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avventurose, romantiche e Dieci film sul patriottiche, mentre il secondo filone Risorgimento si nutre di queste tematiche trasportandole nei territori legati alla Giancarlo Giraud propaganda politica, fatto che, naturalmente, diventa più marcato ueste note su Cinema e durante il ventennio fascista. Risorgimento partono dalla Ad esempio un film come Il grido Qricerca effettuata in occasione dell'aquila di Mario Volpe (1923), della rassegna cinematografica “Addio anche se ambientato alla fine della mia bella addio” (1 dicembre 2005/28 Prima guerra mondiale, mostra nel luglio 2006) promossa dalla Provincia finale un ex-garibaldino che partecipa di Genova per celebrare il assieme alle camicie nere alla marcia bicentenario della morte di Giuseppe su Roma. In maniera rozza una Mazzini; un ulteriore spunto è stato conclusione del genere serve ad fornito da “Sguardi sul Risorgimento”, evidenziare la continuità tra ideali un’antologia del cinema italiano a cura risorgimentali e "rivoluzione" fascista. di Marco Salotti per il Comune di E ancora, in 1860 di Alessandro Genova e l’Istituto Mazziniano. Blasetti (1934) accade qualcosa uguale e contrario al film di Volpe. La Parlare di "Cinema e Risorgimento" pellicola, a partire dal dopoguerra, vuol dire parlare di un cinema che non viene presentata in versione amputata, si fa più. I titoli della rassegna "Addio cercando di far dimenticare che nella mia bella addio", fatta eccezione per i versione originale il film si concludeva due lavori di Luigi Magni In nome del con una pomposa visione delle falangi popolo sovrano (1990) e La carbonara fasciste che sfilavano davanti ai reduci (1998), e per I Viceré di Roberto garibaldini sullo sfondo del Foro Faenza (2007) sono stati realizzati negli Mussolini. anni ’30, ’40, ’60, '70. C'è un vuoto di Di fianco a pellicole oggetto di trent'anni che forse ci dice che il strumentalizzazione si possono trovare periodo della lotta per l’unità nazionale titoli come Piccolo mondo antico di non interessa più di tanto alla Mario Soldati (1941), che pur essendo produzione cinematografica italiana. caratterizzato da un certo preziosismo I film presi in esame ripercorrono gli calligrafico riesce a restituire in anni del Risorgimento, raccontando in maniera autentica il clima e l'aura qualche modo la storia di una certa dell'epoca rievocata, mettendo in cultura cinematografica italiana. Si risalto gli echi, anche se in secondo può dire che nella filmografia italiana piano rispetto alla vicenda principale, d'argomento risorgimentale si possono delle delusioni prodotte dalla individuare due principali linee di conquistata unità e dalla tendenza: la prima è caratterizzata da mortificazione degli ideali più un ventaglio di tematiche epiche, progressisti. 190 Il Tempietto

