Capitolo secondo

Preparare i telespettatori al concilio (1959-1962)

1. Il concilio nella televisione di centrosinistra: il monopolio di una Rai fanfa- niana

Utilizzare le fonti televisive per lo studio del Vaticano II significa anche analizzare il contesto che le ha prodotte e dunque una particola- re fase della Rai della prima metà degli anni Sessanta. Da qui l’obbligo di soffermarsi sulle vicende interne della televisione pubblica di quel periodo, contestualizzandone le influenze politiche e istituzionali, in- dividuando i differenti modelli culturali proposti e cercando tuttavia di sottrarsi alla critica mossa da Grasso quando scrive che parlare di televisione in Italia significa, nella maggior parte dei casi, parlare solo di intrecci politici, di giochi di potere per il controllo delle poltro- ne o di lottizzazione1. Secondo lo storico della televisione la vasta pubblicistica italiana sulla televisione ha una enorme colpa, quella di concentrarsi sull’indagine di questi legami con il mondo politico, sulla «telecrazia» per usare una terminologia popperiana, con la conseguen- za di relegare e mettere da parte l’unità fondante del piccolo schermo,

1 Gr a s s o , Introduzione, in Id., Storia della televisione italiana, cit., p. X. La lette- ratura in questo filone di studi è abbondante e continua a crescere affollando le varie collane editoriali, senza però aggiungere quasi nulla al già noto: «Affrontare una storia della televisione italiana non è impresa facile. Intanto perché la ma- teria si presta a molteplici e non agevoli letture, e poi perché in Italia esiste una radicata tradizione storiografica, in materia televisiva, che da sempre avvantaggia l’aspetto politico e che di fatto riconosce alla televisione un potere smisurato nel determinare gli assetti istituzionali e sociali del paese» (ibidem).

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che è appunto il programma – il textum della tradizione semiotica – che compone il palinsesto. Come sottolinea in modo ironico, queste storie sono

prigionier[e] di una dimenticanza: i programmi. Si può scrivere una Storia della Letteratura senza parlare di romanzi? E una Storia del cinema senza film? Ebbene, in Italia si ha come la sensazione che […] la messa in onda è il trascurabile2.

Le trasmissioni sono quindi componenti essenziali del discorso televisivo e il palinsesto diventa così

la grande narrazione che connette eventi e vita quotidiana, spazi pubblici e domestici, tempi della nazione e tempi del singolo o del gruppo familiare, [esercitando] la funzione di mediazione e messa in relazione, dalla quale scaturisce il senso di appartenenza, da parte dello spettatore, a una stessa «comunità immaginata»3.

Studiare in chiave storica il palinsesto, termine che preso a pre- stito dalla bibliografia e dalla filologia entrò nel linguaggio televisivo proprio nel 1963 – come memento, se ancora ce ne fosse bisogno, del retroterra umanistico della televisione italiana delle origini – significa dunque approfondire non solo le sequenze in cui è organizzato, ma capire qualcosa di più sia dell’intero sistema televisivo (strategie edi- toriali, fruizione, offerta, consumo, identità)4 sia, nel caso specifico, dell’evento Vaticano II teletrasmesso, diffuso e approfondito nell’ete- re. Oggi il telespettatore si costruisce un suo personale palinsesto, «saltando» tra i pacchetti di canali offerti dalle varie piattaforme. In

2 Ibidem. 3 Cfr. la prefazione di G. Be t t e t i n i , in C. Gi a c c a r d i , A. Ma n z a t o e G. Si m o - n e l l i , Il paese catodico. Televisione e identità nazionale in Gran Bretagna, Italia e Svizzera italiana, Milano 1998, p. 33. 4 Cfr. l’importante capitolo La televisione come testo, in A. Gr a s s o e M. Sc ag l i o n i , Cosa è la televisione. Il piccolo schermo fra cultura e società. I generi, l’industria, il pubblico, Mi- lano 2003, pp. 18-24. Per un approfondimento, anche P. Ar o l d i , Il palinsesto televisivo, in F. Co l o m b o e R. Eu g e n i (a cura di), Il prodotto culturale. Teorie, tecniche di analisi, case histories, Roma 2001, pp. 237-261 e la voce di S. Ba l d a s s a r i n i , Generi televisivi, in M. Mo r c e l l i n i e M. So r i c e , Dizionario della comunicazione, Roma 1999.

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quegli anni di doppio canale, andare in onda in prima serata sul Pro- gramma Nazionale corrispondeva a una scelta precisa e significativa, e non equivalente al prime time del Secondo canale. Queste differenze offrono uno scarto eloquente e certo non trascurabile. In particolare, quando si parla di televisione in un’ottica storica, come scrive Grasso, sono infatti almeno tre le differenti «storie im- plementate», tre macroaree che gravitano nel continuum storiografico televisivo: oltre a una storia delle forme di produzione (il rapporto che si instaura tra il «potere politico» e il «potere del piccolo schermo»), si individua una storia delle forme di consumo (che si concentra sulle tra- sformazioni sociali e culturali apportate dal mezzo sui vari sistemi), e infine una storia delle forme di rappresentazione (lo studio dei meccani- smi linguistici ed espressivi messi in atto nei vari programmi, intesi qui nell’accezione di testi, per individuare nel linguaggio televisivo una estetica e una costruzione sottese a essi)5. Tre diverse storie delle for- me che riprendono le tre diverse dimensioni mediali del fenomeno televisivo e che si cercherà di non trascurare: la dimensione istituzio- nale tecnologica, la dimensione relazionale e sociale e la dimensione testuale, simbolica e rappresentazionale6. Parlare del Vaticano II attraverso il corpus eterogeneo delle fonti televisive significa dunque parlare della Rai di quegli anni, democri- stiana e di centrosinistra, significa parlare di opinione pubblica, per- ché la fonte televisiva è allo stesso tempo racconto, memoria e agente di storia7, e dunque ha un suo ruolo, rilevante o no ma comunque non trascurabile, nella ricezione dell’evento e nella costruzione di un suo

5 Cfr. Gr a s s o , Storia della televisione italiana, cit., pp. XI-XII. Cfr. per una breve panoramica, il paragrafo Gli studi sulla televisione, un campo in via d’edificazione, in Gr a s - s o e Sc ag l i o n i , Cosa è la televisione, cit., pp. 10-18. Anche T. Mi l l e r , Television Studies, London 2002; J. Si n c l a i r (a cura di), Contemporary World Television, London 2004; G. Cr e e b e r (a cura di), Tele-Visions. An Introduction to Studying Television, London 2006. 6 Grasso risponde con questa tripartizione alla domanda «Cosa è la televisio- ne?», cfr. Gr a s s o e Sc ag l i o n i , Cosa è la televisione, cit., pp. 18-24. 7 Cfr. i saggi di M. Sc ag l i o n i , L’immagine come fonte, come evento, come memoria. Que- stioni e problemi nel rapporto fra televisione e storia, pp. 17-46, A. Me l l o n i , Lo storico e la fonte televisiva, pp. 129-140 e G. De Lu n a , L’immagine televisiva come documento e agente di storia, pp. 155-158, tutti raccolti in Gr a s s o (a cura di), Fare storia con la televisione, cit.

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immaginario, ma significa soprattutto parlare di programmi andati in onda nelle diverse forme: dalle dirette agli speciali, dalle rubriche ai telegiornali, dai collegamenti in mondovisione alle interviste. Come ha scritto Raniero La Valle, La televisione italiana, fin dall’inizio, aveva fatto un patto col Vaticano: [...] sarebbe stata l’unica ad avere libero accesso in Vaticano per le dirette e la copertura di tutti gli eventi papali, ma in cambio ne avrebbe trasmesso le immagini in tutto il mondo8.

