Filmcronache 1/20 ISSN 2723-9233 Filmcronache

GIÙ LA MASCHERA: VOLTI E STRAVOLTI TRA FINZIONE E REALTÀ

HIC ET NUNC. LA LENTE DEFORMANTE DELLA SETTIMA ARTE

BERLINALE, SOTTO IL SEGNO DEL CINEMA ITALIANO FELLINI IL SOFFIO NASCOSTO DELLA GRAZIA CENT'ANNI DI SOGNI E VISIONI FILMCRONACHE Rivista trimestrale di cultura cinematografica Prima Pagina ANNO XXXII - N. 153 GENNAIO / FEBBRAIO / immagine in copertina di Federico Fellini, sul primo numero MARZO del 2020 di Filmcronache, intende rendere omaggio al regista N. 1/2020 L’ riminese, nel centenario della nascita, e annunciare l’iniziativa congiunta di Ancci e Acec, intitolata proprio Fellini: il soffio nascosto Registrazione Tribunale della Grazia. Un progetto che, in collaborazione con la Cineteca di di Roma n.267/87 del 8-5-1987 Bologna, riporta sugli schermi delle sale della comunità e dei circoli del cinema, in versione restaurata, Lo sceicco bianco, I vitelloni, La Depositato presso il Registro dolce vita, 8½ e , pezzi pregiati di un universo cinematogra- Pubblico Generale delle opere fico traboccante di sogni e visioni e alimentato da un beffardo slan- protette l. 633/41 cio clownesco (come evidenzia nel suo saggio Stefania Carpiceci, Direttore Responsabile: ragionando su irriverenza e ribellione, inquietudine e malinconia), ma Paolo Perrone sostenuto anche da profonde indagini esistenziali, da sguardi com- passionevoli verso gli ultimi e da percepibili echi trascendenti (come Coordinatore editoriale: sottolineato da chi scrive, nel suo intervento critico, a proposito de Luigi Cipriani La dolce vita). A questi due contributi si aggiunge un terzo saggio, firmato da Alessandro Cinquegrani, che riflettendo su The New Pope Coordinamento digital media mette in comunicazione l’inesauribile orizzonte onirico dell’autore di Tiziana Vox Amarcord con le iperboli narrative ed estetiche del regista de La gran- de bellezza, osservando che se Fellini mette in scena l’esuberanza Grafica e impaginazione: della vita, Sorrentino costantemente la anestetizza. Yattagraf Srls I tre saggi che aprono questo numero di Filmcronache, invece, sca- turiti come di consueto dalle recenti visioni dei film in sala, sono de- Direzione e redazione: dicati al rapporto tra realtà e finzione. Nel testo introduttivo, France- ANCCI sco Crispino ‘toglie’ idealmente la maschera ai protagonisti di Joker, Via Aurelia, 796 Pinocchio, Hammamet, Volevo nascondermi, muovendosi tra ‘nor- 00165 Roma malità’ e ‘mostruosità’ e intercettando quella distanza che intercorre Tel. 06.440.2273 tra Persona e Personaggio. Allo steso modo, attraverso l’analisi di [email protected] lungometraggi come Stanlio e Ollio, Judy, Dolor y gloria, Rocketman, www.ancci.it Richard Jewell, Claudio Gotti e Matteo Marino svelano le tante facce Editore: del biopic, tra falsità, verosimiglianza, autenticità. Anna Pasetti, infine, ANCCI scavando in profondità in titoli come 1917, C’era una volta a Hollywo- Via Aurelia, 796 od, Parasite, La belle époque e I due Papi, sottolinea una volta di più 00165 Roma il ruolo di “lente deformante” spazio/temporale della settima arte. Tel. 06.440.2273 Ma in queste pagine trovano posto anche gli echi della Berlinale, [email protected] con il cinema italiano sugli scudi (grazie alla vittoria di Elio Germano www.ancci.it come miglior attore per Volevo nascondermi di Giorgio Diritti e all’Orso d’argento alla sceneggiatura consegnato a Damiano & Fabio D’Inno- Service Provider: cenzo per il loro Favolacce), e del Torino Film Festival. Un’edizione di TELECOM SPA con sede in Milano transizione, quella sotto la Mole (con un nuovo direttore già all’opera, Stefano Francia di Celle), sul filo della ricognizione esistenziale e alla In copertina: scoperta dei talenti emergenti. Buona lettura. Federico Fellini Paolo Perrone

Le Mans '66 (2019) di J. Mangold SCARICA L’APP di Filmcronache AUTOFOCUS I SAGGI TV, CINEMA E WEB: SCHERMI COMUNICANTI di Claudio Gotti e Matteo Marino

SOMMARIO

PRIMA PAGINA IN MEMORIA DI ME FILM AUTORI SPIRITUALITÀ 03 52 LA DOLCE VITA: IL SOFFIO NASCOSTO DELLA GRAZIA di Paolo Perrone AUTOFOCUS I SAGGI 06 GIÙ LA MASCHERA: VOLTI E STRAVOLTI IN MEMORIA DI ME FILM AUTORI SPIRITUALITÀ DEL CINEMA CONTEMPORANEO 62 THE NEW POPE: IPERBOLE FELLINIANA, di Francesco Crispino PROVOCAZIONE ERETICA O DIARIO INTIMISTA? di Alessandro Cinquegrani AUTOFOCUS I SAGGI 18 DOPPIO ERGO SUM: LE TANTE FACCE DEL BIOPIC di Claudio Gotti e Matteo Marino

VIAGGIO AL CENTRO DELLA TERRA I FESTIVAL 72 TFF, RITRATTI DI ESISTENZE AI MARGINI di Paolo Perrone AUTOFOCUS I SAGGI 28 HIC ET NUNC. LA LENTE DEFORMANTE DEL CINEMA di Anna Maria Pasetti

VIAGGIO AL CENTRO DELLA TERRA I FESTIVAL 82 BERLINALE: SOTTO IL SEGNO DEL CINEMA ITALIANO di Paolo Perrone e Anna Maria Pasetti IN MEMORIA DI ME FILM AUTORI SPIRITUALITÀ 40 FELLINI, PINOCCHIO E IL CLOWN di Stefania Carpiceci AUTOFOCUS I SAGGI AUTOFOCUS I SAGGI

GIÙ LA MASCHERA VOLTI E STRAVOLTI DEL CINEMA CONTEMPORANEO

Francesco Crispino

Conformazione e deformazione, polarità attraverso le quali assottigliare o, al contrario, accentuare la distanza che intercorre tra Persona e Personaggio. Cosa si nasconde dietro il trucco di Joker? E dietro al make-up di Favino/Craxi in Hammamet? E dove si colloca, tra “normalità” e “mostruosità”, il Pinocchio di Garrone?

il trucco non serve ad abbellire. il trucco serve a ricominciare. Sofia Dubois in The New Pope

Joker (2019) di T. Phillips

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Hammamet (2020) di G. Amelio

C'era una volta a... Hollywood (2019) di Q. Tarantino

I due papi (2019) di F. Meirelles

ell’immaginario che il cinematografo è Ferrari) realizza un “lavoro” diverso rispetto a stato in grado di produrre il trucco ha diventa ab origine aspetto fondante la nar- re con quello del personaggio. Può avere più quello di Vice, costruendo il proprio perso- Nsempre avuto un aspetto di rilievo. Sia razione audiovisiva, agisce insomma tra due (come nel ritratto di Dick Cheeney fornito da naggio attraverso la propria personalità piut- nel caso abbia riguardato esclusivamente polarità: quella della conformazione e quella Christian Bale in Vice di Adam McKay) o meno tosto che attraverso la mimesis. l’intervento di make-up, sia nel caso esso sia della deformazione. Estremità entro le quali consistenti interventi prostetici (come in quello Oltre a quelle citate, tra le recenti interpreta- stato combinato con effetti prostetici e/o digi- i volti/stravolti sembrano in realtà rivelare un di Papa Bergoglio restituito da Jonathan Pryce zioni ascrivibili a quest’area è doveroso citare tali (come avviene da venticinque anni circa). denominatore comune: quello di un’Identità ne I due papi di Fernando Mereilles), ma in almeno quella di Sharon Tate resa da Margot Nonostante, insomma, gli sia stato spesso transeunte che con il tempo è apparsa sem- quest’area espressiva il volto/corpo dell’attore Robbie in Once Upon a Time…. in Hollywo- assegnato un ruolo secondario, quando ad- pre più sfuggente, sempre più complicata da è contraddistinto da una sostanziale aderenza od di Quentin Tarantino e quella di Richard dirittura non marginale, appare lecito afferma- fissare. Il segno di questa comune ricerca, al personaggio riprodotto. Jewell resa da Paul Walter Hauser nell’omo- re che il trucco abbia inciso profondamente che nell’orizzonte contemporaneo si articola È proprio qui che si delinea la figura dell’“at- nimo film di Clint Eastwood, ma fa piacere nei 125 anni di produzione audiovisiva, in attraverso generi diversi e che collega alcuni tore-velina”, ovvero quella tipologia d’inter- riscontrare che due delle più significative quanto strumento privilegiato con il quale at- dei titoli più significativi della recente produ- prete che tende a ricalcare il modello. La cui siano state realizzate proprio da interpreti tore e regia sono intervenuti per misurare la zione, sembra delinearsi attraverso quattro vis mimetica tende insomma a prevalere sul- italiani. Ed è curioso notare come nel primo distanza tra la Maschera dal Volto. Per assot- diverse aree d’intervento. la personalità e il “lavoro sul personaggio” più caso, quello che riguarda Pierfrancesco Fa- tigliare o, al contrario, accentuare lo iato che appariscente rispetto a quello compiuto “su vino, siano arrivate quasi inaspettatamente, intercorre tra Persona e Personaggio. Un La mimesis forte se stesso”. Naturalmente ci sono attori che soprattutto da parte di chi non era a cono- intervento concertato che da sempre si di- La prima area è caratterizzata dalla conforma- appartengono a quest’area in maniera quasi scenza del suo talento imitativo. Tanto che è vide in due opposti atteggiamenti: quello at- zione del volto/corpo al modello dentro una esclusiva e altri che invece vi transitano tem- stata necessaria la collaborazione con due traverso il quale si prova ad adattare il corpo cornice narrativa sostanzialmente realistica. Vi poraneamente, come dimostra l’interpreta- riconosciuti maestri del nostro cinema per dell’attore al modello, e quello attraverso cui confluiscono dunque figure realmente esistite/ zione di Ken Miles resa dallo stesso Bale per cambiare di segno a una carriera già impor- si sceglie invece di alterarlo, completamente esistenti, sostenute da performance attoriali Le Mans ’66 di James Mangold. Qui infatti tante, benché caratterizzata da personaggi o in parte, per marcarne la differenza. Tale caratterizzate dall’imitatio e da un trucco fina- l’attore britannico (similmente a Matt Damon perlopiù di fantasia e, soprattutto, da un so- concertazione, di origine teatrale, ma che lizzato a omogeneizzare il volto/corpo dell’atto- su Carroll Shelby e a Remo Girone su Enzo stanziale “mimetismo debole” nei rari casi in

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cui l’attore romano si è trovato a interpretare cendone il congenito rachitismo attraverso la personaggi esistiti, come ad esempio Giu- camminata e le posture, il disagio psichico seppe Pinelli nel Romanzo di una strage di mediante gli sguardi perturbanti, il retaggio Marco Tullio Giordana (2012), o il “libanese”, nativo nell’assunzione di una cadenza lingui- il personaggio ispirato a Franco Giuseppucci stica in cui il dialetto reggiano viene frantu- nel Romanzo criminale (2005) firmato da Mi- mato dagli echi dello svizzero tedesco. chele Placido. Tuttavia il suo Bettino Craxi in Hammamet, an- La mimesis debole cor più del già notevole Tommaso Buscetta Anche quest’area è contraddistinta dalla con- de Il traditore, è un personaggio emblematico formazione, ma si differenzia dalla precedente di questa prima opzione. Non solo perché at- per via della cornice (perlopiù fantastica) e so- traverso il meticoloso studio posturale, vocale, prattutto per quel tipo d’interpretazioni in cui la gestuale dell’attore, il personaggio del politico personalità dell’attore sopravanza l’aderenza milanese sembra letteralmente riprendere vita fisiologica. Vi confluiscono sia le interpretazioni sullo schermo, quanto perché la concertazio- di personaggi riconoscibili benché di fantasia ne Favino/Amelio/Andrea Lanza (il make-up (come ad esempio molti dei personaggi dei artist che ha coordinato le lunghe sessioni di fumetti oppure quelli che già appartengono trucco cui si è sottoposto l’interprete romano) a un immaginario cinematografico), sia quel- è riuscita a dare al personaggio una profon- le che intendono riprodurre figure realmente dità imprevedibile quanto spiazzante. Tale da esistite/esistenti, ma la cui Identità viene di consentire addirittura la riemersione di antichi fatto rigenerata da parte di chi viene chiamato risentimenti e mai sopiti rancori nei confronti a interpretarle. È l’area in cui si muove l’“at- del “Presidente”, nonostante la caratteristica tore-persistente”, ovvero quella tipologia d’in- primaria di Hammamet risieda proprio nella terprete capace di “resistere” al personaggio scelta di occultare l’aspetto politico in favore e a farlo proprio, che dunque non si adatta di quello esistenziale. Un simile approccio al all’involucro cui di volta in volta cerca di dar personaggio si trova anche nella costruzione vita ma, al contrario, prova a forgiarlo secondo del protagonista del film di Bellocchio, con la le proprie caratteristiche fisiche e/o emotive. sola differenza che qui gli interventi prostetici Il caso più eclatante di questa seconda op- sono minori. Al punto che sembra lecito pen- zione è certamente l’interpretazione di Joker sare al “lavoro” compiuto da Favino su questi resa da Joaquin Phoenix nell’omonimo film due personaggi come a un formidabile dittico diretto da Todd Philips. La sua straordinaria sul “mimetismo forte”. prova d’attore, infatti (celebrata con l’Oscar, Seppur con interventi di make-up meno il Golden Globe, il Bafta e numerosi altri rico- macroscopici, anche l’interpretazione di An- noscimenti), pur essendo costruita amalga- tonio Ligabue resa da Elio Germano per Vo- mando ispirazioni e materiali diversi, identifi- levo nascondermi di Giorgio Diritti rientra in cazione e astrazione, non dà mai l’impressio- quest’area ed è da considerarsi allo stesso ne di allontanarsi dall’imprinting dato al per- livello di quelle già citate. Non tanto per la si- sonaggio. Se infatti nelle origini del celebre mile meticolosità con cui l’attore si avvicina al supercriminale che il film narra si ritrovano proprio personaggio, né per la densa qualità elementi presi da Batman (The Killing Joke, emozionale che riesce a infondervi, quanto l’albo a fumetti del 1988 ideato da Alan Moo- per la sua capacità di restituirne l’anima at- re) e nella performance attoriale confluiscono traverso pochi ma essenziali tratti. Riprodu- tratti di altri mirabili Joker (soprattutto quelli Pinocchio (2019) di M. Garrone

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di Jack Nicholson nel Batman di Tim Burton quale realizzare quella fissità indispensabile a calano nei propri personaggi definendoli (e e di Heath Ledger ne Il cavaliere oscuro di contrastare le derive compulsive del Sogget- arricchendoli) attraverso le proprie personali- Christopher Nolan), così come di alcuni me- to. Il trucco dunque qui finisce per assumere tà, anche a dispetto di una articolata elabo- morabili personaggi del cinema di Scorsese una valenza diversa, pressoché opposta ri- razione digitale in cui la Maschera è prodotta prodotto negli anni in cui è ambientato il film spetto ai casi citati, laddove intende denun- direttamente dall’intervento sul Volto. Un inter- (il Rupert Pupkin di The King of Comedy e ciare piuttosto che occultare la distanza che vento di ringiovanimento che, al di là della sua il Travis Bickle di Taxi Driver), nella trasfor- separa la Maschera dal Volto, dar risalto alla qualità, tuttavia non convince pienamente, mazione di cui è protagonista Arthur Fleck patologica risata per restituire la sofferenza perché finisce per mettere in evidenza la con- la personalità di Phoenix rimane comunque che la produce. traddizione con il corpo, colto nel suo flagran- Gli anni più belli (2020) indenne e ben riconoscibile. Tanto che, in A quest’area appartengono anche altri grandi te invecchiamento. di G. Muccino considerazione della componente metaper- personaggi di recente creazione, a comincia- In quest’area rientrano anche le interpretazio- formativa di cui il film di Todd Philips è intriso, re dal trittico attraverso il quale si dispiega la ni che si rispecchiano con quelle di prece- si può leggere Joker anche come un’opera fluviale narrazione di . Sia infatti denti versioni del medesimo personaggio. Vi incentrata sul “lavoro” dell’attore. Nella quale il protagonista (nei panni del troviamo prove più o meno riuscite, ma che cioè, fin dalla prima emblematica sequenza, sicario di Cosa Nostra ), sia i comunque risultano sempre interessanti se to a quello dei due casi sopracitati. Se infat- la costruzione del personaggio deve neces- co-protagonisti (in quelli del ma- messe a confronto. Tra le prime vale la pena ti è vero che il dodicesimo lungometraggio sariamente passare attraverso il conflitto tra fioso ) e (in quelli ricordare quella di Antonio Barracano resa da di Gabriele Muccino si rifà esplicitamente a le pulsioni esterne (provenienti dalla società del controverso sindacalista ) si Francesco Di Leva nella versione de Il sinda- C’eravamo tanto amati, l’inevitabile raccordo che lo circonda) e quelle interne co del rione Sanità firmata da Mario Martone, tra Ristuccia e Gianni Perego, il personaggio (la soggettività dell’interprete). E perché l’attore napoletano riesce a riprodurre interpretato da Vittorio Gassman nel film del che in tal modo designa il corpo rispettosamente l’interpretazione di Eduardo 1974, fa rilevare come nella calibratura del dell’attore come il luogo dove tale pur sapendosene comunque emancipare. personaggio del film del 2020 sussista e si conflitto accade, e la maschera Tra le seconde invece appare significativa riverberi più di un elemento pronto a evocare come l’abito sociale attraverso il quella di Giulio Ristuccia de Gli anni più belli, il protagonista del capolavoro di Scola. Sen- interpretato ancora da Pierfrancesco Favino, za però legittimare la sensazione che il primo ché qui però esegue un lavoro diverso rispet- sia mimeticamente modellato sul secondo.

