L’Italia in mostra: quando la Roma cinematografica era il centro del mondo

“L’America in Italia, l’America sta qua”: quasi profeticamente, Carlo Dapporto recita, anzi canta questa strofa nel film “I pompieri di Viggiù”(1949), ma ancora non sa quanta verità porta dietro di sé quel verso, canticchiato con una delle solite melodie care alle riviste dell’attore sanremese. I quasi 20 anni che vanno dal 1950 al 1969, che appassionano e sconvolgono Roma, la fanno tornare per un breve, intenso periodo il centro del mondo, la città dei divi (nazionali e internazionali) e dei grandi registi, delle notti mondane, dei tormentati amori (come quello tra Walter Chiari e l’attrice americana Ava Gardner), del divertimento ad ogni costo, delle megaproduzioni con migliaia di comparse e capricci delle varie star di turno. E’ anche il periodo del boom economico italiano e il cinema, che mai come in Italia si è sempre candidato con successo a specchio della società, mette in mostra la parte più bella del nostro Paese.

I n u n o d e i t a n t i c affè di Via , vengono immortalati anche il produttore Angelo Rizzoli, insieme a Federico Fellini e Anita Ekberg, pochi mesi dopo il travolgente successo de “La Dolce Vita”.

Già tra il ’48 e il ’49 gli americani cominciano a scoprire i vantaggi di produrre in Italia con Il principe delle volpi, che ha nel cast Orson Welles e Tyron Power, il cui matrimonio con Linda Christian è uno dei primi avvenimenti mondani che attirano a Roma la stampa e l’attenzione internazionale. Citando dati dell’ANICA, l’Associazione italiana dei produttori cinematografici, è stato notato che “tra il 1957 e il 1967 le compagnie americane hanno speso circa 350 milioni di dollari per acquistare film italiani e per partecipare alle loro produzioni, nonché per produrre i propri film in Italia”. Quindi in Italia, una tradizione cinematografica locale e culturalmente robusta emerge più o meno intatta dalle rovine del fascismo e crea, grazie all’ampia protezione e ai sostegni governativi, l’alternativa più efficace e radicata a Hollywood, di tutta Europa. Anzi, almeno per il ventennio che va dal 1950 al 1969, Hollywood sembra essere in stato di subordinazione nei confronti di Cinecittà, il cinema italiano sembra essere dunque il centro del mondo cinematografico, con la qualità dei suoi autori, dei suoi attori e dei suoi mezzi a basso costo. 1 9 5 7 - w a l t e r c h i a r i i n s e g u e il paparazzo tazio secchiaroli reo di averlo fotografato in compagnia dell’attrice americana Ava Gardner.

L’Italia del boom economico e della Dolce Vita dunque, diventa la regina del cinema mondiale di questo breve ma intenso periodo. E’ anche il periodo in cui il cinema italiano fa scuola nel mondo: le massime dive del cinema mondiale sono italiane, Gina Lollobrigida, Silvana Mangano e Sophia Loren; De Sica, Rossellini e Visconti portano il cinema nelle strade, tra la gente comune, con il neorealismo; Blasetti rispolvera e fa resuscitare il vecchio film a episodi; Anna Magnani vince l’Oscar per La rosa tatuata, nel 1955; Walter Chiari appassiona il gossip mondiale con la sua folle e travolgente storia d’amore con Ava Gardner; mentre Marcello Mastroianni con la sua aria sorniona, pigra e malinconica conquista Hollywood. Insomma è in questo contesto storico che si muove e si celebra il cinema italiano nel mondo. Ed era un vantaggio per tutti, per i produttori americani, che spendevano molto meno che a Hollywood, e per gli italiani, che si assicuravano un lavoro di lunga durata e ben pagato. Il dollaro significava benessere. Beneficiarono della nuova situazione alberghi, ristoranti, locali notturni, negozi eleganti di Via Condotti e “paparazzi”. Tra Via Veneto e Piazza di Spagna, fino a Trastevere, nasceva la Dolce Vita.

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Infatti un’altra attrazione irresistibile, in questo caso più che per i produttori, per registi e attori, che hanno spesso l’ultima parola nella scelta del luogo in cui girare, è il fascino di Roma. Un fascino duplice: da una parte le bellezze monumentali e storiche della città. Molti divi, in trasferta di lavoro, prendono in affitto sontuose ville sull’Appia antica. E alcuni produttori incaricano gli autisti che vanno a prelevare gli attori all’aeroporto di compiere un lungo giro al ritorno, per suscitare la loro meraviglia. Dall’altra le tentazioni dei locali notturni e di una mondanità che, in limiti geografici ben circoscritti, si sviluppa quasi ininterrottamente per tutto l’anno, con una breve sospensione durante il più caldo periodo estivo, ovvero un temporaneo trasloco nelle località di villeggiatura, da Capri a Taormina, da Positano a Ischia.