La copertura che la Rai di quei primi anni Sessanta garantì al con- cilio Vaticano II si inserisce in una duplice tendenza, una più intrinse- ca e l’altra più estrinseca. Da una parte, infatti, rientra in quello che da alcuni è stato definito come «il progetto culturale di stampo umanisti- co e cristiano»9 che i cattolici – in particolare gli eredi della corrente dossettiana10 – si erano prefissati di realizzare sulla neonata televi- sione, nella doppia variante dell’occupazione dei posti dirigenziali e dello stretto controllo sulla programmazione; il moderno sistema dei mass media, nel quale la televisione andava costituendosi come il più potente strumento, proprio perché percepito come responsabile della costruzione di un idem sentire11, veniva così usato dal partito cattolico

8 La Va l l e , Essere giornalisti al tempo di papa Giovanni, cit., pp. 580-581. 9 Mo r a n d i , La via dell’inferno, cit., p. 17. 10 Nella vasta bibliografia, si rimanda ai recenti lavori di Gu a z z a l o c a , Una e divi- sibile, cit., anticipato in alcuni saggi, tra cui Id., La televisione è di tutti? I partiti politici e la gestione della Rai-Tv negli anni Cinquanta, in «Ricerche di storia politica», (2005), 2, pp. 183- 206; Id., Le principali culture politiche italiane di fronte al «boom» della televisione, in S. Ca v a z z a e E. Sc a r p e l l i n i (a cura di), La rivoluzione dei consumi. Società di massa e benessere in Europa 1945-2000, Bologna 2010, pp. 309-353. Per un approfondimento, cfr. P. P o m b e n i , Il gruppo dossettiano e la fondazione della Democrazia cristiana (1938-1948), Bologna 1979. Per una analisi del ruolo dei cattolici nel periodo delle origini della televisione, si rimanda a Ve c c h i o , L’arrivo della televisione in Italia, in Br e z z i , Ca s u l a , Gi o v ag n o l i e Ri c c a r d i (a cura di), Democrazia e cultura religiosa, cit., pp. 401-420; per un’analisi sul lungo periodo, dai primi anni Cinquanta a oggi, cfr. Mo r a n d i , La via dell’inferno, cit. 11 L’espressione è di Gu a z z a l o c a , La televisione è di tutti?, cit., pp. 197-198. Ogni partito, in anticipo o in ritardo rispetto alla nascita della televisione, elabora un pro- prio modello di tv. Per un approfondimento, cfr. Id., Le principali culture politiche italiane di fronte al «boom» della televisione, cit., pp. 309-353.

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nella realizzazione e nel perseguimento del proprio progetto per il paese: gettare le basi di una nuova cultura nazionale unitaria, dopo il vuoto lasciato dal ventennio fascista12. Il «governo della televisione»13 da parte democristiana si inseriva dunque all’interno di quella «de- mocrazia guidata» tanto cara all’ala di sinistra della Dc: la Rai aveva così il compito non di essere il semplice e passivo «portavoce» di una «condivisa identità nazionale» come spettava alla televisione pubblica inglese Bbc, e nemmeno complice di una personalizzazione della po- litica, con l’arrivo di De Gaulle, frutto «del monopolio presidenziale dell’immagine televisiva» come nel caso francese14, ma quello ben più attivo e arduo di «creare» un nuovo modello concorrenziale e alter- nativo rispetto a quello liberale o marxista15. In altre parole, «quello

12 Per un approfondimento, si rimanda ai testi succitati di Guazzaloca. Come commenta Pombeni nella recensione al volume di Gu a z z a l o c a , Una e divisibile, cit.: «Cosa voleva dire infatti sottrarre al governo e al suo partito di maggioranza il con- trollo della Rai? Avrebbe voluto dire in parte non consentirgli che fosse uno stru- mento per diffondere e consolidare un certo tipo di cultura e di visione del mondo la cui presa sulla generalità del Paese era in costante calo» (P. Po m b e n i , Un elettrodome- stico al potere, in «il Sole 24 Ore», 9 ottobre 2011). 13 Si rimanda al saggio di Gu a z z a l o c a , Il governo della televisione o la televisione del governo?, in Id. (a cura di), Governare la televisione?, cit., pp. 106-149 e al recente volume di Gn ag n a r e l l a , Storia politica della RAI, 1945-2010, cit. Utile anche il confronto tra la televisione pubblica italiana e quella francese di R. Br i z z i , La televisione in Italia e Francia. Tra storia dei consumi e storia politica, in Ca v a z z a e Sc a r p e l l i n i (a cura di), La rivoluzione dei consumi, cit., pp. 273-308. 14 Per un approfondimento comparativo tra il caso italiano e quello francese, cfr. Br i z z i , La televisione in Italia e Francia, cit., pp. 273-308. Utile anche Id., L’uomo dello schermo. De Gaulle e i media, Bologna 2010 e A. Va s s a l l o , La télévision sous de Gaulle. Le contrôle gouvernemental de l’information (1958-1969), Bruxelles 2005. Per una panoramica sulla storia della televisione francese, si rimanda ai classici C. Br o c h a n d , Histoire générale de la radio et de la télévision en France, vol. I, 1921-1944, vol. II, 1944-1974, Paris 1994 e J. Bo u r d o n , La Grande Aventure du petit écran. La Télévision française, 1935-1975, Paris 1997. 15 Cfr. sempre Gu a z z a l o c a , La televisione è di tutti?, cit., p. 199: «Per la sinistra democristiana e gli eredi del dossettismo, infatti, non si trattava solo di omogeneiz- zare la cultura degli italiani in senso cristiano ed antilaicista, bensì di creare, dinanzi alla crisi di valori prodotta dal fascismo e in opposizione ai modelli culturali (e tele- visivi) provenienti da oltreoceano, una nuova “cultura della democrazia” in grado di

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di “insegnare” agli italiani la democrazia»16. Dall’altra, invece, come già accennato, fa parte dell’interesse più ampio che la chiesa cattoli- ca, nelle varie sfumature, ha avuto verso il sistema dei media. Già il 1° gennaio 1954, nella esortazione ai vescovi, Pio XII aveva infatti espresso «il diritto di sperare» che la neonata televisione riservasse «un posto proporzionato all’importanza che il cattolicesimo occupa nella vita nazionale»17; una speranza che occorreva però pilotare per renderla concreta grazie all’attivismo e all’impegno diretto sul campo: una novecentesca «santa crociata», secondo il richiamo pacelliano18. Per quanto riguarda la storia delle forme di produzione e delle forme di consumo, così come definite da Grasso, la domanda di par- tenza è che tipo di Rai era quella degli anni 1962-1965. Delle diver- se fasi attraversate dalla televisione pubblica italiana, quella che qui propriamente viene chiamata in causa è quella di una Rai saldamente

integrare la modernizzazione industriale, ormai avviatasi anche in Italia, coi principi dell’egualitarismo sociale di matrice cristiana»; tuttavia, continua Guazzaloca, «se la Chiesa, in parte, riuscì a dare una risposta alla crisi di identità della società italiana, assai più controverso e tutt’altro che pacifico fu il tentativo della DC di fare della televisione l’espressione della tradizione storico-culturale e dell’eredità cristiana della nazione» (ibidem, p. 200). Per uno sguardo più ampio sulla relazione tra sistema poli- tico e cultura di massa, cfr. Fo r ga c s e Gu n d l e , Cultura di massa e società italiana 1936- 1954, cit. Cfr. anche F. Co l o m b o , La cultura sottile. Media e industria culturale italiana dall’Ottocento ad oggi, Milano 1998. 16 Gu a z z a l o c a , Le principali culture politiche italiane di fronte al «boom» della televisione, in Ca v a z z a e Sc a r p e l l i n i (a cura di), La rivoluzione dei consumi, cit., p. 321. 17 Pi o XII, I rapidi progressi (1° gennaio 1954), in «AAS», 46 (1954), p. 20. E continuava dicendo: «A tal fine, Noi ben sappiamo come si sia già lodevolmente provveduto, nelle Diocesi in cui si trovano stazioni teletrasmittenti, a designare uno o più laici o sacerdoti, con l’incarico di interessarsi della formazione dei programmi di carattere religioso. Noi auspichiamo però che essa, per il suo mag- giore rendimento, possa svolgersi in maniera coordinata sul piano nazionale, e faccia capo a un Ufficio Centrale competente, che abbia la funzione di imprime- re sui punti essenziali un carattere uniforme all’azione dei singoli, di mettere a profitto di tutti le fruttuose esperienze fatte in questo campo nelle varie parti del mondo, di raccogliere le segnalazioni e i consigli, specialmente dei Pastori delle anime, e nello stesso tempo rappresenti presso chi di dovere la voce e il pensiero stesso dell’Episcopato italiano» (ibidem). 18 Per un approfondimento, cfr. Mo r a n d i , La via dell’inferno, cit.

