Alberto Roccatano

IL GOVERNO DEI CONGIURATI E LA FRECCIA DI APOLLO

www.nexusedizioni.it Alberto Roccatano – novembre 2013 Scritto per: www.nexusedizioni.it © Riproduzione riservata Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo

Non esistono le pillole della libertà. La libertà si costruisce tutti i giorni, appena svegliati. La libertà è fatica giornaliera, non fatevi imbrogliare da chi vi dice che è un diritto. Se un governo imprigiona il suo popolo, lo fa usando il diritto contro di lui. Se un governo imprigiona il suo popolo, il popolo ha una sola strada percorribile: la ribellione. E dopo la ribellione, la libertà è ancora fatica giornaliera.

Ruba quello che altrimenti si ruberebbero gli altri, vieni con me, se vuoi diventare ricco. Lasciati alle spalle i poco furbi, vieni nel mondo del progresso, guarda come si vola liberi nell’aria, ti dice Padron Mercato. Non credergli, quando, dopo averlo seguito nei latrocini e negli assassinii arricchenti, ti dirà: vieni con me, impara a volare, e lo seguirai oltre il precipizio. Per un attimo penserai, soddisfatto, “sto volando”. Poi, per quanto tu muoverai le braccia, come se fossero ali, vedrai il sorriso beffardo di Padron Mercato, ti vedrai precipitare nell’abisso, e sarà troppo tardi per tornare indietro.

Come è organizzato questo scritto.

2 Preambolo 3 Premesse Funzionali 3 La prima. I congiurati 7 La seconda. Il troiano Alastoride 15 La terza. Cattolici e siriani 21 La quarta. Un pinguino 22 La quinta. Il cibo 25 I catilinari partitici governanti 39 Il Monti mascherato 45 Studenti: in Carrozza 49 Cara Italia, ti cambio i connotati 79 Danarite: la sciolina dei discesisti congiurati 81 La tanica di veDrò 89 I lunghi giorni di Catilina 101 Manovre di palazzo 123 La costituzione peggiorabile 139 Tre “V”, il Vajont, il Vietnam, il Vuoto della “Sinistra” 159 L’angelo del musicante

Indice 1 Preambolo

Questo scritto ha una funzione di affiancamento e supporto al mio libro Dalle stragi del 1992 a Mario Monti, e ne conferma la preoccupante struttura orientativa, basata su un gran numero di documenti che gli eventi del dopo-pubblicazione, purtroppo, per- ché non è un piacere per me constatarlo, confermano e aggravano. Il titolo del libro, da poco pubblicato da Nexus edizioni, per il cui sito scrivo da anni su temi di geopolitica ed economia, è, quindi, da memorizzare. Tenetene conto quando, nelle pagine prossime, troverete dei riportati provenienti, appunto, “dal mio libro”.

Va sottolineato che in Italia, il regime che nel dopo guerra ha preso il posto del pre- cedente, la libertà di stampa è raro che la metta in discussione; tanto manovra con il controllo ferreo della distribuzione di tutto ciò che è stampato. Come spesso dico ad amici e colleghi giornalisti, la vera questione di cui ci si dovrebbe occupare, oltre che della libertà di stampa, è della libertà di distribuzione. È davvero possibile che un gran numero di “cartacei scomodi” di scrittori scomodi, dopo prolungati blocchi nei depositi dei distributori, vadano a finire al macero, senza essere mai passati da edicole e librerie? Cercando comprove, provate intanto a chiedervi perché non trovate il motivo funzio- nale di questo scritto nelle edicole e nelle librerie. Chi manovra da tempo in Italia è servo dei servi del, da sempre, globale Padron Mer- cato. Ecco perché non è un caso che la terribile realtà del cosiddetto “dopo Monti”, sia comprensiva dell’aggravarsi dei rapporti internazionali, derivanti dalle interferenze sempre più marcate sulla nazione siriana. Sta accadendo in Siria quanto è accaduto alla Libia, gli attori visibili sono ancora gli stessi: Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna. Basti pensare alla creazione artificiosa ed al foraggiamento dei cosiddetti ribelli, fra i quali c’è un numero gigantesco di mercenari provenienti da più di ottanta paesi del mondo, moltissimi dei quali neanche parlano l’arabo.

A questo grave scenario in grado di provocare un conflitto mondiale, va aggiunto l’ef- fetto disastroso ed esplosivo dei titoli tossici che sta per scatenarsi dalle banche europee, soprattutto da quelle italiane, al mondo intero, come ho scritto nell’articolo Il tizzone MPS riaccende il fuoco della crisi mondiale. Chiedetevi perché, per esempio, la Unicredit sta cercando denaro “fresco” con l’emissione di un prestito di un miliardo di euro.

Ci serve un luogo alto da cui osservare gli eventi nazionali ed internazionali. Questo luogo alto deve essere sostenuto da punti fermi, punti solidi, non esattamente usuali, in grado di sostenere la stessa impalcatura di supporto e accompagnamento del mio libro. Immaginate questi punti fermi come dei piloni immersi profondamente in una area paludosa (che ben rappresenta la società attuale), perché debbono reggere una struttura particolare che in altri luoghi (in altra società) sarebbe costruita su solida roccia. Molti palazzi nella bassa milanese, per esempio, sono stati costruiti tenendo conto della terra paludosa che la contraddistingue.

2 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo Premesse Funzionali

Ecco dunque i cinque piloni, che chiameremo “premesse funzionali”; sono quelli che reggeranno l’impalcatura di questo scritto; immaginate questa impalcatura come una piramide; considerate il quinto pilone fatto di energia; questo fascio sottilissimo di energia immaginatela proiettata verso il punto aereo in cui si incontrano gli angoli delle facce triangolari, sostenute dai quattro piloni posti a quadrato.

Il primo pilone vi mostra il governo dei congiurati, come qui viene denominato il go- verno Letta.

Il secondo pilone, dipartendosi dall’Iliade omerica, spiega la frase la freccia di Apollo presente nel titolo di questo scritto.

Il terzo pilone, dipartendosi dalla Siria e dalle aggressioni subite dalle realtà locali catto- liche e ortodosse, cerca di mostrare come, dall’esterno, si cerchi di costruire le premesse di uno scontro mortale fra cristianesimo e islam; uno scontro che, nei progetti di questo gruppo criminale, porterà all’implosione dell’Europa, utilizzando le genti di religione islamica che da più di quaranta anni si vanno ramificando nel territorio europeo. (Vedi anche il mio saggio Ma cos’è questa crisi.)

Il quarto pilone vi mostra l’immagine di un pinguino e ve ne spiega il perché.

Il quinto pilone, che è quello fatto di energia ed è posto al centro fra i quattro, vi parla del cibo, cui ho accennato durante la presentazione del mio libro (trasmessa in strea- ming) il 19 maggio 2013 a Battaglia Terme.

Eccovi le premesse funzionali.

La prima. I congiurati

Era appena iniziato il 2008 e nella calza della befana, che verrà aperta verso la fine del mese, invece dei cioccolatini fanno bella mostra le dimissioni del segretario dell’Udeur, Clemente Mastella, ministro della Giustizia nel secondo governo di Romano Prodi. L’appoggio esterno prima e poi l’uscita dell’Udeur dalla coalizione governativa sono di- retta conseguenza dell’apertura di un’inchiesta da parte della magistratura, sui familiari prima, e poi sullo stesso Mastella. Il Capo dello Stato non scioglie le camere. Il 30 gennaio affida l’incarico di formare il governo, finalizzato al compimento delle riforme, al presidente del Senato Franco

Premesse funzionali 3 Marini. Proprio in quelle ore a casa del Presidente emerito, Francesco Cossiga, si trova il gior- nalista Andrea Cangini. Insieme stanno preparando un libro, frutto di una serie di in- contri, in cui si parla praticamente a ruota libera. Il libro, pubblicato nel 2010 da Aliberti Editore, ha un titolo particolare: Fotti il potere. È qui che troviamo questa annotazione. (Provate ad analizzare e a valutare la frase qui sotto in grassetto. Da queste parole, sia pure riportate, provate a valutare il carattere di chi spinge un Presidente emerito a for- zare gli eventi per ottenere lo scopo che ha in mente. Vedete forse un carattere accomo- dante, remissivo o piuttosto un carattere con visibili vene autoritarie?)

Il capo dello stato ha appena conferito l’incarico al presidente del senato Franco Marini e nello studio del presidente si nota un’insolita frenesia. Gente che va gente che viene in un’incessante svolazzare di agenzie di stampa che passano di mano in mano e a ogni passaggio ispirano un commento. I telefoni non fanno altro che squillare. Politici, manager, uomini di chiesa, tutti alla ricerca di elementi utili per capire l’aria che tira, tutti a chiedere piccole o grandi intercessioni. Ha chiamato anche Giorgio Napolitano. “Mi ha chiesto di presentarmi a casa di Berlusconi, senza preavviso, e fare di tutto per convincerlo a sostenere un governo di larghe intese”, con- fida Cossiga. Il quale eseguirà senza successo la missione.

Quando non si vuole che si concretizzi un evento, che si considera sfavorevole e im- peditivo al raggiungimento degli scopi di parte che ci si è (spesso non pubblicamente) prefissi, allora si da il via al bizantinismo dilatorio e deviatorio. È una metodologia ben radicata nel partitismo italiano. Con questi tre termini congiunti intendo la messa in opera di iniziative basate su sottigliezze inutilmente complicanti, allo scopo solo di prendere tempo, mentre si cerca di sviare l’avversario, che per il partitico è sempre un nemico, per metterlo in condizioni di non nuocere, mentre si raggiungono gli obiettivi di parte. Come si vede un discorso lungo per sostenere la significanza dei tre termini appena nelle righe sopra (e sotto) congiunti. E Berlusconi, non essendo un partitico di razza non sa neanche cosa sia il bizantinismo dilatorio e deviatorio, non ne vuole sapere di un governo di larghe intese; punta invece alle elezioni anticipate pensando di vincerle. E infatti le vincerà. Ma non sa che anche fra i suoi ci sono quelli che prima contribuiranno ad imporre il governo Monti al Paese e poi “si faranno convincere” a sostenere un governo di larghe intese. Aiutino per il lettore. Le larghe intese sono come i mutandoni aderenti dei nostri non- ni, che li coprivano dal collo alle gambe. È la maglia stretta dove vengono costrette le grassottelle compagini partitiche, fra loro in competizione elettorale. Il numero di teste, braccia, gambe che fuoriescono dal mutandone del nonno dipendono dal numero dei largheintese-isti. Provate ad immaginare l’effetto visivo di questi mutandoni aderenti nei quali Enrico Letta ha imbragato questo esecutivo, secondo le indicazioni di Giorgio Napolitano, praticamente le stesse del 2008. Facciamo le necessarie riforme, ma in più, oggi, dopo Monti, è il Letta-dopo-Monti, che farà soprattutto le riforme perentoriamente ordina-

4 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo te dall’Europa all’Italia. Il Presidente della Repubblica, secondo i limiti costituzionali, ha semplice funzione notarile che lo obbliga alla terzietà. Se così non facesse, e nella cosiddetta “prassi” avviene apertamente dai tempi di Scal- faro, sarebbe, anzi è, come se un notaio interferisse secondo i propri interessi, non ha importanza di quale tipo (anche se li considerasse “nobili”, o reattivi a persone conside- rate “ignobili”), sull’atto a cui due o più contraenti gli chiedessero di dare valore legale. Infatti l’art. 92 parla di nomina, non di motivazioni e scopo della nomina.

Art. 92 Il Governo della Repubblica è composto del Presidente del Consiglio e dei ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei ministri. Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri.

Dunque, le motivazioni e lo scopo della nomina sono il risultato delle indicazioni pro- venienti dalle forze partitiche presenti nel Parlamento. Non è vero che la Costituzione dà al Presidente della Repubblica la facoltà di incaricare la persona che debba formare il nuovo governo. L’articolo 92 usa il termine nomina, non il termine incarica, e la nomina è l’atto finale, nei seguenti articoli costituzionalmente implicito, delle indicazioni delle compagini partitiche parlamentari di cui semplice- mente il Presidente della Repubblica deve prendere atto, secondo il principio di terzietà cui è obbligato. Egli assegna l’incarico di formare il nuovo governo alla persona che le compagini partitiche gli hanno indicato, perché a quella persona, da loro indicata, sono pronte a dare la fiducia, sia alla Camera che al Senato. Il Presidente non può nominare chi gli pare, a seconda del sogno che ha fatto la notte precedente o secondo quanto gli ha raccomandato la maga o il mago di turno, opportunamente per scaramanzia inter- rogati. Quella italiana non è una repubblica presidenziale (come quella francese) e cercare con le furberie partitiche della “prassi” di giungere all’ormaismo trasformativo del dettato costituzionale, questo sì che deve essere ascritto al termine “golpe costitu- zionale”. L’articolo 93 mostra pienamente questa funzione notarile dell’ospite provvisorio del Quirinale, ospite che non è un re anche se prima al Quirinale abitava il Re.

Art. 93 Il Presidente del Consiglio dei ministri e i ministri, prima di assumere le funzioni, prestano giuramento nelle mani del Presidente della Repubblica.

Di fatto, dunque, se l’articolo 94, di seguito riportato, dichiara che il governo deve avere la fiducia delle due camere, il termine nomina, attribuito al Presidente della Repubblica, utilizzato dall’articolo 92 ne definisce con chiarezza solare i limiti. In sintesi. I rappresentanti dei partiti nelle due camere mi hanno espresso le loro indicazioni, e io Presidente della Repubblica ne ho preso atto, a queste mi sono conformato e la persona,

Premesse funzionali 5 che da più parti mi è stata indicata, ho nominato Presidente del Consiglio, sarà il Parla- mento a dargli l’incarico ufficiale, attraverso il voto di fiducia. Lui ha scelto liberamente i ministri ed io non ho minimamente interferito nella scelta, ne ho solo preso atto. Quindi i componenti del governo, alla mia presenza, in qualità di notaio costituzionale della Repubblica, hanno giurato fedeltà alla Repubblica, firmando gli atti costituzional- mente previsti. Questo significa la connessione fra l’articolo 92 e l’articolo 94 passando dall’articolo 93.

Art. 94 Il Governo deve avere la fiducia delle due Camere. Ciascuna Camera accorda o revoca la fiducia mediante mozione motivata e votata per appello nominale. Entro dieci giorni dalla sua formazione il Governo si presenta alle Camere per ottenerne la fi- ducia. Il voto contrario di una o d’entrambe le Camere su una proposta del Governo non importa ob- bligo di dimissioni. La mozione di sfiducia deve essere firmata da almeno un decimo dei componenti della Camera e non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione.

Dovrebbe dunque essere chiaro che il Presidente prende atto delle indicazioni che gli sono pervenute dalle compagini partitiche parlamentari consultate, e, quindi, al Parla- mento stesso è demandato il compito di dare la fiducia al governo nominato, secondo le sue funzioni notarili, non scelto, dal Presidente della Repubblica. Stabiliti questi punti fermi, analizziamo le seguenti informazioni. Durante la video-conferenza del 3 settembre 2011 a Cernobbio, Giorgio Napolitano nel rispondere all’ex ambasciatore Sergio Romano si premurava di affermare:

8 Il giorno in cui si aprisse una crisi di governo – e questo è sembrato che potesse accadere alla fine dell’anno scorso, ma non accadde – io, secondo i miei poteri e secondo la prassi costituziona- le, chiamerei a consulto tutte le forze politiche e mi assumerei la responsabilità anche di fare una proposta per la soluzione della crisi.

9 La Costituzione mi da sempre, tra l’altro, la facoltà di incaricare la persona che debba forma- re il nuovo governo: in quelle circostanze farei la mia parte.

(Vedi pagina 108-109 del testo Dalle stragi del 1992 a Mario Monti)

In questa risposta appare evidente l’alterazione nel frattempo avvenuta del senso, del significato, del limite prassicamente superato, dell’articolo 92 della Costituzione. Basta dare il giusto, e alterante, significato alla frase del punto 8: …io, secondo i miei poteri e secondo la prassi costituzionale… e a quella del punto 9: La Costituzione mi da sempre, tra l’altro, la facoltà di incaricare la persona che debba formare il nuovo governo… E in quale articolo della Costituzione sarebbe chiaramente, tra l’altro, descritta questa autonoma… facoltà di incaricare la persona che debba formare il nuovo governo…? Del resto se gli atti del Presidente della Repubblica non hanno valore se non sono con-

6 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo trofirmati dai ministri in carica, come si evince dal di seguito richiamato articolo 89; a maggior ragione non possono esistere atti che siano ascrivibili ad una figura che viene dichiarata addirittura irresponsabile, come risulta dall’articolo 90 di seguito richiama- to. E non c’è prassi che tenga.

Art. 89 Nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai mini- stri proponenti, che ne assumono la responsabilità. Gli atti che hanno valore legislativo e gli altri indicati dalla legge sono controfirmati anche dal Presidente del Consiglio dei Ministri.

Art. 90 Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione. In tali casi è messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune, a maggioranza assoluta dei suoi membri.

Si esagera, se si affermasse che dai tempi di Oscar Luigi Scalfaro, e soprattutto nei tempi di Giorgio Napolitano, la figura costituzionale del presidente della repubblica ha buttato fra le stoppie, infuocate in nottestiva, della tenuta presidenziale di Castel Por- ziano, la camicia costringente alla terzietà? Si esagera, se si affermasse che l’assunzione di ruoli travalicanti i limiti costituzionali è configurabile come attentato alla Costituzione? Si esagera, se si affermasse che per l’operazione Mario Monti, Giorgio Napolitano avrebbe dovuto essere posto in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune a mag- gioranza assoluta dei suoi membri? Infatti, in questo 2013, il (mai avvenuto prima) rieletto Giorgio Napolitano, che si com- porta ormai come se fosse un Presidente-Re, memore degli obiettivi non raggiunti del 2008, non ha dovuto fare una grande fatica a riconoscere un largheintese-ista nella figura di Enrico Letta. Il fatto è che quello stesso Enrico Letta, succeduto a Mario Monti, ne è anche uno degli inventori, come documentato nel testo Dalle stragi del 1992 a Mario Monti. (Pagine 79, 81, 105, 106, 110, 113, 188, 213, 214, 216, 217, 221, 222, 224, 359.) Cacciato Catilina-Monti, dopo le elezioni, sono apparsi i congiurati che lo hanno mes- so a capo del governo, che potremmo denominare Napolitano-Monti-Letta. Nelle pagine prossime troverete la lista dei ministri del governo Letta. Provatevi ad indovinare chi sono i congiurati.

La seconda. Il troiano Alastoride

Le cruenti scene rappresentate da Omero nell’Iliade, una volta analizzate secondo il profilo medico, dimostrano che l’estensore dell’antico poema greco aveva una buona co- noscenza dell’anatomia umana. l’Omero dell’Iliade, dunque, appare come un testimone che ha assistito alle scene che racconta; come se fosse un inviato di guerra ante-litteram.

Premesse funzionali 7 Il che, entrando nel mondo della logica, dovrebbe far emergere domande su chi e quan- do ha scritto i poemi a lui attribuiti. Ma sono domande che non saranno poste in queste pagine. In queste pagine è sul poema omerico, su Alastoride, che voglio attirare la vostra attenzione. Non uccidermi diceva il giovanissimo guerriero troiano Alastoride ad Achille, suppli- candolo, mentre si stringeva alle sue ginocchia, sotto le mura troiane. Ma Achille gli infilò la spada nel fianco destro e un nero fiume di sangue ne uscì e si riversò nel terreno intorno. (Iliade, XX, 460- 472). Ed altri e tanti ne uccise il principe mirmidone figlio di una Dea, prima che toccasse ad Ettore, trascinato morto sotto le mura troiane, il padre, Re Priamo, e la madre piangenti. Ettore aveva supplicato Achille di non essere abbandonato alle belve, dopo che lo avesse ucciso, ma che il suo corpo venisse restituito alla sua gente, perché avesse l’onore del rogo. Ma Achille, ancora irato per la morte dell’amico Patroclo ucciso proprio da Etto- re, non ne vuole sapere. Nello sfondo ci sono le porte scee di Troia, le cui mura erano appunto chiamate scee, perché la porta di entrata della città era angolata a sinistra – skaiós in greco – costrin- gendo gli assalitori, che vi volevano penetrare, a scoprire il vulnerabile fianco destro, lo scudo essendo tenuto sul braccio sinistro. Il gigantesco e giovane Ettore, prima di scendere nell’abisso della morte, avverte Achil- le cuore di ferro che la sua morte scatenerà l’ira di Apollo. Il suo dio protettore, lui, di fronte alle scee porte troiane, lo vendicherà uccidendolo. Non si senta, dunque, Achille un intoccabile semidio. Quanto alle sue spoglie, sarà Apollo a chiedere l’intervento di Giove perché venissero consegnate al padre Priamo che le chiederà ad Achille, giungendo nottetempo, inatteso, nella sua stessa tenda. Achille è figlio di Pelèo, Re dei Mirmidoni, e della dea Teti che lo aveva immerso appe- na nato, tenendolo per il tallone, nell’infernale fiume Stige per assicurargli l’immortalità e l’invulnerabilità. Ma una freccia lo colpirà proprio nel suo unico punto debole, il tal- lone di Achille, un punto debole che un mortale non poteva conoscere. Non sappiamo se la freccia sia stata scoccata dall’arco di Paride (da Apollo assistita), o direttamente dall’arco di Apollo. È una storia che Omero non racconta nella sua Iliade. Si sa che avverrà. Infatti è lo stesso Ettore morente ad anticipare all’eroe mirmidone che morirà sotto le scee mura troiane per mano di Apollo; ma Omero non la vuole raccontare la morte di Achille. Non la racconterà perché la morte del figlio di una Dea e di un mor- tale, destinato all’immortalità e all’invulnerabilità, non può che essere opera di un altro dio, e quel dio non poteva essere che Apollo che quel tallone, che sa mortale, colpirà con la sua vendicativa, fatale, precisa freccia. Lo aveva previsto l’oracolo, e lo aveva profetizzato alla madre Teti, che suo figlio sarebbe morto nella guerra scatenata dai greci contro Troia. Inutilmente la madre Teti cercherà di confondere il destino, perché quella freccia non fosse scoccata, supplicando anche l’intervento di Giove. Fu Calcante, l’indovino, sapendo che senza Achille la guerra con- tro Troia non sarebbe stata vinta, ad indicare ai greci il materno nascondiglio; e fu lui, il figlio di Teti, a scegliere il suo fato, il suo destino, non lunga vita senza gloria; ma la

8 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo morte gloriosa degli eroi. Gli dei dell’Olimpo, per loro era solo un giocare con i mortali, si erano divisi nell’ap- poggiare i Greci o i Troiani. Il dio Apollo parteggiava per i Troiani ed era irritato per il comportamento di Achille che approfittava della sua immortalità ed era crudele e spietato. Visto che in queste righe si parla dei Mirmidoni dell’isola di Egina e che di questa isola si parla nel libro, da pagina 470 a pagina 471…

Dunque, quando, caro popolo, senti il termine democrazia e democratico drizza le antennine, come farebbero i Mirmidoni della Tessaglia, pronti alla battaglia, con Achille, nella guerra di Troia. Esattamente come un gigantesco formicaio disturbato. Già, perché il greco popolo dei Mirmidoni si chiamava così perché erano in origine delle formiche. Era stato Zeus a trasformarli in esseri umani per abitare l’isola di Egina, dove una pestilenza aveva decimato la popolazione. In questa isola si recava spesso Pindaro; e lì ha scritto molti dei suoi epinici (poemi celebrativi sulle vittorie sportive e nello sfondo storie di popoli e mitologia antica). Da lì guardava il resto del mondo e, quando poteva, viaggiava e raccontava di sfide, di vittorie, di Miti, di Dei.

… e potrete considerare quanto queste righe, che avete appena letto, siano utili ai nostri ragionamenti. Vale la pena, inoltre, ricordare che proprio nella vulcanica isola di Egi- na (Aegina) si trova l’arciere che trovate ad apertura di questo scritto. (Utilissimo agli studenti che vogliono misurare la correttezza storiografica dei loro insegnanti di Arte.) Vedi il mio articolo del 16 dicembre 2004: Musei vaticani: una mostra fuori dall’ordina- rio, i colori delle statue antiche (lo trovate nel web digitando esattamente il titolo) dove scrivo…

Rimarreste stupiti ad osservare la calzamaglia colorata a rombi che avvolge il corpo dell’arciere, interpretato come troiano, il cui originale, ormai privo di colore si trova in Grecia a Egina sul frontone occidentale del tempio di Atena Aphaia.

Due guerrieri inginocchiati pronti a colpire, uno, con l’arco e la freccia (quello che già conoscete), di fronte all’altro, con lancia protesa e scudo, che si contendono un terzo guerriero, disteso, ferito da una freccia sul petto che si sta togliendo. La scena è rappre- sentata (a colori, tutta a colori) sul frontone del tempio dedicato originariamente alla dea protettrice dell’isola, la Dea Aphaia e poi condedicato ad Atena. Una scena che richiama il Dio Apollo difensore dei Troiani, nella guerra fra troiani e greci. Una guerra di umani e nello sfondo le tifoserie degli Dei. Così i governanti duellanti, come gli dei dell’Olimpo, prima si accapigliano e poi si allargano ad intesa, sempre a discapito dei miseri mortali, che oggi vengono chiamati popolino (non topolino). Sono sempre loro, i mortali, spinti a combattersi e a fare le guerre per il divertimento degli abitanti dell’olimpo governativo. Sono loro, i mortali, a mantenerli con imposte, tariffe e tasse sempre più esorbitanti. Che poi le imposte sono tributi calcolati in percentuale sul patrimonio e sul reddito di ogni singolo cittadino, come il tributo dovuto allo stato nell’antica Roma. Ché il mondo economico è antico mica poco; hai voglia a farlo a pezzi. C’è qualcuno che lo rimette

Premesse funzionali 9 sistematicamente in piedi e trova sempre, millennio dopo millennio, aiutanti ricostrut- tori sempre ben pagati (vuoi mettere il piacere di vivere dentro l’asola di un secolo e in panciolle [oziando a pancia all’aria] sfruttando il popolino). In più ci sono le tariffe di ogni genere e sempre più costose (i mezzi pubblici, la posta, la banca, l’acqua potabile, il gas, l’energia elettrica, il telefono…) E le tasse? Ah le tasse, intendi quelle comunali, regionali, governative? Eh ragazzi! La scuola, l’asilo, l’ospedale, la casa popolare, il sostegno ai poveri, la costruzione e la manutenzione di strade, parchi, edifici pubblici chi pensate che li paghi, ma i populisti no? Quelli, i governativi, mica c’hanno la stamperia monetaria in cantina (i populisti preferiscono c’hanno a ci hanno). E poi, quando vogliono incastrare per benino, e per i futuri secoli, i polli che Padron Mercato gli ha ordinato di “governare” (e di spennare), chiedono i prestiti alla Bce o ad altre banche o Enti, tanto, quando debbono restituire i capitali e pagare, tutti gli anni, i relativi interessi, chi pensate che li debba restituire e pagare; ma i populisti no? (In padronmercatese si dice mettere all’asta i debiti, più è rischioso per il compratore, più gli interessi si innalzano.) Ma pagano anche quelli che c’hanno il mutuo da pagare? Si, pagano anche i populisti che c’hanno il mutuo da pagare e magari c’hanno anche i bambini piccoli da crescere. Cosa hai detto che ho dimenticato? Le sanzioni amministrative? Effettivamente è una dimenticanza grave. Sono quelle che il populista non avvezzo al burocratese, chiama genericamente multe. Si comprende, dunque, perché loro, i mortali populisti, chiedono di non essere oppressi, vessati, uccisi (perché anche la costrizione al suicidio è uccidere) dalle eccessive imposte, tasse, sanzioni amministrative da centocinquant’anni sempre votate dai “rappresentanti del popolo”, gli inavvicinabili Dei governativi. Sono loro gli oppressori, un’oligarchia di tiranni, che, con norme capestro, moltiplicano le imposte, le tasse, le sanzioni che non si riescono a pagare entro le date prefissate e si sono inventati anche gli interessi per i ritardati pagamenti. Sono loro, i mortali populisti che, come il giovanissimo Alastoride, chiedono di vivere una vita serena, si ritrovano invece in guerra contro lo stato e sono uccisi in modo cru- dele, spietato. Perché la spada assassina sono loro ad impugnarla, i governativi, carcerieri per conto del direttore di Alcatraz, l’Unione Europea. Questi ben pagati carcerieri si credono immortali e non sanno che anche gli dei finiscono nelle tombe, magari loro appena più in là nel tempo, non come i governativi che campano meglio dei populisti, vivendo di stenti altrui, ma nelle tombe finiscono. E c’è sempre qualche arciere, fra di loro, che saetta la freccia mortale. Non si amano molto fra loro gli dei dell’olimpo economico che vivono nei sotterranei della partiti- ca. Li i denari non mancano, tutti i giorni gli sgherri che derubano i mortali populisti ne portano a tonnellate, ma ne vogliono sempre di più, perché Padron Mercato ne vuole sempre di più. Chissà perché dei privati (che alle spalle sono sempre sostenuti da imprese) dovrebbero fare delle donazioni di denaro ai partiti. Bisogna evitare che ci siano partiti più addana- rati degli altri, perché possono contare su maggiori donazioni. E che diamine! Mettia- moci d’accordo, dicono i largheintese-isti. Pensa che ti ripensa, emenda di qui, emenda

10 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo di là, è arriva l’idea. I singoli privati non potranno “donare” ai partiti, ogni anno più di 300mila euro, ma, a questo limite, ci si arriverà in modo progressivo, con riferimento al bilancio 2013 di ogni partito, a partire da quando la legge entrerà in vigore fino al 31 dicembre del 2017. Ragazzi è un’ideona, strillano alla Camera i deputati Pdl, Pd, Sel e Scelta Civica di Mario Monti. “Continueremo a chiamarvi ladri” li apostrofa un deputato dai banchi del Movimento 5 Stelle. Apriti cielo! Dai banchi di Scelta Civica c’è chi si toglie un sandalo e lo mostra, minaccioso, verso i M5S-isti. È il sandalo di un deputato definito “france- scano” perché ha fatto sapere a tutti che gli introiti superiori a 2.500 euro li devolve in beneficenza. Dai banchi del Pd, denunciano quelli del M5S, sono addirittura arrivate frasi come “Vi aspettiamo fuori, vi ammazziamo” (se fosse vero sarebbe gravissimo, an- drebbe verificato nello “stenografico” della seduta del 10 ottobre 2013). Abolire il finanziamento ai partiti. Agire per gli altri a titolo gratuito pare sia un brutto dire da quelle parti. In questo mondo sotterraneo della partitica, chiamato “sacre istituzioni”, anche i nuovi arrivati imparano presto cosa rispondere ai mortali affetti da populismo. “L’idea di una politica gratis per quel che mi riguarda è una pessima idea. È un modello che non dobbiamo inseguire anche se fa guadagnare titoli sui giornali” ha infatti urlato ai populisti una nuo- va arrivata negli alti scranni sotterranei delle “sacre istituzioni”. Pare abbia ricevuto il plauso degli altri occupanti delle “sacre istituzioni”; sono soddisfatti, ha imparato bene la lezione la nuova arrivata. L’hanno mandata a scuola: aveva il compito di convincere i riottosi populisti del mondo di sopra a spostarsi dai loro paesi per inseguire i paradisi nostrani, mostrati come le carote ai golosi conigli. È una che è stata “missionaria” al seguito delle cosiddette truppe di pace che aggredivano e distruggevano Paesi come la Jugoslavia, l’Iraq, l’Afghanistan. Quanto agli incarichi presso la Fao, valgono le parole di Francesco Cossiga:

Le Nazioni Unite primeggiano nello spendere quattrini, quanto alla Fao l’unico problema che è riuscito a risolvere è stato quello del benessere e del posto di lavoro dei suoi numerosissimi e ottimamente pagati dirigenti e dipendenti, altro che fame nel mondo.

Le trovate a pagine 167, sempre nel libro Fotti il Potere nella prima parte richiamato. Nel novembre del 1950, 51 senatori avevano presentato una mozione nella quale si chiedeva la costituzione di un esercito, di un parlamento europeo e di un consiglio federale del governo europeo. La mozione, qui di seguito riportata, era stata approvata con il voto contrario della sinistra socialista e comunista. Ed è su questo argomento che De Gasperi basò l’intervento che Mario Monti a Rimini, nel 2012, ha fatto passare (come altri) per il discorso dedicato ai giovani.

«Il Senato della Repubblica affermando il fondamentale interesse dell’Italia al mantenimento della pace e ritenendo essenziale a questo scopo eliminare le ragioni di conflitto in Europa; ravvisa nel rinvigorimento morale, sociale e materiale dell’Occidente europeo il contributo più efficace alla salvaguardia sia della pace, sia della democrazia, che sono necessità e legge di vita per questi Paesi; e considera egualmente urgenti a risolvere durevolmente il problema primordiale Premesse funzionali 11 della sicurezza collettiva dell’Europa il consolidamento sia della sua capacità militare di difesa, sia della sua organizzazione politica, possibile solo attraverso nuovi e più stretti vincoli, di carattere federale; e pertanto raccogliendo il voto di larga parte del popolo italiano – di cui è eloquente indice la “petizione per un patto federale” che viene presentata al Parlamento ita- liano – considera urgente promuovere la costituzione di un primo nucleo federale tra i Paesi democratici dell’Europa occidentale, che con maggiore urgenza cercano nella unione forza, salvezza, ed all’unione sono spiritualmente più maturi; considera questa prima realizzazione base ed avviamento ad una più ampia unità europea, primo scalino di una migliore e più efficace orga- nizzazione pacifica del mondo – nella presente fase storica – articolazione armonica e necessaria sia della comunità atlantica, sia del sistema di sicurezza dell’O.N.U. ora in discussione, tanto sul piano politico, che sul piano militare; sollecita – in armonia con il voto della recente Assemblea di Strasburgo – la costituzione di un esercito europeo che, superato l’attuale periodo di prov- vedimenti militari di emergenza, deve rappresentare l’autonoma capacità e forza di difesa di una Europa padrona del suo destino, ritenendo che il carattere europeo di questa organizzazione militare agevolerà il contributo tedesco alla difesa dell’Europa; e riconoscendo nelle mète indicate il primo obiettivo della politica internazionale italiana, invita il Governo a secondare e promuo- vere ogni iniziativa che possa portare rapidamente ad una prima convenzione tra i Paesi indicati per la costituzione di un Parlamento e di un Consiglio federale del Governo».

Leggere questa mozione e chiedersi se le sinistre, comunista e socialista, italiana ab- biano subito una mutazione o se, semplicemente, siano uscite da una multi-decennale finzione è tutt’uno. (Vedi pagina 300-302 del testo Dalle stragi del 1992 a Mario Monti.) Se poi lo confrontiamo con quanto ci racconta Cossiga intervistato da Cangini (vedi Fotti il potere a pagina 177):

Ricorda il presidente e lo ricorda bene avendoci rimediato un pugno in faccia “La zuffa con i comunisti che alla Camera seguì il discorso con cui Aldo Moro, allora ministro degli esteri spiegò perché non potevamo non essere solidali con gli Stati Uniti nella guerra col Vietnam”.

E uno, un pugno in faccia durante una zuffa fra deputati nell’emiciclo di Montecitorio, sì che se lo deve ricordare bene. Soprattutto se motivato dalla solidarietà agli Stati Uni- ti, per la guerra scatenata contro il Vietnam. Aldo Moro, nella IV legislatura, aveva guidato i primi governi di Centrosinistra al- largati ai socialisti, ai socialdemocratici e ai repubblicani (il Pentapartito, come veniva chiamato il governo Moro facendovi parte anche il partito Repubblicano e il partito Liberale). Proprio durante lo scorrere di questa legislatura, e dei relativi governi Moro, si scatenarono gli eventi che portarono gli Stati Uniti ad impantanarsi in Vietnam. Un paese che divenne bandiera della sinistra rivoluzionaria sessantottina anti-imperialista (cioè contro le nazioni che pretendevano di controllare e gestire altre nazioni). Aldo Moro era intervenuto al Senato il 12 febbraio 1965 anche nel suo ruolo di Mini- stro degli Esteri ad Interim dal 29 dicembre 1964 al 5 marzo 1965. Infatti il ministro degli esteri del suo governo, Giuseppe Saragat (del PSDI), era stato eletto, il 28 dicem- bre 1964, Presidente della Repubblica e si era quindi dimesso all’indomani della sua nomina.

12 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo In questo suo intervento, al senato, aveva assicurato la solidarietà del governo italiano agli Stati Uniti, impegnati militarmente a difesa del Vietnam del Sud filo occidentale che si contrapponeva al Vietnam del Nord filo sovietico e cinese. Fu dopo l’intervento al Senato di Moro che Francesco Cossiga, che alla camera soste- neva le posizioni del Presidente del Consiglio sulla questione vietnamita, si prese un pugno in faccia dal discolo comunista Gian Carlo Pajetta, come racconta Cossiga nella pagina 177 che abbiamo sopra riportato. Indelebile in memoria se il presidente emerito e senatore a vita, durante il IV governo Berlusconi (2008-2011), ancora ricordava “i bei tempi”, delle scazzottate in aula. “Quel giorno ricevetti un pugno in piena faccia da Pajetta”; raccontava nel suo ufficio al Senato ad un inviato della Adnkronos. Qualche settimana dopo, proprio il 14 maggio 1965, Aldo Moro, nella sua veste di Presidente del Consiglio, si presentava alla Camera dei Deputati per informare il Parla- mento sui risultati della visita ufficiale negli Stati Uniti d’America che si era svolta dal 19 al 24 aprile. Nel viaggio, compiuto nel quadro dell’amicizia fra Italia e USA, durante il quale aveva incontrato il Presidente Lyndon Johnson, era stato accompagnato da Amintore Fanfani che dal 5 marzo al 30 dicembre del 1965 era il ministro degli esteri. A Washington erano stati affrontati i temi del progetto di unità europea e della Nato, dunque inevitabile la presa in esame della presenza militare USAense in Vietnam del sud, contrapposto al nord filo-comunista e filo-cinese. Dopo l’intervento di Moro, chiedeva di intervenire il deputato del Partito Comunista Alessandro Natta, il quale, nel suo lungo intervento, si rivolge al ministro degli Esteri Amintore Fanfani. I passaggi che mi preme riportare sono i seguenti:

E si comprende bene, onorevole Fanfani, in questo quadro la «trappola» del vostro viaggio negli Stati Uniti d’America e la responsabilità che con esso voi avete assunto. E si comprende anche il senso della riunione del Consiglio della N.A.T.O., le pressioni per strappare una so- lidarietà o almeno il silenzio o almeno la rinuncia a manifestare un dissenso. E si comprendo- no le responsabilità di chi a queste manovre ha prestato e presta la propria opera, sacrificando magari le proprie convinzioni o la propria autonomia di giudizio!

Pare di cogliere una pressione morale singolarizzata alla persona Amintore Fanfani, piuttosto che al suo ruolo istituzionale. Perché sia più chiaro quanto cerco di dire, riporto di seguito il contenuto della pagina 159 del mio libro.

Va rammentato che al II governo Craxi, il 17 aprile 1987, fece seguito il VI governo di Amintore Fanfani, che aveva la vecchissima abitudine di tenere costanti rapporti confidenziali con Botteghe Oscure (la sede storica del Pci) come racconta Anatolij Adamishin nel suo libro che ci è già noto, nel capitolo La prima volta in Italia. Da galoppino a assistente.

Premesse funzionali 13 Ma il buon Palmiro non aveva bisogno di essere persuaso. Il leader del Pci non nascondeva le proprie simpatie per il governo Fanfani, pur lamentando che Fanfani avesse interrotto la prassi dei contatti diretti con Botteghe Oscure.

Quindi nel capitolo Incontri “clandestini” e visite ufficiali:

È significativo che le simpatie di Togliatti, almeno così sembrava, andassero verso il gruppo di centrosinistra democristiano, quello di Fanfani, Gronchi e Moro, e non verso il centrodestra gui- dato da Andreotti. Il dirigente comunista appoggiava il disegno di un governo di centrosinistra con la partecipazione, a cominciare da una determinata fase, dei socialisti e perfino con l’appog- gio esterno del Pci. Togliatti criticava Gronchi per avere trascurato completamente i comunisti e lodava Fanfani per avere stabilito con Botteghe Oscure un sistema di rapporti confidenziali.

Da qui si evince che il biunivoco rapporto confidenziale, fra esponenti della Dc e del Pci, era in piedi dalla nascita della Repubblica Italiana. È questo rapporto che ha supportato il Compromesso Storico. È questo rapporto che contribuirà a reggere gli urti istituzionali, sociali e partitici dal 1985-1995, prima, e nei decenni seguenti, con più determinazione, fino alla nascita del Pd.

Converrete che Alessandro Natta ci appare come informato del rapporto confidenziale che lo stesso Fanfani intratteneva con il Partito Comunista Italiano. Provate a raffrontare con i precedenti riportati (relativi a Fanfani) questi appunti pro- venienti da Fotti il potere (pagine 265-266). L’argomento fra Cangini e Cossiga è il complotto.

Dice infatti il presidente che “i complotti hanno sempre fatto parte del gioco politico e il caso forse più classico è la fronda contro il re di Francia”. Esempio che Francesco Cossiga illustra at- traverso quello che definisce “un piccolo episodio tanto emblematico quanto divertente”. Eccolo: “Essendo stata da poco formulata la tesi che legittimava il tirannicidio come estremo rimedio, un giovane marchese che faceva parte della fronda si presentò dal suo confessore, un gesuita, al cul- mine dell’imbarazzo etico chiedendo quale dovesse essere il limite morale al proprio disegno. Ma il gesuita lo rassicurò spiegandogli che il peccato non era stato ancora commesso e dunque non esisteva. “Quindi” gli disse “tu ora vai ad ammazzare il re, poi torni e solo allora ti potrò assolvere dal tuo peccato”. Una posizione, è il caso di dire, assai gesuitica. “Altro che… in epoca più recente e guardando alle cose di casa nostra, un complotto degno di nota fu quello che portò alla defenestrazione di Amintore Fanfani, al tempo stesso, Presidente del Consiglio, ministro degli Esteri e segretario del partito; voleva fare della Dc un partito so- stanzialmente leninista e non, come invece desiderava Andreotti, una confederazione di correnti. Moro era dalla parte di Giulio e con grande abilità portò su queste posizioni i vari capicorrente del partito. Fu un complotto nella misura in cui la vittima della trama non era minimamente a conoscenza della manovra in corso. Fanfani ne prese atto quando si ritrovò ormai a gambe all’aria e rimase basito, non ci poteva credere!”

14 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo Mentre, su Amintore Fanfani quell’accenno sulla sua intenzione di “leninizzare” la De- mocrazia Cristiana, senza volerlo conferma quanto nelle righe precedenti ho messo in evidenza. Tornando alla guerra nel Vietnam è bene ricordare che era stata un grazioso lascito della Francia agli USA. L’eredità proveniva dalla guerra in Indocina, fra i Vietminh e le truppe francesi. Uno scontro iniziato nel 1946 e finito nel maggio del 1954, quando a Dien Bien Phu le truppe francesi furono sconfitte. La lotta armata fra il nord e il sud del Vietnam (dove ai francesi si erano aggiunti gli USAensi) si scatenò dal 1957. E dal 1960 il Nord fu aiutato dalla vicina Cina e dall’Unione Sovietica. Dal 1962, sotto la presidenza di John Kennedy, la presenza militare degli USA divenne più consistente. Nel mese di agosto del 1964, nel golfo del Tonchino ci fu uno “scontro a fuoco” (inventato?) fra un cacciatorpediniere USAense (il Maddox) e diverse motosi- luranti nord-vietnamite. La presenza militare statunitense venne implementata, scate- nando anche bombardamenti aerei nel territorio del Nord-Vietnam. Si era definitivamente scatenata la guerra del Vietnam. In appoggio agli USA mandano truppe la Nuova Zelanda e l’Australia. I Vietcong attaccano le basi statunitensi. I morti e i feriti che tornano dal Vietnam provocano tensioni sociali durissime nel territorio degli Stati Uniti d’America. Dal febbraio del 1965 il numero dei militari inviati a com- battere in Vietnam aumenterà sempre di più; fino a superare il mezzo milione di soldati. Un paese, la Francia, che ha uno strano modo di esportare la sua “Grandeur”; perché come si vede, dal primo, breve, e dal secondo, lungo, dopo-guerra non perde occasione per scatenare focolai di guerra nel mondo. Ultima, la prodezza libica contro Gheddafi e contro gli interessi italiani, a cui vanno aggiunti gli attuali tentativi di spingere ad- dirittura l’Europa contro la Siria. Si vede che la Francia è abituata ad accendere cerini, sempre con la speranza di lasciarli bruciare in mani altrui. [La Francia scalpita, vorrebbe lanciarsi nell’avventura siriana, evidentemente non sa an- cora quanto pagherà cara la sua avventura libica; che ancora si illude si sia conclusa con l’assassinio di Gheddafi, a cura di sicari di cui dovrebbero sapere molto i suoi Servizi segreti.]

La terza. Cattolici e siriani

Chi sta manovrando per portare a fibrillazione l’Europa utilizzando le “primavere ara- be” senza rondini, tanto per osservarne l’artificiosità “esterna” (vedi il mio articolo Ma che fretta d’Egitto). Partiamo dalla frase fatta sua da Francesco Cossiga appena su riportata: Una posizione, è il caso di dire, assai gesuitica. L’accenno alla “posizione assai gesuitica” potrebbe richiamare, relativamente alla Siria, la posizione filo-ribelli del gesuita padre Paolo Dall’Oglio, scomparso in territorio siria- no il 29 luglio 2013, e della cui sorte ancora non si ha notizia pur i Servizi italiani aven-

Premesse funzionali 15 do comunicato il 12 agosto 2013 che erano in corso le trattative per la sua liberazione. In Siria, il 9 febbraio 2013, sulla strada che da Aleppo porta a Damasco, un gruppo di ribelli, a 30 chilometri da Aleppo, ha fermato il pullman diretto a Damasco. Il gruppo con il potere delle armi ha voluto controllare i documenti di tutti i passeggeri, facen- do scendere due sacerdoti che accompagnati da un sacerdote salesiano, Don Charbel Daoura, erano diretti alla casa salesiana di Kafrun. Dei due sacerdoti, Michel Kayyal, armeno cattolico, e Maher Mahfouz, greco ortodosso, da allora non si sa più nulla. Con l’intento di giungere alla liberazione dei due sacerdoti, i Vescovi Metropoliti di Aleppo, Mar Gregorios Youhanna Ibrahim della Chiesa siro-ortodossa e Boulos (Pa- olo) al Yazij, avevano accettato di recarsi ad un appuntamento con i rapitori. Il loro autista è stato ucciso e loro rapiti. È notorio che “in aiuto” ai ribelli sono giunti in Si- ria miliziani jihadisti provenienti dall’Iraq che vogliono creare uno stato islamico nel territorio siriano e si scontrano anche con gli altri ribelli. Fatto sta che fra gli aiutanti jihadisti sono giunti i ceceni. Nelle mani degli jihadisti ceceni sarebbero dunque i due sacerdoti e i due vescovi rapiti; e anche padre Paolo Dall’Oglio è nelle mani dei “ribelli esterni” giunti “in aiuto” dei ribelli locali. In questi territori, soprattutto a confine con la Turchia, non è illogico che gli Jihadisti non siriani impongano la Sharia, costituita da norme fondate sulla dottrina coranica. Poi provate ad immaginare cosa pensa e cosa fa un padre di famiglia siriano, in quei territori, quando miliziani armati gli dicono che quando loro vinceranno la guerra si ricorderanno di chi non stava con loro. Quanto al rapporto numerico fra gli “esterni” e i “locali” è di gran lunga superiore il primo al secondo. Il 12 agosto 2013, Rodolfo Casadei, del settimanale cattolico Tempi, intervista Monsi- gnor Antoine Audo, Vescovo Caldeo di Aleppo. Da questa intervista traggo le righe che seguono:

Senza andare troppo lontani dalla verità, si può dire che la crisi siriana è iniziata come una ri- volta politicamente motivata, ma si è trasformata nel tempo in un conflitto confessionale che contrappone la maggioranza sunnita araba alle comunità etniche e religiose minoritarie degli alawiti, cristiani, sciiti, drusi, curdi, armeni, siriaci, eccetera, più una significativa quota di arabi sunniti che si sono avvantaggiati delle politiche del regime della famiglia Assad.

A imprimere una connotazione confessionale allo scontro sono stati soprattutto Stati e agenti stranieri che si sono schierati da una parte e dall’altra: Arabia Saudita, Qatar e Turchia, paesi sunniti, dalla parte della Coalizione nazio- nale siriana dei ribelli, Iran, Iraq ed Hezbollah, soggetti sciiti, dalla parte del governo di Bashar el Assad.

«La situazione è piuttosto dura per la gente in generale, e la prima difficoltà è quella economica: tutto è diventato caro e la valuta siriana ha perso il suo potere d’acquisto in rapporto al dollaro. Aleppo, città di beni culturali e artistici, è diventata una città di povertà e di miseria. La cosa che più tormenta è soprattutto il fatto che non si può più viaggiare senza il rischio di essere seque- strati per un motivo o per un altro.

16 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo La Siria come Stato e il popolo in generale hanno un grande rispetto per tutte le Chiese, per quel- la cattolica in particolare e per la persona del Santo Padre che ringraziamo soprattutto quando parla dell’“amata Siria”. Ma sfortunatamente abbiamo l’impressione che questa guerra abbia motivazioni economiche a livello mondiale e che siano sempre i più deboli a pagarne il prez- zo».

E al Meeting cosa dirà? Gli chiede Rodolfo Casadei

«Non ho grandi dichiarazioni da fare per adesso. Al momento mi aiuterà l’ispirazione. Darò qualche testimonianza a partire dall’estrema violenza e odio che vedo, evidenziando che non possono soffocare la dignità umana iscritta da Dio nel cuore di ogni uomo creato a sua immagine. Qualunque deformazione umana non può sopprimere la bellezza e la grandezza dell’essere umano assetato di Dio».

Ma il Vescovo Antoine Audo, non riuscirà ad andare, il 24 agosto, a Rimini, come si riprometteva. Al Meeting di Rimini, il 24 agosto 2013, sarà presente il sacerdote Antra- nig Ayvazian, il capo spirituale degli armeni cattolici dell’Alta Mesopotamia, nel Nord della Siria. Il sacerdote cattolico armeno è stato intervistato, il 24 agosto 2013, per Quotidiano Me- eting da Francesco Brignoli. Di seguito alcune domande e le relative risposte.

Padre Ayvazian, sembra che il presidente Assad stia massacrando il suo popolo.

«Il 99% di quello che si dice su Assad non corrisponde alla verità. Si è mai chiesto se sia possi- bile che per una sola persona si faccia una guerra che ha distrutto la struttura di un Paese intero uccidendo centomila persone? Neanche un bambino lo digerisce: vuol dire che Assad è un pretesto! Non è bizzarro che l’Occidente non parli mai di quanto avviene in Arabia Saudita, dove non ci sono sindacati, l’Emiro fa quello che vuole e le donne sono considerate un nulla, mentre la civi- lissima Siria catalizza tanto l’attenzione?»

Cosa c’è dietro?

«Lo deve chiedere ai signori Obama, Hollande, Cameron e ai loro amici. Da chi crede che siano finanziati i ribelli? Mica sono siriani: vengono da 80 Paesi del mondo, la maggior parte neanche conosce l’arabo. Anche Israele fa passare le armi dai suoi confini, per combattere As- sad».

Scusi, ma perché fa così gola la Siria?

«È molto semplice: la Siria è storicamente amica della Russia, e dunque si vuole privare Mosca dell’unico accesso sul Mediterraneo che le resta disponibile. In secondo luogo la Siria è l’unico Paese arabo a non avere debiti col mondo, perché abbiamo un livello di produzione che fa paura a tanti Stati. Ma la banca internazionale è interessata perché tutti siano indebitati con essa, per lucrare su interessi miliardari e dirigere l’economia delle nazioni. Infine, non va giù a nes- suno la tolleranza religiosa eccezionale che c’è stata fino ad oggi nel mio Paese: uno schiaffo alle Premesse funzionali 17 dominazioni di una sola etnia che accadono in tutti gli Stati confinanti».

Prima del 2011 com’era la Siria per i cristiani?

«Eravamo liberi. Qui la laicità è di principio: moschee e chiese convivono nelle città. Ai catto- lici viene insegnato il catechismo a spese dello Stato».

Sempre Padre Antranig Ayvazian, come ci racconta Leone Grotti, inviato del settima- nale cattolico Tempi al Meeting di Rimini il 24 agosto 2013, durante l’incontro con- clusivo Nella prova si vive, dedicato al dramma che stanno vivendo i cristiani in Medio Oriente e nel Nord Africa, ha detto:

«Se gli stranieri che combattono in Siria se ne andassero, in 48 ore tornerebbe la pace. Noi cri- stiani siamo tornati a un’epoca catacombale».

«Tutte le nostre chiese in diverse città della Siria sono distrutte, i fedeli vengono da me nella notte per ricevere i sacramenti».

«Dicono che nei nostri paesi ci sono tante ingiustizie ed è vero. Ma io chiedo: dove non ci sono? E ora siamo qui a domandarci: dove sono i nostri sacerdoti e vescovi rapiti? Nessuno lo sa. Che cosa fa l’Onu per noi?».

Scrive Leone Grotti:

Racconta degli estremisti e dei terroristi legati ad al-Qaeda che combattono in Siria mostra foto di chiese distrutte e di statue decapitate.

Dice Padre Antranig Ayvazian

«Ne ho incontrati diversi di loro, gli ho chiesto che cosa volevano da noi, non parlavano neanche arabo, e mi hanno risposto: “Ci è stato affidato il compito di riportare queste terre all’islam. Dobbiamo uccidere e distruggere per estirpare da questo paese gli infedeli”». «In una delle città dove prima vivevamo hanno distrutto tutte le chiese, l’aula dedicata ai giovani è diventata un tribunale della sharia. Qui hanno processato un crocifisso di metallo e l’hanno distrutto».

Scrive Leone Grotti:

Particolarmente impressionante la descrizione del processo da parte degli estremisti islamici a una statua della Madonna:

Dice Padre Antranig Ayvazian

«Siccome non era interamente ricoperta dal velo l’hanno giudicata colpevole e fucilata. Poi, visto

18 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo che l’hanno considerata un’immagine idolatra, l’hanno decapitata».

È giusto che io riporti per intero quanto aggiunge nelle righe seguenti l’articolista del settimanale cattolico. È giusto perché è una richiesta di aiuto, e l’aiuto non è fatto solo di denaro, per quanto, il Padron Mercato di questo ennesimo mondo economico di turno, dopo i tanti che hanno portato a distruzione i popoli della terra negli innumeri millenni precedenti, sia riuscito, ancora una volta, a renderlo necessario.

Già 562 mila cristiani hanno lasciato la Siria «e non sanno dove andare». I rifugiati, soprat- tutto in Libano, vengono soccorsi anche grazie al sostegno di Aiuto alla Chiesa che soffre, come ricordato da Massimo Ilardo, direttore italiano dell’opera pontificia: «Dall’inizio del conflitto abbiamo dato un milione e 100 mila euro ai siriani in difficoltà, quasi quanto all’Iraq in dieci anni. Noi aiutiamo i vescovi e offriamo sostegno economico attraverso le diocesi. Io dico a tutti, però, che oltre al sostegno economico serve il sostegno della preghiera, perché se c’è una cosa che tutti ci chiedono è questa: “Pregate per noi”».

La guerra in Siria ha anche creato «tre milioni e mezzo di sfollati dentro il paese che non san- no più dove vivere.

In generale c’è un’emergenza lavoro e i cristiani, essendo i più deboli, soffrono più di tutti gli altri siriani». Ad aiutarli a sopravvivere c’è il Jesuit Refugee service, il cui responsabile per Medio Oriente e Nord Africa, Nawras Sammour, è intervenuto all’incontro: «Siamo al servizio di 17 mila famiglie tra Damasco, Aleppo e Homs. Facciamo servizio di mensa e assistenza medica per oltre 12 mila persone. L’80 per cento di quelli che aiutiamo sono musulmani, il restante cristiani.

Purtroppo oggi i gruppi radicali ed estremisti hanno più armi e sono i più forti ma finché c’è Dio non possiamo dire che tutto è perduto, il cristianesimo è l’avventura della croce».

Con questa ultima frase si torna al titolo dell’incontro, appunto, Nella prova si vive. Come si può notare, lo scenario che ci viene proposto a vista reale ci conduce lontano dalle posizioni pubbliche assunte dal gesuita padre Paolo Dall’Oglio che invece pro- pugnava l’intervento delle truppe dell’Onu per cacciare Assad. Osservare che il padre gesuita (purtroppo rapito in Siria e il mio augurio è che ritorni, tra i suoi confratelli gesuiti vivo) ha la stessa posizione del gruppo Bilderberg che, in Virginia, dal 31 mag- gio al 3 giugno 2012, ha invitato esponenti dell’opposizione siriana e russa, potrebbe servire a cercare di capire a che gioco sta giocando il Vaticano? E perché non appaia una domanda fredda e provocatoria leggetevi le righe che seguono comprensive della fonte di provenienza.