M a s t r o i a n n i i n v i a V e n e t o - 1 9 5 9 Le star, incuriosite o supponenti, arrivano come delle vere conquistatrici: si portano bauli pieni di vestiti, kleenex e aspirina. E vengono accolte con tutti gli onori che i conquistati tributano ai conquistatori graditi. Abitano nei grandi alberghi di via Veneto o nelle megaville prese in affitto. A Roma Audrey Hepburn trova marito, Anita Ekberg incontra Fellini, Liz Taylor si innamora di Richard Burton e si avvelena, Ava Gardner e Anthony Franciosa litigano per colpa di Walter Chiari, mentre Marcello Mastroianni fa il bagno vestito nella fontana di Trevi, insieme alla biondona Anita Ekberg. Le notti della capitale si animano con risse, finti suicidi, scenate di gelosia. La ricchezza, l’abitudine al lusso, i capricci da vere dive, l’alcol, gli amorazzi passeggeri sono il pane quotidiano dei rotocalchi. In realtà, i produttori hanno altre buone ragioni per scegliere Cinecittà e accontentare così attori e registi.

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Intorno a Roma è possibile trovare scenari spettacolari ed eterogenei, adatti alle più diverse esigenze di ambientazione previste dal copione, e il clima mite consente le riprese in esterno per quasi tutto l’anno, con evidenti conseguenze di risparmio. Qualche precedente tentativo di impiantare produzioni in un paese come l’Inghilterra, più omogeneo per ragioni linguistiche e culturali, fallisce proprio per ragioni climatiche. In alcuni casi, perfino, sono rilevanti i danni alle scenografie, che marciscono rapidamente a causa dell’umidità. In breve, a Cinecittà e, ovviamente, ancor più a Roma, si innesca un meccanismo che si autoalimenta: tutti vogliono essere là, dove ci sono i personaggi più importanti. E i personaggi più importanti vanno là, dove tutti vorrebbero essere: “per la prima volta si può essere una superstar senza andare in America”.

Importante alleato di questo meccanismo, caratteristico dello star system, è il giornalismo di gossip, che trova proprio nello speculare sistema circolare della Dolce Vita la sua prova più clamorosa: la stampa periodica è la prima fonte di lavoro e di ispirazione per La Dolce Vita di Fellini. Ma dopo l’uscita del film, e anzi perfino durante la lavorazione, i settimanali si fanno concorrenza nell’andare a trovare i luoghi reali celebrati nel film, in un cortocircuito fra reale e racconto filmico che trasforma la Dolce Vita e La Dolce Vita, la vita quotidiana e la sua interpretazione filmica in un unico, inestricabile groviglio narrativo. Il giornalismo di gossip partecipa dunque attivamente al mito della Roma della Dolce Vita: la bella attrice che sposa il ricco produttore (Loren e Ponti/ Mangano e De Laurentiis), i numerosi latin lovers ( Chiari, Brazzi, Mastroianni, Gassman, Arena ), gli amori tormentati, fasti e nefasti delle grandi produzioni cinematografiche, le curiosità più o meno legittime sulla vita privata delle star. Tutto ciò concorre a far diventare Roma, in brevissimo tempo, la “Hollywood sul Tevere”, producendo ventisette kolossal e centinaia di altri film, nell’arco di un ventennio, dal 1950 al 1969, in un continuo viavai di registi e attori di prima grandezza. Il luogo simbolo diventa Via Veneto, il predestinato ombelico della Dolce Vita, in sinuosa discesa da porta Pinciana a piazza Barberini, con i suoi grandi alberghi, i dehors dei caffè sempre più affollati, gli orgogliosi ippocastani, il fascino senza tempo della scalinata di Piazza di Spagna.