Nella prefazione al dépliant della soffrono nel distacco. Restano a rassegna, scritta da Maria Cristina piangere. Temono per i loro uomini. Ed Castellani Assessore alla Cultura della ecco che il titolo si snoda in altre Provincia di Genova, la scelta del titolo storie. Quella del contorno siciliano ed “Addio mia bella addio” è motivata aristocratico di Tancredi, eroe dalla tendenza del ciclo a porre romantico, che parte per la guerra, nel l’attenzione non solo alla storia degli film Il Gattopardo , tratto dall'omonimo évènements e specialmente dei grandi romanzo di Tomasi di Lampedusa. Una eventi, ma anche a quella di scenari partenza per una nuova dimensione. meno guerrieri. Più intimi. Più dalla Per un nuovo mondo. Ma di un mondo parte di chi non combatteva. Le donne che deve cambiare perché tutto resti in primo luogo. Nel film Piccolo uguale... Dove il pessimismo del Mondo Antico c'è una scena di Principe di Salina ed il relativo distacco, in cui Luisa vede allontanarsi cinismo patriottico del giovane con gli altri Franco, in partenza come Falconieri sono il contrappunto agli volontario. E i soldati cantano appunto entusiasmi più o meno sinceri di chi Addio mia bella Addio. E la frase «ti inneggiava alla nuova Unità italiana. lascio un figlio ancor» sembra Dove il colloquio fra il Principe e riecheggiare nel cuore, nel corpo stesso Aimone di Chevalley costituisce una di Luisa, che è incinta di Ombretta. pagina di storia fra le più belle e più Una presenza piccola piccola nel suo profonde della Letteratura Italiana. Un grembo che si rispecchia in quelle messaggio politico fra i più alti e lucidi parole. Perché il film di Soldati, tratto portati ad immagine in un film, grazie dall'omonimo romanzo di Fogazzaro, alla accurata e fedele rilettura di vive dentro a un Risorgimento che è Visconti. Dove il Risorgimento viene scenario di una storia borghese. Una visto da un aristocratico siciliano storia di cattiverie famigliari. Un lago intelligente, lucidissimo che prevede i che fa da malinconico contorno alle futuri mali e non ha ricette per guarirli. vicende di quel piccolo mondo antico. O non vuole trovarle queste ricette Un dramma terribile per la morte di proprio per quella autodenunciata una bambina, ma anche il rullare tendenza alla stanchezza e al fatalismo lontano di tamburi e la condizione della storia dell'isola. italiana del Lombardo-Veneto e le L’assenza del tema risorgimentale a aspirazioni patriottiche e libertarie di cui si accennava a proposito del quel piccolo mondo. Ma quel canto e cinema si nota anche sul versante quelle parole mi sono rimaste televisivo, dove le produzioni sono impresse. Una rivendicazione della poco numerose e in genere non presenza femminile. Della sensibilità e significative (con la lodevole eccezione della preveggenza della protagonista di I Viceré di Roberto Faenza, donna in un mondo di uomini che progetto già sognato peraltro da vanno alla guerra. Dove –- come hanno maestri come Rossellini e Visconti). fatto in tutte le guerre – le donne Vale la pena a questo proposito di Il Tempietto 191 citare il commento di Stefano Malatesta contrapposizione mai risolta tra unità e allo sceneggiato su Garibaldi Eravamo federalismo, ma anche il dibattito solo mille trasmesso da Rai Uno nel tuttora in corso per una visione laica gennaio 2007 («la Repubblica» 16-01- dello stato e i tormentati rapporti 2007): sciatteria, superficialità e Stato/Chiesa. incongruenze storiche che – anche Concludiamo questa breve riflessione senza voler ricorrere a paragoni sul Cinema e la storia del improponibili con i capolavori di Risorgimento con le parole di Antonio Visconti, Rossellini o Blasetti – Costa che a proposito de Il Gattopardo rivelano come i realizzatori siano i di Luchino Visconti e di Bronte di primi «a non credere alla storia che Florestano Vancini, scrive di questi hanno davanti». Come invece ha due titoli come «l'esempio più maturo dimostrato il film di Faenza, presentato e coerente di lettura del tema sia in versione cinematografica sia in risorgimentale, occasione pienamente versione televisiva più lunga, le storie riuscita di un cinema di impegno legate al Risorgimento e all’Unità civile volto, attraverso l'interpretazione d’Italia possono rimandare a temi di o meglio la riappropriazione di una stretta attualità: non solo l’immutabile memoria storica manipolata trasformismo del potere, sempre teso dall'ideologia dominante, ad una all’opera di perpetuare se stesso, o la riappropriazione del presente».

SCHEDE FILM E FILMOGRAFIA

1860 - I Mille di Garibaldi di Alessandro Blasetti Soggetto: da un racconto di Gino Mazzzucchi; sceneggiatura: Alessandro Blasetti, Gino Maz- zuccchi; fotografia: Anchise Brizzi; scenografia: Vittorio Cafiero, Angelo Canevari; costumi: Vittorio Nino Novarese; musica: Nino Medin; suono: Vittorio Trentino; montaggio: Ignazio Ferronetti, Alessandro Blasetti; interpreti: Giuseppe Gulino, Maria Denis, Otello Toso; pro- duzione: Cines; distribuzione: Pittaluga; Italia, 1934. Gli irredentisti siciliani, i "picciotti" si sono ritirati sugli aspri monti dell'isola, in attesa dell'ar- rivo del liberatore Garibaldi, dato per imminente. L'attesa si fa drammatica poiché i soldati bor- bonici, forti della loro superiorità numerica e d'armamento, non danno requie agli insorti. Un loro emissario riesce a raggiungere il continente per sollecitare la progettata spedizione: ma non pochi né lievi sono gli ostacoli che si oppongono all'iniziativa di Garibaldi. Sembra, per un mo- mento, che essa debba essere accantonata, e ciò segnerebbe la fine degli animosi ribelli isolani. Ma il generale rompe finalmente ogni indugio e con i suoi "mille" si imbarca a Quarto. Lo sbarco a Marsala e la vittoriosa, rapida avanzata del corpo di volontari conclude il film.