Le Mans '66 (2019) di J. Mangold

Batman (1989) di T. Burton

The Irishman (2019) di M. Scorsese

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La caricatura straniante più o meno velata satira in chiave politica La terza area è invece contraddistinta dalla e/o sociale (come ad esempio i protagonisti deformazione del volto/corpo all’interno di di Loro di Paolo Sorrentino). Proprio l’opera una cornice narrativa di matrice perlopiù re- dell’autore de La grande bellezza è d’altron- alistica, caratterizzata da una connotazione de costellata da tali figure, a cominciare da umoristico/satirica e dunque da un registro quelle ritratte ne Il divo (2008), sorta di ope- brillante, comico o addirittura grottesco. Vi ra-chiave di quest’area, in quanto rappre- confluiscono figure realmente esistite/esi- senta una svolta non solo per la carriera del stenti, sostenute da performance attoriali so- cineasta partenopeo, ma anche per questa pra le righe o connotate da uno “straniamen- precipua modalità di rappresentazione del to” di matrice brechtiana e da un trucco fina- personaggio. Tanto da rendere Toni Servillo lizzato ad un’alterazione fisiognomica. Sono i una sorta di attore-simbolo di questa terza casi appunto in cui i personaggi sono resi in opzione, a dispetto di una galleria piena di maniera caricaturale sia quando rappresen- memorabili interpretazioni il cui denominatore tano una semplice canzonatura (come l’Hitler comune sembra essere dato dalla prevalen- interpretato da Taika Waititi in JoJo Rabbit), za della personalità dell’attore su quella del sia quando sono invece l’espressione di una personaggio. Sia l’Andreotti de Il divo che il

Jojo Rabbit (2020) di T. Waititi

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Berlusconi di Loro sono in tal senso il dell’arte” e in essa sembra ben inse- risultato della “medesima operazione rirsi l’ultimo cinema di Matteo Garrone. 1 espressionista di ‘mascherificazione’” , In Pinocchio, come in parte già ne Il dove il tono straniante della recitazione racconto dei racconti (2015), molti dei e l’intervento prostetico perseguono il personaggi vengono infatti sottoposti medesimo obiettivo: quello di marcare a un’elaborazione in chiave zoomorfica la differenza nell’aderenza. Che è, ap- (dove i trucchi prostetici sono mescolati punto, il principio della caricatura. a interventi digitali). Modalità che, se da Seppur con una formalizzazione com- una parte alleggerisce gli interpreti dall’i- pletamente diversa, a questa stessa dentificazione sganciandoli dall’opzione area appartengono anche i personaggi/ della reviviscenza, dall’altra finisce per persone del cinema di Franco Maresco, fissarli appunto in “tipi”. Un’operazione soprattutto quelli che sono i protagonisti con esiti disomogenei (positiva nel caso del mirabile dittico Belluscone, una sto- della volpe/Massimo Ceccherini, meno ria siciliana (2014) e La mafia non è più felice in quella del gatto/Rocco Papaleo come quella di una volta (2019). Qui in- ad esempio), tesa a restituire la dimen- fatti l’operazione del regista palermitano sione del “maraviglioso” di cui è intriso si realizza nel trasformare in maschere i il romanzo e nella quale si ravvisano veri volti dei suoi “eroi” (l’immarcescibile elementi di continuità e di discontinuità Ciccio Mira; lo “stonato” Cristian Miscel). rispetto al percorso dell’autore. Se da Un’operazione la cui originalità sta nel una parte tali interventi sembrano infatti partire dal reale per declinarlo in chiave proseguire, seppur sotto un segno di- Loro (2018) di P. Sorrentino La mafia non è più quella di una volta (2019) di F. Maresco grottesca, utilizzare l’istanza documen- verso, la mostrificazione che connota taria per portarla alla deflagrazione in un quasi tutto il suo cinema (escludendo orizzonte surreale. cioè l’iniziale “trilogia romana”), dall’al- tra la dimensione illustrativa sembra qui La caricatura tipizzata occultare la vis allegorica, la normaliz- Anche la quarta e ultima area è contrad- zazione del “diverso” quella della forza distinta dalla deformazione del volto/ scaturita dalla sua alterità. corpo e si differenzia dalla precedente Che sia ingannevole, pronta dunque a per la cornice narrativa (perlopiù fan- mettersi al servizio di quella “capacità di tastica), la chiave antinaturalistica e un mentire” che per Antonioni era la prima registro narrativo dove il fantasy si me- caratteristica del cinema, o il mezzo per scola indistintamente con il dramma disvelare, riconoscendolo, il Falso, op- e/o la commedia. Qui le figure sono pure lo strumento per separare gli abissi quasi esclusivamente di finzione e qua- dell’Io da quelli della società con la quale si mai dotate di una propria individuale si deve confrontare, in ogni caso la Ma- psicologia, così che le interpretazioni schera porta sempre con sé la propria sono modellate sulla tipologia alla qua- ombra. Un riflesso oscuro che finisce le appartiene il personaggio e il trucco sempre per agire sul senso profondo finalizzato per omogenizzare il volto al del testo. Facendolo implodere, slittare, “tipo”. È l’area più vicina alla (o addi- ribaltare. Tanto da rendere semplice ri- rittura discendente dalla) “commedia trovare nei volti/stravolti che emergono dalla recente produzione cinematografi- ca gli echi della lezione pirandelliana, lì a 1 Cfr. Francesco Crispino, Loro, in Vero, falso, reale. Il cinema di Paolo Sorrentino, a cura di Belluscone - Una storia siciliana (2014) di F. Maresco Il divo (2008) di P. Sorrentino ricordarci di non identificare mai l’essen- Augusto Sainati, ETS, Pisa 2019 za con l’apparenza.

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Falsità, verosimiglianza, autenticità: i raddoppi (auto)biografici DOPPIO ERGO SUM: di Stanlio e Ollio, Judy, Dolor y gloria, Rocketman e l’ambiguità LE TANTE FACCE del reale e le manipolazioni del potere in Richard Jewell DEL BIOPIC

Claudio Gotti e Matteo Marino

Rocketman (2019) di D. Fletcher

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Judy (2019) di R. Goold

gandolfo e addirittura all’interno della Cap- pella Sistina? Ne esce un ulteriore doppio: i papi (uno in carica, l’altro futuro), con tutto il peso delle loro funzioni, e gli uomini nella loro intimità. Assistiamo dapprima a un tête- à-tête teologico a suon di citazioni bibliche, massime spirituali e idee sulla direzione della Chiesa, per passare poi al rivangamento nei rispettivi passati, fino alla reciproca, com- movente confessione di segreti e dolori per- sonali, hobby (il pianoforte e il tango), errori e cadute. Che quello di cui siamo stati tutti testimoni nel 2013 sia toccato in sorte a due personalità così diverse e distanti non poteva essere più emblematico (nel finale vediamo i due uomini biancovestiti fare il tifo davanti alla tv: Germania vs. Argentina ai mondiali) e Stanlio e Ollio (2019) di J. S. Baird non poteva andar meglio ai fini della dram- matizzazione. Non spoileriamo la questione del ‘segno’ atteso dal futuro prete Bergoglio e dal futuro dimissionario Ratzinger perché è ealtà/finzione: un accostamento nel Il mistero di un’intimità il gancio più potente del film. quale non dovremmo leggerci un’insa- e il prezzo da pagare C’è tanto doppio all’opera anche in Stanlio Rnabile dicotomia, una contrapposizione Realtà e finzione vanno sempre a braccetto, e Ollio. “Io ho amato noi due”. “Tu hai amato nemica, con un vincitore e un vinto, ma for- si ispirano e sostengono a vicenda, hanno Stanlio e Ollio ma non hai mai amato me”. se una costante e fruttuosa dialettica, un po’ bisogno l’una dell’altra, sono una coppia Sembrerebbe quasi che stiano per fare i come tra il corpo e l’anima, e che al cinema si consolidata e formidabile. E proprio due loro personaggi anche fuori scena, Laurel & fa sentire soprattutto nei biopic, tra aderenza coppie, entrambe epocali, sono protagoni- Hardy, ma non è una gag: stanno litigando alla realtà e verosimiglianza, didascalismo e ste di due biopic recenti: una leggendaria, sul serio. Una crisi interna al duo comico intonato surrealismo, precisione nella ricostru- Stanlio e Ollio, l’altra contemporanea e cla- esplosa nel 1953, durante una faticosa tour- zione storica e incursioni nel fantastico, storie morosa, I due papi. Nel secondo caso trat- née teatrale attraverso il Regno Unito avve- vere ed esigenze narrative. tasi proprio di un doppio, come evidenzia il nuta alla fine della loro carriera, per dire che Vivir para contarla, scriveva García Márquez. disarmante titolo: praticamente mai visti due dietro al fortunato sodalizio professionale ci Abbiamo un insopprimibile bisogno di storie pontefici nello stesso tempo (l’ultimo a rinun- sono uomini diventati negli anni amici fraterni e la vita può avere chiavi di lettura e fil rou- ciare prima della morte fu Gregorio VI nel sperimentando tutte le dinamiche tipiche di ge, nascondere una sceneggiatura (spesso 1046). Il film mette insieme Bergoglio e Rat- una coppia (affiatamento, complicità, logorio, più di una), con i suoi spostamenti nelle varie zinger prima delle dimissioni di quest’ultimo, tradimenti, rinfacci). Come ne I due papi, an- location, le frasi che ci rimangono addosso, un incontro impossibile nel senso che non è che qui si scandaglia il mistero di un’intimità la distorsione, voluta o meno, dei fatti che ci mai avvenuto storicamente, ma verosimile a e il prezzo che le esistenze private di questi riguardano quando li riferiamo o li ricordiamo, partire da quanto conosciamo: le differenze personaggi devono pagare. E se c’è un in- e gli immancabili colpi di scena: tutti i giorni di provenienza, di carattere, di stile comuni- dubbio magistero universale del duo comi- siamo su un palco e abbiamo una parte. Sca- cativo e di visione ‘politica’ dei due, e il fat- co più famoso di tutti i tempi, probabilmente lette e schemi del quotidiano, questo impo- to che, nel conclave che elesse Ratzinger, c’è del comico e dell’attoriale anche nel duo starsi per autorappresentarsi, non sono forse Bergoglio era il più votato dopo di lui. Sulla papale. In entrambi i film affetto profondo e la necessaria finzione che fa compagnia alla base di quanto noto, cosa succederebbe se compassione umana, nonché l’apertura a nostra identità più profonda? E anche lì, l’io li rinchiudessimo per una manciata di giorni, una visione alternativa data dal confronto non esiste forse proprio come racconto? loro due soli, negli appartamenti di Castel- con l’altro, avranno la meglio. La falsariga del

Rocketman (2019) di D. Fletcher 20 film cronache film cronache 21 AUTOFOCUS I SAGGI AUTOFOCUS I SAGGI

discorso di coppia e di doppio è confermata, in Stanlio e Ollio, dalla presenza delle rispetti- ve mogli, che si intrattengono spiritosamente con gli spettatori durante un intervallo: “Due coppie comiche al prezzo di una”.

La verità oltre il vissuto individuale Dialettica proficua fin dal titolo anche nell’ulti- mo lavoro di Pedro Almodóvar, che si svilup- pa nel doppio cinematografico per eccellen- za: il film nel film. Un preciso episodio (per- duto, rimosso, sepolto nell’inconscio) ritorna improvvisamente a galla nella vita di un regi- sta di successo alla deriva, stanco di dover convivere con malattie fisiche e disagi psico- logici. È una sorta di Rosebud (vedi Quarto potere) che qui ha però il potere incredibile di riavvolgere tutto il nastro e riportare l’uomo ai nastri di partenza, pronto a dare il ciak al suo nuovo film sulla sua infanzia povera in campagna. Sempre a proposito del rapporto realtà/finzione e a riprova dell’inutilità di una mera cronistoria, tagliando definitivamente la testa al toro, Almodóvar ha dichiarato che il tasso di autobiografia che c’è in Dolor y gloria sul fronte dei fatti è il 40 per cento, ma per quello che riguarda un livello più profondo si tratta del 100 per cento. Ed è così non solo per lui, se alcune scene fanno venire no- stalgia a noi spettatori e ci emozionano for- temente: il canto delle donne che lavano le lenzuola al fiume e le stendono sui cespugli, l’affetto della mamma che ritorna (evidente- mente il bravo Pedro sulla madre non aveva detto “tutto”), l’autenticità della vita paesana dove ci si scambiavano favori senza soldi, lo svenimento di un bambino di fronte all’appa- rire della bellezza. Chi, come il regista, non porta indelebilmente impressa nella testa l’immagine dell’oggetto del proprio personale “primer deseo”? C’è una verità che va oltre il vissuto di una singola persona. Il tema del doppio è presente anche in Judy. C’è una sequenza, nel classico È nata una stella, in cui Esther Blodgett (Judy Garland), Stanlio e Ollio (2019) di J. S. Baird

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Richard Jewell (2020) di C. Eastwood

Dolor y gloria (2019) di P. Almodóvar

voce da contralto inimitabile ma “naso orribi- segnata. È nata una stella non è un biopic ma le”, prima del suo debutto con il nome d’arte racconta molto di Judy Garland, mischiando Bridget Jones, la difficoltà di emanciparsi da Partiamo lo stesso da una curiosità musica- di Vicki Lester è sottoposta dai severi truc- le carte in tavola: se nel film è Norman Maine quel ruolo, i flop, la depressione, lo sciacal- le: Clint Eastwood che dirige una scena in cui catori di Hollywood a un restyling completo, a essere considerato un divo finito, inaffida- laggio mediatico per la chirurgia plastica, l’as- tutti ballano e cantano Macarena è una cosa con dischi di gomma e capsule per aggiu- bile per i ritardi, le bizze da star e l’alcolismo, senza dal cinema per sei anni prima di Judy) incredibile (e disturbante), ma è successa starle naso e denti. Quando il suo pigmalio- nel 1954 era Judy Garland a essere nelle sue che fanno sì che Renée Zellweger interpreti davvero nell’ultimo film del regista dagli occhi ne, il famoso attore Norman Maine, la incon- condizioni e a tornare sulle scene dopo alcuni in un certo senso anche la propria sofferen- di ghiaccio. Beh, preparate a inumidirveli per tra prima del ciak, non la riconosce neppure, anni di assenza perché licenziata dalla MGM za; in secondo luogo perché non ricorre a un l’indignazione e la commozione, gli occhi, e si affretta a congedarsi da lei. Solo senten- e psicofisicamente sofferente. Si sarebbe ri- make-up prostetico ma riproduce i tic, i ge- perché il film si basa su una storia incredibile dola parlare capisce che sotto quel masche- alzata (con quella che è probabilmente la sua sti, la postura, la mimica facciale della diva, (e disturbante) che è successa davvero, la rone c’è Esther, e allora la prende per mano, migliore performance di sempre), ma sarebbe una recitazione manierata che però funziona, storia dell’uomo che, grazie al suo puntiglio le toglie tutte le protesi e le dice di truccarsi caduta di nuovo, più volte. perché nella sua evidenza quasi meccanica e alla sua maniacale fiducia nelle procedure come fa tutti i giorni, perché è quella la fac- Il biopic Judy, tratto dal dramma teatrale End denuncia quanto quella dell’attrice sia una vita (chiamiamola pure pedanteria), sventò l’at- cia che lui ama e che il pubblico amerà. A of the Rainbow e ambientato nel 1968 (a costantemente in performance, dove si perde tacco terroristico di Atlanta nel 1996 ma fu Judy Garland (pseudonimo di Frances Ethel qualche mese dalla sua morte per intossica- il confine tra l’emozione riprodotta e l’emozio- poi indagato dall’Fbi e perseguitato dai me- Gumm) è successo lo stesso, solo non così zione da barbiturici in un lungo arco di tempo), ne provata. E il finale (inventato) è una licenza dia, passando nel giro di tre giorni da eroe velocemente: dopo il successo de Il mago ci mostra l’attrice e cantante nel suo momen- poetica che commuove (non facciamo fatica a perfetto sospettato senza uno straccio di di Oz ci sarebbero voluti dodici film (e il suo to più basso, alcolizzata, impasticcata, inde- a immaginare la sua efficacia a teatro). prova: semplicemente, era un trentatreenne incontro con il futuro ex marito Vincente Min- bitata, senza fissa dimora e in lotta con l’ex frustrato e obeso che viveva con la mamma, nelli) prima che potesse mostrare la sua vera marito per la custodia dei figli. Se il film risulta La resistenza quotidiana dei fragili ma forti per niente telegenico eppure all’improvviso faccia sul grande schermo. L’arte che imita la piuttosto convenzionale nella scrittura e nella Se a Judy basta il nome, l’argomento di Ri- sotto i riflettori, insomma corrispondente al vita, rendendola più sopportabile. Nella realtà, regia, l’interpretazione di Renée Zellweger lo chard Jewell rimane oscuro ai più anche con profilo di qualcuno capace di posizionare le cicatrici delle diete ferree, del trucco pe- trasfigura: in primo luogo per i punti di contat- l’aggiunta del cognome: da una diva arrivia- uno zaino-bomba solo per prendersi il merito sante e dell’abuso di farmaci ormai l’avevano to tra le biografie delle attrici (la celebrità con mo infatti a parlare di un uomo qualunque. di aver scongiurato una strage.