«Da ‘Avvenire’ non mi faccio fotografare: è un giornale cattolico ma è troppo vicino al potere». Questa la reazione che ha avuto Antranig Ayvazian, capo spirituale degli armeni cattolici nella Siria del Nord, quando è stato avvicinato al Meeting di Cl da un fotografo accreditato da “Avve- nire”, giornale dei vescovi italiani. Sabato 24 agosto 2013 fonte: http://www.smtvsanmarino.sm/attualita/2013/08/24/capo-spirituale-armeni-cattolici- Premesse funzionali 19 non-vuole-foto-avvenire

Il Vescovo di Roma, Cardinale Jorge Mario Bergoglio, ha proclamato, per sabato 7 settembre 2013, una giornata di preghiera e digiuno per la pace in Siria e in Medio Oriente, nel mondo e contro l’intervento armato in Siria. Digiunare e pregare per la pace è certo un agire condivisibile, anche se non si fosse cattolici. Pur facendo notare al Vescovo di Roma che, se non ci fosse stata la ferma presa di posizione della Russia, il conflitto avrebbe già avuto inizio. Infatti, proprio all’indomani della giornata dedi- cata alla Siria, domenica 8 settembre 2013, da Parigi il segretario di Stato USAense, John Kerry, ha dichiarato testualmente «Non è una fantasia, il presidente siriano Bashar al Assad ha usato armi chimiche almeno 11 volte». Verrebbe da chiedere, al capo della di- plomazia della presidenza Obama, se la sua sicurezza deriva dall’essere a conoscenza di quante, esatte, volte i ribelli hanno avuto in dotazione (magari da qualche paese vicino) ed utilizzato (anche in modo improvvido) il gas Sarin (anche prodotto in modo artigia- nale), non solo contro le truppe lealiste, anche contro la popolazione, contro i bambini. Vedendo le scene dei bambini colpiti dal gas in Siria, mi sono venuti in mente i bambini della scuola di Beslan in Ossezia del Nord, nel settembre del 2004, che fuggivano nudi o seminudi, inseguiti da due donne che li volevano uccidere facendosi esplodere. Sono passati 9 anni ma la strage di Beslan, appunto in Cecenia (vedi due miei articoli del 2004 ripubblicati nel sito de La Voce della Russia), dovrebbe essere tutt’ora ancorata alla memoria. Siamo di fronte a gruppi che utilizzano tutti i mezzi: compresa la car- neficina di innocenti e pubblicamente, poi, incolparne “il nemico”. In Siria, lo scopo è quello di costruire il “necessario casus belli”, per motivare l’intervento armato dell’ONU. Anzi della triade USA, Inghilterra, Francia, che è riuscita (sbattendosene dell’Italia) a distruggere la Libia che sta covando vendetta. Vale la pena, come finale di questa terza parte, accendere la Radio Vaticana, il 26 agosto 2013, sta parlando qualcuno che già conosciamo: il Vescovo, gesuita, di Aleppo il catto- lico caldeo Monsignor Antoine Audo, anche presidente di Caritas Siria, registrate cosa ha detto.

Se ci fosse un intervento militare, questo vorrebbe dire – per il mio sentire – una guerra mondia- le.

E, mentre sentiamo la Radio Vaticana in quel 26 agosto 2013, spostiamoci in biloca- zione temporale al 6 settembre 2013, a San Pietroburgo, dove si sta tenendo il G20 (il gruppo dei 20 Paesi più industrializzati), andiamo nella sala dove si sta firmando la risoluzione USAense che condanna la Siria. Tra i firmatari c’è Enrico Letta. Dunque, l’Italia Napolitano(re)-Monti-Letta è anti-siriana, senza aver chiesto nes- sun parere al Parlamento. Non solo, senza nessun parere del Parlamento l’Italia Napolitano(re)-Monti-Letta si sta preparando al coinvolgimento militare italiano in funzione anti-siriana, in Libano e in Giordania?

20 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo La quarta. Un pinguino

C’è un’altra immagine che fa parte di queste premesse funzionali. È un’immagine di pinguino. I pinguini fanno parte degli sfenisciformi, uccelli che non riescono più a volare perché le loro ali si sono trasformate in pinne; sono ottimi tuffatori e nuotatori; sono monogami, vivono in colonie, anche per autoprotezione; si nutrono di pesci, crostacei, plancton. I pinguini maschi portano in una sacca fra i corti piedi palmati uno o più piccoli, è per questo, aggiunto al dondolio, che il loro andare ci appare un po’ goffo. Se un pinguino deve difendersi, o difendere, sa usare bene le picchianti ali e il durissimo becco. Il pinguino sta sempre dritto e il suo lento incedere dondolandosi da destra a sinistra, davanti e dietro, richiama un aspetto umano; ma, a differenza dell’uomo, riesce a sop- portare temperature polari per lo strato di grasso distribuito nel sotto-pelle, un perfetto isolante termico. Di richiamo all’umano hanno anche l’adozione dei piccoli che rimangono senza geni- tori. Quando, nella stagione della riproduzione, la femmina “partorisce”, ovvero depone l’uo- vo, lo prende in consegna il maschio, inserendolo in una sacca fra le corte zampe pal- mate. È il maschio a covare l’uovo, mentre la femmina per molte settimane va in mare in cerca di cibo. E, a proposito degli umani che usano i frigoriferi per mantenere fresco il cibo, i pinguini riescono a mantenere fresco il cibo immagazzinato nello stomaco per tre settimane. Le pareti del loro stomaco infatti hanno proprietà antibatteriche. Il maschio quando si occupa dei suoi piccoli non va in cerca di cibo e può digiunare anche per sei settimane. Quando il piccolo pinguino esce dal guscio è tenuto protetto nella sacca, fra le zampe palmate del papà. E fa una certa tenerezza a vedere questo padre che si occupa del suo piccolo, come noi vediamo fare ad una madre. L’immagine, che voglio mostrarvi, proviene da una colonia di pinguini che non abita nelle zone ghiacciate dell’Antartide, ma nelle zone calde fra l’Antartide e le Galàpagos. Le acque in quella latitudine sono freddissime e quanto a cibo sono acque dove vivono molte specie di pesce. Comunque un buon habitat per una colonia di pinguini. Ci occupiamo dei pinguini alle prese con gli avvoltoi dal collo rosso. È una giornata molto assolata. Un pinguino si sta occupando dei suoi due piccoli che cominciano ad uscire dalla sua sacca fra le pinne. Improvvisamente si vede del trambusto nella colonia. Ci sono degli avvoltoi dal collo rosso che stanno cercando di sottrarre dei piccoli pinguini a qualche papà della colonia. I pinguini reagiscono e insieme cercano di costringere alla ritirata gli avvoltoi affamati. Uno di questi avvoltoi, mentre un altro attende poco distante, si avvicina ad un pin- guino che sta accudendo due suoi piccoli e cerca di agguantarne uno. Il padre reagisce con determinazione e mette in fuga l’avvoltoio. Ma, nella foga di cacciarlo, non si rende

Premesse funzionali 21 conto che sta lasciando sguarniti i suoi due piccoli. Del suo allontanamento approfitta l’avvoltoio che stava in disparte; si lancia sui piccoli, ne afferra uno e lo porta poco di- stante, proprio mentre papà pinguino sta tornando indietro “velocemente” (ma il suo correre è lentissimo) a protezione dei suoi due piccoli. Ma è troppo tardi. Uno dei suoi due piccoli se lo sta divorando, a beccate strazianti, l’avvoltoio dal collo rosso. La scena è tremenda, il papà pinguino, mentre si pone a difesa del piccolo rimasto, os- serva quello che sta rimanendo dell’altro. Abbassa la testa e il becco tocca il petto. L’immagine è straziante. Sembra un essere umano sconfortato per non essere riuscito ad impedire una tragedia. Come ho potuto fargli mancare la mia protezione, che dirò a sua madre quando tornerà, sembra pensare. La testa bassa, una tristezza che attraversa il tempo, ti sembrerebbe di scorgere anche invisibili lacrime. Questa è l’immagine che volevo trasmettervi. Un pinguino umanizzato dalla sua stessa sofferenza. Una sofferenza che si estende alle buone persone di questa umanità che debbono affrontare non solo le “crudezze” della vita così come qualunque altro essere che si trova a vivere su questa terra, piegata alla (e dalla) esigenza del cibo; ma si trovano aggrediti anche dal mondo economico di turno, da Padron Mercato che come l’avvoltoio dal collo rosso, li divora, come fossero i piccoli di papà pinguino, appena si trovano sguarniti. Non è Fato, questo agire, non è Destino, non è il Caso, non è l’evento causale che la natura ti costringe ad affrontare, non è il destino, dagli umani consideratocinico e baro, non è la fortuna o il fortunale; questo agire perfido che si fisicizza nel mondo econo- mico, di ogni tempo, che vuole asservire l’umanità e non servire l’umanità; questo agire, solo apparentemente casuale, è crudeltà assoluta, è il vestito della festa della malignità; chiamarlo male assoluto è addirittura limitante. Quel papà pinguino che piega la testa toccandosi il petto col becco rappresenta, sì, la fatica di vivere di tutti gli esseri costretti a vivere su una terra malata e che li ammala; ma, in più, rapportato all’umanità da millenni tradita, rappresenta il dolore, l’angoscia, la tristezza senza fondo degli esseri umani, nel constatare quanto possano essere porta- tori di malvagità e di morte altri esseri umani, proprio quando affermano di occuparsi degli altri, mentre ne sono coscienti, e ben pagati, carcerieri.

La quinta. Il cibo

Visto che nella precedente premessa funzionale si parla di cibo, colgo l’occasione per chiarire meglio quanto, nel mio intervento di presentazione del libro, a Battaglia Terme, il 19 maggio 2013, cercavo di dire proprio relativamente al cibo. Questa Terra ha un problema, dicevo, questo problema è il cibo. Il divorarsi l’un l’altro non è una realtà cosmica. Lo spirito, nella natura, si adatta a questo problema della Terra e dell’antica umanità

22 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo che l’ha alterata e corrotta. Così va compresa, come un tenere conto dell’alterazione derivata dall’errore originale quella frase tratta dal Padre nostro che dice: “dacci oggi il nostro pane quotidiano”. [Pur osservando che la frase è diretta allo spirito e non al corpo dell’uomo; quindi dacci ogni giorno l’energia necessaria per rafforzare il nostro spirito.] Raccontavo, in apertura del mio intervento, come nelle società primitive, costrette a convivere con la necessità del cibo, potesse avvenire che in condizioni particolari di carenza di cibo ci si affidasse a quelli che, per esempio, nella terra africana, venivano chiamati i maghi cacciatori. Raccontavo come, un mago cacciatore sapesse chiedere alla natura il cibo per il proprio villaggio, utilizzando un disegno sul terreno e un raggio di sole. Parlavo di come una antilope anziana si offrisse come cibo per il villaggio affamato, sapendo che, attraverso questa offerta di sé, gli abitanti del villaggio sarebbero diventati anche antilope, e lei stessa sarebbe entrata a far parte di quell’umanità. Mentre spiegavo questo, mi accingevo a spostare l’attenzione di chi mi ascoltava (era- vamo nel Veneto) verso le antiche montagne innevate della corona alpina. Ma, inter- pretando alcuni movimenti alla mia sinistra come un invito ad accorciare i tempi, mi sono ritrovato, senza avvedermene, a fare un salto spazio temporale, senza avvisarne i miei ascoltatori. Infatti, improvvisamente, l’antilope era diventata un alce, che più che in Africa, sarebbe stata perfettamente a suo agio nella nordica corona alpina. Immagine delle montagne innevate alpine che avrei voluto trasmettere dopo; ma tant’è, era stata invece trasmessa attraverso il termine “alce”. Ma il mio uditorio aveva ancora di fronte il mago cacciatore africano che, accompa- gnato da un bambino che voleva diventare il futuro mago cacciatore del villaggio, si trovava di fronte una gigantesca antilope, che attendeva immobile di essere colpita da due mortali frecce, quella del grande e quella del piccolo cacciatore. Questa antilope sarebbe stata il cibo che, per conto dell’intero villaggio, il mago cacciatore aveva chiesto allo spirito della natura. Non solo, accennando alle loro tende, volevo raccontare anche della caccia al Bisonte, nelle terre che erano state dei nativi prima che gli europei le occupassero, costringendoli nelle sempre più limitate “riserve”. È il cibo, dunque, il vero appesantitore del genere umano. L’agape fraterna, cioè mangiare insieme e in letizia, è l’utilizzo funzionale di un errore che rimane errore anche nel frastornio di un pranzo o di una cena comunitaria. Gioiosamente costretti a cibarsi, gli uomini non hanno ancora capito che Dio non ha bisogno di eserciti, non ha uno stomaco per digerire, non ha un olfatto per inebriarsi della carne abbrustolita di un capro espiatorio, non ha bisogno della “romana penni- chella”. Dio, lo Spirito, si adatta semplicemente al limite umano, non giustificandolo, perché deriva da un suo mortale errore, ma comprendendolo. In questo senso gli antichi chiamavano la Natura la grande passiva; perché veniva osser- vata mentre si lasciava bistrattare dallo spesso illogico, perfido, a volte anche stupido, ma sempre colpevole, limite umano. Ma, si sa, una mamma è sempre una mamma che cerca

Premesse funzionali 23 sempre di dare una possibilità in più ai figli. Visto che lo Spirito Santo in ebraico si dice Ruach che non vuol dire semplicemente soffio, ma rappresenta il principio di maternità. Ecco perché è rappresentato nella cattolicità con una bellissima e bianca colomba. Avendo dunque presenti i cinque punti cardine che sostengono e contengono questo scritto, possiamo affrontare i temi che sono a pubblica vista. Nel libro si parla della con- giura di Catilina, nel capitolo Il limite ha perso la pazienza, a pagina 23. Nell’affrontare il capitolo che segue vanno tenute presenti quelle pagine, insieme alla prima delle premesse funzionali.

24 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo I catilinari partitici governanti

Vediamo, nei mutandoni aderenti del nonno largheintese-ista, quanti e quali ministri partitici e quirinalizio-tecnici sono stati infilati a forza. Ecco il governo figlio del governo Napolitano-Monti e della XVII (diciassettesima) legislatura.

[Nota di colore. Il 17 nella cabala napoletana e per chi gioca a tombola è sinonimo di disgrazia. Un napoletano, conoscitore della cabala (tradizione) napoletana, non avreb- be dovuto avventurarsi verso un bis. Un pisano, poi, soprattutto quando si ritiene un soccorritore, dovrebbe rammentare che in Toscana la frase “portare il soccorso di Pisa”, si riferisce a chi porta aiuto quando non serve più, con l’intento di ricavarne comunque un vantaggio (sono arrivato tardi ma sono arrivato, cosa c’è per me?) Al numero 17 secondo la numerologia (l’interpretazione magico-mistica dei numeri), viene associata l’innocenza armonica. Va detto che secondo il sistema numerico novenale quel numero significa un aiuto del cielo che viene dal futuro. Un aiuto che è sempre diretto a chi sta subendo ingiustizie. Dunque quel 17 significa che il tempo dei catilinari sta finendo ed è lo stesso cielo a sollecitare la terra italica a liberarsi degli invasori senza morale. Leggetevi proprio l’ultima pagina del libro, la 511. A proposito, dentro quel nu- mero di pagina, trasformato secondo il sistema antico, si nasconde il passato, il nord e il sud della Terra. Non credo che gli invasori, che stanno distruggendo le genti di questa antica Terra, potranno continuare a lungo nel mostrarsi accattivanti salvatori della pa- tria. (Attenzione al termine accattivante perché pur richiamando il termine bonaccione, non mostra nello sfondo mitezza e bonarietà; mostra invece il verbo cattivare – dal lati- no captivus, prigioniero – che vuol dire ridurre in schiavitù.) Dunque attenti ai salvatori della patria, dopo l’assassinio di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.]

Prima di presentarvi il governo catilinario, sono necessari alcuni chiarimenti relativi alla sigla NML che troverete tra parentesi dopo quella SC, IND, PD, PDL. Considerate i nominativi preceduti dalle sigle IND (Indipendente), SC (Scelta Civica di Monti) come se fosse la sigla NML che sta per Napolitano-Monti-Letta, sono quelli chiamati, eufemisticamente “Tecnici”. A questi vanno aggiunti quelli, del PD (Partito Democratico) e del PDL (Popolo della Libertà), che si trovano iscritti al Think Tank VeDrò di Enrico Letta (di questa associazione troverete informazioni nelle pagine che seguono). L’insieme di questi nominativi formano appunto il gruppo NML che rap- presenta la radice del governo dei congiurati, il resto dei nominativi, pendendo dai suoi rami, sono i frutti perversi di questo albero. [Scelta Civica (SC) è praticamente un minestrone, con l’etichetta Mario Monti, for- mata da un coacervo, un miscuglio, di raggruppamenti partitici funzionale alla raccolta di sufficienti numeri elettorali. Futuro e Libertà (Fli di Gianfranco Fini). Italia Futura (Luca Cordero di Montezemolo). I cattolici (complici) organizzati da Andrea Riccar- di. Le Acli (con Andrea Oliviero). Di fatto va considerato che gli stessi Monti-ani di

I catilinari partitici governanti 25 Scelta Civica sono la diretta emanazione-conseguenza dell’invenzione quirinalizia di Mario Monti. Ecco perché SC non è scindibile dai cosiddetti “Tecnici”, “imposti” più che “suggeriti” da un “Capo dello Stato” che ormai nelle sue decisioni “monocratiche” appare più come un re che come un presidente notaio. Per di più, questo presidente-re, per coprire questa “alterazione”, complice il Letta-Monti, vuole rendere “costituzionale” ciò che a qualunque osservatore terzo, analizzante lo sfascio delle istituzioni italiane, appare anticostituzionale. In questo senso la sigla NML supera lo stesso limite dei nomi che accomuna, tendendo a trasformarsi in un organismo partitico tecnico antipopolare e costrittivo e impoverente. Perché più il popolo è povero e privo di mezzi, più è con- trollabile.] Chiarito quanto appaia costituzionalmente grave quella sigla NML che sovrasta e rac- coglie i nominativi seduti sugli scranni delle sigle IND, SC, PDL e PD, vediamolo questo governo catilinario nato il 28 aprile 2013, dopo le elezioni politiche che si sono svolte il 24 e il 25 febbraio 2013, mentre la XVII legislatura ha avuto inizio il 15 marzo 2013. Prima del nome le sigle partiticamente collocanti, dopo il nome è indicato l’incarico.

PD (NML) Enrico Letta Presidente del Consiglio dei Ministri PDL (NML) Vice Presidente del Consiglio dei Ministri IND (NML) Filippo Patroni Griffi (segretario del Consiglio dei Ministri) Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio PD Giovanni Legnini (Editoria e Attuazione Programma) PD Domenico Minniti (Autorità delegata per la sicurezza della Re- pubblica) PDL Sabrina De Camillis (Rapporti con il Parlamento e coordinamen- to attività di Governo) PDL Micaela Biancofiore Sottosegretario Pubblica amministrazione e semplificazione

Ministri senza portafoglio (dopo il nome il dicastero di cui è ministro)

PD (NML) Josefa Idem (dimissionaria dal 24 giugno 2013) Pari opportunità, sport e politiche giovanili PD Graziano Delrio Affari regionali e autonomie con delega allo Sport dal 26 giugno 2013 PD Carlo Trigilia Coesione territoriale PD Dario Franceschini Rapporti con il Parlamento e coordinamento attività di Governo PD Cécile Kyenge Integrazione con delega alle politiche giova- nili dal 26 giugno 2013 PD Maria Cecilia Guerra Vice Ministro del Lavoro con delega alle Pari Opportunità dal 26 giugno 2013

26 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo PDL Gaetano Quagliariello Riforme costituzionali SC (NML) Enzo Moavero Milanesi Affari europei SC (NML) Gianpiero D’Alia Pubblica amministrazione e semplificazione

Ministri con portafoglio (dopo il nome il dicastero di cui è ministro)

PD Flavio Zanonato Sviluppo Economico PD (NML) Andrea Orlando Ambiente, tutela del territorio e del mare PD Maria Chiara Carrozza Istruzione, Università e ricerca PD Massimo Bray Beni e attività culturali PDL (NML) Angelino Alfano Ministro dell’Interno PDL (NML) Maurizio Lupi Infrastrutture e trasporti PDL (NML) Nunzia De Girolamo Politiche agricole alimentari e forestali PDL Beatrice Lorenzin Salute IND (NML) Annamaria Cancellieri Giustizia SC (NML) Mario Mauro Difesa IND (NML) Fabrizio Saccomanni Economia e Finanze IND (NML) Enrico Giovannini Lavoro e Politiche sociali RADICALI Emma Bonino Affari Esteri

Se aggiungiamo ai 14 NML, i due ministri direttamente “assunti” da Enrico Letta (quello all’Istruzione – Maria Chiara Carrozza – e quello all’Integrazione – Cécile Kyenge) e i due ministri “fortemente voluti” dal duo Lupi-Alfano, (quello alla Salute – Beatrice Lorenzin – e quello alle Riforme Costituzionali – Gaetano Quagliariello), arriviamo alla maggioritaria cifra di 18 su 29. Eccoveli squadernati i catilinari prosecutori del piano per schiavizzare l’Italia e ven- derla al mercato degli schiavi, che si tiene a Bruxelles due volte a semestre, nel palazzo denominato “Europa”, nel “quartiere europeo”. Un quartiere così “europeo” da ospitare anche la sede politica della Nato (North Atlantic Treaty Organization). Un Organismo inter-atlantico che, essendo nato a Washington il 4 aprile del 1949, ha le radici nella terra che conosce benissimo lo schiavismo funzionale. Quanto al professor Gaetano Quagliariello, ministro per le Riforme Costituzionali ed interfaccia del gruppo dei saggi nominati – non si sa con quali costituzionali poteri – dal presidente (re) Giorgio Napolitano, è il personaggio chiave per arrivare alla modifi- ca presidenzialista della Costituzione. Una modifica a cui si vuole arrivare a tutti i costi, essendo l’atto finale di un golpe strisciante. Un golpe strisciante che si è dipartito dal referendum Monarchia Repubblica; ha occupato, negli anni, tutta la burocrazia statuale e, attraverso questa, i perni sociali della scuola e della cultura, comprese tutte le relative diramazioni convergenti; un golpe che, trovandosi ostacolato nel suo strisciare in segre- to, si è impennato, assumendo il controllo dei servizi segreti mordendo a morte, assassi- nando Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, nei primi anni ’90. I due magistrati aprono la lunga lista degli uccisi dal bulldozer che spianava il terreno italiano per costruirvi le nuove strutture, costruite con tutto l’utilizzabile, ben ripulito, tratto dalle macerie

I catilinari partitici governanti 27 italiane del crollo dell’Unione Sovietica. Chiunque si fosse frapposto, chiunque avesse compreso l’esistenza e il ruolo dei deviatori, sarebbe stato maciullato (vedi Il risveglio dei deviatori, a pagina 351 del mio libro). Così, si è andata formando una lunga lista di utili morti che conduce ai giorni nostri. Oggi, abbiamo davanti agli occhi, seduti negli scranni di comando, certi di non essere riconosciuti, i bulldozer-isti deviatori, ormai certi di averla fatta franca. Un governo di larghe intese necessariamente costruito col manuale Cencelli. Così è stato definito dai Mass Media il Governo Letta. Manuale Cencelli? E che è? Durante il X congresso della Democrazia Cristiana, tenutosi a Milano, nel Palazzetto dello Sport, dal 23 al 26 novembre 1967, nacque la corrente dei Pontieri, così denomi- nata perché voleva fare da “ponte”, fra le correnti della maggioranza e quella di sinistra. In realtà la denominazione di Pontieri, non era nata durante il congresso ma dopo. Infatti, la prima denominazione al congresso era “Amici di Taviani”, che prese il 12% dei voti congressuali. La quarta legislatura (16 maggio 1963-11 marzo 1968) si arram- picava, con il suo quarto governo, verso il suo termine con il III Governo Moro. Fra i costituenti c’erano quattro “governativi”: Paolo Emilio Taviani, ministro dell’Interno del III Governo di Aldo Moro, Francesco Cossiga, sottosegretario al Ministero della Difesa, Adolfo Sarti sottosegretario al Ministero del Turismo e Spettacolo, Remo Ga- spari, sottosegretario del Ministero dell’Interno. Durante le discussioni fra i costituenti della nuova corrente, Sarti si lamentava dei piccoli incarichi governativi. Taviani, facendo l’esempio della divisione dei compiti in una società per azioni, rilevava che i soci, riuniti in assemblea, decidevano sulle cariche societarie, utilizzando le quote azionarie che singolarmente rappresentavano o posse- devano. Dunque tanti sono i voti, tante sono le azioni, tanti, più o meno pesanti, saranno gli incarichi. A questa riunione era presente Massimiliano Cencelli che si mise a lavorare sullo schema voti-incarichi governativi. Ecco come nacque il “Manuale Cencelli”. Massimiliano Cencelli, sciolta la Dc, è alla fine approdato alla Margherita, come Enri- co Letta, ed ora è un iscritto del PD. L’idea di rapportare l’organizzazione del partito a quella di una impresa era un’idea ben presente anche in altri partiti, compresi quelli di sinistra. Ma l’impresa non ha un’anima popolare, per quanto sul popolino ci campi, se no che impresa sarebbe. Mentre erano attardate in questo rimescolio, fra le antiche mo- tivazioni costituenti e tutti i “che fare” nascenti, bisognosi di denaro, come il bambino del latte materno, improvvisamente, il Partito-Impresa, le sinistre se lo sono trovato di fronte con . È da venti anni che il vero sotterraneo regime se lo trova di fronte e non riesce a liberarsene. Ma, vindice la Cassazione, “ora ci siamo” è la frase sorniona che dal sotterraneo regime viene lanciata ai creduloni di superficie. Se è il denaro a gestire la partitica, se le correnti rappresentano l’azionariato di controllo, il governo Letta lo dimostra in pieno. La dimostrazione sarà solare quando osserveremo organismi, con ramificazioni nel Governo Letta, che, dipartendosi, da questo concetto simil-economico, sono perfetti contenitori di esponenti multi-partitici al servizio di Pa- dron Mercato. La sigla NML, che ormai sapete che significa, dovrebbe, a questo punto,

28 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo farci capire molto di più, e, superando il manuale Cencelli, farci, finalmente guardare nella direzione giusta. Proviamo, per aiutare il lettore, a guardare in una direzione che potremmo considerare “giusta”. Nel gioco del golpe costituzionale, prossimo venturo, troviamo, in una posizione impor- tante, il controllo della Commissione Antimafia. Soprattutto adesso che dal tribunale di Palermo, nell’ambito del processo per la trattativa Stato-mafia si è richiesto, e dalla Corte d’Assise ottenuto, che Giorgio Napolitano venisse chiamato a deporre. Aggiungiamo, perché ci è utile, che fra i 178 testi che il PM Nino Di Matteo vorrebbe sentire c’è anche Piero Grasso, l’allora Procuratore Nazionale Antimafia, attualmente senatore e Presidente del Senato. Il tribunale vorrebbe chiedere a Giorgio Napolitano che cosa intendesse dire il suo consigliere per gli affari e la Giustizia, il magistrato Loris D’Ambrosio nella lettera di dimissioni, dall’incarico di consigliere presidenziale, del 19 giugno 2012, indirizzata proprio al Presidente della Repubblica, prima di (provvidenzialmente?) morire il 26 luglio 2012. In questa lettera ci sono quattro frasi chiave che vanno fra loro collegate. Perché Loris D’Ambrosio sapeva che il destinatario era in grado collegare le frasi sotto estrapolate dal contesto di una lettera di dimissioni che cercava di sintetizzare quanto di grave stava avvenendo intorno a Giorgio Napolitano che, negli anni della trattativa Stato-mafia, non era Presidente della Repubblica. Le frasi.

– I fatti di questi giorni mi hanno profondamente amareggiato personalmente, ma, in via principale, per la consapevolezza che la loro malevola interpretazione sta cercando di spostare sulla sua figura e sul suo altissimo ruolo istituzionale condotte che soltanto a me sono invece riferibili.

– Il procuratore generale della Cassazione, il procuratore nazionale antimafia, il Con- siglio Superiore della Magistratura, la Commissione parlamentare antimafia sanno bene che le criticità e i contrasti esistono e sono gravi, ma che a essi non si riesce a porre effettivo rimedio. Mi ha turbato leggere nei resoconti di un’audizione all’Antimafia, le dichiarazioni di chi ammette che della c.d. trattativa Stato-mafia uffici giudiziari danno interpretazioni diversificate e spesso confliggenti, ma che ciò è fisiologicamente irrimedia- bile come se, fosse la stessa cosa trattare lo stesso soggetto da imputato o da testimone o parte offesa da fonte attendibile o da pericoloso e interessato depistatore.

– Non conosco il contenuto delle conversazioni intercettate, ma quel tanto che finora è stato fatto emergere serve a far capire che d’ora in avanti ogni più innocente espressione sarà interpretata con cattiveria e inquietante malvagità.

Lei sa che di ciò ho scritto anche di recente su richiesta di Maria Falcone. E sa che, in quelle poche pagine, non ho esitato a fare cenno a episodi del periodo 1989-1993 che mi preoccu-

I catilinari partitici governanti 29 pano e fanno riflettere; che mi hanno portato a enucleare ipotesi – solo ipotesi – di cui ho detto anche ad altri, quasi preso anche dal vivo timore di essere stato allora considerato solo un ingenuo e utile scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi.

Non ho commenti da aggiungere, salvo far notare che: – nel libro di questi argomenti si parla da pagina 361 a pagina 365; – le intercettazioni cui si riferisce D’Ambrosio sono quelle intercorse fra lui e Nicola Mancino; – il Procuratore Nazionale Antimafia nel 2012 era l’attuale presidente del senato Pie- ro Grasso (pagina 361-362 del libro); – il presidente della Commissione Antimafia Giuseppe Pisanu (pagina 435 del libro) e il suo predecessore era Luciano Violante; – il termine interessato depistatore richiama il termine deviatori presente nel libro (vedi il capitolo Il risveglio dei deviatori a pagina 351); – visti gli approfondimenti conoscitivi richiesti dal tribunale di Palermo, potremmo ipotizzare che qualcuno abbia considerato funzionale, ed opportuno, al controllo degli eventi che alla Presidenza della Commissione Antimafia venisse nominato un esponente del gruppo NML. Alice, dal Paese delle meraviglie, deve essere venuta in aiuto, se dal cappello del Cappel- laio Matto, è uscito, e di gran fretta (e sai quanto … se i pidiellini non sono d’accordo?), il nome di Rosy Bindi. Possiamo immaginare che ci sia stata qualche pressione dall’alto (Non si poteva aspettare più oltre, ha per esempio dichiarato Piero Grasso), visti i ragio- namenti che abbiamo fatto nelle righe precedenti? E poi Rosy Bindi? Chi lo avrebbe detto visto che solo il 2 giugno 2013 si pronunciava contro l’ipotesi dell’elezione diretta del Capo dello Stato su cui stanno lavorando gli NML. Ma, quando per essere eletti deputati si viene catapultati in giro per l’Italia, qualche “pressioncina” bisogna metterla in conto. In aggiunta, vuoi mettere l’euforia che al senato il 23 ottobre 2013 è passata a gran maggioranza l’istituzione di un comitato di 42 parlamentari che potranno gio- cherellare con l’articolo 138 della Costituzione senza che sia obbligatorio il ricorso al referendum. Soddisfatto il Quirinale, soddisfatti i largheintese-isti, soddisfatto il gruppo NML, soddisfatti i campaasbafosulpopolino, meno soddisfatte le genti italiche. Ma tanto, fino a che non diventano popolo i campaasbafosulpopolino se ne fanno un baffo.

Piuttosto, già che ci siamo, c’è un grande allarme, in questa finale decade di ottobre 2013, sulle intercettazioni di tutti i leader europei da parte dello spionaggio USAense. Vale la pena riportare quello che ho scritto a pagina 80 del libro.

Il giapponese Yotaro Kobayashi è stato a lungo (ora è ex) presidente della Fuji Xerox. Per Koba- yashi l’economia di mercato è direttamente collegata con la democrazia. E vedremo di che tipo di democrazia abbia bisogno una economia, che si aggira fra i popoli con il carro armato merca- to. Il 4 giugno 1994, era giunta a Roma una corposa delegazione della Keidanren, la confindustria giapponese. In prossimità del vertice dei G7, previsto per il luglio di quell’anno a Napoli, si sa- rebbe discusso di investimenti di grande respiro internazionale. E si sa che quando si investe, lo

30 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo si fa per un “corposo” ritorno. E la “corposa” delegazione voleva tornare a casa, avendo in tasca i contratti per i prestiti agevolati e la fornitura di tecnologia giapponese alle imprese italiane. C’era un grande interesse per il progetto del super treno Torino-Lione. La TAV (Treni ad Alta Velocità), come si vede, assorbe debiti e dirama corposi ritorni dal 1994. Sapete è come un albero: assorbe anidride carbonica e dirama ossigeno, solo che all’Italia non rimane l’ossigeno. Altrettanto interesse per co-finanziamento del collegamento a fibre ottiche, che da Palermo dovrà giungere a Mosca e a Kiev. Sono 3.550 chilometri. Anche questo è un buon investi- mento che promette un buon ritorno. Sapete chi è a capo della delegazione giapponese? Yotaro Kobayashi, presidente della Fuji Xerox.

Come si vede, è da almeno venti anni che il “grande progresso delle fibre ottiche” po- tenzia la curiosità degli spioni mondiali. Letta ha fatto sapere che è inaccettabile spiare gli alleati. Evidentemente o non sa o finge di non sapere che, esattamente dal G7 di Napoli, gli USA (che occupano l’Italia da quando, bontà loro, hanno permesso che i risultati del referendum fossero alterati perché vincesse la Repubblica sulla Monarchia), si sono premurati di mettere le mani sui terminali di Mazara del Vallo (il SeaMeWe3) e soprattutto su quello di Palermo (il SeaMeWe4), da cui, guarda che caso transita tutto, dico tutto, il traffico di dati del sistema Fea (Flag Europe Asia). Se per caso il lettore ha sottomano il libro, vedrà che nella delegazione giapponese del 4 giugno 1994, faceva parte l’attuale Presidente della Commissione Trilaterale dell’Asia e del Pacifico. Per conoscerne il nome vi basterà sbir- ciare nella pagina 81 del libro. È possibile, dunque, che siano state registrate, per esempio, quelle quattro telefonate intercorse fra Giorgio Napolitano e Nicola Mancino. Se così fosse, vista la distruzione ottenuta per ordine della Corte Costituzionale che ha voluto preservare la garanzia del successore di Napolitano che è ancora Napolitano, potrebbe essersi determinata una azione pressoria, dall’esterno, nei confronti della massima carica dello Stato italiano. A questo punto è bene che, prima che lo facciano dall’esterno, dal colle quirinalizio si renda noto il contenuto di quelle quattro telefonate. Si dimostri che neanche per ipotesi si possa ragionevolmente ipotizzare che il Capo dello Stato possa trovarsi sotto ricatto esterno. E già che ci siamo, visto che, due anni dopo, nello stritolatoio delle intercetta- zioni USAensi ci sono finiti anche loro, potremmo sapere se è vero che Angela Merkel ha premuto su Giorgio Napolitano per favorire la giubilazione del governo Berlusconi nell’ottobre 2011? E magari, prima che ci venga rivelato e documentato dall’estero? Chi ha sottomano (ed ha letto) il mio micro-saggio Fallimento Europa, pubblicato sul sito di Nexus il 7 dicembre 2011, potrà rendersi conto che le righe, sotto riportate, sono estratte dal paragrafo Un ferma-immagine surreale. In questo paragrafo si dimostra come la Cancelliera tedesca e il Presidente francese abbiano, pubblicamente, interferi- to con le vicende “interne” italiane. Un’interferenza che è divenuta visibile nel diverso trattamento che, a distanza di un mese, Sarkozy e Merkel hanno avuto nei confronti di Silvio Berlusconi, prima, il 23 ottobre, e Mario Monti, poi, il 22 novembre 2011.

Un mese fa si era addirittura rischiato un serio incidente diplomatico fra Italia, Francia e Ger-

I catilinari partitici governanti 31 mania; era accaduto che il Primo ministro italiano, a Bruxelles, il 23 ottobre u.s., dopo essersi incontrato con il Presidente del Consiglio e della Commissione europea, prima del summit della UE, nell’aula consiliare, aveva partecipato ad una riunione, durata circa mezz’ora, con il presidente francese e con la cancelliera tedesca. Argomento, appunto la crisi economica italiana. Al termine del summit, l’ormai visibile non statuale, quindi non legittimo, direttorio franco- tedesco, si concedeva ad una affollatissima conferenza stampa. Dalla platea giornalistica giunge una domanda a bruciapelo relativa all’incontro della mattinata con il Presidente del Consiglio italiano. Il giornalista chiede se il direttorio franco-tedesco è stato rassicurato da quanto emerso nell’incontro a tre. I due dell’illegittimo direttorio si guardano e lanciano un sorrisino che vuole trasmettere lo scetticismo circa le rassicurazioni ricevute durante la riunione con il partner ita- liano. Il Presidente francese addirittura richiamava le istituzioni politiche ed economiche italiane alla responsabilità, e questo nel linguaggio diplomatico significava che il Presidente del Consiglio italiano, con cui si era incontrato nella mattinata, era invece un irresponsabile, additandolo al pubblico ridicolo. Ironia e sarcasmo offensivi, provenienti da Capi di Stato; da richiamo di ambasciatori ha sottoli- neato più di un osservatore. Declassare le risatelle e gli ammiccamenti ad uno spiacevole malin- teso è apparso come il tentativo tardivo di nascondere sotto il tappeto del salotto i cocci del vaso rotto. Ma si sa il nostro, a dispetto di chi lo vuole centralmente governare, è il paese dei campanili e se le campane non suonano tutto va bene, o si lascia scorrere la finzione che tutto vada bene.

Ebbene, proprio il 30 dicembre 2011, quindi dopo la pubblicazione del mio saggio, sulle pagine del WSJ (Wall Street Journal) venivano rivelati i retroscena della telefonata che Angela Merkel aveva fatto a Giorgio Napolitano. Quei sorrisini del 23 ottobre erano, dunque, ben collegati a quella telefonata del 20 ottobre 2011. L’articolo, secondo quanto affermato dai tre giornalisti firmatari (Marcus Walker, Char- les Forelle, Stacy Meichtry) sarebbe stato il frutto della febbrile consultazione di una trentina di fonti, fra diplomatici, politici e leader europei. Nella “ricostruzione” giorna- listica d’oltre Atlantico, il WSJ informava i suoi lettori che Angela Merkel avrebbe fatto pressione su Napolitano perché Berlusconi fosse defenestrato. Il “nuovo” premier, ne era certa la Merkel, avrebbe ottenuto la fiducia degli altri premier europei (e vuoi vedere che sapevano anche il nome? Aggiungo io), si sarebbe presentato, guarda che caso, pro- prio il 22 novembre 2011 con la ciambellina di salvataggio (sottratta al nipotino che già a scuola chiamavano “spread”) lanciata all’affogante Euro. Che i leader europei ne sapessero di più degli italiani, su quanto stava per accadere in Italia, lo dimostra l’ostentata indifferenza con cui fu accolto Berlusconi durante il sum- mit del G20 di Cannes, il 3 e il 4 novembre 2011. Quanto alla telefonata e al suo contenuto (visti gli avvenimenti recenti dimostranti quanto lo spionaggio e la sfiducia reciproca, ad alti livelli, siano più che generalizzati), potremmo ritenere che nella redazione del WSJ sia giunta “anonima” (aggiungo sempre io) una graziosa registrazione. E magari è dagli spunti derivanti da questa registrazio- ne che è stata demandata ai tre giornalisti la contattazione di qualche decina di fonti. Tanto per non rendere troppo palese l’aiutino proveniente dal loro informatore audio- spionistico. Conviene, allora, fare alcune valutazioni, che faranno perno sulle seguenti

32 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo informazioni documentali.

1 – Il 20 ottobre 2011, alle ore 20,36 dal Quirinale viene diramata la seguente nota: Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha avuto oggi cordiali telefonate con il Presidente dell’Eurogruppo, Jean Claude Juncker, e con il Cancelliere della Repubblica Fede- rale di Germania, Angela Merkel, per uno scambio di vedute sui temi oggetto del prossimo Consiglio Europeo. Roma, 20 ottobre 2011

2 – Giorgio Napolitano il 25 ottobre 2011, annuncia che l’indomani sarà a Bruxelles e a Bruges. Si dice preoccupato perché stanno scadendo i tre giorni che Bruxelles ha dato all’Italia perché siano presi impegni “concreti e credibili”, perché siano fatte “tutte le scelte necessarie per ridurre il rischio a cui sono esposti nei mercati finanziari i titoli del nostro debito pubblico, rendere più credibile il nostro impegno ad abbattere tale debito e a rilanciare la crescita economica”. Mentre ritiene che i “sorrisini” franco-germanici sono al massimo da considerare espressioni inopportune e sgradevoli, ci tiene a rassicurare che nessuno minaccia l’indipendenza del nostro paese o è in grado di avanzare pretese da com- missario. In questo suo annuncio c’è anche spazio per chi, utilizzando le disavventure sorrisinarie di Berlusconi, si scatena contro la UE e il suo Euro: … da 60 anni abbiamo scelto (secondo l’articolo 11 della Costituzione e traendone grandissimi benefici) di accettare limitazioni alla nostra sovranità, in condizioni di parità con gli altri Stati: e lo abbiamo fatto per costruire un’Europa unita, delegando le istituzioni della Comunità e quindi dell’Unione a parlare a nome dei governi e dei popoli europei.

3 – Dice il WSJ, il 30 dicembre 2011, che Napolitano, pronto ad esaudire le precise richieste germaniche, dopo il 20 di ottobre 2011 (il giorno della telefonata pressoria ricevuta), sto sintetizzando: avrebbe chiamato i responsabili dei partiti, al fine di verifi- care se fosse possibile il sostegno ad nuovo governo. La Germania, dal canto suo, avrebbe rafforzato, in modo decisivo, le pressioni di Napolitano sugli esponenti dei partiti presenti in parlamento.

4 – Il 30 dicembre 2011, alle ore 14,05, dal Quirinale viene diramata, con il titolo A proposito di indiscrezioni di stampa su una telefonata tra il Presidente Napolitano e il Can- celliere Merkel, la seguente nota-comunicato: In riferimento ad alcune indiscrezioni di stampa, internazionale e italiana, si precisa che nella telefonata, niente affatto segreta, del 20 ottobre 2011, al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, il Cancelliere della Repubblica federale tedesca, Angela Merkel, non pose alcuna questione di politica interna italiana, né tanto meno avanzò alcuna richiesta di “cambiare il premier”. La conversazione ebbe per oggetto soltanto le misure prese e da prendere per la riduzione del deficit, in difesa dell’Euro e in materia di riforme strutturali. Roma, 30 dicembre 2011

5 – Un portavoce della cancelleria tedesca ha diramato, a sua volta, confermando il comunicato quirinalizio la seguente nota: Non vi è nulla da aggiungere alla accurata de- scrizione della conversazione fornita dall’ufficio del presidente italiano.

Nel punto (1) dal Quirinale si afferma che la telefonata intercorsa con la Cancelliera (senza specificare da chi fosse venuta l’iniziativa della telefonata) aveva come oggetto uno scambio di vedute sui temi oggetto del prossimo Consiglio Europeo. Salvo, nel punto (4), affermare che la Cancelliera, durante la telefonata, non pose alcuna questione di poli- tica interna italiana, contraddicendosi due righe dopo affermando che la conversazione ebbe come oggetto anche le misure prese e da prendere in materia di riforme strutturali. Contraddizione, perché le riforme strutturali di un paese sono necessariamente que- stioni relative alla sua politica nazionale. Va considerato che il punto (5) per la sua tem- pestività potrebbe confermare quelli che, in ambito diplomatico, verrebbero chiamati: comunicati concordati, a diramazione sincronica. Vorrei far notare, relativamente al comunicato contrassegnato col numero (4), quanto l’accenno alla perdita della sovranità, da parte del Presidente della Repubblica, sembri implicitamente assecondare le interferenze straniere sull’Italia. Basti considerare quale credibilità avessero le promesse del governo Berlusconi di annegare tutte le genti itali- che in un mare di lacrime e sangue, contenute nella letterina scritta, nella notte fra il 25 e il 26 ottobre 2011, alla Santa UE, come se fosse Gesù bambino: ZERO. E vista l’occasione che ci offre il punto (2), raffronti chi legge l’articolo 11 della Costi- tuzione, richiamato da Giorgio Napolitano…

Art. 11 L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale sco- po.

… con la frase testuale che lo contiene, dove l’Italia che si strappa di dosso la sovranità, cedendola ad istituzioni straniere, rimanendo nuda e sguarnita, fa questa cessione tra- endone grandissimi benefici … ritenendola necessaria ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni.

… da 60 anni abbiamo scelto (secondo l’articolo 11 della Costituzione e traendone grandissimi benefici) di accettare limitazioni alla nostra sovranità, in condizioni di parità con gli altri Stati: e lo abbiamo fatto per costruire un’Europa unita, delegando le istituzioni della Comunità e quindi dell’Unione a parlare a nome dei governi e dei popoli europei.

… e … dopo questo raffronto, valuti chi legge se l’utilizzo dell’articolo 11 della Costi- tuzione, per sciogliersi nell’acido Europa, sia considerabile alla stregua di una forzatura. Di fatto, con la sua dichiarazione, in forza dell’articolo 11 della Costituzione, Giorgio Napolitano riconosce il diritto di interferenza, negli affari interni italiani, da parte di

34 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo paesi stranieri. Eppure gli eventi che stiamo rappresentando ci mostrano altro. Quando il WSJ, il 30 dicembre 2011, afferma che solo dopo la telefonata della Merkel, Napolitano si sia attivato per portare Monti al Governo, stranamente non sa che il suo dirimpettaio New York Times, il 3 dicembre 2011, aveva dedicato il ritratto settimanale a Giorgio Napolitano, Presidente della Repubblica italiana. Il ritratto era firmato dalla corrispondente in Italia del NYT, Rachel Donadio. E come mai, i tre giornalisti del WSJ, hanno scomodato diplomatici, politici, leader e non hanno fatto neanche una telefonata a Rachel Donadio. Magari la giornalista del NYT avrebbe spiegato anche a loro quello che aveva scritto e pubblicato, e cioè:

Alcuni hanno semplicemente iniziato a chiamarlo “Re Giorgio”, per la sua strenua difesa delle istituzioni democratiche e del suo ruolo esterno, dietro le scene, che ha permesso il rapido cam- bio di governo, da quello cinematografico di Berlusconi a quello tecnico di Mario Monti.

Ha speso mesi per preparare la transizione – consultando i leader politici italiani, quelli euro- pei, gerarchie americane e la Banca d’Italia per favorire la creazione di un’alternativa di governo percorribile per il momento “post-berlusconi”.

La sua performance è ancora più impressionante considerando che la presidenza della repub- blica italiana è un ufficio prettamente simbolico, senza poteri esecutivi. Ma Napolitano, co- nosciuto per il suo parlar chiaro e per lo stile “con i piedi per terra” in una cultura floridamente barocca, ha spinto quel ruolo al limite, diventando un demolitore silenzioso del potere.

Ma in un nuovo ordine nel quale i mercati hanno sconfitto i processi democratici, il Presidente Obama, il Cancelliere tedesco Angela Merkel e il presidente francese Nicolas Sarkozy hanno tutti chiamato Napolitano durante la delicata fase di transizione per esprimere il loro suppor- to alla sua leadership – telefonate percepite ampiamente come un appoggio al Governo Monti e contrarie alle elezioni anticipate.

Come trovate scritto proprio nelle prime pagine del capitolo E… gli “afràcheteserve- isti” si inventarono Mario Monti – Un lavorio di mesi, nelle pagine 99/102 e seguenti dove si dimostra che il lavorio, per portare Monti a Palazzo Chigi, non è partito dal 20 ottobre 2011, ma da molti mesi prima. Piuttosto questo lavorio non era evidentemente un segreto per gli altri leader europei, Sarkozy e Merkel compresi. Un lavorio che, da molto prima di quel 20 ottobre 2011 ad oggi, non è mai cessato. Dunque? Dunque, al di la della confusione giornalistica dei tre del Wall Street Journal sul dopo telefonata Merkel-Napolitano, è di una elevatissima credibilità che quella te- lefonata fosse, invece, incentrata sull’accelerazione del progetto di giubilazione di Ber- lusconi, da mesi noto alle Cancellerie europee. Ecco perché, dall’estero, potremmo aspettarci la trascrizione completa di quella pressio- ne telefonica; una trascrizione che potrebbe confermare la credibilità delle fonti infor- mative, utilizzate dal WSJ. Nello stesso tempo, potremmo consigliare i giornalisti del WSJ, Marcus Walker, Charles Forelle, Stacy Meichtry, di leggersi, ogni tanto, fra i tanti giornali, anche il New York Times. D’altra parte, anche la nostrana Dagospia si è mostrata poco informata, su come si sono esattamente svolti i fatti che hanno portato al cambio di guardia a palazzo Chigi, se il 10 novembre 2011, all’interno di un articolo su questo argomento (la telefonata Merkel-Napolitano) scriveva:

Forse un giorno qualcuno ci spiegherà se l’ex-comunista del Quirinale, il più amato dagli italiani, ha fatto tutto da solo, oppure se per abbattere il Muro di Arcore si è servito di qualche consigliere occulto. Questa è materia per gli storici, ma di sicuro l’inquilino del Colle ha giocato la partita a scacchi più eccellente della vita e in perfetta sintonia con la massaia di Berlino, Angela Merkel. Nessun membro dello staff del Presidente e nessun corazziere arriverà mai a confermare questa tesi, ma non c’è dubbio che la Cancelliera, dileggiata dal Cavaliere libertino con gesti ed epiteti volgari, è stata l’ispiratrice del blitz che può portare Mario Monti a Palazzo Chigi.

Ed è il contenuto di questo riportato che ci riconduce, attraverso l’inquilino quirinali- zio (ex-comunista), al gruppo NML; un gruppo numericamente strutturato in attuale, perfetta, applicazione del manuale Cencelli; un manuale che ha superato, indenne, l’in- cendio sessantottino.

[Di applicazioni “sessantottine” allo scenario del dopo-comunismo mentre gli anni ’80 diventavano gli anni ’90, sono piene le radici di questo albero malato che è ormai il nostro Paese. È in questo brodo che vive il regime sotterraneo che di fatto, come ameba parassita, occupa questo Paese. Da questo brodo sono nati i deviatori. (Vedi la sesta parte del mio libro Il risveglio dei deviatori a pagina 351.) Ha la sua radice in quei finali, italiani, anni ’60, lo svuotamento del significato delle parole, il nulla parolaio. “Truppe di pace” perché “Truppe di guerra” suona male. Non dire “La sovranità ceduta neanche per un piatto di lenticchie”, dì al popolino che è una “sovranità condivisa”. Le proposte che non puoi farmi (se no, mi fai litigare con i miei, che già non ti vedono di buon occhio), decidiamo (“insieme” eh, mi raccomando, insie- me) di considerarle “divisive”.]

Tutto questo chiarito, è comunque innegabile che l’elenco governativo largheintese-ista sopra rappresentato è il risultato dell’applicazione “sessantottina” di quello che è passato alla storia come “il manuale Cencelli”. Non meravigliatevi di trovare in giro il termine “cencellizzare”, è avendo presente que- sto verbo che ho riorganizzato l’elenco del governo dei congiurati, perché volevo che fossero visibili i raggruppamenti dei largheintese-isti, e per altri motivi che ritengo ab- biate registrato. Come si può vedere nella prima parte dell’elenco, quello della Presidenza del Consiglio, ci sono 3 piddini, 3 pidiellini, 1 Napolitano-Monti-Letta. Fra i ministri senza portafoglio, 3 sono piddini, 1 pidiellino, 2 sono Napolitano-Monti- Letta. Fra i ministri con portafoglio, 4 sono piddini, 4 sono pidiellini, 4 sono Napolitano-

36 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo Monti-Letta, 1 è radicale. Come si vede, è il risultato della perfetta applicazione del manuale Cencelli (che adesso sapete cosa è).

Proviamo ad osservare da vicino solo alcuni degli esponenti di questo governo. Faremo dei ragionamenti, quindi non saranno righe leggi e getta.

I catilinari partitici governanti 37

Il Monti mascherato

Andiamo per ordine. Cominciamo dal primo fra i largheintese-isti. Dal 31 maggio al 3 giugno 2012, in pieno governo (catilinario) Napolitano-Monti, si è tenuta la riunione del gruppo Bilderberg a Chantilly in Virginia, negli USA. A questa riunione aveva partecipato, per sua stessa ammissione, il primo componente del gover- no sopra elencato. Era stata invitata, e c’è andata, anche la giornalista Lilli Gruber che aveva intervistato Mario Monti, appena sei mesi prima, il 20 gennaio 2012 nella trasmissione Otto e mez- zo de La7. All’intervistato, la Gruber si era arrischiata a chiedere se per caso fosse mas- sone (pagine 78-87 del mio libro). La risposta di Monti? In sintesi: non so bene che cosa sia la massoneria so certamente di non essere massone. In quelle pagine leggerete quanto appaia veritiera quella frase; soprattutto se la collegate all’invito della sua intervistante alla riunione in Virginia, sei mesi dopo. A proposito, a quella riunione sono stati anche invitati rappresentanti dell’opposizione siriana e russa. È tutto chiaro su chi sta mano- vrando e sostenendo la cosiddetta opposizione siriana e russa? Chi ha letto il mio articolo pubblicato sul sito di Nexus intitolato Il tizzone Mps riac- cende il fuoco della crisi mondiale, ed ha presente il paragrafo Morire per Danzica, o per Alexandria, per Santorini, per Antonveneta, comprenderà perché io consideri il massimo della proditorietà, pronta a non fermarsi neanche di fronte ad una finestra spalancata di Siena il libro scritto dal primo della lista del governo dei congiurati il cui titolo è esattamente il labaro del tradimento Euro si. Morire per Maastricht. Il titolo è un perfido giochino di sponda con l’altro titolo Euro no. Non morire per Maastricht scritto da Lucio Caracciolo. Tutta questa genia è abituata ai teatrini, alle sceneggiate.

Se il titolo della sceneggiata è “Come riesco io a fregare il pupo, senza che se ne accorga, non ci riesce nessuno” il Super Mario preghi il suo costruttore metallico che il Popolo Italiano non si svegli. Perché se, dopo 150 anni di sonno, il pupo-bove, costretto a trascinare gli aratri dei cosiddetti signori di turno in secolare guerra fra loro, davvero si svegliasse, si trasformerebbe in furia taurina incontenibile; anche la terra lo asseconderebbe.

Queste righe vengono dalla pagina 92 del libro. Aggiungete al nome Monti quello del primo della lista del governo dei congiurati e comprenderete che aria stia tirando in questo paese senza che gli sceneggiatori se ne rendano conto. Questo catilinario è lo stesso che, il 18 novembre 2011, ha messo un bigliettino nel- le mani dell’inventato Monti mentre sedeva nello scranno parlamentare destinato al presidente del consiglio. Chi sarà mai quello che, in quel bigliettino (o pizzino come è passato alla storia), ha scritto (vedi pagina 106 del mio libro)

“Mario, quando vuoi dimmi forme e modi con cui posso esserti utile dall’esterno. Sia ufficial- mente (Bersani mi chiede per es. di interagire sulla questione dei vice) sia riservatamente. Per ora mi sembra tutto un miracolo! E allora i miracoli esistono!”

Il Monti mascherato 39 Chi sarà mai quello che, l’8 settembre 2013, era seduto a fianco di Mario Monti per ascoltare Gianroberto Casaleggio del M5S che parlava nella sala del Forum Ambro- setti? Chi, sempre al Forum Ambrosetti di Cernobbio, domenica 8 settembre 2013 ha detto:

«Abbiamo capito quello che è successo tra febbraio e aprile o ancora siamo ciechi? Sono avvenuti due terremoti non paragonabili a nessuno dei terremoti della politica italiana: il risultato elettorale e l’implosione del Parlamento che non è riuscito a eleggere il presidente della Repubblica».

«La nostra Costituzione va cambiata» affinché si possano «rompere le catene che bloccano l’Italia. Il nostro Paese può fare cose straordinarie se riusciamo a rompere queste catene: la prima catena è il caos politico permanente». Poi, una domanda. «Abbiamo capito quello che è accaduto alla politica dal febbraio scorso? Ci sono stati due terremoti». Il primo è stato alle elezioni politiche e il secondo con l’implosione del Parlamento, che non è riuscito a eleggere il presidente della Repubblica.

Il primo dei due terremoti, secondo il dicitore cernobbista, sarebbe rappresentato dai milioni di cittadini che non si sono presentati nei seggi elettorali e l’altro sarebbe rap- presentato dal Parlamento che non è riuscito ad eleggere il presidente della Repubblica. Di questo già sappiamo dalle pagine precedenti. E, voi credete che il dicitore cernobbista ed altri partitici siano consapevoli della rab- bia che cova, pronta ad esplodere, fra i rifiutanti il voto? No, né lui né gli altri partitici sembrano rendersene conto, ovvero fingono di non vederla quella rabbia, sperando di apparire convincenti. “Vedete non siete arrabbiati neri perché non ne potete più dei partitici, sappiamo che lo fate perché volete le riforme e…”

«Le riforme si devono fare. Se si fa finta non si è capito il voto di febbraio».

Da questa frase si comprende che sono proprio i congiurati a non aver capito il voto di febbraio; non hanno capito che gli elettori che si sono rifiutati di andare a votare non vogliono le riforme, li vogliono cacciare via. Per quanto riguarda l’altro terremoto siamo di fronte all’incredibile. Di fatto nei venti anni trascorsi le norme costituzionali relative ai limiti notarili della figura del presidente della Repubblica sono state modificate nella pratica (nella prassi si dice in burocratese). Soprattutto questa trasformazione da presidente notaio a presidente re si è concretizza- ta nel settennato di Napolitano. Evidentemente con la bis elezione, il bis-presidente si deve ormai sentire quasi un re, se durante un incontro di studi, cercando di spiegare in cosa consistesse il mandato presidenziale ha detto:

«Vedete, il mandato presidenziale è obbiettivamente un esercizio solitario, per la stessa natura monocratica di questa istituzione».

La frase è stata pronunciata ad un convegno dedicato a Loris D’Ambrosio organizza-

40 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo to dall’Università Luiss di Roma. La presenza del Presidente era fortemente motivata dalla circostanza che il magistrato Loris D’Ambrosio era il consigliere giuridico del Presidente, ed era morto improvvisamente il 26 luglio 2012, mentre sul Quirinale si stava abbattendo la bufera delle telefonate intercorse fa Mancino e Napolitano. Una delle riflessioni chiave del mio libro, quella che trovate a pagina 365.

In ogni caso, queste quattro intercettazioni fra Nicola Mancino e Giorgio Napolitano, influenti o ininfluenti che siano ai fini processuali, raggiungono un obiettivo inatteso. Annullano la distanza temporale fra il 1992/1993 e il 2012/2013. Uniscono l’operazione Monti al periodo delle stragi e del processo ai partiti. Aprono vecchie ferite. Rendono udibili le voci che ancora cercano una verità ancora negata.

Tornando al termine monocratico, essendo classicamente definente il potere assoluto del monarca, non può certamente essere utilizzato per indicare un singolare potere di comando assoluto che la Costituzione italiana non riconosce al presidente della Re- pubblica che ha, invece, appunto, una mera (cioè semplice) funzione notarile (neanche paragonabile al potere di un re).