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nelle mani del suo direttore generale Ettore Bernabei, democristiano di lungo corso, ex direttore del «Giornale del Mattino» di Firenze, ex direttore del quotidiano «Il popolo», l’organo ufficiale della Dc, e «da sempre fanfaniano»19. La gestione Bernabei – «Opus Bernabei» come la definisce Grasso nella sua periodizzazione della storia della televi- sione italiana enfatizzando la sua tendenza all’accentramento decisio- nale, la lunghezza del mandato, dal 1961 al 1974, e la sua non celata vicinanza all’Opus Dei20 – ha marcato in modo indelebile la Rai, tanto da far parlare di un vero e proprio «modello culturale della televisione bernabeiana»21. Come ricorda lo stesso Bernabei, entrò in Rai nel gennaio 1961, dopo il fuoco di sbarramento dei mandarini interni e dei dorotei, che sostenevano invece Gianni Granzotto22. L’opposizione che temeva un eccessivo accentramento di potere in un’unica figura cedette solo dopo l’assicurazione che il progetto di Fanfani sull’unificazione delle cariche (quella di amministratore delegato e di direttore generale) non sarebbe stato attuato e soprattutto, secondo la testimonianza dello stesso interessato, per toglierlo di mezzo dalla direzione del «Popolo». Fanfani, da sempre molto attento alle potenzialità del mezzo televi- sivo e allora presidente del Consiglio con il governo delle convergen- ze parallele23, voleva infatti rivedere gli assetti Rai e – come ricorda Bernabei – «mettere in Rai un uomo forte che desse un impulso de-

19 «Io sono sempre stato fanfaniano», come puntualizza lo stesso Bernabei nel libro-intervista con Dell’Arti. Cfr. E. Be r n ab e i e G. De l l ’Ar t i , L’uomo di fiducia, Mi- lano 1999, p. 18. Fu l’amicizia con Giorgio La Pira che lo portò a conoscere Fanfani. Per comprendere il rapporto tra Fanfani e Bernabei, può essere utile l’appunto che Antonio Segni annotò sul suo diario il 29 novembre del 1956: «voto di fiducia dopo un breve discorso di Bo, sul quale inutilmente tenta di influire Fanfani a mezzo Ber- nabei» (A. Se g n i , Diario (1956-1964), a cura di S. Mu r a , Bologna 2012, p. 104). 20 Come racconta lo stesso Bernabei, entra nel movimento alla fine degli anni Settanta, quindi quando la sua esperienza dirigenziale nella Rai era ormai terminata. Cfr. Be r n ab e i e De l l ’Ar t i , L’uomo di fiducia, cit., pp. 9-10. Cfr. Gr a s s o , Storia della televisione italiana, cit., p. XXVI. 21 Me n d u n i , Televisione e società italiana, cit., p. 19. 22 Cfr. Be r n ab e i e De l l ’Ar t i , L’uomo di fiducia, cit. 23 Il III governo Fanfani durò dal luglio 1960 al febbraio 1962; il IV governo Fanfani, invece, dal febbraio 1962 al giugno 1963.

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cisivo ai programmi»24. Il racconto di come sono andate le cose in quei giorni del 1960 lo ricostruisce lo stesso protagonista. Fanfani si recò in via Vincenzo Tiberio, dove abitava Bernabei a quel tempo, per parlargli di due progetti: l’idea che tutti i partiti avessero il diritto di comparire in televisione – il progetto in nuce di quelle che sarebbero state le Tribune elettorali25, riprendendo la trasmissione radiofonica del dopoguerra la Voce dei partiti – e quella sul riassetto Rai. Gli disse, in- fatti: «Ma senta un po’, in definitiva, senza stare a cercare tanti nomi, non sarebbe meglio che se ne occupasse lei?»26. Riuscì quasi in tutti e due i progetti. Dopo la sentenza del luglio 1960 della Corte costituzionale volta ad affermare un più ampio plu- ralismo in Rai, il 6 ottobre alla Camera, come riportano gli atti par- lamentari, Fanfani poté annunciare quella che Jacobelli chiamò poi «la rivoluzione copernicana del 1960» nel campo della comunicazione politica televisiva27:

24 Be r n ab e i e De l l ’Ar t i , L’uomo di fiducia, cit., p. 108. 25 Cfr. la voce Tribuna politica-1961, in Gr a s s o , Storia della televisione italiana, cit., pp. 102-103; E. No v e l l i , Dalla Tv di partito al partito della Tv. Televisione e politica in Italia 1960-1995, Firenze 1995. 26 Be r n ab e i e De l l ’Ar t i , L’uomo di fiducia, cit., p. 108. Bernabei intervistato da Maria Grazia Bruzzone dice invece che fu lui stesso a proporre a Fanfani di affron- tare il problema della dirigenza Rai: «Fanfani non entrava mai nel tema delle nomine singole. In quel caso, si trattava di sostituire i dirigenti dell’Eiar fascista con gente che avesse una sensibilità politica e democratica diversa e anche una professionalità più adeguata. Perché quelli, a prescindere dalla politica, erano rimasti al pubblico della radiofonia degli anni Trenta e dei film coi telefoni bianchi. E Fanfani fu d’accordo» (Br u z z o n e , L’avventurosa storia del Tg in Italia, cit., p. 119). 27 Come scrive Jacobelli, fino ad allora «Si parlava quasi esclusivamente dell’atti- vità di governo. […] Dei partiti dell’opposizione si dava soltanto qualche cenno, con notizie quasi sempre intrecciate al commento. I partiti avevano i giornali, il governo aveva la Rai. Fino al 1960, così, alla televisione avevano parlato soltanto i Presidenti della Repubblica un paio di volte l’anno, i Presidenti del Consiglio, qualche volta di più, i ministri di tanto in tanto, ma molto brevemente. I leader di partito, mai» (J. Ja c o b e l l i , La rivoluzione copernicana del 1960, in V. Qu ag l i o n e e F. Spa n t i ga t i (a cura di), La comunicazione in Italia, Roma 1989, p. 45). Cfr. anche l’articolo di M.G. Br u z - z o n e , E Scelba disse: accettateci, belli o brutti, in «La Stampa», 23 gennaio 1992: «Dovrete accettarci così come siamo, belli o brutti, anche se non abbiamo le qualità fisiche di coloro che siete abituati a vedere in televisione».

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Il governo, presi gli opportuni accordi con la Rai, è in grado di comu- nicare che sulla rete nazionale della radio e della televisione, dopo che l’11 ottobre il ministro degli Interni avrà illustrato l’ampiezza e la modalità della consultazione elettorale imminente in apposita conferenza stampa, dal 12 al 24 ottobre, dalle ore 21 alle ore 21,30, sarà concessa ai partiti politici la trasmissione di una serie di conferenze stampa, e dal 25 ottobre al 3 novem- bre, dalle ore 21 alle ore 21,08, di una serie di discorsi in preparazione delle elezioni del 6-7 novembre28.

Mentre in data 10 gennaio 1961 poté rispondere alla lettera di Bernabei, ormai direttore generale della Rai, con un augurio e una raccomandazione:

Approvando la Sua designazione non ho fatto che seguire la mia con- vinzione, maturata in una ormai lunga osservazione delle Sue qualità e del Suo lavoro. Ora Le auguro di ricordare ogni giorno quale alta cattedra Ella dirige e quanto numerosi e vari siano gli spiriti che da essa attendono in- formazioni vere, orientamenti costruttivi, svaghi sereni, per divenire uomini e cittadini migliori. Questo ricordo quotidiano La renda solerte ed attento, con zelo scrupoloso ed intelligenza aperta. Io ho assolto il mio dovere di assicurare alla Rai Tv un direttore probo e capace. Assolva ora Ella il Suo di dimostrare che il Governo ha ben servito l’interesse pubblico. Questo è il mio augurio affettuoso per Lei e per la Sua opera!29.