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Eastwood denuncia le vero e proprio musical, ne ha la Judy (2019) di R. Goold gogne mediatiche e l’ot- struttura e le convenzioni, e ciò tusità dell’Fbi, concen- permette di utilizzare le canzoni trandosi su personaggi fuori cronologia e in modo crea- tutti ai margini (lo stesso tivo, significativo; il fatto poi che Richard Jewell (2020) di C. Eastwood coprotagonista è un avvo- la storia sia tutta raccontata in cato di seconda catego- prima persona dal protagonista consente ria), stritolati da un sistema anche una riflessione sul rapporto tra verità che controlla e distrugge non ha però alcuna intenzione di ritrattare: e bugie volute, anche se dalle gambe cor- gli individui (in perfetta sintonia con il pen- per lui il giornale è colpevole di aver impicca- te, nei biopic (“Non ho mai litigato con il mio siero anarco-libertario del regista), i quali to Richard in pubblico, spacciando supposi- paroliere Bernie Taupin neanche una volta tuttavia, pur con i loro difetti (Richard non zioni per fatti. in tutta la vita”, sì, certo. Per inciso, un’altra è immediatamente amabile, ma alla fine coppia ben raccontata, un rapporto di amici- lo ameremo), conservano la loro dignità e Vite da star, sotto le luci (abbaglianti) zia profonda e collaborazione professionale, la loro etica. È la resistenza quotidiana di dei riflettori non esente da conflitti e fraintendimenti). 2) personaggi fragili ma in fondo forti raccon- Torniamo infine alle stelle, e agli uomini co- L’interpretazione: Rami Malek, con una pro- tata dal cinema vs. lo storytelling fragile ma muni da cui hanno origine. Un altro doppio, tesi dentaria pesante, sceglie di cantare in ammantato di autorevolezza costruito dai due vite cinematografiche che sembrano playback e di rassomigliare il più possibile poteri forti. Il montaggio parallelo che ci fa parallele ma sono invece intrecciate. Da una all’originale Freddie Mercury (portandosi a vedere da una parte Michael Johnson (il parte Bohemian Rhapsody (sceneggiato da casa un Oscar e un Golden Globe); Taron primo e tuttora unico velocista a vincere i Anthony McCarten, lo stesso de I due papi), Egerton (Golden Globe, ma neanche candi- 200 e i 400 metri piani nella stessa edizio- film slavato dalla lavorazione travagliata (il re- dato all’Oscar) sceglie un trucco meno inva- ne dei Giochi olimpici) e dall’altra l’avvoca- gista Bryan Singer, licenziato a riprese quasi sivo e canta in prima persona tutti i pezzi, su to che cronometra il tragitto dalla bomba finite, sostituito da Dexter Fletcher), diventato consiglio di Elton John, senza imitarlo, e ciò alla cabina telefonica, di fatto scagionando inaspettatamente il biopic musicale di mag- acuisce la consapevolezza di stare assisten- Jewell, è un modo straordinario per ricor- gior successo della storia del cinema, domi- do a una ricostruzione. Rendendo la nostra darci che ci sono gesta riconosciute da nato da uno storytelling che distorce i fatti per partecipazione non solo nostalgico-emotiva, tutti e gesta invisibili, campioni ed eroi al di farli entrare nella sua struttura da trappolone con l’ulteriore effetto di mettere al centro non là delle riprese di una telecamera e di una emotivo, un retcon edulcorato e inattendibile tanto la star quanto l’uomo, dietro gli occhiali notizia sul giornale. (a tratti però trascinante) della vita di una star sgargianti e le paillettes, sparato a razzo nello Tuttavia Richard Jewell, nel suo basarsi e della band che gli è sopravvissuta (e ha show business. Un uomo che non è chi, a sulla vita di persone realmente esistite ma preteso il controllo dell’operazione cinemato- casa, pensano che sia. con un’inevitabile dose di finzione, è cadu- grafica). Dall’altra Rocketman, film coloratis- to nella contraddizione di creare a sua volta simo diretto dallo stesso Dexter Fletcher, di un suo “Richard Jewell” contro cui puntare discreto successo, il cui storytelling celebra, Rocketman (2019) di D. Fletcher il dito: la caratterizzazione del personaggio sì, l’icona pop, ma condensa o romanza i di Kathy Scruggs, la giornalista dell’Atlanta fatti (sempre però a partire dai dati reali: si Journal-Constitution che per prima aveva consiglia la lettura dell’autobiografia Me Elton reso pubbliche le accuse mettendo in moto John) per rendere conto della verità emotiva la macchina del fango, ha suscitato diverse e psicologica di un ragazzo prodigio che è reazioni negative, prima tra tutte quella dello sopravvissuto alle sue tante dipendenze (al- stesso giornale, che ha minacciato di adire le cool, droghe, sesso, shopping, approvazio- vie legali per diffamazione. La scena incrimi- ne) e al suo stesso mito, venendo a patti con nata è quella (inventata, ma simbolica della un’infanzia priva di affetto. prostituzione dei media) in cui la reporter si La differenza la fanno 1) il genere: mentre concede sessualmente in cambio della sof- Bohemian Rhapsody è più dalle parti del fiata su Jewell. Lo sceneggiatore Billy Ray film concerto (ricostruito), Rocketman è un

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Scoprimmo che gli specchi hanno qualcosa di mostruoso (…) perché moltiplicano il numero degli uomini. Jorge Luis Borges, Finzioni

HIC ET NUNC. LA LENTE DEFORMANTE DEL CINEMA

Anna Maria Pasetti

Il viaggio di filtri e specchi attraverso spazio & tempo, realtà & finzione:1917 , C’era una volta a Hollywood, Parasite, i film premiati agli Oscar. Ma anche La belle époque e I due Papi

Parasite (2019) di B. Joon-ho

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pazio, tempo, realtà e finzione. È un spazio ed ancora la realtà nella finzione & la film, si rende necessaria la comprensione di viaggio rischioso quello che la nostra finzione nella realtà traducono la complessità come il dispositivo-lente attraversa i concetti Smente si costringe a fare quando è magmatica della significazione immaginaria sopra enunciati. Di fatto, sono proprio le lenti spinta negli ambienti concettuali fondativi dalla quale si sono originate, e sulla quale cinematografiche, che agiscono secondo un dell’universo, e che quindi riguardano l’origi- continuano a ragionare, le teorie del cinema. punto di vista stabilito, a rielaborare e rime- ne omnium rerum, l’essere umano incluso. Da tali relazioni imprescindibili, e con l’ausi- scolare le “grandezze base” della fisica teo- Quale dispositivo di rappresentazione e ri- lio delle arti pre-esistenti, è disceso un altro rica (spazio/tempo), filtrando e specchiando produzione del mondo reale o immaginato in concetto fondativo per la comprensione la realtà osservata secondo prospettive pro- movimento, il cinema (e per estensione l’au- della testualità audiovisiva: il punto di vista, prie, e facendosi dunque carico di una re- diovisivo) può dirsi ontologicamente costitui- il quale evoca il basilare dualismo di ordine sponsabilità in-formante o de-formante del to di e su queste categorie, fisiche e metafi- filosofico (e successivamente psicologico/ tutto arbitraria, che viaggia sulle “parallele siche, che ha rielaborato ex novo per farne, psicanalitico) soggetto/oggetto. In materia convergenti” dei padri fondatori del cinema, hic et nunc, il proprio territorio di significazio- di rappresentazione cinematografica le due i fratelli Lumière e Georges Méliès. Se dun- ne. Se è vero che “il tempo è materia dell’e- istanze non solo si specchiano nello scam- que il film documentario opta per la lente spressione cinematografica”1 questa insiste bio circolare osservatore ↔ osservato, ma in-formante rispetto alla realtà rappresentata, su uno spazio del sensibile/percepibile la cui giungono a (con)fondersi e moltiplicarsi in quello cosiddetto “di finzione” o “feature film” esibizione varia in termini di aderenza/fedeltà una pluralità che ruota attorno al tema dell’I- vi si pone in ottica de-formante, e questo alla res rappresentata, invocando così le al- dentità. È il testo, in ultima analisi, a tenere senza necessariamente intaccare o infran- tre due categorie, realtà e finzione, il cui rap- insieme la fluida materia della (s)oggettivi- gere un eventuale “contratto di verosimiglian- porto informa gli antichi ed eterni paradigmi tà, in altre parole esso “appare soprattutto za” siglato con lo spettatore. A prescindere di riferimento di ogni narrazione artistica. In tal come un meccanismo di costituzione dell’i- dal grado di in/de-formazione attivato dalla senso ed in estrema sintesi nonché semplifi- dentità del soggetto fruitore. Identità costitu- lente cinematografica, essa aggiunge alla cazione, lo spazio nel tempo & il tempo nello ita in primo luogo attraverso il gioco di ruoli funzione di filtro quella fondamentale e già cui il testo costringe: gioco di spossessa- mento, simulazione, assunzione e 1 Gianfranco Bettettini, Tempo del senso. La logica cambio di voci e di maschere”2. Le temporale dei testi audiovisivi, Bompiani, 1979, p. 21. premesse preludono a quanto può definirsi una delle grandi vocazioni 1917 (2019) di S. Mendes I due papi (2019) di F. Meirelles del cinema all’interno dell’universo audiovisivo: attraverso uno spazio/ tempo sancire la propria funzione di grande mediatore fra la realtà e la finzione.

Una mediazione resa possibile grazie all’uso della lente E’ proprio tale dispositivo ottico, autentico luogo centrale del se- gno cinematografico, il punto di partenza da cui proporre delle riflessioni su alcune opere re- centi d’indubbio valore artistico nonché di interesse semiologico/ linguistico. Previa all’analisi dei

2 Fausto Colombo e Ruggero Eugeni, Il testo visibile. Parasite (2019) di B. Joon-ho Teoria, storia e modelli di analisi, NIS, 1996, p. 102

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citata di specchio. Se è ovvio che questo sia il sitivo-cinema) de-formante (quindi di finzione) governatore della relazione reciproca sogget- che filtra e specchia sia un soggetto ancorato to/oggetto in ogni forma di rappresentazione a fatti storici passati o in corso di accadimento di tipo iconico, è altrettanto naturale indicarlo (history), sia un soggetto originale (story). Su quale generatore del doppio, figura retorica tale materiale la lente agisce sul “quadrilate- sovrana del linguaggio audiovisivo (e chia- ro” spazio nel tempo & il tempo nello spazio ramente non solo) incarnata dal significante e realtà nella finzione & finzione nella realtà immaginario3 che, riflesso su uno schermo ci- in alcuni film contemporanei con gradazioni/ nematografico o televisivo, va a compensare angolature di filtro/specchio diversamente in- l’assenza della materia, del corpo della realtà. teressanti, dando corpo a un hic et nunc (ri) Sommando le tracce teoriche sopra sintetiz- visitato in chiavi originali. zate è ora possibile formulare ipotesi di ap- plicazione concreta, partendo appunto dalla Una lente sulla Storia: lente cinematografica (metonimia del dispo- deformazioni in progress

Se vogliamo che tutto rimanga com’è, 3 Concetto fondamentale nella semiotica applicata al bisogna che tutto cambi. cinema introdotto dal semiologo francese Christian Metz nel suo omonimo testo (Le signifiant imaginaire) Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo del 1977 tradotto nell’edizione italiana del 1980 per Marsilio col titolo Cinema e psicanalisi. In sintesi e “Il nostro nemico è il tempo”. Alla frase as- semplificazione, riferisce l’insieme degli elementi che sunta a slogan dal marketing che ha pro- rimandano al significato, che esiste solo nella sfera 4 dell’immaginario. mosso nelle sale 1917 di Sam Mendes andrebbe aggiunta la parola “spazio” per

4 1917 (UK/USA, 2019) regia di Sam Mendes, sce- neggiatura di Sam Mendes e Krysty Wilson-Cairns. Durante la I Guerra Mondiale, a due giovani caporali britannici è affidata la missione di portare un dispac- cio che potrebbe salvare la vita a 1600 altri soldati. I due soldati devono attraversare a piedi un pericolo- sissimo tratto del Fronte Occidentale, una vera Terra di Nessuno.

1917 (2019) di S. Mendes

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comprendere il tipo di relazione intrattenuta dossalmente, ancora in progress dal punto in questo film dal dispositivo-cinema con la di vista dello spettatore. Chi infatti si appresta Storia. E tale relazione è propriamente quella a vedere un’opera del cineasta statunitense di hic et nunc, qui e ora: lo sguardo si mette è nella maggioranza dei casi consapevole in parallelo alla Storia portando lo spettatore dell’effetto sorpresa che Tarantino è solito in trincea in un’autentica “impossibilità della riservare in chiusura dei suoi film; per que- fuga dalla visione (che) rafforza la pervasivi- sto il pubblico predispone l’osservazione su tà della visione stessa”.5 Accompagnando un livello di aspettativa aperta, di detection i due giovani caporali nel loro percorso at- vigile ad ogni dettaglio (Tarantino dissemina traverso la Terra di nessuno presso il fronte molte tracce nei propri testi..), di sospensio- occidentale della Prima guerra mondiale, l’ot- ne interrogativa sulle multiple direzioni che la tavo lungometraggio del cineasta britannico Storia potrebbe percorrere. Ma per quanto crea una storia nella Storia il cui senso narra- possa destabilizzare attraverso racconti liqui- tivo coincide proprio nell’esibirsi del film den- di e deformazioni storiche (il 56enne regista tro a un determinato spazio/tempo, e non è del Tennessee lavora sempre su soggetti e casuale la scelta di un unico piano sequenza C'era una volta a... Hollywood (2019) di Q. Tarantino sceneggiature originali a prescindere che apparente6 quale chiave linguistica per otte- appoggino su fatti storici realmente accadu- nere il parallelismo di cui sopra. Le funzioni ti) non tradirà mai il proprio patto di fedeltà di spazio nel tempo & il tempo nello spazio e nei confronti del cinema, unico punto fermo realtà nella finzione & finzione nella realtà ven- conflitto mondiale (la Storia) non è modificato da cui tutto parte e tutto torna. In tal sen- gono soddisfatte con pertinente originalità in dallo sguardo della lente, questa sua imma- so Tarantino si fa portabandiera dell’inganno un’opera che mettendosi a misura d’uomo nenza alla “piccola” storia inventata estrae il necessario (perché ontologico) al cinema di impone alla lente cinematografica de/for- gesto umano dalla circostanza (hic et nunc) finzione, intessendo ovunque con consape- mante un paradosso: l’effetto immersivo cre- elevandolo a trascendente, universale. vole spregiudicatezza la propria essenza di ato sullo spettatore non solo va ad infrangere Muta invece di segno la Storia evocata da cinéphile. il contratto di verosimiglianza percettiva, ma Quentin Tarantino in C’era una volta a Hol- Ultimo ma non meno importante, è l’ausilio invece di porre i protagonisti al centro della lywood (Once Upon A Time in.. Hollywood)8 che Quentin fa dello strumento del doppio narrazione vi posiziona proprio l’asse spazio/ e lo fa in una modalità divenuta ormai una in C’era una volta a Hollywood: questo non tempo. Per dirla con Gianfranco Bettettini, in propria e riconoscibile cifra (est)etica. Come è solo presentificato nella peculiarità dei 1917 viene esibito da manuale il meccani- aveva già compiuto in Bastardi senza gloria ruoli protagonisti (un divo e il suo doppio, smo di costruzione di senso nel tempo: “un (Inglorious Basterds, 2009), Tarantino innesta ovvero la controfigura) ma anche nell’or- film si manifesta in un discorso che può par- un’operazione di finzione nella realtà capace ganizzazione di una doppia linea narrativa lare del tempo, che si realizza in un tempo e di modificare il corso degli eventi storici, dan- nonché nella esibizione reiterata di schermi 7 che impone un tempo alla fruizione/lettura”. do vita a una de/formazione vera e propria (cinematografici e televisivi) in cui i perfor- E’ la conquista dello spazio nel tempo e del della history. Così facendo, lo sceneggiato- mer sono, hic et nunc, soggetti/oggetti del- tempo nello spazio far cambiare di segno la re/regista rafforza la legittimazione dell’arte lo sguardo. storia nella history, al netto di una (ri)visita- cinematografica ad intervenire sulla Storia, E la figura del doppio diventa sostanza nel- zione che predilige la chiave esistenziale (ed divenendo di essa contemporaneamente fil- la Storia contemporanea grazie alla messa etica) a quella prettamente storica. In altre tro e specchio de/formanti, attraverso un qui in scena del raddoppiamento della figura parole, se il decorso complessivo del Primo e ora del tutto originale, se non sovversivo, del Papa, non solo in una bensì due ope- riferito a uno spazio/tempo passati ma, para- re audiovisive. Per quanto casuale possa apparire, è un fatto che diverse produzioni 5 Fausto Colombo e Ruggero Eugeni, Il testo visibile. cine/televisive abbiano quasi simultanea- Teoria, storia e modelli di analisi, NIS, 1996, p. 37. 8 Once Upon A Time in... Hollywood (USA, 2019) re- 6 1917 è stato realizzato attraverso il raccordo “invi- gia e sceneggiatura di Quentin Tarantino. Hollywood, mente scelto di attingere materia narrativa sibile” di alcuni pianisequenza per ottenere l’effetto di 1969. Mentre si consuma la parabola di successo dalla straordinaria (e inedita in questa forma) un unicum. di un famoso attore televisivo e del suo stunt/amico, compresenza di due Pontefici di cui la cro- 7 1917 (2019) di S. Mendes Gianfranco Bettettini, Tempo del senso. La logica in una villa vicina a quella del divo sta per avvenire naca e il mondo, hic et nunc, sono inelutta- temporale dei testi audiovisivi, Bompiani, 1979, p. 21. qualcosa di molto pericoloso.