Dunque, quando il cernobbista afferma, in un intervento al festival trentino dell’econo- mia, il 1 giugno 2013, che relativamente all’elezione del presidente della Repubblica, la costituzione va cambiata perché…

«Non possiamo più eleggere il presidente della Repubblica con le modalità dell’ultima volta. La democrazia rappresentativa sta cambiando e lo dobbiamo sapere».

A parte la difficoltà a cogliere aspetti rappresentativi fra gli scranni parlamentari italia- ni, di fatto, come appare a qualunque osservatore terzo, la presidenza di Napolitano si è trasformata in un vero e proprio semipresidenzialismo che consiste nell’aver assunto poteri di indirizzo nella formazione e nelle attività del governo. (Vedi anche governo Monti e dopo Monti.) Dice ancora il cernobbista a Trento:

“Il presidente della repubblica non potrà più essere eletto in questo modo, non possiamo delegare a mille persone l’elezione di un organo che ha assunto un potere ben più ampio che in passa- to”.

Con questa frase, di fatto e ormai, il cernobbista sta ammettendo che le funzioni notarili presidenziali del “passato” si sono trasformate in funzioni più ampie, perfettamente in- seribili nel semipresidenzialismo, questo sta ammettendo il cernobbista, non solo nell’in- tervento dal palco trentino. D’altra parte, in questo intervento è difficile non leggervi un invito all’elezione diretta del Presidente della Repubblica (come in Francia), visto che, ormai, quei poteri, il bis-presidente se li è presi “nella prassi”, come si dice nella lingua dei burocrati. Per di più, chi fa queste affermazioni, nella logica consequenziale derivata dai compor-

Il Monti mascherato 41 tamenti quirinalizi, sta ammettendo che in questi ultimi anni il dettato costituzionale è stato alterato. Incredibilmente il cernobbista non si chiede come sia stato possibile che la corte costituzionale abbia considerato “accettabile” questa “temporalmente strisciante” alterazione semipresidenzialista. È come se, allegramente, un pisano, si mettesse a can- tare una strofa della conosciutissima tarantella napoletana del 1944, dal titolo chiara- mente “napoletano”: SIMMO ’E NAPULE, PAISÀ. La strofa, per l’occasione cantata davanti all’altare del dio dei congiurati che si chiama “ormaismo”, è quella che segue:

chi ha avuto, ha avuto, ha avuto, chi ha dato, ha dato, ha dato, scurdammoce ’o passato, simmo ’e Napule, paisá.

L’inserimento di questa bellissima canzone napoletana, nel contesto di questo scritto, non è casuale. Non è causale perché nel mio libro nel capitolo “Democrazia” (che inizia a pagina 469) si parla proprio della città di Napoli, durante le reazioni di popolo a causa della plateale alterazione dei risultati del referendum Monarchia-Repubblica. Conviene dare il valore necessario a quanto trovate scritto dalla pagina 483 alla 490 del mio libro. Quel “siamo napoletani paisà” era cantato in faccia alle truppe occupanti (per i militari occupanti – anglofoni – infatti, tutti i napoletani si chiamavano “paisà”); era cantato in faccia a chi di quelle truppe era sostenitore; a chi si attardava ad immaginare recupera- bile un potere ormai dissolto nella tragedia di genti che ancora non si sentivano popolo. Fra le due guerre, hai voglia a riempire i paesi delle genti dell’antica italica terra dell’an- tico romano (derivato dall’etrusco) fascio littorio. Certo, se volevi campare dovevi ade- guarti al regime e nessuno meglio di un napoletano lo sa capire (adattarsi senza aderire). Un mio amico mi sottolineava che suo padre, nell’immediato dopo-guerra, custode di uno stabile dove abitavano anche avvocati e magistrati, gli raccontava di aver sentito un magistrato che raccomandava al figlio, appena diplomato, che prima di iscriversi alla facoltà di giurisprudenza all’università, doveva avere la tessera del Partito Comunista, perché ormai erano loro quelli che potevano “aprire le porte”. Quelli che avrebbero pre- so il posto dei burocrati legati al fascismo, potremmo oggi interpretare meglio. Quella canzone, scritta da Peppino Fiorelli e musicata da Nicola Valente, mostrava, e mostra tutt’ora, il carattere adattativo del popolo napoletano. Quella canzone era nata mentre Napoli, piena di macerie per i bombardamenti subiti, era occupata dalle truppe inglesi ed USAensi. Quella tarantella voleva che la tragedia di una guerra catastrofica, finalmente scorresse lontano dalla vita dei napoletani. Non disperiamoci chiedendoci come e perché (’o “pe’ comme” e ’o “pecché”) è avvenuto quello che ha provocato per noi, per i nostri familiari, per i nostri amici, per la nostra gente, morte, distruzioni, sofferenze. Non diamo più importanza a chi ci ha guadagnato o a chi ci ha perso. Ricominciamo daccapo, ricominciamo a vivere. Abbiamo il sole, abbiamo il mare, abbiamo vicino chi ci vuole bene. Fatti bella amore mio, metti il vestito più bello che hai (miette ’a vesta cchiù carella), mettiti lo scialle (’o crespo) giallo, infila una rosa fra i capelli (cu na rosa ’int’ ’e capille), usciamo e stammi vicino, vedrai quanti mi invidieranno (saje che ’mmidia ’ncuoll’

42 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo a me). Abbiamo voglia di vivere, siamo napoletani cari paisà con la divisa dei vincitori. I nostri scugnizzi hanno combattuto i teutonici, non hanno avuto paura, e i loro parenti buttavano per strada, fra i piedi dei teutonici, tutto quello che passava dalle finestre. Molti di loro si sono scontrati con i nuovi padroni, quando hanno avuto la faccia tosta di farsi beffe dei risultati del referendum sparando sulla folla e su un ragazzino che si arrampicava sui tubi (pagine 482-490 del mio libro). Si capisce di chi abbiamo parlato? No? Mi tocca dirvelo? E va bene abbiamo parlato del primo della lista, di Enrico Letta, in coppia simbiotica con Mario Monti, una sorta di parassitismo associativo.

Il Monti mascherato 43

Studenti: in Carrozza

Vediamo chi è il secondo largheintese-ista.

Chi, al Forum Ambrosetti di Cernobbio, sabato 7 settembre 2013, ha detto:

“In questo momento la classe dirigente italiana è molto omologata, quasi tutti hanno la stessa età, gli stessi vestiti, lo stesso linguaggio. Sono tutti di madrelingua italiana che hanno studiato negli stessi posti” … “Ci sono poche donne, pochissimi stranieri”.

E avendo presente l’idea che più stranieri di madrelingua non italica riempiano le classi scolastiche e le aule universitarie, nelle quali anno per anno si garantisce una riserva nu- merica agli stranieri, si è lanciata sul principio assiomatico (indimostrabile) che la crisi economica deriva dalle scuole con pochi stranieri.

“Con l’omologazione non verremo fuori da questa crisi. Per questo penso alla scuola come modo per uscire da questa crisi”.

Che vuol dire questa frase. Vuol dire forse che bisogna uniformarsi alla globalizzazione più sfrenata e rinunciare alla singolarità individuale, cominciando proprio dalle scuole. Il 28 settembre 2013, Giorgio Napolitano che si trovava a Napoli, al Maschio Angioi- no, dove si teneva la commemorazione del 70° anniversario delle 4 giornate di Napoli. Durante il suo intervento ha detto:

“L’unità e il futuro della Repubblica poggiano su un ravvicinamento, nella solidarietà e nella coesione, fra le sue regioni, vorrei dire, tra le sue capitali del Nord e del Sud. In Italia, come d’al- tronde in Europa, non reggono – oggi meno che mai – le rozze contrapposizioni tra un Nord virtuoso e un Sud ridotto a zavorra, a palla di piombo al piede della comunità nazionale e di quella europea”.

Di per sé una frase che ci dice quanto la questione meridionale dopo 152 anni sia an- cora un problema. Quanto alla rozza contrapposizione fra il nord e il sud del paese… … uno degli atti ministeriali compiuti dal secondo largheintese-ista del PD è stato quel- lo dell’immediata abolizione del Bonus Maturità che è il riconoscimento di un punteg- gio in più per l’ammissione nelle Università. In realtà l’operazione era preparatoria per giungere all’abolizione del valore legale del titolo di studio. E non era istituzionalmente un fulmine a ciel sereno. Nel predisporre il decreto semplificazioni alla fine gennaio 2012 (che diverrà legge n. 5 il 9 febbraio 2013), del valore legale dei titoli di studio, se ne era occupato Mario Monti, che riteneva necessario abbandonare il simbolismo e il formalismo del valore legale del titolo di studio.

Studenti: in Carrozza 45 Dunque nessuna meraviglia se, durante il forum organizzato dall’ANSA, il secondo largheintese-ista, ha detto:

“Sono contraria al valore legale del voto di maturità e di laurea. Sono contrarissima a dire che bisogna dare valore al voto, soprattutto se abbiamo commissioni che dipendono dalla sogget- tività”.

Il rettore dell’Università di Camerino, Flavio Corradini, tanto per dimostrare che ha capito benissimo cosa significhi il termine soggettività, ci ha tenuto a far sapere al quo- tidiano romano Il Messaggero che

“Uno studente non deve valere per un numero scritto su un diploma da commissioni che operano con criteri estremamente diversi dalle Alpi alle Sicilie ma per l’effettiva preparazione acquisita che porta con sé. Ma sarà l’unico modo per favorire i migliori e servirà anche a valutare corretta- mente il lavoro di scuole e università”.

Anche l’articolista del Il Messaggero, Patrizia Del Pidio, ha capito bene come stanno le cose, se scrive

Ed in effetti la soggettività di tali voti è emersa dall’analisi dei voti riportati nelle aree del Sud, dove abbondano i 100 e quelle del Nord dove sono molto meno numerosi, ma le competenze risultano essere maggiori al Nord in base ai risultati delle Prove Invalsi nazionali.

La virata che il ministero vuole compiere nel campo della meritocrazia è stata chiara già un paio di settimane fa, quando è stato cancellato il Bonus Maturità appena introdotto, motivando la scelta con i dubbi sui criteri che lo avrebbero conferito.

E così il valore legale del “pezzo di carta” se ne va in Carrozza. E la motivazione che gli studenti del Sud sono meno preparati degli studenti del Nord, quand’anche appoggiata sui criteri delle prove organizzate dall’Istituto Nazionale per la Valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione (Invalsi), pone perplessità soprattutto perché questo Istituto è soggetto alla vigilanza del Ministero della Pubblica Istruzione, di cui l’istituto fa proprie le priorità strategiche, non è il massimo della terzietà. Le Università del sud senza lavoro, secondo voi, sono il massimo dell’efficienza? Non risulta ai vigilanti del ministero della Pubblica Istruzione, come invece risulta a Sergio Rizzo, giornalista del Corriere della Sera, che: – dal sud sono emigrati più di 170mila laureati? – nelle università italiane, nel quadriennio 2007-2010 ci sono state 26mila immatri- colazioni in meno? – dalle università del sud emigrano verso le università del centro nord migliaia di studenti? – dallo studio della Unioncamere, relativo all’anno 2011, su 118.479 laureati di pro- venienza meridionale, il 31,6 non si sono laureati nelle regioni di provenienza?

46 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo A nessuno punge vaghezza che sia la mancanza di lavoro a provocare questa gigantesca fuga di laureati dalle terre del Mezzogiorno? Dall’occupazione manu militari del sud da parte del nord, quale futuro si prospetta ai giovani se non la fuga dalla loro terra natia? Non è forse vero che da quando il sud è stato “accorpato” al nord, da oltre un secolo e mezzo, i volani che da allora a tutt’oggi avrebbero dovuto attivare il suo sviluppo econo- mico e sociale si sono rivelate ruote che girano a vuoto? La storia del meridione è piena di aiuti peggiorabili provenienti da governi che non vogliono “questionare” sulla questione meridionale. I giovani sono costretti ad abbandonare le regioni meridionali, e cercano lavoro ed op- portunità anche all’estero, non solo nelle regioni del centro-nord. Le terre meridionali si stanno svuotando, decennio dopo decennio, di industrie, di gio- vani. In questo drammatico, incombente deserto (anche climatico, si teme), si vedono solo le sistemiche mazzate governative. Intanto il numero dei morti è maggiore del numero dei nati. Chi vuole abolire il valore legale al titolo di studio, di fatto, schiaccia la cultura sotto la mazza del denaro e del pregiudizio di parte. Le condizioni di sfruttamento di questa società economicizzata verrebbero amplificate da questa scelta abolizionista. Affermare che gli studenti meridionali valgano meno degli studenti settentrionali è un’affermazione ridicolmente razzista. Erano 84.165 gli studenti che, il 9 settembre 2013, nelle rispettive Università, per l’an- no Accademico 2013-2014, hanno affrontato la prova unica di ammissione ai corsi di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia e in Odontoiatria e Protesi Dentaria, consistente in un Test di Cultura generale e Ragionamento logico. 10.771 i posti complessivamente, a livello nazionale, disponibili. Esattamente nelle ore in cui si stavano svolgendo i test di medicina, venivano cambiate le regole sul Bonus Maturità. Perfetta serietà burocratica. E per essere certi che il Test, a dispetto della sua denominazione, si dimostrasse il pas- sino giusto per impedire che la logica e l’intelligenza passassero oltre, le domande cap- ziose cervellotiche, assurde, elencate con un ordine diverso per ognuno dei partecipanti alla selezione, hanno fatto la loro parte. Qualche esempio?

– Qual è l’autore dell’opera del XVII secolo “Don Quijote de la Mancha”? – Per raggiungere il suo ufficio, Davide può percorrere due strade diverse. La prima è una strada di 6 Km lungo la quale si incontrano tre semafori, che costringono Davide a fermarsi al rosso a ciascun semaforo per tre minuti in media. La seconda è una strada di 8 Km, lungo la quale si incontra solo un semaforo che costringe Davide a fermarsi per due minuti in media. Quando Davide non è fermo ad un semaforo, guida ad una velocità media di 24 Km/h. Quanto tempo risparmia in media Davide percorrendo la strada più veloce? – Nelle società occidentali, le persone sono in media più istruite, più sane e più ricche di quanto lo fossero cinquanta anni fa, ma i sondaggi dimostrano che tutto ciò non le rende più felici. Questo conferma il vecchio detto che i soldi non fanno la felicità. Ne consegue che è

Studenti: in Carrozza 47 meglio non vincere alla lotteria, perché più si è ricchi e meno si è felici.

Avendo presente queste tre domande (su sessanta) cercate di dare un senso alla lamen- tela dei deputati della Lega Nord Paolo Grimoldi e Davide Cavallotto,

“È inaccettabile che gli studenti del Nord siano sfavoriti nelle selezioni di Medicina e di altri corsi di laurea a numero chiuso a causa del bonus maturità che premia le Regioni del Sud”.

Provate voi a dire a 73.394 studenti che debbono abbandonare l’idea di fare il medico, almeno per questo anno accademico, almeno in Italia. Ovvero confrontate i numeri che trovate nella scheda che ho elaborato e inserito nelle pagine seguenti. Il “pezzo di carta” è nato come una garanzia per non dipendere dagli umori di chi deve prendere decisioni sulle capacità dello studente. Il pezzo di carta con valore legale, garantisce l’accesso all’intero sistema scolastico e universitario di tutto il territorio na- zionale, a Sud e a Nord. Il pezzo di carta garantisce l’ammissione agli esami di Stato per l’accesso agli albi degli ordini professionali; garantisce la partecipazione ai bandi di concorso delle amministrazioni pubbliche secondo i profili richiesti. Adesso, sapendo che stiamo parlando del ministro della Pubblica Istruzione Maria Chiara Carrozza che, come vedremo, fa parte del “giro di Letta”, provate a rileggervi le dichiarazioni di Giorgio Napolitano che da Napoli è preoccupato che il Nord appaia virtuoso e il Sud è invece ridotto a zavorra. L’ulteriore conferma che Letta la pensa come la ministra che ha voluto in quel dica- stero, ce la offre un suo intervento ad una conferenza stampa nel 2003 al Meeting di Rimini, presente l’allora ministro all’Istruzione Letizia Moratti. Enrico Letta, come economista, rappresentava la Margherita che poi confluirà nel PD. Bene sapete come riteneva che si potessero risolvere le difficoltà delle Università italiane che dovevano fronteggiare la gran massa degli studenti che bussava alle loro porte? Semplice. La so- luzione stava nell’abolizione del valore legale delle lauree.

Abbiamo, brevissimamente, osservato da vicino, la filo-lettiana Maria Chiara Carrozza che è la ministra dell’Istruzione, Università e Ricerca.

48 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo Cara Italia, ti cambio i connotati

Ora tocca al terzo largheintese-ista.

Nel nuovo millennio, che si era appena aperto, gli italiani vedevano radicarsi quella pre- occupazione per la piega global-arrivante che, da almeno trenta anni, stava sempre più marcatamente prendendo la società italiana. I governanti, per conto di Padron Mercato, lanciavano frasi-tipo tese a rassicurare gli italiani. Le avrete sentite, quelle frasi-tipo, da capi di governo, ministri, parlamentari che suonavano sostanzialmente così: dovreste ringraziarli, gli immigrati, vengono in Ita- lia a fare i lavori che gli italiani non vogliono più fare. Non si andava a guardare nel sottile se quei sotto lavori erano “ceduti” agli immigrati che erano disponibili a farsi pagare po- chissimo. Non era opportuno chiarire che nella società italiana il, cosiddetto, datore di lavoro vuole pagare il meno possibile chi lavora per lui, tanto chi vuoi che controlli che ad una specifica prestazione lavorativa corrisponda una precisa paga; che il lavoratore sia immigrato o il lavoratore sia italiano. Le associazioni criminali come camperebbero, ve lo chiedete? Se non ci fosse l’immigrazione clandestina dove prenderebbero la ma- nodopera per innumerevoli attività illegali. D’altra parte qualcuno dovrà pur remune- rarle queste associazioni visto che sono le uniche a garantire il controllo del territorio. Quando, per esempio, non ha importanza dove, le forze dell’ordine, vigili urbani per primi, “scoprono”, perché se l’è cantata qualche cittadino, che in mezzo alla campagna, che i vigili non hanno il dovere di controllare (e, non si sa bene chi ha il compito di farlo) si sono installati, utilizzando ripari e coperture d’ogni tipo, un centinaio di clan- destini, magari vicino ad un corso d’acqua, provate ad immaginare chi, invece, essendo provvisti di controllori del territorio, è da quel dì che lo sanno. Romano Prodi è stato intervistato dal professor Massimo Livi Bacci, che è stato parla- mentare per il Pd ed è professore di Demografia, presso la Facoltà di Scienze Politiche “Cesare Alfieri” dell’Università di Firenze. L’intervista si trova in una pubblicazione dell’associazione Neodemos, dell’ottobre 2010, dedicata alla Politica dell’immigrazione e della cittadinanza in Europa. Neodemos divulga le analisi demografiche nel suo sito www.neodemos.it Per capire nelle mani di chi siamo, vi riporto quanto Romano Prodi afferma qualche risposta prima di quella che dopo vedrete.

Io credo che ci sia qualche disegno che guida questi grandi andamenti, altrimenti non mi pos- so spiegare come, in pochissimo tempo, i fatti abbiano “corretto” in modo così vigoroso e incisivo le previsioni sul corso della popolazione mondiale. Se poi guardiamo più in dettaglio, è stupefa- cente vedere come la discesa della natalità, iniziata nella sua ultima fase verso gli anni ’60, sia stata in tutta Europa quasi identica, di qua e di là della Cortina di Ferro. Con alcune transitorie eccezioni, come Irlanda e Polonia, dovute però a motivi religiosi, – e presto però riassorbite nella tendenza generale – quasi una forte ondata di “risposta” generata dall’umanità… Queste rifles- sioni non hanno molto a che fare con l’analisi scientifica della prima parte di questo incontro, ma quando rifletto su queste grandi ondate non posso non pensare all’esistenza di grandi “dise-

Cara Italia, ti cambio i connotati 49 gni” che determinano un adattamento dell’umanità, forse provvidenziale…

Osservando la gigantesca movimentazione di genti scardinate e a forza considerate reincardinabili nella povera Europa, secondo Prodi sarebbe, dunque, visibile un qualche disegno che guida questi grandi andamenti. Per di più, questo strappar di genti dal luogo natio sarebbe una “risposta” generata dall’umanità, non la criminale attuazione della globalizzazione più sfrenata, che considera un noioso intralcio, da cui liberarsi pronta- mente, qualunque tentativo regolatorio, da chiunque provenga. E chi sarebbe il disegnatore di questo gigantesco sfascio mondiale, è forse Padron Mer- cato quello che non ha occhi, non ha orecchie, è come un serpente, ma non è un serpente? (Pagina 471 del mio libro.) Ma no, che pensate mai, è un disegnatore provvidenziale. E, Prodi, lascia che si immagini, senza dirlo, che sia addirittura Dio che si è inventata la globalizzazione. State capendo nelle mani di chi siamo? E ancora, reminiscenza del detto popolare che gli immigrati fanno i lavori che gli italia- ni non vogliono fare, neanche se li pagate a pepite d’oro, eccovi un’altra perla di Romano Prodi.

Ma vengo al tema delle migrazioni: i mesi della crisi mi stanno dando un insegnamento incredi- bile, cioè che nonostante l’aumento molto forte della disoccupazione tra gli italiani, la richiesta di stranieri è ancora forte proprio perché coprono tipi di occupazione che i nostri ragazzi non vogliono assolutamente fare, indipendentemente dal salario o da qualsiasi altra condizione. Non fosse che per questo motivo sociologico, credo che il flusso di immigrazione continuerà in tutta Europa ad essere elevato e soprattutto in paesi fortemente stratificati come la Spagna o come l’Italia. Se nessuno dei nostri figli munge le mucche, dato che le mucche vanno munte e nessuno vuole mungere le mucche nei giorni di festa, allora vengono i sikh che nei giorni festivi le mucche le mungono…

… I telegiornali l’altro giorno dicevano che “ci sono delle badanti italiane”: chissà dove sono do- vuti andare per trovarle! È un tipo di professione oramai abbandonata dalla nostra società, ma in compenso abbiamo delle ucraine presidi di facoltà o camerieri filosofi… Questa è la realtà dell’Europa di oggi…

Riprendiamo, ora, il ragionamento. Riprendo solo parte di una domanda che ritengo si diparta da una pre-posizione che il professor Livi Bacci espone a Romano Prodi.

E quindi però, ci rientra la demografia: pochi giovani, e in diminuzione, in un mercato del lavoro estremamente stratificato per cui, come tu dicevi, molte professioni non sono gradite agli ita- liani. La conseguenza è una domanda crescente di lavoro immigrato. Ogni società deve rinnovarsi – sia per mezzo di nuove nascite, sia per mezzo di immigrati: la prima è la riproduzione biologica, la seconda è la riproduzione sociale. Il miliardo di persone che vive nei paesi ricchi si rinnova, ogni anno, con 10 milioni di nascite e un afflusso “netto” di tre milioni di immigrati. Ciò vuol dire che un quarto del processo di rinnovo del mondo ricco è affidato all’immigrazione.

50 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo Non si comprende bene come dalle frasi collegate al lavoro che su sono riportate, com- prensivo dei domenicali mungitori di mucche si giunga alle molte professioni non sono gradite agli italiani. La pre-posizione che intendevo sottolineare è quella relativa all’obbligo di ogni società a rinnovarsi, e che da questo non chiaro significato del termine rinnovarsi, ci si lancia a produrre nuove nascite e ad aumentare la popolazione, per mezzo di immigrati, anche questi, intuibilmente, spinti a dedicarsi a nuove nascite. Ecco, dunque, alcune parti della lunga risposta di Romano Prodi. Relativamente al modello di immigrazione

… Le migrazioni prevalenti sono quelle permanenti

Relativamente ai flussi migratori

Spesso però compiamo errori di prospettiva, e pensiamo il mondo con flussi migratori che lo traversano da un capo all’altro. Nella realtà, la parte maggioritaria delle migrazioni hanno carat- tere “regionale” e nella stessa Europa le migrazioni intraeuropee prevalgono su quelle extraeuro- pee.

Relativamente alle tensioni sociali determinate dalla modifica, permanente ed imple- mentante, del tessuto sociale italiano

… se vogliamo evitare tensioni sociali incontrollabili, le migrazioni devono significare fusione di popolazioni dopo una seconda o una terza generazione: dove questo non avviene, sorgono i problemi. In Francia, il problema specifico delle banlieue è la conseguenza della mancata fusione tra immi- grati e autoctoni dopo la seconda o la terza generazione. E se chiedete ai politici tedeschi dove si concentrino i problemi dell’immigrazione, vi rispon- deranno che ciò avviene in quelle aree dove gli immigrati si sono concentrati – o sono stati ghet- tizzati – si sono sposati esclusivamente tra di loro, non hanno appreso la lingua, e nelle quali i processi di fusione risultano bloccati o rallentati.

In Germania però, gli immigrati italiani si sono integrati bene nella società tedesca… La co- munità italiana era forse quella più benestante di Francoforte, ma alla loro relativa ricchezza i nostri connazionali erano arrivati facendo professioni individuali (nella ristorazione, negozianti, meccanici) e rimanendo relativamente ignoranti; avevano investito poco nell’istruzione dei figli, che frequentavano poco la scuola. Erano si, bene integrati nella società, ma conservando i comportamenti familistici italiani. Forse, arrivati ad una relativa ricchezza nella prima generazione, avevano paura di perderla, e privilegiavano il lavoro, trascurando l’istruzione.

L’esperienza italiana mostra come sia faticosa l’integrazione, come vengano conservate le abitu- dini proprie delle terre e delle famiglie di provenienza. Vuol dire che ci vorrà una generazione in più!

Cara Italia, ti cambio i connotati 51 Questo ci dice, poi, che il problema dell’accesso alla cittadinanza è DE-TER-MI-NAN- TE! Non c’è niente da fare: se vogliamo un’immigrazione che arricchisca, occorre che essa faccia parte della comunità che l’accoglie, e che migranti e autoctoni si aprano reciprocamente.

Bisogna che quelli che arrivano si mischino, si fondano con quelli che già ci sono, gli autoctoni. Se questo non succede sono dolori. Bisogna usare l’istruzione, quella è l’arma vincente. Così prenderà corpo il multiculturalismo, parrebbe dire Prodi. Questa fusione, si basa su un pre-concetto (o se volete una pre-speranza) che gli immi- grati che vogliono accedere alla cittadinanza del paese dove hanno deciso di vivere, pri- ma di issare la bandiera dei diritti hanno il dovere di conoscere e rispettare i fondamenti etici e giuridici del popolo in mezzo a cui vivono. Stiamo parlando di multiculturalismo. Esattamente quel multiculturalismo che i capi di governo della Germania e della Gran Bretagna, hanno dovuto riconoscere che è fallito. Angela Merkel, nell’autunno del 2010. David Cameron, dal palco della Conferenza sulla sicurezza che si è tenuta a Monaco di Baviera il 10 febbraio 2011. Il visibilissimo fallimento del multiculturalismo dimostra il fallimento del modello so- ciologico principe dell’integrazione che, in Italia, per farla bere agli ammalati di dana- rite, viene considerata una ricchezza. Soprattutto il problema sollevato si esemplifica nelle comunità musulmane dove si van- no radicalizzando posizioni che spingono alla islamizzazione del paese ospitante. In più va osservato che l’esistenza di quartieri abitati, quasi esclusivamente, da precise etnie non italiane, non aiuta certo il progetto multiculturale che dovrebbe portare alla coesione sociale, anticamera della cosiddetta fusione. Ammucchiare gli stranieri in un luogo preciso, tanto per stare tranquilli, certo che è sbagliato; come è sbagliato che l’immigrato pretenda che sia l’italiano ad integrarsi alla sua cultura. Quando, anche in Italia, ci si renderà conto che il multiculturalismo globalizzato non può mettere radici. Coloro che parlano la stessa lingua e magari professano la stessa religione tendono a fare gruppo e a rifiutare l’integrazione, che viene percepita come costrizione alla rinun- cia alla propria singolare cultura e alle proprie tradizioni, per assorbire quelle del popolo ospitante. È una considerazione che non può essere considerata illogica. Anzi, partendo da questa considerazione, conviene entrare dentro il significato dell’abusato termine INTEGRAZIONE. Se cercate questo termine in un vocabolario trovate questo significato: il fatto di inte- grare, rendere intero, pieno, perfetto ciò che è incompleto o insufficiente. Facciamoci aiutare ancora dal vocabolario e cerchiamo il verbo INTEGRARE. Ci troveremo ancora di fronte: completare, rendere intero, perfetto. Non solo, ci verrà proposto anche al significatofondere con qualcosa, che ci riporta al termine fusione, usa- to da Romano Prodi qualche pagina più su. Già che ci siamo, cerchiamo anche il termine fusione nel vocabolario. Troveremo: pas- saggio di un corpo dallo stato solido allo stato liquido. Per quanto qualcuno potrebbe tro-

52 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo varvi qualche pertinenza in questo gioco al massacro del mischiamento, non è il signi- ficato che ci serve. Andremo allora al significato figurato e troveremo: il riunire o il riunirsi di più elementi per formare un tutto unico. Bene. Allora chi è l’incompleto, l’insufficiente che deve essere reso intero, pieno, perfet- to per formare un tutto unico, non si sa bene con chi? È l’immigrato o l’autoctono che viene considerato insufficiente e incompleto? È l’immigrato che deve essere completato delle parti mancanti, e con queste divenire un tutto unico, per essere considerato integrato? È l’immigrato che per essere considerato integrato deve accettare passivamente il siste- ma sociale del popolo ospitante e conformarvisi, divenendo con questo popolo un tutto unico? È l’autoctono che per essere considerato integrato si deve conformare al sistema sociale della gente ospitata e conformarvisi, divenendo con ognuna delle etnie immigrate un tutto unico? Ovvero potrebbero mischiarsi ben bene e fare una cosa nuova sotto il sole, un albero di peremele, un canegatto, un conigliolupo, e via immaginando dove può portare il mi- schiamento che arricchisce, riempiendole, le fosse dei mischiamenti innaturali venuti male. Proviamo a chiederci se, nelle condizioni date e concrete, visibilissime agli autoctoni e agli immigrati, gli uni sono integrabili agli altri, nel significato che abbiamo approfon- dito. Se l’autoctono o l’immigrato gira al largo dalla integrazione, considerandola forzosa, può essere accusato di integralismo? In questo caso stiamo usando il termine integrale, chiedendolo in prestito alla gastro- nomia. Il cibo integrale è il cibo naturale non manipolato. Quanto all’integralismo, sempre chiedendo aiuto al vocabolario, scopriamo che signifi- ca Concezione politica o religiosa estremistica, che contrasti (anche con la violenza) tutte le posizioni differenti dalla propria: fondamentalismo. Questo ultimo termine dovrebbe esservi noto, comunque significa: tendenza conserva- trice ed estremistica all’interno di una religione (spec. l’Islamismo) che richiama alla rigida applicazione dei suoi principi fondamentali. Che strano. Non viene anche a voi da pensare al grido di allarme, lanciato da Merkel e da Cameron, sul fallimento del multiculturalismo, cui abbiamo accennato qualche pagina fa? Vedete bene che c’è qualcosa che non va. Basterebbe collegare quanto abbiamo appena osservato ai casi in cui da immigrati mu- sulmani è stato richiesto di rimuovere i crocefissi dalle aule scolastiche. (Vi rimando al mio articolo dove questo tema viene affrontato La guerra del crocefisso, un nervo scoperto, lo trovate nel sito di Nexus.) In quell’articolo facevo notare che i nemici dell’umanità si sono inventanti sistemi di pressione psico-social-economici sofisticati chiamati sfascia-paesi. Questa psico-social- macchina è una vera macchinazione sordida (disgustosamente), violenta, perfida, orien- tata a distruggere il tessuto sociale del Paese che è stato preso di mira, utilizzandone i,

Cara Italia, ti cambio i connotati 53 sempre disponibili, personaggi meschini, violenti, perfidi, addanarati (pronti a dannarsi per denaro). Questa psico-social-macchina sfasciapaesi è stata messa alla prova, infilandola nei sistemi sociali dei Paesi facenti parte dell’area satellitare gravitante intorno alla ex Unione Sovietica. Questa psico-social-macchina è stata adattata alla Jugoslavia, trasformandola in una psico- social-macchina sfasciaconfederazione. Operazione perfettamente portata a termine, come si vede, se, dall’altra parte dell’Adriatico, ancora sono fumanti di rovine i territori della ex Jugoslavjia, sventrati da una indotta guerra civile, ancora trasudanti sangue. Abbiamo anche appurato, come i nemici dell’umanità fossero certi di trovare, nella dirimpettaia Italia, gli aiutanti di campo; come fossero certi che, proprio dagli ex comunisti, avreb- bero ricevuto manforte per distruggere la Confederazione della Jugoslavjia. Del multiculturalismo jugoslavo che si reggeva su delicatissimi equilibri-ponte fra le etnie e le religioni, se ne sono semplicemente tutti fatto un baffo. Se ne sono fregati, gli USAensi, di là dell’Atlantico, la Germania e tutta l’Europa, i post-tutto italiani, cattoli- ci compresi, del sangue che sarebbe corso a fiumi, utilizzando come detonatore proprio il multiculturalismo; perché funzionasse l’abbattimento controllato della confederazio- ne, facendola esplodere, come se fosse un ponte imbottito di esplosivo. Fu scatenata in modo artificioso una guerra senza quartiere tra ortodossi, musulmani, cattolici che divampò in tutta la Confederazione. Che se il Maresciallo Tito lo avesse saputo prima, col cavolo che si sarebbe dichiarato pronto a dare manforte ai comunisti italiani (del post-fascismo), se avessero scatenato la guerra civile, in risposta alla vittoria della Monarchia, nel Referendum Monarchia- Repubblica, del 2-3 giugno 1946. L’Unione Europea li vorrebbe tutti piccoli così gli Stati della sua federazione, simil- USAense; tutti come la cattolica Slovenia, entrata nel 2004 (che quando ha dichiarato l’indipendenza dalla confederazione, nel 1991, aveva le truppe austriache e germaniche al confine), come la cattolica Croazia, entrata nel 2013, come la maggioritaria musul- mana Bosnia, che vorrebbe entrare nell’Unione Europea. Ma quanti sono, in Bosnia, i cristiani ortodossi, i cattolici, i musulmani, esattamente? A questa domanda dovrebbero rispondere 26mila funzionari porta a porta, inviati dalla UE, proprio quella che ha contribuito, col funzionale lasciarfare, a martoriare anche quel Paese, contribuendo all’esplosione di un multiculturalismo che camminava sul filo, come un funambolo. Dobbiamo contarvi, ragazzi, si sbilanciano i portaaportisti. Mentre l’Istituto Persone Scomparse (Icmp) di Sarajevo sta ancora scavando nelle colline di Tomasica, a Prinedor, nella Bosnia nord-occidentale, da dove sta uscendo (ne hanno contati finora 2082) quello che è rimasto di musulmani e croati bosniaci vittime delle vendette incrociate, etniche e religiose, che hanno insanguinato l’intera Confederazio- ne. Le fondamentali domande dei portaaportisti? Eccole. Di che etnia sei? Che religione pratichi? Che lingua parli? Nell’articolo La guerra del crocefisso, un nervo scoperto, del 4 novembre 2003, (dieci anni fa) scrivevo:

54 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo Avrete anche registrato il fatto che, per aggiungere l’Italia fra i paesi disponibili ad usare i loro eserciti contro la Serbia, si è anche provveduto a cambiare il Presidente del Consiglio del Gover- no italiano. È fatto storico che, nella primavera estate del 1999, le coste della regione Puglia che si affaccia anche sull’Adriatico, da cui proveniva il, nuovo e mirato, Presidente del Consiglio italiano, hanno subito l’affronto dell’installazione di sistemi antimissile in funzione antiserba.

Infatti quale paese, se non l’Italia, avrebbe avuto un vero ed ineludibile interesse nazionale ad atti- varsi fino allo stremo per impedire l’annientamento della confederazione Jugoslava, dirimpettaia dello stretto Adriatico. La questione Jugoslava doveva da subito essere la questione italiana già da prima del 1991, quando la Slovenia inserì nella propria costituzione il diritto di secessione.

Purtroppo, mentre la Jugoslavia cominciava a perdere i pezzi rendendo inevitabile la disperazione e i drammi delle sue popolazioni, l’Italia dei primi anni ’90 era rinchiusa in se stessa, nelle sabbie mobili di Tangentopoli, incapace di fermare, come sarebbe stato suo interesse, la lacerante distru- zione della federazione degli “Slavi del sud”.

Ma soprattutto siamo stati costretti ad accettare passivamente la trasformazione di una confede- razione multietnica in una serie di staterelli confessionali. E questo è avvenuto di fronte a casa nostra.

Tutti, i sopra riportati, passaggi sono perfettamente inseribili nelle pagine di questo scritto. Dopo che avrete finito di leggere questo scritto, provate a ritornare su questi passaggi, di un articolo scritto dieci anni fa, e trovare i capitoli dove si troverebbero perfettamente incastonati. Ecco perché la frase-domanda, sempre in questo articolo richiamato: Che c’entra la Jugoslavia con il nostro Paese, è una frase che c’entra, e come, in questo capitolo, e nello sfondo dell’intero scritto. Provate ad immaginare, mentre in Italia si stavano attivando i deviatori, a cavallo fra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90, se quelle tre domande “Di che etnia sei? Che religione pratichi? Che lingua parli?” sarebbero state considerate esemplificanti lo stato del Paese Italia. Certamente le avreste considerate non contestuali al tessuto sociale di quel periodo. Venti anni dopo. Dopo il profondo lavorio modificatorio degli europadro- ni sulla struttura istituzionale italiana, ben orientata anche dai deviatori, siete certi che quelle tre domande, che oggi stanno portaapportando in Bosnia, siano considerate non contestuali per lo stato dell’attuale tessuto sociale italiano? E, se oggi è così, queste tre domande, fra venti anni, e ancora fra altri venti, quale tessuto sociale intercetteranno nel nostro Paese? Eppure non sono invisibili i nemici dell’umanità che si sono inventati l’Unione Euro- pea; soprattutto dopo le prove generali jugoslave dell’esistenza della macchina sfascia- confederazioni costruita appositamente per ridurre a pezzi piccoli, mangiabili e control- labili, i paesi che “disturbano” troppo e creano problemi di controllabilità. Davvero credete che nei piani di questo gruppo criminale non sia stato previsto lo spezzettamento “medioevale” di una Italia che tanto non avrà mai un popolo, se le sue

Cara Italia, ti cambio i connotati 55 genti, dopo secoli ancora non hanno deciso di spazzare via farabutti schiavisti e sfrut- tatori dalla terra che pure dovrebbero considerare un Terra antica, una Terra da difen- dere. Se queste genti almeno lo cominciassero a pensare, davvero si trasformerebbero in popolo, davvero darebbero un senso al libro che ha motivato questo scritto, un libro scritto proprio per le buone genti italiche perché trovino la forza e la determinazione di trasformarsi in popolo.

Non vi sembrino eccessive le pagine che abbiamo dedicato a rappresentare lo scenario circostante, immigratorio, di chi si presenta come italo-congolese essendo divenuta cit- tadina italiana dal 1994, avendo contratto matrimonio con un cittadino italiano, l’inge- gnere Domenico Grispino, allora capo ufficio tecnico del comune di Castelfranco Emi- lia. L’ing. Grispino, dal 2009, è direttore del CAP (Consorzio aree produttive – Aree e Servizi), Ente che raggruppa 12 comuni che fa capo al comune di Modena. Avendo ottenuto la cittadinanza italiana in forza del matrimonio con un cittadino ita- liano, ci si sarebbe aspettati che la dottoressa italo-congolese avesse aggiunto il cogno- me del marito al cognome di nascita, pur la legge permettendole di non farlo. Ma non è da terzi sindacabile quello che è facoltà di ogni singola coppia decidere. Il suo nome africano, a cui giustamente tiene, è Kyenge Kashetu detta Cécile. È nata, il 28 agosto 1964, a Kambove, dove ci sono miniere di Rame e Cobalto, nel di- stretto Haut della provincia del Katanga, nel sud della Repubblica del Congo ai confini con lo Zambia. La famiglia da cui proviene è di etnia bakunda, il padre Clement detto Kikoko, funzionario statale, era (ed è ancora) capo villaggio, ha 74 anni, 4 mogli, 38 figli; di questi otto sono nati da Mathilde, la madre di Kashetu, morta nel 2010. Come ci racconta Giuseppe Fumagalli, nel settimanale Oggi del 24 settembre 2013, che lo ha incontrato, una parte dei numerosi figli del capo tribù sono emigrati all’estero, li trovate in Belgio, Canada, Irlanda, Stati Uniti, Sud Africa, Sud Corea, Italia, Irlanda, Francia, Germania. C’è una frase di Kyenge padre che vale la pena riprendere dall’articolo del settimanale Oggi, eccola:

Gli italiani sono stati i primi ad arrivare in Katanga. Hanno fatto fortuna, hanno sposato le nostre donne, si sono integrati.

È una frase che conferma quanto sul termine integrazione ci sia una gran confusione non solo italo-congolese. A proposito, sempre per mostrare la confusione sul termine integrazione, vale la pena di riportare le entusiastiche dichiarazioni rilasciate all’Ansa, il 27 aprile 2013, da un atleta marciatore italo-congolese di seconda generazione. Jean-Jacques Nkouloukidi, nato a Roma nel 1982 da padre congolese e madre haitiana. Dal 2002 è arruolato nelle Fiam- me Gialle, la diramazione atletica della Guardia di Finanza.

“La lunga marcia dell’integrazione ha compiuto un passo storico. Sono molto contento”. “Sapere di questa nomina mi fa molto piacere, visto che mio padre è congolese: dimostra che l’in- tegrazione di questa società multietnica, perché l’Italia sta diventando tale, si comincia a vedere 56 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo anche nella politica”. “… ma per me è tutto più facile e mi sento perfettamente integrato, perché faccio parte della nazionale e anche delle Fiamme Gialle. Non tutti hanno la mia stessa fortuna, per questo dico che il compito della Kyenge sarà duro: quello dell’integrazione è un argomento molto ampio. Ma l’Italia è destinata a essere sempre più multietnica”.

Faccio solo notare che l’atleta marciatore si sente italiano ed integrato; esprimendo que- sta convinzione con la frase: mi sento perfettamente integrato, perché faccio parte della nazionale e anche delle Fiamme Gialle. Siccome tutto mi va bene, allora sono integrato. È esattamente la confusione del padre del ministro Kyenge: Hanno fatto fortuna … quindi si sono integrati. Ma, papà Kyenge ha ancora qualcosa in serbo, e ci tiene a dirlo all’inviato di Oggi.

Cécile può avere ereditato il mio dinamismo, ma in lei vedo altri geni. È da parte materna che hanno la politica nel sangue. I nonni sono stati ministri dell’Interno e dell’industria in Katan- ga.

Non ci sono povere capanne, costruite alla bell’e meglio (e vendute per poco e ad altri disperati, per pagare gli scafisti che traghettano verso il paradiso di Padron Mercato), nel passato del ministro africano. Sempre immigratoriamente parlando si può rendere noto quello che, avendolo dichia- rato all’ANSA, il 27 aprile 2013, il giornalista italiano Fidel Mbanga-Bauna, nato in Congo, voleva che fosse noto: Sono contento per il neo ministro Cécile Kyenge ma io non la vedo congolese visto che è cittadina italiana, altrimenti il passaporto italiano non ha valore e come tutti gli altri ministri italiani è stata chiamata a servire il suo paese. Non vorrei apparire precisino, se faccio notare al giornalista italiano con nome congole- se che non si è esattamente informato; infatti, a differenza sua, il ministro vuole essere considerato non solo italiano, ma italo-congolese. Dalle righe sopra avrete compreso che gli italiani, come è noto, oltre a non voler fare i mungitori di mucche domenicali, non vogliono fare i ministri e i giornalisti, quindi sono costretti a ricoprire questi rifiutati incarichi proprio gli immigrati. Nel frattempo il livello di disoccupazione dei giovani italiani pare sia una preoccupazio- ne per il governo dei congiurati. Vedremo dopo come si sono già preoccupati di affrontarlo. È Livia Turco, via Bersani, che l’ha proposta a Letta, come ha raccontato il marito che prima di essere filo-piddino, per via della moglie, era leghista. Quindi, pungendo vaghezza che sia stata scelta in rappresentanza di quelli che si sono laureati in Italia, rientrando nel numero dei posti riservati agli stranieri ma, e sono un gran numero, sono rimasti in Italia, esercitando la professione connessa alla laurea, non avendo voluto reinserirsi nei loro paesi di origine, in Africa e non solo in Africa, in con- to Letta, giunta dall’Africa, a gestire il dicastero dell’Integrazione eccovi un ministro africano. La puntina di vaghezza non è campata per aria, infatti, nel comma 3 dell’articolo 3

Cara Italia, ti cambio i connotati 57 relativo alle Politiche migratorie della Legge 6 marzo 1998, n. 40, “Disciplina dell’im- migrazione e norme sulla condizione dello straniero”. Troviamo scritto

Il documento individua inoltre i criteri generali per la definizione dei flussi di ingresso nel terri- torio dello Stato, delinea gli interventi pubblici volti a favorire le relazioni familiari, l’inserimento sociale e l’integrazione culturale degli stranieri residenti in Italia, nel rispetto delle diversità e del- le identità culturali delle persone, purché non confliggenti con l’ordinamento giuridico, e prevede ogni possibile strumento per un positivo reinserimento nei Paesi di origine.

Da considerare che questa legge è stata profondamente modificata per favorire l’accesso degli stranieri non comunitari in Italia dalla Legge 30 luglio 2002, n. 189 “Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo”. Inoltre è a questa legge del 2002 che fa riferimento il ministro Maria Chiara Carrozza, nel Decreto Ministeriale 12 giugno 2013 n. 449 relativo alle Modalità e contenuti delle prove di ammissione ai corsi di laurea ad accesso programmato a livello nazionale a.a. 2013/2014. Infatti, nel decreto, in perfetto burocratese, sono elencate le innumerevoli norme a cui il decreto fa riferimento, dopo 9 VISTA, 10 VISTO, 3 VISTI, 1 TENUTO CONTO, 1 VALUTATA, 2 RITENUTO, 3 RAVVISATA e 1 CONSIDERATO, ognuno seguito dalla norma a cui si fa riferimento, finalmente si arriva al “D E C R E T A”. Puntiamo il faretto su uno dei 9 VISTA, questo:

VISTA la legge 30 luglio 2002, n. 189, “Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo” e, in particolare, l’articolo 26;

All’articolo 26 di questa legge fa riferimento l’articolo 14 del decreto “Signori (studenti) in Carrozza, si parte”, il quale articolo così “D E C R E T A”

Articolo 14 (Posti disponibili) 1) I posti relativi ai corsi di laurea magistrale a ciclo unico con la prova selettiva calendarizzata per i giorni 3, 9 e 10 settembre 2013, destinati agli studenti comunitari e non comunitari residenti in Italia, di cui all’art. 26 della legge 30 luglio 2002, n. 189, sono ripartiti fra le Università secon- do la tabella dell’allegato 4 che costituisce parte integrante del presente decreto. Agli studenti stranieri residenti all’estero sono destinati i posti secondo la riserva contenuta nel contingente di cui alle disposizioni ministeriali in data 18 maggio 2011 citate in premessa.

A questo punto, anche chi legge vorrebbe sapere che dice mai questo articolo 26. Bene. Accontentiamoci. Ma, attenzione, siamo in pieno territorio burocratese, pieno zeppo di mine antiuomo, antidonna, antibambini, anti tutto ciò che ha il coraggio di apparire vivo. Stiamo per scoprire (noi che vorremmo che intervenissero gli artificie- ri della benemerita per sminare il territorio) che l’articolo 26 della legge 189 del 12 giugno 2002, a sua volta, come potrete verificare, modifica il comma 5 dell’art. 39 del decreto legislativo numero 286 del 1998.

58 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo Articolo 26 (Accesso ai corsi delle università) 1. Il comma 5 dell’articolo 39 del testo unico di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998 è sostituito dal seguente:

«5. È comunque consentito l’accesso ai corsi universitari, a parità di condizioni con gli studenti italiani, agli stranieri titolari di carta di soggiorno, ovvero di permesso di soggiorno per lavoro subordinato o per lavoro autonomo, per motivi familiari, per asilo politico, per asilo umanitario, o per motivi religiosi, ovvero agli stranieri regolarmente soggiornanti da almeno un anno in pos- sesso di titolo di studio superiore conseguito in Italia, nonché agli stranieri, ovunque residenti, che sono titolari dei diplomi finali delle scuole italiane all’estero o delle scuole straniere o interna- zionali, funzionanti in Italia o all’estero, oggetto di intese bilaterali o di normative speciali per il riconoscimento dei titoli di studio e soddisfino le condizioni generali richieste per l’ingresso per studio».

Nel 2002 è stata modificata una norma del 1998. Su quella norma modificata sostiene l’articolo 14, nel quale, come avrete letto, si fa riferimento ad una tabella allegata al decreto “Signori (studenti) in Carrozza, si parte”. Chi volesse scaricarsi gli allegati del decreto li trova qui: http://attiministeriali.miur.it/media/222171/allegati.pdf Come “aiutino” per chi legge, qui sotto ho costruito una tabella nella quale trovate i numeri complessivi, a livello nazionale, dei posti disponibili per gli studenti stranieri comunitari e non comunitari soggiornanti in Italia e gli studenti non comunitari non soggiornanti in Italia.

Comunitari e non comunitari in Ita- Non comu- Totali posti Corsi lia di cui alla legge nitari non disponibili 30 luglio 2002 n. soggiornanti 189 art. 26

Posti disponibili per l’accesso al corso di laurea magistrale in Me- 10.157 591 10.748 dicina e Chirurgia anno accademi- co 2013-2014

Posti disponibili per l’accesso al corso magistrale in Odontoiatria e 984 86 1.070 protesi dentaria anno accademico 2013-2014

Posti disponibili per l’accesso al corso di laurea magistrale in Me- 825 104 929 dicina veterinaria anno accademi- co 2013-2014

Cara Italia, ti cambio i connotati 59 Posti disponibili per l’accesso ai corsi di laurea magistrale diretta- 8.787 481 9.268 mente finalizzati alla professione di Architetto anno accademico 2013-2014

Totali posti disponibili 20.753 1.262 22.015

Non sono piccoli numeri. “Io ti aiuto a prendere una professione che utilizzerai per la tua gente nel tuo paese d’origine.” È una bella frase, anzi, perfetta per un popolo come il nostro da sempre buono e accogliente (il guaio è che questa disponibilità ha scatenato nel passato le inva- sioni barbariche). Se invece, nella gran parte dei casi, la frase diventa “Io ti ho aiutato a prendere una professione e tu ne hai approfittato per utilizzare questa laurea come il pezzo di carta che ti ha legalmente permesso di rimanere qui, a fare l’architetto, il veterinario, il dentista, il medico, il chirurgo; perché l’hai considerata un’occasione d’oro per guadagnare il denaro che nel tuo paese neanche ti saresti sognato di guada- gnare.” Chi sta barando, chi sta proditoriamente trasformando un gioco in giogo? Si incastona in questo dire uno spezzone della biografia del ministro africano (così lo hanno registrato i disperati che affrontano il mare per raggiungere l’Italia e il Papa lam- pedusiano accoglienti, e accade che li accolga, disperati naufraghi la compassionevole, francescana, sorella morte). Rielaborando quello che ho trovato in giro per il web, si racconta che, finite le scuo- le superiori, la figlia del capo tribù voleva (giustamente) proseguire gli studi. Voleva iscriversi alla facoltà di Medicina e Chirurgia. La commissione governativa, invece, ritenendo che nel territorio dove viveva fosse più utile una laurea in Farmacia, la inviò alla facoltà di Farmacia, presso l’Università Kinshasa. Lei non la prese bene e non sa- rebbe strano se avesse chiesto l’intervento del padre. Fatto sta che un vescovo a cui era stata sottoposta la questione, aveva promesso di interessarsene. In quell’anno, eravamo nel 1983, l’Università del Sacro Cuore di Roma aveva messo a disposizione di studenti congolesi tre borse di studio, nella facoltà di Medicina. La cosa sembrava in via di at- tuazione. Era solo questione di tempi burocratici, avevano assicurato da Roma. Dunque, quella testarda di Kashetu, come avrà pensato suo padre, non aveva ancora 20 anni che pretese di partire per Roma. Ma la borsa di studio si era persa nei meandri burocratici romani, che di burocratite soffrono anche le università cattoliche. Kashetu si ritrovò senza PDS, che non vuol dire come sanno gli studenti stranieri: Partito Democratico della Sinistra, vuol dire, invece, Permesso di Soggiorno. Dunque Kashetu, suo malgrado si ritrovò irregolare e clandestina nella città di Roma. Va da sé provenendo da una famiglia benestante, che non è stata abbandonata alla clandestini- tà. Infatti fu ospitata ed assistita da associazioni religiose. La sua clandestinità, dun-

60 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo que, durò solo un anno, poi si ritrovò “regolarizzata”. Nel frattempo, quella testarda di Kashetu si mise a fare la badante, per assicurarsi un minimo di autonomia economica. Poi il sogno che l’aveva portata a Roma si realizzò. Prese quella benedetta laurea. E poi … e poi è storia nota. Ho scritto queste righe perché desidero chiarire che la persona Kashetu Kyenge (si pronuncia Kyyenge, si affanna qualcuno a spiegare nel web) non mi ispira avversione, anzi, simpatia, soprattutto quando si lamenta che non si tiene conto del suo impegno dentro il Partito Democratico, dove i quantosonobravoio-isti abbondano e con i quali ha deciso di accendere buoni rapporti. Insomma “vengo da fuori, ma sono brava anche io” sembra dirci quando afferma: “… ho cominciato nel 2004 a fare attivismo e impegno politico sui temi dell’immigrazione, dell’integrazione, delle politiche sociali, della cooperazione internazionale. Questo mio percorso non viene tenuto in conside- razione.” In queste righe certo che si tiene conto di questo percorso che fa parte della terminolo- gia dei quantosonobravoio-isti. Ne conosco diversi così, con i quali ho anche rapporti amicali. Sono in buona fede ma, proprio per questo, possono fare molti danni. Per questi motivi, debbo distinguere il rispetto non forzoso, che ho per la persona italo- congolese, dalla preoccupazione sugli effetti disastrosi di questa nomina. Il disastro non è solo quando qualcuno è usato per fini perfidi, lo è anche quando lo strumento di questi fini perfidi, ci crede al ruolo che hanno lasciato che si costruisse addosso, ci mette la propria faccia, e anche la propria buona disposizione ad essere utile ed aiutante. Chi è il ministro africano che, come molti altri, ha deciso di non reinserirsi nel suo paese di origine dopo essersi laureato e che da ministro è diventato, volente o no, attrattore di africani in cerca del paradiso italico e trovatisi, invece a sbarcarluna- rio, cioè vivere a stento e per di più lontano dalla terra di origine? Ancora una volta la morte ha negato la speranza a più di 300 migranti africani. Quasi 20mila morti accertati e un numero imprecisato di dispersi senza nome. Chi sono i veri responsabili dei naufragati davanti a Lampedusa, il 3 ottobre 2013, vi- cino all’isola dei Conigli. Proviamo ad immaginare cosa si stanno dicendo nel gruppetto intorno ad uno che sem- bra un pescatore, dietro ad un grande container marittimo rosso, nel piazzale del porto di Misurata, in Libia. Si sono io quello che hai chiamato al cellulare. Si deve parlare con me per trovare la nave che porta in Italia. So io dove mandarvi ogni volta, quando è piena la più vicina Lampedusa … tu hai provato ad entrare in Spagna dal Marocco, nascosto dentro il dop- pio fondo di un camion? Ma ti hanno arrestato per immigrazione clandestina e ti hanno rispedito indietro? … e tu ci hai provato dalla Turchia per arrivare in Grecia ma hai tro- vato un bel muro con tanto di guardie armate? Vi hanno detto di provare dalla Bulgaria, ma da lì l’unico modo di andare nei paesi europei è la Romania, magari nascosti nel doppio fondo dei tir. Alla fine è un giro troppo lungo e siete qui perché vi hanno detto che provare ad andare in Italia dalla Libia costa di più, ma è più facile? Eh sì arrivare in Europa dalla Spagna o dalla Turchia, o dalla Bulgaria è più difficile. Come dici? Hai

Cara Italia, ti cambio i connotati 61 già pagato? E che c’entra, hai pagato l’organizzazione, mica il viaggio, quello lo devi pagare a me. È quattro mesi che aspetti? E ti è andata pure bene. Tu dove vuoi andare … in Francia? E tu dove vuoi andare … in Germania? E tu dove vuoi andare … in Svezia? Perché lì avete amici e parenti? Non vi preoccupate, dall’Italia si arriva in tutta Europa. Vi danno pure i soldi sottobanco per raggiungere i Paesi dove volete arrivare. Come dici? Che appena sbarcati in Italia c’è la denuncia per immigrazione clandestina … che poi c’è l’espulsione e ti rispediscono nel tuo Paese? L’immigrazione clandestina è un reato in tutti i paesi, che vi credete di andare a fare una passeggiata? Comunque in Italia non è come la Spagna e gli altri Paesi europei, vedrete che manca poco e non sarà più reato arrivare clandestini in Italia. Sai per un bel po’ di tempo, come aumente- ranno i nostri viaggi? Anche prima, in Italia, gli immigrati che chiedevano l’elemosina rischiavano la denuncia, perché era un reato. Adesso, anche da clandestini, potete stare per strada e ai semafori a chiedere soldi e neanche vi controllano, nessuno vi può dire niente, non è più reato. Non lo sai che l’Italia è bella legge? Se anche ti fermano per- ché sei clandestino, cosa vuoi che ti facciano. Alla fine, ti daranno un foglietto, dove c’è scritto che te ne devi andare, e tutto finisce lì. È come se ti facessero l’occhiolino. Tu te ne rimani in Italia, fai il clandestino, trovi un lavoro in nero accettando di essere pagato poco, poi fai arrivare tua moglie e tuo figlio alla chetichella in Italia, mandi tuo figlio a scuola che anche se tu sei clandestino, lui a scuola ha diritto di andarci. A quel punto è fatta. C’è un sacco di gente che ti darà una mano. Che in Italia per i clandestini c’è una grande compassione. Poi una volta che ti sei aggiustato anche legalmente, puoi decidere di andare in un altro Paese europeo. Ehi, dove andate, guardate che vi ho dato consigli a pagamento. Dovrete aggiungere al costo di imbarco cinquanta dollari. Anche io devo pagare qualcuno prima di uscire dal porto, che vi credete. Qui non si fa niente gratis, come nei posti dove volete andare. E ricordatevi che anche quando fanno i buoni e fanno finta di aiutarvi gratis, loro ci guadagnano sempre qualcosa, e non è il paradiso. La cifra per imbarcarsi? Eh, caro mio, duemila dollari. Non li hai? E rimani a Misurata qualche altro mese, in attesa di trovare una barca che ti faccia pagare di meno, vedi quanta gioia e felicità hai qui. Vedi come campi a stento qui. Dall’altra parte del mare, caro mio, e per solo duemila dollari, ti aspetta la libertà, la felicità. Di là dal mare gua- dagnerai un sacco di soldi. E poi, ma non la vedi la televisione satellitare? Non lo sai che hanno messo un ministro africano, per farvi sapere che vi aspettano. Ma non la vedi la televisione satellitare? Non lo hai visto il papa dei cristiani che ha fatto il finto sbarco a Lampedusa? Sono tutti pronti ad accogliervi. Ma non capisci niente. Trova quei duemila dollari, fatteli prestare, poi li restituirai; con tutto quello che guadagnerai! Non ci arrivi a duemila dollari? Siete cinque? Compresi due bambini e tua moglie è in- cinta? Va bene dammi solo mille dollari, ma viaggerete nella stiva, insieme a tutti quelli che hanno pochi soldi. Aspetta che devo rispondere ad una telefonata … ah c’è il via libera per partire … bene … d’accordo … Allora hai sentito la notizia? Vai a preparare le tue cose. Torna domani coi dollari, perché domani si parte. Dalla Libia distrutta, da Misurata, partono quasi in 500, affollati dentro la stiva, come se fossero pesce pescato, e sul ponte del peschereccio, come se fossero pescatori im- provvisati. Una nave da pesca, non una nave passeggeri. Ragazzini, bambini, donne in-

62 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo cinte, un gran numero di donne, ragazzi, ragazze, speranti nell’accoglienza promessa. Non sono disperati, hanno i vestiti della festa. Difficile pensare che si siano lanciati in questa avventura traversatoria senza il telefonino. Dalle 4 del mattino, in lontananza, si vedono le luci di Lampedusa, ormai stiamo arri- vando, pensano. Sono le 5 del mattino, sono a quattro chilometri dall’isola dei conigli. Ma i telefonini non hanno campo. E allora viene l’idea. Facciamoci vedere, diamo fuoco a una coperta, così ci vengono a prendere. Lo fanno sempre. Lo vediamo alla televisione. Pensieri della gioventù global-televisiva. Viene dato fuoco ad una coperta, viene accesa dopo averla immersa in una tanica di nafta, ce ne sono tante sul ponte. Brandelli di coperta infuocata cadono sul piano del pe- schereccio. Il ponte della nave è sporco di nafta, ci sono anche le taniche di carburante, perché gli scafisti, che hanno scoperto il guadagno facile, vogliono tornare a Misurata. Nella ressa, troppo tardi, ci si rende conto che la nave sta iniziando a prendere fuoco. Le donne si impauriscono e si spostano tutte nel lato sinistro. Quello spostamento bru- sco di un gran numero di persone sbilancia il peschereccio che si piega verso sinistra, poi letteralmente si gira sottosopra e comincia ad affondare, trascinando in fondo al mare, annegandoli, tutti quelli, e sono tanti, che si trovano sottocoperta, nella stiva, e sono i più poveri, sono quelli che troveranno fra loro abbracciati, consapevoli che la speranza si stava trasformando in tragedia.