Il progetto fanfaniano sulla televisione pubblica stava così pren- dendo forma. Senza l’obiezione dei socialisti, dei socialdemocratici, dell’Iri e del ministro delle Partecipazioni statali Bo, Bernabei entrò in Rai come direttore generale il 4 gennaio 1961, assieme a Papafava, storico del Risorgimento, come presidente per la quota liberale, a Italo De Feo come vicepresidente per i socialdemocratici, mentre Rodinò rimase amministratore delegato in quota Dc. Il peso di quella nomina del delfino di Fanfani passa anche attra- verso il ricordo di Augias:

28 Cfr. l’intervento di Fanfani, negli atti parlamentari III legislatura, Camera dei deputati, seduta del 6 ottobre 1960. 29 Archivio privato di E. Bernabei. Mi ha dato gentilmente la copia dell’origina- le e quella dattiloscritta. Il testo della lettera si può trovare anche in E. Be r n ab e i e G. La Po r t a , Tv qualità. Terra promessa, Roma 2003.

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Quando in consiglio dei ministri, il 5 gennaio di quell’anno, fu dato l’annuncio che Ettore Bernabei stava per diventare il nuovo direttore gene- rale della Rai, nessuno si rese conto che con quella nomina il più potente strumento di comunicazione del paese usciva dalla sua infanzia per avviarsi a diventare il terminale video del nascente sistema dei partiti. Non se ne resero conto i socialisti, che col centrosinistra s’accontentarono delle bricio- le, non se ne resero conto i comunisti che alla Tv, per molti anni a venire, continuarono a non pensare. Se n’era reso conto invece Amintore Fanfani, che in Rai piazzò non a caso il più fidato dei suoi uomini. S’aspettava molto da lui e i risultati corrisposero alle sue attese30.

Bernabei arrivò così in Rai con il compito, come riporta Chiaren- za, un dirigente vicino a Granzotto,

di rendere maggiormente incisivo il potere della corrente fanfaniana nella direzione dei programmi informativi e giornalistici, passando da una gestio- ne genericamente democristiana a un’altra più rigorosamente finalizzata ai disegni del leader integralista31.

Il nuovo direttore generale, più navigato di Guala nel non contrap- porsi subito frontalmente alla vecchia dirigenza ereditata dall’Eiar (Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche), liberale o vicina al fascismo, di cui Bernardi ne era il simbolo (Bernabei li avrebbe poi chiamati il «circo- lo del Whist»)32, doveva dunque orientare la televisione pubblica italiana alle nuove prospettive politiche, mantenendo non solo la Democrazia cristiana in una posizione egemonica e dando alla chiesa una garanzia sulla gestione del mezzo più influente del periodo, ma anche aprire alle diverse forze culturali e politiche presenti nel paese. Bernabei come d.g.

30 Citato in M. Ca r o l i , Proibitissimo! Censori e censurati della radiotelevisione italiana, Milano 2003, p. 67. 31 Ch i a r e n z a , Il cavallo morente. Storia della Rai, cit., p. 102. 32 In meno di un anno, Filiberto Guala aveva accentrato su di sé e su di un piccolo gruppo di fedelissimi tutti i poteri della Rai: assunse infatti Luigi Beretta Anguissola, suo braccio destro ai tempi dell’Ina-Case; tolse il telegiornale a Picco- ne Stella e mise un altro suo collaboratore, Pier Antonio Milone, alla direzione del personale. Tuttavia Sernesi e l’intero vecchio gruppo dirigente, per mezzo di astuzie e strategie di potere, costrinsero Guala alle dimissioni il 27 giugno 1956, dopo soli due anni dalla nomina ad amministratore delegato. Una precisa ricostruzione è ora proposta in Ca r o l i , Proibitissimo!, cit. e nella prefazione di Gr a s s o , pp. I-VI.

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della Rai andava a trovare ogni settimana il sostituto alla segreteria di Stato, mons. Angelo Dell’Acqua33, e sarebbe stata proprio la stretta e diretta amicizia del «cardinale Bernabei» – come lo soprannominò l’am- basciatore italiano presso la Santa Sede Pompei nel suo diario34 – con il prelato milanese a far ottenere l’autorizzazione agli operatori Rai per poter arrivare fino alle soglie della Sistina, durante il conclave del giugno del 1963, e poter trasmettere così in diretta l’extra omnes35. Erano tempi politici abbastanza delicati: se il 1960 si aprì con il go- verno Tambroni e i morti in piazza, il III governo Fanfani delle conver- genze parallele sancì la fine del centrismo con l’immobilismo dei suoi governi, scavalcato appunto dal nuovo corso che stava progressivamente delineandosi, quello dell’apertura ai socialisti e dei governi di centrosini- stra. Questo nuovo equilibrio che si stava imponendo in modo radicale nella vita politica, sociale e culturale del paese, tanto da far scrivere a Cal- vino di una belle époque inattesa36, si riflesse automaticamente anche in Rai37. Il progetto bernabeiano aprì in questo modo una nuova stagione e un nuovo corso: portò la Rai fuori dal periodo dell’infanzia per farla entrare nella fase della maturità e avviandola così a diventare una delle industrie culturali più importanti del paese38 e facendo della lottizza- zione la caratteristica principale di quella televisione39.

33 Lo racconta ancora una volta Bernabei a Dell’Arti, cfr. Be r n ab e i e De l l ’Ar- t i , L’uomo di fiducia, cit., pp. 159-163. Per un approfondimento sulla figura di Dell’Ac- qua, cfr. A. Me l l o n i (a cura di), Angelo Dell’Acqua. Prete, diplomatico e cardinale al cuore della politica vaticana (1903-1972), Bologna 2004. 34 Cfr. G.F. Po m p e i , Un ambasciatore in Vaticano. Diario 1969-1977, a cura di P. Sc o pp o l a con note di R. Mo r o z z o De l l a Ro c c a , Bologna 1994. 35 Ro s s i , È tutto per stasera, cit., p. 79. 36 Per citare il titolo di un suo articolo, I. Ca l v i n o , La «belle époque» inaspettata, in «Tempi moderni», (luglio-settembre 1961), 6, p. 26. 37 Sul mutamento dei costumi nel passaggio dagli anni Cinquanta agli anni Ses- santa, rimane ancora fondamentale il lavoro di G. Cr a i n z , Storia del miracolo italiano. Culture, identità, trasformazioni fra anni cinquanta e sessanta, Roma 1996. 38 Quando si affronta la storia della televisione italiana un capitolo importante è rappresentato dagli anni della gestione Bernabei. Molti ne hanno scritto, con pareri e riflessioni discordanti. Andrea Barbato, nelle sue «Cartoline», sosteneva come fosse «un tiranno illuminato di cui non può esservi nostalgia, oggi: ma solo un sereno rico- noscimento di meriti, quello sì» (C. Fe r r e t t i , U. Br o c c o l i e B. Sc a r a m u c c i , Mamma Rai. Storia e storie del servizio pubblico radiotelevisivo, Firenze 1997, p. 234). 39 È lo stesso Bernabei che descrive come avveniva il processo di assunzio-

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Uno dei punti di forza della sua gestione era quello di dare centra- lità e un’attenzione particolare alla realizzazione dei programmi, fino ad allora trascurate, nodo centrale del suo progetto educativo. Berna- bei lo ricorda nell’intervista con Giorgio Dell’Arti:

Il mio fine di fondo, la regola alla quale cercavo di attenermi [era] fare delle buone trasmissioni. Trasmissioni gradite a un pubblico vastissimo di persone colte e incolte, ricche e povere e che interpretassero i loro bisogni, le loro aspirazioni, le loro aspettative. Io come cattolico e democristiano cercavo di fare anche gli interessi della Dc. Ma ero convinto pure che gli interessi della Dc, nel mio caso specifico, coincidessero con gli interessi generali. Fare buone trasmissioni conveniva a tutti40.

