Romanzi Criminali La Narrazione Della Giustizia Dalla Letteratura Alle Serie Tv
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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI FEDERICO II Dipartimento di Scienze sociali e statistiche DOTTORATO in SOCIOLOGIA E RICERCA SOCIALE XXVIII CICLO Romanzi criminali La narrazione della giustizia dalla letteratura alle serie tv Dottoranda: Chiara Di Martino Matricola DR991287 Tutor: Ch.mo Prof. Gianfranco Pecchinenda Anno accademico 2015/2016 A mia madre e a mio padre, che mi hanno dato tutto, anche quello che non avevano. A Matilde, e a tutta la famiglia che c’è in mezzo, e intorno Indice Introduzione………………………………………………………………………6 1. Sociologia, diritto e letteratura: dal processo alla sua narrazione.………..16 1.1. La sociologia della devianza 1.2. L’ordine sociale nelle teorie di Parsons, Luhmann e Habermas 1.3. La narrazione tra diritto, letteratura e serialità 1.4. La costruzione giudiziaria del fatto 2. Il crimine mediatico e lo spettacolo del dolore……………………………..46 2.1. Televisione e crimine: la violenza è solo finzione? 2.2. Il crimine nei contenitori a carattere informativo 2.3. Il crimine e il “discorso di paura” 2.3.1. I rapporti dell’Osservatorio europeo sulla sicurezza dal 2007 a oggi, ovvero: come cambia la paura 3. Il potere giudiziario fuori dall’aula di Tribunale………………………….78 3.1. La legittimazione del potere giudiziario: un’analisi storica 3.2. Il circo mediatico, ovvero la rappresentazione del potere giudiziario: il giudice, il processo e la mise en scène 3.3. Gli effetti dei media sulla giustizia 4. Dalla letteratura alle crime fiction: categorie seriali……………………..110 4.1. Il crimine nei contenitori di intrattenimento: dal film alla crime fiction 4.2. Cento anni di storie sulla giustizia: A sangue freddo (Capote); Delitto e Castigo (Dostoevskij); Il processo (Kafka); Lettera al mio giudice (Simenon) 4.3. Categorie seriali di rappresentazione 4.3.1. La “rappresentazione di verità” 4.3.2. La “rappresentazione catartica” (o dell’ambiguità) 4.3.3. La “rappresentazione dell’assurdo” (o di contaminazione) 4.3.4. La “rappresentazione dal punto di vista criminale” 4 4.4. Una selezione di crime-fiction: in quali categorie e con quali effetti 5. Una giustizia “diseguale e lontana”: verso una secolarizzazione del potere giudiziario?..........................................162 5.1. Il potere giudiziario s’incrina 5.1.1. La percezione della giustizia in numeri 5.2. La giustizia “percepita” 5.3. Conclusioni Bibliografia…………….…………….…………….…………….…………….172 5 Introduzione 6 Di cosa si parla quando si parla di tv-series? E cosa accade se, in questi contenitori, fanno il loro ingresso il rituale della giustizia e la rappresentazione del crimine? Esiste una possibilità che la loro massiccia presenza nei contenitori mediatici di intrattenimento sia pericolosa almeno quanto il loro spopolare nell’informazione? Esiste, a quanto pare. La narrazione seriale e le sue specificità estetiche sembrano incidere anche sulla decostruzione dei contenuti, non solo su quella della forma. Tra i “mondi” indeboliti dalla fiction seriale figura anche il processo penale, una narrazione che costruisce la verità (giudiziaria) tramite l’interazione tra i soggetti coinvolti, le due parti e il giudice terzo. E andando a ritroso si modifica, amplificandosi, la percezione del crimine. La narrazione sembra essere, nel profondo, il filo conduttore della ricerca, costituendo la base dei tre macro-temi di fondo: il processo, la letteratura e la serialità televisiva. Una narrazione è tale nel momento in cui un narratore connette eventi in una sequenza (cronologica, logica, argomentativa) che sia consequenziale per le argomentazioni successive e per il significato che il parlante vuole comunicare a chi ascolterà. Gli esseri umani hanno una tendenza naturale a rappresentare la propria esperienza rispetto al mondo in forma narrativa: le storie che raccontano sono in grado di offrire coerenza e continuità alla propria biografia. Hanno carattere sia personale sia sociale, in quanto consentono di trarre informazioni sul contesto nel quale la persona ha vissuto le sue esperienze e il modo con cui le interpreta dà informazioni sulla cultura del mondo sociale nel quale è inserita. Le storie si situano in un panorama che è costruito narrativamente da più soggetti, oggetti ed eventi che fanno parte del mondo sociale del soggetto. Anche il processo è una narrazione: parti, avvocati e giudici costruiscono una realtà che prenderà forma nella decisione, o meglio la “ricostruiscono”. Quel mondo giuridico e giudiziario produttore di storie ben esplorato da Bruner e Amsterdam1 genera realtà frutto di interpretazioni; la decisione finale sarà il risultato di interrelazioni culturali, politiche e sociali. Il processo nasce come strumento sovrano 1 Anthony G. Amsterdam, Jerome S. Bruner, Minding the law. How Courts Rely on storytelling, and how their stories change the ways we understand the law, Harvard University Press, 2000. Vedi Flora Di Donato, La costruzione giudiziaria del fatto. Il ruolo della narrazione nel “processo”, FrancoAngeli, 2008. 7 per dirimere le controversie, attraverso un soggetto terzo che applica le norme riconosciute e legittimate a prescrivere e sanzionare il mancato rispetto di queste prescrizioni: il processo, soprattutto quello penale, però, da luogo istituzionale si è spostato sempre più verso una collocazione mediatica, dove la visibilità della magistratura e del suo operato è diventata di per sé una nuova controversia da dirimere. E ancora: il ricorso all’opinione pubblica in caso di conflitto con gli altri poteri costituisce ulteriore stortura del fenomeno. È in questo scenario che, da istituzione di rango costituzionale, il potere giudiziario si trova a fronteggiare una sorta di implicita delegittimazione, che non è frutto soltanto del suo contrasto con il potere politico, che pure rileva, ma anche di una perdita di credibilità che attecchisce nel pubblico, rectius, nei cittadini. Da un lato l’eccesso di visibilità dell’apparato giudiziario, dall’altro lo sbilanciamento pubblico a favore di una tesi o della sua opposta anche in assenza di giudicato e addirittura nella fase delle indagini: in questo percorso, l’imparzialità del giudizio perde una delle sue fonti di giustificazione. Il fenomeno, naturalmente, non è tipicamente italiano, anzi: la gran parte degli studi ha avuto origine negli Stati Uniti (dove è molto forte la “cultura del controllo” cara a David Garland2 e dove, nei primi anni Novanta, è nata una rete televisiva dedicata ai processi, Court Tv3) ma è presente un po’ ovunque, a partire dagli anni Settanta del 2 David Garland, The Culture of Control, Crime and social order in contemporary society, Oxford University Press, 2001. Trad. it. La cultura del controllo. Crimine e ordine sociale nel mondo contemporaneo, il Saggiatore, 2004. La crescente centralità, a partire dagli anni Settanta, del tema della paura della criminalità ha comportato un drastico mutamento nella visione del delinquente e si è tradotta in un nuovo ideale penale che considera importante sia proteggere i cittadini, sia dare espressione ai loro sentimenti. La rinnovata attenzione verso le vittime dei reati è anche la conseguenza del fatto che la classe media ha avvertito come la distanza sociale che la separava dalla criminalità stava precipitosamente accorciandosi. Di fronte a quello che appariva come un disordine ormai dilagante, cresceva, negli anni Ottanta e Novanta, la richiesta di ricostruire barriere sociali e ripristinare controlli. Il motivo per cui i governi si sono affidati ai dispositivi penali per gestire la marginalità, invece di tentare di affrontarne le cause sociali ed economiche si lega all’immediatezza di questi strumenti, ai loro costi relativamente ridotti e al fatto che consentono di focalizzare i controlli e la condanna su gruppi sociali di basso status, lasciando relativamente liberi da regolamentazione i meccanismi di funzionamento economico della società e il comportamento delle classi più abbienti. Così, nei periodi di insicurezza economica e sociale, il “crimine” divenga un evento dalla valenza simbolica: come se perseguirlo con ogni mezzo allontanasse lo spettro di un futuro incerto. 3 Court TV è stata lanciata nel 1991 dal giornalista e avvocato Steven Brill, secondo il quale il successo dell’emittente era dovuto a una semplice ragione: “People are always interested [in true crime]. It’s why Court TV worked. It’s natural drama, there’s a beginning, middle and end, and people want to know what happens” (Le persone sono sempre interessate [nel crimine vero]. È per questo che Court TV ha funzionato. È un dramma naturale, c’è un inizio, uno svolgimento e una fine, e le 8 Novecento: il ruolo dei giudici come “nuovi attori politici” è dunque una realtà nata dal costante scambio di contenuti tra giustizia e democrazia, anche nel linguaggio, e nel sovrapporsi della pubblicità mediata alla “pubblicità immediata” (cioè la natura pubblica del processo – fatte salve le eccezioni previste dall’ordinamento - che nei secoli ha assunto ruolo di garanzia: nell’ordinamento giuridico italiano è regolamentata dall’art. 471 del codice di procedura penale). Ma i media non sono soltanto contenitori di informazione: il boom della formula seriale degli ultimi anni si muove di pari passo, quanto a contenuti, con la spettacolarizzazione della giustizia operata da notiziari e trasmissioni di approfondimento. Verificare quale influenza ha il filtro dei prodotti televisivi seriali sulla percezione di crimine e giustizia è l’oggetto di ricerca di questo lavoro. Molto è stato detto sul rapporto tra sovraesposizione del crimine e credenze, meno invece (almeno in Italia) su