[Compassione che diventa lacrime, tristezza che chiama il cielo a testimone. Chi sta cercando i costruttori di questa tonnara umana, chi sono i responsabili di questa mattanza umana. Chi non riesce a vedere i governanti quantosonobuonoio-isti, che mentre si inginocchiano davanti alle bare dei bambini annegati, attirano in trappola i disperati della Terra, con le reti dei “Vieni in Europa e vivrai meglio”. Sono loro, sono i governanti quantosonobuonoio-isti, che agganciano i disperati della terra racchiusi nella rete, lontano dalle loro case natie, con l’amo della speranza e li uccidono a basto- nate mentre dicono “lo facciamo per il (nostro) bene, comune”. Chi è così sordo da non sentire le vibrazioni infrasoniche, che hanno come epicentro queste tonnare umane, e preannunciano il caos prossimo venturo, quando sarà evidente il genocidio denomi- nato accoglienza. Non illudetevi quantosonobuonoio-isti il cielo non è sordo, il futuro, voi non lo sapete, è anche ieri. Siete stati misurati, siete stati pesati. Pensate di essere tanto furbi, voi che avete deciso di mantenervi tiepidi, per fingere di essere caldi con i caldi e freddi con i freddi. Non la sentite la voce infrasonica? Dico a voi, che in segreto pensate: “Così si governano meglio i tonni-uomini destinati alle scatolette, mentre noi siamo ricchi, sia- mo felici, abbiamo tutto quello che ci serve, cerchiamo e otteniamo lodi ed onori, noi che siamo protetti dalla possibile furia dei tonni-uomini e andiamo in giro scortati”. A chi credete siano dirette queste parole “Conosco le tue opere, tu non sei né freddo, né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca.” E voi, a vostra colpa, sapete dove sono scritte.]

Cara Italia, ti cambio i connotati 63 È il vento, l’amico vento, che ripete al mare, e a quello che rimane degli uomini, le gra- vi parole trasmesse dal Cielo al Mare e alla Terra violati, violentati, profanati; mentre, in una grande chiazza di nafta, mischiata all’acqua marina, si dibattono e cercano di stare a galla i sopravvissuti. Le grida disperate di quelli che sono riusciti a salvarsi, in un primo momento prese per grida di gabbiani, vengono udite da villeggianti in una barca li vicino, che hanno pas- sato la notte in rada. Cercano di tirarne su più che possono, quei corpi che riscivolano in acqua, unti di nafta come sono. Non sanno che possono essere accusati di favoreg- giamento, perché l’immigrazione clandestina è illegale. La barca non può prendere tutti quelli che chiedono aiuto, riescono ad imbarcarne solo 47, mentre viene lanciato l’SOS a tutte le barche che sono uscite per la pesca notturna e alla capitaneria. I soccor- si delle altre barche e della capitaneria si attivano fino alle 8 del mattino. Ne salvano 155, i cadaveri subito raccolti sono 111, alla fine le vittime, fra cui tutti i bambini che i “grandi” hanno portato con loro, saranno più di 300, tante, le allineano dentro le bare, nell’hangar dell’aeroporto. Non ci sono abbastanza bare a Lampedusa. I sommozzatori estraggono dalla stiva della nave coricata su un fianco, a circa 50 metri di profondità, donne e bambini. Un’ecatombe. E tutto per essere stati convinti da un globalimbroglio, anche mediatico, che in Europa si sta meglio che in Africa. Il lutto nazionale, indetto per il 4 ottobre, i funerali di Stato annunciati da Enrico Let- ta, quali responsabilità vuole coprire. Chi dovrebbe vergognarsi di aver spinto questi disperatamente occupati dalla speranza, a percorrere la stessa strada marina, siciliana, anche lampedusiana, che altre genti del continente africano hanno affrontato, riuscen- do a giungere alla meta agognata, raccontata e rimbalzata nelle televisioni locali. Chi li illude, chi non li informa che il luccichio che vedono non è quello di una pietra preziosa, di cui impossessarsi per arricchirsi. Quel luccichio è fatto di vetri rotti, è fatto di cocci. Chi spiega loro che rischiano di morire per raggiungere una società in frantu- mi, che frantumerà anche quello che resta della loro anima, venduta a Padron Mercato, che ne farà strame per terre morte, lettiera di cadaveri, prima di anime, poi di corpi, perché di quelle si nutre. Dovrebbero vergognarsi quelli che hanno fatto la grande pensata di organizzare un fin- to sbarco a Lampedusa; quelli che sull’altare dedicato alla morte stanno sacrificando un ministro africano. Quelli che stanno organizzando il genocidio chiamato accoglienza. E visto che parliamo di clandestini attirati in trappola dai quantosonobuonoio-isti, come dobbiamo considerare i senatori M5S, Maurizio Buccarella e Andrea Ciuffi, che in Commissione Giustizia, mercoledì 9 ottobre 2013, come ci raccontano i mass-media, hanno avuto la bella pensata di proporre un emendamento che prevede l’abolizione del reato di clandestinità. Figuriamoci se gli altri componenti, Pd e Sel, della commissione non cogliessero al balzo un’occasione d’oro come quella. Infatti, subito dopo, il vice pre- sidente di Sel Peppe De Cristofaro ha rafforzato l’emendamento M5S aggiungendone un altro. Figuriamoci se il governo si sognava di rifiutare una delega a rifare la legge sull’immigrazione, eliminando il reato di clandestinità. Infatti, l’emendamento è passato seduta stante. I due senatori hanno giustificato così la loro bella pensata: L’introduzione di questo reato ha aumentato la clandestinità, distolto le forze dell’ordine dalla sicurezza del

64 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo territorio, aumentato i costi per la giustizia con cifre spropositate. Che è come dire che l’in- troduzione del reato di furto ha aumentato i furti e che le forze dell’ordine che debbono inseguire i ladri non possono occuparsi della sicurezza (che a questo punto i due sena- tori dovrebbero spiegarci cosa mai sia) e che occuparsi dei furti aumenta i costi della giustizia, con cifre spropositate. Come idee chiare non c’è male. Ma, c’è perfino il deputato M5S, Girgis Sorial, eletto nel bresciano, figlio di genitori egiziani, che ritiene di poter cogliere la dorata occasione di occupare gli scranni par- lamentari per lanciarsi in proclami pro domo sua (a favore di una parte specifica). Per esempio sulla cittadinanza.

La cittadinanza per chi nasce in Italia ma solo se da genitori stranieri di cui almeno uno vi risieda legalmente da non meno di tre anni o da genitori stranieri di cui almeno uno sia nato in Italia e vi risieda legalmente da non meno di un anno. Ma cittadinanza anche per meriti scolastici, ai bimbi che completano la quinta elementare o superano la maturità.

Non meraviglia che Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio abbiano fatto sapere cosa ne pensano sul reato di clandestinità esistente in altri Paesi. In questa dichiarazione, che potremmo intitolare il prefisso telefonico, fra i Paesi che prevedono il reato di clandestinità, manca la Germania.

«Il M5S non è nato per creare dei dottor Stranamore in Parlamento senza controllo. Se durante le elezioni politiche avessimo proposto l’abolizione del reato di clandestinità, presente in Paesi molto più civili del nostro, come la Francia, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, il M5S avrebbe ottenuto percentuali da prefisso telefonico».

In questa dichiarazione, pare che ci si stia accorgendo che da più parti il Movimento Cinque Stelle stia apparendo come una confusa ed incerta armata Brancaleone, scoper- ta a scopiazzare il burocratese degli altri partiti e, biascicandolo, si avventura a salire in cattedra per educare il popolo. Della serie televisiva quantosiamobravinoinonveloim- maginateneppure, che può essere seguita anche sui telefonini di ultima generazione (palmari, videofonini, tivufonini…).

«Sostituirsi all’opinione pubblica, alla volontà popolare è la pratica comune dei partiti che voglio- no “educare” i cittadini, ma non è la nostra. Il M5S e i cittadini che ne fanno parte e che lo hanno votato sono un’unica entità».

Conviene, a questo punto cercare di capire cosa sia veramente accaduto. Non meravigliatevi del gioco normativo dei rimandi che vi sto per presentare, nelle prossime due/tre pagine. Ci serve per renderci conto in quale ginepraio di ragnatele si sono infilati i cinquestellini e come non riescano a vedere il ragno-burocrazia che se li sta per divorare. È accaduto che i senatori Buccarella e Ciuffi hanno imparato bene il burocratese e non era esattamente quello che ci si sarebbe aspettato da chi prometteva di mettere sottoso-

Cara Italia, ti cambio i connotati 65 pra il parlamento e si è fatto mettere sottosopra. Nella commissione Giustizia del Senato era approdato un disegno di Legge provenien- te dalla Camera:

Delega al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e disposizioni in materia di so- spensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili. Titolo breve: Pene detentive non carcerarie e messa alla prova.

La proposta di legge n 331, con il titolo sopra esposto, era stata presentata alla Camera dei Deputati, d’iniziativa dalla deputata Pd Ferranti Donatella (Magistrato) e altri, il 18 marzo 2013. Con lo stesso titolo era stata presentata la proposta di legge 927, d’iniziativa del depu- tato Pdl, Costa Enrico, il 13 maggio 2013. Come si vede, la legge delega, dove si sono infilati i senatori M5S, nasce alla Camera per iniziativa di un avvocato Pdl e di un magistrato Pd. L’esame della proposta di legge, inizia nella commissione Giustizia il 6 giugno 2013. I due progetti di legge vengono uniti (la maggioranza è largheintese-ista) e si giunge, appunto, ad un testo unificato, il 20 giugno 2013. La proposta di legge delega viene inviata dalla commissione alla Camera il 24 giugno 2013 e il 4 luglio viene approvata e inviata al Senato. È una proposta svuota carceri che richiama un testo approvato nella precedente legisla- tura, il 14 dicembre 2012. Si intende intervenire sul sovraffollamento carcerario che mischia i definitivamente condannati con quelli in attesa di giudizio. Su questo aspetto si basa sostanzialmente la delega al governo. Si definisce la messa alla prova per coloro che non incorrono abitudi- nariamente nei reati penali. Nell’articolo 1 si propone che le condanne fino a sei anni di carcere siano scontabili presso il domicilio del condannato. L’articolo 2 modifica il codice penale inserendo la messa alla prova. L’articolo 3 modifica il codice di procedura penale. E mi fermo qui. Veniamo all’emendamento presentato dai senatori M5S sopra menzionati. L’emendamento presentato era il seguente emendamento di un emendamento:

1.0.1/3 – BUCCARELLA, CIOFFI

All’emendamento 1.0.1, al comma 2, lettera a), sopprimere il numero 3). Conseguentemente, al comma 3, dopo la lettera a), inserire la seguente: «a-bis) abrogare i reati previsti dall’articolo 10-bis) del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286».

Per aiutare il lettore non avvezzo al burocratese estrapolo (estraggo dal contesto) la pri- ma parte dell’emendamento 1.0.1, questo:

66 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo All’emendamento 1.0.1, al comma 2, lettera a), sopprimere il numero 3).

La soppressione proposta era la seguente

Comma 2. La riforma della disciplina sanzionatoria nelle materie di cui al presente comma è ispirata ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

lettera a) trasformare in illeciti amministrativi tutti i reati per i quali è prevista la sola pena della multa o dell’ammenda, ad eccezione delle seguenti materie: 1) edilizia e urbanistica; 2) ambiente, territorio e paesaggio; 3) immigrazione; 4) alimenti e bevande; 5) salute e sicurezza nei luoghi di lavoro; 6) sicurezza pubblica;

Significa che l’immigrazione non viene più inserita fra i reati penali, ma fra gli illeciti amministrativi. Cioè si paga una multa. L’immigrato si sentirà obbligato a rivendere il suo telefonino per poter pagare la multa irrogata per immigrazione clandestina. Ma la prima parte dell’emendamento, dell’emendamento provoca, a catena, l’intervento sul seguente comma 3, che è la seconda parte dell’emendamento che di seguito è estra- polata.

Conseguentemente, al comma 3, dopo la lettera a), inserire la seguente: «a-bis) abrogare i reati previsti dall’articolo 10-bis) del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286».

Riportiamo il comma 3 del testo che si sta emendando (modificando):

3. La riforma della disciplina sanzionatoria nelle materie di cui al presente comma è ispirata ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) abrogare i delitti previsti dalle seguenti disposizioni del codice penale:

Inseriamo, dopo il punto 3), il qui sotto trascritto a-bis

«a-bis) abrogare i reati previsti dall’articolo 10-bis) del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286».

Per tradurre questo burocratese dobbiamo cercare il decreto n. 286 del 25 luglio 1998. Una volta trovato copiamoci l’articolo 10-bis, che già essendo bis è l’effetto di altri emendamenti legislativi, come starete già intuendo. Infatti, questo articolo è stato inse- rito dalla Legge 15 luglio 2009, n. 94. Ecco l’articolo 10-bis tratto dal Testo Unico sull’Immigrazione, (la Bossi-Fini).

Cara Italia, ti cambio i connotati 67 Art. 10-bis Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato.

1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, lo straniero che fa ingresso ovvero si trattiene nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni del presente testo unico nonché di quelle di cui all’articolo 1 della legge 28 maggio 2007, n. 68, è punito con l’ammenda da 5.000 a 10.000 euro. Al reato di cui al presente comma non si applica l’articolo 162 del codice penale.

2. Le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano allo straniero destinatario del provve- dimento di respingimento ai sensi dell’articolo 10, comma 1 ovvero allo straniero identificato durante i controlli della polizia di frontiera, in uscita dal territorio nazionale. (2) frase inserita dal D.L. 23 giugno 2011, n. 89.

3. Al procedimento penale per il reato di cui al comma 1 si applicano le disposizioni di cui agli articoli 20-bis, 20-ter e 32-bis del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274.

4. Ai fini dell’esecuzione dell’espulsione dello straniero denunciato ai sensi del comma 1 non è richiesto il rilascio del nulla osta di cui all’articolo 13, comma 3, da parte dell’autorità giudiziaria competente all’accertamento del medesimo reato. Il questore comunica l’avvenuta esecuzione dell’espulsione ovvero del respingimento di cui all’articolo 10, comma 2, all’autorità giudizia- ria competente all’accertamento del reato.

5. Il giudice, acquisita la notizia dell’esecuzione dell’espulsione o del respingimento ai sensi dell’articolo 10, comma 2, pronuncia sentenza di non luogo a procedere. Se lo straniero rientra illegalmente nel territorio dello Stato prima del termine previsto dall’articolo 13, comma 14, si applica l’articolo 345 del codice di procedura penale.

6. Nel caso di presentazione di una domanda di protezione internazionale di cui al decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, il procedimento è sospeso. Acquisita la comunicazione del riconoscimento della protezione internazionale di cui al decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, ovvero del rilascio del permesso di soggiorno nelle ipotesi di cui all’articolo 5, comma 6, del presente testo unico, il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere.

A questo aggiungete che il vice presidente di Sel Peppe De Cristofaro, subito dopo quello di M5S, come dimostra la numerazione cronologica, ha presentato un emenda- mento identico al loro salvo questa diversa aggiunta

1.0.1/4 DE CRISTOFARO

All’emendamento 1.0.1, al comma 2, lettera a), sopprimere il numero 3). Conseguentemente al comma 2, dopo la lettera f) aggiungere la seguente: «f-bis) prevedere l’abrogazione del reato di cui all’articolo 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286».

Che significa che nel comma 2, che già conoscete, dopo la lettera f ) va fatto lo stesso inserimento proposto dai senatori M5S.

68 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo f ) prevedere, per i casi in cui venga irrogata la sola sanzione pecuniaria, la possibilità di estingue- re il procedimento mediante il pagamento, anche rateizzato, di un importo pari alla metà della stessa.

«f-bis) prevedere l’abrogazione del reato di cui all’articolo 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286».

Sono certo che vi starete facendo una cattiva idea del burocratese, ma questa minestra passa il convento. Sono pagine dure. È triste dover constatare che i cosiddetti buonisti non si rendano conto a quale gioco al massacro abbiano deciso di partecipare.

Come è possibile che sfugga ai composizionali di una vasta e spesso rissosa area di sini- stra che il partito democratico, con questa posizione a favore dell’immigrazione, anche clandestina (ma non ci sono all’orizzonte accuse di favoreggiamento all’immigrazione illegale), cioè dell’alterazione del tessuto sociale del paese, rischia di passare alla storia come il partito demografico, del resto è solo una “c” che lascia il posto ad una “g” fore- stiera; è solo una “t” che lascia il posto ad una “f” forestiera. Le lettere non si sono fuse, ognuna delle due forestiere ha preso il posto dell’altra. Del resto quando si è costretti a sgomitare per campare, si sgomita appunto. Non ci sono fusioni o integrazioni che tengano, “fuori i caldi e dentro i freddi”, “mors tua vita mea”; e ognuno aggiunga i suoi, detti popolari nelle più di cento lingue che si parlano, ormai, in questo paese. In Congo, almeno, a Kambove, ci sono miniere di Rame e Cobalto. In questo paese, ormai, ci sono miniere a cielo aperto, li si parlano tutte le lingue del mondo. Sono le miniere della disperazione. La disperazione non è una ricchezza; non la vuole nessuno. La costruisce e la usa, a piene mani, Padron Mercato per distruggere le singolarità e poterle poi fondere e mas- sificare meglio. Da terra dell’oro a terra di disperazione. Non c’è male. Sta lavorando bene il governo dei congiurati. Chi nasce in Italia deve essere considerato italiano. Si chiama lo Jus Soli. Bisogna cambiare le norme. Anche le leggi debbono spingere le genti, fra loro di cultura differente, a fondersi. I diritti di chi arriva debbono essere gli stessi di chi già vive qui da generazioni. La legge costringerà i più riottosi, i più insofferenti, i più ribelli, ad accettare la convi- venza multi-culturale, multi-razziale, multi-religiosa. La legge costruirà il futuro radioso di un popolo finalmente fuso. Lo so che vi sta ve- nendo in mente la frase “Ma sei fuso?” magari rivolta ad un amico che vi pare stia dando i numeri.

[Eppure è di un popolo siffatto (fatto proprio così, male), come lo vogliono i servi di Padron Mercato, che parlano fra di loro le Parche (Muse); sono loro che sanno ruo- tare il fuso, attorno al quale avvolgono il filo, lo stame della vita, pronte a reciderlo nel

Cara Italia, ti cambio i connotati 69 momento in cui gli dei, ai cui altari lo ha condotto a sacrificio Padron Mercato, fanno cenno che non lo sopportano più.]

Visto che parliamo di diritti, in un paese i cui governanti hanno ceduto la sovranità agli EU-burocrati, vediamo come il governo dei congiurati si sta occupando del lavoro giovanile. Su proposta del largheintese-ista di Scelta Civica – in realtà del gruppo Napolitano- Monti-Letta – Enzo Moavero Milanesi, Ministro per gli affari europei, il 4 settembre 2013, è entrata in vigore la legge numero 97 del 6 agosto 2013. Disposizioni per l’adem- pimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea. Un titolo neutro, sembrerebbe. Ma il fatto che la legge sia stata approvata in pieno ago- sto e sempre in agosto è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, dovrebbe condurre il popolino a non fidarsi e a guardarci meglio dentro. Sapendo che in Parlamento siedono i rappresentanti di Padron Mercato e non del popolo italiano ormai in prossimità della fusione. La quasi totalità delle leggi approvate dal Parlamento provengono dalla UE. Per ca- pirci pensate all’obbligo, dal 1 luglio 2003, di accendere i fari dell’automobile in pieno sole agostano. Da quando, di fatto, abbiamo perso la sovranità, entrando nell’Unione Europea, ci dobbiamo anche sorbire le procedure di infrazione, provenienti dalla UE. Questo accade quando delle norme nazionali non sono state adeguate alle direttive e alla legislazione UE. Ce ne sono altri, ma il motivo principe del richiamo della legge 97 su indicata, è l’ar- ticolo 7 che ha il seguente titolo: Modifiche alla disciplina in materia di accesso ai posti di lavoro presso le pubbliche amministrazioni. Casi EU Pilot 1769/11/JUST e 2368/11/ HOME. Lo so che vi si stanno drizzando le antennine nel leggere lavoro presso le pubbliche am- ministrazioni; e fate bene a drizzare le antennine. E ora vediamo perché, analizzandone il testo che vediamo di seguito. Vediamo insieme come funziona il burocratese cambia- norme. L’articolo 7 è così congegnato

1. All’articolo 38, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 1, dopo le parole: «Unione europea» sono inserite le seguenti: «e i loro familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che siano titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente»;

b) dopo il comma 3 sono aggiunti i seguenti: «3-bis. Le disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 3 si applicano ai cittadini di Paesi terzi che siano titolari del permesso di soggiorno CE per sog- giornanti di lungo periodo o che siano titolari dello status di rifugiato ovvero dello status di protezione sussidiaria. 3-ter. Sono fatte salve, in ogni caso, le disposizioni di cui all’articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1976, n. 752, in materia di conoscenza della lingua italiana e di quella tedesca per le assunzioni al pubblico impiego nella provincia autonoma di Bolzano».

70 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo 2. All’articolo 25, comma 2, del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, dopo la parola: «rifugiato» sono inserite le seguenti: «e dello status di protezione sussidiaria».

Siamo ancora in pieno burocratese, che la Comunità Europea riesce perfettamente ad ingigantire. In questo articolo 7 vengono modificati gli articoli di due decreti legislativi:

– del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165 – l’articolo 38

“Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbli- che”

Articolo 38 Accesso dei cittadini degli Stati membri della Unione europea (Art. 37 d.lgs n.29 del 1993, come modificato dall’art. 24 del d.lgs n. 80 del 1998) 1. I cittadini degli Stati membri dell’Unione europea «e i loro familiari non aventi la citta- dinanza di uno Stato membro che siano titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente»; possono accedere ai posti di lavoro presso le amministrazioni pubbliche che non implicano esercizio diretto o indiretto di pubblici poteri, ovvero non attengono alla tutela dell’in- teresse nazionale. 2. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi dell’articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni ed integrazioni, sono individuati i posti e le fun- zioni per i quali non può prescindersi dal possesso della cittadinanza italiana, nonché i requisiti indispensabili all’accesso dei cittadini di cui al comma 1. 3. Nei casi in cui non sia intervenuta una disciplina di livello comunitario, all’equiparazione dei titoli di studio e professionali si provvede con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, adottato su proposta dei Ministri competenti. Con eguale procedura si stabilisce l’equivalenza tra i titoli accademici e di servizio rilevanti ai fini dell’ammissione al concorso e della nomina. «3-bis. Le disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 3 si applicano ai cittadini di Paesi terzi che siano titolari del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo o che siano titolari dello status di rifugiato ovvero dello status di protezione sussidiaria. 3-ter. Sono fatte salve, in ogni caso, le disposizioni di cui all’articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1976, n. 752, in materia di conoscenza della lingua italiana e di quella tedesca per le assunzioni al pubblico impiego nella provincia autonoma di Bolzano».

– del decreto legislativo 19 novembre 2007 n. 251 – l’articolo 25

Attuazione della direttiva 2004/83/CE recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica del rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta Articolo 25 Accesso all’occupazione 1. I titolari dello status di rifugiato e dello status di protezione sussidiaria hanno diritto di go- dere del medesimo trattamento previsto per il cittadino italiano in materia di lavoro subordinato, lavoro autonomo, per l’iscrizione agli albi professionali, per la formazione professionale e per il tirocinio sul luogo di lavoro. 2. È consentito al titolare dello status di rifugiato «e dello status di protezione sussidiaria», l’ac- cesso al pubblico impiego, con le modalità e le limitazioni previste per i cittadini dell’Unione europea.

Cara Italia, ti cambio i connotati 71 In grassetto corsivo potete vedere come appaiono modificati l’articolo 38 del dl. 165/2001 e l’articolo 25 del dl. 251/2007. È chiaro cosa significano queste modifiche? Se comprensibilmente non essendo affetti da burocratite non sentite attrazione verso il burocratese perfettamente applicato, ecco l’aiutino. Dal trascorso 4 settembre 2013 possono essere assunti dalle amministrazioni pubbliche nazionali, i familiari dei cittadini europei, coloro che pur non essendo cittadini europei, quindi anche non essendo cittadini italiani siano titolari di Permessi di Soggiorno di lungo periodo, possono ottenete il permesso di soggiorno di lunga durata sia i rifugiati che coloro che ottengono lo status di protezione sussidiaria rischiando l’imprigiona- mento o la morte se ritornassero nel loro paese. Per di più tutti coloro che sono titolari di un permesso di soggiorno per motivi uma- nitari rilasciati dalle Questure competenti, prima del 19 gennaio 2008, al momento della scadenza del permesso, potranno ottenere quello di “protezione sussidiaria”, che ha una durata triennale ed è rinnovabile se è verificata la sussistenza delle motivazioni “protettive”. A tutti gli effetti, coloro che sono familiari di cittadini comunitari, che sono titolari di permesso di soggiorno hanno diritto allo studio, alle prestazioni sanitarie e assistenziali, possono accedere anche al pubblico impiego. Adesso voi direte che agli italiani non piace più neanche il pubblico impiego e il po- sto fisso, tanto per ricordare quelle pelose rassicurazioni per rabbonire le nuvole che si scuriscono, meditando tempesta; non so se ve ne ricordate almeno una, quella famosa cantilena, ma sì, quella che sembra un solfeggio, quella che fa: Gli immigrati fanno i lavori che gli italiani non vogliono fare.

Non è affermazione priva di fondamento, osservare che le motivazioni profonde della crisi italiana vanno identificate nell’entrata nell’Unione Europea e nell’Euro. È dagli anni ’80 che siamo schiavizzati da governi costituiti per mantenere e difendere quelle due tragiche decisioni. È da 152 anni che si continua a legiferare contro le genti italiane, approfittando della loro secolare incapacità di trasformarsi in popolo. Gli immigrati non sono il nemico. Il nemico sono quelli che spingono gli immigrati a venire in Europa, usati come esplosivo per distruggere le certezze identitarie degli au- toctoni. Solo che quell’esplosivo, una volta innescato, e l’innesco si chiama integrazione, distrugge anche le certezze identitarie delle genti immigrate.

Licenziati e senza casa. La crisi degli immigrati. Questo è il titolo di un articolo pubbli- cato su La Stampa di Torino, il 4 novembre 2009. È un articolo che ritengo esemplifica- tivo e rappresentativo delle condizioni di sfruttamento degli immigrati, in questo, reso, disperato (senza speranza) Paese. Desmond Usifoh è nigeriano. Pochi mesi fa, ad un suo cugino che tornava in Nigeria, ha dato un’incombenza, un incarico importante, gli ha detto: «Vai da mia mamma e chie- dile se può darmi qualcosa. Anche solo cento euro». Si sfogava poi con Andrea Rossi, il giornalista de La stampa che lo intervistava.

72 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo «Sono arrivato in Italia dieci anni fa perché la mia famiglia faticava a sopravvivere. Adesso sono un peso, costretto a chiedere aiuto. La verità è che da un pezzo sono io ad averne bisogno. Mia madre s’è venduta i pochi oggetti di valore che aveva».

L’articolo è del 2009, quindi Desmond Usifoh è arrivato nel 1999, cercava un lavoro per aiutare la famiglia a sopravvivere in Nigeria. Vediamo di capire. Uno emigra dal suo paese per cercare lavoro. Una parte della paga del lavoro, quando viene trovato, serve a vivere nel paese straniero, l’altra con le rimesse viene inviata ai parenti nelle terre di provenienza. Uno, quanto deve guadagnare per sopravvivere nel paese straniero e aiutare a sopravvi- vere la famiglia che ha lasciato nel paese da cui è venuto. Prima si vive in stanze in affitto, con non si sa con quanti letti dentro. Poi si cerca una casa in affitto e ci si abita ammucchiati, come nel barcone che ti ha sbattuto sulle acco- glienti coste italiche. Solo così si riescono a mandare a casa ogni mese, fra i 100 e i 200 euro al mese. Le paghe sono misere, l’affitto, spesso implementato dalle spese condo- miniali, le bollette di luce gas, il telefonino da mantenere si portano via gran parte della paga. Certo l’affitto e le bollette sono suddivise fra tutti quelli che usano l’appartamento. Ma non tutti gli occupanti riescono a pagare, se sono stati licenziati e non riescono a trovare un altro lavoro. A questo va aggiunto il vitto quotidiano, il costo dei mezzi pub- blici (quando non ha imparato a fare il portoghese). Quando non ci se la fa, si va all’assistenza sociale, sempre che non si trovino strade obli- que (disoneste) per portare soldi a casa, senza stare a guardare tanto per il sottile. Entra- re nel giro criminale se già non ci si è nella terra di provenienza, può essere il modo per far passare molto denaro dalle tasche. Prostituzione, furti, spacciatori o/e utilizzatori di droga. Se la presenza di immigrati nelle carceri italiane è così elevata un motivo ci sarà. In un articolo de Il Tempo di Roma del 03/10/2013, firmato da Maurizio Gallo. Troviamo questi dati provenienti dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap).

Alla fine del 1991 i detenuti stranieri erano il 15,13% del totale. Il loro numero, però, è cresciuto anno dopo anno per effetto delle massicce ondate di immigrazione. Nel 2000 erano già il 29,57%, nel 2001 il 35,19.

Da questo articolo traiamo altre informazioni. In Italia ci sono complessivamente circa 65mila detenuti, di questi circa 26mila non sono italiani e circa 16mila sono tossicodipendenti. Se i circa 26mila stranieri venissero spediti nei loro paesi a scontare la pena dopo l’espulsione e i circa 16mila tossicodipen- denti venissero inviati a scontare la pena in una comunità di recupero, il problema del sovraffollamento delle carceri sarebbe risolto. In più. Considerate le porte girevoli di chi entra e di chi esce ogni mese, il calcolo dei detenuti a livello nazionale non è poi così certo. Si rischia letteralmente di dare i numeri. Dunque per non sbagliare facciamo un ragionamento. Nel nostro paese per essere con- dannati in via definitiva bisogna passare da tre gradi di giudizio. Una causa civile dura

Cara Italia, ti cambio i connotati 73 una media di sette anni. Una causa penale dura in media 5 anni. Quindi, coloro che si trovano in carcere in attesa di condanna definitiva, sempre che poi nei progressivi gradi di giudizio non vengano considerati innocenti, subiscono un anticipo di pena pari a circa 5 anni. I detenuti in attesa di giudizio sono circa 25mila su 65mila. Dunque i de- finitivamente condannati sono circa 40mila. Se da questi numeri detraiamo i detenuti stranieri li vedremo calare di circa il 40% (è una media buonista, quella non-buonista sarebbe di circa il 50%). I numeri carcerari senza l’integrazione straniera diverrebbero i seguenti. In Italia ci sono complessivamente circa 40mila detenuti, quelli in attesa di giudizio sono circa 15mila, quelli definitivamente condannati sono circa 25mila. Sarebbero numeri che la struttura carceraria sarebbe in grado di reggere, soprattutto se divenissero operative le strutture carcerarie già costruite o da completare, che potreb- bero ospitare oltre mille detenuti, come denunciano i sindacati di polizia penitenziaria. E l’Europa non avrebbe motivi di “imporre alcunché”. Il provvedimento di indulto, del 31 luglio 2006, riguardava i reati commessi fino al 2 maggio 2006 e comportanti una pena detentiva fino a tre anni. Dall’agosto 2006, al gennaio 2007, si sono aperte le porte delle carceri italiane per circa 25.563 detenuti. Di questi 9.750 erano stranieri. Nel settembre 2007 (vedi articolo del Corsera del 22 settembre 2007), i carcerati risul- tavano 46.118. Nel 2006, prima dell’indulto, erano circa 60mila, dopo l’indulto erano scesi a 38.847. Se confrontate questi numeri con quelli di oggi, qualche perplessità si agiterà dentro di voi. Come mai, allora si preme per l’amnistia e l’indulto. Non è che l’obiettivo vero è quello di far passare dalla cancellata dell’amnistia e dell’in- dulto il gran numero dei carcerati stranieri, nell’impossibilità di rispedirli nei loro ri- spettivi Paesi a scontare la pena? Prendiamo in esame un articolo de Il Giornale di Vicenza del 10 ottobre 2013, firmato da Alessandro Mignon. In vista del prossimo indulto, Fabrizio Cacciabue, direttore del carcere di Vicenza, uno dei più sovraffollati d’Italia con i suoi 331 detenuti (di cui 177 stranieri) nonostante una capienza prevista di 146 (in pratica ce ne sono più del doppio) e una capienza massima tolle- rabile di 292, fa già i suoi conti. Se saranno tre gli anni interessati dall’indulto…

«Allora dei 150 detenuti con pena definitiva che abbiamo a Vicenza dovrebbero uscirne 70- 75».

Il che significa un po’ di respiro. Ma solo un po’. Con l’uscita dei carcerati post-indulto ne restano 256, cioè una quarantina sotto il numero massimo tollerabile ma ampiamente sopra quello ideale. Con un piccolo problema: l’esperienza dell’ultimo indulto del 2006 mostra che il 70 per cento di chi è uscito torna dietro le sbarre nel giro di poco tempo.

Anche se il Capo dello Stato parla di indulto più amnistia (che prevede l’estinzione del reato, almeno quelli minori) e quindi il numero di chi tornerebbe in libertà sarebbe superiore.

74 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo Comunque Napolitano per l’indulto prevede circa 24mila detenuti in meno dietro le sbarre.

Traduzione: gli istituti di pena in Italia sono 206 con una capacità di accoglienza di 47.459 dete- nuti; sono invece 64.873 quelli attuali tra condannati in via definitiva e in attesa di giudizio (con più di 22 mila stranieri). Tolti i 24 mila, ne restano 40 mila.

Come si vede collegando queste dichiarazioni del direttore del carcere di Vicenza (il San Pio X, come viene chiamato), con i risultati dell’indulto del 2006, troviamo, ancora, circa 25mila detenuti che “ballano”. E sono i risultati delle pressioni integratorie sull’I- talia provenienti dalla UE, mallevadrice della globalizzazione selvaggia. Questo è lo scenario dove stanno piovendo le 12 pagine del messaggio di Giorgio Na- politano alle Camere dell’otto ottobre 2013, sulla necessità di predisporre una legge di amnistia ed indulto, per affrontare il sovraffollamento delle carceri in Italia. La motivazione fondante del messaggio alle Camere si diparte sia dal sovraffollamento carcerario italiano che dal pronunciamento della Corte Europea dei diritti dell’uomo.

Parlo della drammatica questione carceraria e parto dal fatto di eccezionale rilievo costituito dal pronunciamento della Corte europea dei diritti dell’uomo. Quest’ultima, con la sentenza – approvata l’8 gennaio 2013 secondo la procedura della sentenza pilota – (Torreggiani e altri sei ricorrenti contro l’Italia), ha accertato, nei casi esaminati, la viola- zione dell’art. 3 della Convenzione europea che, sotto la rubrica “proibizione della tortura”, pone il divieto di pene e di trattamenti disumani o degradanti a causa della situazione di sovraffolla- mento carcerario in cui i ricorrenti si sono trovati.

L’Italia si trova di fronte ad un problema di sovraffollamento carcerario che allo stato delle norme esistenti può risolvere solo deliberando su amnistia ed indulto. Diversa- mente, non avendo rispettato i dettati della Convenzione sulla salvaguardia dei diritti umani, l’Italia verrà condannata a pagare ingenti indennizzi.

La violazione di tale dovere comporta tra l’altro ingenti spese derivanti dalle condanne dello Sta- to italiano al pagamento degli equi indennizzi previsti dall’art. 41 della Convenzione: condanne che saranno prevedibilmente numerose, in relazione al rilevante numero di ricorsi ora sospesi ed a quelli che potranno essere proposti a Strasburgo.

Nel messaggio di Giorgio Napolitano non può mancare l’accenno ai numeri.

Orbene, dagli ultimi dati del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (DAP) del Mini- stero della Giustizia – aggiornati al 30 settembre 2013 – risulta che il numero di persone detenute è pari a 64.758, mentre la “capienza regolamentare” è di 47.615.

Fra i possibili rimedi, nel quarto punto, viene preso in esame il problema dei carcerati stranieri la cui percentuale sull’intera popolazione carceraria è di circa il 35%. L’Italia, avendo aderito alla Convenzione europea sul trasferimento delle persone con-

Cara Italia, ti cambio i connotati 75 dannate, ha già stipulato nove accordi bilaterali. Ma i risultati sono stati scarsi. Nel corso del 2012 solo 131 detenuti stranieri sono stati trasferiti nei propri Paesi (mentre nei primi sei mesi del 2013 il numero è di 82 trasferi- menti). Secondo il ministro Anna Maria Cancellieri, l’impedimento principale deriva dal riconoscimento di legittimità della condanna inflitta in Italia nell’ordinamento del Paese d’origine dello straniero condannato. Sottolineando che la maggior parte dei de- tenuti stranieri viene dal Maghreb, dall’Africa Nord-Occidentale, va considerato che esiste il problema giuridico di come si possa applicare la norma del rimpatrio nei con- fronti dei detenuti stranieri in attesa di giudizio che sono il 45% del totale dei detenuti stranieri. La disamina sulla questione degli stranieri nelle carceri italiane, osservata anche attra- verso il messaggio alle Camere del Presidente della Repubblica, ci riporta alla tematica dell’integrazione. Come dovremmo valutare l’integrazione se non come “forzosa”, visti questi numeri. E come possiamo rimanere indifferenti, nell’osservare gli immigrati che decidono di portare in Italia la loro famiglia e che si trovano alle prese con il problema della casa, come tutte le famiglie italiane del resto. Torniamo all’articolo de La Stampa. Scrive Andrea Rossi, degli immigrati

Per anni avevano tenuto a galla il mercato immobiliare, comprando casa e accendendo mutui. Avevano sostenuto il mercato delle locazioni.

A Torino gli sfratti sono quasi raddoppiati in due anni, e – secondo il Sindacato degli inquilini – quasi il 90 per cento è causato da morosità. Gli appartamenti tornano ad affollarsi: otto famiglie su dieci condividono l’alloggio con un altro nucleo. Chi aveva una casa la perde e chi non l’aveva fatica a trovarla.

«Nessuno si fida ad affittare agli stranieri – conferma il presidente di Scenari immobiliari Mario Breglia –. Hanno paura che gli inquilini non riescano a pagare il canone, o siano costretti a su- baffittare».

Se gli affitti crollano figurarsi le compravendite: meno 16 per cento in un anno, quando per anni avevano trainato l’espansione del settore. «Non è finita: di questo passo l’anno prossimo sprofon- deremo a meno 50 per cento», ipotizza Breglia. Sono lontani i tempi in cui ci si indebitava fino al 90 per cento del valore di un immobile. «Le banche, oggi, al massimo coprono il 60 per cento. Il resto bisogna averlo. Ma il guaio è che le procedure sono diventate così rigide che il mutuo ormai è un miraggio».

Lo scenario che viene mostrato da questo articolo, siamo nella città di Torino ma vale per tutte le città del centro nord, si riferisce al 2009. Oggi la situazione è più che peg- giorata. Per quanto riguarda i titoli tossici nel sistema bancario italiano sarebbe oppor- tuno conoscere quanti di questi titoli sono stati costruiti sui mutui garantiti a famiglie di immigrati per l’acquisto della prima casa; e sarebbe opportuno conoscere quante di queste famiglie, oggi, in piena crisi occupazionale, si trovano a non poter pagare più

76 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo il mutuo perché costruito su un valore dell’immobile superiore a quello commerciale. E sarebbe opportuno conoscere quanta della quantità in più di denaro, sborsata dalla banca, è stata utilizzata per acquistare mobili, automobili o altro, sulla falsariga dei ca- tastrofici subprime degli USA che hanno provocato la crisi mondiale del 2008. Tanto per sottolineare come si stia perfettamente integrando la confusione, di qua e di là del Mediterraneo, gentile dottoressa Kyenge Kashetu detta Cécile, ministro italo- congolese dell’Integrazione.

Il terzo larghintese-ista ha occupato molte pagine, non per la persona in sé, ma per il di- castero dell’Integrazione, da cui si cerca di far passare un sistema distruttivo del tessuto sociale del Paese. E in uno scritto come questo non è una questione sottovalutata. Del resto queste pagine sostengono e motivano una importante riga del titolo del mio libro, queste: Italia, schiava, mischiata, venduta.

Cara Italia, ti cambio i connotati 77

Danarite: la sciolina dei discesisti congiurati verso l’abisso

Passiamo ora al quarto largheintese-ista. La sua presenza è una delle comprove che il governo Letta non è niente altro che il governo Monti 2. Infatti, il quarto largheintese-ista proviene dal governo Monti, dove era ministro della Pubblica Amministrazione e della Semplificazione. Nell’intervento di Mario Monti al Meeting di Rimini, il 19 agosto 2012, che trovate nel capitolo Il convitato di pietra (par- lante) dalla pagina 292, non sono state riportate le frasi che trovate qui sotto. Ma queste frasi sono la serenata che gli ha dedicato il primo ministro-Podestà-forestiero (vedi nel capitolo Un re per presidente la pagina 205 e da pagina 208 a pagina 212).

L’abbattimento dei costi burocratici è un inizio importante. Vi basterà un euro di capitale per cominciare la vostra impresa. Grazie al programma di semplificazioni che il Ministro Patroni Griffi sta realizzando avrete minori difficoltà nel rapporto con le pubbliche amministrazioni. E, soprattutto, avrete gli strumenti per fronteggiare il fenomeno dei ritardi di pagamento delle pubbliche amministrazioni.

Per di più ne Il Fatto Quotidiano, il 9 luglio 2012, in un articolo di Giorgio Meletti, da titolo Statali, il mistero dei numeri, non pare così convinto delle capacità semplificative e cognitive del serenato dal meetingaroMonti.

In tutto i dipendenti pubblici sono alcuni milioni, ma esattamente non possiamo dire di quanti lavoratori si parli, perché lo Stato italiano non sa quanti stipendi paga ogni mese. Lo stesso ministro della Funzione pubblica, Filippo Patroni Griffi, dice che il taglio riguarderà 6-7000 dipendenti. Su 3.250.000 dipendenti pubblici (che è la cifra ufficiale, ma tutt’altro che certa) circolata ul- timamente, non rappresenta certo il 10 per cento dei dipendenti. In sostanza, la confusione e l’approssimazione regnano sovrane. Siamo abituati alla produzione su scala industriale di leggi inapplicate, seguite da ulteriori leggi che prescrivono, o implorano, di applicarle.

Volete che un Napolitano-Monti-Letta manchi alla Festa Democratica Nazionale del 2012 tenutasi a Reggio Emilia? Infatti non ci manca e interverrà nel dibattito delle ore 18,00 del 5 settembre dedicato al tema Amministrazione Pubblica ed efficienza. La frontiera possibile. Venerdì 31 agosto era intervenuto Piero Grasso (attuale presidente del Senato e allora Procuratore Nazionale Antimafia) sul tema Nel nome di Falcone e Borsellino contro la Mafia. (Pagina 361 del mio libro.) Volete che sia sconosciuto all’attuale bis-inquilino del palazzo (prima papale e poi re- gio) del Colle Quirinalis uno che ha fatto gli studi classici, negli anni ’70, nel Liceo Classico Umberto I, di Napoli, dove anche il padre che si chiamava Giuseppe (1921), aveva studiato, proprio mentre infuriava il secondo conflitto mondiale, e in quello stesso Liceo studiava, in quegli stessi anni tragici, anche Giorgio Napolitano (1925)? Di lui l’8 aprile 2012, in una pagella dei ministri del Governo Monti, pubblicata su

Danarite: la sciolina dei discesisti congiurati verso l’abisso 79 Panorama e firmata da Carlo Puca, veniamo a sapere che il ministro della Pubblica Am- ministrazione e Semplificazione possiede una casa comprata dallo Stato a prezzi di saldo (109 metri quadrati e vista mozzafiato sul Colosseo, a 177mila e 754 euro). È uno che si prende anche deleghe “rognose” come quella della delega a licenziare i dipendenti pubblici come gli ricorda il ministro del Lavoro Elsa Fornero. E lui? Lui risponde alla ministra Fornero Il tema dei licenziamenti degli statali è già previsto nel testo predisposto per la legge delega… Lo racconta un articolo sul Corsera del 24 maggio 2012. La prospettiva su cui stanno lavorando i catilinari congiurati? È quella che porta agli scenari greci dei licenziamenti massicci di dipendenti pubblici. La Fondazione Ravello, costituita il giorno 11 giugno 2002, ha come finalità sostanziale quella di valorizzare i beni artistici e storici presenti nel comune di Ravello, promuoven- do, nel suo territorio, manifestazioni nazionali e internazionali. Chi l’ha costituita? Il Presidente della Regione , il Presidente della Provincia di Salerno, il Sindaco di Ravello. I livelli comunale, provinciale e regionale hanno una loro logica. Meno logico è il quarto Presidente firmatario: il Presidente della Fondazio- ne Monte dei Paschi di Siena. Se uno fa parte del Consiglio generale di indirizzo di una Fondazione non c’è niente di male. Ma se questa Fondazione si chiama Ravello e sta a cuore al presidente MPS Mussari, proprio per la presenza, nel suo Consiglio generale di indirizzo, del futuro Montiano ministro della Pubblica Amministrazione e della Semplificazione, qualche motivo aggiuntivo ci sarà stato. Se poi il motivo aggiuntivo si definisce nei versamenti alla Fondazione Ravello da parte del Monte dei Paschi di Siena compresi tra i diecimila euro e i due milioni … per un importo complessivo che sfiora il miliardo … questo motivo aggiuntivo deve avere una certa consistenza (vedi mio articolo Il tizzone Mps riaccende il fuoco della crisi mondiale). Pare che sia lastricata da mattonelle di denaro la strada che porta il governo Napolita- no-Monti-Letta verso gli abissi, dove abita Padron Mercato. È osservando questa strada dall’alto che abbiamo incontrato Filippo Patroni Griffi (Sottosegretario di Stato alla Presidenza e segretario del Consiglio dei Ministri).

80 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo La tanica di veDrò

Il 17 luglio 2013 le agenzie di stampa battono la notizia che la Guardia di Finanza ha bussato alla porta perugina del tesoriere dell’Associazione VeDrò fondata nel 2005, da Enrico Letta. La visita è collegata ad un’indagine della procura veneziana sul Consorzio Venezia Nuova. È a questo consorzio che è stato affidato l’appalto per la realizzazione del siste- ma Mose. Il presidente e direttore del consorzio, che si è dimesso il 28 giugno 2013, è indagato per turbativa d’asta. L’Associazione è stata sfiorata dall’indagine perché ha ricevuto dal consorzio, negli anni precedenti diverse decine di migliaia di euro per sponsorizzare le manifestazioni annuali che organizza alla fine di agosto a Dro, in uno stabile prima destinato a centrale elettri- ca. Dro, 4.500 abitanti, in provincia di Trento, a nord del lago di Garda. Sull’onda di questa informazione i surfisti del web si sono lanciati per cavalcarla, soprat- tutto perché dietro la thinktankante VeDrò c’era Enrico Letta presidente del Consiglio. Ma ne parleremo fra poco. Prima leggiamoci l’articolo che il settimanale L’Espresso – con grande lungimiranza? – ha proprio dedicato all’associazione VeDrò, nel numero del 25 aprile 2013, mentre stavano organizzandosi i partitici largheintese-isti, che si stavano infilando negli aderenti mutandoni del nonno Governiade (chi era costui). Un birichino Ecco chi paga Enrichino, era il titolo, un programma, firmato da Luca Sappino su L’Espresso. Per comprendere il termine birichino basta leggere l’apertura dell’articolo motivante il titolo.

Enel, soprattutto. Ma anche Eni, Telecom, Vodafone, Sky, Lottomatica, Sisal, Autostrade per l’Italia, Nestlé, Farmindustria e il gruppo Cremonini. Sono i generosi sponsor della fondazione VeDrò, da cui nasce la rete di potere del premier incaricato. Chissà se avranno qualcosa in cam- bio.

In questo “incipit”, a dispetto dei nomoni che la precedono, i fari vanno sull’ultima frase. Infatti nella domandina che la segue, dal birichino gocciola, sorridente, un po’ di veleno.

Chi finanzia VeDrò, il think-tank bipartisan che ha fatto di Enrico Letta l’uomo giusto per un governo di larghe intese?

È la domanda che viene girata al tesoriere dell’Associazione Riccardo Capecchi. Insomma, che vantaggio ne avrebbero questi grossi gruppi industriali nel finanziare questa associazione thinktank-ista, chiede l’articolista al tesoriere. Siccome nelle pubbli- cizzazioni delle manifestazioni di VeDrò (nelle brochure, nel sito) ci sono i loghi delle aziende che la finanziano, sarà mica una sorta di ritorno di visibilità? Ci sarà mica di mezzo la politica, insinua l’articolista. «Noi non negoziamo la nostra posizione intellettua- le». Risponde il tesoriere. Una risposta che sembra etica ma fa a botte con i denari che

La tanica di veDrò 81 arrivano da tutte le parti. Che vuol dire posizione intellettuale. Ogni esponente di partito ha la sua, con chi la dovrebbe negoziare. Una posizione intellettuale non è necessaria- mente una posizione partitica. L’articolista sembra riflettere a mano scrivente. Richiama le posizioni pubbliche di En- rico Letta sulle privatizzazioni.

«Il patrimonio pubblico è ancora enorme: bisogna cominciare a mettere nel mirino nuove priva- tizzazioni pezzi di Eni, Enel e Finmeccanica». «Sarà uno dei temi del nostro governo, quando gli elettori ci faranno governare», conclude il prossimo Presidente del Consiglio.

Da Riccardo Capecchi non si può aspettare dichiarazioni che mettano in difficoltà il “capo” Enrico Letta. Allora, bella pensata, va a trovare il professor Mattia Diletti do- cente e ricercatore di scienza politica all’Università La Sapienza di Roma. Da lui, che ha fatto uno studio accurato sui bilanci delle fondazioni politiche, potrà avere qualche informazione. Infatti, il docente universitario lo informa che in generale i bilanci delle Fondazioni politiche, possono contare su budget medi di 800 mila euro e che la Think Tank Vedrò è poco sopra la media. Ma il professor Diletti non si ferma qui, registrate quello che dice e collegatelo con quanto sulla funzione del denaro ho scritto nel libro

Quello che colpisce però del sistema di finanziamento riguarda soprattutto i finanziatori piutto- sto che i finanziati … Sono prevalentemente ex monopoli pubblici, che hanno un rapporto ancora stretto con la politica e che finanziano un po’ tutti, con cifre ridotte, a pioggia, sia la destra che la sinistra.

Vi ricorda qualcosa questa frase? Il sistema partitico è una diramazione del sistema economico. È logico che dove esiste una struttura “culturale” che “copre” una struttura “partitica” il sistema economico, con le sue diramazioni di imprese pubbliche e parapub- bliche ne tiene conto finanziandolo. Provate a pensare al ministero delle Partecipazio- ni statali. Dal quel ministero si potevano “orientare” i finanziamenti ai partiti seguendo rigidamente “il manuale Cencelli” (vedi il precedente paragrafo I catilinari partiti go- vernanti). E il professore ne da una conferma eccellente, quando spiega come si fa ad arrivare ad un bilancio di 800mila euro; un come si fa che l’intervistatore de L’Espresso sintetizza così.

… Lo si capisce prendendo in mano una qualunque brochure delle attività di Vedrò. Enel, Eni, Edison, Telecom Italia, Vodafone, Sky, Lottomatica, Sisal, Autostrade per l’Italia, Nestlé, Far- mindustria, il gruppo Cremonini (la carne Montana): sono tante le aziende che concorrono al fabbisogno del pensatoio.

Vuol dire che dagli anni di Franco Evangelisti (e molto, molto prima) non è cambiato nulla; questo Paese è ancora in mano agli afràcheteserve-isti. Ecco perché a pagina 99 del mio libro trovate un capitolo intitolato così: E… gli afràcheteserve-isti si inventarono

82 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo Mario Monti. Tornando alle manifestazioni annuali agostane di VeDrò occorre chiarire che sono ma- nifestazioni a pagamento: chi ha meno di 30 anni paga 150 euro, gli altri 300 euro, a meno che non vogliano “offrire” di più. D’altra parte il pagamento delle quote, assicura il tesoriere di VeDrò «servono a coprire i costi vivi della manifestazione, l’allestimento della centrale, le navette con gli alberghi, il catering per i tre giorni». Certo se poi aggiungiamo che il costo del soggiorno in albergo non è da pensione di terza classe… Sottolineiamo pure che i contributi degli sponsor, come assicura Capecchi, si posizio- nano su una media di circa 30 mila euro. Anche se poi, ovviamente c’è chi dà meno e chi dà molto di più.

VeDrò è un Think Tank. Ma cosa è mai un Think Tank. Le due parole tradotte rigida- mente dall’inglese conducono a “serbatoio di pensiero”. Dentro questa espressione c’è l’idea di un gruppo costituito da persone che hanno esperienza e conoscenza su diverse tematiche, al quale viene richiesto di affrontare un tema specifico analizzandolo dai rispettivi e differenti punti di vista. Non sono incontri di speculazione filosofica, come si vorrebbe far credere. Sono incontri che debbono indicare soluzioni ad un problema. Per esempio. Dobbiamo liberarci di Gheddafi, che sta assicurando energia all’Italia e fa entrare la Russia nella gestione dell’energia petrolifera libica. Mettetevi intorno ad un tavolo e fate una bella thinktank-ata. Proponeteci una serie di soluzioni, poi noi sceglie- remo quella che più ci aggrada. Abbiamo visto quella che ha avuto il gradimento della triade franco-americo-anglosassone. Dunque? Dunque nelle riunioni dei pensatoi antipopolino si programmano gli eventi che debbono gestire la imposta globalizzazione in atto. Quando vi sentite dire, con sorrisino beffardo fra i denti che “tanto, ormai, non possia- mo più impedire l’afflusso di milioni di immigrati, soprattutto dall’Africa. Sono eventi epocali, bellezza. Prova a fermarli. Adattiamoci e cerchiamo di gestire il gestibile. Se poi qualcuno, ci guadagna denari, e tanti, nel fare l’accogliente, buon per lui, no?” Bisogna guardarsi dai pensatoi italiani che sono nati occupando i corpi dei partiti morti. Le chiamano fondazioni politiche, ma, essendo noto quanto i governanti italiani siano sconosciuti alla politica, il loro vero nome è specchietti partitici per le allodole populiste. Non fa eccezione la thinktank-ante veDrò. Il problema è come evitare che gli italiani si liberino, in futuro, della UE e dell’Euro? Bisogna pensarle tutte, pensano i pensatoi-isti. Bisogna guardare al futuro, prevedere le strade che i populisti potrebbero imboccare, a velocità di fuga, e fargliele trovare bloccate. È la globalizzazione bellezza, ci sarà scritto sul cartello affisso sulla cancellata impeditiva. Se (primi di ottobre 2013) entrate nel sito thinktank-ante www.vedro.it troverete una letterina firmata da Benedetta Rizzo Presidente di veDrò. Cosa sia e come opera sostanzialmente l’associazione ce lo dice in queste righe:

In quegli anni si compose il DNA di veDrò, caratterizzato da idee-guida e pratiche quali con- taminazione, informalità, trasversalità. Non parole vuote, ma l’imposizione di un modus ope- randi. La tanica di veDrò 83 Vorrei far notare che i tre termini contaminazione, informalità, trasversalità indicano il posizionamento raccordante di cassetti rigidamente incardinati nel massiccio mobi- le pensiero strutturato. Aprire i cassetti e mescolarne il contenuto, non è esattamente come funziona la natura. La natura non ha cassetti. È il limite umano che li ha costruiti e cerca di infilarci dentro tutto ciò che esiste, illudendosi di scientizzarlo. Ma non sono le pagine giuste per aprire questo tipo di riflessioni. Quindi torniamo al rimanente contenuto della lettera. Vengono informati gli avventori del sito che la manifestazione agostana del 2013 non avrà luogo, per evidenti motivi, collegati alla circostanza che qualche socio si ritrova ministro e il fondatore dell’associazione si ritrova a fare il presidente del consiglio. Ma niente paura, si sta già lavorando per l’edizione del 2014. Alcune parti di questa lettera ci serviranno per confermare le riflessioni appena espresse. Intanto il motivo principe è quello logistico.