In questa breve ricostruzione c’è la sintesi di tutto il Bernabei- pensiero41. Per dare un nuovo slancio al palinsesto e dunque supremazia ai

ne: «Intanto si faceva bene la Commissione esaminatrice, non so se mi spiego, e io chiamavo Gennarini e gli dicevo: “Oh Gennarini! Occhio, mi raccomando!”. E occhio voleva dire: attenti a chi ci pigliamo in casa. E lui stava attento, eccome se stava attento, e l’occhio ce l’aveva. E veniva da me e mi diceva: “Tranquillo, direttore, è un democristiano”. E io rispondevo: “Ma crede in Dio? Perché che sia democristiano non conta mica tanto, conta che creda in Dio”. Io mi fidavo di Romanò, che era quasi comunista, perché sapevo che oltre a essere bravo, credeva in Dio. E gli affidai il secondo canale. […] io la gente la pigliavo tra quelli bravi e che mi fossero congeniali! […] e perciò si badava a sceglier bene i componenti della Commissione. Che fosse gente capace di fare le scremature […] non si faceva sapere come andavano fatte ‘ste scremature. Cioè bisognava che i colori ci fossero tutti, però nella proporzione giusta […] Diciamo: tre a noi e due al resto del mondo. Per esempio, a quel tempo un socialista, un liberale e tre democristiani. E dopo: un laico moderato, un comunista e tre Dc» (Be r n ab e i e De l l ’Ar t i , L’uomo di fiducia, cit., p. 148) 40 Ibidem, p. 149. Cfr. anche la ricostruzione che fa De Bernardi sull’irruzione della televisione in Italia, con i cambiamenti che essa portò con sé e con i nuovi mo- delli culturali «che ruotavano attorno al nucleo fondamentale della modernizzazio- ne moderata promossa dalle élite politiche democristiane» (A. De Be r n a r d i , Potere politico e mutamento sociale. Alle origini della televisione, in A. Va r n i (a cura di), Storia della comunicazione in Italia, Bologna 2002, p. 241). 41 G. Bo a t t i , «Una Rai solo cultura? Dico no alle nicchie. Intervista al signore della tele- visione, Ettore Bernabei», in «La Stampa», 14 marzo 2009.

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programmi (programmi «graditi al pubblico»)42, si oppose alle logiche interne tradizionali, facendo saltare le chiusure di bilancio da portare in Consiglio che prevedevano che i due terzi delle risorse fossero destinate agli impianti tecnici e alla gestione ordinaria e solo un terzo alla produ- zione dei programmi43. Puntò sul varietà e sulla fiction, perché «confer- mano e propagandano apparentemente dedicandosi ad altro»44. Nacquero infatti nell’era dell’«imperatore della Rai», come lo de- finì sulle sue pagine il quotidiano francese «Le Monde», trasmissioni che avrebbero fatto la storia della televisione italiana, perché «la sua televisione non va in ferie»45: varietà come Giardino di inverno (21 gen- naio 1961) dove debuttarono le gemelle Kessler, Studio uno (21 ottobre 1961), Chissà chi lo sa (19 luglio 1961), RT rotocalco televisivo (1962), sce- neggiati come I Giacobini (11 marzo 1962), la fiction di divulgazione storica di Rossellini e I promessi sposi di Sandro Bolchi (1967). Per il settore dell’informazione, da sempre il cruccio dei partiti politici, chiamò Enzo Biagi a dirigere il telegiornale al posto di Pic- cioni, «per avere maggiore credibilità nei confronti dell’opinione pub- blica», scrive Chiarenza. La macchina Rai, però, con le sue usanze e i suoi meccanismi, portò il giornalista bolognese, considerato troppo poco anticomunista e il suo telegiornale troppo poco ministeriale46, a lasciare la carica per l’impossibilità di lavorare senza pressioni esterne e per il fuoco incrociato della destra democristiana; venne così sosti- tuito dal socialista Giorgio Vecchietti, «assai più disponibile a subire la linea ispiratrice di Bernabei»47, e affiancato da Fabiano Fabiani, suo alleato e allora su posizioni di «integralismo cattolico».

42 Br u z z o n e , L’avventurosa storia del Tg in Italia, cit., p. 123. 43 Cfr. Be r n ab e i e De l l ’Ar t i , L’uomo di fiducia, cit., pp. 115-116. 44 Ibidem, pp. 121-122: «Perché sono proprio il varietà e la fiction che influisco- no davvero sui comportamenti, che diffondono modelli e atteggiamenti tra la popo- lazione. Se ci pensa, è ovvio: fiction e varietà parlano con soavità alle grandi masse e propongono modelli facili da imitare. Una soubrette si pettina in un certo modo e il giorno dopo migliaia di donne adottano la stessa acconciatura. Ma è lo stesso anche per i principi morali». 45 Fe r r e t t i , Br o c c o l i e Sc a r a m u c c i , Mamma Rai, cit., p. 239. 46 Cfr. Cr a i n z , Storia del miracolo italiano, cit., pp. 205-206. 47 Cfr. Ch i a r e n z a , Il cavallo morente, cit., p. 103.

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La ristrutturazione in vista del progetto fanfaniano di accentra- mento di tutti i poteri nelle mani della direzione generale – progetto che turbava i dorotei – passava infatti anche dal telegiornale. Bernabei controllava i servizi direttamente, specialmente dal 1969, valendosi l’appellativo di supercensore, che per altro lo stesso ha confermato e non ha mai smentito48, anche se la Rai aveva cominciato a conoscere la pratica dell’omissione già dalle sue origini, confutando così l’errore di valutazione fatto da molti e denunciato lucidamente dalla critica pasoliniana49. La politica fanfaniana di centrosinistra si rifletteva dunque nel modello culturale che Bernabei imponeva alla televisione, senza mai far capire fino in fondo se fosse Fanfani stesso a proporre le sue idee di televisione a Bernabei, o viceversa. La Rai venne in questo modo avvolta nel progetto di televisione di centrosinistra, perché,

politica di centrosinistra significa attenzione, interesse alla gente, agli uomini e alle donne in carne e ossa. Certo, anche i comunisti avevano posto le mas- se al centro della loro riflessione. Ma loro [il centrosinistra] volevano dargli, e gli davano, l’automobile e la casa di proprietà. E, in televisione, programmi nei quali si riconoscessero50.

La Rai ormai dal 1957 aveva esteso le trasmissioni televisive a tutto il territorio nazionale, grazie allo sviluppo delle reti, al programma di

48 Cfr. l’intervista che Bernabei concede ad A.M. Mo r i , La mia Bibbia per le per- sone semplici, in «La Repubblica», 21 giugno 1993. 49 Pasolini in una intervista su «Il Mondo» l’11 luglio 1974, all’indomani del referendum sul divorzio, sostenne come fosse stata «la propaganda televisiva del nuovo tipo di vita “edonistico” che ha determinato il trionfo del “no” al referendum. Non c’è niente infatti di meno idealistico e religioso del mondo televisivo. È vero che in tutti questi anni la censura televisiva è stata una censura vaticana. Solo però che il Vaticano non ha capito che cosa doveva e cosa non doveva censurare. Doveva censurare per esempio Carosello, perché è in Carosello, onnipotente, che esplode in tutto il suo nitore, la sua assolutezza, la sua perentorietà, il nuovo tipo di vita che gli italiani “devono” vivere» (P.P. Pa s o l i n i , Ampliamento del «bozzetto» sulla rivoluzione antropologica in Italia, in «Il Mondo», 11 luglio 1974, ora anche in Id., Scritti corsari, Milano 2008, pp. 58-59). 50 Br u z z o n e , L’avventurosa storia del Tg in Italia, cit., p. 123.