La vocazione di via Veneto come centro mondano e intellettuale della città si manifesta già tra la prima e la seconda guerra mondiale, con una predominanza della matrice culturale. Una comunità di giornalisti, scrittori, pittori, intellettuali, snob e perdigiorno, cui si affianca negli anni quella di gente del cinema, sempre più numerosa, secondo rituali che rispettano una precisa geografia, segnata dal diverso colore degli ombrelloni dei caffè e dall’invisibile confine che separa i due lati della via. Ai riferimenti spaziali si aggiungono anche quelli temporali: i rituali seguono orari ben noti a ciascuna delle cerchie che si sovrappongono e si avvicendano in quelle poche centinaia di metri. La metamorfosi di via Veneto da centro intellettuale a grande scenario della Dolce Vita viene registrata dai giornali con assidua puntualità. Le memorie e i documenti sull’argomento sono numerosi e vivaci, essenziali per comporre fedelmente lo scenario. La Fallaci ad esempio, registra la vita quotidiana della strada riportando frequentazioni e orari, e scrive: “Alle due del mattino, quando gli intellettuali sono andati a dormire, arrivano col rombo delle automobili da corsa le grandi firme del cinema. Ormai c’è posto per tutti e le fuoriserie si accostano alla riva sinistra di via Veneto, come navi che attraccano ad un porto. C’è la Ferrari di Rossellini, la Jaguar di Raf Vallone, la MG di Kerima, la B21 di Rascel, la Mercedes di Anthony Quinn. Tutti a quell’ora, scendono dalle loro fuoriserie, per andare a bere del whisky. Tutti a quell’ora bevono whisky. Chiedere un caffè o un’aranciata sarebbe considerato segno di grave disdoro”. a u d r e y h e p b u r n s u l l a s c a l i n a t a c h e c o n g iunge Piazza di Spagna a Trinità dei Monti

Questo modo di bere è chiaro indicatore della presenza di attori stranieri. E naturalmente attrici. Anita Ekberg ed Elizabeth Taylor, per esempio, sono celebri per la loro bellezza, i loro amori, e i loro consumi ad alta gradazione. L’alcol diventa un segno di elezione e di stile. Scrive Flaiano: “Nei bar del centro, in questi di via Veneto, chi beve ostinatamente, lo sappiamo, sono forse in tutto un centinaio, e diventano con il tempo oggetto di ammirazione, perché rivelano un’abitudine ai viaggi, al modo di vita europeo. Più che dei viziosi essi si sentono dei privilegiati”. “Le ore”, che ha la redazione proprio al numero 169 di via Veneto, dedica alla strada un servizio di otto pagine quasi esclusivamente fotografico, con didascalie, brillanti e colorate. Testimoniano il periodo più splendido, prima che sopraggiunga la crisi delle grandi produzioni (metà anni ’60), e che Fellini, con il suo film, cristallizzi un’epoca, ovvero prima che l’ispirazione diventi manierismo.

Addio ad Anna Maria Ferrero dimenticata, dolce e tenera attrice dell’Italia del Boom economico

Scoprii Anna Maria Ferrero per strada, in via Aurora a Roma, mentre camminava al fianco di una signora. Cercavo la ragazzina per il film e vidi questo scricciolo che aveva una tale intensità negli occhi. Fece un provino meraviglioso, era nata attrice.

(Claudio Gora, regista)

Era il 1949, quando appena quindicenne, ma già bellissima, la giovane Anna Maria Ferrero, venne notata dal regista Claudio Gora e scritturata per una parte nel film Il cielo rosso. Fu l’inizio di una sfolgorante, ma breve carriera artistica, che si districò nell’arco di un quindicennio o poco più, per scelta personale infatti, dopo aver sposato l’attore francese Jean Sorel, Anna Maria Ferrero decise di abbandonare il mondo dello spettacolo. Soltanto brevi altre apparizioni pubbliche, dopo il mediometraggio Cocaina di domenica parentesi del film ad episodi Controsesso, simpatico film interpretato al fianco di Nino Manfredi, la Ferrero decide per il ritiro dalle scene, sulla falsariga di ciò che aveva fatto qualche anno prima, un’altra diva dell’epoca, ovvero Marisa Allasio. Utilizzata in parti più “impegnate” della Allasio, Anna Maria Ferrero si contraddistinse per una bellezza elegante, fuori dal comune e per una classe di interprete raffinata e fuori dagli schemi. I l f a s c i n o e l e g a n t e d i Anna Maria Ferrero, “stella” del cinema italiano del boom economico. Bella come poche, elegante come poche, affascinò tutti i più grandi cineasti dell’epoca. Fidanzata per molto tempo con Vittorio Gassman, sposò nel 1962 l’attore francese Jean Sorel e nel 1965 si ritirò dalle scene.

Fu “musa” ispiratrice per i più grandi cineasti dell’epoca, da Monicelli a Lizzani, e fu anche abbastanza utilizzata sulle copertine delle maggiori riviste mondane dell’epoca. Si chiamava Anna Maria Guerra, ma utilizzò il cognome d’arte “Ferrero”, in omaggio al suo padrino, il musicista statunitense Willy Ferrero, diventando Anna Maria Ferrero, anche per il fatto che egli stesso sarà l’unico a incoraggiarla ad intraprendere la carriera d’attrice, al contrario dei suoi genitori, specie suo padre, che si dimostreranno in un primo momento contrari alla scelta della figlia. Nel 1952 è impegnata nella lavorazione del suo primo film da protagonista, Le due verità di Antonio Leonviola. Nonostante la giovane età, Anna Maria offre un’ottima interpretazione, e finalmente la critica incomincia ad accorgersi di lei, così come registi e produttori. L’anno successivo si rivelerà il più prolifico della sua carriera, interpreta addirittura otto film, tra cui spicca la sua commovente e realistica interpretazione nel film Le infedeli di Mario Monicelli; o ancora Siamo tutti inquilini, al fianco di attori del calibro di Aldo Fabrizi e Peppino De Filippo. Nel settembre del 1953 partecipa alla 14ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Nella rassegna viene proiettato il film Napoletani a Milano dove Anna Maria recita accanto ad Eduardo de Filippo e, grazie alla sua sempre ottima interpretazione, l’attrice sarà ammirata come una delle più interessanti giovani promesse del cinema italiano dell’epoca. U n ’ i m m a g i n e a c o l o r i d i A n n a M a r i a F e r r e r o , d a t a 1958, all’apice del suo successo.

Anche il 1954 si rivelerà un grande anno per Anna Maria, darà sfoggio della sua bravura nel film Cronache di poveri amanti di , ancora una volta nella parte di una servetta, e soprattutto in Totò e Carolina, dove con la sua passionale recitazione, riesce a stare sullo stesso piano recitativo di Totò stesso. Tuttavia i ruoli che le vengono proposti sono tutti un po’ simili, ricalcano tutti il personaggio della ragazza debole ed ingenua, insicura nelle sue scelte, lasciata a se stessa.

A n n a M a r i a F e r r e r o i n c o p p i a c o n T o t ò, nel discusso “Totò e Carolina”(1953).

Le cronache mondane dell’epoca si interessarono di Anna Maria Ferrero anche per una lunga e spesso burrascosa relazione con Vittorio Gassman, durata dal 1954 al 1960, e interrotta, per il rifiuto di Gassman a sposarsi. Inoltre lo stesso Vittorio, spesso la rimproverava del fatto di doversi dedicare più assiduamente alla carriera cinematografica che a quella teatrale. Proprio nel 1960, l’anno della loro separazione ufficiale, la carriera di Anna Maria Ferrero ottiene un’improvvisa impennata. Accantonato per il momento il teatro, e senza le imposizioni di Gassman, l’attrice accetta di partecipare alle numerose pellicole che le vengono proposte dai produttori. Fra quelli interpretati in questo periodo, va ricordato, quella dell’intraprendente camerierina innamorata di Walter Chiari, imbranato professore in Le sorprese dell’amore(1959); e soprattutto quello della tenace ebrea Giulia ne L’oro di Roma(1961), il capolavoro di Carlo Lizzani, ambientato nella Roma occupata dalle truppe nazi-fasciste nell’ottobre del 1943. A detta della stessa attrice, sarà la sua migliore interpretazione di sempre.

L a l o c a n d i n a o r i g i n a l e d el film “L’oro di Roma”(1961), di Carlo Lizzani, da molti ritenuta l’interpretazione della vita di Anna Maria Ferrero, in un ruolo drammatico di grande intensità emotiva.

Il 1960 segnerà per Anna Maria un incontro che cambierà non poco la sua vita. In aprile ad una festa a casa dell’attore Pierre Brice incontra l’attore francese Jean Sorel, all’epoca pressoché sconosciuto. I due si fidanzeranno e di lì a poco si sposeranno. L’anno successivo Anna Maria protagonista del film L’oro di Roma suggerirà al regista che proprio al suo nuovo compagno venga affidato un ruolo nel film. Anna Maria preferisce recitare insieme all’attore francese, evitando così quelle distanze fatali che avevano contribuito a far fallire la sua precedente relazione con Vittorio Gassman. Non sarà la prima volta che l’attrice aiuterà la carriera del marito con le sue conoscenze.

I due si sposeranno nel 1962, continuando, almeno per un paio di anni, la loro carriera artistica parallelamente, non disdegnano qualche apparizione insieme, come in Un marito in condominio. Nel 1964, dopo Controsesso, recitato al fianco di Nino Manfredi, Anna Maria decide improvvisamente di lasciare tutto. L’attrice romana non spiegherà mai il vero motivo di tale rinuncia, forse perché in 15 anni di carriera cinematografica e 10 di quella teatrale, le occasioni per dimostrare appieno tutto il suo talento sono state molto poche, o forse perché spinta dal desiderio di dedicarsi alla famiglia. A n n a M a r i a F e r r e r o , i n s ieme a Nino Manfredi e Carlo Ponti sul set del film “Cocaina di domenica” episodio del lungometraggio “Controsesso”(1964).

La sua vita proseguirà lontano dai set cinematografici, da tempo trasferitasi a vivere nella periferia di Parigi, tornando raramente in Italia. Non riuscirà a diventare madre, e questo fatto si ripercuoterà negativamente sul suo matrimonio con l’attore francese. Nel decennio successivo le notizie sulla sua vita saranno pochissime, l’attrice concederà solo alcune interviste ai vari quotidiani dell’epoca, mentre le sue apparizioni pubbliche saranno praticamente nulle. Tuttavia Anna Maria dichiarerà di essersi pentita non poco di aver abbandonato la carriera d’attrice, e già dopo pochi anni dal suo ritiro avrebbe volentieri accettato una parte in un film. Un suo ritorno sui set cinematografici era previsto per il 1985, in un piccolo ruolo nel film Maccheroni di Ettore Scola, ma alla fine l’attrice romana ci ripensò e quello fu il suo ultimo contatto con il mondo del cinema. L’ultima apparizione in pubblico di Anna Maria Ferrero avviene nell’aprile del 2008, quando fa parte della giuria del Busto Arsizio Film Festival, accanto al marito Jean Sorel. In quell’occasione è stata proiettata la versione restaurata del film L’oro di Roma. A n n a M a r i a F e r r e r o e il marito Jean Sorel, in una foto dei primi anni ’60.

Di lei comunque, rimangono soprattutto le immagini degli oltre 40 film interpretati, rimane l’immagine di una donna forte, bella, bellissima; rimane l’immagine di una grande e giovane attrice. Anna Maria Ferrero fu la diversa bellezza che piace, non tutta curve tipo Sophia Loren, Marisa Allasio, piuttosto come una “nostrana” Audrey Hepburn in miniatura: elegante, raffinata, minuta, ma bella, dotata di un sorriso ipnotizzante. Nonostante spesso in questo Paese, così superficiale, si rischi di cadere nel dimenticatoio facilmente, Anna Maria Ferrero conserva comunque il suo spazio indelebile nella storia del cinema italiano. Film che sono rimasti nei cuori della gente, forse perché rimangono legate all’epoca più bella della storia italiana: quella del boom economico, quella di Cinecittà soprannominata la “Hollywood sul Tevere”. Tempi d’oro, malinconici, inarrivabili, di cui la Ferrero era una delle stelle indiscusse.

“Vacanze romane” - Il Film Film a dir poco epocale, “Vacanze romane”, diretto da William Wyler, è la tappa fondamentale nel percorso che aveva attirato verso Roma, destinazione Cinecittà, divi e professionisti di Hollywood. Era l’epoca in cui Roma veniva soprannominata per la prima volta la “Hollywood sul Tevere” e il centro del cinema mondiale, almeno fino alla fine degli anni ’60. Nel frattempo verrà “La Dolce Vita” e allora il percorso iniziato da “Vacanze romane”, raggiungerà il suo apice, con Via Veneto che simboleggia il primato artistico e culturale di Roma sul mondo, e con il benessere economico della splendida Italia degli anni ’60. D’altronde le due “dive” per eccellenza della Dolce Vita, nascono da questi due film, ovvero Audrey Hepburn e Anita Ekberg. Due icone che, con le loro differenze, incarnano e sintetizzano l’intera parabola del periodo d’oro di Cinecittà, dall’Italia della ricostruzione a quella del boom economico e della mondanità, della vita notturna e della café-society.

In entrambi i film lo scenario è Roma, con le sue bellezze artistiche, la poesia dei suoi paesaggi, con la sua voglia di vivere, con il suo charme, con le sue serate fashion di Via Veneto. E’ fuori discussione che l’accoppiata Audrey Hepburn-Gregory Peck sullo sfondo di una Roma piena di colori e di vivacità lasci davvero il segno nell’immaginario comune.

L’immagine rimasta nella memoria collettiva è infatti, quella di Gregory Peck e Audrey Hepburn sulla scalinata di Trinità dei Monti: quando le Arti si fondono creando un cortocircuito artistico di incredibile livello estetico. E che dire poi di Audrey Hepburn, che con questo film vince l’Oscar, diventando la star-grissino del cinema mondiale. Audrey incarna un nuovo tipo di bellezza, quella acqua e sapone, naturale, dallo stile elegante e dalla classe sopraffina, che si contrappone a quella da maggiorata fisica, che aveva lanciato Gina Lollobrigida e Sophia Loren tra le stelle del cinema. Leggi anche:

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Quella di “Vacanze romane” è una fiaba di Cenerentola alla rovescia in una commedia leggerissima, soave e candida, dove i sentimenti rimangono inespressi. Ricordato anche come il film che rese famosa in tutto il mondo la Vespa, “Vacanze romane” venne girato quasi tutto in esterni, nel cuore di una Roma caotica, alle cui riprese assistevano ogni giorno migliaia di romani incuriositi dal fascino di questo kolossal americano in “salsa” italiana. E poi, e poi c’è Gregory Peck, che ha un talento interpretativo e un fascino magnetico capace di bucare lo schermo. Cosa sarebbe stato questo capolavoro senza Gregory Peck e Audrey Hepburn?

Forse non sarebbe stato solo un discreto e piacevole lavoro e nulla più. E cosa sarebbe stata di Roma soprannominata la “Hollywood sul Tevere”, se non ci fosse stato questo film ad aprire le danze? Per tutto ciò che ha significato anche in previsione futura, “Vacanze romane”, rimane, uno dei film più influenti della cinematografia italiana, senza esserlo ufficialmente.

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Eppure la freschezza della sceneggiatura è opera anche dei “nostri” Suso Cecchi D’Amico ed Ennio Flaiano. L’umorismo di molte situazioni è tipicamente loro, si sente infatti la loro mano e la capacità tutta italiana di cesellare momenti e scene di grande pregnanza sociologica, sullo sfondo di una Roma da cartolina, ma vera nel suo realismo storico. Un capolavoro che rimane, che ha la grazia e la delicatezza di un’opera di Renoir…e che non stanca mai.

Il cinema italiano e le vacanze: la moda del film turistico-balneare anni ‘50 e ‘60 Alla fine della seconda guerra mondiale l’Italia e gli italiani erano alle prese con la ricostruzione, dopo gli scempi che il conflitto mondiale aveva lasciato. Terminato il Neorealismo, fin da subito il pubblico aveva bisogno di ridere, o perlomeno di sorridere con il cinema, perciò le maggiori vedette italiane di lunga durata, i grossi nomi del box office, sarebbero stati attori comici o al più brillanti. Insomma, il cinema italiano della rinascita, alle prese con formidabili ostacoli, quali l’assenza di strutture e di capitali, conquistò una sua identità anche, e forse soprattutto, grazie all’aver giocato fin da subito la carta dell’umorismo, immerso in un pregnante realismo. Ed è proprio questo realismo, tutto italiano, che fa del nostro cinema lo specchio della nostra società, dei nostri vizi, delle nostre virtù, del nostro modo di essere. Così, ad una fine degli anni ’40, in cui al cinema non si parla assolutamente di vacanze; fa da contraltare un inizio degli anni ’50 in cui timidamente gli italiani iniziano a pensare alle vacanze, a concedersi qualche giorno di relax. Certo sono i primi scampoli di benessere economico, quasi in embrione oserei direi, per cui Aldo Fabrizi, Ave Ninchi e Peppino De Filippo, nella scalcinata banda della “Famiglia Passaguai”(1951), non possono concedersi più di una giornata di mare nella vicina Ostia. Oppure Totò cameriere, scambiato per un importante dandy del medio-oriente si reca a Capri, nel film “L’imperatore di Capri”(1950), solo grazie ai soldi dell’amico ricco. O ancora in “Ragazze da marito”(1952), Eduardo De Filippo impiegato ministeriale, falsifica dei documenti, per poter permettere a moglie (Titina De Filippo) e figlie di trascorrere una settimana a Capri.

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Cinque anni dopo, cambia tutto. L’Italia vive un boom economico inarrestabile, il Pil è in vertiginoso aumento, arriva la televisione, nel 1956 Roma si aggiudica per il 1960 l’organizzazione dei XVII Giochi Olimpici, la Dolce Vita romana sta raggiungendo i massimi storici…e il rinnovato benessere fa si che i luoghi turistici, balneari per eccellenza vengano presi d’assalto. Perché? Perché ora l’italiano può spendere, perché può godersi i frutti del suo lavoro. Può andare in vacanza senza più sotterfugi, o senza più dover andare per forza ad Ostia, nella spiaggia più popolare e a basso costo. Capri, Ischia, Taormina, Amalfi, la Riviera ligure, la Costa Azzurra, Venezia aspettano gli italiani, e aspettano anche il cinema. Nel decennio compreso tra la metà degli anni ’50 e la metà degli anni ’60 l’Italia visse una stagione di crescita economica e di cambiamenti sociali veloci e intensi, e divenne una delle maggiori potenze industriali. Lo sviluppo economico superò addirittura quello demografico (pure evidente) e ciò ebbe come conseguenza un miglioramento diffuso del tenore di vita (i primi apparecchi televisivi, la storica 500). Molti dei film girati in quegli anni testimoniano sia questi cambiamenti, sia le tante contraddizioni ad essi collegate. Il cinema dunque è la maniera migliore per rivivere una fetta importante della storia del nostro paese, meglio di qualsiasi trattato sociologico. Inserita nel contesto del genere dei film a episodi intrecciati, ha così inizio a partire dal 1956 la voga del film turistico-balneare, branca della commedia all’italiana. Il primo film ascrivibile a tale genere, e che testimonia dell’evoluzione economica del nostro paese è “Tempo di villeggiatura”(1956), commedia ad episodi intrecciati ambientata in un piccolo paesino dell’appennino tosco-emiliano. Amori estivi e piccole storielle divertenti fanno da cornice ad un cast di grande livello: , Marisa Merlini, Nino Manfredi.

Gli italiani si possono quindi,per mettere di villeggiare in montagna e anche al mare e così nascono “Vacanze a Ischia”, “Avventura a Capri”, “Tipi da spiaggia”, “Racconti d’estate” e altre pellicole del genere “vacanziero all’italiana”. Quella del film turistico-balneare diventa una vera e propria moda che nel giro di pochi anni arriva a produrre una moltitudine di pellicole del genere. Si trattava di ambientare il film a episodi intrecciati, nelle più importanti località turistiche italiane, e spesso località balneari, con il luogo di consueto già pre-annunciato dal titolo. Un piccolo escamotage di produttori e sceneggiatori destinato a fare epoca, e come ovvia conseguenza il film veniva girato in piena estate, facendo aumentare ancora di più il mito dell’Italia della “Dolce Vita”.

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Solo negli anni ’50 si contano: “Souvenir d’Italie”(1957) di Pietrangeli, che ne apre il genere, sulle avventure di tre giovani escursioniste straniere (June Laverick, Inge Schoener, Isabelle Corey; tra gli uomini Alberto Sordi, e Antonio Cifariello, quest’ultimo presenza fissa di quasi tutti i film del genere); “Vacanze a Ischia”(1957) di Mario Camerini, tra i migliori del genere e finanziato dal commendator Angelo Rizzoli anche per fare un pò di propaganda ai suoi investimenti sull’isola di Ischia. Il film ebbe un grande successo di pubblico, anche grazie alla presenza di stelle del cinema, come Vittorio De Sica, Peppino De Filippo, Nadia Gray, Paolo Stoppa e i giovani Maurizio Arena, Antonio Cifariello e Enio Girolami. La voga del film balneare venne subito confermata l’anno seguente da “Avventura a Capri”, in qualche modo simile al precedente film ambientato sulla vicina isola, e interpretato ancora una volta dal fior fiore del cinema italiano, troviamo qui Leopoldo Trieste, Alessandra Panaro, Maurizio Arena e a tener le redini di tutto anche il grande Nino Taranto nei panni del barone Vannutelli, (ancora una volta convincente nel dipingere l’Italiano medio di mezz’età, umano e comprensivo). Ottimi ancora una volta gli incassi. Dello stesso 1958 è anche “Carmela è una bambola” una delle migliori commedie dell’epoca, non è propriamente un film a episodi, ma l’ambientazione nella splendida Amalfi, lo inserisce di diritto nel filone turistico. E’ una divertente commedia turistico-balneare in cui la coppia composta da Nino Manfredi e Marisa Allasio diverte romanticamente nell’incanto della costiera amalfitana. Nello stesso anno vi è anche il film “Racconti d’estate” scritto da Amidei, Flaiano, Sonego, Sordi e Anton e diretto da Franciolini, ormai specialista del genere (come lo sarà negli anni ’60 Marino Girolami), con Ferzetti industriale che potrebbe far fare carriera al marito della Koscina, con Dorian Gray cortigiana indipendente e sfortunata, e soprattutto con la splendida abiezione di Sordi accompagnatore-mantenuto di una cantante grassissima. Molto riuscito anche l’episodio con Mastroianni, questurino incaricato di accompagnare alla frontiera una bella prigioniera francese (Michèlè Morgan). Il filone vacanziero continua, con successo, nel 1959: “Brevi amori a Palma de Majorca”, “Costa Azzurra”, “Tipi da spiaggia”, “Tempi duri per i vampiri”. Nel primo, diretto da Giorgio Bianchi, Sordi è memorabile nel ritrattino di un inguaribile ottimista che a forze di insistenze, benché vistosamente sciancato in un mondo di giovani allegri ed abbronzati, riesce a portarsi a letto la bellissima Belinda Lee (Sordi racconta che Rizzoli non aveva voluto lo sketch nel film girato a Ischia due anni prima: niente storpi nelle terme miracolose, e allora l’episodio venne inserito in questo film). Sordi continua ad essere il migliore anche in “Costa Azzurra” di Vittorio Sala. Nel cast, come nel primo film, figura anche uno dei massimi specialisti del genere vacanziero, Antonio Cifariello, come sempre bravo e spiritoso. Infine, vanno menzionati altri due film, ovvero “Tipi da spiaggia” e “Tempi duri per i vampiri”.“Tipi da spiaggia” è un ottima commedia turistica che reclamizza, stavolta le bellezze di Taormina, in Sicilia, e interpretata da Ugo Tognazzi, Johhny Dorelli e Lauretta Masiero. In particolare Tognazzi diverte con la sua verve comica e con una serie di esilaranti travestimenti. “Tempi duri per i vampiri” è invece una divertente commedia ambientata nella Liguria di Levante, con la bizzarra coppia formata da Renato Rascel e Christopher Lee, talmente squinternata da funzionare.

Agli inizi degli anni ’60 si affaccia al genere dei film a episodi vacanziero, un pezzo da novanta del cinema italiano come Walter Chiari, una delle presenze fisse di questo genere. Il grande Walter amava molto il mare e accettava molti copioni balneari solo perché erano girati in spiaggia, durante le vacanze:

“…a un film d’autore bellissimo, girato a Berlino, con un grande regista, io preferivo un filmetto di quelli popolari girato sul lungomare di Ostia in agosto, anche se inutile o poco più, ma premiato da grandi incassi.”

W a l t e r C h i a r i e Mina a Fregene negli anni ’60.

Sulle spiagge italiane Chiari ha quindi vissuto molto intensamente e costruito parte del suo mito, tra nuotate, set fotografici, cene con gli amici (che pagava sempre lui) e conquiste femminili. Tutto ciò in piena “Italia della Dolce Vita”. In quegli anni vennero film come “Intrigo a Taormina” (1960) di Giorgio Bianchi, con Walter Chiari, Ugo Tognazzi e Gino Cervi; “Bellezze sulla spiaggia” (1961), con Walter Chiari, Raimondo Vianello, Tino Scotti e Mario Carotenuto; “Ferragosto in bikini”(1961), sempre con Walter Chiari, Raimondo Vianello e Mario Carotenuto; e “Caccia al marito” (1960), ancora con Walter Chiari, Raimondo Vianello e Mario Carotenuto. Il successo arride a tutti questi film, merito dei nomi di richiamo presenti nelle pellicole di certo, ma anche di una sostanziale freschezza del genere ad episodi, che permetteva di evitare eventuali momenti di stanca del film. A tal proposito il regista Dino Risi disse di tale genere:

“…gli attori erano contenti perché lavoravano poco e guadagnavano bene, gli sceneggiatori mettevano in circolazione le idee che non erano riusciti a far diventare film autonomo, anche il pubblico era contento, e quindi c’erano produttori che ci marciavano volentieri, e poi la ‘misura breve’ è un genere molto tecnico, che un attore di talento deve saper affrontare con la giusta dose e sapienza interpretativa, un genere che affonda le sue radici nella storia della letteratura e del primo cinema degli anni ’20…e poi se in un film c’erano sketches noiosi, subito dopo ne arrivava uno buono, era un fatto statistico, quindi non si rischiava niente”.

Vanno ancora, almeno citati, “Pesci d’oro e bikini d’argento” (1962), con Nino Taranto e Marisa Merlini; “Le tardone” (1964),con Walter Chiari, Franco Franchi, Ciccio Ingrassia e Raimondo Vianello; e “Frenesia dell’estate” (1964), che segna il debutto di Vittorio Gassman in tale genere, in voga in quegli anni. Ambientato sulle spiagge di Viareggio, dove Gassman amava rifugiarsi nei momenti di relax, la pellicola si regge tutta sull’interpretazione dello stesso Gassman, che delinea spassosamente il personaggio di un capitano dell’esercito terrorizzato dall’idea di essersi innamorato di Gigi (Michèle Mercier), un travestito da cabaret che si rivela invece una deliziosa fanciulla.

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Che questo genere cinematografico anni ’50 e ’60 sia rimasto nella storia è testimoniato anche dal film del 1982, peraltro epocale, ovvero “Sapore di mare”, dove i fratelli Vanzina, nel descrivere le vacanze degli italiani, ambientano il film proprio nella Versilia degli anni ’60. Il film è infarcito di una malinconia autentica, che imperversa per tutto il film, nostalgico e divertente al punto giusto, grazie alle hit anni ’60 e alla caratterizzazione di Jerry Calà, che nel primo piano finale riesce a far raggiungere l’apoteosi malinconica di un’epoca ormai andata. Un’epoca che ha fatto storia, che oggi è nostalgia, che oggi è malinconia, perché non tornerà più. Non tornerà più quella spensieratezza, quella voglia di fare, quell’impeto e quella classe cinematografica che avevano fatto diventare Roma la “Hollywood sul Tevere” e il nostro cinema, il più invidiato del mondo.