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bili testimoni. I due papi (The Two Popes)9 ne all’attualità invocata da André Bazin sov- dall’idea che il Papa incarni di per sé un’iden- Pietro limitandosi a riagganciar(le) alla realtà di Fernando Meirelles e The New Pope10 di vertendone però i principi base attraverso tità in ontologica sospensione fra l’umano e solo laddove ne comprende la straordinaria Paolo Sorrentino mettono in campo l’adesio- innesti interni capaci di stravolgere il reale: il divino. Se il lavoro di Meirelles, ispirato alla energia immaginifica, tanto nell’elemento tra- vere e proprie rivoluzioni sottocutanee che piéce teatrale di Anthony McCarten che pure gico che in quello satirico o semplicemente 9 The Two Popes (USA/GB/Italia/Argentina, 2019) re- smuovono (de/formano) i paradigmi della hi- ha firmato la sceneggiatura di questobiopic comico. E il processo di “smascheramento” gia di Fernando Meirelles, Sceneggiatura di Anthony story ecclesiastica odierna (e non solo della “creativo”, si limita a immaginare un “verosi- del doppio al quadrato che irride se stesso McCarten. Chiesa) con lo scopo di renderla più intelle- mile” dialogo/confessione fra l’allora cardinal si radicalizza, ad esempio, quando l’addetta 10 The New Pope (Italia/Francia/Spagna/USA, 2020) gibile, seducente e soprattutto più “umana” Bergoglio e papa Ratzinger alla vigilia delle stampa del Vaticano confessa a John Bran- regia e sceneggiatura di Paolo Sorrentino. Serie tv programmata su Sky Atlantic che vede nel cast Jude per chi ne assiste le vicende in real time, ov- sue dimissioni, quello di Sorrentino inventa nox/Giovanni Paolo III di ricordarle il suo at- Law, John Malkovich e Silvio Orlando. vero il popolo/pubblico. E questo a partire del tutto le figure dei due successori di San tore preferito, John Malkovich. Attraverso un

I due papi (2019) di F. Meirelles

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cano con la memoria e, soprattutto, con la coscienza denudata davanti al proprio spec- chio in un salto mortale all’ennesima poten- za che si diverte a sfidare la ricognizione del Sé, il concetto di identificazione e, in ultima analisi, di Identità stessa. La scatola cinese organizzata da Bedos ha le mura trasparenti, delle autentiche vetrate in cui soggettività e oggettività si confondono simmetricamente andando a scrutarsi e specchiarsi, e l’atto di meta-osservazione è chiamato a compiere un circuito all’infinito: gli attori entrano in per- La belle époque (2019) di N. Bedos sonaggi che a loro volta interpretano attori dei propri personaggi con la consapevolezza di rimanere se stessi, e sotto l’osservazione un futuro immaginario di agognata giustizia. di altri personaggi in uno spazio nel tempo e E il doppio si riprende la predominanza nella in un tempo nello spazio realmente falsificato produzione di senso laddove anche spazio C'era una volta a... Hollywood (2019) di Q. Tarantino o, se si preferisce, falsamente reale. nel tempo & tempo nello spazio si biforcano Anche la famiglia protagonista del dramedy in due soluzioni narrative di segno opposto, socio-esistenziale Parasite (Gisaengchung) di cui, tuttavia, solo una è visivamente mes- 12 cortocircuito vorticoso tra realtà nella finzione lente de-formante, dunque, è soprattutto di di Bong Joon Ho interpreta un finto ruolo sa in campo. Anche il cinema di Bong Joon & finzione nella realtà, entrambe le opere si un rispecchiamento che ambisce a superare, presso una famiglia “specchio”, da cui diffe- Ho, come quello di Tarantino che muta il cor- servono della lente de/formante applicata al per migliorarla, una situazione difettosa hic et risce per la diversa condizione socio-econo- so della Storia, auspica un futuro di riscatto linguaggio del realismo magico, diversamen- nunc. E senza che tale circostanza di parten- mica. L’impianto narrativo e drammaturgico per i suoi personaggi violati, pur nella con- te espresso, per intuire la complessità delle za sia àncorata alla Storia, com’è esemplifica- dell’opera, pluri-vincitrice ai massimi festival sapevolezza delle difficoltà implicate in tale internazionale nonché di quattro Oscar fra sogno. Non sapremo mai, dunque, quale relazioni divino ↔ umano / sacro ↔ profano to nelle due opere sotto considerate. nel paradosso di un hic et nunc “storico” in Ne La belle époque di Nicolas Bedos11, l’e- cui miglior film, regia e film internazionale, sarà la condizione dei protagonisti di Para- costante divenire e progressione. sito negativo della crisi matrimoniale di Victor è graficamente e metaforicamente organiz- site: il testo, perfetto nella sua originalissima viene improvvisamente modificato quando zato sulla geometria cartesiana: se infatti la concezione, rimanda alla miglior sospensio- La coscienza allo specchio all’uomo è proposto di rivisitare il suo primo linea orizzontale è preposta a separare e ne resa percorribile dalla magia del cinema, Si darà un dramma stasera alla presenza incontro con l’allora futura moglie: ciò è reso specchiare per ribaltamento tanto le famiglie appoggiata a un eterno presente dove tutto del re: una scena si avvicina alle circostanze possibile grazie a un gioco di ruolo che per- quanto le classi sociali, quella verticale defini- è (ancora) possibile, hic et nunc. che ti ho narrato della morte di mio padre. Ti mette sotto pagamento di “ri-abitare” scenari sce il percorso del punto di vista che osser- prego, quando vedi quell’atto in corso, con della propria vita passata. A metà strada fra va il mondo dal basso verso l’alto, nel chiaro l’acume della tua anima osserva mio zio. una mise en abyme pirandelliana e la serie tv rimando alla speranzosa ascesa lungo la William Shakespeare, Amleto fantascientifica Westworld, la commedia ro- “scal(in)ata sociale” (non a caso anche la villa Fra le capacità del dispositivo cinematografi- mantico/esistenziale scritta e diretta dal cine- che costituisce l’ambientazione sovrana del co vi è l’utilizzo della finzione per denudare (e asta francese moltiplica, esasperandole, la film è organizzata su più piani). La lente de/ denunciare) una scomoda realtà. Se è vero funzioni della lente de/formante che si trova a formante interviene quando le due linee, in- che il classico espediente del disvelamento di riflettere sulla linee spazio/tempo e realtà/fin- tersecandosi, scatenano un gioco al massa- una verità attraverso la sua copia “simile ma zione quasi in loop. Tutto, infatti, è rimesco- cro: a quel punto la finzione nella realtà lascia non identica” (“si avvicina alle circostanze” si lato hic et nunc: il futuro-nel-passato atto a spazio alla realtà nella finzione profetizzando legge nell’Amleto) preceda la narrazione cine- (ri)costruire un presente in progress, la realtà matografica rimandando a quella teatrale, la nella finzione & la finzione nella realtà che gio- 12 Parasite (Corea del Sud), 2019), regia e sceneg- settima arte se n’è appropriato, riformulando- giatura di Bong Joon Ho. Una famiglia povera di Seul arriva – sotto inganno – a sostituire tutti i membri di lo con tutti i possibili elementi espressivi del 11 La belle époque (Francia, 2019), regia e sceneg- servizio pre-esistenti presso un’altra famiglia, ma di Parasite (2019) di B. Joon-ho metalinguaggio audiovisivo. L’intervento della giatura di Nicolas Bedos. livello socio-economico molto agiato.

38 film cronache film cronache 39 IN MEMORIA DI ME FILM AUTORI SPIRITUALITÀ IN MEMORIA DI ME FILM AUTORI SPIRITUALITÀ

FELLINI, PINOCCHIO E IL CLOWN

Stefania Carpiceci

A cent’anni dalla nascita del regista riminese, l’universo felliniano sembra trovare corrispondenze nel Pinocchio di Garrone e nel Joker di Phillips, all’insegna di irrazionalità e istintività, irriverenza e ribellione, inquietudine e malinconia

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universo felliniano, aggettivo tanto lusin- di essere atteso, che aspettassero me. Mi dal lettino della sua cameretta mentre fuori ghiero quanto enigmatico e incompren- parve che mi riconoscessero, come i burat- dalla finestra stanno issando in riva al mare L’ sibile per Fellini stesso, che sembra es- tini di Mangiafuoco quando dal palcoscenico lo chapiteau (Iarussi 2020: 35; Giacovelli sersi risvegliato nell’anno del centenario della vedono in fondo al tendone Pinocchio e lo 2019c: 116). Piuttosto il piccolo, la cui se- sua nascita (Rimini, 20 gennaio 1920), non salutano come uno dei loro, chiamandolo per quenza pare essere identica a una striscia pare in verità essersi mai assopito e trovare nome, abbracciandolo e ballando insieme tut- del fumetto di Little Nemo (1905) del dise- anzi eco in due film del 2019, Pinocchio di ta la notte (Grazzini 1983: 30-31) gnatore americano Winson McCay in cui “un Matteo Garrone e Joker di Todd Phillips. Per La “fascinazione” gli indica “una certa stra- ragazzino” viene svegliato “nella propria stan- i quali il trait d’union è indubbiamente il clown da” (Hillman 1997: 17) da percorrere, anche za” dal rumore del “montaggio di un tendone con tutta la sua irrazionalità e istintività, irrive- se, diversamente da quanto sempre narrato, del circo” (Bondanella 1994: 31), si limita a renza e ribellione, inquietudine e malinconia. Fellini non fugge allora al seguito degli arti- scomparire, rifugiandosi al suo interno, sen- sti girovaghi, ma al più sparisce per qualche za farsi trovare dai genitori. Pinocchio e i clown ora, mentre a riportarlo a casa non sono Vestito da marinaretto, in una sovrapposizio- Ma mentre Joaquin Phoenix porta il suo clown due carabinieri, come accade a Pinocchio ne tra ricordi veri e manipolati, scritti e filmati, all’estrema metamorfosi di una ribellione omi- e come a lui piace raccontare, ma “un co- il Fellini dei Clown varca la soglia del “tendo- cida, mediante un personaggio “psicotico”, la noscente sulla canna della sua bicicletta” ne dorato” che, apparso nottetempo davan- cui risata è tanto “irrefrenabile”, quanto me- (Giacovelli 2019b: 103). Gli zingari del zirco, ti al prato della casa d’infanzia a Rimini, lo tallica, angosciante e inascoltabile, per Fellini insomma, non lo portano via, come minac- accoglie, accompagnato dal vento, al mat- il pagliaccio è un “daimon benefico” (Iarussi Una specie di riverberazione esaltante, profe- cia la governante del Fellini bambino che, in tino presto, quando tutto è fermo, deserto e 2019: 31) di junghiana e hillmaniana memoria. tica, anticipatrice è quanto ricordo che provai apertura di I clown (1970), viene risvegliato È l’”immagine o disegno” che si sceglie come la prima volta che misi piede sotto […] uno compagno del suo genio, angelo custode e chapiteau. […] Quando fu l’ora dello spetta- Pinocchio (2019) di M. Garrone fautore della sua “vocazione” (Hillman 1997: colo, ed esplosero attorno a me che stavo 23) fin dall’infanzia. Fin dall’”annunciazione fatta sulle ginocchia di mio padre, le trombe, le luci, a Federico” (Fellini 1980: 114), la prima volta gli applausi, i rulli di tamburo, i lazzi gridati dai che da bambino, in braccio al padre, assiste clown, la loro ciabattante buffonesca straccio- a uno spettacolo circense e avverte il richiamo na ilare irrazionalità, mi sembrò confusamente dei clown, così come Pinocchio delle mario- nette di Mangiafuoco.

Joker (2019) di T. Phillips

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silenzioso, come “una gran panciona calda” E lo fa anche in occasione dei Clown quando, Il clown female: Gelsomina dopo I vitelloni (1953), e primo dei cinque (Fellini 1980: 114 e 123) simile al ventre all’indomani dell’esperienza con la Nbc, per la Prima ancora che a Benigni, Fellini pensa Oscar assegnati al maestro, ivi compreso della balena teatro della riconciliazione di quale nel 1969 realizza Block-notes di un regi- che l’unico Pinocchio possibile sia quello quello alla carriera del 1993, ritirato qualche Pinocchio e mastro Geppetto. Ancora una sta sulle tracce del film maledetto mai fatto, Il che medita di fare interpretare a Giulietta mese prima della sua scomparsa (Roma, 31 volta un richiamo alla favola di Carlo Collo- viaggio di G. Mastorna, nonché dei sopralluo- Masina (Giacovelli 2019d: 297), sua mo- ottobre), senza che le nozze d’argento della di che Fellini legge tra i primi libri della sua ghi del coevo Fellini-Satyricon (Masoch 2019: glie-musa dal 30 ottobre 1943, giorno del coppia si siano mai potute celebrare. Ancora infanzia, ama, venera e definisce “il libro na- 117), è la Rai a proporgli un adattamento da loro matrimonio per il quale galeotte furono un clown, ancora Pinocchio, quindi. Anco- zionale degli italiani” (Giacovelli 2019: 296- Collodi, poi realizzato da Luigi Comencini nel le scenette radiofoniche di Cico e Pallina del ra la favola di Collodi e ancora un fumetto, 297), alla cui trasposizione medita spesso 1972 con Le avventure di Pinocchio, da Fellini giovane gagman, già sua clown female in La quello di Happy Hooligan dell’illustratore sta- nel corso della sua vita e carriera. Lo fa dirottato convertendo ancora una volta il bu- strada (1954). Secondo Leone d’argento, tunitense Frederick Burr Opper, che è un perfino alla fine, quando sottopone Rober- rattino in pagliaccio (Giacovelli 2019d: 297). to Benigni, allora con Paolo Villaggio pro- Realizzando un cameo televisivo, troppo spes- tagonista del suo ultimo film La voce della so erroneamente sottovalutato, sui clown “am- luna (1990), a delle inquadrature-prove del basciatori” della sua “vocazione” (Fellini 1980: burattino che poi, come è noto, l’attore in- 114), come ebbe a dire allo sceneggiatore terpreta nel 2002 nel Pinocchio di sua regia Bernardino Zapponi, e sul mondo del circo or- (Giacovelli 2019d: 297), fino a indossare i mai al tramonto in un falso documentario di 90’ panni di padre Geppetto nel citato omoni- che più che altro è un film sul film che non si mo film di Garrone. riesce a fare (Iarussi 2020: 33).

I clowns (1970) di F. Fellini

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malinconico clown di fine 800, il cui trat- to, buffo, sgraziato e tenerissimo clown che ho di carciofo e il suo sacrificio, evocato nel pre- to grafico ispira, ancor prima che cine- chiamato Gelsomina e che ancora oggi riesce finale ancora dal tema di Rota canticchiato matograficamente parlando, i bozzetti a farmi ingobbire di malinconia quando sento il da una donna che stende i panni su un prato e i disegni di Fellini su Gelsomina, solo motivo della sua tromba (Fellini 1980: 60) e che rivela a Zampanò (come a noi spetta- all’uscita del film poi dai critici paragonata Tromba che, sul celebre tema musicale di tori) della morte di Gelsomina, conduce alla a Charlot (Bondanella 1994: 31). Nino Rota, Gelsomina suona in modo ce- redenzione, conversione e catarsi finale sulla A metà strada “tra Happy Hooligan e il lestiale alla suora che la ospita insieme al spiaggia, secondo lo schema morfologico Vagabondo di Chaplin” (Bondanella 1994: rude Zampanò (Anthony Quinn) nel con- della fiaba La bella e la bestia. 31), Gelsomina è anzitutto un raro caso vento, dopo che lo stesso motivo, eseguito Del resto Zampanò è spesso equiparato a di clown donna, tra pagliacci solitamente su mini-violino, l’attira dentro il circo veneto una bestia, mentre Il Matto, voce della co- maschi: la clownesse per eccellenza su dove ritrova Il Matto (Richard Basehart), “l’al- scienza-consapevolezza di Gelsomina, è cui Fellini rimugina da tempo. tra figura clownesca del film”, il funambolo, un po’ un Lucifero-Lucignolo, nonché Grillo Era un pezzo che volevo fare un film per l’equilibrista-angelo della sua Annunciazione. Parlante che Pinocchio uccide con una mar- Giulietta: mi sembra un’attrice singolarmente Colui che tramite la “parabola del sasso” le ri- tellata in testa, esattamente come Zampanò dotata per esprimere con immediatezza gli vela che tutto al mondo è importante, anche fa con un pugno. Mentre Gelsomina, che è stupori, gli sgomenti, le frenetiche allegrezze un sasso e anche lei, che in quel momento qui il simbolo dell’innocenza tradita e viola- e i comici incupimenti di un clown. Ecco, Giu- piange disperata chiedendosi cosa ci sta a ta, dotata di “una gran purezza di spirito”, è lietta è appunto un’attrice-clown, un’autentica fare al mondo e a cosa serve. Anche lei deve comunque “una figura clownesca nell’abbi- clownesse. Questa definizione, per me glo- “assolvere una funzione” (Bondanella 1994: gliamento, nel trucco e negli atteggiamenti riosa, è accolta con fastidio dagli attori che vi 118): rimanere accanto a Zampanò, il vaga- un po’ buffoneschi” (Bondanella 1994: 117- sospettano forse qualcosa di riduttivo, di poco bondo, l’artista viaggiante che spezza cate- 118). Per Fellini più simile all’augusto, simpa- dignitoso, di rozzo. Sbagliano, il talento clow- ne con i pettorali e che all’inizio la compra a tico, esuberante, anarchico e irrazionale, che nesco di un attore, a mio avviso, è la sua dote sua madre per diecimila lire. L’Orco e il Man- al clown bianco simbolo di grazia, eleganza, più preziosa, il segno di un’aristocratica voca- giafuoco collodiano che la picchia, tradisce intelligenza e lucidità (Bondanella 1994: 30; zione per l’arte scenica (Fellini 1980: 58) e abusa, ma che proprio lei, con la sua testa Fellini 1980: 117). Anche Giulietta Masina è all’inizio assai per- plessa dal doversi trasformare nel clown che Fellini ha in mente e che abbozza in schizzi La strada (1954) di F. Fellini arricchiti da didascalie che ne descrivono l’abbigliamento. “Mantellina militare, bombetta nera, scarpe scalcagnate da tennis” (De Giu- sti 2019: 97) che, insieme alla parrucca piena Una tavola di Happy Hooligan di F. B. Opper di colla, la costringono per altro a interminabili prova costumi. Ma del resto, dice Fellini: affollano di super maggiorate fisiche, giuno- Giulietta attrice vorrebbe essere [sempre] il niche, pettorute e con fianchi generosi. Non contrario del personaggio che fa per me. Ogni deve essere rasserenante contrapporre allo volta è recalcitrante, si sottomette dopo una stereotipo femminile del marito-regista il suo lunga resistenza […] Sulle prime detesta i vesti- archetipo favolistico e inconscio in un tempo ti, lo sguardo, la maschera dei suoi personag- in cui Fellini, dopo la prima crisi depressiva gi. Accanto alla Giulietta entusiasta, collabora- che lo coglie durante le riprese della Strada, trice, sgobbona, è come se apparisse un’altra fa le prime incursioni psicoanalitiche, all’ini- Giulietta che dice di no (Fellini 1980: 97). zio brevemente freudiane, poi sempre più Probabilmente per Giulietta non è sempli- junghiane. Eppure La strada è uno dei film ce aderire al prototipo della clownesse che che Fellini ama di più tra i suoi e che realizza per Fellini non ha sesso, come un po’ tutti i proprio perché: clown, non è femmina ed è anzi asessuata Mi sono innamorato di quella bambina-vecchi- (Fellini 1980: 124), mentre le sue pellicole si na, un po’ matta e un po’ santa, di quell’arruffa-