Di colpo, la domanda di partecipazione è letteralmente esplosa. Quasi doppiando le oltre 900 presenze dell’anno scorso, quando avevamo già toccato la cosiddetta carrying capacity in una centrale sempre più piccola per la quantità di richieste, ma che noi, per il suo valore e la sua forza simbolica – un sito che genera energia –, continuavamo ostinatamente a ritenere il luogo ideale per i nostri incontri: in una parola, il totem della nostra community.

Esigenze legate alla logistica, alla sicurezza, all’attenzione spasmodica dei media avrebbero infatti trasformato veDrò2013 in un appuntamento che non avremmo riconosciuto come nostro.

Quindi il motivo che, a sua volta, ha generato quello logistico. Un miracolo, per dirla alla Letta che scrive un bigliettino a Monti, i bipartisan di ve- Drò si sono tutti ritrovati tutti al Governo che qui viene chiamato, eufemisticamente, esecutivo “straordinario”

Di fatto, con questo esecutivo “straordinario”, ma soprattutto con l’evidente scarto generaziona- le rispetto alle passate esperienze, era come se – passatemi l’esagerazione che non deve apparire figlia di enfasi retorica – ce l’avessimo fatta e il nostro appuntamento si fosse trovato improvvisa- mente dall’altra parte della cattedra.

La Presidente omette l’informazione che una componente della struttura operativa di veDrò, Nunzia De Girolamo, che segue il tema del Mezzogiorno, nell’elenco dei Politi- ci, è appunto titolare del dicastero delle Politiche agricole alimentari e forestali.

Dove ‘bipartisan’ significava ben più di un mero dialogo tra la maggioranza di governo e le op- posizioni del momento, ma voleva piuttosto dire apertura e capacità di superare tic ideologici, pregiudiziali politiche, autocensure diplomatiche. Voleva dire confronto aperto, orizzontale, paritario. Tutto ciò riguardava certamente la politica, ma investiva in realtà l’intera classe diri- gente.

84 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo Vi ricordate dove, nelle pagine precedenti, un ministro bipartisan ha affermato che la classe dirigente italiana è molto omologata? Se vi dicessi Studenti in carrozza, vi aiute- rebbe a capire di chi sto parlando? Il termine bipartisan, dunque, non è un raccordo su un tema particolare fra i partiti di maggioranza e quelli di opposizione. Eh no! È un gruppetto che non si porta dietro tic ideologici, pregiudiziali di parte, che qui vengono chiamate politiche, che fa l’elenco del- le posizioni divisive, che qui è trasformato in: evitare autocensure diplomatiche. (Vedi il capitolo Gli inventori del governo Monti e i divisivi non negoziabili della Chiesa, a pagina 233 del mio libro). Questo gruppo, veniamo informati, a forza di incontri thinktank-isti, si è trasformato in un partito a se, che questo è il significato del termine laboratorio … autonomo … dalla politica.

… un laboratorio in servizio permanente effettivo, ormai autonomo anche dalla politica … un flusso continuo di tavoli, incontri, seminari, iniziative che permette a veDrò di affermarsi come protagonista non secondario nel dibattito politico e culturale che vuole far uscire il Paese dalla sua “morta gora”. veDrò è sempre stato fin dal suo nome declinato al futuro…

Avete presente la domanda nelle righe prima? Il problema è come evitare che gli italiani si liberino, in futuro, della UE e dell’Euro? Bene. Qui viene ribaltato. Ecco la soluzione a lungo thinktank-ata, spieghiamo al po- polino che non stiamo lavorando per impedire che escano dalla Ue e dall’Euro, ma che ci stiamo “sbattendo” per far uscire il Paese dalla sua “morta gora”. È la classica inversione semantica, il nulla parolaio, utilizzato da I catilinari partitici go- vernanti. Quanto al fatto che i thinktank-isti, fin dalla loro nascita, si adoperano contro le genti italiche perché in nessun modo riescano a trasformarsi in popolo, non abbiamo dubbi che questo sia il loro reale progetto declinato al futuro. In questa lettera si trova anche segue, nella quale troviamo il termine vedroidi. Nella mia terminologia, li avrei chiamati veDrò-isti; ma avendolo usato la presidente di questo pensatoio … il termine vedroidi mi richiama alla mente il termine androide, che forse è più appropriato, per chi sta lavorando, di fatto, ne sia consapevole o no, contro il genere umano, significando Androide un essere che può sembrare umano, ma non lo è. Questa mia valutazione non è mia intenzione che suoni come offesa per coloro che hanno deciso nel corso degli anni di farsi coinvolgere in questa thinktank-ante associa- zione, piuttosto è un preciso e fermo invito alla riflessione su dove, davvero, stia andan- do a parare veDrò. Quanto al barbaro termine think tank, ai vedroidi androidi dovrebbe venire il dubbio di trovarsi contenuti in una tanica, come quelle che gli scafisti, Africa-Italia-Africa, ave- vano sul loro peschereccio. Anche la tanica veDrò contiene carburante-pensatoio. Loro, i vedroidi, sono il carburante che Padron Mercato sta utilizzando per trasportare, senza possibilità di ritorno, le ancora speranzose genti italiche, stipate nell’ennesimo barcone largheintese-ista, nell’inferno Europa.

La tanica di veDrò 85 Dopo queste, necessarie, riflessioni cerchiamo di capire chi sono gli androidi vedroidi nel governo. Facciamo un semplice elenco, utilizzando quello delle pagine precedenti. Questi sono i vedrò-isti iscritti nell’elenco denominato “Politici”. (Josefa Idem è nell’e- lenco degli sportivi.) Dopo il nome è indicato l’incarico.

PD Enrico Letta Presidente del Consiglio dei Ministri PDL Angelino Alfano Vice Presidente del Consiglio dei Ministri IND Filippo Patroni Griffi (segretario del Consiglio dei Ministri) Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio

Ministri senza portafoglio (dopo il nome il dicastero di cui è ministro)

PD Josefa Idem (dimissionaria dal 24 giugno 2013) Pari opportunità, sport e politiche giovanili

Ministri con portafoglio (dopo il nome il dicastero di cui è ministro)

PD Andrea Orlando Ambiente, tutela del territorio e del mare PDL Maurizio Lupi Infrastrutture e trasporti PDL Nunzia De Girolamo Politiche agricole alimentari e forestali IND Simonetta Giordani Sottosegretario Beni e attività culturali e turi- smo

Si comprenderà perché, soprattutto dopo gli onori della cronaca provenienti dalle in- dagini sul Consorzio Venezia Nuova, sui componenti del governo, anche vedro-isti, si siano accesi molti riflettori. Ripreso da altri siti, su http:/dailystorm.it, una testa giornalistica online costruita da un gruppo di studenti, il 3 maggio 2013, firmato da Stefano Vito Riccardi, è stato pub- blicato un articolo proprio su questo argomento, che si apre così:

Un totale di 6 Ministri, Vicepresidente e Presidente del Consiglio: questo il bottino dell’asso- ciazione Vedrò. E tanti sponsor e lobby alle spalle, come: Enel, Eni, Telecom, Vodafone, Sky, Lottomatica, Sisal, Autostrade per l’Italia, Nestlé, Farmindustria e il gruppo Cremonini. Ma che cos’è?

Tralasciando il premier e il suo vice, anche ministro dell’Interno, i ministri vedroidi vengono presentati collegandoli con gli sponsor di VeDrò.

il Ministro delle Infrastrutture e trasporti Maurizio Lupi (ricordiamo lo sponsor Autostrade per l’Italia), il Ministro dell’Ambiente Andrea Orlando (ricordiamo gli sponsor Enel ed Eni), 86 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo il Ministro dell’Agricoltura Nunzia De Girolamo (ricordiamo gli sponsor Nestlè e Gruppo Cremonini),

La presenza di ministri vedroidi viene vista come segnale di collegamento con le impre- se sponsorizzanti VeDrò.

Quelli sono i generosi sponsor della fondazione VeDrò, da cui nasce la rete di potere del premier incaricato. Una rete costruita in anni e che ora rappresenta un pezzo del capitalismo italiano.

E ancora

C’è chi definisce l’associazione come una lobby, una corrente politica e i suoi eventi come dei sa- lottini estivi o una festa dell’unità fighetta. Eppure tra persone del “mondo che conta” e sostenitori finanziari pronti ad investire, VeDrò non ha nulla da invidiare a nessuno.

Come si vede sfugge il ruolo di VeDrò nella movimentazione partitica dell’operazione Mario Monti e, soprattutto, sfugge il suo ruolo nell’agganciare una parte del mondo cattolico, che nel mio libro ho chiamato cattoli(compli)ci, all’operazione di finale distru- zione della sovranità di questo Paese. Il prezzo per Giuda è il denaro pubblico legato alla Sussidiarietà come viene sottolineato nel mio libro. Da come si sono sviluppati gli eventi nei primi cinque mesi di questo governo dei con- giurati, le cose appaiono addirittura peggiori di quanto paventassi nel mio libro. Ma andiamo per ordine. Prima di affrontare gli scenari del governo Napolitano-Monti- Letta, collegati al perno della thinktank-arola (per dirla alla romana che ci sta) compa- gnia vedro-ista; vediamo come il governo Monti, senza soluzione di continuità, cambia semplicemente nome.

La tanica di veDrò 87

I lunghi giorni di Catilina

Nel capitolo Paure e menzogne, paragrafo Il limite ha perso la pazienza, a pagina 23, trovate le catilinarie di Cicerone che, in pieno Senato, accusa Catilina di tramare con- tro Roma. Catilina è Mario Monti, Catilina è Enrico Letta. I congiurati che stanno tramando contro Roma sono dentro i due governi staffettisti di una gara al massacro sociale. Quelli che stiamo vivendo, dal novembre 2012, sono i lunghi giorni di Catilina. Mario Monti, prima nominato senatore a vita, poi presidente del consiglio, poi mante- nuto a capo del governo che condurrà le elezioni, poi autonominatosi a capo di una for- mazione partitica che partecipa alle elezioni. Nel bailamme (il termine deriva dal turco, bayram, che significa festa, un gran vociare e un andirivieni di gente, e per estensione una gran baraonda, che deriva dallo spagnolo, barahúnda, anche questo termine richia- mante un gran vociare e andirivieni di gente), nel bailamme, appunto, del dopo elezioni che non hanno mostrato un partito o una coalizione di partiti in grado di formare un governo; è successo di niente. È successo talmente di niente che è stato messo a rosolare sulla graticola, girarrosto cercagoverno, Pierluigi Bersani che girava a vuoto, in attesa di rieleggere Giorgio Na- politano (vedi a pagina 510 “il bissato Napolitano “resistiancoraunpòtienicaldoilposto”). La bissata si è resa necessaria a causa di un grave errore di valutazione dei catilinari inventori del governo Monti, che avevano programmato di portare al Quirinale il po- chissimo furbo Mario Monti. Evidentemente il personaggio, strappato dai bassifondi dei danarosi mondiali, non ha capito per quali partitiche e supertortuose vie, piene zep- pe di cecchini aspiranti quirinalizi delusi, si doveva incamminare se voleva arrivare al promesso Quirinale, dopo la nomina a senatore a vita e a premier salvatore della patria. Perché, il Monti, che di monti ha poco ma di voragini tanto, dopo essere stato giubilato dal Pdl, con la furbata della forzata assenza dall’aula dei parlamentari pidiellini segreti congiurati, con stizza, ha cominciato a girare a vuoto, perdendosi nei meandri dei cro- cicchi di cui abbondano i dintorni del colle Quirinale. A questo proposito, vi invito alla lettura del capitolo Italia verso il voto? No verso il vuo- to!, nel quale troverete a pagina 64 questa frase “Se ha fatto chiarezza lo deve dire lui e lo dirà lui”. È una frase che la dice lunga sui rapporti di Napolitano con Monti, dopo che questi ha cominciato a cercare le vendettine, mostranti il suo vero carattere, costringen- do Napolitano a rivedere i prefissati programmi quirinalizi. Basti considerare che quella frase di Napolitano segue l’incontro con Mario Monti, avvenuto il 16 dicembre 2012 e durato un’ora. Quell’incontro avrebbe dovuto essere di chiarimento sulle intenzioni dello stesso Monti e sulla compatibilità di queste sue intenzioni con i progetti che altri avevano su di lui. Le pagine del capitolo che vi ho indicato vi aiuteranno a comprendere meglio cosa sotterraneamente è avvenuto, prima che le camere fossero sciolte e si andasse al voto. In verità, la giostra su cui è stato messo a forza Pierluigi Bersani, subito dopo le elezioni senza vincitori, serviva ad attirare altrove l’attenzione, mentre si cercava di capire chi avrebbe potuto prendere il posto del fantasma di Monti che ancora sedeva sulla pol-

I lunghi giorni di Catilina 89 trona quirinalizia. Le votazioni del parlamento in seduta comune e con la presenza dei rappresentanti delle regioni, che finivano con le fumate nere, mostravano l’impossibilità di trovare un altro fantasma al posto di Monti. Non rimaneva che puntare sulla bissata. Proviamo a pensar male, romanzando (?) e magari si fa anche peccato, ma parafrasando Andreotti può accadere ci si indovini. Allora proviamo a pensar male accostando fra loro le notizie disponibili. Occorreva che un coro di congiurati catilinari largheintese-isti facessero la serenata a Giorgio Napolitano. Solo dopo questa serenata, Napolitano avrebbe potuto dichiarare di essere “costretto” a rimanere al Quirinale e quindi affidare l’incarico di formare il go- verno ad uno dei congiurati che già stavano preparandosi ad occupare gli scranni roma- ni. Naturalmente “l’incaricato” era previsto che cadesse dalle nuvole, non aspettandosi questo “imprevisto” incarico. (Ed è quello che come vedremo avverrà.) Occupiamoci, allora, della bissata e valutiamo il discorso di insediamento del bissato Giorgio Napolitano alle camera il 22 aprile 2013.

Come voi tutti sapete, non prevedevo di tornare in quest’aula per pronunciare un nuovo giura- mento e messaggio da Presidente della Repubblica. Avevo già nello scorso dicembre pubblica- mente dichiarato di condividere l’autorevole convinzione che la non rielezione, al termine del settennato, è “l’alternativa che meglio si conforma al nostro modello costituzionale di Presidente della Repubblica”. Avevo egualmente messo l’accento sull’esigenza di dare un segno di normalità e continuità istituzionale con una naturale successione nell’incarico di Capo dello Stato.

Mettete a raffronto questa iniziale parte dell’intervento del bis-presidente con quanto scrivo nel mio libro a pagina 352

Il mondo cattolico, “aggregato” al ben organizzato Piano-Monti, è avvisato. Potrebbe non riuscire l’obiettivo finale, ben camuffato, di infilarlo al Quirinale. Il Monti Bis o Tris, la dichiarazione di Napolitano che non cerca la rielezione e che al Quirinale vedrebbe bene una donna, fanno parte del piano.

Quanto al seguente passaggio, si valuti se non sia inseribile nelle valutazioni espresse nelle precedenti righe, relativamente ai piani dei congiurati, vista l’impossibilità di tro- vare un accordo condiviso per occupare lo scranno quirinalizio.

È emerso da tali incontri, nella mattinata di sabato, un drammatico allarme per il rischio ormai incombente di un avvitarsi del Parlamento in seduta comune nell’inconcludenza, nella impotenza ad adempiere al supremo compito costituzionale dell’elezione del Capo dello Stato. Di qui l’ap- pello che ho ritenuto di non poter declinare – per quanto potesse costarmi l’accoglierlo – mosso da un senso antico e radicato di identificazione con le sorti del paese.

Ora, provate a valutare il seguente passaggio, collegandolo con il tentativo di mettere in piedi le larghe intese, già dal 2008, come raccontato nella prima premessa funzionale.

90 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo Imperdonabile resta la mancata riforma della legge elettorale del 2005. Ancora pochi giorni fa, il Presidente Gallo ha dovuto ricordare come sia rimasta ignorata la raccomandazione della Corte Costituzionale a rivedere in particolare la norma relativa all’attribuzione di un premio di maggio- ranza senza che sia raggiunta una soglia minima di voti o di seggi.

Avete bel valutato? Bene. Ora cercate di comprendere per quale motivo, nel suo bis- discorso alle camere riunite, nel 2013, il presidente Napolitano senta la necessità di ri- chiamare parte del suo intervento nel meeting di Rimini nell’agosto 2011. Dichiarando poi che quelle sue parole, anche se pronunciate un anno e mezzo fa, hanno ancora un loro valore.

Parlando a Rimini a una grande assemblea di giovani nell’agosto 2011, volli rendere esplicito il filo ispiratore delle celebrazioni del 150° della nascita del nostro Stato unitario: l’impegno a trasmettere piena coscienza di “quel che l’Italia e gli italiani hanno mostrato di essere in periodi cruciali del loro passato”, e delle “grandi riserve di risorse umane e morali, d’intelligenza e di la- voro di cui disponiamo”. E aggiunsi di aver voluto così suscitare orgoglio e fiducia “perché le sfide e le prove che abbiamo davanti sono più che mai ardue, profonde e di esito incerto. Questo ci dice la crisi che stiamo at- traversando. Crisi mondiale, crisi europea, e dentro questo quadro l’Italia, con i suoi punti di forza e con le sue debolezze, con il suo bagaglio di problemi antichi e recenti, di ordine istituzionale e politico, di ordine strutturale, sociale e civile.” Ecco, posso ripetere quelle parole di un anno e mezzo fa, sia per sollecitare tutti a parlare il lin- guaggio della verità – fuori di ogni banale distinzione e disputa tra pessimisti e ottimisti – sia per introdurre il discorso su un insieme di obbiettivi in materia di riforme istituzionali e di proposte per l’avvio di un nuovo sviluppo economico, più equo e sostenibile.

Allora, vediamo insieme dove realmente quel linguaggio “di verità” vuole andare a pa- rare. Nel capitolo I cattoli(compli)ci “seminatori di Monti”, a pagina 216 del libro, si parla proprio di quell’intervento di Napolitano a Rimini. E se ne parla, perché proprio quell’intervento e quello di personaggi che si ritrovano nell’attuale governo delle larghe intese, dimostra l’esistenza del lavorio sotterraneo che avrebbe portato Mario Monti al governo, di lì a qualche mese. In questo capitolo fanno mostra di sé anche gli interventi di Enrico Letta e di Maurizio Lupi. È a loro, e a tutti gli altri congiurati, largheintese-isti che Napolitano, in quell’ago- sto meetingario del 2011, dice:

Perché è un fatto che ormai da settimane, da quando l’Italia e il suo debito pubblico sono stati investiti da una dura crisi di fiducia e da pesanti scosse e rischi sui mercati finanziari, siamo im- mersi in un angoscioso presente, nell’ansia del giorno dopo, in un’obbligata e concitata ricerca di risposte urgenti.

A simili condizionamenti, e al dovere di decisioni immediate, non si può naturalmente sfuggi- re.

I lunghi giorni di Catilina 91 Ma dinanzi a fatti così inquietanti, dinanzi a crisi gravi, bisogna parlare – e voglio ripeterlo oggi qui, rivolgendomi ai giovani – il linguaggio della verità: perché esso “non induce al pessimismo, ma sollecita a reagire con coraggio e lungimiranza”.

Dunque, il linguaggio della verità è fatto di frasi che preparano l’uscita di scena di Ber- lusconi e l’arrivo del salvatore della patria: il Monti-Catilina. Avendo presenti quelle pagine del libro che vi ho appena indicato, diviene chiaro per- ché, in pieno parlamento, il bis-presidente rammenta quegli accordi sotterranei che hanno portato al governo Monti. Infatti, nel suo bis-intervento sta dicendo che ancora c’è lavoro per i congiurati. Li avverte che da bravi scolaretti catilinari si debbono prepa- rare alle larghe intese. Non c’è altra via d’uscita. I congiurati vengono bis-informati che la situazione è ancora quella dell’agosto del 2011. Ci sono ancora da fare altri compiti a casa assegnati dalla maestra Europa, con la bacchetta picchiabambini in mano. E arriva anche la bis-ramanzina, anzi la bis-sgridata: la maestra Europa, che ama parlare in te- desco, ci ha affidato altri compiti a casa, quelli che abbiamo già fatto non sono stati con- siderati sufficienti. Darsi da fare, dunque, se si vuole arrivare almeno al sei meno (6-).

Nel sottolineare questi ultimi punti, osservo che su di essi mi sono fortemente impegnato in ogni sede istituzionale e occasione di confronto, e continuerò a farlo. Essi sono nodi essenziali al fine di qualificare il nostro rinnovato e irrinunciabile impegno a far progredire l’Europa unita, contribuendo a definirne e rispettarne i vincoli di sostenibilità finanziaria e stabilità monetaria, e insieme a rilanciarne il dinamismo e lo spirito di solidarietà, a coglierne al meglio gli insostituibili stimoli e benefici. Il Parlamento ha di recente deliberato addirittura all’unanimità il suo contributo su provvedi- menti urgenti che al governo Monti ancora in carica toccava adottare, e…

D’altra parte, vorrete valutare con attenzione ciò che dice uno che si bissa l’elezione a presidente, uno che vive negli scranni parlamentari italiani ed europei quasi da quando è nato, uno che vanta una più che cinquantennale esperienza nel campo della partitica nazionale ed internazionale.

Permettete che ve lo dica uno che entrò qui da deputato all’età di 28 anni e portò giorno per giorno la sua pietra allo sviluppo della vita politica democratica.

Provate, ora, a riportare a vista ai punti 8 e 9 del video-intervento di Napolitano alla conferenza del 3 settembre 2011 a Cernobbio. Sono due affermazioni che già conosce- te, essendo state riportate nella prima delle premesse funzionali. Rileggetevele. Mi state dicendo di non farvi faticare e di riportale ancora. Va bene. Eccovele.

8 Il giorno in cui si aprisse una crisi di governo – e questo è sembrato che potesse accadere alla fine dell’anno scorso, ma non accadde –io, secondo i miei poteri e secondo la prassi costi- tuzionale, chiamerei a consulto tutte le forze politiche e mi assumerei la responsabilità anche di fare una proposta per la soluzione della crisi. 9 La Costituzione mi da sempre, tra l’altro, la facoltà di incaricare la persona che debba 92 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo formare il nuovo governo: in quelle circostanze farei la mia parte.

Ora, tenendo presente tutto quanto è avvenuto da quell’agosto del 2011 ad oggi, colle- gate questi due punti qui sopra alle frasi riportate qui sotto.

Al Presidente non tocca dare mandati, per la formazione del governo, che siano vincolati a qual- siasi prescrizione se non quella voluta dall’art. 94 della Costituzione: un governo che abbia la fiducia delle due Camere. Ad esso spetta darsi un programma, secondo le priorità e la prospettiva temporale che riterrà opportune.

Bene, ora che vi siete rilette le frasi dei punti 8 e 9 e le avete collegate alle frasi del bis- intervento qui sopra, che ne dite. Tutto fila liscio? Oppure state trovando contraddizio- ni che potrebbero trovare accoglienza nei luoghi distantissimi da quel linguaggio della verità, perentoriamente annunciato? Domande difficili vero? Allora andiamo su un argomento più facile. Affrontiamo la frase seguente, dove invi- ta a non avere la puzza sotto il naso e ad iscriversi con coraggio alla confraternita dei largheintese-isti, visto che nel resto d’Europa non sono così schizzinosi.

D’altronde, non c’è oggi in Europa nessun paese di consolidata tradizione democratica gover- nato da un solo partito – nemmeno più il Regno Unito – operando dovunque governi formati o almeno sostenuti da più partiti, tra loro affini o abitualmente distanti e perfino aspramente concorrenti.

D’altra parte, quando mi avete chiesto di rimanere sapevate che vi avrei infilato la ca- sacca dei largheintese-isti, dunque non fate gli gnorri, non fate finta di non aver capito il messaggino meetingario riminese del 2011; preparatevi a sopportare (visto che sarà difficile da supportare), in tempi brevi, un governo Letta-Monti-Napolitano

Ma tutte le forze politiche si prendano con realismo le loro responsabilità: era questa la posta implicita dell’appello rivoltomi due giorni or sono.

Era, appunto, il 22 aprile 2013. Secondo voi quando è arrivata la chiamata del congiu- rato Enrico Letta per il previsto incarico? Un mese? Ma no, una settimana. Tanto per non dare l’impressione che tutto fosse già preordinato (ma qui si continua a pensar male, mi si potrebbe dire, sempre con la pos- sibilità andreottiana di indovinarci, risponderei), per una settimana si lascia credere che ci si sta indirizzando su Giuliano Amato, indicato dal Pdl, ma non molto gradito dal Pd, del resto non è una riserva della repubblica? Poi, improvvisamente (?), dopo l’in- contro con la delegazione del Pd, arriva la decisione. Dal Quirinale giunge a casa Letta la convocazione per l’incarico che “per prassi” Letta accetta con riserva, ma non pare sgradito al Pdl, dove un buon numero di congiurati sono in attesa. Del resto la frase del presidente lo preannunciava in modo solare: era questa la posta implicita dell’appello rivoltomi due giorni or sono.

I lunghi giorni di Catilina 93 Naturalmente Letta fa sapere di aver accolto l’incarico «con una sorpresa pari al senso di responsabilità». Dobbiamo ritenere che tutto si stesse svolgendo secondo i piani pre- visti, dunque? Poi, siccome è il tempo del verbalismo un tanto a tonnellata, volete che Letta dica che il suo governo è fatto da (congiurati) largheintese-isti? È troppo scontato. Quindi, come si dice in partitichese truppe di guerra? Ma truppe di pace no? Bene. Allora ma che “larghe intese”; «Un governo di servizio al Paese. Definirei così l’idea con cui mi ripresenterò alle Camere se scioglierò la riserva». Un bel nome per un governo neonato, visibilmente “malaticcio”, che si vorrebbe battez- zare, prima che muoia in modo prematuro. Un bel nome per un governo-badante che si offre di accudire un popolo che fa difficoltà a camminare fra le mine antiuomo dell’Unione Europea.

[Un governo badante che richiama l’abbiamo bisogno di loro, riferito ai non italiani che aspirano a fare i badanti. Come quegli “accolti” badanti che ci tengono a far sapere che non vogliono essere messi in regola (ma che Inps, che Inail, che dichiarazione dei reddi- ti) perché ci guadagnano di più, e poi gli anziani in difficoltà, vedi come si affezionano, mica vorrete che li abbandonino e se ne vadano a cercare altri anziani disposti, purché non se ne vadano, a pagarli di più senza metterli in regola. Salvo, molti anni dopo, ripensarci, tanto le leggi sono a loro favore, e chiedere di essere messi in regola, con effetto retroattivo (le ferie, la malattia, il riposo settimanale). Sai quanti soldi arrivano, li rassicurano negli uffici sindacali. Fa niente, se sono stati pagati con cifre di molto superiori ai minimi previste dalle norme vigenti. Fa niente, se la ci- fra complessiva che hanno preso in nero è di molto superiore a quella che gli anziani e malandati “datori di lavoro” avrebbero pagato mettendoli in regola. Non si riesce a comprendere per quale motivo un comportamento simile non sia configurabile come reato di truffa, e pure aggravata, considerando che spessissimo “il datore di lavoro” è un (una) disabile, non in grado di badare a se stesso(a). Fare il mestiere di badante, in Italia, conviene basta non essere italiani, dichiarare di essere stati sfruttati dalla persona biso- gnosa “datore di lavoro” e si viene super normativamente protetti. Gli avetebisognodinoi- isti aspirano a diventare cittadini italici; e magari si ritroveranno ad avere più danari del malato incurabile a cui hanno “badato”.]

Un governo badante è un lavoratore e l’anziano popolo italiano (152 anni non sono pochi) è il “datore di lavoro”. E siccome il “datore di lavoro” ha, per principio sindacale, sempre torto, che diamine, i sindacati saranno propensi a spolpare (impoverire) “l’an- ziano popolo datore di lavoro” e rimpolpare (arricchire) “il lavoratore governo badante” che magari si è arricchito, ha arricchito i suoi familiari e ha aperto pure conti bancari all’estero.

Avrete registrato che era il 22 aprile 2013 quando Giorgio Napolitano, alle camere ri- unite, ha motivato l’accettazione del suo bis-insediamento quirinalizio. Registrate ora che era il 29 aprile 2013, quando Enrico Letta presentava, alla Camera

94 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo dei Deputati, il programma del suo governo-badante largheintese-ista. Stiamo osservando, da altra angolazione, quella settimana nella quale tutto si è messo a correre, altro che le lungaggini di Bersani che dal febbraio elettorale continuava a girare a vuoto. Una settimana. Accidenti, una velocità stupefacente, considerando le lungag- gini della partitica. Converrete che al Quirinale avevano le idee chiare, come appare anche da quell’intervento bis-presidenziale nelle pagine precedenti rappresentato. Bene, allora vediamolo da vicino l’intervento di Enrico Letta. Come si vede, viene sottolineata la “circostanza” che il suo discorso seguiva, di appena una settimana, quello di insediamento di Giorgio Napolitano. Né manca l’accenno alla rielezione che Giorgio Napolitano, spinto da più parti, è stato costretto ad accettare dimostrando uno straordinario spirito di dedizione.

Appena una settimana fa il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, pronunciava il suo discorso di insediamento alla Presidenza della Repubblica. A lui consentitemi di rivolgere nuovamente un sincero ringraziamento per lo straordinario spirito di dedizione alla nostra comunità nazionale con il quale ha accettato la rielezione per il secondo mandato.

E volete che manchi l’accenno al (a noi perfettamente presente) linguaggio della verità di riminaria, meetingaria, agostana, duemilaeundiciaria memoria?

Di fronte all’emergenza il presidente della Repubblica ci ha invitato a parlare il linguaggio della verità. Ci ha chiesto di offrire in extremis, al Paese e al mondo, una testimonianza di volontà di servizio e senso di responsabilità. Ci ha concesso un’ultima opportunità. L’opportunità di dimo- strarci degni del ruolo che la Costituzione ci riconosce come rappresentanti della nazione.

A proposito i ministri del governo-badante Letta sono 18, esattamente come quelli del governo-podestà Monti, che ha consegnato il bastoncino testimone della staffetta euro- sfasciastati al governo-badante Letta-subentrante. (Il motivo dell’utilizzo del termine “podestà” lo trovate nel libro a pagina 205 e nelle pagine da 208 a 211, dove viene ripre- so un editoriale di Mario Monti, dal titolo anticipatorio del ruolo che sapeva di stare per ricoprire, una volta costretto Berlusconi alle dimissioni da spreadite. L’editoriale “Il podestà forestiero” è stato pubblicato sul Corriere della Sera il 7 agosto 2011, notare la data vicina al meetingario riminario agostano duemilaeundiciario linguaggio della verità). E Letta che, come dimostra la documentazione esposta nel libro, è fra gli “inventori” del governo Monti, informa che il suo governo seguirà le orme di quello precedente perché la situazione economica è ancora grave.

La prima verità è che la situazione economica dell’Italia è ancora grave. Abbiamo accumulato in passato un debito pubblico che grava come una macina sulle generazioni presenti e future, e che rischia di schiacciare per sempre le prospettive economiche del Paese.

E, siccome Letta vuole dimostrare di aver capito quale ruolo gli ha assegnato Napo- litano, nel suo intervento di una settimana prima, riferendosi a quello che oggi appa-

I lunghi giorni di Catilina 95 re come un accordo (sotterraneo?) sottoscritto proprio a Rimini nell’agosto del 2011; provate ad indovinare di chi è la frase riportata qui sotto, informandovi che si trova a pagina 218 del libro.

Perché è un fatto che ormai da settimane, da quando l’Italia e il suo debito pubblico sono stati investiti da una dura crisi di fiducia e da pesanti scosse e rischi sui mercati finanziari, siamo im- mersi in un angoscioso presente, nell’ansia del giorno dopo, in un’obbligata e concitata ricerca di risposte urgenti.

Aiutino? Non avete il libro sottomano perché il distributore non lo ha ancora conse- gnato all’edicola o alla libreria vicino casa? La frase qui sopra è di Giorgio Napolitano ed è stata pronunciata a Rimini il 21 agosto 2011. Le frasi qui sotto, invece, fanno parte dell’intervento di Letta del 29 aprile 2013, e di- mostrano che il suo governo è semplicemente la continuazione catilinaria del governo Monti.

Il grande sforzo di risanamento compiuto dal precedente Governo, guidato dal senatore Mario Monti, è stato premessa della crescita in quanto la disciplina della finanza pubblica era e resta indispensabile per contenere i tassi di interesse e sventare possibili attacchi finanziari.

Il mantenimento degli impegni presi con il Documento di Economia e Finanza è necessario ad uscire, quanto prima, dalla procedura di disavanzo eccessivo e per recuperare margini di manovra all’interno dei vincoli europei.

Tanto i populisti che ne sanno come stanno davvero le cose, mentre il Letta-Monti si premura di informarli che si farà un viaggetto a Berlino, a Parigi e perfino a Bruxelles, per far sapere che lui è un europeista convinto. Come se a Parigi, a Berlino, a Bruxelles non sapessero che Enrico Letta è iscritto alla trilaterale, il cui obiettivo è la privatizza- zione di tutte le risorse del pianeta. Vedi pagina 81-82 del mio libro:

L’obiettivo della Trilaterale? Privatizzare tutte le risorse del pianeta in poche mani, le loro, e nel più breve tempo possibile.

E sapete chi c’era nel gruppo europeo della Commissione Trilaterale, durante il governo di Ro- mano Prodi dal maggio 1996 all’ottobre 1998? Niente meno che Enrico Letta, sempre in compa- gnia di Mario Monti. E anche se nel sito trilaterale.it non sono linkabili i nomi dei componenti europei della Trilaterale, nel sito trilateral.org l’elenco dicembre 2012, invece sì. E vi appaiono sia Monti (Presidente del Consiglio italiano attuale) che Letta. (Quando i nomi chiudono i cerchi, avrebbe detto Sherlock Holmes.)

Come se a Bruxelles, a Parigi, a Berlino non sapessero che Letta partecipa con gran- de convinzione alle riunioni del gruppo Bilderberg da dove, è notorio, si dipartono le “pressioni secretate” nei confronti dei governi a cui è assegnato il compito di tenere sot- to controllo i loro popoli, un po’ recalcitranti. Dunque, immaginate quanto abbia da fare

96 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo Letta con i populisti italiani dei quali Monti, come sappiamo, non ne può più, perché, addirittura, vorrebbero uscirsene fuori dall’Unione Europea e dall’Euro. Ora siete in grado di fare la radiografia alla seguente frase, tratta dall’intervento di En- rico Letta, che stiamo analizzando.

È per questo che se otterrò la vostra fiducia, immediatamente visiterò in un unico viaggio Bruxel- les, Berlino e Parigi per dare subito il segno che il nostro è un governo europeo ed europeista.

Nella frase che segue, invece, si fa riferimento ad una strana sparatoria davanti a Palazzo Chigi. L’obiettivo erano i partitici, che stavano giurando al Quirinale e all’ospedale ci sono andati i carabinieri di guardia. Ma la disperazione, non è che rischia di trasformarsi in rabbia, si è già tramutata in rabbia. Una rabbia sorda come la terra attraversata dai rabbiosi infrasuoni che sono le urla dei terremoti, inudibili dai partitici governanti PalazzoChigi-andanti.

Tanti cittadini e troppe famiglie sono in preda alla disperazione e allo scoramento. Pensiamo alla vulnerabilità individuale che nel disagio e nel vuoto di speranze rischia, di tramutarsi in rabbia e in conflitto, come ci ricorda lo sconcertante fatto avvenuto ieri stesso dinanzi a Palazzo Chigi.

E, non pago, poi che si inventa? Si inventa l’incredibile mischiamento fra coloro che hanno il compito di proteggere le Istituzioni con il cosiddetto “terzo settore”. In questo passaggio di Enrico Letta è perfettamente visibile come i catilinari annidati nel mondo cattolico accettino di essere pagati con i trenta denari della sussidiarietà (vedi capitolo I cattoli(compli)ci “seminatori di Monti” nel mio libro).

Vorrei a questo proposito rendere omaggio alle donne e agli uomini che ogni giorno consentono al nostro paese di godere di questa solidarietà e che mantengono unito il nostro tessuto sociale: i servitori dello Stato – quelli che rischiano la vita per proteggere le istituzioni, quelli che lavo- rano nella sanità per salvare delle vite, quelli che aiutano i nostri figli a crescere – ma anche gli operatori del volontariato, della cooperazione, del terzo settore e della galassia del 5 per 1000. È l’esempio che giornalmente viene dato da queste persone che ci fa riscoprire il valore del servizio pubblico.

A Enrico Letta, che è fra gli inventori di Mario Monti e ai catilinari annidati nel mondo cattolico, suoi complici, è dedicato questo passaggio che si trova nel mio libro a pagina 246-247.

Quelli che si sono inventati Mario Monti, ben rappresentati in questo Forum (leggi Cdo), riten- gono con questa invenzione di aver posto fine all’era del bipolarismo. Finalmente si può lavorare per costruire un partito cattolico, vestito ben attillato, intorno al Messia Mario Monti, la nega- zione perfetta della dottrina sociale della Chiesa. La negazione del lavoro giovanile, come dimostrano i dati Istat. La negazione dell’aiuto alle famiglie super tassate e derubate (non solo) dall’Imu, a tutti gli effetti una super-tassa patrimoniale popolare. I lunghi giorni di Catilina 97 È triste dover constatare che, in questo forum, è ben viva e attiva la confraternita degli Afràchete- serve-isti. E volete che intorno a questo progetto, che la confraternita immagina vincente, prefe- renze alla mano, non ci sia già calca, per entrare nel salone delle udienze? Lo dimostra il frontale della porta girevole di accesso, al salone dove si legge: discontinuità. È la parola d’ordine dei con- giurati catilinari. Se la dignità delle istituzioni è rappresentata dal governo Monti, cari amici del Forum è una ben misera dignità. Se semplificare l’assetto dello Stato, significa occuparlo con colpi di mano da terzo settore sussidiario, non solo non ci siamo, ma ci si avvia sulla ripida discesa delle privatizzazioni selvagge. Senza freni ci si può fare molto male.

Il costo della vita sta raggiungendo l’insostenibilità. In queste condizioni i milioni di cittadini che, non andando a votare, si rifiutano di dare credibilità alla pianta parassita chiamata partitica, si stanno orientando verso la ribellione. E non è richiamando il “mal comune mezzo gaudio” che Letta (nei suoi passaggi richiamati qui sotto) e gli altri con- giurati possono pensare di “sfangarsela”, di riuscire a cavarsela, con la pioggia di furberie partitiche mentitorie, a cui sono abituati. [E di comprove ne trovate un gran numero in questo scritto e nel mio libro, a pagina 341, spiego come funziona il giochino democratico dei voti validi, per legge, sganciati dagli elettori. Assomiglia molto alla nostra costituzionale democratica sovranità che dovrebbe appartenere al popolo … ma… leggetevi la frase, in fondo alla pagina 472, che comincia così L’origine di questo abusato termine…]

Nessuno può considerarsi fino in fondo assolto dall’accusa di aver contaminato il confronto pub- blico con gesti, parole, opere o omissioni. Con 11 milioni e mezzo di cittadini che hanno deciso di non votare, alle elezioni dello scorso febbraio, quello dell’astensione è risultato essere il primo partito. Non era mai accaduto prima: due milioni in più rispetto al 2008, quattro rispetto al 2006.

È però anche importante collegare il tema del finanziamento a quello della democrazia interna ai partiti, attuando finalmente i principi sulla democrazia interna incorporati nell’art. 49 della Co- stituzione, stimolando la partecipazione dei militanti e garantendo la trasparenza delle decisioni e delle procedure. Rivendico con forza l’importanza di un temporaneo «governo di servizio al paese» tra forze sicuramente lontane e diverse tra loro.

Vi riporto l’art. 49. Letta dice che i principi della “democrazia” interna dei partiti sono “incorporati” nella stessa formulazione del testo. Si osserverà che, invece, nel testo, il “metodo democratico” è il mezzo che dovrebbe essere utilizzato per “determinare la politica nazionale”. Ormai, avendo presente quanto il termine “democratico” abbia una significanza scivo- losa, possiamo solo tristemente osservare che, secondo Letta, i partiti, dalla nascita della carta costituzionale, ancora non sanno cosa siano “i principi di democrazia interna”. Ecco cosa è scritto nell’articolo richiamato da Letta: Tutti i cittadini hanno diritto di as- sociarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale. Si comprende perché è a Letta e agli altri catilinari congiurati che, a nome dei “populisti

98 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo italiani”, sono indirizzate queste righe che trovate a pagina 32 del libro.

I populisti, invece, pare abbiano capito come funzionano le elezioni. Controllati che i voti siano ben cotti nella pignatta elettorale, li scoli dall’acqua popolo che non serve più; li metti nei silos parlamentarti e te li divori per tutta la durata del pranzo-legislatura. Quando i silos sono vuoti, metti al fuoco un’altra pignatta elettorale, la riempi di acqua-popolo e di schede elettorali, a cottura-elezione avvenuta, pronti con lo scolapasta parlamentare e avanti per un altro pranzo-legislatura. Domanda di un populista. Visto che la democrazia parlamentare si è rivelata un semplice scola- pasta, questi autoproclamatisi governanti dei popoli, da chi lo avrebbero ricevuto questo mandato di governare, da Dio o da Padron Mercato?

Quanto alla frase seguente, Enrico Letta dice di aver imparato da Nino Andreatta la differenza (siamo sempre dentro le trappole del verbalismo) fra i termini “politica” e “politiche”. Sarà. Per quanto ne cerchi, almeno quanto ne è rimasto, da centocinquan- tanni ad oggi, non vedo intorno né “politica”, né “politiche”, mentre di “partitica” e “partitiche” è pieno il dire, il fare, il pensare di questi, se dicenti “governanti”, asserviti a Padron Mercato.

Ho imparato da Nino Andreatta la fondamentale distinzione tra politica, intesa come dialettica tra diverse fazioni, e politiche, intese come soluzioni concrete ai problemi comuni. Se in questo momento ci concentriamo sulla politica, le nostre differenze ci immobilizzeranno. Se invece ci concentriamo sulle politiche, allora potremo svolgere un servizio al paese migliorando la vita dei cittadini.

I lunghi giorni di Catilina 99

Manovre di palazzo

Cambiare il nome ad una via, certo che crea trambusto per chi vi abita, ma i palazzi sono sempre quelli e la gente che ci abita pure. Dunque che vuol dire aver cambiato nome alla via.

Queste frasi vengono da pagina 337 del mio libro e fanno parte del capitolo Il cui pro- dest delle stragi e dei processi ai partiti. Vedrete, o già avete visto, a cosa si riferisce quella esemplificazione. Nel contesto di questo scritto, cambiare nome alla via, sta per cambiare nome al gover- no, ma, come, cambiando nome alla via, i palazzi e chi vi abita sono sempre gli stessi; così, cambiando nome al governo Monti, non sono stati cambiati gli obiettivi disastrosi che si prefiggeva. Insomma, Quirinale faro di un buio porto, gli stessi giri partitici inventori di Monti, compresi i cattoli(compli)ci, hanno messo al governo il gemellino Letta. Preso atto di questo “furbastro” copia-incolla, possiamo riprendere i ragionamenti sui sotterranei collegamenti fra i veDro-isti e il governo dei congiurati. Il 30 luglio 2013, mentre il governo dei congiurati sta seguendo, con pignoleria, le orme di Monti, superato il muro burocratico con velocità da nave stellare, arriva in discussio- ne presso la Suprema Corte di Cassazione il ricorso presentato dai legali di Berlusconi contro il verdetto di condanna per frode fiscale, 4 anni di reclusione (meno tre per inter- venuto indulto) e 5 anni di interdizione dei pubblici uffici, emesso dalla seconda sezione della Corte d’Appello di Milano l’8 maggio 2013. Dopo sette ore di discussione, alle ore 19,40 del 1 agosto 2013, la Cassazione rigetta il ricorso e rinvia a nuova ridefinizione il periodo di interdizione dei pubblici uffici. La corte d’Appello di Milano, il 19 ottobre 2013, ha ridefinito il periodo di interdizione a due anni. Gli avvocati di Berlusconi ri- correranno in Cassazione. La Cassazione rigetta il ricorso e rinvia a nuova ridefinizione del periodo di interdizio- ne dei pubblici uffici. La Giunta per le Immunità del Senato dovrà ora decidere se Silvio Berlusconi, a seguito della condanna definitiva, debba essere considerato decaduto dalla carica di Senatore. Viene minacciata la fine del governo Letta se questo dovesse avvenire. La fibrillazione dei rapporti dei partiti largheintese-isti è immaginabile anche da chi non sente il bisogno di masticare partitica. Questo è lo scenario generale, quando, il 16 settembre 2013, a Enrico Letta, ospite della trasmissione Rai Porta a Porta, gli scappa detto:

Non possiamo essere io e il presidente della Repubblica gli unici parafulmini. Occorre da parte di tutti una partecipazione alla responsabilità.

Con questa frase, Letta fa sapere ai veDro-isti pidiellini, che la situazione si sta logoran-

Manovre di palazzo 101 do e che loro, che hanno contribuito a costruire il governo Monti, debbono fare la loro parte. Si debbono esporre. Del resto è stato ricostituito, il 17 agosto 2013, l’Intergruppo Parlamentare per la Sussidiarietà guidato da Raffaello Vignali, dal 2003 presidente del- la Compagnia delle Opere fino alla sua elezione a deputato nel 2008. Berlusconi senatore o no, debbono mantenere gli impegni a suo tempo presi (vedi in- tervento di Giorgio Napolitano a Rimini nel 2011). Il 20 settembre 2013, Enrico Letta è al Quirinale. Le motivazioni ufficiali di questa visita sono il viaggio negli USA e in Canada, la partecipazione all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, la presentazione del Def (Decreto di Economia e Finanza) e della legge di stabilità. In realtà sono i motivi aggiuntivi i più importanti. Motivi che Enrico Letta diffonde attraverso gli abitudinari comunicati stampa. Le Agenzie vengono informate che il Premier ha ritenuto necessario spiegare al Presidente Napolitano le motivazioni delle sue ultime dichiarazioni. Letta spiega a nuora perché suocera intenda che non ha inten- zione di farsi logorare dai veti e dagli ultimatum incrociati fra Pd e Pdl. Evidente il riferimento al “caso Berlusconi”. Sempre le agenzie vengono informate, da fonti governative (eufemismo che sta per “da Enrico Letta”), che il colloquio fra il presidente del Consiglio e il capo dello Stato si è svolto in “un clima di piena e totale sintonia”. Nel sito di Dagospia, il 27 settembre 2013, si raccontava che, la sera di venerdì 20 settembre, chi avesse avuto le sue finestre aperte su piazza della Minerva, a due passi dal Pantheon, a Roma, avrebbe visto un gran movimento proprio di fronte alla casa di Eugenio Scalfari, il fondatore de La Repubblica. Secondo il raccontatore (R.Z. per Il Fatto Quotidiano), quella sera davanti a casa Scalfari sarebbero scesi, da automobili super scortate, nientemeno che Giorgio Napolitano, Enrico Letta e Mario Draghi. Da questo incontro sarebbe scaturito l’editoriale di Eugenio Scalfari, Napolitano-Letta- Draghi: Lo scudo Italia-Europa, pubblicato su La Repubblica la domenica successiva 22 settembre.

Il governo Letta, come il governo Monti, non sono stati una scelta ma il prodotto necessario d’u- na situazione priva di alternative. Adesso ancora una volta siamo di fronte ad una crisi che rimette in discussione e nega l’esistenza di quello stato di necessità; una crisi tutta nostra, innestata su una crisi più generale che sconvolge da sette anni l’Occidente del mondo. Riusciranno i nostri eroi? con quel che segue.

Il pregiudicato Silvio Berlusconi non si acconcia alla condanna che lo ha colpito e alle altre che si profilano all’orizzonte. Risponde attaccando e lo fa con la sua consueta abilità. Si presenta an- cora una volta come il perseguitato, l’agnello sacrificale contro il quale si accaniscono le forze del male; promette benessere e libertà con gli stessi contenuti che da vent’anni ripete: meno tasse, più investimenti, più consumi, più lavoro, più mercato e meno Stato.

Perciò, per ora, il governo Letta resti pure in vita ma ad una condizione: adotti quella politica. I cinque ministri del Pdl restino pure ai loro posti ma impongano al riluttante presidente del Consiglio il programma prescritto dal loro padrone. Se non lo faranno saranno sconfessati come traditori; se tenteranno di fare quanto possono ma senza risultati, allora il governo cadrà e si an- 102 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo drà a votare. Quanto alle masse, esse mantengono la loro natura attraverso lo scorrere del tempo; nel caso specifico continuano ad essere affascinate e sedotte dalla demagogia, dalle promesse sempre ri- affermate e mai mantenute, delle quali è intessuta la storia d’Italia nei decenni e addirittura nei secoli che stanno alle nostre spalle. Gli individui possono cambiare ed evolvere, le masse no; i loro comportamenti sono ripetitivi e i voti incassati dal Pdl e da Grillo ne sono la prova.

Dell’editoriale di Scalari, che vi proporrei di leggere nella sua interezza, ho scelto i quat- tro passaggi qui sopra. Il primo perché i governi Monti-Letta vengono considerati praticamente “un necessa- rio accidente”. La base economico-filosofica dei governi costrittivi, senza la maschera berlusconiana, che ormai non serve più. E si stanno organizzando i barconi per portare in salvo i topini in fuga dalla nave Pidiellina che sta affondando. Perché si sa, gli animali sono intelligenti e gli eventi li percepiscono prima dei furbissimi umani. Solo che anche la nave Piddina, non pare navigare in buone acque, gentile dottor Euge- nio Scalari. Anche da quella nave si intravedono topini che si stanno buttando in acqua e cercano di raggiungere i piccoli isolotti dei paraggi. Chissà se quei barconi con sopra i Pidiellini porteranno “in salvo” anche loro. Qui ha preso il potere la straniera Europa e pretende la stampa convenientemente amica-complice. Questo significa la convergenza dei tre personaggi in casa di un gior- nalista di idee progressiste. Il secondo, perché Berlusconi viene considerato ormai fuori dallo scenario politico pro- prio per la condanna subita e le altre che stanno per giungere. Il terzo, perché è il derivato del secondo. Viene rappresentato nel Pdl un prossimo gioco al massacro nel quale i ministri vengono invitati a ribellarsi al loro padrone. È la chiave interpretativa non solo dell’incontro che secondo Dagospia si è verificato, ma del mano- vrio in atto per cercare di spingere uno spezzone del Pdl nel calderone centrista. Quan- to al quarto, secondo quell’argomentare non è che i votanti per i Pidiellini e Grillini siano meno Massa di quelli che hanno votato per i Piddini o per i seguaci del Podestà forestiero Mario Monti (pagina 208-212 del mio libro). E poi, definendo il popolo ita- liano Massa, evidentemente Eugenio Scalfari non ha la stessa visione compassionevole di Giuseppe Manzoni. Una terra sempre soggetta alle invasioni di armate straniere. Una terra soggetta al dominio dei galletti di turno, che strillano alle galline nel pollaio: “Noi abbiamo più cultura e più denaro di voi, galline-volgo. Che da volgo deriva volgare, (non divulgare). Dovreste ringraziarci che ci prendiamo la briga di governarvi”. Dalla tragedia manzoniana Adelchi – Atto terzo – Scena nona – il coro. E immaginate questo coro come di voci ventose che attraversano l’Italia intera e ogni volta che nuvole vere si formano nei suoi cieli, lì si raccolgono e da lì si dipartono scen- dendo con la pioggia. Voci fatte di vento, voci ventose, commiserevoli, pietose, com- passionevoli che accarezzano i volti delle genti che non riescono da secoli a diventare popolo, e sono ogni volta, disperantemente, gli schiavi dei padroni di turno sempre fra loro in guerra.

Manovre di palazzo 103 E il premio sperato, promesso a quei forti, – sarebbe, o delusi, rivolger le sorti, d’un volgo straniero por fine al dolor? Tornate alle vostre superbe ruine, – all’opre imbelli dell’arse officine, ai solchi bagnati di servo sudor. Il forte si mesce col vinto nemico, – col novo signore rimane l’antico; l’un popolo e l’altro sul collo vi sta. Dividono i servi, dividon gli armenti: – si posano insieme sui campi cruenti d’un volgo disperso che nome non ha.

Dobbiamo, dunque, presumere, nella logica dei fatti nei giorni seguenti intervenuti, che il 20 settembre ci sia stata la disamina, dentro e fuori i palazzi istituzionali, di un “piano operativo” da attivare a seconda di come si sarebbe comportato il Pdl, o lo stesso Berlu- sconi, di fronte alla certezza della sua decadenza da senatore. Infatti, dopo innumerevoli, giornalieri, tira e molla, si comincia a parlare di dimissioni di massa dei deputati e senatori Pdl, non appena la Giunta per le Immunità del Senato, il 4 ottobre 2013, voterà a maggioranza la decadenza di Berlusconi. Occasione da non perdere. Siccome si rischia che il parlamento non possa legiferare, purtroppo non sarà possibile evitare l’aumento dell’Iva al 22% deciso dal gemello Mon- ti. Così sarà servito il Pdl berlusconiano che si prenderà le colpe del mantenimento dell’aumento dell’Iva che qui stavamo fingendo di evitare, (potremmo immaginarlo così il pensierino segreto del Monti-Letta). Infatti nell’articolo 11 del decreto legge del 28 giugno 2013, modificando il comma 1-ter dell’art. 40 del Decreto Legge 98 del 6 luglio 2011, veniva previsto che l’aumento dell’Iva dal 21% al 22%, invece che dal 1 luglio 2013, concessione incredibile, sarebbe partito tre mesi dopo, dal 1 ottobre 2013. Cioè un trucco per lasciare le cose come sono. Il governo dei largheintese-isti sa bene come fregare il popolino. Invece che impedire l’aumento dell’Iva, piddini e pidiellini al seguito dei Monti-ani a braccetto con i quirina- lizi (inventati utilizzando una vecchia procura quirinalizia) semplicemente lo spostano di tre mesi. Questo stesso finto intervento sull’Iva avrebbe dovuto far comprendere che tipo di ac- cordo ci fosse fra i largheintese-isti che si sono inventati Monti e il dopo-Monti. E dove anche immaginare quanto il Premier fosse preoccupato per la stabilità del suo governo, se dal 22 al 27 settembre parte, prima, per due giorni, in visita ufficiale a To- ronto e Ottawa, in Canada, poi, dal 24 al 27, negli USA, a New York, intervenendo in vari organismi internazionali facenti capo all’ONU, compreso un summit sulla crisi nel Sahel. Non tralasciando, il 27 settembre, prima di ripartire per l’Italia, di partecipare ad un evento di promozione per il milanese Expo 2015. Tranquillità a tutta prova se, nel primo pomeriggio del 25 settembre, durante una sua visita a Wall Street, raggiunto da Sky Tg24 che gli chiede delle fibrillazioni governative, il Premier italiano risponde serafico: “Alla fine sono ottimista che la stabilità ci sarà”. Una tranquillità basata sul buon rapporto con il suo vice, il co-veDro-ista Angelino Alfano. È di tutta evidenza che, durante la sua permanenza nella terra occupata dagli europei oltreatlantico, ha potuto contare anche sul suo vice, con il quale aveva giorna-

104 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo lieri contatti telefonici. Del resto, ritenendo di ritrovarsi fra i certissimi che non sta per giungere un tranquillo weekend di paura (il titolo di un noto film del 1972 – il decennio in cui hanno messo le radici i futuri deviatori – dove i protagonisti si dovranno misurare con la natura che, allagata dalla costruzione di una diga, potrebbe rivelare la verità ancora sconosciuta su chi ha ucciso chi), è tranquillissimo anche Giorgio Napolitano. Infatti il Presidente non riterrà necessario mettere in discussione la sua visita a Napoli, programmata dal giugno 2013. Si tratta delle celebrazioni delle 4 giornate di Napoli, che si terranno dal 25 al 28 settembre 2013, giornata nella quale è previsto il suo arrivo a Napoli. Tutto appare perfettamente e da lungo tempo programmato. Vediamo perché. Intorno alle 17 del pomeriggio del 25 settembre comincia a diffondersi un tam tam proveniente dal Pdl. Si vocifera che durante la riunione congiunta dei gruppi parla- mentari pidiellini, prevista nella serata, verrà fatta una proposta spiazzante. All’atto della votazione a maggioranza sulla decadenza di Berlusconi verranno presentate le di- missioni di tutti i parlamentari Pdl, l’intera delegazione ministeriale compresa. Nessun parlamentare Pdl parteciperà più ai lavori parlamentari. Si ritiene che in questo modo il Presidente della Repubblica sarà costretto a sciogliere le Camere. Nel corso della stessa riunione, la sera del 25 settembre si dà l’avvio alla raccolta delle dimissioni di tutti i parlamentari. Le dimissioni riguardanti la delegazione ministeriale verranno valutate in altra ravvicinata riunione. Nello sfondo di questa decisione è anche visibile la pressione nei confronti del Capo dello Stato, perché valuti la possibilità di concedere la grazia a Silvio Berlusconi. Ma è una strada non percorribile, se non altro per la circostanza che vi sono altri procedimenti in corso nei confronti del leader del Pdl. Nella serata del 26 settembre, 2013, dagli Stati Uniti Enrico Letta, ben informato, dal palazzo delle Nazioni Unite dichiara che la decisione presa dal gruppo parlamentare Pdl è: “Un’umiliazione per l’Italia”. Nella mattinata del 26 settembre il Presidente Napolitano era atteso a Palazzo Giusti- niani, dove si teneva un convegno promosso dalla Fondazione Alcide De Gasperi. È stata la figlia Maria Romana De Gasperi, a dare lettura della missiva con la quale il Presidente motivava la sua assenza.