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investimenti, alla costruzione di nuovi impianti51 e si preoccupava del- la formazione dei suoi dirigenti, mandandoli in missione a studiare gli impianti delle televisioni straniere52. L’impegno produttivo lo si può riscontrare anche dall’incremento del volume orario delle trasmissio- ni. Nel corso del 1959 infatti si toccarono le 3.135 ore di produzione (892 ore dedicate ai servizi informativi, 2.010 ai programmi ricreativi e culturali) rispetto alle 1.666 dell’anno precedente53. Come riportò, infatti, l’«Annuario Rai», «più che dal numero degli abbonati, che nel 1958 ha raggiunto il milione, il crescente diffondersi della televisione sembra caratterizzato dal fatto che essa penetra e influisce sempre più nella vita del nostro paese»54, offrendo una copertura sugli eventi interni e internazionali sempre più accurata e precisa e sempre più im- mediata. Non solo tra la fine del 1958 e il gennaio 1959 la televisione italiana festeggiò il suo milionesimo abbonato mettendo in palio una «italianissima» Alfa 200055, ma il 1959 fu anche l’anno in cui entrò in uso in Rai il nastro magnetico, grazie all’Ampex, che permetteva così di abbandonare gli impegnativi sistemi cinematografici fino ad allora impiegati; la videoregistrazione venne sperimentata per la prima volta nella visita del 5 ottobre di quell’anno, in occasione del ritorno dell’on. Segni dal suo viaggio negli Stati Uniti. La telecronaca del suo arrivo a Ciampino poté così essere trasmessa pochi minuti dopo dai telegior- nali in modo molto più semplice e veloce56. Nel 1962 gli abbonamenti alla televisione toccarono la quota dei 3,5 milioni con una rapidità di copertura che la Rai non riuscì mai più a eguagliare, per superare i 6 milioni nel 196557; come molti analisti

51 Cfr. la Relazione del Consiglio di Amministrazione relativa all’anno 1957, anche in «La nostra Rai», (gennaio 1958), 1, pp. 33-34. 52 Il resoconto del viaggio del direttore generale della Rai, Rodolfo Arata, agli impianti della Bbc, venne pubblicato sul mensile «La Nostra Rai». Cfr. R. Ar a t a , Impressioni sulla radiotelevisione inglese, in «La Nostra Rai», (gennaio 1958), 1, pp. 3-4. 53 Dati dall’«Annuario Rai», 1960. 54 «Annuario Rai», 1959, p. 101. 55 Il sorriso del signor milione, in «Radiocorriere Tv», (21-27 dicembre 1958), 51. 56 Cfr. oltre al «Radiocorriere Tv» di quei giorni, anche l’«Annuario Rai», 1960, p. 226. 57 Per i dati, si fa riferimento agli «Annuari Rai» di quegli anni. Cfr. anche Ra i -

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hanno evidenziato, il servizio pubblico italiano non solo colmò il di- vario che si era creato con gli altri paesi58, ma riuscì a farlo compiendo un altro miracolo: l’uguaglianza democratica del segnale tra Nord e Sud del paese59.

2. I protagonisti

Fu dunque questa Rai che si trovò prima a dover riprendere e rac- contare un papa come Giovanni XXIII, che divenne «la prima delle news»60 stravolgendo i meccanismi e le immagini a cui il pubblico era abituato con Pio XII61, e poi a dover seguire e a fare informazione su un evento così importante e così imprevisto nella sua durata come il concilio Vaticano II, forte anche del secondo canale, nato il 4 novem- bre del 1961. La Rai che doveva seguire il concilio era dunque una televisione a

Se r v i z i o d o c u m e n t a z i o n i e s t u d i (a cura di), Nota su alcune caratteristiche dello sviluppo dell’utenza televisiva nelle province italiane, Roma 1961. Una recente lettura dei dati relativi alla diffusione del segnale e degli abbonamenti negli anni Cinquanta e Sessanta è pro- posta in F. Fe r r a r o t t i , La televisione. I cinquant’anni che hanno cambiato gli usi e i costumi degli italiani, Roma 2005, pp. 9-32. 58 In Francia, per esempio, nel 1962 il segnale era arrivato ormai in tutto il paese. 59 Cfr. P. O r t o l e v a , La televisione nell’industria culturale, la televisione come industria culturale, in Mo r c e l l i n i (a cura di), Il Mediaevo italiano, cit., pp. 274-275. 60 La Va l l e , Essere giornalisti al tempo di papa Giovanni, cit., p. 575. Cfr. ora anche le testimonianze di Ro s s i , È tutto per stasera, cit., come ricorda: «Ma con l’avvento di Papa Roncalli, con lo stile di Papa Roncalli, alla RAI si aprono le porte di un’attualità nuova. Il Papa buono all’ospedale dei bambini, tra i carcerati, in treno verso Loreto e nello stesso giorno ad Assisi (mica facile documentare tempestivamente quel viaggio con i mezzi tecnici di allora). A volte erano necessarie uscite improvvise di troupes e quel tanto di etichetta che sopravviveva mi portò in qualche caso a prestare la cravat- ta al cineoperatore reperito fortunosamente in abito non propriamente di riguardo» (ibidem, pp. 77-78). 61 Raniero La Valle, infatti, scrive: «Fu subito evidente che per descrivere quegli eventi non si potevano ripetere i vecchi clichés delle cronache papali. Ciò che acca- deva era nuovo, e nuovo doveva essere il giornalismo che lo raccontava» (La Va l l e , Essere giornalisti al tempo di papa Giovanni, cit., p. 577).

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doppio canale (la prima rete segnalava l’inizio di un programma sul- la seconda facendo comparire un triangolino bianco sullo schermo e viceversa)62 e nelle mani di uomini molti dei quali vicini all’ala della sinistra democristiana63. Già Filiberto Guala, l’ingegnere chiamato nel 1954 a ricoprire la carica di amministratore delegato e vicino alle po- sizioni di Fanfani, nel tentativo fallito di sostituire la vecchia classe dirigente laica, aveva aperto l’azienda a molti cattolici di sinistra definiti «integralisti». Il biennio 1954-1956 può essere interpretato infatti come la fase più dichiaratamente vicina al progetto dossettiano sul paese. Il direttore del telegiornale dal ’57 al ’59 Massimo Rendina, amico di Rumor, ricorda quei giovani come «mal tollerati sia dentro l’azienda che nella Dc»64. Fra tutti occorre ricordare Pier Emilio Gennarini, il braccio destro di Guala nonché l’organizzatore delle «selezioni corsa- re», il corso di reclutamento di nuovi giovani, dal quale erano usciti i famosi «corsari»: entrarono così in Rai neo-laureati, molti dei quali pro- venienti dal bacino dell’associazionismo bianco: Umberto Eco, Gianni Vattimo, Fabiano Fabiani, Emmanuele Milano, Giovanni Salvi, Angelo Guglielmi, Gianfranco Bettetini65. Molti di questi, che negli anni Ses- santa ebbero il merito di portare una ventata di aria fresca all’interno dei consolidati e tradizionali meccanismi televisivi, sarebbero poi stati i dirigenti futuri di quella Rai. Non è possibile non vedere in quello che rimane un unicum nella storia della televisione pubblica – ovvero un tentativo di aprire lo «scatolone»66, che in quegli anni stava muovendo i primi passi, alle giovani generazioni con l’obiettivo, non scontato, di

62 Cfr. Em a n u e l l i , 50 anni di storia della televisione attraverso la stampa settimanale, cit., p. 133. 63 Cfr. Gu a z z a l o c a , Il governo della televisione o la televisione del governo?, in Id. (a cura di), Governare la televisione?, cit., pp. 106-149. Anche Ve c c h i o , L’arrivo della tele- visione in Italia, in Br e z z i , Ca s u l a , Gi o v ag n o l i e Ri c c a r d i (a cura di), Democrazia e cultura religiosa, cit., pp. 401-422. 64 Cfr. Br u z z o n e , L’avventurosa storia del Tg in Italia, cit., p. 79. Gismondi raccon- ta come «la stella del Gennarini iniziò a offuscarsi» quando venne estromesso Guala. Cfr. A. Gi s m o n d i , La radiotelevisione in Italia, Roma 1958, pp. 125-129. 65 Cfr. Ru o z z i , Voci e immagini della fede: radio e Tv, in Me l l o n i (a cura di), Cristiani d’Italia, cit., pp. 479-481. 66 Cito qui l’espressione di Fe r r a r o t t i , usata in La televisione, cit., p. 9.