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Il circo e il suo burattinaio, la baraonda del circo. Un luogo-carrozzone, Guido e la sua confusione nonché parco giochi e Paese dei Balocchi Ciò detto, il “grande trasporto verso i clown, dove sprigiona le sue fantasie. Quel mitico i mimi, il circo” da parte di Fellini che, come Teatro 5 di Cinecittà dove può essere “un tutti i “ragazzini” immagina, abbiamo detto, sempiterno Pinocchio” (Iarussi 2020: 173), “di scappare di casa per seguire il circo”, non un mago, un demiurgo e un inventore. è dovuto tanto al fatto di voler “diventare un Il cinema è un modo divino di raccontare la clown», anche se il regista si lascia spesso vita, di far concorrenza al padreterno. Nes- fotografare con il volto dipinto da pagliaccio sun altro mestiere consente di creare un davanti a uno specchio, quanto “di imparare mondo che assomiglia così da vicino a quel- la sua lezione” (Hillman 2003: 222-223), dal lo che conosci, ma anche agli altri scono- momento che: sciuti, paralleli, concentrici. Per me il posto Il clown incarna i caratteri della creatura ideale, l’ho già detto tante volte, è il Teatro 5 fantastica, […] esprime l’aspetto irrazionale di Cinecittà, vuoto, Ecco, l’emozione assolu- dell’uomo, la componente dell’istinto, quel ta, da brivido, da estasi, è quella che provo tanto di ribelle e di contestatario contro l’or- di fronte al teatro vuoto: uno spazio da riem- dine superiore che è in ciascuno di noi. È pire, un mondo da creare […] Ho la totale una caricatura dell’uomo nei suoi aspetti di presunzione di essere un demiurgo (Grazzini animale e di bambino, di sbeffeggiato e di 1983: 83) sbeffeggiatore. Il clown è uno specchio in cui Il teatro di posa, lo stabilimento cinematogra- l’uomo si rivede in grottesca, deforme, buf- fico di cui è anche burattinaio, equilibrista, fa immagine. È proprio l’ombra (Fellini 1980: domatore. Mentre non esita a paragonare 116-117). la relazione tra regista e attore a quella fra Il pagliaccio beffardo e malinconico, ciabat- burattinaio e burattino (Barbiani 2019: 18), tone, grottesco e straccione (Fellini 1980: Fellini si autoritrae con mantello, cappello e 149) è di fatto l’altro lato, crepuscolare e sciarpa rossa mentre dall’alto muove i fili di oscuro, di noi, dell’uomo logico e razionale. marionette con il volto di Masina e Marcello È il rimosso e l’irriverente. Colui che si dipinge Mastroianni di Ginger e Fred (1985). A Ro- il volto di bianco e suona “musiche strane”. berto Rossellini, maestro del neorealismo Che corre, cade e capitombola, creando da cui fin dai tempi della Strada si allontana “scompiglio”, facendo “baldoria”. Colui che muovendosi tra realismo, spiritualismo e fa- dà vita a delle “insensate ripetizioni”, ma co- volismo, ma a cui contribuisce nelle vesti di munque si ribella all’”ordine del mondo […] sceneggiatore di Roma città aperta (1945) senza causa e senza violenza”, a differenza e Paisà (1946), attribuisce il prezioso inse- di Joker. Che si mette “a testa in giù”, sfidan- gnamento grazie al quale sa “camminare in do “le leggi della fisica e […] le convenzioni equilibrio” sul set, come acrobata sul filo, e della società” e che, in quanto “anima fanta- dirigere film in una “bolgia incandescente”, stica”, è lo “psicologo del profondo” (Hillman con “centinaia di persone intorno”, (Fellini 2003: 217, 221 e 223). Dell’inconscio desi- 1980: 45). Infine, pur cercando di sminuire derio di Fellini che, incerto sulla sua vocazio- la sua autorità, celebre è la foto di scena che ne di regista e men che mai di circense, da lo ritrae in camicia bianca arrotolata alle ma- grande sa di non voler essere né il medico niche, mentre verga la frusta come fa il suo che prefigurava suo padre, né il cardinale alter ego Mastroianni, alias Guido Anselmi, che sognava sua madre, trovandosi a pro- regista in crisi creativa ed esistenziale, nella prio agio sul set che in sé traduce il caos e sequenza dell’harem delle donne di 8 e ½ Joker (2019) di T. Phillips

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Le notti di Cabiria (1954) di F. Fellini (1963), terzo Oscar di Fellini dopo Le notti di La festa ha luogo finalmente, dopo tanti tor- da collegiale, viene dapprima affiancato Cabiria (1957) e prima di Amarcord (1974). menti, nell’arena circense, in prossimità della dal Guido adulto che gli dà indicazioni sul Pensavo […] di non essere tagliato per la rampa spaziale costruita per un film di fanta- da farsi. Mastroianni incalza il cappello, im- regia. Mi mancavano il gusto della sopraffa- scienza inesistente, da cui nessuna navicella braccia il megafono e poi lo invita ad avvici- zione tirannica, la coerenza, la pignoleria, la decolla verso lo spazio, ma dalla quale di- narsi a un telone bianco che si apre per la capacità di faticare […] l’autorità. Tutte doti scendono, mediante una scala “di tubi Inno- discesa dalla scalinata di cui sopra. Come a assenti nel mio temperamento. […] Mi mera- centi” (Iarussi 2020: 128), tutti i personaggi dire che, ancora una volta, “passato e pre- vigliavo che il regista potesse avere rapporti reali e inventati da Mastroianni-Fellini, sim- sente” si ricongiungono, mentre “l’infanzia è distaccati con le attrici. Mi riusciva difficile bolicamente vestiti di bianco e che, anziché il futuro” (Iarussi 2020: 129). […] quella confusione; sentivo terribilmente fuggire e allontanarsi dalla terra, si posizio- Dopo aver preso per mano Luisa, anche il disagio del lavoro collettivo, tutti insieme a nano in circolo sulla pedana rialzata intorno Guido partecipa al carosello, ma non è a lui fare una cosa e parlando forte. Eppure, è an- alla pista per dar vita, sulle note di Rota della che Fellini regala l’ultima inquadratura, bensì data a finire che riesco a lavorare bene solo Passerella dell’addio, a un allegro girotondo al sé stesso bambino e ai suoi pagliacci che, nella confusione (Fellini 1980: 44) (Centorrino 2019: 279). illuminati al centro della pista dall’occhio di La bella confusione doveva per altro essere Qui, oltre a sfilare la Saraghina (Edra Gale), bue, continuano a suonare. Il ragazzo alza il titolo iniziale, suggerito dallo sceneggiatore 8 e 1/2 (1963) di F. Fellini l’amante Carla (Sandra Milo), il padre (Anni- poi il braccio per dirigere l’orchestra e, men- Ennio Flaiano, di 8 e ½, nel quale Guido, rifu- bale Ninchi) e la madre (Giuditta Rissone) di tre i clown escono dal campo, lui si ritrova da giatosi in un centro termale nel tentativo di far Guido, lo scrittore (Jean Rougeul), il diretto- solo come pifferaio magico nello spazio vuo- chiarezza dentro sé stesso come uomo e ar- re di produzione (Mario Conocchia), la sou- to dell’universo felliniano dove luce e musica, tista, cerca “di sbrogliare la matassa alquanto brettona (Yvonne Casadei), l’attrice Claudia imprescindibili, oltre ogni linearità narrativa, confusa dei propri sogni, fantasie e flashback” (Claudia Cardinale), la moglie Luisa (Anouk per ultimi si arrestano, mentre lo schermo si (Bondanella 1994: 189), di mettere ordine nel Aimée) e l’amica Rossella (Rossella Falk), il oscura e iniziano i titoli di coda. caos della propria esistenza, al culmine di bu- Grillo Parlante di Guido, riappaiono quattro gie e sotterfugi, sogni e incubi, sensi di col- clown più un bambino che marciano suo- Riferimenti bibliografici Barbiani, D. (2019, a cura di), Federico Fellini. Dizionario pa, responsabilità e fughe. Salvo poi, dopo nando flauti, trombe e tromboni. In testa c’è aver perfino indossato il naso di Pinocchio intimo per parole e immagini, Piemme, Mondadori Polidor (Ferdinand Guillame), discendente Libri, Milano nella sequenza notturna al parco delle terme, di una grande famiglia circense francese Bondanella, P. (1994), Il cinema di Federico Fellini, tanto per ribadire di essere il “bugiardone” o di fine 800-inizio 900 (Seregni 2019: 300), Guaraldi, Rimini Centorrino, C. (2019), 8 e 1/2, in Giacovelli, E. (2019a, “grande bugiardo” con cui Fellini stesso si mentre in coda compare il piccolo Guido autodefinisce, rinunciarvi e autoassolversi. a cura di), pp. 275-279 (Riccardo Guglielmi) che, in divisa bianca De Giusti, L. (2019), La strada, in Giacovelli, E. (2019a, Accettandosi e così riconciliandosi con la vita a cura di), pp. 367-372 e il cinema, aprendo al celebre finale del film Fellini, F. (1980), Fare un film, Einaudi, Torino sia attraverso l’indovino Maurice (Ian Dallace), Giacovelli, E. (2019a, a cura di), Tutto Fellini, Gremese, Roma, che preannuncia: “Siamo pronti per comin- Giacovelli, E. (2019b), Circo, in Id. (2019a, a cura di), ciare”, sia mediante la sua prima sincera con- pp. 103-104 fessione in voice off: Amarcord (1973) di F. Fellini Giacovelli, E. (2019c), I clowns, in Id. (2019a, a cura di), Ma che cos’è questo lampo di felicità che mi pp. 116-117 Giacovelli, E. (2019d), Pinocchio, in Id. (2019a, a cura fa tremare e mi ridà forza, vita? […] Tutto mi di), pp. 296-297 sembra buono. Tutto ha un senso. Tutto è Grazzini, G. (1983, a cura di), Fellini. Intervista sul vero. Ah, come vorrei spiegarmi, ma non so cinema, Laterza, Roma-Bari dire. Ecco tutto ritorna, come prima, tutto è di Hillman, J. (1997), Il codice dell’anima, Adelphi, Milano Hillman, J. (2003), Il sogno e il mondo infero, Adelphi, nuovo confuso, ma questa confusione sono Milano io, io come sono, non come vorrei essere, e Iarussi, O. (2020), Amarcord Fellini. L’alfabeto di Federico, non mi fa più paura. Dire la verità, quello che Il Mulino, Bologna non so, che cerco, che non ho ancora trova- Masoch, C. (2019), Morte e resurrezione del clown, in Giacovelli, E. (2019a, a cura di), pp. 117-121 to. Solo così mi sento vivo e […] senza ver- Seregni, M. (2019), Polidor, in Giacovelli, E. (2019a, a gogna. È una festa la vita, viviamola insieme. cura di), p. 300

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LA DOLCE VITA IL SOFFIO NASCOSTO DELLA GRAZIA

Paolo Perrone

A sessant’anni dalle prime proiezioni, il film di Federico Fellini stupisce, inquieta e ammonisce ancora oggi per la sua profonda ricognizione umana. Una drammatica allegoria sul deserto che si cela dietro la facciata di un carnevale perpetuo

La dolce vita (1960) di F. Fellini

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l sentimento religioso ci dice che l’uscita è Indagini esistenziali, sguardi stra natura. Non bastano più il grande mare e il verso l’alto. Non si può non essere d’accor- compassionevoli ed echi trascendenti cielo lontano che amo nei miei film: oltre il mare do”. Così Federico Fellini, in auto, a Roma, Il 20 gennaio scorso l’intero mondo della cultura “I e oltre il cielo, sia pure attraverso l’urlo di un’an- al cancello di Villa Malta, sede de La Civiltà cat- italiana (e non solo) ha reso omaggio a Fellini, goscia o la dolcezza di una lacrima, è intravisto tolica, congedandosi da padre Virgilio Fantuzzi nel centenario della nascita. Un anniversario che Dio, il suo amore, la sua grazia, non tanto come al termine di una lunga conversazione durante ha riportato a galla lo straordinario universo felli- scatto di fede teologica, ma come profonda esi- la lavorazione de La voce della luna (1990). Un niano, riverberato in tutta la sua carriera dall’au- genza d’anima”. congedo che il gesuita e critico cinematografico tore de I vitelloni (1953), 8½ (1963), Amarcord Nella sua monografia su Fellini (Il Castoro, 1995) della rivista, amico personale di Fellini (scompar- (1973), traboccante di suggestioni oniriche e Mario Verdone, a proposito de La strada, ha evi- so a 82 anni lo scorso settembre), ha rievocato visionarie, alimentato da un beffardo slancio denziato come “quando avviene il risveglio della ne Il vero Fellini (Ave Editrice – La Civiltà cattolica, clownesco, ma popolato anche di profonde coscienza di Zampanò, il suo ‘rinnovamento’ in 1994), il volume che raccoglie saggi scritti tra indagini esistenziali, di sguardi compassionevoli creatura che sente e che soffre, allora è come la il 1976 e il 1994 e un lungo réportage sul set sui più umili e da percepibili echi trascendenti. rivelazione di una nuova vittoria dello spirito”. An- del Casanova (1976). Parole appena bisbigliate, Nel 1957, d’altronde, dopo aver girato La stra- che per padre Fantuzzi, come riportato sulle pagi- quelle di Fellini, citando Carl Gustav Jung. Ma da (1954), Il bidone (1955) e Le notti di Cabiria ne de Il vero Fellini, nei fotogrammi de La strada, sgorgate dal profondo, dall’animo sensibile di un (1957), Fellini scriveva a padre Charles Reinert, oltre che degli altri due film girati dal regista rimi- uomo curioso, irrequieto, contraddittorio, refrat- gesuita svizzero: “Mi trovo spesso di fronte a nese tra il 1954 e il 1957 (riassunti spesso come tario ad ogni etichetta e imposizione dogmatica sofferenze e sventure che superano i limiti della la “trilogia della Grazia”), risaltava “un orizzonte di ma, allo stesso tempo, niente affatto impermea- nostra sopportazione. È allora che sorge l’intui- luce nel quale non è difficile percepire, anche se bile al soffio della spiritualità. zione e la fede nei valori che trascendono la no- indicati in maniera incerta e confusa, i tratti della redenzione cristiana”. Un pulsare lancinante di pietas sottolineato dallo stesso Papa Francesco, Due scene de La dolce vita (1960) di F. Fellini nel 2013, durante l’intervista concessa a padre Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà cattolica: “La strada di Fellini è il film che forse ho amato di più. Mi identifico con quel film, nel quale c’è un implicito riferimento a san Francesco”. Come ben sappiamo, ne La strada, Il bidone e Le notti di Cabiria i protagonisti sono rispettiva- mente saltimbanchi, ladri e prostitute. “La solu- zione che Fellini offre a questi personaggi mise- rabili alla fine di ciascuno dei tre film”, ha scritto Fantuzzi, “consiste nella possibilità di accedere a un destino di salvezza che non si realizza mai pienamente in questa vita, ma si colloca al di là della barriera della morte”. E poco oltre: “Men- tre Rossellini e Pasolini sono giunti a rendere esplicite le metafore spirituali contenute nei loro film sugli emarginati, affrontando direttamente l’argomento religioso in opere come Francesco giullare di Dio e Il Vangelo secondo Matteo, Fellini non ha mai varcato la soglia che sepa- ra l’implicito dall’esplicito nella dimensione reli- giosa dei suoi film. Si nota anzi, da parte sua, una vera e propria resistenza nei confronti del discorso spirituale diretto, dell’argomentazione teologica strettamente intesa”.

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Un cantastorie in cerca di se stesso Ammiratore di Bergman e Dreyer (“artisti che sono riusciti a convin- cermi e ad emozionarmi”), limpido e libero nello sguardo (“non sono protetto da nessuna ideologia, sono veramente un cantastorie”), affa- scinato dalle suggestioni della forma cinematografica (“l’emozione che mi guida è sempre di natura estetica”) e assai meno dalla stretta logica narrativa (“fare un film è come fare un viaggio, ma il mio sogno è fare un viaggio senza sapere dove andare, magari senza arrivare in nessun posto”), Fellini ha sempre scansato ogni tentativo di incasellamento, anche di natura confessionale. “La mia parte immatura, monellesca, ribelle”, diceva, “mi spinge naturalmente a guardare con ammirazione all’aspetto forte di queste visioni, quello del rigore, della consapevo- lezza, ma nello stesso tempo avverto la presenza di qualcosa che per me sarebbe soffocante. Mi riconosco invece in una religiosità fatta di solidarietà con le forze più contraddittorie, pericolose, conturbanti dell’esistenza”. Non è un caso, dunque, che durante la preparazione de La dolce vita (1960), in un colloquio con Gideon Bachmann (“Devo essere sincero per forza. Intervista con Fellini”, in Film 1961, a cura di V. Spinazzola, Feltrinelli) riportato anch’esso ne Il vero Fellini, il regista riminese dices- se: “La sensazione che provo è questa: cercare, prima di tutto, di dire qualcosa su di me e, facendo questo, cercare di trovare una salvezza, una strada che mi conduca a qualche significato, a qualche verità, a qualcosa che sarà importante anche per gli altri. Mi piace quella stimo- lante combinazione tra lavorare insieme e vivere insieme che il cinema offre. Ogni ricerca che un uomo svolge su se stesso, sui suoi rapporti con gli altri e sul mistero della vita è una ricerca spirituale e, nel vero senso del termine, religiosa”.