… avrei voluto essere lì con voi e in particolare anche con il presidente Pottering, se non si fosse verificato ieri sera un fatto politico improvviso e istituzionalmente inquietante cui debbo dedicare oggi la mia attenzione. Sono sicuro che comprenderà…

In quelle ore Giorgio Napolitano sta predisponendo con i suoi collaboratori la nota che nella metà mattinata del 25 settembre 2013, verrà diramata dal Quirinale. La nota ufficiale, appunto, è relativa alla questione delle dimissioni dei parlamentari Pdl, pur non esistendo un documento ufficiale portato a conoscenza delle tre massime istitu- zioni della Repubblica. In questa pubblica dichiarazione, il Capo dello Stato definisce inquietante lo stesso annuncio delle dimissioni individuali di tutti gli eletti del Pdl, il cui effetto sarebbe quello di colpire alla radice la funzionalità delle Camere. Inoltre ritiene non meno inquietante il proposito di compiere tale gesto al fine di esercitare un’estrema pressione

Manovre di palazzo 105 sul Capo dello Stato per il più ravvicinato scioglimento delle camere. Nella nota si rileva che la condanna subita da Berlusconi non può essere considerata dai parlamentari Pdl un’azione eversiva o un colpo di Stato. Né si può paventare una impossibile interferenza del Capo dello Stato o del Primo Ministro in decisioni indi- pendenti dell’autorità giudiziaria. Il Primo Ministro è ancora all’estero e la nota diramata dal Quirinale, in assenza di un qualunque documento ufficiale, è di fatto una risposta ai rumors, che non sono esatta- mente eventi considerabili dalle Istituzioni. Comunque questo intervento è perfettamente inseribile nello scenario che stiamo os- servando dalla metà di settembre in poi. Tanto è vero che, è appena trascorsa un’ora dalla nota quirinalizia, un senatore ligure del Pdl, Augusto Minzolini, su Twitter lancia una replica alla nota quirinalizia:

Per Napolitano è inquietante la riunione del Pdl? No, sono inquietanti gli interventi di Napolita- no nella vita parlamentare e dei partiti. Non siamo una repubblica presidenziale.

In quel 26 settembre, l’aria attorno al Governo e al Quirinale non è esattamente idil- liaca, rasserenante. Durante la conferenza stampa tenuta nella tarda serata del 26 settembre, in una sala della Italian Academy presso la Columbia University, a New York, ai giornalisti che gli fanno domande relative alle incertezze che si prospettano al suo governo a seguito delle annunciate dimissioni di massa dei Pidiellini, Letta, rassicurante afferma:

Supereremo ogni ostacolo, la stabilità è un valore necessario.

Quel supereremo ogni ostacolo, ripetuto in ogni occasione utile, sappiamo che si riferisce al gruppo degli NML-isti, che nelle pagine precedenti abbiamo identificato e che, in quelle che seguono, vedremo uscire “forzosamente” allo scoperto. Sempre in questa conferenza stampa, Enrico Letta fa sapere che ha capito il senso dell’intervento di Giorgio Napolitano; ha capito che si sta esponendo a sostegno della stabilità del governo largheintese-ista.

Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano si conferma come punto di riferimento cen- trale per il nostro paese, una guida ferma. Condivido le sue parole dalla prima all’ultima.

Domani appena atterrato a Roma mi reco da Napolitano per un chiarimento su come andare avanti… Serve un chiarimento nel governo e in parlamento: voglio decidere insieme a Napolita- no le modalità. Voglio che tutto accada davanti ai cittadini.

Mostra comprensione per il disagio in cui si dibattano i ministri pidiellini del gruppo NML, alle prese con il caso giudiziario di Berlusconi. Sul sommovimento in corso Let- ta è certamente informato, ora per ora, anche dal suo vice presidente Angelino Alfano.

106 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo La comprensione per un certo momento di disagio non vuol dire che condivido chi dice che c’è un golpe. Non c’è nessun colpo di Stato, è una parola fuori luogo. L’Italia è uno stato di diritto.

È dal 27 settembre 2013, che tutto pare avvitarsi, così almeno appare dall’esterno. Infatti, in quella stessa giornata, con una intervista rilasciata a Daria Gorodisky per il Corriere della Sera, entra in campo, quasi a gamba tesa, il senatore e ministro della Dife- sa Mario Mauro. Il ministro è nel conto Scelta Civica di Mario Monti e quindi fa parte del gruppo NML.

In aprile ci siamo tutti impegnati davanti al Presidente Napolitano ad assumerci la responsabilità di rimuovere insieme il macigno enorme che si trova sulla strada dell’Italia. Ora il Pdl rinnega quell’impegno e mette a rischio la possibilità di eliminare quel macigno: si comporta più come una corte che come una forza desiderosa di contribuire alla salute del Paese.

In questa frase che si richiama all’impegno preso davanti al Presidente Napolitano, non sbaglierete se vi ritroverete a fare riferimento al richiamato “linguaggio della verità” nel Meeting di Rimini nell’agosto 2011. Da questa frase comprenderete, in aggiunta, che Mario Mauro non è sconosciuto nella Compagnia delle Opere e in Comunione e Liberazione, che sono il perno sostenitore sia dell’operazione Mario Monti che della gemellare operazione Enrico Letta.

Se qualcuno cercherà di far saltare il governo, io farò di tutto per trovare ancora una maggioran- za, con quelle persone libere e consapevoli che la nostra Costituzione non prevede vincolo di mandato.

Mario Mauro dice io farò di tutto, non fa nessun collegamento a Scelta Civica che uffi- cialmente dovrebbe rappresentare nel suo ruolo di ministro della Difesa. Anzi, prende le distanze da Scelta Civica (anche se, molto poi, vista la mala parata si troverà costret- to a dichiarare che ne fa parte) sottolineando che la nostra Costituzione non prevede vincolo di mandato, dunque sta parlando come componente effettivo e cattoli(compli) ce del gruppo NML. Pur tenendo presente quello che sancisce l’articolo 67 della Co- stituzione: Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue fun- zioni senza vincolo di mandato. [Quando serve si usa, quando non serve, dall’articolo 66 (ineleggibilità e incompatibilità) si salta al 68 (le autorizzazioni delle iniziative della magistratura nei confronti del singolo parlamentare); soprattutto si salta all’articolo 69: I membri del Parlamento ricevono un’indennità stabilita dalla legge.] Questa posizione sostanzialmente condivisa con una nota dagli 11 senatori di Scelta Civica, che hanno voluto far sapere con chi stanno nell’avvio del gioco al massacro, cioè che anche loro stanno nel gruppo NML, ha provocato le dimissioni di Mario Monti da presidente, e la sua fuoriuscita dal gruppo senatoriale per aderire al Gruppo Misto. Mentre sto cercando questo comunicato, approfittiamo per osservare il comportamento di Mario Monti, mentre si ritiene giubilato da quelli che riteneva i suoi collaboratori. Saltiamo al 19 ottobre 2013, sfogliamo il Corriere della Sera e troviamo che Mario

Manovre di palazzo 107 Monti ha rilasciato un’intervista a Aldo Cazzullo. Noterete con me che il personaggio conferma la sua vena vendicativa che avevamo già visto quando il suo governo fu giubilato (mandato in pensione) da Berlusconi; lo attac- cava ad ogni occasione utile (vedi a pagina 61 del libro). Alla richiesta del perché delle sue dimissioni, prima se la prende con il senatore Pier Ferdinando Casini e il ministro Mario Mauro, più altri improbabili compagni di viaggio, poi si addentra nel velenoso … furono tra coloro che più mi sollecitarono, un anno fa, perché accettassi di guidare una nuova formazione politica, intitolata all’agenda Monti; per, poi, cantarsela sul vero ruolo che aveva Scelta Civica, dentro il gruppo NML e cioè …dare più forza al presidente del Con- siglio affinché tenga saldamente il timone, senza soggiacere alle pressioni elettoralistiche dei partiti più grandi. Alla faccia delle Larghe Intese, insomma, il vendicativo Monti rende noto quali siano le reali intenzioni di Mauro e Casini: dissolvere Scelta Civica …in un nuovo soggetto “moderato”. Ma non ce la faranno, la maggioranza di Scelta Civica sta con me e avremo ragione di questa piccola e insidiosa sedizione, fa sapere Monti. Visto che ancora non esce fuori questo comunicato, approfittiamo per dimostrare quan- to sia conviviale con la menzogna lo sfascia-populisti trilateralista (vedi pagina 81-82 del libro). Era accaduto che, in piena campagna elettorale, intervistato da Daria Bignar- di nella puntata di Invasioni barbariche andata in onda, su La7, mercoledì 6 febbraio 2013, Mario Monti si era spacciato per amico degli animali. Notevole per un trilatera- lista, che, per principio costituente, non può essere amico degli umani, come sa perfet- tamente il terzo che osserva. Siccome Berlusconi domenica scorsa si è fatto fotografare con un cagnolino, lei sarebbe disposto ad adottare un cucciolo che noi le regaliamo?, ha esordito la conduttrice, in vena di provo- cazioni elettorali, mentre veniva messo nelle braccia di Monti il bianchissimo cucciolo Empy. Sorrisi, carezze, bacini. Empy fu televisivamente adottato. Vuoi mettere a tre settimane dalle elezioni politiche, con il via libera di Napolitano di farle da Premier, come faceva trendy? Con i milioni di amici degli animali in Italia che magari stavano seguendo la scena in diretta… Finalmente Monti ha mostrato il suo lato nascosto. Chi lo avrebbe immaginato quel lato nascosto così simpaticamente sorridente, avranno pensato in molti quella sera. Ebbene. Invitato da Lucia Annunziata nella sua trasmissione In mezz’ora, su Rai3, nella puntata di domenica 20 ottobre 2013, Monti ha smentito la sua immagine sorridente di amico degli animali. Quella sera del 6 febbraio scorso, infatti, Monti, negli ultimi due minuti dell’intervista, ha detto: chi vi parla … in uno studio televisivo si è trovato tra le braccia di sorpresa, in modo poco corretto, ad opera di una sua collega – e collega è dire molto – un cagnolino. (Mentre assicuro che gli scorpioni non stanno gradendo questo innaturale accostamen- to, con chi il veleno lo sprigiona solo parlando) Aggiungiamo che, per non smentire il latino in cauda venenium (nella coda il veleno), il Monti vendicativo ha voluto mostrarsi scorpione sprizzando veleno dal pungiglione della coda infilata nella carne dei giorna- listi rompieccetera. Comprensibilissima la reazione Sono senza parole della conduttrice di Invasioni barbari-

108 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo che, accusata di scorrettezza, dopo queste “rivelazioni anti Empy”. Allora facciamo così. Appena potete, cercate nel web i due filmati di cui stiamo parlan- do; quindi, dopo averli fatti scorrere sul vostro monitor, fatevi questa domanda: dove sta platealmente mentendo Mario Monti? Mentre state affrontando questo dilemma, vi debbo informare che nel frattempo è ar- rivato il comunicato che stavo cercando. Vediamolo allora questo comunicato spedito alle agenzie di stampa (preparato per la- sciar credere che fosse stato predisposto da una terza persona, vedi la frase-firma così si esprimono i senatori…). Un comunicato di sostegno alla Legge di Stabilità del governo Letta e, di fatto (motivo della incavolatura Montiana), di affiancamento non solo a Ma- rio Mauro, Gianpiero D’Alia, Enzo Moavero Milanesi, tutti e tre di SC (Scelta Civica), anche a Anna Maria Cancellieri che è Indipendente. Ministri, guarda caso, tutti ben posizionati nel gruppo governativo catilinario NML.

“La legge di stabilità predisposta dal Governo è un primo passo nella giusta direzione. Ce ne aspettiamo altri, coraggiosi e ambiziosi, nelle settimane e nei mesi prossimi, per avviare un pac- chetto di riforme che liberino maggiori risorse da collocare sul sostegno alle imprese e al lavoro. Abbiamo apprezzato il lavoro svolto dai ministri Mauro, D’Alia, Moavero Milanesi e Cancellieri, che hanno assicurato un apporto qualificato e coerente con le nostre proposte.” Così si esprimono i senatori del gruppo ‘Scelta Civica per l’Italia’ Albertini, Casini, De Poli, Di Biagio, Di Maggio, D’Onghia, Marino, Merloni, Olivero, Romano, Rossi, aggiungendo che non faranno mancare “il massimo contributo per migliorarne l’efficacia, dando il convinto sostegno al premier Letta e al Governo durante l’iter parlamentare della manovra, di fronte ai tanti distinguo e al prevalere in molti dell’opportunismo per giochi interni alle forze politiche”.

L’evento scatenante è stato l’aver appurato “de visu” che la “vocina”, che gli era arrivata all’orecchio, raccontava il vero. Era vero che il 16 ottobre, Silvio Berlusconi e Angelino Alfano si stavano intrattenendo a pranzo col ministro della Difesa, presso il Circolo ufficiali delle Forze armate in via XX Settembre a Roma. Argomento dell’incontro? Proviamo ad immaginarlo alla andreottiana? Manovre anti- decadenza da senatore, come salire sul tram normativa-indulto che sta per passare dalle Camere, crollo governo Letta (dal balcone nottetempo privato del parapetto di rame) e liste elettorali “popolari” e “cattoliche”, prossime venture. Berlusconi dovrà pure prepa- rarsi al dopo-Berlusconi. Mauro avrà richiamato alla comune memoria il Movimento Popolare, a suo tempo affidato a Roberto Formigoni. Chissà, magari ci abbiamo azzec- cato? Ma no! Che vai mai a pensare! Quanto avvenuto, piuttosto, potrebbe dare alta credibilità alle voci che si rincorrevano sulla scelta di Mauro a Ministro della Difesa. Dalla caldaia quirinalizia alla lunga tor- tuosa serpentina Monti-Letta, mentre si raffreddava il vapore, cominciavano a mostrar- si i risultati della distillazione largheintese-ista. Si raccontava che Mario Mauro fosse stato indicato da Napolitano per accontentare Comunione e Liberazione che si era già dimostrata funzionale, appoggiando il governo quirinalizio Monti, al programma costitutivo di un nuovo gruppo partitico, in vista del- lo sfascio imminente del Pdl e di una spaccatura verticale del Pd. Insomma. Prendiamo

Manovre di palazzo 109 quello che passa il convento (anche quello berlusconiano) e usiamolo, poi si vedrà. Con la frase io farò di tutto per trovare ancora una maggioranza, e con i suoi effetti dirompenti (il castello di carte comincia ad ondeggiare), appare perfettamente visibile quale sia la determinazione dei catilinari governativi, che ormai ritengono di utilizzare Berlusconi fino a che è utile, e di poter fare a meno di Monti (e fra poco di Letta). I congiurati sono pronti ad aprire un gioco finale al massacro. O adesso o mai più, evidentemente ritengono di essere, come Catilina, che si preparava alla battaglia fina- le, lontano da Roma, nelle pianure tosco-emiliane. La battaglia finale che i catilinari, sperano di vincere invece è a Roma, nei palazzi del potere, saltando i tempi elettorali. È qui che si stanno giocando le sorti di uno scontro che qualcuno ritiene di poter man- tenere sotto controllo. Talmente sotto controllo che tutti gli impegni previsti vengono mantenuti. Al mattino, intorno alle 10,30, del 27 settembre Giorgio Napolitano è alla Universi- tà Bocconi di Milano, dove è atteso un suo discorso in ricordo dell’economista Luigi Spaventa. Al termine di questa manifestazione farà ritorno a Roma per incontrarsi con Enrico Letta che intorno a mezzogiorno è atterrato a Ciampino, di ritorno dagli Stati Uniti. A Palazzo Chigi, in attesa che Napolitano rientri da Milano, Enrico Letta pranza con Angelino Alfano, Maurizio Lupi e Dario Franceschini. Basta Ping Pong. O dentro o fuori. Prendere o lasciare. Sono le frasi che sfiorano le orecchie dei commensali di Letta in quel venerdì 27 settembre. E Angelino Alfano che, appena finito il pranzo, va a Palazzo Grazioli, in via del Plebiscito, per incontrarsi con Silvio Berlusconi, quelle frasi le avrà ripetute per mostrare che aria tirasse a Palazzo Chigi. Intanto giunge a Palazzo Chigi anche Gianni Letta, evidentemente informato sulle larghe intese a rischio, intrattenendosi con il nipote per circa mezz’ora. Subito dopo Enrico Letta si avvia verso il Quirinale, dove lo attende Giorgio Napolitano. l’incontro dura circa un’ora e mezza. La decisione presa e dal Quirinale condivisa? Il governo si presenterà alle camere lunedì 30 settembre o martedì 1 ottobre per chiedere la fiducia. Se la fiducia dovesse mancare, avanti per un governo salva-Italia con chi ci sta.

Così non si può andare avanti, o il chiarimento è inequivoco o io non ho problemi a dimettermi, anzi se non ci fosse questa legge elettorale l’avrei già fatto.

Una giornata pesante, da osservare anche attraverso le notti romane di piazza della Mi- nerva. Letta, ha fatto appena in tempo a tornare dagli USA, ha ancora una volta fatto sapere che Così non si può andare avanti, che il 28 settembre, da Arcore vengono rag- giunti telefonicamente i ministri largheintese-isti Pidiellini perché si dimettano. Il Pdl ha aperto la crisi. Solo che, il segretario Alfano lo apprende ricevendo una telefonata, e la voce non era quella di Berlusconi… Prima di esaminare cosa è accaduto saltiamo al giorno dopo. Serve. Il 29 settembre, nel giorno in cui compie 77 anni, Berlusconi si sta rivolgendo ai suoi “leali” sostenitori (manco fossimo in Siria) riuniti nell’hotel Vesuvio di Napoli. Nella città partenopea si sta battezzando il rinato partito di .

110 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo Il presidente del Pdl, in collegamento telefonico da Arcore, in viva voce udito dai “lea- listi” convenuti nell’hotel Vesuvio sta dicendo:

“Grazie per gli auguri di compleanno. Non sono stanco di combattere. Questa notte dopo 59 not- ti che non dormivo e che lavoravo fino alle 5, a volte guardando il soffitto, questa notte ho dormi- to 10 ore a fila. Sono pronto a riprendere la battaglia. È un frangente difficile per il nostro paese perché questi signori della sinistra hanno il vizio di ribaltare la verità a proprio vantaggio”.

Apprendiamo, dunque, per quale motivo, finalmente, dopo 59 giorni, Berlusconi ha dormito 10 ore di fila, il sonno che prende quelli che si sono tolti un peso dallo stomaco. E magari era per i troppo stretti mutandoni del nonno largheintese-ista, che il giorno prima tutti i ministri largheintese-isti pidiellini del governo sono stati raggiunti per te- lefono perché rassegnassero le dimissioni, aprendo così la crisi di Governo. Un “gesto folle” dice Enrico Letta. Un “suicidio” si sussurra dalle fila del Pdl. Già dalla mattinata del 28 di settembre si parlava di rottura e di ritorno alle elezioni. È Francesco Verderame del Corsera che in un articolo del 29 settembre ci racconta cosa è avvenuto in quel di Arcore. Siamo nella villa berlusconiana di Arcore. L’avvocato Niccolò Ghedini, deputato, alle 16,00 chiama Angelino Alfano e gli comunica che Berlusconi ha deciso di ritirare la delegazione Pdl «Apriamo la crisi, Angelino. Ho da leggerti il comunicato che voi ministri dovrete fare vostro». Il segretario del Pdl sta ricevendo l’ordine di dimissioni da persona diversa dal presidente del Pdl, l’imbarazzo di Alfano doveva essere elevatissimo. Per di più il comunicato, predisposto da Daniele Capezzone, è durissimo e Alfano, e gli altri ministri pidiellini, non può farlo loro. Nell’arco di un’ora il comunicato sarà ristilato, se ne occuperà Sandro Bondi. È l’anniversario delle 4 giornate di Napoli, il presidente della Repubblica si trova e Na- poli e riceve una telefonata da Enrico Letta che lo informa dell’invito di Berlusconi a rassegnare le dimissioni ai ministri del Pdl. Vicino a Letta c’è anche Angelino Alfano che si intrattiene al telefono con il Presidente della Repubblica. Il quale non rientra “precipitosamente” a Roma. Evidentemente sa qualcosa che non lo induce ad allarmarsi. In fin dei conti, con quelle dimissioni si dovrebbe essere aperta la prospettiva delle elezioni anticipate. Invece non di elezioni anticipate si parla nelle segrete stanze, ma di una ri-fiducia di Letta o della nascita “inattesa” del Letta Bis. Ci sono già i nomi certi, i numeri certi. Addirittura non ci sarà bisogno di ricorrere ai quattro nuovi senatori a vita nominati il 30 agosto da Giorgio Napolitano, l’architetto Renzo Piano, il maestro Claudio Abbado, la professoressa Elena Cattaneo e il professor Carlo Rubbia potranno fare compagnia a Mario Monti, senza entrare in guerra, per te- nere in piedi Letta. Evidentemente i 4 senatori a vita sono stati inseriti (loro malgrado?) nel gruppo NML.

Allora riepiloghiamo. Alfano avverte Letta di quanto sta accadendo. Subito dopo Letta comunica al Capo dello Stato che Berlusconi ha deciso di aprire la crisi. La comunica- zione è telefonica, perché il Capo dello Stato si trova a Napoli per il 70° anniversario

Manovre di palazzo 111 delle 4 giornate di Napoli. Giorgio Napolitano parla al telefono sia con Letta che con Alfano. Angelino Alfano contatta telefonicamente gli altri ministri per informarli di quanto sta avvenendo. Nunzia De Girolamo, Beatrice Lorenzin, Gaetano Quagliariello, Maurizio Lupi, uno dopo l’altro vengono avvertiti. Immaginabile quanto ognuno di loro rimanga di stucco per questa decisione improvvi- sa e senza nessuna riunione che la discutesse e la rimettesse al parere dei presenti. Come reagiscono i ministri deministrati? Intanto, nella serata del 28 settembre, presentano le dimissioni “irrevocabili” ad Enrico Letta che lo rende noto il 30 settembre 2013 nel sito del governo.

La presidenza del Consiglio dei Ministri rende noto che sono pervenute le dimissioni irrevo- cabili dei ministri Angelino Alfano, Nunzia De Girolamo, Beatrice Lorenzin, Maurizio Lupi, Gaetano Quagliariello.

Quindi, i ministri pidiellini firmano una nota congiunta che viene trasmessa alle agen- zie.

A seguito dell’invito del presidente Berlusconi a dimetterci dal governo per le conclusioni alle quali il consiglio dei ministri di ieri è giunto sui temi della giustizia e del fisco, non riteniamo vi siano più le condizioni per restare nell’esecutivo dove abbiamo fin qui lavorato nell’interesse del Paese e nel rispetto del programma del Popolo della Libertà. Rassegniamo le nostre dimissioni anche al fine di consentire, sin dai prossimi giorni, un più schietto confronto e una più chiara assunzione di responsabilità.

Da quel momento si assiste ad un giro di valzer che le belle diciottenni di classe fareb- bero fatica a riprodurre nel ballo delle debuttanti dell’imperatore nel salone delle feste del Quirinale. Definita la parte istituzionale, rimane aperta quella partitica. In quell’ambito i ministri fanno sapere cosa pensano della situazione che si sta creando.

Maurizio Lupi

Così non va. Forza Italia non può essere un movimento estremista in mano a degli estremisti. Noi vogliamo stare con Berlusconi, con la sua storia e con le sue idee, ma non con i suoi cattivi consiglieri. Si può lavorare per il bene del Paese essendo alternativi alla sinistra e rifiutando gli estremisti. Angelino Alfano si metta in gioco per questa buona e giusta battaglia.

Gaetano Quagliariello

Io non rinnego nulla della mia storia politica, non rinnego la mia collocazione nel centrodestra, sono fiero dell’amicizia con Berlusconi, gli sono riconoscente e resto accanto a lui. Ma se la nuova Forza Italia è quella che si profila in questi giorni, non è la mia Forza Italia.

112 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo Beatrice Lorenzin

Accetto senza indugio la richiesta di dimissioni fatta durante un pranzo a cui non partecipavano né i presidenti dei gruppi parlamentari, né il segretario del partito, per coerenza politica nei con- fronti di chi mi ha indicato come Ministro di questo Governo. Continuerò ad esprimere le mie idee e i miei principi nel campo del centrodestra, ma non in questa Forza Italia.

Angelino Alfano

Se prevarranno intendimenti estremistici, il sogno di una nuova Fi non si avvererà. So bene che quelle posizioni sono interpretate da nuovi berlusconiani ma, se sono quelli i nuovi berlusconiani, io sarò diversamente berlusconiano.

Nunzia De Girolamo

In attesa di un chiarimento interno, che auspico immediato e definitivo, e confermando la mia assoluta lealtà al presidente Berlusconi dichiaro sin d’ora che intendo proseguire sulla strada di quei valori, non riconoscendomi in strappi estremi ed estranei alla cultura e alla sensibilità dei nostri elettori e sostenitori.

Dopo l’incontro fra Enrico Letta e Giorgio Napolitano, viene deciso di rinviare il go- verno alle Camere, e lì venga definita l’esistenza di una maggioranza. Dal Quirinale, il 29 settembre, viene diffusa una nota che tiene conto delle dichiarazioni dei ministri dimissionari.

“Il succedersi nella giornata odierna di dichiarazioni pubbliche politicamente significative dei mi- nistri dimissionari, di vari esponenti del Pdl e dello stesso presidente Berlusconi ha determinato un clima di evidente incertezza circa gli effettivi possibili sviluppi della situazione politica”.

Letta è certo che otterrà la fiducia, anche se Berlusconi dovesse negargliela. Il piano sta andando a conclusione. Il gruppo NML è riuscito nel suo intento, almeno per ora non ci sarà bisogno del Letta Bis. Le dimissioni “irrevocabili” dei ministri non sono state accettate dal Presidente del Consiglio. Berlusconi si trova sotto pressione. Il rischio che il Pdl subisca una spaccatu- ra o vada in frantumi è altissimo. Durante la seduta del 1 ottobre 2013, in Senato Gaetano Quagliariello, platealmente, se ne gira con dei fogli nei quali sono scritti 23 nomi di senatori pronti a votare per la fiducia, praticamente li ha infilati nel NML. Meritandosi un “grande” da parte di Letta che soddisfatto registra la sua giravolta, Ber- lusconi, per “salvare il partito” ci ripensa e vota la fiducia per il Governo Letta. Can che abbia non morde, dice un detto popolare. Silvio Berlusconi, fino ad ora, nono- stante la giravolta, non ha ancora abbaiato. È lì nell’ombra del campo che sta osservando i ladri di polli nel suo pollaio.

Manovre di palazzo 113 Intanto la popolazione si ritrova con i prezzi aumentati perché dal 1 ottobre 2013 è aumentata l’Iva al 22%. Non solo. La legge di stabilità è letteralmente un contenitore di trappole da cui fuo- riescono nuove sigle che significano nuove tasse. Sono cocci di vetro fatti passare per diamanti. Tanto, vuoi che il popolino se ne accorga. Si è vero, vi succhieremo almeno da 1.000 (mille) a 3.000 (tremila) euro all’anno, ma non potete lamentarvi. Abbiamo allargato la borsa, sapendo quanto vi costerà di più la spesa dopo l’aumento dell’IVA al 22%, chi lavora si troverà con un aumento dei salari annuo, da un minimo di 96 Euro a un massimo di 180 Euro (al mese, da 8 a 15 euro di aumento). Dopo questa graziosa concessione della confraternita dei quantosiamobuoninoi-isti, scommetto che non vedete l’ora di abbracciarli tutti questi della confraternita, e rim- provererete aspramente chi, intorno al riservato desco delle vostre famiglie, invece, li vorrebbe prendere a calci nel sedere.

Prima di avventurarci nei gineprai dell’instabile stabilità, conviene ricordare al lettore che dal 1 gennaio 2013, a causa dell’articolo 14 del decreto legge 201, del 6 dicembre 2011, dal titolo emblematico Sviluppo ed equità, in pieno governo salvaItalia del pode- stà forestiero Mario Monti, è stato istituito il Tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES). Con la legge n. 35 dell’8 aprile 2013, articolo 10, comma 2, graziosamente, il podestà forestiero, prima di consegnare le chiavi della prigione Italia ad Enrico Letta, ha concesso ai comuni, per il solo anno 2013, di decidere liberamente la scadenza e il numero delle rate in cui può essere versato il tributo TARES. Per chi ha scelto di pagare a rate probabilmente, essendo trascorso il mese di ottobre, si troverà da pagare le ultime due rate, una a novembre 2013, l’altra a dicembre 2013. Con la stessa legge era stata istituita (l’anticipazione sperimentale del)l’Imposta Muni- cipale propria, l’IMU, l’imposta immobiliare popolare sugli immobili. Rammentato che questo è lo scenario pagatorio del corrente 2013. Vediamo, da vicino, la fantasiosa inventiva della confraternita. Prendiamo per esempio il titolo V di questa legge, relativo alla Riforma della tassazione immobiliare, che va dall’art. 19 all’art. 23. Sono gli articoli che la quasi totalità dei tartas- sati cittadini italiani leggerebbe con apprensione. Per aiutare il lettore cercherò di fare il traduttore in simultanea del burocratese di questi 5 articoli, nei quali ci viene comunica- to che è nata una nuova imposta comunale annuale, si chiama TRISE (Tassa sui rifiuti e sui servizi essenziali). Se alzate il coperchio della TRISE, vedrete due diramazioni: – una è la Tassa annua sui Servizi Indivisibili, la TASI (tipo, paga e taci, detto in veneto), è una imposta sui servizi indivisibili calcolata sull’1 per mille dell’imponibile dell’IMU. La tassa è dovuta dai possessori di immobili. Se, per aiutare il lettore, la tassa TASI di un appartamento prima casa dovesse costare, al massimo una cifra “x” che possiamo considerare 100, non ha importanza che cifra sia, il valore massimo della TASI; per la seconda casa, potrebbe giungere a 7 volte quel 100. A questa cifra aggiungete la tassa dei rifiuti e l’Irpef e quel 100 lo vedrete schizzare a superare il 1000. Cioè se, per esempio, quella cifra indicata come 100, per i servizi indi-

114 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo visibili (TASI), dovesse arrivare a 200 euro, la somma finale che vi troverete a pagare, da aggiungere ai 200 euro di TASI, supererebbe i 2.000 (duemila) euro. Questo è il regalo di Enrico Letta, e il resto dei congiurati, venduti per denaro a Padron Mercato. – L’altra è la TARI (Tassa sui Rifiuti), la pagano tutti coloro che posseggono o occu- pano a qualsiasi titolo un immobile, il proprietario e l’eventuale affittuario. La tassa è calcolata sulla superficie calpestabile dell’immobile. Avevano promesso di togliere l’IMU (Imposta Immobiliare Unica) sulla prima casa e, come si vede, l’hanno solo ridenominata in una bis-tassa, per di più aumentandola. Ma l’IMU sulla seconda casa è rimasta, e si somma con la TASI, così imparate a fidarvi di chi vi dice ci occupiamo noi di voi, cari, basta che non vi fidiate dei populisti che vi dicono le tasse sono un furto, cari. Melliflui, mentitori e imbroglioni. A queste tasse, timbrate EUROPA, ma si legge EURO, aggiungete la reintroduzione dell’Irpef con effetto retroattivo. I congiurati quantosiamobuoninoi-isti e quantosiamo- bravinoi-isti, hanno cercato di truccare le carte in tavola. Lo direste mai che sono stati scoperti dal presidente della Corte dei Conti, Raffaele Squitieri? È proprio lui, che, nel suo intervento durante l’audizione al senato, a fine ottobre 2013, ha fatto notare le ricadute negative di questa legge in deroga ai principi dello Statuto del contribuente… sulla trasparenza e sulla lealtà nel rapporto fisco-contribuente. Andatevi a vedere perché a pagina 27 del libro scrivo:

Se fino al 2011, (come leggerete nella relazione della Corte dei Conti, nelle pagine che seguono) i conti dello stato sembravano andare verso il pareggio di bilancio previsto per il 2012, quel Noi siamo arrivati al momento della insostenibilità del debito puzza di bruciato.

Quel rinvio vi porta a pagina 38 nel capitolo Padron Mercato vuole divorarsi l’Italia, dove scrivo:

Contrariamente al generalizzato silenzio assenso dei partiti che stampellano Mario Monti, sul Decreto di Economia e Finanza 2012 è entrato nei particolari il presidente della Corte dei Con- ti, Luigi Giampaolino, con un suo intervento nelle Commissioni Bilancio riunite di Camera e Senato il 23 aprile 2012. Riporto, di seguito, solo alcuni passaggi di questo documento, non così favorevole all’imposto governo tecnico.

Il presidente della Corte dei Conti dott. Luigi Giampaolino, in prossimità del proprio collo- camento in quiescenza per raggiunti limiti di età, ha affidato al presidente aggiunto, dottor Raffele Squitieri, le funzioni di presidente della Corte dei Conti. (Roma 16 agosto 2013, Adnkronos.) Volete che vi dimostri che questo è un governo di succhia denari al popolo, non solo con le TRISE, le TASI, le TARI, l’Irpef ad effetto retroattivo, tanto per accennare alle tasse immobiliari popolari, e se ne guarda bene di chiudere i buchi da cui esce, sta uscendo, soprattutto scenderà, un fiume come il Volga (altro che il nostrano Po) di denaro pub- blico?

Manovre di palazzo 115 Vi accontento, vedrete come c’entra. Vale la pena ricordare che il presidente Giampaolino, prima di cedere il passo al suo presidente aggiunto aveva inviato ai questori di Camera e Senato, nel giugno 2013, un dossier relativo all’utilizzo pericolosissimo dei derivati da parte degli Enti Locali. In un articolo sul Corsera firmato da Stefania Tamburello, del 27 giugno 2013, si parla proprio di questo dossier. Quello che fa tirare su le antennine è questo passaggio dell’ar- ticolo del Corsera.

… le polemiche rimbalzate sui media hanno tirato in ballo, e il sospetto che ciò sia strumentale è difficile da allontanare, l’ingresso dell’Italia nell’Euro, l’allora ministro del Tesoro Carlo Azeglio Ciampi e l’attuale presidente della Bce, Mario Draghi, che è stato direttore generale del Tesoro dal 1991 al 2001.

Fa tirare su le antennine perché riporta in pieno al contenuto del capitolo: La truffa italo germanica per entrare nell’Euro. Il riportato che segue si trova a pagina 326-327 del libro.

L’analisi dei documenti dimostra che l’Italia non aveva i conti in regola per entrare nell’Euro e il governo tedesco ne era perfettamente al corrente. Con il titolo “Operazione autoinganno”, le cinque pagine del servizio su Der Spiegel rivelavano i retroscena dell’entrata dell’Italia nell’Euro. Vengono pubblicati i rapporti provenienti dall’ambasciata tedesca a Roma, tra il 1994 e il 1998. Ci sono anche i verbali delle riunioni di esponenti del governo con il cancelliere Helmut Kohl; lanciavano l’allarme sulla reale condizione economica dell’Italia che usava trucchi contabili per fingere che i suoi conti fossero in ordine; mentre il suo debito pubblico cresceva. Queste erano le informazioni messe nero su bianco in un memorandum, trasmesso dagli esperti a Kohl, nove mesi prima dell’entrata dell’Italia nell’Euro. “I documenti dimostrano quello che finora si supponeva soltanto. L’Italia non avrebbe mai dovuto essere accettata nell’eurozona”, ha scritto Der Spiegel. L’Italia rappresentava un “rischio speciale” per l’euro, fin dal suo inizio nel 1999, poiché “continuava a rifiutarsi di ridurre il suo enorme debito”; così è stata ripresa la notizia dal Times di Londra, il 12 maggio 2012.

Il riportato dell’articolo del Corsera, il titolo del capitolo, e una parte del suo contenuto, parlano da soli. Da più parti, oltre che dalle pagine del Financial Times e da La Repubblica, si riporta alla ribalta il tema dei contratti derivati del Tesoro partendo dal caso Morgan Stanley scoppiato nel 2012.

Il problema è se la gestione dei derivati, valutati in circa 160 miliardi, cioè più o meno il 10% dello stock dei titoli di Stato quotati, rappresenti una potenziale perdita per il Tesoro. Il quoti- diano britannico valuta che la perdita potenziale, stando ai valori di mercato attuali, arrivi a 8 miliardi di euro, un bel peso per i conti dello Stato.

E volete che un esponente del gruppo NML, non abbia subito cercato di minimizzare? Infatti Fabrizio Saccomanni, ministro dell’Economia e Finanze, si è affrettato a dichia-

116 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo rare che: «Non c’è alcuna perdita per lo Stato». Si tratta di «un grande malinteso». Diamo, allora, voce a chi non si da per inteso che ci sia un malinteso. Il segretario generale della Fisac Cgil, Federazione Italiana Sindacale Assicurazioni Credito, Agostino Megale ci tiene a far sapere che

“Il governo sta commettendo un grave errore di valutazione nell’approvare le disposizioni in ma- teria di derivati relative alla gestione della finanza pubblica di Stato ed enti locali”.

“le disposizioni, contenute nel collegato alla ex legge Finanziaria, sull’obbligo dello Stato di pre- stare depositi di garanzia, fondamentalmente per cassa, a fronte delle perdite potenziali sui deri- vati in essere, determinano infatti ulteriori ed inutili rigidità nella gestione finanziaria del debito pubblico. Se fossero vere le cifre che circolano, e non smentite da nessuno, che parlano di 160 miliardi di euro di derivati in essere, con oltre 8 miliardi di perdite potenziali, questa norma potrebbe determinare delle rinegoziazioni dei contratti tali da obbligare lo Stato a versare liqui- dità fino a 8 miliardi di euro, cioè quasi l’entità stessa della finanziaria, pari a 11,6 miliardi di euro”.

La Fisac Cgil ha pubblicato un Manifesto per la buona finanza. Gli analisti della Fisac ritengono che nel bilancio dello Stato ci siano 160 miliardi di Derivati; negli Enti Locali 220 miliardi, nelle banche italiane almeno 200 miliardi. Il sindacato della Cgil ritiene che con le disposizioni presenti nella legge di stabilità relative ai derivati (noi li chiamiamo titoli tossici, così è più chiaro cosa sono), si stiano rischiando perdite finanziarie per lo Stato italiano con indebiti arricchimenti a favore del sistema bancario prevalentemente estero.

Nel manifesto della buona finanza, ricorda il numero uno della Fisac, “la Cgil ha da tempo illustrato il percorso per gestire la bomba ad orologeria dei derivati. Avviare una commissione d’inchiesta per effettuare una ricognizione dei derivati in essere e affidare alle funzioni di analisi quantitativa della Consob la competenza sulla misurazione dei rischi dei derivati di Stato ed Enti locali per gestire attraverso le tutele degli scenari probabilistici i rapporti finanziari con le banche e garantire gli interessi del Paese e dei cittadini. Invitiamo il Governo a farsi carico di queste pro- poste e di modificare la finanziaria in questa direzione. C’è ancora tempo”.

In proposito, e può essere utile ricordarlo, la questione dei titoli tossici, qui chiamati derivati, è stata trattata in miei diversi micro-saggi, pubblicati sul sito di www.nexuse- dizioni.it

Su Truffa globale (dicembre 2008):

Negli Stati Uniti la crisi finanziaria ha preso l’avvio da una generalizzata (e prevedibile) insolven- za dei soggetti che hanno assunto un debito con mutui subprime; ha preso l’avvio perché non si vuole dire che i titoli tossici (ormai vengono chiamati così) rappresentano una gigantesca palla di neve che sta partendo dalla sommità di una montagna di 8mila metri e voi sapete quanto sarà più grande e che velocità assumerà e cosa accadrà a quanto si trova nella pianura sottostante. Questo esattamente significa la frase “i titoli tossici hanno innescato una crisi finanziaria dagli effetti Manovre di palazzo 117 imprevedibili”.

Su Ma cos’è questa crisi (novembre 2010):

Nonostante Basilea 3, il problema sui derivati rimane, comunque, ancora non risolto. Per esempio la domanda finanziaria “vera”, quella che può far saltare molti coperchi, è la seguente: «Quale è il reale “peso finanziario” dei titoli tossici ancora presenti nell’apparente solidità delle mul- tinazionali che sono ramificate nelle banche di interesse continentale, europee ed italiane?» E, quindi, una domanda “derivata”: «Quale possibilità esiste che improvvisamente questi titoli vuoti facciano danni che possono intaccare duramente il futuro di alcuni o di tutti i paesi eu- ropei, Italia compresa?»

Su Fallimento Europa (dicembre 2011).

Sofferenze bancarie e derivati Le sofferenze bancarie, frase “vestito” che copre la nudità della frase che viene coperta: “non riesco più a pagare i debiti”. E non si riesce più a pagare i debiti, nel caso “pulito” perché le entrate si sono rivelate minori del previsto, ovvero, nel caso “sporco” chi ha concesso il prestito sapeva che non sarebbe stato pagato e anche che la garanzia era fasulla perché di molto inferiore al prestito contratto. Siamo forse negli Stati Uniti, dove sono stati costruiti così i “titoli tossici”? No, siamo in Italia, e ad annunciare (Corsera 20/11/2011) che la cifra in sofferenza raggiunge i 102 miliardi di euro è la Banca d’Italia. Che non ci dice quanta di quella cifra provenga dai casi “puliti” e quanta dai casi “sporchi”; ma soprattutto non ci dice quante famiglie straniere si trovano ad affollare il numero dei casi “puliti” e dei casi “sporchi” insieme alle famiglie e alle aziende italiane. Quei 102 miliardi di Euro che in italiano significano circa 204.000 miliardi di lire, sono solo un piccolo accenno a quanto sta per avvenire. Non hanno ancora il coraggio di dirci che: 1 nonostante lo avessimo fino ad ora negato, i titoli tossici da oltre Atlantico hanno riempito le nostre banche come tutte quelle d’Europa (Svizzera compresa); 2 ai titoli tossici che riempiono i “debolieri” più che forzieri delle nostre banche si sono ag- giunti i titoli tossici domestici che sono appunto, appena rappresentati, da quel numero di miliardi che farebbe paura alla Svizzera.

Stiamo per scoprire perché sulla copertina di Time del 21 novembre 2011 la fotografia di Silvio Berlusconi era accompagnata (vendetta postuma) dalla frase: The man behind the world’s most dangerous economy L’uomo che governa l’economia più pericolosa del mondo.

Su Il tizzone MPS riaccende il fuoco della crisi mondiale (aprile 2013):

C’è gente che si rovina con le scommesse. Ci sono Banche, Aziende ed Enti pubblici che gio- cano d’azzardo con i derivati e si trovano nel baratro del fallimento. È come nello sport. C’è chi scommette sulla sconfitta di una squadra e per vincere la scommessa è pronto ad alterare (a pa- gamento) le partite. Variazione sul tema. Al posto delle squadre che “debbono” perdere, perché lo scommettitore ci guadagni, magari, nell’elenco di quelli che “debbono fallire”, ci trovate Paesi 118 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo come il Portogallo, l’Italia, la Grecia, la Spagna (i Paesi PIGS pronti ad essere serviti, caldi, caldi di fallimento, sul piatto dell’affamato “Mercato”). Gli allibratori di questo “mercato sotterraneo finanziario d’azzardo” movimentano cifre che contengono dieci volte il Prodotto Interno Lordo (Pil) mondiale.

Questa legge ha aumentato le uscite dello Stato, compensandole con le entrate tassa- torie popolari. Gli effetti di questa aggressione alle famiglie italiane si vedranno già da dicembre del 2013. Il carico fiscale per le famiglie arriverà a superare le loro già magre entrate. Oltre che limitarsi nelle spese per il cibo, come ormai da anni stanno facendo, cosa altro debbono inventarsi le famiglie che non ce la fanno più neanche a pagare le bollette, gli affitti, i mutui. Le famiglie italiane, si debbono indebitare per pagare le vo- stre tasse dai nomi fantasiosi, signori “finti” rappresentanti del popolo? Si annunciano intenzioni di modifica, in sede parlamentare, dell’impianto del decreto stabilità, ma non conviene farsi illusioni. Allo stato, le manovre di palazzo dei congiu- rati catilinari, sembra stiano raggiungendo gli scopi di impoverimento generalizzato del Paese Italia. Stiamo anche assistendo al lavorio per vendersi i gioielli di famiglia. In preparazione del vertice G20 di settembre, a San Pietroburgo, il 18 e il 19 luglio 2013 si è tenuto a Mosca un incontro fra i ministri del Lavoro e delle Finanze. Il ministro delle Finanze Saccomanni, in una intervista rilasciata a Bloomberg TV, ha annunciato che l’ordine della UE di pagare i debiti vendendosi l’Eni, l’Enel, la Finmec- canica sarà eseguito al più presto.

Abbiamo annunciato, come una delle iniziative strategiche chiave, una accelerazione degli schemi di privatizzazione che coinvolge i beni immobiliari posseduti ma stiamo considerando anche la possibilità di ridurre le quote pubbliche sulle società partecipate.

“Ci sono una serie di questioni da regolare, perché queste società sono redditizie e assicurano dividendi che vanno a favore del bilancio pubblico. Quindi dobbiamo anche considerare la possi- bilità di usare questo come collaterale in schemi di riduzione del debito”.

Appena queste belle notizie da Mosca sono rimbalzate in Italia, i titoli dei tre gioielli di famiglia hanno perso punti nella Borsa di Piazza Affari a Milano. Insomma è come quello che abbiamo visto accadere in Grecia e sta accadendo anche in Italia. Famiglie che hanno dovuto vendere la casa per pagare debiti che invece di diminuire sono aumentati e si sono ritrovate a vivere nell’automobile (senza benzina). Evidentemente è questo lo scenario che il governo dei congiurati stanno preparando per le famiglie italiane. E poi si lamentano che sempre più italiani non si fidino più dei partitici e vogliono che se vadano via tutti. Il caso più che rappresentativo di questa rabbia montante è quello che è accaduto, nel pomeriggio di venerdì 25 ottobre 2013, al vice presidente del Senato Maurizio Gasparri. Mentre era intento a parlare al cellulare, nel centro di Roma, a Piazza Fontanella Bor- ghese, una donna si è avvicinata al senatore Pdl e lo preso a spintoni, urlandogli mi fate

Manovre di palazzo 119 schifo, dovete andarvene via tutti, per poi raggiungere una automobile, poco lontano, che l’attendeva per condurla via velocemente. L’on. Gasparri è stato subito portato via in macchina dalla sua scorta. Farebbero male i largheintese-isti piddini a ritenere che la rabbia che sta montando ri- guardi solo i pidiellini.

Ci sarà pure qualche curioso cittadino che si sarà informato a che percentuale, rispetto al Prodotto Interno Lordo (Pil), si era assestato il debito pubblico, mentre Mario Monti si acconciava (si preparava) a salvare la patria, scoprendo che il debito pubblico si era accomodato, sonnacchioso, sulla poltrona del 120,1%. Questo curioso cittadino si pren- da quel foglietto in mano e appena vicino alla percentuale 120,1%, ci scriva il numero percentuale 133,3%. Dopo la cura Monti che ha svuotato le tasche del ricchissimo popolo italiano con le patrimoniali popolari; dopo sei mesi di cura del simil-Monti alias Letta, quel numero rappresenta l’attuale percentuale del debito italiano rispetto al suo Pil. Sapendo che la cura abbassadebitopubblico del Letta simil-Monti, con un decreto che punta alla stabilità dei padroni del vapore, disinteressandosi altamente dell’instabilità in cui precipiterà le famiglie italiane, avrà come effetto l’ulteriore aumento del debito pubblico, al cittadino curioso, ben piantato nella logica raffrontanumeri, non viene automatico un pensierino che lo porta dritto, dritto alla domanda: chi si sta prendendo gioco di noi? Provate a scor- rere, dalla pagina 32 del libro, il capitolo Padron Mercato vuole divorarsi l’Italia. Dopo questa lettura, andate a pagina 75 del libro, e scoprite in quale contesto sono inserite le righe seguenti.

Da notare che il debito pubblico, in miliardi di euro, al dicembre 2008 era di 1.665,7, nel 2009 era di 1.762,7, nel 2010 era di 1841,9, nel 2011 era di 1997,946, nel 2012 è arrivato a 2.014. Significa che – attenzione a questa cifra – nel 2013, dovremo pagare interessi sul debito pubblico molto più elevati. Come si vede dall’andamento 2008-2012 il debito pubblico continua ad aumentare. E aumenta perché le spese continuano ad aumentare. A nessuno viene in mente che ci stiamo prendendo pesi che non possiamo sopportare? Per esempio in sanità, scuola, casa, assistenza, oltre che ai disperati autoctoni, a milioni di disperati di altri Paesi attirati in trappola? Inserire nella Costituzione il pareggio di bilancio, in queste accuratamente procurate condizioni di stagflazione (stagnazione + inflazione) recessiva, significa programmare per il futuro la fame e la miseria, altro che lacrimare (come i coccodrilli?).

Dopo aver contestualizzato le righe qui sopra e magari, dopo aver scoperto che sono relative a dichiarazioni pubbliche di Giorgio Napolitano, provate a cercare se, fra i vostri amici, ci sia qualche cittadino curioso, con il quale scambiare quattro chiacchiere, sul futuro che si prospetta alle vostre famiglie, se l’Italia continua ad essere gestita secondo questo principio di altissima economia europea: aumento indiscriminato delle tasse per diminuire il suo debito pubblico. Un debito pubblico che, invece, aumenta: e siccome il debito aumenta, bisogna vendere tutte le proprietà statali; e siccome il debito continua ad aumentare tutte le aziende italiane vanno vendute agli stranieri; e siccome il debito

120 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo aumenta l’Italia si venda tutti i suoi beni archeologici, come è stato proposto alla Gre- cia; e siccome … siccome qualcuno sta cominciando (un po’ tardi invero) a scoprire il, trucco-EUROpa … provate a valutare quanto sia stato conveniente non ribellarsi, a suo tempo, dopo essere stati a forza infilati prima in Europa (1979) e poi nell’Euro (2001).

Manovre di palazzo 121

La costituzione peggiorabile

Golpe strisciante, Bulldozer sono le denominazioni che già conoscete dalle prime pagi- ne del capitolo I catilinari partitici governanti. Sono le denominazioni che definiscono le pressioni partitiche per giungere alle modi- fiche della costituzione, istituendo l’attualmente inesistente presidenzialismo, del quale sembra si stia facendo di tutto, dal 2006, per costruirne “nella prassi” i presupposti. Non si vede in quale altro modo siano interpretabili i funambolismi istituzionali e costitu- zionali con i quali si è portato a compimento il progettato governo Mario Monti. Lo stesso incarico a Bersani, costretto a cercare una maggioranza che numericamen- te non c’era, serviva solo a prendere tempo, mentre si affollavano i mirantialcolle nelle stanze dei vari poteri. “Io sarei disponibile”. “Tiratemi fuori da questa riserva della Repubblica, che mi sembro un nativo pellerossa”. “Oh guardate anche di qui, con tutti i favori che vi ho fatto!” Franco Marini … Stefano Rodotà … Romano Prodi … Massimo D’Alema … Anna Maria Cancellieri … Giuliano Amato … Tanto in graticola c’era lui, Luigi Bersani, che infatti in mezzo a tutte quelle fucilerie in ordine sparso si dimetterà da segretario Pd. Per arrivare a Enrico Letta, serviva più tempo, bisognava arrivare alla obbligatorietà del resistiancoraunpòtienicaldoilposto (pagina 510 del mio libro). La nomina (attendista) dei 10 saggi alla ricerca di un governo, richiama i pirandelliani sei personaggi in cerca d’autore, opera che si è affacciata alla scena teatrale (appunto) nel maggio del 1921. Per dire quanto (non) sia cambiato il sistema istituzionale di que- sto Paese in attesa di un popolo. Vi ricordate la frase che era scappata di bocca a Mario Monti intervistato da Der Spiegel, il 5 agosto 2012, facendo infuriare il Parlamento tedesco? (pagina 490 del mio libro):

… i governi non si facciano vincolare del tutto dai loro Parlamenti – Se i governi si facessero vin- colare del tutto dalle decisioni dei loro parlamenti, senza mantenere un proprio spazio di manovra, allora una disintegrazione dell’Europa sarebbe più probabile di un’integrazione.

Beh, questi dieci saggi in cerca di governo, nominati sulla testa del parlamento italiano, il 30 marzo 2013, da un Presidente negli ultimi giorni del suo mandato, mentre è ancora in carica il governo Monti, come mai non hanno fatto infuriare i “rappresentanti del popolo”? Non è che ci sono centinaia di rappresentanti parlamentari in cerca di popolo? Ma chi erano questi dieci cercagoverno?

Gruppo di lavoro istituzionale Valerio Onida, costituzionalista: è stato giudice della corte costituzionale Mario Mauro, senatore di Scelta Civica, prima Pdl Gaetano Quagliariello, Senatore Pdl Luciano Violante, Pd, già presidente Camera Deputati e della commissione antimafia

La costituzione peggiorabile 123 Gruppo di lavoro in materia economico-sociale ed europeo Enrico Giovannini, presidente Istat Giovanni Pitruzzella, presidente Autorità garante della concorrenza e del mercato Salvatore Rossi, membro direttorio Banca d’Italia Giancarlo Giorgetti, capogruppo Lega Nord alla Camera dei Deputati Filippo Bubbico, senatore Pd Moavero Milanesi, ministro Affari Europei governo Monti

Il 12 aprile i gruppi di lavoro presentano a Napolitano il risultato del loro “saggio” lavo- ro disaminante il febbricitante paziente Italia. Quindi finalmente, il 20 aprile 2013, i tempi sono maturi per arrivare alla sesta vota- zione a camere e rappresentanti delle regioni riuniti. Votanti 997 su 1007 aventi diritto. Nulle 12. Bianche 10. Voti dispersi su altri 20. Stefano Rodotà 217. Giorgio Napolitano 738. Rieletto Giorgio Napolitano. Come avrete notato, i dieci saggi sono l’anticipo del governo largheintese-ista che si sta preparando, già dal dopo elezioni del febbraio 2013. I nominativi che sopra vi ho grassettizzato, avrete notato che sono presenti nel gover- no Letta e che (stranezza vero?) fanno parte del gruppo NML. La presenza di questi nomi dimostra che l’obiettivo vero supera quello largheintese-ista, per orientarsi verso la costruzione di una nuova compagine partitica, destinata a raccogliere spezzoni pro- venienti dall’area centrista, destro-berlusconiana, piddino-cattolica ex democristiana e piddino-ex comunista migliorista. Del discorso di Napolitano per la bis-elezione, e del raccordo con quelli che nel mio libro vengono definiti cattoli(compli)ci già sapete. Aggiungiamo a quello che sapete quanto avvenuto il 3 giugno, formalizzato, poi con decreto dell’11 giugno 2013. Enrico Letta, sentito il parere orientativo (e si racconta, nei palazzi romani, anche can- cellatorio) del Quirinale, ha nominato:

Una commissione per le Riforme Costituzionali, con il compito di formulare proposte di re- visione della parte seconda della Costituzione, Titoli I, II, III, V, con riferimento alle materie della forma dello Stato, della forma di Governo, dell’assetto bicamerale del Parlamento e delle norme connesse alle predette materie, nonché proposte di riforma della legislazione ordinaria conseguente, con particolare riferimento alla normativa elettorale. A tali fini la commissione deve adottare una relazione entro il 15 ottobre 2013.

La commissione è formata da 35 saggi, provenienti dal mondo accademico; poi è ar- rivata la nomina di 7 redattori (in aiuto ai saggi), coordinati, su delega del ministro Quagliariello, da Luciano Violante, uno dei 35 saggi che era anche uno dei 10 saggi quirinalizi. Poi, si sa mai, sono arrivati 2 osservatori (sempre in aiuto ai saggi). L’interfaccia col governo è stata affidata a Gaetano Quagliariello, ministro per le Rifor- me costituzionali. Eh si, perché ormai, bisogna riformare la Costituzione.

124 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo È logico che i saggi Lettiani tenessero conto, come hanno tenuto conto, della relazione finale (12 aprile 2013) del gruppo di lavoro sulle riforme istituzionali, costituiti con dettato quirinalizio del 30 marzo 2013. Nella relazione, puntualmente consegnata, per essere pubblicata il 17 ottobre 2013; ne- anche a farlo apposta, avrebbe potuto essere presentata in ritardo, visto che i commissari si erano impegnati a lavorare gratuitamente (salvo incarichi che, magnanimamente, nel tempo a seguire, avrebbero potuto ottenere, visto che erano tutti professori universitari). Ci tengono i professori a far sapere che si sono riuniti 3 volte a giugno, 4 volte a luglio, 3 volte a settembre, per un totale di 10 riunioni. Nelle prime due, si sono occupati di bicameralismo. Nella terza e nella quarta hanno affrontato la riforma del titolo V della Costituzione. Nella quinta, nella sesta, nella settima si saranno trovati a navigare tra Scilla e Cariddi, tra il Parlamento e il Quirinale da una parte, non in perfetta sintonia, e i mass-media, dove fanno capolino i riottosi populisti, essendosi occupati di forma di governo e siste- ma elettorale. La documentazione? Ah, quella, l’ha ammucchiata sul tavolo il ministro Quagliariello, e sennò i suoi uffici che ci stavano a fare. Le due ultime riunioni, quelle del 16 e del 17 settembre 2013, se le sono fatte in un centro benessere di Francavilla al Mare. Nella bozza non corretta della relazione finale, si sono ritrovate, segnate in un gravissi- mo blu, le scopiazzature della relazione dei dieci saggi quirinalizi. E volete che non mettano le mani avanti, prima di avventurarsi nelle impervie vie dei cambiamenti costituzionali, con il machiavellico riferimento citazionista a Machiavelli?