«Assai apprezzato dalla critica (ma non dal pubblico) dell'epoca, considerato dopo la guerra uno degli incunaboli del neorealismo, oggetto poi di una lunga polemica di carattere storici- stico, messo in croce per le sue consonanze palesi o implicite con la propaganda del regime fascista (i 5 minuti che mancano dall'edizione originale ne contenevano i segni più grosso- lani), oggi il film conta per la sua severa asciuttezza stilistica (non senza influenze del cinema 192 Il Tempietto sovietico), la scoperta del paesaggio, la coraggiosa scelta di tipi e personaggi popolari, l'effi- cacia del montaggio, l'incombenza come eroe e demiurgo di Garibaldi che pur vi appare fi- sicamente soltanto in sei veloci inquadrature». (Morando Morandini, Il Morandini)

Piccolo mondo antico di Mario Soldati Soggetto: dal romanzo omonimo di Antonio Fogazzaro; sceneggiatura: Mario Bonfantini, Emi- lio Cecchi, Alberto Lattuada, Mario Soldati; fotografia: Carlo Montuori, Arturo Gallea; sce- nografia: Ascanio Coccé; costumi: Maria De Matteis, Gino Sensani; musica: Enzo Masetti; montaggio: Gisa Radicchi Levi interpreti: Alida Valli, Massimo Serato, Ada Dondini, Renato Cialente; produzione: ATA; Italia, 1941. Nella prima metà del secolo XIX in alta Italia il giovane rampollo di una nobile famiglia sposa, con- tro il volere della dispotica ava, la nipote di un modesto impiegato. La vita dei due coniugi è ama- reggiata dalla ostilità della nobile e arcigna signora la quale, non contenta di aver cacciato di casa suo nipote e di averlo diseredato, fa destituire dal Governo Austriaco il sostenitore della famigliola, che è appunto il modesto impiegato statale. Intanto il giovane sposo si associa ai movimenti rivo- luzionari che serpeggiavano in Italia. Durante una sua assenza la bimbetta che è venuta ad allie- tare il matrimonio, per una fatale imprudenza, perde la vita. La mamma si chiude in un dolore senza speranza. Soltanto quando il marito parte volontario per la guerra di Crimea, ritrova una ra- gione per ritornare ai suoi doveri di moglie. La arcigna vecchia, che è stata sconvolta dalla morte della bimba, si decide a riconoscere i propri torti e restituisce al nipote il patrimonio estortogli.

«Mario Soldati, alla sua quarta regia, realizzò un film di strenua eleganza figurativa dove, nonostante qualche debolezza nel disegno psicologico dei personaggi, "il paesaggio diventa stato d'animo" (Guido Gerosa). Vibrata e schiva interpretazione della Valli nel suo primo ci- mento sul registro drammatico». (Morando Morandini, Il Morandini)

«Il più bel romanzo di Fogazzaro [...] è stato tradotto in film con tanto rispetto, tanta nobiltà, tanta austerità, si potrebbe dire, da inventare una delle prove più lusinghiere della nostra ci- nematografia. La vicenda è stata seguita fedelmente: l'angolo poetico della Valsolda così caro al romanziere, si anima sullo schermo, nella fotografia magnifica di un operatore che sembra innamorato del paesaggio quanto lo stesso Fogazzaro e su codesto sfondo ideale si muovono i personaggi famosi [...] fra cui la terribile marchesa, il più vivo di tutti per merito di Ada Don- dini che ha saputo farne una creazione impressionante. [...] Un bel film, ripetiamo un bel film nel quale vediamo per la prima volta ricreato un ambiente schiettamente nostrano, e sfruttata con amore la bellezza dei nostri paesaggi». (Guglielmina Setti, «Il Lavoro», 13 aprile, 1941)

Un garibaldino al convento di Vittorio De Sica Soggetto: Renato Angiolillo; sceneggiatura: Vittorio De Sica, Adolfo Franci, Margherita Ma- glione, Giuseppe Zucca; fotografia: Roberto Fusi; scenografia, arredamento e costumi: Veniero Colasanti; musica: Renzo Rossellini diretta da Pietro Sassoli; montaggio: Mario Bonotti; in- terpreti: Leonardo Cortese, Maria Mercader, Carla Del Poggio, Vittorio De Sica; produzione: Mario Borghi per Incine-Cristallo; distribuzione: Tirrenia Cinematografica; Italia, 1942. Il Tempietto 193

Un giovane garibaldino che è stato ferito si rifugia in un collegio dove viene assistito da due allieve. Una di esse è la sua fidanzata che non vedeva da tempo. I soldati borbonici sono sulle tracce del giovane e riuscirebbero a catturarlo se non arrivasse uno squadrone di gari- baldini a dargli manforte.