Dietro la galleria dei mostri, i segni di un’ansia da redenzione In realtà mai come per il lungometraggio con Marcello Mastroianni e Anita Ekberg quei “segni di un’ansia di redenzione che la galleria dei ‘mostri’ felliniani lasciava trasparire”, come scrive Antonio Costa in Fe- derico Fellini. La dolce vita (Lindau, 2010), sono stati sovrastati, quan- do non travisati, dal ben noto vortice di polemiche, attacchi, accuse che piovvero addosso al film e al suo autore, soprattutto all’interno del perimetro cattolico, con le critiche de L’Osservatore Romano, la stroncatura della stessa Civiltà cattolica e le condanne pubbliche di numerosi vescovi. In ogni caso, “affresco sociale”, “opera-mondo”, “film-rotocalco”, “scomposizione picassiana”, La dolce vita, anche a poco più di sessant’anni di distanza dalle prime proiezioni (Centro San Fedele, Milano, 30 gennaio 1960; Cinema Fiamma, Roma, 3 febbraio 1960; Cinema Capitol, ancora Milano, 5 febbraio 1960), non cessa di interrogare le coscienze degli spettatori. “La dolce vita rappresenta in qualche modo un bilancio di tutto ciò che Fellini aveva fatto fino a quel momento”, ha scritto padre Fantuzzi ne Il vero Fellini. “Se i film precedenti possono essere paragonati ad altrettante viae La dolce vita (1960) di F. Fellini

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“e quelle finali, quando il protagonista, Marcel- de La dolce vita “è apparentemente la cafè-soc- Due scene de La dolce vita (1960) di F. Fellini lo, ubriaco di stanchezza dopo una notte di iety, il mondo vario e rutilante rinato sulle rovi- bagordi, si trova con un gruppo di persone in ne della guerra e le miserie del dopoguerra”, in riva al mare, e Paolina, la cameriera che aveva realtà il film “si offre come una drammatica al- impressionato Marcello per la sua grazia inno- legoria sul deserto che sta dietro la facciata di cente, si trova sorridente al di là di un piccolo un carnevale perpetuo”. E dunque, “come una braccio di mare a chiamarlo. Marcello la vede, moralità medievale, i diversi episodi hanno una ma non capisce e se ne va trascinato via da funzione simbolica. (…) Nel finale sulla riva del una donna. Paolina continua a sorridere, come mare, dopo l’apparizione del pesce-mostro che a dire ‘vai pure, al prossimo bivio mi troverai an- sembra simbolizzare il male in assoluto, abba- cora lì ad aspettarti!’”. “La ‘lettura’ era evidente”, stanza lontana perché il vento ne porti via le concludeva padre Taddei, “ma mi sembrava parole, Paolina chiama Marcello, vorrebbe dire difficile che Fellini avesse voluto esprimere un qualcosa. L’eroe felliniano è sordo come sem- tema così… teologico. Nei nostri incontri non pre: ma forse avvertiamo, nel sorriso enigmatico si era mai parlato di Grazia. Un giorno gli chie- della ragazzina, la possibilità che per lui la partita si: ‘Cos’è secondo te la Grazia?’. Mi rispose di non sia chiusa”. botto: ‘Che cos’è la Grazia se non quella realtà, Perno sempre a fuoco, per Verdone, di questa come Paolina, che tu non capisci e la rifiuti, ma “sovraccarica giostra, da fiaba nera per grandi”, lei sorride e ti dice: Vai pure! Mi troverai sempre Marcello “è in bilico tra sentimento e perdizione, ad aspettarti?’”. tra lavoro onesto e ‘facile’, tra cinismo e irre- Se, come evidenziato da Tullio Kezich in Federi- quietezza insoddisfatta. Alla fine, quando si è co. Fellini, la vita e i film (Feltrinelli, 2002), il tema specchiato, ebbro, nel mostro viscido, anche

crucis percorse da quelli che Pasolini chiamava voci a sostegno della pellicola ci fu quella di ‘sporchi crocifissi senza spine’, anche La dolce padre Nazareno Taddei, gesuita del San Fede- vita, alla sua maniera, lo è: vi si contemplano le le, che su Letture del marzo 1960 scrisse una tappe del cammino doloroso di un peccatore che recensione favorevole. In un articolo di Avvenire riflette sulla propria inadempienza nei confronti dei del 7 luglio 2010, a firma Andrea Fagioli e intito- doveri che la vita gli propone. Cosa può fare un lato “Fellini, i cattolici e la ‘Vita non dolce’”, viene peccatore se non confessare in pubblico, con rievocato il pensiero di Taddei, secondo il quale spargimenti di lacrime, i suoi peccati?”. Un’inter- Fellini, con La dolce vita, “voleva parlare della pretazione del tutto simile a quella fornita da padre spiritualità del cristianesimo. Ma rimase talmen- Angelo Arpa, gesuita legatissimo a Fellini, che ne te turbato e amareggiato da quell’accoglienza La dolce vita. Cronaca di una passione (Parresìa, che nel film successivo,8½ , film pagano all’ac- 1996) rimarcava come “questo film, che si pre- qua di rose, se la prese con la Chiesa ufficiale”. senta come una scapigliatura gratuita, in realtà è la sfida a un mondo svenato oramai anche nella Sulle note di una danza macabra, dolcezza del vivere”. E, poco oltre, si chiedeva: un lucido esame di coscienza “Ma se questa Dolce vita invece di noia provo- Cosa aveva spinto Taddei a sostenere che La casse un indistinto interesse popolare a vedere dolce vita trattasse il tema della Grazia? “La ‘let- proiettato sul grande schermo lo squallore di un tura’ del film”, è la risposta che si legge nell’ar- mondo oramai alla deriva di se stesso?”. ticolo di Avvenire, “esplicitata dalle immagini Se è indiscutibile, come ricorda Costa, che, iniziali” (il volo della statua di Cristo in elicottero, all’uscita del film “le parti più conservatrici del- che per padre Fantuzzi, ne Il vero Fellini, altro la gerarchia cattolica condannarono esplicita- non era “che l’equivalente di una processione mente il film”, è altrettanto risaputo che tra le trasferita dalle vie della terra a quelle del cielo”)

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Marcello non vede e non sente più: è perduto”. Ma in Federico Fellini. Viaggio sentimentale nell’illusione e nella realtà di un genio (Gremese, 1999), Fabrizio Borin pre- cisa che “l’amore di Marcello deriva da quello di Cabi- ria: quando il disgusto per l’umiliazione dei sentimenti si trasforma in uno sguardo quasi dentro la macchina da presa, siamo già nell’ultima immagine de La dolce vita, con l’innocente intervento per riscattare l’orgia, per il fatto stesso di esistere. E se i finali dei due film, pur avendo forti somiglianze ottimistiche, non collimano è perché dal bozzolo primigenio delle deformazioni felliniane stanno già maturando le larve psicanalitiche di 8½”. E ancora Kezich in Federico. Fellini, la vita e i film: “Solo così è possibile spiegare come mai un film dichiaratamente disincantato come La dolce vita non si conclude con la bancarotta di tutti i valori. Non si risolve, cioè, in una compiaciuta danza macabra intorno ad un universo condannato, ma avvia un lucido esame di coscienza”. Al netto, dunque, di ogni innocente fraintendimento o di strategiche manipolazioni, veementi prese di posizione o difese altrettanto temerarie, La dolce vita stupisce, in- quieta e ammonisce ancora oggi per la sua profonda ricognizione umana, anticipatrice, nel 1960 (quasi “a pre- testo”, scrive Costa, “per uno scontro di estrema durezza in un momento particolarmente delicato della storia na- zionale”), di una modernità fragile e dolente, comunque la si voglia giudicare, capace di contenere spinte con- trapposte ma non inconciliabili. Un esercizio funambo- lico di ‘equilibrio sospeso’ totalmente rintracciabile nella duplice, sovrapponibile figura del protagonista (caratte- rizzato, per Fantuzzi, da un’”indolenza che gli impedisce di decidere, una volta per tutte, da che parte stare”) e del regista (che per Kezich “non si è posto altro obiettivo all’infuori di descrivere lo stato delle cose”). Certo, come evidenziato ancora da Kezich, La dolce vita “si propone come il ‘diario notturno’ di un personaggio a mezza strada fra il gusto e il disgusto per l’ambiente in cui vive” e che, “non di rado, si comporta come un sordo- muto morale”. Ma la ‘poesia nascosta’ de La dolce vita “nasce dal rispetto per i personaggi, inclusi i più infami e immeritevoli; da quel tanto di positività che conservano alcune delle soluzioni negative proposte a Marcello; dalla coscienza che le vie della serenità sono infinite”. Un po’, per dirla con Fellini, come la preghiera: “Un modo molto razionale e intelligente per deporre a terra bagagli pesan- tissimi e affidare a qualcun altro il peso delle angosce e dei dubbi”.

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THE NEW POPE IPERBOLE FELLINIANA, PROVOCAZIONE ERETICA O DIARIO INTIMISTA?

Alessandro Cinquegrani

Un Papa intimo e tragico, il Vaticano come luogo del sublime, dove la realtà si manifesta nella sua essenza e nel suo paradosso. Ma se Fellini mette in scena l’esuberanza della vita, Sorrentino costantemente la anestetizza

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sione (del resto, lo si diceva nella Grande bellezza citando Céline: “Il viaggio che ci è dato è interamente immaginario. Ecco la sua forza. Va dalla vita alla morte”). Perciò il cinema di Sorrentino divi- de, ai molti sostenitori si oppongo- no i detrattori, che spesso si con- trastano su argomentazioni ana- loghe: la cura delle scene diventa uno stile fondato sull’eccesso, i dia- loghi ricercati divengono irrealistici, la costruzione di contesto vira in as- senza di una trama definita. È tutto vero, e di fronte a questa consape- volezza il regista cerca contesti e si- tuazioni al di fuori della quotidianità più spicciola, in cui questo grande stile decadente e sublime si giusti- fichi e permetta di affrontare argo- menti esistenziali senza sembrare stucchevole: ha iniziato col calcio (L’uomo in più), ha toccato la crimi- nalità (Le conseguenze dell’amore, La summa di una poetica da rasentare spesso il virtuosismo. La qualità L’amico di famiglia), è giunto alla The New Pope è il capolavoro di Paolo Sor- rischia di diventare difetto. Così è anche per la politica con le sue trame e le sue rentino. E, si sa, questa parola è talmente costruzione dei personaggi, e in particolare dei debolezze (Il Divo, Loro), passando abusata da aver quasi perso il suo significa- loro dialoghi. Inverosimili, assoluti, altisonanti, i per l’alta borghesia intellettuale in to, ma è sufficiente inquadrare l’opera nel si- dialoghi riescono a toccare corde spesso pre- crisi (La grande bellezza, Youth), ha stema narrativo del regista e nel quadro della cluse ad altri autori, diventando quasi leggen- tentato la carta ambiziosa del nazi- cinematografia contemporanea per com- dari in alcuni passaggi costantemente in bilico smo (This Must Be The Place). Ma prenderne la portata. tra l’ironia e la filosofia. Ma certo, chi cerca ve- quale contesto può rendere meglio Il cinema di Sorrentino ha sempre avuto delle rosimiglianza rimarrà deluso, e deluso proprio situazioni lontane dalla quotidianità, grandi e indubbie qualità, ma anche dei difetti, da uno dei migliori pregi del suo cinema. che non arretrano di fronte ai più e spesso qualità e difetti sono state le due fac- Infine la parabola narrativa: elaborare così grandi temi esistenziali, che preve- ce della stessa medaglia e perciò inscindibili. tanto ogni singola scena spesso fa perdere dano una costante tensione visiva, Innanzitutto la regia, l’indubbia, imponente ca- di vista l’intero arco narrativo. Perciò Sorren- del Vaticano con il fascino della sua pacità, dimostrata fin dagli esordi, di costruire tino dà il meglio di sé in film di contesto, di arte, gli abiti ricercati, le trame di le scene, con musica, luci, movimenti di mac- situazione, come è stato l’apprezzatissimo potere, l’attenzione per i casi estre- china: ogni inquadratura è ricercata con preci- La grande bellezza, piuttosto che in opere mi della vita, della malattia e della sione maniacale e l’impatto sullo spettatore è che lavorino sui più tradizionali topoi della morte? Nessuno: perciò la serie sul potente. E tuttavia, proprio per questo, spesso narrazione, come per esempio quello del Papa (e The New Pope ancora di i suoi film sono permeati di un tono magnilo- viaggio e della discesa in This Must Be The più rispetto a The Young Pope, an- quente che a tratti può risultare stucchevole, Place, che certo aveva altre qualità e un al- cora troppo attento a scardinare la in cui persino il passaggio narrativo più insi- tissimo potenziale, ma si sfilacciava in mille visione tradizionale della Chiesa) è il gnificante diviene esteticamente teso, tanto rivoli che depotenziavano il finale ad alta ten- capolavoro di Paolo Sorrentino.

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Intimo, epico, tragico Chi si aspetterà che la coesistenza di due papi abbia una fonte d’ispirazione nella situa- zione attuale della Chiesa, come avviene per esempio nel recente I due papi di Fernando Meirelles, resterà deluso: la realtà non inte- ressa Sorrentino se non nella sua declina- zione più metaforica, nella sua capacità di generare allegorie. Più ci si allontana dalla re- altà, più si scava nella coscienza, nella “per- cezione” che, come si ricorda più volte nel film, ha un impatto più forte della realtà stes- sa. Così il Vaticano diviene non già un posto esistente, dal quale ricavare indicazioni sulla Chiesa, ma è piuttosto il luogo del sublime, dove la realtà si manifesta nella sua essenza e nel suo paradosso, dove virtù e peccato si rivelano nel loro parossismo, dove l’uomo diviene l’Uomo, con la maiuscola. The New Pope è innanzitutto un’opera che tocca l’inti- mità dell’animo umano. Il Papa è una figura ideale per ogni cristiano. Il dogma dell’infallibilità sembra incompatibile con la sua stessa natura di uomo. Nanni Mo- retti aveva raccontato lo spavento che tutto questo può generare in Habemus Papam, film che anticipò molti dei temi oggi sotto i riflettori. Ma qui la questione è approfondi- ta e esaminata nelle sue pieghe. È anzitutto John Brennox (John Malkovich) ad essere in profondo conflitto con la sua stessa identità di Giovanni Paolo III. Il nobile “fragile come la porcellana” ha un doppio ideale, certamente nella sua stessa identità di Papa, ma anche (e qui sta la dimensione metaforica, umana troppo umana, prossima alla vita di tutti noi) nell’esistenza del suo fratello gemello Adam. È un antico archetipo quello dei gemelli, che risale alla mitologia classica (Castore e Pol- luce, ma anche Elena e Clitemnestra oppu- re Romolo e Remo), o alla tradizione biblica (Giacobbe ed Esaù e, forse non gemelli ma uniti e divisi dall’essere i primi fratelli della sto- ria biblica, Caino e Abele). Poi la tradizione letteraria si impossessa di questo archetipo, da Shakespeare ad Aghota Kristof e oltre, e infine il cinema, Bertolucci, Kubrick, Kau-

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fman… Il tema del doppio che i gemelli in- Intimo, tragico, certo, ma questo film è anche carnano è tanto tipico e tipizzato da essere epico. Uno dei temi trasversali è la guerra di quasi esaurito nel suo potere significante. religione, la minaccia del fondamentalismo Ma non in questo contesto, non per ciò che islamico che si trasforma in una rivalità tra il riguarda il Papa: perché il Papa parla per Papa e il Califfo. Ma la dimensione epica è archetipi, cita episodi biblici, li rende vivi, li ancora una volta insita nel tema. Le trame di utilizza per interpretare se stesso e la società potere hanno uno spessore shakespeariano, tutta. Gli archetipi tornano dunque a essere la gestione di Voiello (Silvio Orlando) furba e narrativamente attivi. dolente, le scene di piazza, le folle urlanti, ac- Ecco dunque l’uomo di porcellana lottare compagnano le parole del Papa (si pensi al con i suoi incubi mitologici: Adam, il gemello suo fermo “no” pronunciato a Lourdes). Ogni adorato dai genitori, quello destinato a una elemento, ogni movimento, ogni scelta sem- carriera brillante, il giovane saggio, già pasto- bra avere ricadute sulla società tutta, come in re di anime prima della maturità, l’uomo già effetti può accadere solo in un luogo che è il dal nome creato a immagine e somiglianza di punto di riferimento della più grande comunità Dio, muore anche per colpa del fratello catti- religiosa del mondo. Emblematica è la sce- vo o fragile, come nella più antica tradizione. na del funerale di Girolamo, il ragazzo di cui Nella Bibbia Dio dice a Caino: “Se non agi- si prende cura il cardinale Voiello, nella quale sci bene, il peccato è accovacciato alla tua un dramma intimo, la perdita di una persona porta; verso di te è il tuo istinto, ma tu dòm- cara, si trasforma in un dramma collettivo, inalo”. In ogni contesto narrativo questa frase in cui la folla che riempie San Pietro si com- sarebbe fuori luogo: troppo alta la fonte per muove alle parole del cardinale. E così riesce contaminarla con una storia semplice: in ogni anche l’operazione narrativa forse più difficile contesto narrativo tranne in quello che parla nella modernità, ovvero la trasformazione di del Papa. E infatti la frase si attaglia perfetta- lore, un uomo ai piedi del letto che invoca un personaggio in un’allegoria: “Girolamo è il mente al carattere depresso e decadente di Dio perché lo guarisca, lo “faccia uomo”, e mondo che soffre”, dice Voiello. Lennox, sempre tentato dal peccato e da un implicitamente lo bestemmia per non averlo E allora, giunto a questo punto, Sorrentino va desiderio di dimostrarsi quanto meno all’al- aiutato, i genitori dietro di lui che lo spiano anche oltre e dà più o meno implicitamente tezza del fratello (si pensi a quando fa sapere e piangono per quella scena dannatamente un volto e un corpo, in parte losco, in parte ai genitori che diventerà Papa!). In questo umana, il bambino che sembra reagire, alza salvifico, a Dio stesso nella misteriosa e ruvi- senso la magniloquenza visiva e narrativa di un braccio, ma poi lo cala subito, distrutto, da persona di Bauer. Sorrentino trova qui la sua dimensione. morto, esattamente come un uomo, e come Ma la stessa crisi intima e esistenziale tra- un uomo buono portato in paradiso. Ironico, sensuale, felliniano volge anche l’altro Papa, il già noto Pio XIII, È una scena tragica, nel senso più letterale del Ci si potrebbe chiedere come intimo, tragico Lenny Belardo: anche lui, nonostante la sua termine, che allude alla tragedia greca e alle ed epico possano conciliarsi con l’indubbia apparente arroganza, insegue vanamente sue vette. Eppure, lo diceva un grande criti- ironia che Sorrentino usa nella sua narrazio- l’ideale di sé. Dopo il miracoloso risveglio, co recentemente scomparso come George ne, poiché certamente nella maggior parte la famiglia del medico che lo ospita in se- Steiner, la tragedia è morta. È impensabile nel dei casi l’ironia disattiva il coinvolgimento greto sembra quasi pretendere da lui poteri ventunesimo secolo costruire una scena esat- emotivo, anzi forse nasce proprio dalla sua salvifici per sanare il figlio malato dalla nasci- tamente come duemila anni fa, è evidente il ri- assenza (lo spiegava bene, già un secolo ta. E benché Belardo si schermisca, affermi schio del grottesco, o meglio: sarebbe impen- fa, Luigi Pirandello). Eppure il coinvolgimento di non essere un santo, vorrebbe lui stes- sabile a meno che non si tratti del Papa, per emotivo deve essere trattenuto, apparente- so essere ciò che gli altri vedono in lui per il quale la solennità necessaria per la tragedia mente disattivato, perché rinasca in tutta la aiutare quel bambino. La scena è una delle fa parte della vita quotidiana. Perciò Sorrentino sua autenticità. Il tragico, se intriso di senti- più potenti che la nostra cinematografia re- può osare in quest’opera più delle precedenti, mentalismo, volge verso lo stucchevole me- cente ricordi: un bambino ammalato dalla perché il contesto glielo permette, perché si lodrammatico anziché restare nel sublime. È nascita disteso su un letto di piaghe e do- attaglia alla sua cifra narrativa. necessario porre la giusta distanza dalla nar-