“E però in ogni nostra deliberazione si debbe considerare dove sono meno inconvenienti e pigliare quello per migliore partito, perché tutto netto, tutto sanza sospetto non si truova mai”. (Machiavelli, Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, I, 6, 3)

Sospettate, sospettate pure, e dove mai oggi si può trovare nelle pubbliche istituzioni un in- sospettabile, sembrano dire i commissari, da professori scafati, abituati a dribblare i so- spetti di favoritismo degli studenti a favore di questo/a o di quella/o; dribblare i sospetti di essere i santiinparadiso, per qualcuno dei partecipanti ai concorsi di professore uni- versitario, prima associato e poi di ruolo; i cui progetti di ricerca sono raccomandabili, perché, magari, interessano al santoinparadiso raccomandante (vedi per esempio l’accusa di concorsi universitari truccati, che ha investito cinque dei loro colleghi commissari). Il risultato? L’Italia è malata. I costituenti non hanno previsto che al Parlamento, della sovranità che appartiene al popolo, non gliene sarebbe importato un fico secco; anzi, che il Parla- mento, di nascosto avrebbe sottratto la sovranità al popolo e se la sarebbe venduta, per un piatto di lenticchie Ogm, all’Unione Europea. Dunque, per evitare che il popolo si accorga del furto, bisogna riscrivere la Costituzione. Bisogna fare in modo che al posto della sovranità originaria, appaia una bambolina, ben scosciata, tipo Miss Italia, con un cartellino ben in vista ho vinto il prestigioso premio Sovranità condivisa. Sul bordo della

La costituzione peggiorabile 125 corona bisogna scrivere, piccolo, piccolo, la sovranità e, più piccolo ancora appartiene al popolo. Mi raccomando il rossetto, deve essere un rosso di sinistra ultima moda; poi, sul reggiseno, mi raccomando piccolo, tanto quanto basta, fate in modo che si legga la parola post-tutto; mentre, nel pezzo di sotto, anche quello mi raccomando piccolo, tan- to quanto basta, fate in modo che si legga un birichino ex-tutto. È importante signori commissari che la bambolina, una volta ben truccata, sembri la sovranità originaria; dovete fare in modo che il popolo non si accorga del furto. L’Italia è malata. Ha due Camere decisionali, si sa che tra i costituenti girasse un po’ di follia. (Enrico Letta si vede che lo è venuto a sapere.) Basta due Camere decisionali, all’Italia ne basta una. C’è il ruolo del Senato da rivedere, bisogna limitarlo nelle deci- sioni che può prendere, bisogna trovare gli alambicchi giusti. L’Italia è malata. Ha troppi parlamentari. Occorre una cura dimagrante, vedremo come fare. Però è importante non mettere in relazione il numero degli elettori con il numero degli eletti, daremmo troppa forza agli elettori e ai populisti; questo sarebbe un guaio, non li controlleremmo più. L’Italia è malata. Ha troppi campanili e da qui la malattia del campanilismo. I campa- nelli vengono consegnati al Governo che valuterà se dare o meno corso allo scampanio richiesto. Solo così scardineremo i campanilisti da questo Paese. E niente pretese di suonare le campane a festa. Ma quale festa, dovete lavorare sette giorni su sette, sennò all’Europa gli girano. L’Italia è malata, c’ha un neo nell’articolo 138 che va rimosso e in fretta. L’Italia è ma- lata, c’ha un presidente notaio che ormai si è trasformato in presidente decisionario, e tanto vale prenderne atto. Poi, per il presidenzialismo che si guardi alla Germania o alla Francia, piuttosto che all’Inghilterra, cosa volete che cambi. Si sa che i governanti italiani del dopo-guerra, ogni volta che debbono fare i compiti a casa, si mettono a co- piare i compiti dei barbari. Sarà per via dell’esercito barbaro che occupa il Paese, sempre dal dopo-guerra. Ad evitare che qualcuno si senta offeso, per il mondo romano e greco, quello antico, erano barbari tutti i non greci e i non romani. Che pensare di chi dice che la Costituzione italiana, parafrasando Benigni, è la più bella del mondo e poi chiama folli i padri costituenti che hanno voluto il bicameralismo; infatti dobbiamo ritenere che fossero folli, se hanno voluto nella costituzione il bicame- ralismo che oggi Letta considera una follia.

«Penso che la nostra Costituzione, nella prima parte sia la più bella del mondo, ma non nella seconda. Due Camere che hanno esattamente gli stessi compiti, e una legge elettorale che da maggioranze diverse, non può funzionare, è una follia».

L’aspetto più sconcertante di questo cambiamento costituzionale alla baionetta è il la- sciar fare ai saggi quello che dovrebbe essere compito del parlamento. Quante voci abbiamo sentito contrarie alla modifica, di fatto, dell’art. 138 della Costi- tuzione.

Art. 138 Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate

126 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazio- ne. Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubbli- cazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata, se non è appro- vata dalla maggioranza dei voti validi. Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti.

Leggendo l’articolo 138, raccordatelo con la nomina del Quirinale di 10 saggi e quella di Palazzo Chigi di 35; non vi pare che si sia costruito un meccanismo para-istituzio- nale, con lo scopo dichiarato di modificare il dettato costituzionale, trasformando il parlamento a mero esecutore di orientamenti nati fuori, dal parlamento? E vi sembra tutto normale? Maggio 2012, era il tempo intorno al quale si scatenavano i terremoti nel nord Italia (Emilia Romagna, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Toscana). Il Presidente Napolitano era in visita al comune di Pordenone, il 30 maggio 2012. Registriamo quello che ha detto relativamente alla funzione costituzionale della figura del Capo dello Stato.

… si può benissimo discutere anche di come ripensare la figura del Presidente della Repubblica. Io voglio solo dire che in questi sei anni ho rafforzato la mia convinzione che i nostri costituenti nel 1946-47, in quello straordinario sforzo di equilibrio, di unità, di sintesi e di lungimiranza, diedero una soluzione al problema del Capo dello Stato profondamente motivata: avere al vertice dello Stato una figura neutra, politicamente imparziale, che restasse estranea al conflitto tra le forze politiche e tra le correnti ideologiche. Avere, cioè, un Capo dello Stato che svolgesse funzioni di moderazione e garanzia in un atteggiamento di costante e assoluta imparzialità. Credo sia stata una scelta molto importante. La si vuole ridiscutere? Io sono soltanto spettatore di fronte ad una discussione che si apra anche su questo tema.

Ora, con tutto il rispetto che, da parte mia, è impossibile che manchi nei confronti di una figura così importante come il Presidente della Repubblica. Chiedo a chi legge di valutare con la sua singolare intelligenza se, soprattutto nella vicenda dell’invenzione del governo Mario Monti, la figura del Presidente della Repubblica si sia dimostrata, una figura notarile, ovvero una figura neutra, politicamente imparziale, una figuraestra - nea al conflitto tra le forze politiche e tra le correnti ideologiche, se, le iniziative intraprese, prima durante e dopo il disgraziante Governo Monti, siano state configurabili come espressioni di un atteggiamento di costante e assoluta imparzialità. Chiedo a chi legge, di valutare quanto sia super partes (assolutamente imparziale) la pre- cipitosa decisione di Giorgio Napolitano, appena bis-presidenzializzato di nominare, il 30 agosto 2013 (come già sappiamo) 4 senatori a vita. E questa nomina viene fatta in un Senato che si regge in un equilibrio, fra maggioranze e opposizioni (logicamente possibili) che sta esattamente sulle dita di una mano. Cioè, quattro senatori possono fare la differenza.

La costituzione peggiorabile 127 Rileviamo che, secondo una interpretazione estensiva della Costituzione, il neo eletto presidente della Repubblica può nominare, nel corso del suo settennato, 5 senatori a vita. Rileviamo che in un colpo solo, sapendo che non durerà sette anni, l’estensivo Giorgio Napolitano, a quattro mesi dalla sua bis-elezione, se ne è “spesi” 4 su 5. Senza giungere (sorriso amaro) alla platealità di un presidente sub partes che, per so- stenere, appunto, una parte, a cui volesse “regalare” 50 senatori a vita “di sicurezza” (che c’è sempre un pericoloso simil-Berlusconi da cui difendersi) si acconciasse a dimettersi “irrevocabilmente” per 10 volte, per poi essere rieletto dai largheintese-isti, per 10 volte, e all’indomani di ogni rielezione nominasse i 5 senatori a vita, “di diritto”, e subito dopo, per 9 volte, ridimettersi. Converrà, sempre chi legge, che se, per gli strani casi della vita, in questi sette anni, si ritrovassero eletti 10 presidenti, che non riuscissero, per premorienza o per altri acci- dentali motivi, a terminare il loro mandato, e se tutti e dieci, entro i primi sei mesi del loro mandato, come ha fatto Napolitano, utilizzassero l’articolo 59 della Costituzione per eleggersi, ognuno, 5 senatori a vita; ci ritroveremmo fra gli scranni senatoriali, 50 senatori, inamovibili (e riconoscentemente manovrabili), a vita, che saranno in grado di fare il bello e il cattivo tempo nell’aula senatoriale, occupata con l’uso improprio dell’ar- ticolo 59, qui sotto rappresentato.

Art. 59 È senatore di diritto e a vita, salvo rinunzia, chi è stato Presidente della Repubblica. Il Presidente della Repubblica può nominare senatori a vita cinque cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario.

Naturalmente ho voluto portare alle estreme conseguenze la possibilità di nomina pre- sidenziale dei senatori a vita. E già di per sé questa “esagerazione casistica” pone proble- mi gravi, ove ci si trovasse di fronte, appunto, ad un uso improprio e non super partes di questa “possibilità”, non obbligo, costituzionale. Da qui vi è chi, giustamente interpreta quel numero cinque di senatori a vita come il numero massimo di senatori a vita che possono essere presenti in parlamento, e non in modo obbligatorio; considerando contenuti nel numero cinque, anche gli ex presidenti della Repubblica, già presenti in Senato. Del resto lo stesso Giorgio Napolitano, stranezze della vita, era stato nominato Sena- tore a vita, dal Presidente Carlo Azeglio Ciampi, il 23 settembre del 2005, per meriti nel campo sociale. Dunque Napolitano al termine del suo mandato, semplicemente tornerebbe il senatore a vita che già era. Addirittura, a rigore, con la nomina nel passato mandato di Mario Monti e, nell’attuale, dei 4 senatori a vita, più l’ex presidente Ciampi, i senatori a vita sono diventati 6, altro che il limite dei 5, secondo il ragionamento limitativo. Furberie istituzionali di lungo corso, senza offesa, le chiamerebbe il terzo che osserva. Chiamiamo, vicino a noi, la tecnica della somma dei numeri, insieme a quella della tecnica aggregativa. In senato le elezioni politiche, del trascorso febbraio 2013, hanno

128 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo portato in Senato 91 senatori del Pdl, 108 senatori del Pd, 19 di Scelta Civica, 10 di Grandi Autonomie, 16 di Lega Nord, 50 del Movimento 5 Stelle, 10 del Gruppo per le Autonomie. I senatori del Gruppo Misto sono 17. Di questi, 7 sono di Sinistra Eco- logia e Libertà, 3 di Azione Popolare, 1 proveniente dal Movimento 5 Stelle, 6 sono senatori a vita (il sesto è Mario Monti che ha lasciato Scelta Civica, e che, comunque andrebbe considerato componente del Gruppo Misto, come tutti i Senatori a Vita, se non lo è, l’alterazione costituzionale c’è). Il totale dei senatori è 321, ma senza i quattro aggiunti da Napolitano sarebbero stati 317. Per avere la maggioranza al Senato occorrevano prima 159 senatori, dopo l’inter- vento di Napolitano ce ne vogliono 161. La somma degli attuali largheintese-isti senatori (Pdl+Pd+Sc) arriva a 218 (senza con- tare il senatore a vita Monti), largamente superiore al 159 del prima e al 161 del dopo. Con la fibrillazione della giubilazione di Berlusconi, se mancassero i 91 voti del Pdl, al governo mancherebbero 34 senatori per raggiungere i 161 che assicurano la maggioran- za. Ne sarebbero mancati 32 se il numero da raggiungere fosse stato 159. Con una differenza. Mentre prima i 32 mancanti erano in realtà 30, potendo contare su due senatori a vita (Ciampi, Monti); ora i 34 mancanti sono in realtà 28, potendo contare sui 6 senatori a vita (Ciampi, Monti, Abbado, Cattaneo, Piano, Rubbia). Quando i numeri sono molto risicati, come in questa tornata elettorale senatoriale, la differenza fra 30 e 28 può fare la differenza. Cercare 28 senatori, sapendo che il gruppo NML li può mettere a disposizione, senza dover ricorrere a transfughi del M5S, o al resto del Gruppo Misto, darebbe la certezza dei numeri, per un Letta Bis che serve a garantire lo sfascio dell’Italia per i prossimi decenni. Adesso avrete compreso perché il ministro per le Riforme Istituzionali, Gaetano Qua- gliariello, durante la seduta del 1 ottobre 2013, quando i catilinari lasciavano credere che il governo Letta avesse le ore contate, se ne andava bel bello nell’aula del Senato, mostrando platealmente la sua listarella di 23 nomi. Ventitré senatori del gruppo “inter- partitico” NML, più sei senatori a vita, appena sopra elencati, e il gioco è fatto. A questo aggiungete che il gruppo NML è in perfetto raccordo con l’Intergruppo Parlamentare per la Sussidiarietà che si è ricostituito il 17 agosto 2013, quasi in con- temporanea con la nomina quirinalizia dei 4 senatori a vita, avvenuta il 30 agosto 2013. Vi traduco lo scampanio festoso delle campane quirinalizie? Ne servivano 28 per raggiungere la maggioranza? Eccovene 29! Venite tutti a pranzo, portatevi la legna da ardere. Dove la trovate? Cavolo ma non la vedete la quercia e l’ulivo schiantati dal fulmine deviatorio, lì proprio in Piazza Mada- ma, di fronte al Senato? Erano buoni alberi sapete? Guardate quanti nidi di uccellini che ci credevano nella loro capacità protettiva. Non vedete quanto sono grandi? Hai voglia a tagliare! Ognuno loda, ognuno taglia Al Quirinale ognuno col suo fascio va Nell’aria un pianto …di una capinera Che cerca il nido che non troverà

La costituzione peggiorabile 129 E tutti a tagliare, per costruire gabbie intrappola-fessacchiotti, per uccellini creduloni, invitati a pranzo, senza sapere di essere il pranzo. Mi perdoni Giovanni Pascoli di aver inserito, nella poesia La quercia caduta, Al Quiri- nale, invece che l’originale A sera. Mi perdoni, soprattutto per averlo inserito, lui che se ne è andato nel 1912 per non ve- derlo, in questo governante tramestio di tarme meccaniche, telecontrollate, senza storia e senza futuro, che, dalla prima guerra mondiale ad oggi, stanno polverizzando le ner- vature di questo povero Paese. E poi, magari, il professor Gaetano Quagliariello si meraviglia se qualcuno, dopo avergli dato del catilinario, lo abbia inserito, “di diritto”, nel gruppo NML, nel quale pubbli- camente ha accettato di ricoprire il ruolo chiave di raccordo nell’operazione che i Cice- roniani chiamano golpe strisciante. (Vedi i 35 professori universitari gestiti in raccordo col Quirinale.) Piuttosto, come si può perfettamente considerare, queste stesse autonome iniziative presidenziali, solitarie e monocratiche (vedi il capitolo Il Monti Mascherato), e a mio personalissimo parere, hanno trasformato l’attuale Presidenza della Repubblica (per di più bissata) in un attore della modifica in senso semipresidenzialista del dettato costitu- zionale. Io non voglio giudicare. Prendo atto dello stridio infrasonico (vista la visita alle popolazioni che vivono in un territorio che “balla”) di quella frase finale. Io sono soltanto spettatore di fronte ad una discussione che si apra anche su questo tema.

Appena tre giorni dopo, il 2 giugno 2012, è la festa della Repubblica. Nei giardini del Quirinale, aperti ai visitatori che in gran numero lo applaudono, appare Giorgio Napo- litano. Non mancano i giornalisti che approfittano dell’occasione per fare domande al Presidente. Il governo di larghe intese che cammina lungo un precipizio delle elezioni anticipate. Il Porcellum, ovvero la legge elettorale, che il Parlamento non riesce a scrol- larsi di dosso. Le riforme istituzionali di cui si occupa il Comitato dei Quaranta (20 deputati e 20 senatori) che entro febbraio 2014 deve presentare un progetto di riforma della Costituzione. I giornalisti vengono informati che il Comitato dei Quaranta si può appoggiare anche sul lavoro fatto dai 10 saggi chiamati due mesi fa dal Quirinale. Eh già, perché buttare via un “lavoro” già fatto? E il presidenzialismo? Chiedono, curiosi, i giornalisti. Non dirò nulla sul contenuto delle riforme istituzionali …resterò assolutamente neutrale. Il 7 giugno, dal Quirinale, parlando delle sfide e delle emergenze che deve affrontare l’Italia, il Presidente ci ha tenuto a sottolineare: Al procedere delle riforme istituzionali io ho legato il mio impegno all’atto di una non ricercata elezione… (questo impegno) … porterò avanti finché sarò in grado di reggerlo e a quel fine. Una neutralità notarile, un po’ sui generis, mi pare di capire. Del resto, uno dei 35 professori universitari chiamati a lavorare al posto del Parlamento, la professoressa Lorenza Carlassare dell’Università di Padova ha rilasciato dichiarazioni perfettamente in linea con quanto in queste righe si osserva con preoccupazione. La professoressa, il 6 giugno 2013, proprio il giorno in cui, con Enrico Letta e Gaeta- no Quagliariello, i 35 saggi sarebbero stati ricevuti al Quirinale, intervistata da Radio

130 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo Radicale, diceva:

Le riforme da noi hanno lo scopo di delegittimare la Costituzione esistente e di dare un po’ di sostanza a quella vena di autoritarismo che ci portiamo dietro da sempre, perché la riforma della forma di governo è totalmente inutile. Il presidenzialismo all’americana non lo vogliono perché lì i poteri del presidente sono davvero limitati dal Parlamento e dal potere giurisdizionale, e allora c’è l’idea del semipresidenzialismo che vedono come un filone che può potare la concentrazione dei poteri in una persona sola, questa è l’aspirazione. A questa aspirazione autoritaria io non ci sto e quindi la mia idea sarebbe di portare la mia voce dissidente, ma forse ho sbagliato ad accettare perché questa voce dissidente non avrà alcuno spazio.

Se vedo che questi argomenti trovano sordi gli altri io immediatamente mi dimetto. Cambi alla forma di governo assolutamente no perché non si possono scaricare sulla Costituzio- ne le incapacità della classe politica, i partiti hanno perso la bussola e hanno dimenticato tutto quello che c’è nella Costituzione e che in qualche modo già segnava un programma. Io vorrei che la attuassero la Costituzione.

La professoressa Lorenza Carlassare, professore emerito di Diritto Costituzionale nell’Università di Padova, si è dimessa dalla commissione dei 35 saggi l’11 luglio 2013, con le motivazioni che avete sopra letto. Il 28° Convegno annuale dell’Associazione Italiana Costituzionalisti è stato ospita- to dall’Università di Padova, nel Dipartimento di Diritto Pubblico internazionale e comunitario. Nel Convegno di due giorni (18-19 ottobre 2013), con il titolo Spazio costituzionale e crisi economica, le preoccupazioni della professoressa Carlassare, che ha presieduto la terza sessione plenaria, hanno trovato un giusto ascolto e condivisione. Non ci saranno politici, nella due giorni di discussioni tra l’aula magna «Galileo Galilei» e l’aula «Ippolito Nievo» del palazzo del Bo, ma soltanto tecnici del diritto, ci racconta, nel Corsera del 18 ottobre 2013, Alessandro Zuin che ha anche intervistato il “padrone di casa”, il professor Mario Bertolissi, docente di Diritto Costituzionale nel corso di Lau- rea Magistrale in Giurisprudenza dell’Università di Padova. Vale la pena, essendo perfettamente raccordate a quanto stiamo documentando, ripor- tare le quattro domande di Alessandro Zuin e le relative risposte di Mario Bertolissi.

Professor Bertolissi, qual è il contributo che la scienza costituzionale può dare in un’epoca di profonda crisi come questa?

«È una domanda che mi pongo continuamente. Io parto sempre dal presupposto secondo cui, per avere una carta costituzionale, un popolo deve avere lottato per decine, se non per centinaia di anni: la Costituzione è sempre un atto che gronda sangue e sudore. Perciò bisogna essere preoccupati quando si vede che, giorno dopo giorno, diventa una Carta che sembra sospesa e non più un atto capace di regolare la vita del Paese. La si ignora o la si viola intenzionalmente, e qui entra in gioco anche la crisi».

Entra in che modo?

«I dati ci dicono che abbiamo imboccato una discesa e non si sa quando la china si arresterà. E si La costituzione peggiorabile 131 pongono due ordini di problemi: da un lato c’è la dimensione sovranazionale, che interferisce e svuota continuamente di poteri decisionali il singolo Stato, e dall’altra parte si aggiungono, in casa nostra, decenni di scelte sbagliate che hanno reso precaria la prima parte della nostra Carta, rendendola sempre più inapplicabile alla voce “diritti dei cittadini”».

Quindi non siamo davanti a un problema legato soltanto all’attualità della nostra Costituzio- ne: è il patto costituzionale che non regge più?

«Io temo che sia così, per un motivo evidente: lo scarto tra quanto è scritto in Costituzione e la realtà dei fatti è sempre più ampio».

Ma non sarebbe il caso di ammodernarla allora?

«Le vere riforme che servono a questo Paese, in realtà, non passano dalla Costituzione. Si dovrebbe incidere altrove: nelle grandi leggi, in particolare i Codici che regolano l’attività della giustizia, e nelle leggi amministrative, da cui dipende il funzionamento del Paese».

Ci spieghi con un esempio.

«Eccolo: se cambiassimo la Costituzione, trasformando la forma di governo dell’Italia da par- lamentare a presidenziale, il Fisco rimborserebbe prima i contribuenti che ne hanno diritto? La risposta, ovviamente, è no. E la gente si sentirebbe presa in giro dall’ennesima grande riforma, annunciata come tale, che non inciderebbe nei gangli vitali dell’amministrazione pubblica».

Al convegno partecipavano anche tre dei 35 saggi, il professor Giovanni Pitruzzella, dell’Università di Palermo, la professoressa Carmela Salazar dell’Università mediterra- nea di Reggio Calabria, il professor Valerio Onida che ha tenuto la relazione conclusiva, che già conosciamo, avendo fatto parte dei dieci saggi nominati il 30 marzo 2013 da Giorgio Napolitano. Bene. Mettete insieme lo sfogo della professoressa Carlassare a Radio Radicale e le risposte del professor Bertolissi all’intervistatore del Corsera, sono una perfetta cartina di tornasole mostrante il gioco sporco, somigliante a quello truffaldino delle tre carte, truccato da ormaismo modificatorio del ruolo presidenziale costituzionale (vedi gli ormai- smi di Enrico Letta). Tipo: “lasciate fare a noi che sappiamo come fregare il pupo, gliela aggiustiamo noi la costituzione che si merita”. Come si può osservare, e non solo all’Università di Padova, anche tra le fila del Pd, non c’è esattamente un grande accordo verso questa modifica costituzionale che si vuole fare con troppa, e non chiara, fretta.

… mi proposi, io stesso, come si ricorderà, il 30 marzo scorso, di favorire un primo sforzo rico- gnitivo e propositivo con la costituzione di un gruppo di lavoro, destinato a suggerire, in breve giro di tempo, una prima traccia di orientamenti in materia di riforme istituzionali in vista della formazione di un governo, in quel momento ancora in fieri a oltre un mese di distanza dall’e- lezione del nuovo Parlamento. L’apporto, già significativo, di quel ristretto gruppo di lavoro, è poi confluito nella più impe- gnativa ricerca affidata dal governo Letta all’ampia e qualificata “Commissione per le riforme

132 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo costituzionali” che ha rassegnato la sua Relazione finale poco più di un mese fa. E tra non molto la parola passerà al Parlamento, allo speciale Comitato espresso dalle Commissioni affari costituzionali di Camera e Senato, facendo così entrare in una fase decisiva il percorso procedu- rale e temporale già concordato e in via di perfezionamento con l’approvazione di norme mar- ginalmente modificative – a fini di snellimento dell’iter – dell’art. 138 della nostra Carta.

Secondo voi chi ha pronunciato le frasi che avete appena letto? Colto l’aiutino con il 30 marzo grassettato? Ebbene, sì, sono state pronunciate dal Presidente Giorgio Napolitano, il 23 ottobre 2013 a Firenze, durante l’annuale congresso dell’Anci (Associazione Nazionale Comu- ni Italiani) che quest’anno si è tenuto nella città medicea. Dopo le elezioni di febbraio, finite quasi a pari, come sappiamo, mentre a Palazzo Chigi (il palazzo del governo) c’era la scritta ben visibili (lunghi) lavori in corso, altro che go- verno in fieri, al Presidente della repubblica viene in mente di costituire un gruppo di lavoro, destinato a suggerire, in breve giro di tempo, una prima traccia di orientamenti in materia di riforme istituzionali. La domanda è: dove sta scritto, nella carta costituzionale, che il Presidente della Repub- blica possa costituire gruppi lavoro per orientare le azioni del governo ancora in fieri? Per di più, come appare dalla seconda frase, l’apporto di quel ristretto gruppo di lavoro, era destinato a confluire nella Commissione per le riforme costituzionali costituita dal governo Letta. Ma non è che ci manca qualche pezzo di informazione? Uno si inventa un gruppo di lavoro sui cambiamenti istituzionali epocali e, guarda caso, le conclusioni finali di questo gruppo quirinalizio si scopre che sono perfettamente in- seribili nei compiti di analisi di un altro gruppo di lavoro che verrà costituito, tre mesi dopo, dal neo presidente del consiglio. Avrà, fra i suoi consiglieri, Nostradamus in per- sona, il Presidente. Considerate, ora, la seguente frase.

Stiamo giungendo ora ad un nuovo limite estremo a questo riguardo: l’esame della questione cui la Corte Costituzionale è stata chiamata e che essa condurrà a partire dall’udienza fissata per il 3 dicembre.

Collegatela con la seguente informazione. Il 24 ottobre 2013, cioè all’indomani della dichiarazione sopra riportata, al Quirinale si è svolto un incontro sullo stato dell’arte delle riforme istituzionali, fra il Capo dello Stato e le forze partitiche che sostengono il governo largheintese-ista. I largheintese-isti, governo e maggioranza, sono stati convocati da Giorgio Napolitano. In sintesi. Siccome la Consulta ha intenzione di riunirsi il 3 dicembre 2013, per affrontare il tema della legge elettorale, siccome quella data è molto ravvicinata, venite da me ragazzi dia- moci da fare, facciamo il punto sulle riforme istituzionali, legge elettorale compresa, si dia mai il caso che la Consulta ci bagni il naso, deliberando prima di noi. Domanda. Questa iniziativa quirinalizia è ascrivibile al ruolo super-partes notarile che

La costituzione peggiorabile 133 la carta costituzionale assegna al Presidente della Repubblica? Dopo queste osservazioni che si diramano dalla logica, avendo presente, nello sfondo, la domanda sopra rappresentata, chi mi legge provi a valutare, con me, il senso, appunto logico, delle seguenti frasi che Giorgio Napolitano ha calato nella platea fiorentina dei sindaci italiani dell’Anci, presieduta da Piero Fassino, sindaco di Torino.

… vedo i Comuni come luogo cruciale di recupero della partecipazione e della fiducia politica

Cioè, i comuni, conciati come sono, riempiti di compiti assistenziali a cui non riescono a fare fronte, costretti a gestire una vera e propria mutazione del tessuto sociale della loro comunità, mutazione che si diffonde inarrestabile, decennio dopo, decennio; in mezzo alla guerra fra chi ha più diritti, per la casa popolare (magari dopo lo sfratto per morosità), per la scuola materna, l’asilo nido, l’assistenza sociale, l’assistenza sanitaria, il pagamento delle bollette, l’aiuto per l’affitto, i lavori socialmente utili, i buoni per ac- quistare il cibo, e quant’altro, dal tessuto sociale in mutazione permanente, si catapulta in tutti gli uffici comunali, compresa la segreteria del sindaco; precisamente questi so- cialmente disastrati comuni, permanentemente destinati a misurarsi con l’insufficienza delle risorse, dovrebbero essere il luogo cruciale di recupero della partecipazione e della fiducia politica. Ma di quali ricchissimi comuni italiani sta parlando il Presidente della Repubblica.

Quel recupero è arduo, lo sappiamo, a causa delle insufficienze e distorsioni della politica quale è stata e ancora viene praticata. Ma è arduo anche perché la vita pubblica e l’opinione dei citta- dini sono condizionate e deviate da un’onda diffusa e continua di vociferazioni, di faziosità, di invenzioni calunniose, che inquinano il dibattito politico e mirano non solo a destabilizzare un equilibrio di governo ma a gettare ombre in modo particolare sulle istituzioni di più alta garanzia e di imparziale e unitaria rappresentanza nazionale.

Cioè. Non ci sono in atto disastrose mutazioni del tessuto sociale del paese, ci sono, al massimo, insufficienze e distorsioni genericamente nella politica, non nella partitica. I buoni cittadini sono fuorviati da un’onda diffusa e continua di vociferazioni, di faziosi- tà, di invenzioni calunniose. Ci sono mass-media che si organizzano per gettare ombre in modo particolare sulle istituzioni di più alta garanzia e di imparziale e unitaria rap- presentanza nazionale, in altre parole, sul Quirinale.

Mi auguro che a ciò si sappia reagire in diversi ambiti, compreso quello dell’informazione, così delicato e così esposto a quelle fuorvianti tendenze.

Qui c’è l’invito, che sembra una velina del ministero dell’Interno, a reagire, soprattutto nel settore dell’informazione che è il più esposto a quelle fuorvianti tendenze.

C’è comunque chi ha il dovere – per la responsabilità che gli spetta – di non cedere a un clima avvelenato, magari per mettersi al riparo da provocazioni che impunemente tendono a colpirlo. A voi debbo solo dare assicurazione del mio fermo intento di non sottrarmi a nessun adempi- 134 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo mento per scomodo o facilmente aggredibile che sia, purché rientri nei doveri e nei limiti del mio mandato. Quei doveri e quei limiti costituzionali che in egual misura ho sempre scrupolosamente osservato.

Non si capisce perché ci sia un clima avvelenato. Ma il Quirinale ha il dovere di non ce- dere. Mi si accusa di aver ampiamente superato i doveri e i limiti cui la Costituzione mi obbliga, ma io, dice Giorgio Napolitano, proprio Quei doveri e quei limiti costituzionali che in egual misura ho sempre scrupolosamente osservato. Anziché rimanere super partes come, per esempio, aveva dichiarato ai giornalisti che lo pressavano sul presidenzialismo nei giardini del Quirinale, la sera del 2 giugno, dedicato alla festa della Repubblica.

Presidenzialismo? Io naturalmente non dirò nulla né stasera né successivamente sui contenuti delle riforme istituzionali, a maggior ragione su quelle che riguardano il capo dello Stato. Io resterò assolutamente neutrale. Questa versione è all’ordine del giorno della commissione che sta per costituirsi e questa versione sarà discussa in un comitato di esperti e studiosi che il governo si appresta a nominare. (LaPresse)

Valuti, ora il lettore, se nella seguente parte dell’intervento di Giorgio Napolitano, a Firenze, se la sua dichiarazione di neutralità sia stata confermata …

Infine la revisione del Titolo V non può non collegarsi all’indispensabile superamento del bica- meralismo paritario e alla nascita di un nuovo Senato, che faccia da ponte tra legislatori, statale e regionale, e arricchisca l’articolazione e le funzioni complessive del Parlamento, pur affidando alla sola Camera dei Deputati la funzione dell’investitura politica e l’ultima parola nel processo legislativo.

O se questo dire non possa essere configurato come interferenza.

Sul tema delle riforme costituzionali mi fermo qui, avendo semplicemente valorizzato il telaio offerto dalla recente relazione della Commissione coordinata con efficacia dal ministro Qua- gliariello e avendo stimolato, anche con legittimi, credo, accenti personali, un vigoroso impegno vostro a concorrere al raggiungimento di obbiettivi vitali per il paese.

Per di più, non pare di vedere neanche un grammo di terzietà nell’ammettere, con il buon giudizio espresso sull’operato di Quagliariello, che c’è stato un suo non negabile intervento, nei due gruppi che si sono occupati, saltando a piè pari il Parlamento, delle riforme istituzionali, delle quali lui, il Presidente della Repubblica, aveva dichiarato: non dirò nulla né stasera né successivamente sui contenuti delle riforme istituzionali. Ecco, il lettore, con la sua intelligenza, colleghi queste frasi, ed altre presenti nelle pagi- ne di questo scritto, con le iniziative prese dall’inquilino del Quirinale durante il setten- nato precedente e questi primi mesi della sua bis-elezione. Non si faccia condizionare dalle costruzioni che io presento come logiche sull’operato del Presidente della Repub-

La costituzione peggiorabile 135 blica. Utilizzi pure la sua intelligenza e la sua autonomia di giudizio non pre-giudizio; quindi valuti se le dichiarazioni di terzietà di Giorgio Napolitano sono confortate dallo scenario che ha avvolto, ed avvolge, il Quirinale, dal 2006 ad oggi. Piuttosto, perché il destro (l’occasione) mi giunge ancora dall’intervento fiorentino di Giorgio Napolitano, avendo presenti i contenuti del libro, dipartendovi dal suo titolo che è Dalle stragi del 1992 a Mario Monti, valutate le seguenti dichiarazioni, riandando con la memoria a quanto sapete degli eventi dal 1990 ad oggi.

Cari amici, non ci lasciamo fermare da alcun fuoco di sbarramento. Ricordo come un simile fuoco si levò quando nel 1993 da Presidente della Camera dei Deputati sostenni attivamente e fortemente il percorso per giungere ad una riforma della legge elettorale nazionale, sollecitata da un referendum popolare, e la riforma per l’elezione dei sindaci, che fu una riforma istituzionale e non solo elettorale. Non si poteva far nulla – si insisteva da varie parti – perché quel Parlamento era “delegittimato” per gli inquisiti che sedevano in esso e magari per essere scaturito da un sistema politico in crisi e da una legge, quella proporzionale, ormai superata nella coscienza di tutti. Non ci arrendemmo, andammo avanti, e guai se non avessimo portato a casa quei risultati che sono quelli che vedia- mo oggi così efficacemente rappresentati nella forza che voi avete acquisito come Sindaci eletti direttamente dai cittadini.

Giorgio Napolitano ci fa sapere che, già dal 1993, si era fortemente impegnato per cambiare l’elezione dei sindaci, attraverso riforme istituzionali. Ci fa anche sapere che lui, e quelli che lavoravano con lui, riuscirono a portare a termine quei cambiamenti, no- nostante il sistema politico fosse in crisi, e il Parlamento fosse delegittimato per gli inquisiti che ne occupavano gli scranni. Intanto vorrei ricordare al Presidente Napolitano che, mentre era Presidente della Camera dei Deputati, il 2 settembre 1992, aveva ricevuto la lettera di un deputato socialista, Sergio Moroni. In quella lettera, scritta prima di porre fine alla sua vita, (la lettera è totalmente riportata nel libro pp. 439-441) sono contenute anche queste parole:

Né mi è estranea la convinzione che forze oscure coltivino disegni che nulla hanno a che fare con il rinnovamento e la «pulizia». Un grande velo di ipocrisia (condivisa da tutti) ha coperto per lunghi anni i modi di vita dei partiti e i loro sistemi di finanziamento. C’è una cultura tutta italiana nel definire regole e leggi che si sa non potranno essere rispettate, muovendo dalla tacita intesa che in- sieme si definiranno solidarietà nel costruire le procedure e i comportamenti che violano queste stesse regole.

A Sergio Moroni non era estranea la convinzione che il sistema politico in crisi, nascon- desse forze oscure che coltivavano disegni che nulla avevano a che fare con il rinnova- mento e la «pulizia». Queste forze oscure, nel mio libro, vengono identificate nei Deviatori. Eppure, mentre infuriava la delegittimazione di tutti i partiti, per i finanziamenti il- legali di cui si avvantaggiavano, certo anche per sostenere pesanti apparati burocratici, per Giorgio Napolitano il Parlamento era “delegittimato” per gli inquisiti che sedevano

136 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo in esso. In aggiunta, mentre i processi di Mani Pulite coinvolgevano tutti i partiti, la preoccupazione di Giorgio Napolitano, allora Presidente della Camera dei Deputati, era quella di puntare ad una riforma istituzionale e non solo elettorale. Tipo Davide e Golia, pare dire il Presidente della Repubblica, che si sente evidentemente rappresen- tante di questo gruppo di riformisti istituzionali e non solo elettorali: Non ci arrendem- mo, andammo avanti, e guai se non avessimo portato a casa quei risultati che sono quelli che vediamo oggi così efficacemente rappresentati nella forza che voi avete acquisito come Sindaci eletti direttamente dai cittadini. Come non cogliere, in questa chiusa presidenziale, l’indicazione dell’elezione diretta del Presidente della Repubblica, evidentemente già nei progetti del gruppo dei riformisti istituzionali e non solo elettorali; progetti che oggi appaiono prossimi a divenire obiet- tivi raggiungibili, utilizzando gli eventi, costruiti frettolosi, ben prima delle elezioni politiche del febbraio 2013. Non basta. Questo balzo indietro di venti anni, l’antitempo si è davvero attivato (vedi capitolo I Segni a pagina 18 del libro), ci conduce ad una data ravvicinata a quella della lettera inviata da Sergio Moroni, al futuro presidente della Repubblica, allora Presi- dente della Camera. Neanche due settimane prima, il settimanale Radio Corriere Tv (settimana da giovedì 15 a mercoledì 21 agosto 1993) aveva pubblicato un’intervista a Luciano Violante (presentata da pagina 441 a pagina 446).

Ora che siamo sufficientemente informati, prendiamo visione dell’intervista. La prima domanda si diparte dalla gran confusione mediatica che si era andata accumulando, intorno ai mandanti delle stragi del 1993.

Le bombe di Firenze, Milano e Roma, la mafia che appare dietro ogni strage, Tangentopoli che mette l’uno contro l’altro potere politico e magistratura, poi servizi segreti deviati, P2, logge massoniche coperte, redivive Brigate Rosse: Violante, ma che sta succedendo in questo nostro povero Paese?

«Stiamo realizzando il cambio di un sistema politico con mezzi pacifici. Però nella nostra storia recente si sono radicati anche poteri violenti che non stanno alle regole. Ora, il problema vero non è tanto se questi sono contro o a favore dei cambiamenti, ma se nel nuovo sistema politico possono sperare di avere un margine di impunità pari a quello che hanno avuto in passato».

Riporto di questa prima domanda/risposta alcune considerazioni, che si trovano a pa- gina 441-442.

Considerando lo sfondo, essenzialmente illuminato, delle righe precedenti, valutiamo la risposta di Luciano Violante.

C’è il governo “tecnico” Ciampi e l’esponente di un partito, che dovrebbe essere di opposizione, dice: Stiamo realizzando il cambio di un sistema politico con mezzi pacifici.

Chi sarebbe questo gruppo, di cui Violante fa parte, che sta cambiando il sistema politico?

Dunque esiste un gruppo che sta prendendo il potere con mezzi pacifici?

La costituzione peggiorabile 137 Che significa margine di impunità, forse implica l’uso della magistratura?

Come va esattamente interpretata questa frase, mentre si parla di sette stragi in 11 mesi. Significa forse che il nuovo sistema politico usa il margine di impunità in modo selettivo?

E i mezzi pacifici si riconducono al termine “selettivo” nella significanza espressa nella precedente domanda?

Esiste un gruppo che con mezzi pacifici è in grado di selezionare chi inserire nel margine di im- punità e chi no?

È a questo gruppo che accennava il parlamentare socialista bresciano Sergio Moroni nella lettera scritta prima di suicidarsi, dopo aver ricevuto il terzo avviso di garanzia, il 2 settembre 1992, in- dirizzata al presidente della Camera Giorgio Napolitano?

Sono braci ancora calde sotto la montagna di cenere queste parole; e anche a distanza di ven- ti anni l’aria della verità le possono risvegliare e sarà fuoco, fuoco di una furia incontrollabile, mentre questo gruppo denominato nuovo sistema politico si sentirà la vittoria in tasca, pronto a portare Mario Monti (o chi gli sarà utile) sul Colle, dove un tempo sorgeva il tempio dedicato al dio Quirino.

Se mettiamo insieme le terminologie utilizzate da Giorgio Napolitano e da Luciano Violante, dobbiamo ritenere che un gruppo denominato nuovo sistema politico, ovvero riformisti istituzionali e non solo elettorali, si stesse adoperando per cambiare lo stato delle cose in Italia, già da dopo il 3 febbraio 1991, quando fu sciolto il Pci e costituito il Pds; già da dopo l’agosto 1991, quando si dissolveranno il Pcus e l’Unione Sovietica. C’è dunque un gruppo che sta premendo per cambiare, e velocemente, il sistema di ele- zione del Presidente della Repubblica? Chi è esattamente questo gruppo; che obiettivi vuole raggiungere, in tutta fretta, e per- ché?

Sembrerebbe che questo gruppo faccia capo a Giorgio Napolitano, ma è bene non farsi convogliare dalle apparenze. Come ho scritto nel libro, ci possono essere elementi pres- sori non evidenti che inducono gli esponenti istituzionali a fare la cosa “A” piuttosto che la cosa “B”, magari accogliendo suggerimenti che vengono considerati logici, se inseriti nei contesti istituzionali, paracaotici, come quelli che stiamo vivendo. Questo vale per ognuno dei nominati, sia nel libro che in questo scritto. Eppure, va da sé che l’Italia sta entrando in un periodo storico molto pericoloso. Si rischiano rivol- gimenti epocali, e non è detto che, come si è riusciti a fare fino ad ora, si possa ancora tirare una corda che sta mostrando slabbrature evidenti. Bisognerà pure che si giunga a capire quanto si sta tramando alle spalle del popolo italiano e di un parlamento ignavo (incapace di agire) e ignaro. Bisognerà dare valore e significato agli eventi che, da venti anni, si stanno concretizzando in questo Paese. Bisognerà essere pronti a scoprire che si sta realizzando, appunto da venti anni, quello che è scritto all’inizio di questo capitolo, un: Golpe strisciante.

138 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo Tre “V”, il Vajont, il Vietnam, il Vuoto della “Sinistra”

La morte dei popoli è il tappeto dove fanno la passerella i nostrani global-locali-trendy- radical-chic-democratico-progressisti, ex tutto, purché ammessi in pompa magna fra i padroni del vapore di tutti i tempi.

In questo ottobre 2013, ci sono stati due eventi che mi hanno fatto riflettere sulla con- dizione del nostro Paese; soprattutto relativamente ad una para-sinistra che ha fatto di tutto per coprire con il parolaismo il vuoto morale e il pieno di milioni di euro dei suoi portafogli. Una para-sinistra che, mentre finge di contrastarlo, regge il bordone (sostie- ne, accompagna col suono di una cornamusa, un’impresa, una orchestrazione perfida) al capitalismo globalizzato che paga milioni di (attuali) Euro i suoi fedeli servitori. Si sono i venduti a Padron Mercato che li acquista volentieri, a qualunque cifra, tanto pa- gano i poveri, che si illudono di essere difesi dai venduti sottobanco. Due eventi che cominciano con la “V”, che non hanno bisogno di molti giri di parole per essere rappresentanti nella loro significanza, sia politica, sia storica. Due parole: VIETNAM e VAJONT. Nei sogni dei colonialismi c’è sempre un paese da dividere in sud e nord. Le aree di in- fluenza sono quelle in cui si diffondono i raffreddori mirati e col timbrino incorporato degli èmio-isti di turno. Aree strategiche. Laggiù, ai confini del mondo libero, appena più in là c’è la Cina a braccetto con l’Unione Sovietica. Che se scoppia il finimondo, il macello lo faccio lontano da casa mia. Vuoi mettere quanto sono furbo? Soffiando sul fuocherello della secessione latente (vedi la Jugoslavia che ancora non sa di avere un futuro da ex, così impara a raggruppare i Paesi non allineati), il mondo libero, timbrato USA, si era preso il Vietnam del Sud “appoggiando” le sue rimostranze verso il Vietnam del Nord. Di quantosonobuonoio-isti è pieno il mondo libero e quello occupato. Poi, la cavalletta ha cacciato l’elefante, diceva Ho Chi Minh quel 30 aprile del 1975, quando i carri armati del Nord Vietnam si ripresero il Sud. Dopo dieci anni, 2 milioni di morti, un numero gigantesco di invalidi, il Vietnam tornava unito, non succedeva dal 1802 quando c’era l’imperatore Gia Long. Quei dieci anni erano costati più di 60mila morti all’esercito statunitense, l’elefante che voleva schiacciare la cavalletta vietcong. Il 4 ottobre 2013, nell’ospedale militare di Hanoi, è morto a 102 anni il generale Vo Nguyen Giap. “Il Napoleone rosso”, che ha combattuto e vinto il colonialismo francese con la battaglia di Dien Bien Phu. Era il 13 marzo 1954, i soldati vietnamiti, i vietcong, avevano ai piedi sandali costruiti con pneumatici di automobile, avrebbero per 56 giorni tenuto sotto assedio l’esercito francese, fino alla sua capitolazione, il 7 maggio 1954. Il generale Giap durante il lungo scontro con l’esercito USAense era ministro della Difesa, Vice Primo ministro e comandante delle forze armate. Il Partito Comunista al governo ha decretato il lutto nazionale. Ad Hanoi, davanti alla casa del generale si è formata una fila di 150mila persone che vogliono rendergli omaggio. Giap, un nome, tante storie. Il Vietnam non era solo una bandiera, era divenuta un punto di raccordo mondiale dei

Tre “V”, il Vajont, il Vietnam, il Vuoto della “Sinistra” 139 giovani che vedevano la possibilità, insieme, qualunque lingua parlassero, di cambiare finalmente questo mondo e strapparlo dalle mani dei padroni del vapore, di qua e di là dai muri. Bastava dire “Vietnam” e non c’era giovane che non urlasse nelle piazze “ci sono anch’io contate su di me”. Non erano, come venivano intitolate, manifestazioni antiamericane, erano anti-tutto quello che impedisce la libertà di dare forza e solidità ad un mondo finalmente pulito. Ecco perché si sono inventati l’umiliante globalizzazione del non-pensiero e del cerca- denari-se-vuoi-campare. La globalizzazione è la vendetta incastrante di Padron Mer- cato contro i giovani che in quegli anni ’60 e ’70 volevano scardinare il mondo eco- nomico e liberare il futuro dalle sue catene. Nelle manifestazioni giovanili sessantottine non mancava mai il sostegno ai combat- tenti del Vietnam. Erano ritmici Giap – Giap – Ho Chi Minh!!! … Giap – Giap – Ho Chi Minh!! … quando la sinistra giovanile, studentesca, mondiale vedeva la rivoluzione dietro l’angolo. Ma dietro l’angolo c’era la congrega che si stava trasferendo, armi e ba- gagli e sovietismo stalinista al seguito, negli scranni poteriali del capitalismo bastone e carota, che, già dal 1944, guardavano con occhi più benevoli e comprensivi (i riformisti, i social-democratici social-comunisti) gli occupanti USAensi del suolo italico e le loro avventure planetarie. Una congrega che qualcuno identifica con quella maggiormente (numericamente) ag- gregativa; quella dei miglioristi, capitanati da Giorgio Napolitano ministro dell’Interno nel governo Prodi (maggio 1996 - ottobre 1998). Il Pci era diventato Pds, poi Ds. Saranno i post-sessantottini, post-comunisti, post-democristiani, post-catto-comunisti quelli ammaliati (sedotti, danariamente attratti) dai democratici USAensi e dal capita- lismo soft. Sono quelli del meticciato, della contaminazione culturale, addirittura della contaminazione interreligiosa. Come gli untori di manzoniana memoria, sono quel- li che vogliono contaminare gli altri, mentre fingono di farsi contaminare dagli altri. (Come le ragazze delle – pre-Merlin – Case Chiuse imparavano dalle più scafate – smaliziate, esperte – a fingere la fisica contentezza nei rapporti con i prossimi accon- tentati.) Il potere duro e il potere delicato, il bastone e la carota. Joseph S. Nye Jr è quello della carotina del Soft Power. Il potere deve convincere deve avere un suo fascino. (Vedi pagina 79 del libro) Riformulare le significanze del termine democrazia, infilandola nel pozzo senza uscita del mondo economico. Anzi, rivestire la nudità della democrazia coi bei vestiti nuovi, nuovi dell’economia finalmente mondializzata. Adattare, insomma, la democrazia all’e- conomia ormai globalizzata. Rieducare, riempiendoli di denaro, i populisti malati di miraggite e traveggolite che vedono nel popolo inesistenti valori sociali ed etici. Per i ser- vi di Padron Mercato il populismo è una malattia contagiosa da stroncare sul nascere.

Il 9 ottobre sera ero a Ponte nelle Alpi, dove, esattamente 50 anni dopo, si teneva una manifestazione in ricordo dei 1910 assassinati del Vajont. Era in programma la visione del film La montagna infranta, regia del professor Mirco Melanco, docente dell’Uni- versità di Padova di Storia del Cinema. Mi è rimasto impresso l’intervento iniziale del partigiano Giovanni Bertot (già depu-

140 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo tato Pci dal 1968 al 1976 e sindaco di Ponte nelle Alpi) che si dichiarava comunista; quando comunista, in quegli anni ’60, voleva dire no alle ingiustizie, no alle ruberie, no a lor signori, no ai padroni del vapore. Ho sentito pronunciare il termine “comunista” con una notevole forza interiore e storicamente posizionata. Mi è risuonato nella mente un “comunista” gridato in faccia agli attuali “sinistri”, che di quella tempra (saldezza) morale non hanno più nulla. Mi appariva un guardare-cercando in quegli anni ’60, da dove tornava rimbalzante la constatazione di una forza di cambiamento che improvvi- samente si era volatilizzata, improvvisamente era diventata vuoto. Il VUOTO, appunto, la terza “V” di queste pagine. Il generale Giap mi riceve. Oriana Fallaci. Saigon e così sia. Pagina 29. Marzo 1969. Sabato mattina.

Ha detto che mi incontrerà insieme alle tre donne della delegazione. E poi ha detto che sarà «une causerie», una chiacchieratina dinanzi a una tazza di tè. Carmen, Giulia, Marisa sono tutte eccitate. Per loro, così marxiste, esser ricevute da Giap è come per un cattolico esser ricevuto in udienza privata dal papa.

La delegazione al femminile era una delegazione dell’Unione Donne Italiane. Carmen è Carmen Zanti dell’Unione Donne Italiane (Udi). Partito Comunista, partigiana. Vis- suta in Francia la sua conoscenza del francese la porterà negli organismi internazionali. Sposerà un gesuita che ha abbandonato l’ordine e aderito al Partito Comunista. Dopo la morte di Carmen, nel 1979, tornerà nell’Ordine di Sant’Ignazio. Carmen, parlamentare del Pci, con le elezioni del 29 aprile 1963, mentre si sta prepa- rando la tragedia del Vajont. Giulia è la giornalista Giulietta Ascoli, anche lei del Pci. Marisa, è Marisa Passigli una dirigente Psiup (Partito Socialista di Unità proletaria) dell’Udi. Giap a quattordici anni era già un agitatore socialista. A diciotto era già in prigione. Lì co- nobbe la futura moglie. Lì lo prese a ben volere il Capo della polizia che lo fece studiare e riuscì a laurearsi in giurisprudenza, all’Università di Hanoi. Vo Nguyen, divenuto insegnante di storia in un liceo classico, aveva la mania di studiare le battaglie di Na- poleone.

Gelido era. Aperto a collere improvvise ma contenute in un volto di pietra e in una voce di marmo, poi chiuso in silenzi d’acciaio. Lo chiamavan per questo Vulcano Coperto di Neve. Solo più tardi lo avrebbero chiamato Ma Kui, cioè Diavolo, e Giap, cioè Corazza.

Ma gli occhi! I suoi occhi sono fra i più intelligenti che ho visto. E anche fra i più crudeli, i più astuti. Bucano quanto due aghi, bruciano quanto due fuochi, v’è in essi l’intera ambizione del mondo: esaudita a costo di non importa qual prezzo.

Così eccoci tutti a sedere, nella più assurda disposizione che mai cerimoniale abbia visto: nel mezzo io e lui che però non mi tratta, tant’è preso da Carmen. Sulle poltrone a destra, Carmen Marisa Giulia e poi la guardiana The, la guardiana Huan.

Si, il male è equamente diviso in quella guerra: gli elementari diritti delle creature sono infranti Tre “V”, il Vajont, il Vietnam, il Vuoto della “Sinistra” 141 sia a Saigon che ad Hanoi, da nessuna parte della barricata v’è la risposta alle nostre speranze. E con tale conclusione, inevitabile, amara, chiudo la mia testimonianza sul Nord Vietnam. Oltre che una testimonianza, una conferma che non basta parlar di giustizia per essere giusti, di civiltà per essere civili, di umanesimo per essere umani.

La guerra vista da vicino, i prigionieri dell’una e dell’altra parte visti dentro. Gli elementari diritti delle creature sono infranti, scrive Oriana Fallaci. Usa il verbo infrangere, lo stesso usato nel titolo del film, La montagna infranta. Lì in Vietnam andavano in frantumi i diritti elementari delle creature maciullate dalla guerra. Lì nel Vajont è andata in frantumi la natura trascinando via il diritto di vivere di donne, uo- mini, ragazzi, bambini. Eppure i suoni sordi della terra, loro, i contadini che quella terra la lavoravano e la co- noscevano, quei suoni sordi li sentivano. La preoccupazione saliva e a livelli altissimi. Si andava per sentieri immersi nel bosco, per scendere da Erto a Longarone. Anche il torrente Vajont (canalone costruito dall’acqua, un termine a mezza strada fra il ladino va giù, scende veloce, riferito all’acqua e il veneto vajo, canalone, stretto e ripido riferito alla roccia scavata dall’acqua) se ne scendeva, non proprio placido, verso il Piave, erodendo la roccia, formando profonde fenditure. Sono quelle gole profonde che, già dal 1929, attirarono l’attenzione di Carlo Semenza, un ingegnere della Società Adria- tica di Elettricità (Sade). Che il Piave mormori, non solo contro lo straniero, lo si può comprendere dal numero delle dighe che lo imbracano lungo il suo percorso nascente. Sul monte Toc i contadini possedevano i campi che coltivavano e i pascoli degli animali. Avevano costruito piccole casette per passarci il periodo estivo, senza essere costretti ogni volta ad attraversare il torrente Vajont, che scorre giù nella valle. I contadini e montanari di Erto e Casso conoscevano bene quel territorio; sapevano che era soggetto a frane. Lo stesso abitato di Erto era stato costruito su una antica frana sui pendii del Monte Borga. Del resto lo stesso monte Toc col suo nome richiama il suono onomatopeico toc che può condurre al costante rotolio di sassi lungo un pendio non solido, ma franoso; da qui il termine veneto patóco che i veneti usano accompagnandolo col termine marso; marso patóco col significato completamente marcio. Dunque il termine Toc, in un territorio al confine tra il Veneto e il Friuli, richiama una montagna franosa dalla sua nascita. Scri- ve, infatti, la giornalista Tina Merlin, l’11 ottobre 1963, dopo la tragedia, sul giornale L’Unità.

L’intuito e l’esperienza di quei montanari, confortati peraltro da pareri di grandi geologi, indica- vano la Valle del Vajont non adatta a reggere la pressione di 160 milioni di metri-cubi d’acqua. La realtà ha dimostrato la ragione dei montanari, non quella dei tecnici della «Sade». La società elettrica sapeva che le pareti dell’invaso erano formate dal terreno di una enorme frana caduta centinaia di anni fa, sulla quale è sorto in seguito il paese di Erto. Sapeva che il Monte Toc era esso stesso parte di quella frana e che era prevedibile che l’acqua immessa nel bacino dovesse erodere piano piano il sottosuolo e provocare disastri.

142 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo Quei montanari si erano anche organizzati in consorzio per fare muro contro la Sade che con l’appoggio della burocrazia centrale, profittando che la valle del Vajont si tro- vasse a cavallo fra il Friuli e il Veneto, si muoveva fra la gente di quella valle come uno schiacciasassi, incurante di chi venisse travolto. Scriveva, ancora, la nostra coraggiosa Tina Merlin, un coraggio che non riesce ad esse- re contenuto negli scranni istituzionali della sinistra colabrodo del dopo anni ’60 (che questo voleva far notare il partigiano Giovanni Bortot, quella sera della memoria, il 9 ottobre 2013, a Ponte nelle Alpi).

Nel frattempo nel bacino di Forno di Zoldo franò un grosso lembo di montagna. La popolazione di Erto si allarmò. Se a Forno aveva fatto precipitare la montagna cosa sarebbe accaduto del loro paese che poggiava tutto su terra argillosa? Queste cose i contadini le sapevano da sempre, ma vollero interrogare i famosi geologi. E il parere dei tecnici e degli scienziati con- fermò le loro paure: era pura follia costruire un bacino sul luogo. Le perizie geologiche diedero esca a nuove polemiche e le proteste si fecero più vivaci. Si arrivò a costituire un «Consorzio per la difesa della valle ertana» al quale aderirono 136 capi famiglia. In quella occasione scrissi l’articolo per il quale mi processarono. Raccontai quanto avevano detto i montanari all’assemblea costitutiva del Consorzio. Avevo commesso il «reato» di registrare i fatti e un vice brigadiere dei carabinieri mi accusò di aver diffuso «notizie false e tendenziose atte a turbare l’ordine pubblico». Fossi veramente riuscita a turbarlo l’ordine della SADE, oggi non saremmo qui a piangere i nostri morti e a maledire i responsabili!