«In realtà, il tema dell’inseguimento dell’eroe non è più centrale, ma si limita a essere il con- trocanto di una vicenda più ampia, che si sviluppa sullo sfondo della spedizione garibaldina contro il Regno delle Due Sicilie. Si cala nella storia e la condiziona, togliendone la patina di retorica che allora pareva inevitabile, soprattutto quando si affrontavano argomenti risor- gimentali. Ciò lo rende diverso dai precedenti film di De Sica, tant’è vero che i riferimenti citati a suo proposito dalla critica più attenta riguardano film e autori stranieri: René Clair soprattutto, che allora godeva di altissima considerazione, e poi La kermesse héroique di Jac- ques Feyder, per la proprietà dei riferimenti pittorici [...]. Passa in seconda linea l’avventura del garibaldino: emerge invece in modo assai originale lo sguardo sardonico, quasi sfrontato tenuto conto dell’epoca, che De Sica getta sulla ufficialità del convento, sugli accompagnatori del governatore, sul governatore stesso, che distribuisce con aria tronfia e sussiegosa elogi a dritta e manca. La liberazione dell’Italia meridionale è trasformata in un incredibile balletto di opportunisti, nel quale i garibaldini fungono da sem- plice tela di fondo». (Callisto Cosulich, in De Sica, Saggi Marsilio

La pattuglia sperduta di Piero Nelli Soggetto e sceneggiatura: Franco Cristaldi, Yvon de Bagnac, Oscar Navarro, Piero Nelli; fo- tografia: Arturo Midano, Alberto da Corte; consulenza storica: Piero Pieri; interpreti: Sandro Isola, Oscar Navarro, Giuseppe Aprà, Giuseppe Raumer, Giorgio Luzzatti, Annibale Biglioni, Giuseppe Natta, Giovanni Cellerini, Benito Dall’Aglio, Filippo Posca; produzione: Vides Film-Diana Cinematografica. Italia, 1953. Ai primi di marzo del 1849 si notano i segni precursori della guerra, che sta per riaccen- dersi: borghesi, contadini, operai, studenti del Piemonte e di ogni altra regione d’Italia vanno ad ingrossare le file dell’esercito sardo, attestato sulla linea di armistizio del Ticino. Una pat- tuglia di otto uomini, comandata dal capitano Salviati, in servizio di avanscoperta lungo le rive del fiume, il 20 marzo, all’inizio della battaglia di Novara, in seguito allo svolgersi dei suc- cessivi eventi, viene tagliata fuori dal grosso delle truppe ed abbandonata a se stessa nel ter- ritorio ormai tenuto dal nemico. La pericolosa avventura di questi otto uomini, che in quei giorni furono i soli a portare la divisa italiana nella risaia tra Pavia e Vercelli, occupata dalle truppe del Maresciallo Radetzky, si conclude al tramonto del 23 marzo 1849 sulla pianura di Novara, dove si è combattuto aspramente.

«L’esordio nel lungometraggio del documentarista Piero Nelli e del produttore Franco Cri- staldi ricostruisce un pagina nera del nostro Risorgimento limitando, fino alle scene finali, ogni concessione alla retorica. La scelta di attori non professionisti, l’impatto narrativo della nebbia e della campagna devastata, le notazioni di classe vicine alla lezione gramsciana (il ruolo della borghesia, nell’incontro tra il tenente Airoldi e la sua famiglia), la sottolineatura delle sofferenze subite dal popolo ne fanno un’opera innovativa e – nelle sue scelte anti- spettacolari – coraggiosa». (Paolo Mereghetti, Il Mereghetti) 194 Il Tempietto

Senso di Luchino Visconti Soggetto: dal racconto di Camillo Boito; sceneggiatura: Luchino Visconti e Suso Cecchi D’Amico, con la collaborazione di Carlo Aniello, Giorgio Bassani, Giorgio Prosperi; collabo- razione ai dialoghi di Tennessee Williams e Paul Bowles; fotografia: G.R.Aldo, Robert Kra- sker; scenografia: Ottavio Scotti; costumi: Marcel Escoffier, Pietro Tosi; montaggio: Mario Serandrei; musica: “Sinfonia n. 7 in mi maggiore” di Giuseppe Verdi; assistenti alla regia: Francesco Rosi, Franco Zeffirelli; interpreti: Alida Valli, Farley Granger, Heinz Moog, Rina Morelli, Massimo Girotti; produzione e distribuzione: Lux Film; Italia, 1954. A Venezia, alla vigilia della battaglia di Custoza. Una patrizia veneta, la contessa Livia Ser- pieri, il cui marito parteggia per l'Austria, si innamora di un giovane ufficiale austriaco, Franz Mahler. L'amore diventa ben presto passione e non tarda a privarla di ogni dignità. Franz è un individuo equivoco e vile; finge di amare Livia, mentre mira in realtà solo al suo denaro perché ne ha bisogno per pagare un medico e farsi esonerare dal servizio militare. Livia è così cieca che non si accorge di nulla e quando lui le chiede il denaro lei non esita a dargli quello che i patrioti italiani le avevano affidato per le spese di guerra. Franz, avuto quello che vo- leva, non si fa più vivo con Livia, ma lei si mette sulle sue tracce e lo raggiunge. L'incontro è terribile. Livia fuori di sé, corre al Comando austriaco e rivela con quale inganno Franz era riuscito a farsi esonerare. Il giovane è fucilato e Livia perde la ragione.

«Uno dei capolavori di Luchino Visconti che vi riesce a conciliare visione critica della sto- ria e gusto del melodramma, passione estetica e chiarezza razionale, Verdi e Bruckner, innata vocazione decadentistica e ideali progressisti. Al di là di alcune forzature ideologiche e psi- cologiche, scandito da un'ammirevole coesione cromatica e scenografica, è un dramma di lussuria e di morte che si sviluppa con l'implacabile necessità di una tragedia romantica che trova nell'epilogo l'impietosa sconfessione del proprio romanticismo». (Morando Morandini, Il Morandini)

«È inoltre evidente in Senso la lodevolissima intenzione di voler reagire all'oleografico di troppo cinema in costume; il Visconti vi ha spiegato il suo gusto raffinatissimo insinuandovi anche vibrazioni realistiche. Tuttavia, [...] Senso si impone come un quadro assai raffinato, e vasto, e minuzioso, e sapiente. Pur non aggiungendo molto all'opera di Visconti, le cui pagine più vive si devono ancora ricercare in Ossessione e ne La terra trema». (M. Gromo, Film visti)

Viva l’Italia di Roberto Rossellini Soggetto: Sergio Amidei, Luigi Chiarini, Carlo Alianello; sceneggiatura: Diego Fabbri, An- tonio Petrucci, Antonello Trombadori, Sergio Amidei, Roberto Rossellini; fotografia: Luciano Trasatti; scenografia: Gepy Mariani; musica: Renzo Rossellini; interpreti: Renzo Ricci, Paolo Stoppa, Franco Interlenghi, , Tina Louise, Sergio Fantoni; produzione: Tempo, Galatea, Zebra Film; Italia, 1960. La storia della spedizione dei Mille, dallo sbarco a Marsala all’esilio volontario di Garibaldi a Caprera dopo il celebre «Obbedisco». Realizzato nel 1960 per le celebrazioni centenarie per l’unità d’Italia.

«Viva l’Italia si presenta fin dalle prime immagini come un grande affresco dell’impresa gari- baldina, veduta con gli occhi del cronista attento ai fatti minuti, quotidiani, o ai riflessi secon- Il Tempietto 195 dari della grande avventura storico-politica, piuttosto che ai motivi appariscenti o agli elementi determinanti per un giudizio critico motivato. Un affresco che rifiuta l’effetto scenografico e spet- tacolare – anche se non mancano sequenze di notevole suggestione scenica – per affidarsi so- prattutto alla rappresentazione d’una realtà antiretorica, colta nel suo manifestarsi addirittura banale. Garibaldi e i garibaldini sono visti fuori degli schemi agiografici d’un Risorgimento di ma- niera, fuori dell’aureola eroica, inseriti in un ambiente normale, senza forzature drammatiche o romanzesche. La loro impresa coraggiosa è seguita giorno per giorno quasi se ne volesse tracciare un diario particolareggiato, fornendo dati e notizie utili per seguirne gli sviluppi. Insomma, al- meno nelle intenzioni, si voleva ottenere la rappresentazione filmica d’un episodio significativo del “Risorgimento senza eroi” di gobettiana memoria». (Gianni Rondolino, Roberto Rossellini, Il Castoro Cinema)

Il Gattopardo di Luchino Visconti Soggetto: dal romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa; sceneggiatura: Suso Cecchi D’Amico, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, Enrico Medioli, Luchino Visconti; fotografia: Giuseppe Rotunno; musica: Nino Rota; scenografia: Giorgio Pes; costumi: Piero Tosi; montaggio: Mario Serandrei; interpreti: Burt Lancaster, , Alain Delon, Rina Morelli, Paolo Stoppa; produzione e distribuzione: Titanus; Italia, Francia, 1963. 1860, Garibaldi con le sue camicie rosse sbarca in Sicilia. Nonostante lo sconvolgimento po- litico l'aristocratico Don Fabrizio, Principe di Salina compie egualmente con la sua famiglia il viaggio annuale verso la residenza di campagna di Donnafugata. Qui il Principe viene a sa- pere da Padre Pirrone che Concetta, sua figlia, ama Tancredi, il nipote prediletto di Don Fa- brizio. Ma le speranze di Concetta sfioriscono rapidamente quando appare la figlia del Sindaco, Angelica Sedara. Don Fabrizio si rende conto che questo connubio tra la nuova bor- ghesia e la declinante aristocrazia è uno dei mutamenti che deve essere accettato. Questa in- tesa verrà consacrata durante un grandioso ballo al termine del quale il principe si allontana meditando, sul significato dei nuovi eventi che richiamano la sua attenzione ad un sofferto bilancio della propria vita.

«Splendida e fastosa illustrazione del passaggio della Sicilia dai Borboni ai sabaudi e della conciliazione tra due mondi affinché «tutto cambi perché nulla cambi», è un film sostenuto dalla pietà per un passato irripetibile che ha il suo culmine nel ballo, lunga sequenza che ri- chiese 36 giorni di riprese. Capolavoro o falso capolavoro? Affresco o mosaico? Straordina- rio o decorativo? Critica discorde. Visconti volle nella colonna sonora di Nino Rota un valzer inedito di Giuseppe Verdi. Burt Lancaster con la voce di Corrado Gaipa. Restaurato nel 1991 dalla Cineteca Nazionale di Roma con la direzione tecnica di Giuseppe Rotunno, direttore della fotografia». (Morando Morandini, Il Morandini)

«Solo Visconti, comunista e aristocratico, poteva con tanta sottigliezza dosare il grado di scet- ticismo e di poetica nostalgia del principe di fronte alle questioni sociali e politiche del- l'epoca [...]. È il film di Visconti più equilibrato, più misurato, più puro e più accurato [...]». (Alberto Moravia, «L'Espresso», 7/4/1963) 196 Il Tempietto

Bronte - Cronaca di un massacro che i libri di storia non hanno raccontato di Florestano Vancini Soggetto: Benedetto Benedetti, Fabio Carpi, Florestano Vancini; sceneggiatura: Nicola Ba- dalucco, Fabio Carpi, Leonardo Sciascia, Florestano Vaancini; fotografia: Nenad Jovicic; sce- nografia: Mario Scisci; costumi: Silvana Pantani; montaggio: Roberto Perpignani; musica: Egisto Macchi; interpreti: Ivo Garrani, Mariano Rigillo, Ilija Dzuvalekovski, Rudolf Kukic, Misdrag Loncar; produzione: Alfa Cinematografica - RAI Radiotelevisione Italiana - Histria Film Capodistria; distribuzione: CIC; Italia, Jugoslavia, 1972. Nell’agosto del 1860, mentre i Mille di Garibaldi stanno per concludere la liberazione della Sicilia dal giogo borbonico, i contadini e i braccianti del paesino etneo, oppressi dalla miseria, insorgono in armi e sottopongono a processi sommari i notabili e i ricchi borghesi, colpevoli di avere spal- leggiato la dittatura, di averne tratto profitti e di avere accentrato in poche famiglie la proprietà delle terre. Temendo che la ribellione, dilagando, comprometta il proseguimento dell’impresa gari- baldina, Nino Bixio ordina una crudele repressione, arrestando centocinquanta contadini e facen- doli condannare a morte dopo un simulacro di processo che non concede alcun diritto alla difesa.

«Il film ricostruisce le fasi del drammatico episodio avvenuto a Bronte, poco dopo l'impresa dei Mille. Voleva dimostrare come la Sicilia sia rimasta sempre la stessa, coi suoi uomini pri- vilegiati, i suoi nobili arroganti e lazzaroni, il suo popolo sempre sfruttato. Anche se l'opera di Vancini non ebbe un buon successo di pubblico, alla sua prima apparizione suscitò una vivacissima discussione. Vi presero parte, tra gli altri, Angelo Solmi, Alberto Moravia, Mino Argentieri, Giuseppe Galasso e Paolo Mieli. Il film ha avuto una certa diffusione nelle scuole, come materiale didattico utile alla comprensione del risorgimento. Il film, recentemente, è stato restaurato dalla Cineteca Nazionale con l'aggiunta di una parte inedita di 14 minuti con scene girate da Vancini e non montate precedentemente. La nuova versione è stata presen- tata a Catania in occasione degli 80 anni della morte di Giuseppe Verga». (www.bronteinsieme.it)

«Vancini affronta l'argomento con serietà e impegno, espone i fatti con secca, implacabile pre- cisione e con una lucida lezione di controinformazione storica. (Morando Morandini, Il Morandini)

Dichiarazioni del regista «Negli ultimi anni del Liceo io ebbi – ed ho tuttora – un grande amore per Verga che ho stu- diato, coltivato, approfondito. Ricordo che uno dei racconti di Verga che mi colpì era intito- lato Libertà, in cui l'autore racconta di una rivolta contadina in un paese imprecisato, di un processo che segue a questa rivolta... arriva un generale... solo dopo la guerra arrivai a sco- prire che in questa novella Verga aveva raccontato a modo suo la rivolta di Bronte». Qualcuno mi ha rimproverato di aver mostrato i contadini brutti, sporchi, cattivi... Bixio bello, elegante, in divisa... sono cose da restare esterrefatti. Sono dette da chi non sa, non conosce... i contadini sono sempre stati – ormai non più perché la condizione è mutata – e soprattutto in Sicilia in quegli anni, orrendi, sporchi, affamati... venivano da secoli di degradazione umana... erano veramente ridotti a livello di bestie. Anche i carbonai sono sporchi, mica po- tevano fare la doccia o il bagno! Anzi avrei voluto insistere ancora di più, se avessi avuto una sorta di cinema olfattivo avrei voluto far sentire la puzza... la violenza ci fu, in modo pauroso. Si trattava in realtà di una condizione di vita subumana, uno stato di cose in cui le parole come libertà e miseria non hanno più senso; siamo oltre, a livelli inimmaginabili». Il Tempietto 197

Allonsanfàn di Paolo e Vittorio Taviani Soggetto e sceneggiatura: Paolo e Vittorio Taviani; fotografia: Giuseppe Ruzzolini; scenogra- fia: Giovanni Sbarra; costumi: Lina Nerli Taviani; montaggio: Roberto Perpignani; musica: Ennio Morricone; interpreti: Marcello Mastroianni, Lea Massari, Mimsy Farmer, Laura Betti, Claudio Cassinelli, Bruno Cirino; produzione: Giulio G. De Negri per Una Cooperativa Ci- nematografica; distribuzione: Italnoleggio; Italia, 1974. All’indomani della caduta di Napoleone e della restaurazione imperialregia una delle tante sètte di Lombardia, quella dei “Fratelli sublimi”, consegna i suoi denari a un nobile affiliato, Fulvio Imbriani. Costui si appropria dei fondi, destinati a sovvenzionare una spedizione nel- l’estremo Mezzogiorno d’Italia; e, non pago, denuncia i “fratelli” alle locali autorità, provo- cando, col disastro politico dell’impresa, il massacro fisico dei patrioti.

«I fratelli Taviani contrappongono, in Allosanfan, l’ingenuo utopismo alla miserabile filoso- fia del”particulare”, la speranza al calcolo, l’azione all’inazione1 Allonsanfan è un film sulla restaurazione postnapoleonica, come su altre “restaurazioni”, o comunque si vogliano chia- mare, avvenute in seguito, ma è anche qualcosa di più. È la messa in scena (“Glielo farò cre- dere, io sono un grande attore” dice Fulvio, interpretato, non a caso, da un grande “attore” come Marcello Mastroianni quando opera il suo primo “travestimento”) di una crisi esisten- ziale e delle “sublimi” bassezze a cui può far ricorso anche il più puro dei rivoluzionari quando vede franare, dentro se stesso, l’idea a cui aveva sacrificato la giovinezza. Fulvio è un personaggio in cui ognuno di noi – come hanno rilevato gli stessi autori – in un momento particolare potrebbe specchiarsi. Fulvio è per questo un personaggio universale. 2 L’attualità del messaggio risveglia, nel film dei Taviani, un’eco segreta e dolente, scopre fe- rite non rimarginate sul tessuto un po’ languido e frollo della nostra vicenda nazionale».

1. Il mondo di Francesco Savio, Edizioni Falsopiano. 2. Pasquale Iaccio in Utopisti, esagerati, Saggi Marsilio

Quanto è bello lu murire acciso di Ennio Lorenzini Soggetto: Stefano Calanchi, Ennio Lorenzini; sceneggiatura: Stefano Calanchi, Aldo De Jaco, Ennio Lorenzini; sceneggiatura: Stefano Calanchi, Aldo De Jaco, Ennio Lorenzini con la col- laborazione di Gianni Toti; fotografia: Gualtiero Manozzi; musica: Roberto De Simone; mon- taggio: Roberto Perpignani; interpreti: Giulio Brogi, Stefano Satta Flores, Alessandro Haber, Elio Marconato; produzione: A.A.T.A. (Autori Attori Tecnici Associati) Cooperativa di pro- duzione e lavoro; distribuzione: Italnoleggio Cinematografico; Italia, 1976. Biografia di Carlo Pisacane. Amico di Mazzini, nel 1857 parte con 24 compagni da Genova per alimentare una rivoluzione in meridione. Durante il tragitto si ferma prima a Ponza dove libera 323 galeotti e poi sbarca a Sapri. Ma senza armi Pisacane, con i suoi 300 uomini, viene sconfitto a Padula.