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razione mitica, per poterne godere. È ciò che ci capita col teatro greco: patiamo anche se mentre si disattiva la solennità attraverso la con- (o proprio perché) sappiamo che non è reale. sapevolezza del carattere fittizio dell’evento e le L’esempio più chiaro è la celebre sigla nell’e- voci di sottofondo che hanno tracce di ironia. pisodio 7 girata sulla spiaggia: il contesto è Ma c’è una grande differenza tra i due registi: tragico (il risveglio dal coma, presentato addi- mentre Fellini mette in scena sempre l’esube- rittura come una miracolosa resurrezione), la ranza della vita, anche nella sua dimensione simbologia è mitologica (la rinascita dalle acque nostalgica, Sorrentino costantemente la ane- marine), la rappresentazione è ironica (il Papa stetizza, come se la natura romagnola dell’uno in costume tra belle ragazze in spiaggia). Ma il e romana alto-borghese (sia pure d’adozione) terzo passaggio è funzionale agli altri due per- dell’altro lasciassero indelebilmente il loro se- ché permette di allentare la tensione narrativa e gno. Il loro modo di concepire la vita può es- metaforica che metterebbe in sospetto lo spet- sere descritto attraverso il loro modo di rap- tatore. È solo in quella situazione di agio che lo presentare le donne. Le donne di Fellini sono spettatore gode dell’altezza narrativa di quanto proverbialmente esuberanti, il loro corpo tende vede. E magari pensa a un passo evangelico: a imporsi anche sugli uomini più remissivi. An- “Gli disse Nicodèmo: ‘Come può un uomo na- che se l’uomo si ritrae, il corpo lo insegue. Per scere quando è vecchio? Può forse entrare Sorrentino invece il corpo femminile, che pure una seconda volta nel grembo di sua madre e è ingombrante nei suoi film, è sempre e solo rinascere?’. Gli rispose Gesù: ‘In verità, in ve- guardato, esattamente come nella locandina rità ti dico, se uno non nasce da acqua e da di Youth. È tentatore, come l’altro, ma distan- Spirito, non può entrare nel regno di Dio’” (Gv te, freddo, etereo, racchiuso nella sua bellezza. 3, 4.5). Anche il sesso è consumato o per corrispon- Oltre all’ironia, l’altro esorcismo nei confronti del denza (attraverso il telefonino quando Sofia si melodrammatico è il citazionismo soprattutto di trova in missione da Brannox) o comunque carattere visivo. Molte sono le opere artistiche senza vero contatto fisico (Sofia col marito ma richiamate dalle inquadrature. Emblematica la anche, con tutt’altra grazia, con lo stesso Bran- madre nuda che tiene in braccio il figlio defun- nox) o comunque è ripreso da video compro- to per il quale vanamente Belardo aveva chie- mettenti (la scena dell’orgia). Il sesso per Fellini sto il miracolo: proprio quando quell’immagine invece è esplosione di sensi e di gioia, così poteva diventare stucchevole si tramuta in una grande da poter essere disturbante o persino Pietà di Michelangelo sconvolta da un attenta- respingente per gli uomini. to. Il tragico un attimo prima che divenga me- Ma mentre l’immagine simbolo del Fellini della lodrammatico viene disattivato dalla citazione Dolce vita è la bellissima Sylvia/Anita Ekberg che conduce lo spettatore al di fuori del coin- che rende il suo corpo materialità attraverso volgimento emotivo, attento all’analogia visiva, l’acqua della Fontana di Trevi oppure attraverso e subito riportato in un contesto tragico. un gattino vivo che le sta in testa, la donna de- Questi procedimenti dimostrano una maestria scritta in The New Pope potrebbe essere incar- e una precisione rare nella storia del cinema. nata dalla escort di Bauer che nel finale distrae Spesso si è tentati di trovare un precedente nel la conversazione soltanto facendosi guardare. cinema di Fellini. L’equilibrio tra ironia e tragicità Oppure la rappresentazione del corpo nudo mitica ha certamente nel maestro riminese un è quella visione che conduce un manipolo di esempio illustre. Viene in mente, tra le tante, la persone ribelli a entrare nelle acque del mare scena del Carnevale veneziano nel Casanova di fronte all’Hotel Excelsior del Lido. Corpo, in cui si tocca il culmine della rappresentazione materia, esuberanza, vita in casa Fellini. Contro mitologica con l’emersione dell’enorme volto astrazione, visione, anestesia, malinconia per della dea Luna dalle acque del Canal Grande, Sorrentino.

70 film cronache film cronache 71 VIAGGIO AL CENTRO DELLA TERRA I FESTIVAL VIAGGIO AL CENTRO DELLA TERRA I FESTIVAL

TFF RITRATTI DI ESISTENZE AI MARGINI

Paolo Perrone

La vittoria al 37° Torino Film Festival di A white, white day dell’islandese Hlynur Pálmason evidenzia un senso di sconfitta e una caducità dell’esperienza umana che fa da fil rouge a molti altri film in concorso sotto la Mole. Un’edizione positiva, l’ultima diretta da Emanuela Martini prima dell’arrivo, nel 2020, del nuovo timoniere Stefano Francia di Celle

A White, White Day (2019) di H. Pálmason

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Horror classic, che era un po’ una scom- ricerca e alla scoperta di talenti innovativi” che Le rêve de Noura (2019) di H. Boujemaa messa. Sono stata contenta della presenza da sempre, fin dalla nascita dell’ex Festival ci- di Barbara Steele e di Carlo Verdone, il guest nema giovani nel 1982, costituisce l’autentica director che ha fatto il pieno di selfie con il mission della manifestazione torinese. pubblico e nelle sale. E sono stata contenta di avere proposto al pubblico la personale La difficile elaborazione di un lutto completa di Teona Strugar Mitevska, che ha Permeato da un coinvolgente senso di scon- vinto il Premio Lux del Parlamento europeo”. fitta esistenziale e sorretto da un impianto re- Considerazioni condivisibili, anche alla luce dei gistico maturo e suggestivo, A white, white dati finali del 37° Tff, in linea con le cifre delle day è il racconto di una difficile elaborazione precedenti edizioni: 61 mila presenze com- di un lutto, il faticoso tentativo di incasellarsi in plessive (contro le 62.500 del 2018), 2.090 una serena ‘vita ordinaria’ da parte di un an- accreditati tra stampa e professionali/industry ziano poliziotto, al quale due anni prima era (2.161 l’anno prima), 234 mila euro di incasso morta la moglie, precipitata in auto da una (236 mila nel 2018). Anche nel merito della

Le rêve de Noura (2019) di H. Boujemaa

randi autori invitati a parlare delle loro si è occupato in Rai di cinema d’autore e di opere (“un ingrediente essenziale in programmi per Rai3, dal 2012 collabora con Gtutte le manifestazioni di cultura ci- la Mostra del cinema per la sezione Venezia nematografica”), l’attenzione ai ‘mondi nuo- Classici. Dunque, un profilo adeguato per il vi’ costituiti dal web, dall’animazione e dalle ruolo di timoniere della rassegna subalpina, serie tv (“ripensare il concetto di audiovisivo, che lo scorso 30 novembre, in attesa per mettendo in discussione le categorie canoni- l’appunto di formalizzare il nome di chi avreb- che del cinema”), un’accurata ottimizzazione be guidato le prossime stagioni (le date del delle risorse economiche, la collaborazione 2020 sono 20-28 novembre), aveva soltan- stretta con Università e Politecnico, una co- to socchiuso, e non completamente calato, municazione migliore e più capillare. Queste, il sipario della sua 37ª edizione. Un dettaglio in estrema sintesi, le linee guida proposte non da poco, visto che negli ultimi sei anni per il Torino Film Festival 2020, pochi gior- (quattro di contratto e due in deroga) a di- ni dopo l’annuncio del suo incarico, dal neo rigere la manifestazione, con professionalità direttore Stefano Francia di Celle, scelto a e personalità, era stata Emanuela Martini, e A White, White Day (2019) di H. Pálmason metà dicembre 2019 all’interno di una rosa visto che, mai come in questa delicata fase di otto candidati e nominato all’unanimità dai della sua storia, con un Museo che ha da scogliera. L’opera seconda di Pálmason (nato vertici del Museo nazionale del cinema. poco rinnovato i suoi vertici (oltre al neo pre- proposta filmica, nonostante una partenza a Reykjavik nel 1984), tutta giocata sulle ellissi sidente, Enzo Ghigo, già alla guida della Re- non particolarmente brillante, i titoli presentati temporali e sui freddi controcampi dell’ani- Il nuovo timoniere gione Piemonte, anche il direttore, Domeni- dal 22 al 30 novembre sugli schermi del Cine- ma, si muove con solidità narrativa tra inve- Nato a Torino, dove ha vissuto fino ai 30 co De Gaetano), il ‘sistema cinema’ torinese ma Massimo e del Reposi hanno lasciato una stigazione privata e crisi interiore, andando a anni, classe 1966, manager culturale e ha bisogno di autorevolezza, competenza, scia positiva di consenso critico, avvalorata, scandagliare nelle sue pieghe più profonde storico del cinema, Francia di Celle rimarrà entusiasmo. per quanto riguarda il concorso internazionale un protagonista vittima della propria rabbia re- in carica per due edizioni del Festival, con Staremo a vedere. In ogni caso, l’edizione lungometraggi, dai premi assegnati dalla giu- pressa (appena mitigata dall’ossessiva ristrut- possibilità di rinnovo. Ha già collaborato in 2019 per la Martini (che rimarrà nello staff ria presieduta da Cristina Comencini. Il rico- turazione di una casa sul mare e dal costante, passato con il Tff, scrivendo monografie su del Tff) “è stata bella e vitale. Sono molto noscimento al miglior film attribuito a A white, tenero accudimento della propria nipotina), Sokurov ed Emmer, ha curato retrospettive soddisfatta”, aveva detto a caldo, in chiusu- white day dell’islandese Hlynur Pálmason, in- senza nascondere il versante patologico del su Polanski e Wenders, per più di vent’anni ra, “anche di come è andata la retrospettiva fatti, sottolinea e rilancia quella vocazione “alla dolore ma scuotendolo, talvolta, dall’interno

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con un’ironia nordica niente affatto atipica a vorzio ma, pochi giorni prima che le venga quelle latitudini cinematografiche. concesso, il marito viene scarcerato e la In un cortocircuito aspro, dove si incrociano donna è costretta a riprenderlo in casa per sospetti di tradimento coniugale e nostalgici non essere perseguita come adultera dalla ricordi affettivi, sguardi proiettati su un futuro legge tunisina. Ritratto di una donna forte e più disteso ma ancora prigionieri di un passato passionale, l’opera seconda di Hinde Bouje- lacerante, prende dunque forma lo spaesa- maa, grazie a interpretazioni abrasive e una mento identitario dell’agente in congedo, ap- buona gestione dei tempi narrativi, si fa sin- parentemente distaccato dagli eventi ma, nel tesi di un difficile percorso di emancipazione sottofondo burrascoso della sua quotidianità, in una società ancora fortemente repressi- assillato nella mente e ferito nel cuore. “Sono va. Impegnata in molte campagne di soste- attratto da ciò che è misterioso e oscuro”, ha gno alla lotta contro la discriminazione e la d’altronde confessato Pálmason, “l’invisibile è disuguaglianza subita dalle donne in tutto il colmo di possibilità e stimola l’immaginazione”. mondo, la figura tenace della Boujemaa si Un orizzonte privilegiato, sostenuto “dalla pas- rispecchia in un lungometraggio in cui, come sione e dal desiderio di esplorazione dell’igno- sottolinea lei stessa, “i diversi, contrastan- to”, tasselli indispensabili di un puzzle scompo- ti elementi di una società alle prese con la sto da rimettere pazientemente in ordine. sua ricostruzione (proibizioni, bugie, onore e vendetta) danno al film il tono e la forma del Una donna forte e passionale thriller psicologico”. Riservata a opere prime, seconde o terze, la più importante sezione competitiva del Tff Macerie materiali e rovine mentali ha proposto 15 titoli, rappresentativi di molte Anche le altre opere premiate sotto la Mole nazionalità: Argentina, Canada, Cile, Taiwan, hanno rivelato disagi e inadeguatezze, in- Francia, Germania, Gran Bretagna, Islanda, crespature relazionali o crepe esistenziali. Italia, Russia, Singapore, Spagna, Stati Uniti Beanpole del russo Kantemir Balagov, ad e Tunisia. Proprio dalla Tunisia è arrivato il lun- esempio (premiato per le due protagoniste, gometraggio vincitore del Premio Fondazione Viktoria Miroshnichenko e Vasilisa Perelygi- Sandretto Re Rebaudengo, Le rêve de Noura na, migliori attrici del Tff 2019, e già applau- di Hinde Boujemaa, a cui è spettato anche il dito a Cannes, dove lo scorso maggio ha premio Fipresci “per la sua atmosfera realisti- vinto il premio per la miglior regia al Certain ca e la sua storia veritiera, caparbia, limpida regard), è ambientato nella Leningrado del e suggestiva, girata in un luogo specifico e 1945, quando due donne cercano di rico- marginale”, come si legge nella motivazione struire le loro vite dopo la guerra. Una, in- della giuria. Un film che “affronta problemi fermiera in un ospedale per reduci del con- globali riguardanti scelta, libertà, responsabi- flitto, è una ‘giraffa’ bionda, altissima, timida lità e convenzioni sociali conservatrici, che si e di tanto in tanto bloccata da un trauma da basano anche su bisogni umani basilari non- stress. L’altra, invece, provata dall’esperien- ché sulle fondamenta di ogni società: rivalità, za del fronte, appare molto più sicura e spre- felicità, dominio”. giudicata dell’amica, con cui va a vivere una La Noura che dà il titolo al film è una donna volta tornata dalla prima linea. che lavora nella lavanderia di un ospedale, La macchina da presa di Balagov (classe madre di tre figli, con un marito violento in 1991, allievo di Sokurov e già segnalatosi al Tff carcere e un amante del quale è innamora- per l’ottimo esordio dello scorso anno, Tesnota) ta, Costretta a nascondere questa relazione si muove con sorprendente scioltezza sul (se scoperti, i due verrebbero condannati a set, manifestando una sicura padronanza dei meccanismi di messa in scena. E la volontà di Wet season (2019) di A. Chen cinque anni di carcere), Noura chiede il di-

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mostrare gli effetti ‘dispersivi’ e ‘corrosivi’ della giovane insegnante di cinese in un liceo di Sin- Anche Ms. White Light dello statunitense Beanpole (2019) di K. Balagov guerra sulle psicologie delle due donne si colora gapore e uno studente, l’unico interessato alla Paul Shoulberg, Premio del pubblico al 37° sullo schermo di un’apprezzabile originalità sua materia. Il tema della maternità (mancata) è Tff, è un film ‘al femminile’. La protagonista autoriale. “Era importante per me mostrare le al centro della vicenda, lo sforzo dei protagoni- è infatti una giovane donna che sa entrare conseguenze della guerra attraverso i volti, sti di liberarsi dalla solitudine, nella stagione dei in empatia con le persone che stanno per gli occhi, i corpi delle persone, non solo monsoni (da cui il titolo dei film), appare convin- morire, una peculiarità che è diventata, per attraverso edifici abbandonati o distrutti”, ha cente nella sua progressione narrativa, lineare lei (e per il padre, che le fa da datore di lavo- puntualizzato Balagov. E l’altalena continua tra ma condotta con mano ferma. Come ribadito ro), un mestiere, l’assistenza ai malati termi- vita e morte, sulla quale si muovono le due dallo stesso regista, “Wet season è il ritratto di nali. Sono molti i cambi di tono, in Ms. White protagoniste, arriva a raffigurare universalmente una donna, insoddisfatta del matrimonio e del Light, che, sospeso tra il buffo e il dolente, sia le macerie fisiche che le rovine mentali di lavoro”, colta “nel suo percorso di ridefinizione passa con estrema facilità dalla commedia un’umanità allo sbando. e riscoperta di se stessa. C’è una resilienza al dramma, anche nella stessa sequenza. Sempre sul fronte delle interpretazioni, anche silenziosa in lei, che affronta la vita con grazia Una ‘duttilità’ espressiva che, nei momenti il premio per il migliore attore è finito, sotto la e dignità. In passato, questo progetto mi ha migliori, imprime vivacità ed empatia al film, Mole, a due protagonisti dello stesso film, toccato personalmente, dal momento che mia ma che, in altri frangenti, svela un’esibizioni- Giuseppe Battiston e Stefano Fresi. E’ sulle moglie e io abbiamo dovuto affrontare le no- stica programmaticità del plot, improntato ad loro (larghe) spalle, infatti, che si appoggia stre personali sfide per creare una famiglia. Le una loquacità talvolta estenuante, con lunghi Il grande passo, secondo lungometraggio iniezioni, le pillole, le visite in ospedale: lacrime, scambi verbali a tessere la tela delle relazioni di Antonio Padovan dopo l’esordio nel 2017 rabbia, delusione erano ormai rituali familiari. tra i personaggi (un’ex cliente ossessionata con Finché c’è Prosecco c’è speranza. Una Nonostante il dolore e le difficoltà, quest’espe- dalla cultura dei samurai, un seducente psi- storia ‘lunare’ quella narrata dal regista vene- rienza ha rafforzato la mia determinazione a gi- copatico di dubbia moralità, una paziente to, che pur ben sostenuta, per l’appunto, dal rare questo film”. lucida e tenace). talento dei due interpreti, qui nei panni di due fratelli sconosciuti l’uno all’altro (e davvero somiglianti fisicamente), non riesce a ‘decol- lare’ come vorrebbe e dovrebbe: nella pazza Pink wall (2019) di T. Cullen idea di uno dei due fratelli di costruire in un fienile del Polesine un missile per arrivare sul- la Luna, e nella complicità che sgorga tra i due dopo l’iniziale diffidenza, c’è certamente il richiamo al mondo poetico, umanissimo, della provincia italiana raccontata nel suo ci- nema da Mazzacurati, fatto di bevute al bar, di caratteri ruspanti, di piccoli, gelosi segreti, di spazi dilatati e di contagioso affetto per la normalità, ma il ‘campionario’ qui appare un po’ sfiatato e la regia non ripaga la sceneg- giatura delle stesse, coraggiose intenzioni.