Il Consorzio prendeva forma perché i contadini erano rimasti scottati da come era an- dato a finire il Comitato creato per fronteggiare la SADE che stava già alterando il ter- ritorio montano con distruttivi sondaggi della roccia. I divieti di transito impedivano ai contadini il raggiungimento dei terreni dove venivano mantenute, governate, una muc- ca, una pecora, una capra. Da questi terreni queste famiglie traevano il sostegno vitale. Il latte, i formaggi, gli ortaggi. Un danno considerevole. Terreni che la SADE doveva espropriare per pubblica utilità. Per di più gli Ertani e i loro animali erano impauriti da continui tremolii e piccoli franamenti del costone della montagna. La presidenza del Comitato era stata affidata a chi sapeva leggere e scrivere ed era in grado di usare le sue conoscenze per difendere gli illetterati Ertani. Quei montanari conoscevano bene la loro montagna e quanto potesse diventare pericolosa; ma non ave- vano altrettanta conoscenza della burocrazia e della sua pericolosità soprattutto quando diventa tutt’uno con la danarite. Il marito della sindachessa sembrava essere la scelta più opportuna. Invece … Invece, all’improvviso la sindachessa e suo marito si fecero uccel di bosco quando si trattava di rispondere ai componenti del Comitato che denunciava- no i soprusi della SADE. Poi si venne a sapere che i loro terreni erano stati acquistati ad ottimo prezzo dalla SADE, quindi tanti saluti al popolino fessacchiotto e illetterato. È Tina Merlin che stigmatizza l’imbroglio. Come si può constatare i catilinari c’era anche allora. Monti e Letta erano ben rappresentati nel comune di Erto. Alla larga da questi comunisti, non si fanno gli affari loro e, in più, cercano di impedire i “legittimi affari dei rappresentanti della democrazia istituzionale”. (Vedi il capitolo La Democrazia da pagina 469 del libro.)

Tre “V”, il Vajont, il Vietnam, il Vuoto della “Sinistra” 143 Improvvisamente Paolo Gallo cambia atteggiamento. E anche il sindaco. Diventano entrambi sfuggenti alle domande dei contadini. Il presidente non convoca più il Comitato. La Cate non vuole più parlare con la cronista de «l’Unità» che spesso va a trovarla nella sua tabaccheria-bar o in municipio, e che aveva salutato con grande soddisfazione la sua nomina a sindaco. Non la saluta neppure se l’incontra per la strada. Cambia parere anche sui comunisti che la sostengono in giunta. Dice che sono «servi di Krusciov». E che «l’Unità» è «il giornale dei malcontenti».

Ma chi sono questi della Sade.

Gli antifascisti pensavano a riunirsi, a organizzarsi, ad armarsi, per poter difendere la Patria. La SADE pensava ad altro. Il 22 giugno 1940 aveva chiesto al ministero dei Lavori Pubblici «di uti- lizzare i deflussi del Piave, degli affluenti Boite, Vajont e altri minori per scopi idroelettrici».

Scrive Tina Merlin nel suo Sulla pelle viva. Quindi quelli della Sade sono ben collegati con il potere decisionale burocratico e statuale. Giuseppe Volpi, conte di Misurata, si era dato da fare per ottenere il monopolio sulla produzione trasmissione e distribuzione elettrica nel Triveneto. Bisognerebbe inserire nel contesto giusto il perché della fretta di ottenere l’autorizzazione a costruire una cen- trale idroelettrica e una diga, proprio sul Vajont, l’affluente di sinistra del Piave, proprio il 15 ottobre del 1943, nel pieno dell’occupazione tedesca del territorio, seguita alla resa incondizionata dell’Italia alle truppe alleate. Le motivazioni, che sottendono a questa fretta della SADE, le cerca anche Tina Merlin che nel suo Sulla pelle viva scrive:

Cosa sarebbe avvenuto dopo la guerra? Chi avrebbe guidato il Paese? Era meglio premunirsi. Vol- pi trafficò freneticamente per riuscire a strappare l’autorizzazione, che gli fu concessa con un atto illegale. «Il 15 ottobre 1943, nelle giornate tragiche che seguirono l’8 settembre, in un momento del tutto anormale nella vita dello Stato, la SADE riusciva ad ottenere una adunanza ed un voto della IV Sezione del Consiglio superiore dei lavori pubblici con il quale si esprimeva parere favo- revole all’accoglimento dell’istanza […]. È risultato che all’adunanza di cui sopra parteciparono solo 13 su 34 componenti, i quali non costituivano il numero legale, rendendo così illegale quella decisione».

Tutto documentato, perfetto e brava, Tina Merlin. Ma esattamente quello che è acca- duto dopo, a liberazione avvenuta, avrebbe dovuto orientare verso altro, che non fosse solo la consistente capacità della SADE di raggiungere i suoi obbiettivi “con tutti i mezzi”.

La prima autorizzazione al «progetto Vajont» fu quindi ottenuta con l’inganno verso la nazione. Ma dovette costituire, tuttavia, un precedente credibile dopo la guerra per l’allora presidente della Repubblica, il liberale Luigi Einaudi, che, con proprio decreto n. 729 del 21 marzo 1948 accor- dava alla SADE la concessione definitiva.

144 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo Se avessi conosciuto Tina Merlin, e non riuscite ad immaginare quanto volentieri avrei scambiato non solo quattro chiacchiere con lei, è probabile che mi sarebbe sfuggita que- sta domanda: c’è qualcosa in quel territorio, a conoscenza dei geologi militari tedeschi, dei geologi della SADE che lavorano per il conte Volpi di Misurata, che tutt’ora non è stato reso noto? Questa autorizzazione passerà in eredità al conte Vittorio Cini, dopo la morte del conte Volpi di Misurata, nel 1947. Davvero poteva esserci dietro solo la pressione dell’inge- gnere Carlo Semenza che sognava, sul Vajont, la diga più alta del mondo? Davvero il mo- tivo pressorio di questo disastro era la costruzione di un gigantesco invaso idroelettrico che potesse fornire energia elettrica all’area industriale e portuale di Venezia? Cioè, più acqua più pressione discensiva più corrente elettrica. Davvero una delle motivazioni convincenti era quella di collegare alla produzione di energia elettrica la possibilità di alimentare un acquedotto per irrigare la pianura Ve- neta? Perché al Veneto, per caso, mancano acque irrigue? Non ne ha invece fin troppe e spesso a rischio esondazione?

È credibile che nell’immediato dopo-guerra la ricostruzione fosse la parola magica che apriva le porte delle autorizzazioni statali. È meno credibile che non fosse visibile l’assurdità di costruire una gigantesca diga, e un gigantesco invaso, in un’area soggetta ad altissimo, geologicamente visibilissimo, rischio idrogeologico. Eppure, a rigore, era proprio un minore rischio geologico e magari anche un migliore posizionamento per una più lunga diga e il suo più ampio invaso, che avrebbe dovuto orientare i geologi della SADE per un’area montana più a monte. Perché il progetto di costruzione della diga si è invece posizionato sulla valle del Vajont, morfologicamente non idonea come il geologo austriaco Leopold Müller appurerà nel- le sue ispezioni sul territorio. In aggiunta e aggravamento delle considerazioni, anche Edoardo Semenza, figlio di Carlo Semenza, condivideva le preoccupanti analisi morfo- logiche dell’ingegnere austriaco (vedi il sito http://aldopiombino.blogspot.it). Dal monte Toc in un passato non recente si era distaccata una gigantesca frana che ave- va coperto il solco del torrente Vajont, la cui forza discensiva aveva ripristinato l’antico stretto passaggio tra le rocce. La presenza artificiale di una grande quantità di acqua alla base del monte Toc, pene- trando nel terreno, e soprattutto unita alle piogge che in quell’area non mancano e sono abbondanti, avrebbe potuto riattivare l’erosione che nel passato aveva provocato la frana e che nell’immediato futuro poteva ripetersi, considerando che la stessa base, a ridosso del costruendo invaso, era di tipo argilloso. Il geologo Edoardo Semenza aveva valutato in circa 200milioni di metri cubi di roccia la frana che l’invaso avrebbe messo in movimento, dal pendio franoso del monte Toc. La stessa assenza di acque sorgive in superficie avrebbe dovuto far sospettare la presen- za di acque sotterranee con la stessa forza penetrativa del Vajont. E invece ecco come (in Sulla pelle viva) ci rappresenta l’idea geniale della SADE, Tina Merlin:

Tre “V”, il Vajont, il Vietnam, il Vuoto della “Sinistra” 145 L’idea «geniale» era venuta alla Società nel 1939-40. Si trattava di convogliare e sfruttare le acque residue del Piave e di alcuni suoi affluenti, dopo averle già sfruttate a monte, incanalandole in un unico grande serbatoio chiamato «di riserva», da usare nei periodi di «magra», cioè di siccità, nelle due grandi centrali di Soverzene e della Gardona. In questo caso le due centrali potranno funzionare e produrre energia in continuazione. Secondo i calcoli della SADE, a impianto ultimato, le centrali avrebbero sviluppato complessiva- mente 800 milioni di kwh.

Va ancora considerato che, quella stessa fretta dell’ottobre del 1943, prendeva, ora, la faccia della nazionalizzazione dell’energia elettrica. La SADE sarebbe stata acquistata e nazionalizzata dall’ENEL. Se la diga del Vajont fosse stata operativa, il valore della SADE sarebbe stato maggiore. Registriamo quanto, su questi argomenti, ci racconta Tina Merlin. La gente era molto preoccupata, cercava risposte da chi aveva il dovere istituzionale di dargliele.

E intanto la gente cosa sapeva? Il Comune di Erto e Casso era stato informato che sul suo ter- ritorio una Società privata poteva rubargli l’acqua per costruire, proprio ai piedi del paese, un grande lago artificiale? Gli era stato chiesto il permesso? Se n’era discusso in consiglio comunale? C’era stata qualche delibera? Era stato domandato ai piccoli proprietari degli appezzamenti agri- coli che dovevano andare sommersi se accettavano di vendere i terreni alla SADE?

L’intero territorio è sotto pressione, assieme alla sua gente. Ma la fretta dell’ottobre del 1943 ancora non ha un perché logico. Chi sta premendo su chi, perché proprio lì si scavi e si costruiscano dighe e relative necessarie gallerie. Lasciamo questa domanda, su per aria, sopra le valli veneto-friulane dove l’abbiamo intravista in forma di aquilone sospeso senza che fili apparenti ci dicano chi lo tiene nella sua mano. Affianchiamoci a Tina Merlin che, nel suo Sulla pelle viva, ci racconta cosa accade in quelle valli, nel tempo in cui il termine “sinistra” non aveva ancora perso il suo concreto significato.

In molte località, quasi un paradosso, le società elettriche che sono anche distributrici dell’energia, si appropriano delle acque e rifiutano di arrivare con le linee della luce.

La grande campagna popolare con le assemblee, la raccolta di firme, le denuncie dei soprusi e delle inadempienze delle società elettriche si trasforma, in realtà, nella richiesta unanime di na- zionalizzazione delle fonti di energia.

Il 3 agosto 1958 si era svolto a Belluno un convegno nazionale promosso dalla Lega Nazionale dei Comuni democratici su questi problemi.

Il convegno del 1958 si proponeva, secondo una dichiarazione rilasciata a «l’Unità» da Guglielmo Celso consigliere nazionale della Lega, di «contribuire con la più ampia azione condotta da tutte le forze democratiche al controllo e alla nazionalizzazione delle fonti di energia, affrontando e denunciando il problema delle tariffe e delle forniture, problema di larghissimo interesse oltre 146 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo che per gli enti locali per tutte le categorie produttrici e prestatrici di servizi, venendo a porre in primo piano, con la denuncia degli abusi, il carattere di “utilità pubblica collettiva” delle imprese di produzione e di distribuzione dell’energia elettrica e quindi ad aumentare e a convalidare la richiesta democratica per il suo controllo pubblico» (Molte delegazioni a Belluno al convegno sui monopoli elettrici, «l’Unità», 3-9-1958).

Il 20 maggio 1960 si tiene a Belluno un convegno provinciale indetto da un Comitato Utenti Energia per la nazionalizzazione della SADE. Del Comitato fanno parte: PCI, PSI, PSDI, PRI, organizzazioni sindacali e di massa, Alleanza Contadini, Federazione delle Cooperative, Lega Comuni Democratici, Movimento radicale e Cattolici indipendenti. L’assemblea è affollata. Nella mozione conclusiva si chiede «che nel Parlamento si formi una maggioranza antimonopolistica, orientata a sinistra che provveda al più presto alla naziona- lizzazione della industria idroelettrica e delle altre fonti di energia».

Lo stato (a forza) repubblicano ereditava, da quello precedente monarchico, enti statali che si occupano di garantire all’Italia l’autonomia energetica. Il 29 luglio 1927, con la legge 1443, fu emanata la “legge mineraria” con la quale il Demanio statale era proprie- tario del sottosuolo nazionale. Quindi, per esempio, per ricercare e utilizzare il petrolio, il metano, il gas o giacimenti di sostanze minerali, presenti nel sottosuolo nazionale, occorreva, possedendo i requisiti tecnici previsti dalla norma, ottenere apposita autoriz- zazione e concessione governativa, come avveniva per l’utilizzo delle acque di superficie, per le centrali idroelettriche. Fra coloro che spingevano perché lo Stato italiano istituisse appositi enti che si occu- passero di reperire ed utilizzare i prodotti petroliferi, troviamo proprio Giuseppe Volpi conte di Misurata, per il quale, dunque, le ricerche nel sottosuolo potevano offrire occa- sioni energetiche ed elevati ricavi. Nascevano gli interessi petroliferi. Gli occupanti liberatori, che vogliono il monopolio sui petroli, fanno sapere che non gradiscono l’esistenza di centri chimici di ricerca da cui proviene la benzina ricavata dalla sintesi chimica ad alta pressione del carbone (idrogenizzazione), soprattutto ad uso militare. (Questi centri esistevano sia in Italia, che in Germania.) In Italia era sta- ta costituita, nel 1936, l’Azienda Nazionale Idrogenazione Combustibili (ANIC), che aveva due stabilimenti, uno a Livorno e uno a Bari, dove veniva prodotta la benzina sintetica. Si racconta che le attrezzature e gli archivi dei due stabilimenti siano stati distrutti manu militari. Anche gli studi e le ricerche dell’AGIP sull’esistenza di Metano nella Pianura Padana, avevano preoccupato gli “alleati occupanti” che fecero sapere che avrebbero gradito la loro chiusura. Con la legge 136 del 10 febbraio 1953 viene costituito l’Ente Nazionale Idrocarburi. L’ENEL (Ente Nazionale Energia Elettrica), invece, nasce il 6 dicembre 1962. L’Ente nazionale ha il compito di esercitare le attività di produzione, importazione ed esportazione, trasporto, trasformazione, distribuzione e vendita dell’energia elettrica. (Contribuire all’autonomia energetica del paese con impianti, idroelettrici, termoelet- trici … Nucleari.)

Tre “V”, il Vajont, il Vietnam, il Vuoto della “Sinistra” 147 Nota. Sulla pelle viva – Come si costruisce una catastrofe – Il caso Vajont, il libro di Tina Merlin, è rimasto nell’ombra per 20 anni; ha trovato un editore nel 1983. Evidentemente è sistemico che vengano attivati i chisicredediesserequesta nel caso di Tina Merlin e altre, prima e dopo di lei; e sempre prima e dopo di lei, alla bisogna si attivano i chisicredediesserequesto, e se sono più di uno, i chisicredonodiesserequesti. Basta vedere come si sono comportati i servitori ben prezzolati del padrone del vapore di turno, di qua o di là dalla finta barricata destra/sinistra, disturbato da chi vuole rac- contare come stanno davvero le cose. Bisognava che emergessero le responsabilità di una catastrofe, non annunciata, ma cri- minalmente messa in conto. Visto che l’impianto idroelettrico, dal 26 luglio 1963, era stato “acquistato” dall’ENEL, il crollo della montagna andava configurato come per- petrata truffa, perché l’impianto era stato consegnato come funzionante. A spese della SADE bisognava ordinare l’abbattimento dell’intera struttura della diga del Vajont, con annessi e connessi. E sempre a spese della SADE, bisognava ordinare il ripristino delle condizioni naturali preesistenti. Solo così sarebbe stata resa giustizia agli assassinati e ai sopravvissuti. Ecco perché, ancora oggi, il Vajont è la diga del silenzio, anzi, la strage nel silenzio. Ecco perché, ancora oggi le stragi sintetizzate dai nomi di Falcone e Borsellino, sono le stragi nel silenzio. Gli articoli di Tina Merlin non erano articoli frenetici usa e getta, come oggi purtroppo è diventato il giornalismo scritto, parlato, visivo. Gli articoli pubblicati su L’Unità di quel tragico ottobre del 1963, non dovevano passare dalle forche caudine rappresentate dagli “interessi” dell’editore e delle “pressioni” del direttore del giornale, magari non esattamente partiticamente mono-posizionati. Certo il compito che i giornali si danno, costituente il loro stesso nascere, è quello di informare orientando e, possibilmente, educando il popolo. Compito che un giornale comunista, come L’Unità, aveva certo presente, dovendo confrontarsi spesso con la sistemica disinformazione di altri giornali nazionali, più addanarati. Attento, quelli sono comunisti, qualcuno mi metteva in guardia. Sono comunisti, e allora? Rispondevo, mostrando interesse a ben altro che a pre-posizioni o, peggio, a sotto- posizioni. Non mi è mai accaduto di usare il termine “comunista” in modo offensivo. Anzi, quando mi capitava di “scontrarmi”, su questioni sociali, da cattolico e “socialista”, con un “co- munista”, invitavo, invece, il mio interlocutore alla coerenza che avrebbe dovuto mostra- re, verso la difesa dei diseredati e dei deboli. Non ho mai sentito un comunista, davvero comunista, cercare di glissare sulle questioni di intervento sociale, che proponevo, come problemi da risolvere, con la frase, che, invece i post-tutto di oggi si scrivono sulle loro post-bandiere: È il mercato bellezza, se vuoi campare e fare carriera ti conviene tenerne conto, altrimenti ti inseriscono nell’elenco dei rompiballe, da tenere alla larga dalle riunioni decisionali. Una frase che non mi sono mai sentito dire da due sindaci comunisti, senza virgolette, di San Giuliano Milanese, Gaetano Sangalli ed Egidio Gilardi. Anzi, li ho sempre visti tenere conto delle problematiche sociali sollevate, se ne preoccupavano e, da sindaci, se ne occupavano. Ma, a “sinistra” non erano tutti così. Accadeva che i rompiballe, come Tina Merlin,

148 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e molti, moltissimi, altri, appena “impossibilitati” a partecipare alle riunioni decisionali, venivano d’imperio effigiati nei “santini” della “si- nistra”. È da tempo immemore che i Santi si dimostrano più utili, anzi, più utilizzabili da morti che da vivi. E volete che nei tempi dei “santi subito”, i post-comunisti, da bravi cattolici sussidiaristi, rinuncino ai loro “sicuri elenchi” di “utili santi”, ex rompiballe? Dagli anni ’60, in nome di una visione sociale di “sinistra”, ci si avvia sulla strada delle nazionalizzazioni. Il privato deve lasciare il passo al pubblico. Basta con i monopoli. L’energia, l’acqua è di tutti, non può essere lasciata al controllo dei privati. Avete idea della quantità di denari che si muove, quando il pubblico acquista il privato? E, in una grande movimentazione di denaro, secondo voi, quanta corruzione ci si può infilare, come il freddoloso si infila sotto le coperte? E, ancora secondo voi, come mai la “sinistra”, che prima voleva le nazionalizzazioni, contro lo sfruttamento dei monopoli privati; oggi, vuole disperdere, nel mare magnum (nel gran mare) delle super imprese mondiali, il patrimonio pubblico italiano, energie e acqua compresi? Avete idea della quantità di denari che si muove quando il privato acquista il pubblico? E, repetita juvant (ripetizione opportuna), in una grande movimentazione di denaro secondo voi, quanta corruzione ci si può infilare, come il freddoloso si infila sotto le coperte? Ci fosse stato l’oro nelle miniere di Forno di Zoldo, la storia di tutta l’area sarebbe stata altra. Invece c’è il piombo, sia pure argentifero, c’è la galena, c’è il ferro. I forni di Forno di Zoldo servono a produrre utensilerie agricole, per usi domestici, per l’arsenale di Venezia. Esiste una Valle Inferna nel territorio di Forno di Zoldo, solo con la sua deno- minazione, dovrebbe dirci che ci troviamo in un’area sismica, dove nel passato, come in tutte le aree con l’antica denominazione “inferno”, esistenti in Italia, la terra si apriva a lanciare fiamme. In questa valle ci sono le antiche miniere e gli antichi forni a riverbero per l’estrazione e la produzione di ferro e piombo contenente argento.

L’attività delle miniere della Valle Inferna era ancora fiorente verso la metà del 1700; il minerale, trattato in un locale forno a riverbero, dava mediamente il 65% di piombo lievemente argentifero (Consiglio dei X, 1747). Nell’ambito del territorio veneto, la produttività di queste miniere era considerata, all’epoca, seconda solo a quella del distretto piombo-argentifero dell’«Arzentiera» di Auronzo, dove operava con grande profitto una società di tecnici e minatori tedeschi. [Tratto da Le mineralizzazioni piombo-zinco-argentifere della Valle Inferna (Zoldano-Belluno) di Pietro Frizzo, Lorenzo Raccagni, Livio Ferialdi, Franco Maglich) pp. 32-39, rivista Industria Mineraria n. 5/6, 1999.]

La presenza di miniere ci da anche l’informazione dell’esistenza di gallerie nel sotto- suolo, se non altro quelle utilizzate per raggiungere le miniere di metalli, già conosciute dagli antichi abitanti di questo territorio che nel tempo è stato posto, più volte, sotto pressione dalla Madre Terra. Mentre si formano le catene montuose e si gira sottosopra la crosta terrestre, quel territorio non è un paradiso terrestre. [Prima del grande urto e della grande acqua che divenne ghiaccio, nel tempo più re-

Tre “V”, il Vajont, il Vietnam, il Vuoto della “Sinistra” 149 moto del remoto, qui e non solo qui, altre genti per sopravvivere cercavano minerali scavando profonde gallerie nella roccia antica.] Vale la pena, visto che si parla di Forno di Zoldo, di allungare lo sguardo sul prima e sul dopo quell’atto di guerra che con l’arma, truccata da progresso, della SADE ha cercato e ucciso 1910 abitanti di una sperduta valle montana. Era il 22 marzo 1959, era la domenica di Pasqua. Una giornata di festa quel giorno. In località Pontesei (ponticelli diremmo noi) nel comune di Forno di Zoldo, quando una frana di circa tre milioni di metri cubi di roccia si abbatte sull’invaso sottostante, creato dallo sbarramento del torrente Maè. Lo smottamento aveva trascinato verso l’invaso, uccidendolo, l’operaio della SADE, Arcangelo Tiziani che stava perlustrando i declivi per controllare i segnali di frane imminenti. Quelle terre, alterate dai lavori di sbarramento ed accumulo eccessivo di acque, erano di tutti; ed erano state vendute dagli amministratori di Forno di Zoldo alla SADE. Stabilito che sulla protezione della originaria proprietà comune dovrebbero avere il loro ruolo, il loro fondamento, la loro funzione legislativa i cosiddetti Stati; già che ci siamo leggiamoci insieme, e memorizziamo, quello che Tina Merlin ha scritto nel suo libro Sulla pelle viva, nel capitolo Il Consorzio per la difesa della valle ertana …

I contadini di Forno di Zoldo promossero diverse battaglie, tutte perdute: petizioni, interpel- lanze, delegazioni esposti, manifestazioni. Si trovarono sempre di fronte a un muro insuperabile, impastato dalla concessione governativa della SADE a sfruttare le acque del Maè per «pubblica utilità», dal servilismo degli amministratori locali verso il grande monopolio, dalle autorità go- vernative provinciali che gli tenevano mano, da uno Stato che smentiva se stesso. Il Parlamento aveva infatti promulgato il 25 luglio 1952 la legge n. 991 a beneficio dei territori montani. Si riconosceva che la montagna era un «problema» anche per la pianura, che l’esodo dei montanari doveva finire, che la rinascita produttiva delle zone di montagna doveva finalmente aver luogo se non si voleva arrivare allo sfascio idrogeologico dell’intero paese. Era stata una legge conquistata dalle popolazioni montane d’Italia intera, che si erano unite in «comitati per la rinascita della montagna» dando luogo a dibattiti pubblici e a tante altre iniziative. A questa grande campagna nazionale di sensibilizzazione pubblica avevano partecipato anche i contadini e la popolazione di Forno di Zoldo, che adesso si sentivano traditi e sempre più convinti del detto popolare «fatta la legge trovato l’inganno», nel senso che la legge è valida solo per chi ha il potere di usarla.

Vi pare che da quella legge 991 del 1952, una legge dopoguerraia, siano migliorate le condizione di genti che non riescono ancora a diventare popolo? Vi pare che in un territorio come quello italiano, soggetto a terremoti e ad altissimo rischio idrogeologico, soprattutto nelle aree appenninico-montane, cioè praticamente nel 70% del suo territorio, dal 1952 si sia fatto qualcosa? Basta che vi guardiate intorno, verso l’area appenninica o montana più vicina a casa vostra, se per caso abitate nelle poco estese pianure e dovunque abitiate siete in grado di rispondere da soli a questa domanda. Se volete un esempio, eccovelo. Avrete sentito parlare del decreto sul femminicidio. Se conoscete la burocrazia italiana intuirete che in quel decreto non si parla solo di violenza mortale verso le donne.

150 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo Infatti il decreto legge 14 agosto 2013 n. 93, secondo il classico minestronismo legisla- tivo italiano, ha il seguente titolo: Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissaria- mento delle province. Relativamente al tema della protezione civile, il decreto è convertito in legge con modi- ficazioni, a noi interessa il seguente articolo, scritto in perfetto burocratese:

Nel capo III, dopo l’articolo 11 è aggiunto il seguente: «Art. 11-bis. – (Interventi a favore della montagna). – 1. Per l’anno 2013, le risorse accantonate per il medesimo anno ai sensi dell’articolo 1, comma 319, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, pari a 1 milione di euro, sono utilizzate per attività di progettazione preliminare di interventi pilota per la realizzazione di interventi per la valorizzazione e la salva-guardia dell’ambiente e per la promozione dell’uso delle energie alternative. A tale scopo, le risorse sono assegnate con decreto del Ministro per gli affari regionali e le autonomie, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentiti l’Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI) e l’Unione nazionale comuni, comunità, enti montani (UNCEM), che indicano i comuni con maggiore rischio idrogeologico e con maggiore espe- rienza in attività di riqualificazione del territorio».

Avete letto? Per l’attività di salvaguardia dell’ambiente (non della natura, che ambiente non vuol dire natura, vecchio trucco semantico) vengono stanziati 1 milione di euro, purché nel piatto ci mettano le energie alternative (magari, nel progetto attuativo, han- no anche in testa le ditte produttrici e fornitrici). Ne prendono di più Crozza, pagato per far ridere e Fazio, pagato per far piangere. Ecco perché terremotati e alluvionati hanno un bel passeggiare nel nostro Paese. A parte l’appunto, fra lo scherzoso e il polemico, dovremmo chiederci perché c’era tutta questa fretta per infilare questa norma in un decreto destinato al femminicidio. Non si stava forse elaborando il decreto sulla stabilità, e non poteva questa destinazione di denari essere, più opportunamente e logicamente, inserita nell’articolo 5 del decreto di Stabilità che appunto si occupa di Misure in materia di ambiente e tutela del territorio? Ma tant’è così vanno le cose nel nostro Paese. Bene, ora che abbiamo allungato lo sguardo sul prima, proviamo ad allungare lo sguar- do sul dopo, potremmo accendere fari che ci potrebbero aiutare a valutare meglio il prima secondo punti di visione altri. Cominciamo con il 2007, molti anni dopo come si vede. Quindi potremmo anche pensare: che c’entra col 1963. D’accordo, teniamo anche conto di questa osservazione, che pure ha una sua innegabile logica. Ma siccome la logica non cammina sulle strade ordinarie di una umanità resa confusa, vi propongo la lettura dei seguenti passaggi tratti dall’articolo Il mondo oltre Vicenza (seconda parte). Vi faccio solo notare che in questo articolo dell’otto ottobre 2008, pubblicato sul sito di www.nexusedizioni.it venivano fornite le prove che la Georgia spalleggiata dagli USA aveva invaso l’Ossezia, non la Russia la Georgia dopo aver ammassato truppe in Ossezia. Prove che diverranno di dominio pubblico solo nel 2010. Non vi sembri che ci stiamo allargando altrove. Leggiamo insieme quanto allora, docu- mentalmente, ebbi a scrivere. Le date sono relative al 2007.

Tre “V”, il Vajont, il Vietnam, il Vuoto della “Sinistra” 151 Aereo caduto o aereo abbattuto

Sono approssimativamente le 18,30 del 18 settembre, quando a Zoldo Alto (nelle Dolomiti), precisamente in un bosco a circa 200 metri dalla località Soramaè, un caccia F-16 decollato dall’aeroporto Pagliano e Gori di Aviano, precipita a terra e prende fuoco andando in mille pezzi. Il pilota, un tenente colonnello dell’aviazione statunitense, riesce a catapultarsi fuori con il seggiolino (attivando il paracadute e atterrando nella vicina strada fra le località di Forno e Dont) prima dello schianto che comunque si è verificato lontano dalle abitazioni. L’aereo insieme ad altri velivoli (tutti del 31° Fighter Wing Usaf) stava partecipando ad una esercitazione non me- glio specificata in uno spazio aereo riservato. Tutta l’area è stata sequestrata e ne è stato impedito l’accesso fino al recupero dei resti dell’aereo.

Dopo l’aereo, un elicottero

Siamo nei pressi di Santa Lucia di Piave in provincia di Treviso sono le 12,15 dell’8 novembre, un elicottero UH-60 Black Hawk (Falco Nero) in dotazione all’esercito statunitense improvvisa- mente perde il controllo e da una altezza calcolata (ma non con certezza) di circa 20 metri prima comincia a girare poi cade in picchiata fra i sassi dell’isolotto in mezzo al fiume Piave e si spezza in due tronconi. Siamo a poche centinaia di metri dall’autostrada A7. Sull’elicottero ci sono 11 militari. L’esercito e l’aeronautica statunitense perdono due soldati e quattro avieri. Cinque componenti dell’equipaggio rimangono feriti, uno di loro molto grave- mente. Le autorità statunitensi hanno dichiarato che svolgeranno le indagini in modo autonomo e lo hanno anche comunicato alla procura di Treviso.

Incidente inspiegabile

Dalla sede tedesca del Quinto Corpo d’Armata dell’Esercito USA a Heidelberg è stata diffusa una nota che definisce l’incidente “non spiegabile”; apparentemente causato da una improvvisa perdita di controllo non ancora determinata e che “non sono emersi elementi che possano eviden- ziare un errore dei piloti o fattori ambientali che abbiano contribuito all’incidente”. “Ero al cellulare e ho visto con la coda dell’occhio l’elicottero che girava su se stesso. Poi si è avvitato ed è caduto sull’isolotto del fiume. C’era soltanto un po’ di fumo. Ma subito ho visto uscire un uomo, cammi- nare, si è allontanato di una trentina di metri, poi è tornato indietro verso la carlinga”; sono le dichia- razioni “a caldo” di un testimone (da Il Gazzettino di venerdì 9 novembre 2007).

Sperimentazioni sofisticate (e pericolose)

Ora, mi permetta, signor generale, di renderLe noto che, sempre quest’anno nella prima metà di dicembre trapelerà la notizia che gli scienziati del suo Paese hanno messo a punto uno strumento (HFEMS: High Frequency Electro Magnetic System – Sistemi Elettro Magnetici di Alta Potenza) che è in grado di bloccare i veicoli in movimento attraverso l’emissione di un raggio invisibile, (da noi se ne parlava ai tempi di Guglielmo Marconi). Le posso, a questo punto rammentare la domanda che le avevo fatto all’inizio di questa chiacchie- rata? Una domanda che se connessa alle “stranezze” avvenute in Ossezia del Sud, agli “incidenti” occorsi ad un vostro aereo e ad un vostro elicottero, alle vostre ricerche di nuove tecnologie militari che vorreste sperimentare sul campo, alla ristrutturazione delle forze armate proprio

152 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo nell’area vicentina e alla “necessità” di occupare l’area dell’Aeroporto Dal Molin, forse potrebbe aiutarci a capire che cosa esattamente si stia preparando a fare la Forza tattica del Sud Europa proprio da queste parti.

Signor generale, la base di Longare è stata assegnata alla 173a brigata che si sta trasformando in un reparto aviotrasportato di paracadutisti, quindi un reparto di pronto intervento. La stessa base (collegata con quella sotterranea del Tormeno?) si sta trasformando in un centro strategico di co- municazione (spazio, cielo, terra) in grado di interagire con i reparti in movimento, con elicotteri e aerei, sistemi missilistici mobili, che possono anche essere dotati di armamenti nucleari tattici, attraverso una connessione militare satellitare. Quindi il costituendo reparto aviotrasportato è in grado di usare dispositivi radiocomandati di nuova concezione?

Nello sfondo delle dichiarazioni del Segretario di Stato Condoleeza Rice che fa sapere che gli Stati Uniti hanno una superiorità tecnologica che non potrà essere superata che fra un secolo; signor generale non potrebbe essere che sia l’aereo F-16 che l’elicottero Falco Nero siano stati abbattuti con sistemi militari satellitari di un altro Paese. E visti i resti dell’elicottero caduto (essendo stata impedita la vista di quelli dell’aereo caduto), viste le dichiarazioni del comando del Quinto Corpo d’Armata dell’Esercito USA di stanza ad Heidelberg; non è che mentre voi sperimentate un raggio che blocca le parti in movimento di un ingranaggio quale che sia (quindi anche elettronico); in questo Paese, contro il quale voi vi state attrezzando per uno scontro che porterà alla prima vera guerra mondiale, sia già stato realizzato un raggio destrutturatore, che è quello che ha reso inservibili le attrezzature elettroniche di connessione e di guida dell’elicottero e che è a un passo dal nullizzatore?

Immagini di avere stampata in un riquadro orizzontale e rettangolare un’area di circa 10 chilo- metri per 7 chilometri (siamo in Italia e qui si misura a chilometri e non a miglia). Immagini che nell’angolo inferiore sinistro della foto si trovi la località San Gottardo, frazione di Zovencedo; sa, quel posto dove iniziarono ad accendersi fuochi improvvisi dal 14 febbraio del 1990, esattamente come accadde poi nel 2004 a Caronia in provincia di Messina. Oggetti metallici che prendevano fuoco, scaldabagni, apparecchiature domestiche, come aspirapolveri che si accendevano da soli. La notizia interessante sugli eventi incendiari di Caronia, perfettamente collegabile con gli eventi incendiari di San Gottardo e che si mostrerà perfettamente connessibile con quanto Le sto per raccontare, la pubblicherà il Settimanale L’Espresso il prossimo 26 ottobre di quest’anno. Sembra che ci leggano nel pensiero dal futuro questi giornalisti birichini de L’Espresso, signor generale, perché in quell’articolo, che a sua volta citerà un rapporto riservato del governo italiano del 2005 (prima che Lei assumesse il comando della SETAF), verrà scritto che i fenomeni di autocom- bustione sono attribuibili a “esperimenti militari” o, addirittura a “esperimenti alieni”. Sempre ci- tando quel rapporto riservato verrà fatto riferimento a “tecnologie militari evolute anche di origine non terrestre che potrebbero esporre in futuro intere popolazioni a conseguenze indesiderate.” Di più nell’articolo verrà reso noto che: “Canneto di Caronia è stata colpita da fenomeni elettromagnetici di origine artificiale, capaci di generare una grande potenza concentrata. Fasci di microonde a ultra high frequency compresi nella banda tra 300 megahertz e alcuni gigahertz. […] Gli incidenti di Canneto di Caronia potrebbero essere stati tentativi di ingaggio militare tra forze non convenzionali, oppure un test non aggressivo mirato allo studio dei comportamenti e delle azioni in un indeterminato campione territoriale scarsamente antropizzato”.

Letto tutto? Si capisce che qualche importanza, per le forze armate USAensi debba

Tre “V”, il Vajont, il Vietnam, il Vuoto della “Sinistra” 153 pur averla, nel passato e nel presente, l’area grossomodo rettangolare, comprendente l’area del Vajont, avente come angolo destro inferiore Aviano, angolo sinistro inferiore Vicenza, angolo superiore sinistro Trento, angolo superiore destro Cortina d’Ampezzo? Non solo, l’area esterna, come si può ben comprendere, anche quella interna o, se vole- te, quella sotterranea. Dove scorre acqua e dove i torrenti si sono aperti passaggi nella dura roccia, sulla superficie, è possibile che corsi torrentizi sotterranei abbiano costruito strade sotterranee? È possibile che queste strade sotterranee unificanti pianure e aree montuose siano state in questi decenni trascorsi dal 1945, utilizzate a scopi militari? È possibile che questi scopi militari siano stati il motivo pressorio per le iniziative della SADE? È possibile che la fornitura di energia elettrica derivata da questi invasi artifi- ciali, proprio in quest’area, non rispondesse necessariamente ad esigenze civili? E, so- prattutto, nella costruzione delle gallerie ufficialmente congiungenti gli invasi artificiali, da parte della SADE, è possibile che ci sia stata una supervisione militare? Non sono domande peregrine se cerchiamo di comprendere perché la base Pluto si chiama Pluto. Anche qui ci viene in aiuto un passaggio, sempre dell’articolo dell’otto ottobre 2008…

Mi risulta infatti che durante l’ultimo conflitto europeo (quello che impropriamente viene chia- mato secondo conflitto mondiale) questa sigla indicava il sistema di oleodotti posati sul fondale marino dello stretto della Manica fra la Gran Bretagna e la Francia. Gli oleodotti servivano per rifornire di carburante i mezzi militari delle truppe alleate per riconquistare la Francia; ma so- prattutto servivano per sostenere le necessità di carburante in vista dell’attacco che si voleva deci- sivo contro la Germania che sarebbe stato sferrato nel giugno del 1944. Il significato della sigla, che stranezza signor generale, si adatta bene sull’intera area che abbiamo appena definito; “Pipe Line Under The Ocean” solo che invece che sotto il mare, sono oleodotti (e non solo) sotto terra, in vista di quale scontro finale collegato con il primo (vero) conflitto mondiale signor generale?

Il «re mondiale della derattizzazione», il trevigiano Massimo Donadon, afferma da sem- pre che «i topi sono tra gli animali più resistenti, sopravvivono anche alle esplosioni nu- cleari». La frase è tratta da un articolo de Il Gazzettino del 14 giugno 2012. Il titolo? Eccolo: Centinaia di topi trovati morti nella valle del Vajont: ancora mistero sulle cause. Sono stati trovati centinaia di topi morti nei territori di Castellavazzo, Zoldo, Longa- rone, Erto e Casso. Cioè esattamente nell’area del disastro del 1963. Per le strade, nelle piazze, nelle case, nei garage, nei giardini, centinaia di topi morti. Alcuni ancora con gli occhi sgranati. In allarme i veterinari, chiamati subito in causa per capire cosa mai sia potuto accadere. La presenza di topi morti è stata notata in partico- lare all’altezza della galleria di Igne. Vuol dire che è dall’interno di questa galleria che hanno cercato di fuggire i topi. Da cosa cercavano di fuggire; sapendo che i topi hanno capacità premonitorie notevoli. Basti ricordare che sono i primi ad abbandonare una nave che sta per naufragare. Dai topolini di campagna a quelli ben più grandi che abitano i percorsi fognari… Dai laboratori sanitari di Belluno si conferma che nei topi morti non è stata riscontrata traccia di veleno. Alcuni topi presentavano una piccola macchia rossa sul petto, come se fossero stati colpiti da qualcosa (?). I veterinari ritengono che l’evento non sia da colle- gare con il terremoto del 9 giugno 2012. Alcuni esemplari dei topi trovati morti sono

154 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo stati portati all’Istituto Zooprofilattico per gli approfondimenti necessari. Che vuol dire? Vuol dire che dovremmo valutare nella vicenda del Vajont e aree limi- trofe interferenze non note provenienti dalla presenza militare USA in quel territorio senza soluzione di continuità dal 1945 in poi. Aperta questa finestra che non vuole mettere in secondo piano le gravi responsabili- tà della Sade e di chi nello Stato quelle responsabilità le ha pienamente condivise, il comportamento dello Stato in questa vicenda, appunto è stato stigmatizzato da Tina Merlin in un suo articolo dell’8 aprile 1967.

Lo Stato ha speso per gli ertani, dal 9 ottobre 1963 ad oggi, oltre tre miliardi di sussidi. Di lavoro sul posto non ce n’è; andare all’estero significa abbandonare la cura di interessi familiari, una necessità creata dalla tragedia e che nessuno ha ancora risolto. È più facile, oltretutto, sceglie- re la via sulla quale li ha istradati il governo: sussidio a tempo indeterminato. È un risultato voluto dai governanti. Con tre miliardi si poteva ricostruire, o quasi, un piccolo paese come Erto. Allora, per quale determinazione, per quale assurdo disegno si è preferito disgregare una comunità, mettere i suoi abitanti gli uni contro gli altri, perseguitare chi non crede più alle promesse, in definitiva creare dei ribelli al posto degli uomini che un tempo coltivavano questa valle con pazienza e sacrificio?

Come valutare il comportamento di chi avrebbe dovuto proteggere la popolazione e non lo fece. Come valutare chi minimizzava mentre stava sconvolgendo la natura, sa- pendo che poteva uccidere.

Un mese prima della catastrofe, il vice-sindaco di Erto, Martinelli, scrisse una allarmante lettera all’ENEL-SADE, alla Prefettura e al Genio Civile di Udine, esperimentando seri dubbi sulla stabilità delle sponde del lago e chiedendo «di provvedere a togliere dal Comune di Erto e Casso le cause dello stato di pericolo pubblico prima che succedano, come in altri paesi, danni riparabili e non riparabili; quindi mettere la popolazione di Erto in uno stato di tranquillità e di sicurez- za e solo dopo rimettere in attività il bacino di Erto».

L’ENEL-SADE rispondeva dichiarando «piuttosto azzardate» le previsioni del Comune, e as- serendo che l’abitato non correva assolutamente alcun pericolo.

Una settimana prima della tragedia i tecnici in servizio sulla diga manifestano apertamente, ai dirigenti, la loro preoccupazione. Sordi boati e scosse del terreno sono all’ordine del giorno. I tecnici parlano del pericolo anche con gli amici, tramite il filo del telefono: «Qui da un momento all’altro si va tutti in barca»; «Sto mangiando e la scodella balla».

Tre giorni prima del disastro l’ing. Caruso dell’ENEL, viene delegato a seguire in permanenza l’andamento della frana. Il geometra Ritmajer che era stato trasferito a Venezia viene bloccato sulla diga. Gli operai addetti ai servizi non vogliono più andare a lavorare.

Il vice-sindaco di Longarone, Terenzio Arduini, telefona al Genio Civile di Belluno per essere rassicurato sulle voci di grave pericolo che circola nella zona. Viene rassicurato.

Nel pomeriggio del 9, fino alle ultime ore prima della tremenda valanga d’acqua, partono per Venezia, sede dell’ENEL-SADE, drammatiche telefonate dai geometri sulla diga, annunciando Tre “V”, il Vajont, il Vietnam, il Vuoto della “Sinistra” 155 l’imminente pericolo. «Mi lasci vedova» grida la moglie del geometra Giannelli, inutilmente tentando di convincere il marito a non tornare al suo posto di lavoro.

Alle ore 21 si risponde al geometra Ritmajer, che tempesta di telefonate la direzione di Venezia, di «dormire con un occhio aperto» ma di stare calmo, che a Venezia non si prevede tanto peri- colo.

Sempre alle 21 si mandano due carabinieri a Longarone nei villaggi sotto la diga per avvertire la popolazione di non allarmarsi «se dalla diga uscirà un po’ d’acqua».

Alla stessa ora l’ing. Caruso chiede ai carabinieri di far bloccare il traffico sulla statale d’Alemagna, senza preoccuparsi che la strada passa proprio in mezzo al centro abitato di Longarone.

Nessuno pensa di far evacuare i paesi. Probabilmente ci si fidava fin troppo della prova sul mo- dello effettuata dai grandi professori, equivalente al gioco dei bambini che buttano sassi in un catino d’acqua.

Non applaudite, quando alla fine del film-memoria La Montagna infranta, vedrete scorrere un lunghissimo elenco di nomi. Quello scorrere inizierà esattamente alle 22,39, la stessa ora che ha visto un martello d’acqua, sollevato da una mazzata di roccia, abbat- tersi su una comunità che, dopo la notte, si aspettava un nuovo giorno. Partecipare in silenzio al ricordo straziante di 1910 vittime, mentre in quel 9 ottobre 2013, esattamen- te cinquanta anni fa, esattamente alle ore 22,39, contadini, montanari, buona gente si è trovata maciullata dalla furia dell’acqua scatenata non da buona gente. Mentre ancora non sappiamo, il 9 ottobre del 2013, chi è davvero responsabile di questo eccidio, in quella sala, a Ponte nelle Alpi, commossi e silenziosi, vediamo scorrere, esat- tamente alle 22,39 sullo schermo cinematografico 1910 nomi. Sono gli assassinati dai senza anima. Famiglie intere, ragazzini che festeggiavano il compleanno proprio quel giorno, quel 9 ottobre 1963. Che cosa era più importante di quelle vite, perché quelle vite, nella valle del Vajont, si lasciasse che fossero schiacciate. Che cosa spingeva a fare tabula rasa di vite nei villaggi del Vietnam del Nord. Che cosa spingeva, che cosa convinceva, dei giovani soldati ad uccidere donne, vecchi e bambini, come ci racconta Oriana Fallaci nella prefazione del suo Niente e così sia.

«Tutti coloro che entrarono nel villaggio avevano in mente di uccidere. L’ordine era distrugger My Lai fino all’ultima gallina, non doveva restare nulla di vivo. Ma per noi non erano civili, erano vietcong o simpatizzanti vietcong. Quando arrivai vidi una donna e un uomo e un bam- bino che scappavano verso una capanna. Nella loro lingua gli dissi di fermarsi ma loro non si fermarono e io avevo l’ordine di sparare e sparai. Sì, è ciò che feci: sparai. Li ammazzai. Anche la signora e il bambino. Avrà avuto due anni.» (Dalla testimonianza del soldato Varnado Simpson della Compagnia Charlie.)

«C’era un vecchio dentro un rifugio. Era tutto raggomitolato dentro. Un vecchio molto vecchio. Il sergente David Mitchell gridò: ammazzatelo! Così uno lo ammazzò. Raggruppammo uomi-

156 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo ni donne bambini e neonati al centro del villaggio, come un’isoletta. Piombò il tenente Calley e disse: sapete cosa dovete farne, no? E io dissi sì e lui si allontanò e dopo dieci minuti tornò e disse: perché non li avete ancora ammazzati? E io gli dissi che credevo volesse farceli sorvegliare e ba- sta. E lui disse no no, li voglio morti. E incominciò a sparargli. E mi disse di sparargli anch’io. E infilai nel mio M16 quattro caricatori per un totale di sessantotto colpi e glieli sparai addosso e ne avrò ammazzati non so, dieci o quindici. E poi si trovò altra gente e la si buttò dentro una capanna e si gettò una bomba a mano dentro la capanna. E poi i ragazzi portarono altre settanta o settantacinque persone, così ci aggiungem- mo le nostre e il tenente Calley mi disse: Meadlo, abbiamo un altro lavoro da fare. E andò verso quella gente e si mise a pigiarla, a spingerla, a spararla, e anche noi si spingeva e si pigiava e infine gli si scaricò addosso i colpi delle nostre armi automatiche. Il giorno dopo misi un piede su una mina. E persi il piede. E pensai: Dio mi punisce per ieri.» (Dalla testimonianza del soldato Paul David Meadlo della Compagnia Charlie.)

«Si sparava a tutti, a tutto, anche senza ragione, per esempio alle capanne che bruciavano, a molte capanne s’era dato fuoco. Si sparava anche ai bambini. La mia squadra radunò le donne e i bambini, per spararli, ma uno dei miei uomini disse: io non posso ammazzar questa gente. Al- lora gli dissi di consegnarli al capitano Medina. A una curva incontrammo sei civili coi panieri. Si misero a correre impauriti, chi verso di noi, chi scappando da noi, e non si distingueva gli uomini dalle donne perché indossavano tutti lo stesso pigiama nero, sicché io e la mia squadra si aprì il fuoco con gli M16. Lasciando il villaggio passammo accanto a un bambino che piangeva. Era ferito a un braccio e a una gamba. Un GI disse: e di lui che ne facciamo? Senza rispondere, un altro GI imbracciò il suo M16 e sparò nella testa del bambino. Il bambino cadde. No, non cercai di impedirlo. La nostra era una missione Cerca-e-Distruggi, e avevamo gli ordini, e se qualcu- no dev’essere giudicato in Corte Marziale dev’essere qualcuno più in alto di noi. Quel giorno io pensavo da militare e pensavo alla sicurezza dei miei uomini e pensavo che era una brutta cosa dover uccidere quella gente ma se dicessi che mi dispiaceva per quella gente direi una bugia. Prima di partire il capitano Medina ci aveva detto che quella sarebbe stata una buona occasione per vendicare i nostri compagni uccisi.» (Dalla testimonianza del sergente Charles West della Compagnia Charlie.)

«Nessuno dei civili sparò, nessuno sparava ai GI. Non incontrammo alcuna resistenza, nessuna, e io vidi catturare solo tre fucili. Anzi, non ricordo di aver visto un solo maschio in età da mi- litare, non uno in tutto il villaggio, né vivo né morto. Gli uomini di Calley facevano strane cose. Bruciavano le capanne, mettevano la dinamite alle case, e aspettavano che la gente scappasse fuori, per ammazzarla. Ammucchiavano la gente a gruppi e poi la sparavano. Fu un assassinio bello e buono, pochi di noi si rifiutarono di commetterlo. Io mi rifiutai. Dissi all’inferno con questa storia, non voglio entrarci. Dissi: non lo faccio. Avevamo ricevuto l’ordine ma non era un ordine legittimo.» (Dalla testimonianza del sergente Michael Bernhardt della Compagnia Charlie.)

Ecco, come gli esseri umani diventano numeri, ecco come altri esseri umani prendono il reale per il teatrale. Ecco come si uccide, pensando che così vanno le cose. O io o loro. Per fare affari si sa che non bisogna farsi frenare dal pietismo. Tanto che valore volete che abbia il popolino. Noi abbiamo le leggi dalla nostra parte, quelli neanche sanno come si fa a gestire una legge scritta in burocratese. E poi, fra di noi, ci facciamo due risate quando si scatenano i terremoti o le guerre. Tanto, per ricostruire, sempre di noi

Tre “V”, il Vajont, il Vietnam, il Vuoto della “Sinistra” 157 hanno bisogno. Chi volete che gliele paghi le campagne elettorali ai galletti dei partiti. Eccolo il pantano dove affondano le buone intenzioni dei salva-popoli a un tanto al chilo. Eccolo il vuoto che da quegli anni ’60 avvolge una sinistra, una destra, un centro a braccetto con la globalite, la Eurite, la Europeite che sono le casse da cui traggono una quantità gigantesca di denaro. È per quel denaro che vivono, per niente altro. E scorre il tempo. Il Vietnam, con tutti i suoi morti, non scuote più le coscienze. In Vietnam si levano voci contro la corruzione e le ruberie dei funzionari. Il generale Giap è morto. E scorre il tempo. Tina Merlin non scuote più le coscienze, denunciando i disastri dei padroni del vapore. Tina Merlin è morta. Il regime sotterraneo che si è andato strutturando dal dopo-guerra in questo Paese ha utilizzato le macerie del ’68 per rafforzarsi. Ora vuole portare a compimento con il gol- pe costituzionalizzato il progetto di cessione ai burocrati europei di quello che rimane della sovranità italiana e della sua autonomia monetaria. Chi davvero è consapevole di cosa sostenga beffardamente tutte le manifestazioni per ottenere questo o quello, sembrerebbe la voglia di cambiare le cose, sembrerebbe magari ai manifestanti e a chi li sostiene nella protesta. Dovreste sentirlo il pensiero beffardo di Padron Mercato: eccoli i prigionieri e incrogiolati nello specialissimo forno, inventato per loro, chiamato diritto. Quando la corruzione non trova contrasto, ma contrappeso, nei comportamenti collet- tivizzati iohodiritto iovoglioilsantoinparadiso iovogliolaraccomandazione ancheiovogliodi- ventarericco, allora una società è già una frana che rovina in una valle di morti. [Nel castello il nuovo signore che ha preso il comando con il vostro aiuto, conosce i segreti del castellano spodestato, non vi ha tolto il collare di ferro, nell’anello pendente ha solo messo una nuova catena.] E scorre il tempo. L’Italia resa schiava, mischiata, venduta potrebbe trovare la forza di ribellarsi contro i padroni del vapore, nel silenzio di quei 1910 nomi scorrenti; quelli, sì, capaci di risvegliare le coscienze e capaci di risvegliare la voglia di reagire. Conviene che le voci risvegliate dei contadini e dei montanari del Vajont siano ascoltate, almeno con cinquanta anni di ritardo. Altrimenti, allora per ora, sarà quella vecchina della valle del Vajont, che nel filmato a Ponte nelle Alpi voleva un mitra da usare contro i responsabili tutt’ora sconosciuti di quel disastro, a risvegliare il vietcong addormentato nelle viscere della terra e nel buon animus italico.

158 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo L’angelo del musicante

Perché sei triste. Dovresti essere contento, hai sentito quegli applausi che non finivano mai; hai visto tutti nel teatro si sono alzati in piedi. Hai sentito? Ti gridavano Hai suo- nato il violino in modo divino. Perché allora sei triste? Ah stai pensando che a casa non hai nessuno che ti aspetta. Ti sembrano lontani quegli applausi quelle grida. È tre mesi che stai preparando questa serata e ti sembra ieri. Tut- ta quella fatica e ora è tutto finito. Tutto è solo un ricordo, mentre te ne stai andando a piedi a casa. Non sei poi così distante dal teatro. Sei stato a cena con il direttore del teatro che ti ha anche offerto di tornare fra tre mesi, dopo la tournée internazionale che inizierai fra due settimane. Pensa che c’è gente che vocifera che tu abbia fatto il patto col diavolo per suonare il violino in quel modo. Ma io che sono il tuo angelo, io lo so che hai suonato in modo angelico. Io lo so che mentre suonavi ti sentivi circondato da alberi, piante e fiori che danzavano intorno a te. Io lo so che mentre suonavi sentivi una gioia traboccante e ti preparavi alla tristezza dell’ultima nota, mentre i tuoi ascoltatori erano pronti al visibi- lio, al termine dell’ultima nota. È tutto così strano quello che vedo nella tua mente. Dovresti essere felice, o almeno dovresti averla assaporata la felicità, pensa al successo artistico di stasera, addirittura ti hanno detto che a causa dei due bis che hai concesso riceverai un premio in denaro extra. Perché allora sei triste. Già vorresti che le prove non finissero mai, e poi vuoi che finiscano e che si aprano quelle tende da palcoscenico. Tutta quella gente che in silenzio ti osserva e si aspetta da te che sia valsa la pena pagare il biglietto. Ecco perché sei triste, stai verificando quello che sapevi da quando, solitario, nei boschi sentivi il fruscio della natura, fatto di un parlottio fitto, fitto fra gli animali, gli insetti, i fiori, le piante, gli alberi e ogni fogliolina che voleva dire la sua. E tutti stavano a sentire tutti e parlavano a tutti. Fratello mio sentivi l’armonia. Era quell’armonia che cercavi di riprodurre nel primo violino che ti aveva regalato tua madre. Ogni volta che lo suoni quel tuo violino comprendi che quei suoni sono come il cibo. Tu diventi armonia sonora e l’armonia sonora diventa te. Come sarebbe bello che tutto fosse armonia superante il limite del cibo, ti trovi a pensare. Come sarebbe bello che nel rapporto con tutta la gente che incontri non ci fosse la menzogna di mezzo. Eh sì. Perché la menzogna è come una nota storta, disarmonica. La menzogna, lanciata in mezzo alla natura, provoca il silenzio di tutti. Non c’è più il parlottio fitto, fitto di tutti che parlano a tutti e si comprendono, appena più in là dell’amico tempo. Quando appa- re la menzogna è il vento che lancia l’allarme generale, e tutti lo ascoltano, e il silenzio diventa profondo. Gli umani che accettano di vivere nella menzogna, sono avvolti dal vuoto. È il vento a formarlo quel vuoto. Protegge la natura. Fuori da quel vuoto si dilata l’armonia dove tutti si incontrano con tutti e la distanza, anche quella siderale, non è una distanza, è un appena più in là, dove altre essenze parlano fitto, fitto e ascoltano tutti e i mondi, tutti

L’angelo del musicante 159 i mondi sono una cosa sola. È questo che ti fa soffrire, amico e fratello mio. Il sentirti solo fra genti che hanno ridotto l’armonia universale a teatralità. Per questo quei teatrali battimani scroscianti che ripagano la tua fatica sono anche i distanziatori dall’armonia che avvolge il tuo suonare. Ecco perché sei triste. Vorresti che anche tutti gli uomini si parlassero fra di loro fitto, fitto e scoprissero l’armonia, rinunciando alla menzogna e alla teatralità. Tu continua a suonare il tuo violino e trasmetti questi pensieri. L’abbandono della stra- da sbagliata, comincia quando la si riconosce sbagliata. Non essere triste. Suona il tuo violino, suonalo fitto, fitto come sanno fare nei boschi, e lascia che mentano raccontan- do che hai fatto un patto. Abbandonali alle bufere che accompagnano sempre le men- zogne, il vento ci vede e ci sente benissimo. Tu suona e cerca di parlare fitto, fitto suonando, ai buoni della Terra. Le note del tuo violino non saranno note vuote. Costruiranno ponti immensi dove vedrai incammi- narsi i buoni della Terra. Scoprirai di non essere solo, vedrai altri che avranno imparato ad usare la musica, il ballo, il canto, lo scrivere, le cose che sanno fare bene, per aiutare concretamente e gratuitamente a costruire quei ponti immensi, capaci di collegarsi con i mondi perfetti, dove il parlottio fitto, fitto è il racconto che ogni creatura fa alle altre di come sta contribuendo a costruire, e a proteggere, l’armonia universale e divina. Quando ti prende la tristezza pensa a questi ponti immensi. Gli abituati a mentire ti diranno che sono frutto della tua immaginazione. Chi rifiuta il mentire, magari ti dirà che non riesce ancora a vederli, ma ti dirà che vorrebbe, con tutte le sue energie, che questi ponti immensi esistessero davvero. Allora tu, quando ti sentirai dire così, suona il violino solo per il lui o per la lei che ti ha detto: Quello che tu vedi vero sarebbe anche il mio sogno. Vedrai che anche fra gli umani, e non solo nei boschi, si può attivare quel parlottio fitto, fitto che diventa armonia.

Alberto Roccatano

Per www.nexusedizioni.it

12 novembre 2013

160 Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo