. 12-13: «io – che assurdo –/ io che ho spaccato ogni minuto del tuo vivere». 112 Cfr. la nota n. 3 113 Cfr. A. Bevilacqua, Lettera alla madre sulla felicità, Milano, Mondadori, 1995. [43] IL MERAVIGLIOSO PADANO NELLE POESIE DI ALBERTO BEVILACQUA 131 per morirci teneramente/ come ci sono nato», non si consuma nep- pure dopo la morte di lei:

madre, convinciti, è una sera come le altre, ci faremo l’uno all’altro luce, ora, fra poco, dovrò pur ritrovarla la lampada … era qui solo un eterno fa: il gioco sta per cominciare: nessuna assenza, manchi solo tu, ma è questo tuo mancare la presenza massima, luce semplicemente intessuta di luce diversa … sarà allora che ci vedrà insieme, e ne saremo insieme l’abisso, un oceano senza confini, quell’oceano114

Ciro Riccio

114 Cfr. madre, convinciti, è una sera, L. P., p. 402. È il testo che chiude la raccolta Tu che mi ascolti, sia nell’edizione Einaudi (cfr. nota n. 9), sia nella versione strutturale approntata per L. P. ANNO XXXVI FASC. I N. 138/2008

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