Maternità mancate e malati terminali Meglio bilanciato, a livello di scrittura, è apparso Wet season, vincitore del Premio per la miglior sceneggiatura. Storia intimamente dolorosa, quella portata sullo schermo da Anthony Chen, ma nutrita di delicatezza e pudore e capace di riverberare sottili sfumature caratteriali nella Le choc du futur (2019) di M. Collin descrizione di una crescente amicizia tra una

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Parole, parole, parole… sione filosofico-politica sulla caducità dell’e- L’abbondanza verbale (e l’analogo ‘rischio sperienza umana e sull’importanza basilare saturazione’ per lo spettatore) caratterizza delle scelte che guidano le proprie azioni. anche il frammentario Pink wall del britannico Pink wall (2019) di T. Cullen Ancora più temerario, Now is everything di Tom Cullen, che rievoca, ondeggiando avan- Riccardo Spinotti e Valentina De Amicis si ti e indietro nel tempo, i sei anni di vita di una spinge in territori cinematografici impervi, sui coppia ripercorsi a ‘geometria variabile’ in sei sentieri dell’astrazione filmica e della stilizza- momenti esemplari della relazione, uno per zione estetica riservati a grandi autori come anno: l’incontro iniziale, le prime incompren- Lynch e Malick. Percorso da stranianti voci sioni, i litigi e le riappacificazioni, il tutto senza off, dalla sgretolazione della concatenazione seguire un rigoroso ordine cronologico. Pure cronologica, dalla confluenza di sogno e re- Fin de siglo dell’argentino Lucio Castro, nel altà, avvolto in un perturbante sound desi- ripercorrere il ‘breve incontro amoroso’ tra gn e disperso in mille riflessi cromatici, Now due uomini, si snoda lungo la linea del tempo is everything non traduce però in doverosa e del recupero del passato, mentre Algunas pregnanza di racconto le sue eccellenti qua- bestias, come Pink wall, indugia anch’esso lità visive (con la splendida fotografia di Dante sul registro dialettico, ma nell’opera del cile- Spinotti, padre del regista). E la vicenda di un no Jorge Riquelme Serrano (analisi incrociata giovane fotografo di moda, afflitto dalla morte di tre generazioni di una famiglia bloccata su del fratello minore e dalla scomparsa della una remota isoletta dopo la sparizione del fidanzata, annega in uno sperimentalismo loro aiutante e della sua barca) la dimensione tanto affascinante quanto vacuo. verbale è la miccia per l’esplosione di ten- Di segno del tutto contrario, costruito cioè sioni latenti. Operazione disturbante, per un su una linearità disarmante, anche Le choc ‘gruppo di famiglia in un inferno’, però smac- du futur del francese Marc Collin, per ragioni camente ‘scomoda’ e, talvolta, pretestuosa- diametralmente opposte, non riesce ad ‘ag- mente sgradevole. ganciare’ lo spettatore, dapprima sedotto da Per nulla sgradevole, anzi pimpante, ma alla atmosfere musicali vintage (siamo a Parigi resa dei conti un po’ evanescente, Raf del nel 1978, con una ragazza a cercare di far- canadese Harry Cepka rielabora con tonalità Wet season (2019) di A. Chen si strada producendo electromusic in totale eccentriche i canoni dell’indie weird, collo- autonomia, tra sintetizzatori e macchine av- cando sotto i riflettori una giovane che vive veniristiche per l’epoca) ma poi annoiato da in un seminterrato a Vancouver, alquanto spagnolo Galder Gaztelu-Urrutia: un uomo si una sceneggiatura avvitata su se stessa che strampalata e decisamente spiantata. Un’e- sveglia in una cella con una copia di Don lascia praticamente ai soli suoni dei synth il sistenza adagiata placidamente nel flusso Chisciotte in mano e un anziano vicino di let- compito di far avanzare le vicende. Acco- della vita, la sua, fino all’incontro con un’ami- to. Entrambi si trovano in una prigione verti- munato a Le choc du futur dal denominatore ca benestante, energica e determinata che cale composta da vertiginosi piani, con due comune della musica come pilastro narrati- contraddice e rilancia, di rimbalzo, il quieto prigionieri ciascuno, attraverso cui, una volta vo fondante, Prélude della tedesca Sabrina way of life della giovane. Più anonimo, su tutti al giorno, scende una piattaforma zeppa di Sarabi è invece un’opera più strutturata, che i fronti, Ohong village del taiwanese Lungyin cibo contenente i resti dei pasti dei detenuti nella descrizione della dedizione assoluta di Lim, che non riesce a spiccare il volo nono- dei livelli superiori: più ci si trova ai piani alti, un giovane pianista, alle prese in un presti- stante ragioni su raffronti nodali (padre-figlio, più ci si può nutrire, più si è relegati in bas- gioso conservatorio con le dure prove e il modernità-tradizione) e su condivisibili aspet- so più si rischia di morire di fame. Visionario, rigore algido degli insegnanti, e con il sogno tative genitoriali. allusivo, teso, El hoyo riporta alla memoria la nel cassetto di una borsa di studio a New migliore fantascienza distopica, ne rispec- York, fa affiorare la ‘sacralità’ delle sette note. La caducità dell’esperienza umana chia e sovverte le regole canoniche, azzarda Dando corpo e sostanza, nella tradizione te- Le parole, ben assecondate dalle immagini, soluzioni registiche, genera tensione e ma- El hoyo (2019) di G. Gaztelu-Urrutia desca del racconto romantico, ad un ritratto sono invece la potente molla di El hoyo dello gnetismo. Una suggestiva, metaforica rifles- adolescenziale appassionato e tempestoso.

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BERLINALE SOTTO IL SEGNO DEL CINEMA ITALIANO

Paolo Perrone e Anna Maria Pasetti

Con la nuova, duplice guida di Carlo Chatrian e Mariette Rissenbeek, la rassegna tedesca rilancia il proprio vigore autoriale senza smarrire la tradizionale vocazione militante. Orso d’oro a There Is No Evil del dissidente iraniano Mohammad Rasoulof, Elio Germano miglior attore per Volevo nascondermi di Giorgio Diritti, Orso d’argento alla sceneggiatura a Damiano & Fabio D’Innocenzo per il loro Favolacce

There is no evil (2020) di M. Rasoulof

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dal regime a uscire dall’Iran. Quadripartito in capitoli interlacciati su più livelli ad esclusione di quello narrativo, il film utilizza i suoi 150’ per esplorare il sempre ambiguo confine tra la ragione di Stato e la ragione di coscienza, che nel particolare caso di un sistema di po- tere totalitario tende a complicarsi, facendosi dolorosamente più netto quando al centro è posta la pena di morte di chi avversa politi- camente lo Stato. Opera dichiaratamente a favore dell’obiezione di coscienza laddove essa si distanzia dalla giustizia governativa, There Is No Evil fonda sulla base esperien- ziale del regista e sceneggiatore che, tutta- via, non rinuncia alla sapienza della finzione cinematografica per denudare la verità. Le storie ‘oblique’ raccontate da Rasoulof nello squisito modus narrandi iraniano, si distan- ziano dalle facili retoriche abbracciando la complessità dell’animo umano, e mettendo così in evidenza quel mistero della banalità del male illuminato da Hannah Arendt. Se appare meno sofisticato il ragionamento (2020) di A. Ferrara Siberia filosofico/politico su cui poggia Dau. Nata- sha dei russi Ilya Khrzhanovskiy e Jekaterina Todos os mortos (2020) di M. Dutra e C. Gotardo

ettanta volte Berlinale, celebrate con prensivo di 18 titoli a giudicare il quale è stata (2020) di C. Petzold un’edizione di qualità e una nuova di- selezionata una giuria a guida dell’attore bri- Undine Srezione artistica e organizzativa. Carlo tannico Jeremy Irons. di spazio/tempo e di arte/realtà, con alcuni Chatrian e Mariette Rissenbeek hanno infat- film particolarmente interconnessi fra loro nel ti messo a segno un connubio d’attrazioni Storia e politica, forte legame al territorio urbano che diviene che ha saputo mescolare gusti e aspettative “cinema di fantasmi”, crisi relazionali personaggio; un terzo filone, infine, si interro- mediatiche, mantenendo saldo il dialogo fra Per quanto difficoltoso sia identificare un ga sulle asperità (talvolta impossibilità) delle il cinema internazionale e il pubblico di una elenco di film giustapposti in un concorso relazioni umane che spaziano tra quelle fami- capitale in costante mutazione. Ai crescen- attraverso categorie definite per tendenze te- liari, amorose, d’amicizia o semplicemente di ti luoghi del festival, sparsi per tutta Berlino matico/espressive, è tuttavia possibile trac- prossimità abitativa. seppur riferiti al suo cuore pulsante nell’area ciare tre macro-filoni entro i quali collocare i Non particolarmente nutrito, ma con tre ope- di Potsdamer Platz, sono corrisposte altret- titoli concorrenti a Berlinale 2020, con la na- re di indubbia rilevanza, il primo filone sot- tanto crescenti sezioni del programma, es- turale predisposizione delle diverse opere ad tende la tradizionale vocazione militante del sendo nato per l’occasione il nuovo conte- intersecarsi e richiamarsi in dialoghi di comu- festival berlinese, da sempre attento ai terri- nitore competitivo Encounters, che ha visto ni interessi. Fatte dunque le dovute premes- tori del dibattito politico nel senso più profon- 14 film ritenuti sperimental-innovativi per lin- se, un primo filone accorpa lavori che rifletto- do e “umanitario” del termine. E non è forse guaggi e formati. Ma, come sempre, è stato no sulla Storia e la politica intese soprattutto un caso che qui sia collocato l’Orso d’oro il concorso internazionale a dettare l’agenda come rivendicazione dei diritti umani e civili; della 70ma Berlinale, Sheytan vojud nada- d’annata: un collage altamente eterogeneo un secondo filone è costituito dal cosiddetto rad (There Is No Evil) del cineasta dissidente ma profondamente ancorato a nutrire l’es- “cinema di fantasmi”, che attraverso linguag- iraniano Mohammad Rasoulof, assente alla senza del linguaggio cinematografico, com- gi, stili e tematiche diverse indaga i rapporti kermesse perché dal 2017 impossibilitato

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Oertel, nel suo drastico contrapporre op- di anime inquiete se non affette da nevrosi, pressione vs libertà, assai più ambizioso è come nello struggente Volevo nascondermi l’apparato estetico/linguistico con cui è or- di Giorgio Diritti. Qui la distorsione della re- ganizzato il discorso filmico, a partire dal fat- altà si ‘mostrifica’ fino a impossessarsi della to che il lungometraggio costituisce solo una mente creativa, traducendosi in opera d’arte: parte di un progetto artistico molto articolato ecco entrare in scena Antonio Ligabue, il pit- ed imponente. Attraverso la provocazione e tore deforme e follemente geniale capace di il coraggioso utilizzo di non attori professioni- proiettare su tela le bestie feroci dei suoi fan- sti sottoposti a una prova estrema, i cineasti tasmi. A dare volto, corpo e anima a “el Màtt” spingono ai limiti del ‘visibile’ la portata meta- un trasfigurato Elio Germano, meritatamente fisica della trasgressione, racchiudendola in premiato come miglior interprete maschile. un perimetro di claustrofobici interni sintesi Di nome e di fatto si carica di elementi spettrali delle costrizioni sovietiche. È indubbiamente anche Todos os mortos dei brasiliani Caetano meritato il premio al miglior contributo tecni- Gotardo e Marco Dutra; ambientato in una co andato alla straordinaria fotografia di Jürg- San Paolo che guarda al futuro, il film punta en Jürges. Anche il grande artista cambo- l’obiettivo su una famiglia transgenerazionale al giano Rity Pahn, al suo esordio in Berlinale, femminile imprigionata nel passato. L’interes- ha sublimato un ‘ragionamento per immagini’ sante utilizzo di spazio/tempo dei due cinea- importante, delegando al suo consueto ci- sti evidenzia lo scarto emancipativo, mentre i nema evocativo un discorso/omaggio all’u- fantasmi agitano gli animi tanto degli ex latifon- niverso dei sopravvissuti, qual è egli stesso. disti bianchi che degli ex schiavi neri. L’opera, In tal senso Irradiés racchiude il significato di purtroppo più didascalica che evocativa, offre “allontanati” perché perseguitati, ma anche una riflessione sul rapporto fra il territorio me- di “propagatori” di uno status in perenne so- tropolitano e i suoi cittadini in cui emergono le spensione che contamina, con una sorta di criticità della Storia. In tale direzione si muove maledizione, le generazioni successive. Lo anche il bellissimo Undine di Christian Petzold, split-screen tripartito serve a Pahn per con- liberamente ispirato all’omonima fiaba di F. M. tenere parallelismi nella Storia, accentuando Fuqué. Ambientato in una Berlino contempo- la circolarità viziosa di stermini e genocidi. In ranea in cui passato e futuro s’incastrano e corsa presso due giurie diverse, Irradiés ha rimodulano per definizione, racconta gli amori vinto come miglior documentario del festival. di una giovane storica d’urbanistica in sospen- sione tra la realtà, il sogno e la leggenda. Per la Ligabue, pittore deforme sua intensa interpretazione della protagonista, e follemente geniale Paula Beer ha vinto l’Orso d’argento come mi- I non pochi elementi fantasmagorici presen- glior attrice. E la circolarità quasi ‘viziosa’ della ti nel film (come in tutta l’opera) del regista capitale tedesca, dalle cui rovine belliche viene cambogiano innervano il secondo filone, in riedificato un passato di gran lunga preceden- cui si rintraccia, si diceva, il cosiddetto “ci- te (“il progresso non esiste”, spiega Undine ai nema di fantasmi”. Non necessariamente or- visitatori del museo dove è guida), torna onto- rorifico, nel caso dei titoli concorrenti all’Orso logicamente in essere in Berlin Alexanderplatz d’oro questo si è articolato in lavori centrati di Burhan Qurbani. La rilettura in chiave di noir sul riemergere di un trascorso traumatico contemporaneo del classico di Alfred Döblin ove passato e presente si mescolano e risente più dell’emergenza d’integrazione mul- s’informano in corpi anagraficamente estin- tietnica percepita dal regista tedesco/afgano ti (il problematico Siberia di Abel Ferrara) o (il protagonista è infatti un migrante africano frutto di allucinazioni (il modesto El pròfugo arrivato a Berlino) che non del capolavoro di dell’argentina Natalia Meta), chiari sintomi Reiner Werner Fassbinder. Volevo nascondermi (2020) di G. Diritti

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First cow (2020) di K. Reichardt Una favola nera, profonda e dolente nicative dai nostri tempi, specie quelle Con il terzo filone “tematico” dialogano apportate dall’abuso del web, smartpho- almeno la metà delle opere concorren- ne, social media nella quotidianità di una ti, a partire da due fra le migliori viste comunità della provincia francese. Un a Berlino 2020: Favolacce dei giovani vero saggio ‘politicamente scorretto’ di fratelli D’Innocenzo e First Cow della sociologia 2.0 premiato con l’Orso d’ar- statunitense paladina del cinema indie, gento della 70ma Berlinale. Decisamen- . Su tessuti linguistico/ te più ‘tradizionali’, ma non per questo narrativi totalmente distanti, i due film meno problematiche, sono le forme rela- evidenziano il paradosso del processo zionali su cui basano i loro nuovi racconti comunicativo: da una parte, infatti, ge- tre grandi maestri del cinema mondiale nitori e figli sopravvivono sotto lo stes- quest’anno concorrenti all’Orso d’oro. so tetto nella totale incomunicabilità, Da una parte la ‘calma apparente’ delle dall’altra individui provenienti da mondi donne in tour condominiale ritratte dalla e culture lontani scoprono inedite forme compostezza formale di Hong Sang-soo di amicizia, complicità e solidarietà. Il ne Domangchin yeoja (The Woman Who secondo lungometraggio di Damiano & Ran), premiato per la miglior regia, dall’al- Fabio D’Innocenzo (premiati con l’Orso tra le inquietudini amorose di un giovane d’argento alla sceneggiatura che aveva- francese incline a fuggire da ogni re- no scritto ad appena 19 anni), in parti- sponsabilità illuminate dal bianco&nero colare, porta alle estreme conseguen- in 16mm dal sapore vintage di Renato ze il disagio dei bambini protagonisti Berta per l’amico Philippe Garrel, che ha di fronte a un apparato adulto smarrito firmato regia e sceneggiatura di Le sel Never Rarely Sometimes Always (2020) di E. Hittman nei propri egoismi. La loro favola nera, des larmes. profonda, dolente e originalissima, apre riflessioni sulle difficoltà relazionali Solitudine e malattia al centro anche del notevolissimo Ne- Ultimo, ma solo in termini espositivi, è ver Rarely Sometimes Always, il terzo infine lo struggente e immaginifico Rizi lungometraggio della giovane ameri- (Days) di Tsai Ming-liang, che aggiunge cana Eliza Hittman, premiato con l’Or- un ulteriore tassello di magnificenza al so d’argento–Gran premio della giuria. proprio cinema fatto di silenzi (in questo Dramma sostanzialmente incentrato sul caso totali, il film è senza dialoghi), lun- percorso ad ostacoli per ottenere un ghe inquadrature, meditazioni sul tempo aborto negli Usa contemporanei, specie e sullo spazio. Immersi in un universo di in certe zone della provincia profonda, solitudine, gli unici due protagonisti at- rielabora con sapienza cinematografica traversano i days (giorni) avvalorando di le distonie comunicative del “sistema” passione quei rari momenti di intimità. rispetto alle esigenze del singolo citta- Una solitudine che certamente, e in ma- dino, puntando comunque anche il dito, niera aggravata per la presenza di una come i gemelli D’Innocenzo, sul males- malattia, sentono anche i personaggi di sere famigliare e sull’impossibilità delle The Roads Not Taken della britannica protagoniste adolescenti di contare sul Sally Potter e Schwesterlein (My Little sostegno dei genitori. Sister) delle registe svizzere Stéphanie Seppur su toni drasticamente differenti, Chuat e Véronique Reymond: due ope- anche il tagliente e ironico Effacer l’histo- re non totalmente riuscite, ma indubbia- Favolacce (2020) di Damiano e Fabio D'Innocenzo rique dei belgi Benoît Delépine e Gusta- mente sintomatiche del malessere non Rizi (Days) (2020) di Tsai Ming-liang ve Kervern indaga le idiosincrasie comu- solo fisico del nostro tempo.

88 film cronache film cronache 89 Pubblicazione realizzata con il contributo di