Dizionario Dello
Total Page:16
File Type:pdf, Size:1020Kb
DIDIDIZDI ZZZIIIIOOOONARIONARIO DELLO ZEN www.lameditazionecomevia.it www.lameditazionecomevia.it AAA AAAccecamentoAccecamento (o illusione, idea falsa; giapp. mayoi) Accecamento significa smarrirsi completamente. L'accecamento indica la credenza in qualcosa che va contro la realtà. Per il buddhismo, accecamento è sinonimo di ignoranza (avidyā), di misconoscimento della vera natura o della natura di buddha (busshō) delle cose, dell'autentico significato dell'esistenza. Secondo la concezione buddhista, l'accecamento è provocato dai sei sensi (il sesto è l'intelletto, pensiero discorsivo e discriminante). La presa di coscienza legata alla percezione sensoriale ci induce in errore, perché ci spinge a considerare il mondo dei fenomeni come la sola e unica realtà, mentre non è che un aspetto fugace e limitato della vera realtà. Tra le visioni sbagliate indotte dai nostri sensi vi è l'idea che il mondo esista al di fuori di noi (opposizione soggetto-oggetto), mentre quest'ultimo non è che una proiezione di noi stessi. Ciò non significa che il mondo fenomenico non abbia alcuna esistenza. Quando i maestri del buddhismo dicono che i fenomeni sono ingannevoli, è l'esistenza "oggettiva" degli oggetti percepiti dai sensi, il loro status di realtà "piena e totale", che mettono in causa. Sull'esempio del buddha Śākyamuni, il buddhismo ha come scopo di vincere questa visione errata con l'illuminazione; tra tutte le scuole buddhiste, è lo zen a insistere di più sul ruolo essenziale dell'esperienza dell'illuminazione (kenshō, satori). I dogmi più profondi del buddhismo, quelli che costituiscono il cuore e l'asse centrale dello zen, insegnano che accecamento e illuminazione, mondo fenomenico e realtà assoluta, forma e vacuità, samsāra e nirvā ṇa sono la stessa cosa. Per lo zen, tutti i pensieri e le attività dell'uomo indotte o motivate dall'accecamento generano infinite sofferenze, che soltanto l'esperienza immediata dell'unità (cioè dell'illuminazione) è in grado di placare. Agyo giapp. Letter. "parole accertate". Direttive di un maestro di zen al suo allievo. Questo termine indica anche i commenti scritti di un maestro di zen, relativi a un testo o a un kōan. Ajari giapp. Trasposizione del termine sanscrito "ācārya" che designa un maestro buddhista. Nel buddhismo giapponese, il termine ajari indica un certo tipo di monaci eminenti delle scuole Tendai o Shingon. Nello zen, la parola, abbreviata in "jari", ha perso il suo significato di maestro e si utilizza come formula di cortesia per rivolgersi a un monaco, simile in ciò all'uso che si fa spesso ai giorni nostri del termine "lama" presso i Tibetani. 2 www.lameditazionecomevia.it www.lameditazionecomevia.it AkAkAk ṣṣṣobhya sanscr. Letter. "inamovibile". Termine che designa il buddha la cui terra d'elezione, il paradiso chiamato Abhirati, si situa a est dell'universo. Secondo alcune interpretazioni, il termine "paradiso" non indica un luogo geografico, ma uno stato di coscienza; i punti cardinali attribuiti ai diversi buddha avrebbero pertanto un significato simbolico e iconografico (Terra pura). Secondo la leggenda, il monaco Ak ṣobhya aveva giurato davanti al Buddha, che da un tempo infinitamente lungo regnava sull'Abhirati, di non provare mai né avversione né collera verso qualsiasi essere vivente. Si rivelò "inamovibile" nell'obbedienza a tale giuramento, e ciò, dopo sforzi infiniti, lo fece diventare il buddha Ak ṣobhya che regna nel paradiso Abhirati. Chiunque riesca a rinascere in questo paradiso ha la certezza di non ricadere più negli stati di coscienza inferiori; è per questo che i fedeli del buddhismo si sforzano di conformarsi alla promessa fatta da Ak ṣobhya. Simbolo del dominio sulle passioni, Ak ṣobhya viene raffigurato nell'iconografia buddhista con la parte superiore del corpo blu o dorata; come supporto ha un elefante blu. Le sue mani formano la mudrā della presa della terra a testimone. AkuAku----ByōdoByōdo giapp. Letter. "identità dannosa". Accostamenti impropri dovuti a una cattiva interpretazione della dottrina dell'identità fondamentale di tutte le cose e di tutti gli esseri viventi (byōdō), teoria basata sull'esperienza dell'illuminazione. Secondo la concezione dello zen, l'esperienza dell'identità non è che una tappa intermedia sulla via che conduce all'illuminazione profonda. Chi si ferma a questo stadio e, accecato da tale scoperta, ignora la particolarità e la specificità delle cose, sprofonda nell'aku-byōdō. AkushuAkushu----kūkū giapp. Letter. "vacuità mal compresa". Interpretazione sbagliata della dottrina della vacuità (giapp. kū ; sanscr. śūnyatā ), colta attraverso l'esperienza dell'illuminazione. La vacuità diventa oggetto di un'interpretazione nichilista: è assimilata a un semplice nulla, alla negazione di tutta l'esistenza. La vacuità evocata dallo zen non ha niente a che vedere con il concetto strettamente filosofico di nulla. Invece di essere il contrario dell'esistenza delle cose e delle loro qualità, ne è esattamente il fondamento: è ciò che attribuisce loro valore, che le supporta. Dalla prospettiva dell'illuminazione perfetta, la vacuità è assolutamente identica ad esse. Così, nella scrittura canonica spesso citata dai maestri zen, il Mahāprajñāpāramitāhrdayasūtra ("Sūtra del cuore"; giapp. Maka hannyaharamita shingyō ) si può leggere: «La forma non è altro che la vacuità, la vacuità non è che la forma». www.lameditazionecomevia.it 3 www.lameditazionecomevia.it ĀlayavijĀlayavijññññānaāna Letter. "coscienza deposito". Concetto centrale della scuola Yogācāra della tradizione buddhista mahāyāna che vi vede la coscienza fondamentale di tutta l'esistenza, l'essenza stessa del mondo, da cui deriva tutto ciò che è. La coscienza deposito comprende le esperienze della vita individuale e i semi di tutti i fenomeni psichici. L'ālayavikñāna è al centro della teoria dell'individuazione della dottrina secondo cui tutto ciò che esiste è una rappresentazione mentale, non avendo quindi alcuna realtà autosussistente: le impressioni latenti (vāsanā) di un'individualità empirica passata finiscono nell'ālayavijñāna, da cui risalgono per suscitare l'attività psichica. Tale pensiero individuale è macchiato dalla condizione di ignoranza (avidyā) e di egoismo, che fa credere al suo autore (ovvero l’uomo ordinario) di possedere un'individualità autonoma e concreta nel mondo reale. Così si formano le ideazioni: il pensiero produce il karman. Una volta maturate (vipāka), le impressioni karmiche inducono a un nuovo processo di ideazione. Tale ciclo ha fine quando svanisce l'illusione dell'esistenza di un mondo sensibile separato dalla rappresentazione mentale. Si assimila spesso l'ālayavijñāna alla realtà suprema (tathatā); secondo un'altra concezione, sarebbe il prodotto del karman passato (Scuola Faxiang). La sua funzione principale è quella di deposito di semi karmici (bīja) che germoglieranno in future esperienze; è un flusso in continuo cambiamento che si trasforma istante dopo istante. Amida Vedi Amitābha. Amitābha (o Amita; giapp. Amida) Letter. "luce infinita". Uno dei buddha più importanti e popolari della tradizione mahāyāna, sconosciuto nel buddhismo antico. È il maestro del "paradiso dell'ovest", Sukhāvatī, che, secondo alcuni, non va considerato un luogo geografico, ma uno stato di coscienza (Terra pura). Amitābha è il principale oggetto di venerazione delle scuole di buddhismo cinesi e giapponesi (Amidismo). Simboleggia la saggezza e la misericordia. Nell'iconografia buddhista, Amitābha è rappresentato sia con la fronte cinta da una corona di pietre preziose, sia con il capo rasato, a immagine del monaco Dharmakara, una delle sue precedenti incarnazioni. Di solito è seduto al centro di un fiore di loto, simbolo di purezza. Le sue mani formano la mudrā della meditazione o della predica della dottrina. Appare spesso in compagnia di Avalokiteśvara alla sua destra e di Mahāsthāmaprāpta alla sua sinistra: Amitābha è seduto al centro, i due bodhisattva gli stanno accanto in piedi. Altre immagini li raffigurano accanto al Bhaiśajyagurubuddha. Secondo la tradizione, Amitābha fu un re che rinunciò al trono e si fece monaco con il nome di Dharmakara quando scoprì la dottrina buddhista. Prese la decisione di diventare un buddha e 4 www.lameditazionecomevia.it www.lameditazionecomevia.it di conquistare un "paradiso" in cui con i suoi meriti sarebbe riuscito ad assicurare un'esistenza felice agli abitanti della sua terra di elezione, nell'attesa dell'ascesa definitiva al nirvā ṇa. Tra i 48 voti con cui si incarica di assistere sulla via della salvezza tutti gli esseri senza distinzione, i più importanti sono: «[18] Se mai, o Signore, dopo il mio risveglio, gli esseri di altri universi, sentendo il mio nome, pensano al supremo e perfetto risveglio, e mi invocano con spirito luminoso, e da parte mia ometto di apparire davanti a loro come il venerato, circondato da una schiera di monaci, al momento della loro morte, per preservare il loro spirito da ogni timore, allora non merito di accedere al supremo e perfetto risveglio. [19] Se mai, o Signore, dopo il mio risveglio gli esseri delle innumerevoli e immense terre dei buddha, sentendo il mio nome, pensano alla loro prossima reincarnazione sulla mia terra d'elezione e si adoperano di conseguenza per fare maturare le radici dei loro meriti [karmici]; se tali esseri non possono rinascere nel mio paradiso, anche se invocano il mio nome soltanto dieci volte nella loro vita, allora non merito di accedere al supremo e perfetto risveglio». Il monaco Dharmakara riuscì a realizzare i suoi voti con la pratica della meditazione e divenne