«Esordio nel lungometraggio del documentarista Lorenzini (1934-82) con uno dei rari film in- sieme a Bronte (1972) di Vancini sul Risorgimento visto dalla parte delle cuciture. Fervido, di un'asciuttezza che trasmoda in impacci e rigidità didattiche, nella sua coscienza postses- santottesca risulta astratto e, a livello narrativo, impari all'epos delle belle canzoni scritte da Roberto De Simone». (Morando Morandini, Il Morandini) 198 Il Tempietto

«Ponete il caso che un vapore con due o trecento armati, portando cinque o seimila fucili, con centomila franchi, partisse da Genova, si dirigesse su Procida, ponesse in libertà ed armasse tutti i detenuti, quindi si gettasse sulla costa e muovesse su Napoli. Riuscirebbe? La popo- lazione della capitale lo seconderebbe? Gli andrebbe incontro per armarsi? Così chiedeva Carlo Pisacane in una lettera del 15 settembre 1856. La figura di Carlo Pisacane è al centro del film di Ennio Lorenzini che, già nel titolo, si offre allo spettatore come una ballata popolare. Quanto è bello lu murire acciso è infatti un antico strambotto, ripescato nel vivo della tradizione napoletana dal musicista-etnologo Roberto De Simone. Naturalmente non è affatto bello a giudizio di Lorenzini e dei suoi collaboratori che, ben conoscendo la storia, sanno come andò tragicamente a finire. I “trecento giovani e forti” finirono per lugubre destino sotto i sassi, i forconi e le roncole di quei contadini miserrimi che, invece di porsi al loro fianco, li linciarono. Ma questa è una “ballata popolare” che non si ac- contenta di come andarono i fatti: ne ricerca e ne spiega il perché. Volge perciò decisamente le spalle alla retorica risorgimentale, ma non rinuncia, specie col sostegno dell’impianto mu- sicale, a puntare dritto al cuore e alla mente del pubblico. È un’analisi politica e di classe che si distende a ventaglio, così da fornire, sulla disperata impresa, i principali elementi di giudizio validi per l’epoca, e insieme prolungarne l’eco fino all’epoca nostra, che è poi l’unico modo di rendere veramente omaggio al sacrificio esemplare di Pisacane e dei suoi. Non c’è però alcuna meccanicità nei richiami contemporanei. Se ve- dendo l’eroe del film rigido sul tavolaccio di morte si pensa al “Che” ucciso e fotografato in Bolivia, l’analogia nasce naturale ed è priva di forzature». (Ugo Casiraghi «L’Unità» 5 marzo 1976)

Riportiamo i principali film dedicati Viva l'Italia (Roberto Rossellini, 1960) al Risorgimento Briganti italiani (Mario Camerini, 1961) Vanina Vanini (Roberto Rossellini, 1961) La presa di Roma (Filoteo Alberini, 1905) Il Gattopardo (Luchino Visconti, 1963) Amore e patria (Arrigo Frusta, 1909) I figli del leopardo (Sergio Corbucci, 1965) I Mille (Mario Caserini, 1912) Franco e Ciccio sul sentiero di guerra 1860 - I Mille di Garibaldi (Aldo Grimaldi, 1969) (Alessandro Blasetti, 1934) Nell'anno del Signore (Luigi Magni, 1969) Piccolo mondo antico (Mario Soldati, 1941) Correva l'anno di grazia 1870 Un garibaldino al convento (Alfredo Giannetti, 1971) (Vittorio De Sica, 1942) Bronte - Cronaca di un massacro che i libri di sto- Donne e briganti (Mario Soldati, 1950) ria non hanno raccontato Il tenente Giorgio (Raffaello Matarazzo, 1952) (Florestano Vancini, 1972) Eran trecento... La spigolatrice di Sapri Le cinque giornate (Dario Argento, 1973) (Gian Paolo Callegari, 1952) Allosanfàn (Paolo e Vittorio Taviani, 1974) Il brigante di Tacca del Lupo (Pietro Germi, 1952) Quanto è bello lu murire acciso Camicie rosse - Anita Garibaldi (Ennio Lorenzini, 1976) (Goffredo Alessandrini, 1952) In nome del Papa re (Luigi Magni, 1977) La pattuglia sperduta (Piero Nelli, 1952) (Luigi Magni, 1980) Senso (Luchino Visconti, 1954) In nome del popolo sovrano (Luigi Magni, 1990) Cento anni d'amore, episodio Garibaldina L'ussaro sul tetto (Jean-Paul Rappeneau, 1995) (Lionello De Felice, 1954) La carbonara (Luigi Magni, 1999) Viva l'Italia (Roberto Rossellini, 1960) Il Viceré (Roberto Faenza, 2007)