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formarle, un imprinting del tutto dossettiano con il fine non celato di cercare di dotare la Rai di una vera classe dirigente professionalmente qualificata67. Gennarini, grande artefice della strategia televisiva degli anni Cin- quanta di apertura alla cultura e a nuove forme di spettacolo68 e dal 1963 responsabile dell’influente Comitato programmi, era bollato con disprezzo come «cattocomunista», perché proveniva dal gruppo dei cattolici di sinistra ed era legato ideologicamente e culturalmente al gruppo dossettiano e a «Cronache sociali», tanto da aver frequentato abbastanza spesso la casa di via della Chiesa Nuova, quell’apparta- mento «così amabilmente ottocentesco»69 delle sorelle Portoghesi che fungeva da alloggio romano e da succursale per la continuazione delle discussioni sulla Costituzione del gruppo della Comunità del porcel- lino, e da prendere casa successivamente a Monteveglio, sede della comunità monastica fondata dallo stesso Dossetti70. Nel 1964 Montanelli sulle pagine del «Corriere della Sera» descris- se quel controllo democristiano di sinistra sulla Rai come a opera di «minotauri del più ripugnante matrimonio ideologico»71. Fu Gennari- ni, per esempio, che contattò il card. Lercaro proponendogli la lettura

67 Cfr. anche Gu a z z a l o c a , Una e indivisibile, cit., pp. 23-27. Per un’analisi sull’eredità politica e culturale di Dossetti, cfr. E. Ga l a v o t t i , Il dossettismo. Dinamismi, prospettive e damnatio memoriae di un’esperienza politica e culturale, in Me l l o n i (a cura di), Cristiani d’Italia, cit., pp. 1367-1387. 68 Cfr. il racconto dello stesso Be r n ab e i , in Be r n ab e i e De l l ’Ar t i L’uomo di fiducia, cit. 69 M. Gl i s e n t i e L. El i a (a cura di), Cronache Sociali (1947-1951). Antologia, San Giovanni Valdarno-Roma 1961, p. 9. Si rimanda all’introduzione di A. Me l l o n i , «Cronache Sociali». La produzione di cultura politica come filo della «utopia» di Giuseppe Dosset- ti, in «Cronache Sociali» 1947-1951, edizione anastatica integrale a cura di A. Me l l o n i , Bologna 2007, pp. XIII-XLIV. 70 Come riporta T. Po r t o g h e s i -Tu z i e G. Tu z i , Quando si faceva la Costituzione. Storia e personaggi della Comunità del porcellino, Milano 2010, p. 115. Gennarini aderirà in seguito al movimento neocatecumenale fondato nei primi anni Sessanta da Kiko Argüello. 71 I. Mo n t a n e l l i , Il teleschermo avvelenato, in «Corriere della Sera», 6 maggio 1964. Continuava sostenendo che «i fanfaniani dominano tuttora nella RAI-Tv perché gli avversari morotei non riescono ad accordarsi né con gli altri partiti del governo né tra di loro».

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e il commento in televisione dei Vangeli nei primi mesi del 196272; du- rante quegli incontri probabilmente fu proprio Lercaro ad aggiornare il dirigente Rai sulle attività di studio e di ricerca del gruppo bolognese del Centro di documentazione che stava ultimando in quei mesi l’edi- zione dei testi conciliari come preparazione al Vaticano II73. Quanto quegli uomini fossero all’interno di una rete di contatti condivisa lo si capisce da due episodi: Bernabei, saputo della nomina a direttore generale nel 1961, una delle prime cose che fece fu andare a Bologna in udienza dal card. Lercaro per avere parole di incoraggia- mento e consigli74, mentre lo stesso cardinale, approfittando di una pausa domenicale durante la terza sessione di concilio, andò in visita alla Trappa di Frattocchie, a pochi chilometri da Roma, dove lo atten- deva l’Abate del monastero ma, soprattutto, dove poté incontrare il suo «amico, Ing. Guala, già Presidente dell’INA-CASA (ora Gesca) e della RAI: ora “fra Paolino”»75, come scrisse in una lettera alla sua comunità. Guala era infatti al termine degli studi teologici; dopo es- sersi dimesso da amministratore delegato della Rai aveva deciso di ritirarsi a vita monacale, prima nel piccolo paese sull’Appia antica, poi in Piemonte76. Per questo, quando si avviò la preparazione televisiva del conci- lio e si dovette pianificare la programmazione, apparve naturale sia a quei dirigenti Rai, sia al gruppo di storici coordinati da Dossetti, avviare una collaborazione; la televisione pubblica chiamò così per la parte di

72 Fscire, fondo Lercaro, A. 353. Lo stesso Emilio Rossi avrebbe ricordato come durante la sua direzione del Tg1, in occasione di importanti celebrazioni, «all’efficienza devo dire ammirevole di Dante Alimenti, si affiancò la ragione teo- logica di un Pier Emilio Gennarini (quanto aperta e lucida, ricordo, al momento del convegno romano “Evangelizzazione e promozione umana”)» (Ro s s i , È tutto per stasera, cit., p. 82). 73 J. Al b e r i g o , P.-P. Jo a n n o u , C. Le o n a r d i e P. Pr o d i (a cura di), Conciliorum Œcumenicorum Decreta, Bologna-Friburgi Br. 1962. 74 Lo racconta lui stesso alla Bruzzone in L’avventurosa storia del Tg in Italia, cit., p. 122. 75 Come scrisse nella lettera dell’11 ottobre 1964. Cfr. G. Le r c a r o , Lettere dal concilio 1962-1965, a cura di G. Ba t t e l l i , Bologna 1980, pp. 287-288. 76 Cfr. per esempio Mo n a s t e r o d i Sa n Bi ag i o (a cura di), Filiberto Guala: l’im- prenditore di Dio. Testimonianze e documenti, Casale Monferrato 2001.

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trasmissioni di approfondimento e inquadramento storico sui concili proprio quel gruppo bolognese, la filiera di giovani e fini studiosi come Giuseppe Alberigo, Paolo Prodi e Boris Ulianich, che facevano parte del gruppo di ricerca che fin dai primi anni Cinquanta si erano dedicati allo studio del tema conciliare presso il Centro di documentazione. Lo stesso Alberigo ricorda, parlando della figura di Dossetti, di come quest’ultimo, nonostante fosse rimasto a Bologna per l’apertura del concilio, riuscì comunque a «manifestare il suo interessamento per l’importante avvenimento»77: prese contatti con studiosi non italiani, mantenne costanti rapporti con Döpfner e Suenens e venne coinvolto nel problema della riforma del collegio cardinalizio fino a diventare segretario del collegio dei moderatori. E, soprattutto, «fece pressioni sulla Rai affinché si interessasse del concilio», appoggiandosi, come già detto, alla rete degli uomini a lui vicini78, a partire dall’uomo dos- settiano interno alla Rai, Gennarini, e grazie al forte legame con un altro importante giornalista, in quegli anni impegnato nella direzione dell’«Avvenire d’Italia», Raniero La Valle. Per quel gruppo, Gennarini e La Valle rappresentavano i punti di riferimento e di contatto privi- legiati con il mondo dei media79. Grazie alle sollecitazioni di Dosset- ti sulla Rai, soprattutto per un impegno del servizio pubblico nella realizzazione di una serie che anticipasse l’apertura del Vaticano II80, combinate assieme all’appoggio di La Valle e del suo osservatorio par- ticolare che gli offriva la direzione del giornale cattolico e alle idee e

77 L’occasione fu una lezione universitaria su Giuseppe Dossetti, tenuta il 31 maggio 1994, all’interno del corso di storia della chiesa presso la facoltà di scienze politiche di Bologna, nell’anno accademico 1993-1994. Tema del corso era appunto Il concilio Vaticano II (1959-1965): preistoria, convocazione, preparazione, svolgimento. I testi delle lezioni sono stati raccolti e trascritti da E. Galavotti, cfr. G. Al b e r i g o e A. Me l l o n i , Il concilio Vaticano II. Lezioni universitarie (a.a. 1993/’94-1994/’95), a cura di E. Ga l a v o t t i , pp. 110-111. Per un profilo biografico di Dossetti, cfr. E. Ga l a v o t t i , Il giovane Dossetti, Bologna 2006; Id., Dossetti. Resistere e ricostruire, 1940-1948, in uscita per i tipi del Mulino. 78 Ibidem. 79 Sia Alberigo che Prodi collaborarono poi a diverso modo con Raniero La Valle nella realizzazione di alcune trasmissioni sulla chiesa postconciliare. 80 Confermata anche dallo stesso Paolo Prodi, nell’intervista rilasciata il 15 di- cembre 2011.

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alla volontà di un appena trentaseienne Alberigo, si arrivò così alla pianificazione e realizzazione tra il settembre e il dicembre del 1962 di importanti cicli di trasmissioni – 1962 Anno del concilio (settembre 1962) e La Chiesa a concilio (ottobre-dicembre 1962) – nonché di nu- merose interviste destinati a lasciare un segno nella storia del rapporto tra assise conciliare e mezzo televisivo e allo stesso tempo per aprire la televisione a una certa riflessione storico-teologica, sconosciuta al palinsesto di quella giovane televisione. Lo studio di temi di ricerca teologici, biblici e storici era infatti lo scopo primario che Dossetti si era dato fondando tra l’autunno del 1952 e il marzo del 1953 quel Centro di documentazione che in maniera definitiva dal 1964 prese il nome di «Istituto per le scienze religiose» trovando sede nei locali di via San Vitale a Bologna, anche per la sintonia e la stima tra l’ex vicesegretario della Democrazia cri- stiana e l’arcivescovo Lercaro, insediatosi nel capoluogo emiliano il 22 giugno 195281. Alberigo (entrato con la moglie Angelina nei primi mesi del 1954)82

81 In un appunto presumibilmente di Dossetti, si trovano le Premesse e traccia gene- rale per la discussione (inizio 1959): «Il Centro di documentazione; a prescindere da tante altre considerazioni di merito sul presente momento della cultura e della Chiesa in Italia, è nato in particolare dalla constatazione di un puro dato esterno, istituzionale: cioè la non esistenza in Italia di un insegnamento accademico delle scienze teologiche». Le facoltà teologiche erano state soppresse definitivamente dalla legge Correnti del 26 gennaio 1873. Il documento qui riportato (Documento 10), è ora pubblicato in G. Al b e r i g o (a cura di), L’«officina bolognese» 1953-2003, Bologna 2004, p. 151, al quale si rimanda un approfondimento sul Centro di documentazione; cfr. anche D. M e n o z z i , Le origini del Centro di Documentazione, in A. e G. Al b e r i g o , «Con tutte le tue forze». I nodi della fede cristiana oggi. Omaggio a Giuseppe Dossetti, Genova 1993, pp. 333-369. I 50 anni dell’Istituto per le Scienze Religiose di Bologna, in «Cristianesimo nella storia», 26 (2005), 2, pp. 527-544. 82 Per un approfondimento, cfr. il numero di «Cristianesimo nella storia», 29 (2008), 3, dedicato a Giuseppe Alberigo (1926-2007). La figura e l’opera storiografica, e so- prattutto A. Me l l o n i , Appunti per un percorso biografico, pp. 665-702; cfr. anche il saggio di G. Mi c c o l i , L’insegnamento fiorentino di Pino Alberigo, in «Cristianesimo nella storia», 31 (2010), 3, pp. 905-925 e l’analisi proposta da G. Ru gg i e r i , Lo storico Giuseppe Al- berigo (1926-2007), in D. Me n o z z i e M. Mo n t a c u t e l l i (a cura di), Storici e religione nel Novecento italiano, Brescia 2011, pp. 33-52.

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e Paolo Prodi (che fece il suo ingresso invece nel Centro nell’autun- no del 1954) già a fine ’54 erano stati indirizzati verso lo studio del concilio di Trento, «nella convinzione della decisività dell’assetto allo- ra assunto dalla Chiesa»83. Dopo l’annuncio del concilio di Giovanni XXIII il 25 gennaio 1959, su idea di Dossetti e in collaborazione con Hubert Jedin84, avevano inoltre avviato un lavoro per la preparazione di una edizione sulle decisioni dei concili ecumenici che si erano tenuti nel passato al fine di agevolarne la conoscenza. Il volume, Conciliorum Œcumenicorum Decreta85, pochi giorni prima dell’apertura del concilio, il 1° ottobre del 1962, venne poi presentato in udienza a papa Giovanni XXIII, assieme al card. Lercaro86. Dossetti nella prefazione al volume spiega così la decisione di quel filone di ricerca:

Dieci anni or sono, il Centro aveva scelto un particolare indirizzo nei suoi propositi di sviluppo delle scienze religiose in Italia, cioè appunto le

83 Come riporta lo stesso Alberigo illustrando i temi di ricerca del 1954 nella cronologia pubblicata in Al b e r i g o , L’«officina bolognese», cit., p. 38. 84 Per un approfondimento sui rapporti tra Alberigo e Jedin, si rimanda a G. Ru gg i e r i , Alberigo di fronte a Dossetti e Jedin, in «Cristianesimo nella storia», 29 (2008), 3, pp. 703-724. 85 Al b e r i g o , Jo a n n o u , Le o n a r d i e Pr o d i , Conciliorum Œcumenicorum Decreta, cit. 86 P. Fr a n z o n i , In un volume di novecento pagine tutte le decisioni dei venti concili, in «Avvenire d’Italia», 6 ottobre 1962, p. 3. In occasione dell’udienza, Alberigo pubbli- cò un articolo su «Avvenire d’Italia» dal titolo La tradizione conciliare, in cui riassunse l’importanza dello studio dei concili e come il tema fosse stato sempre al centro delle ricerche del Centro di documentazione fin dalla sua fondazione: «La convo- cazione del Concilio Vaticano II annunciata da Giovanni XXIII all’inizio del 1959 ha richiamato in primo piano l’importanza storica dei grandi Concili e soprattutto delle loro decisioni come fonti privilegiate del pensiero e della tradizione cristiana. La straordinaria evoluzione del problema della unità dei cristiani ha dato una spinta ulteriore al riconoscimento del posto singolare che i Concili occupano nello sviluppo della coscienza della Chiesa universale. Sono stati questi motivi a indurre il Centro di documentazione di Bologna a promuovere le ricerche e i lavori che si concretano nel volume che vede la luce in questi giorni. Sin dalle sue origini – dieci anno or sono – il Centro aveva scelto un particolare indirizzo, cioè appunto le ricerche sulla dottrina e la storia dei Concili, ritenendoli un aspetto destinato a prendere sempre più rilievo nella vita e nella storia della Chiesa. Non sempre infatti si è apprezzato in tutta la loro profondità le decisioni dei Concili ecumenici».

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ricerche di dottrina e di storia dei Concili come di un aspetto destinato a prendere sempre più rilievo nella vita e nella storia della Chiesa87.

Se altri istituti cercarono di dare un apporto o un approfondimen- to scientifico ai problemi che i padri conciliari avrebbero dibattuto, il modo che scelse il Centro di documentazione, come scrive Dossetti in alcuni suoi appunti, quello cioè di non intervenire con monografie originali su temi particolari, ma preferendo «adempiere ad un servizio forse più umile, ma non meno necessario di documentazione», corri- sponde a un preciso modo di intendere la storia della chiesa: L’opera, anche se contiene soltanto la riproduzione di testi, forse può orientare sui problemi oggi dibattuti al Concilio più di molti trattati o di molte monografie. È l’eloquenza inoppugnabile della tradizione Conciliare uniforme e inequivoca, che dice chiaramente che cosa è un Concilio88.

Una scelta precisa che si può ritrovare – non a caso89 – anche nel- le puntate televisive della trasmissione 1962 Anno del concilio curate da Alberigo che, per spiegare il Vaticano II ai telespettatori, partì proprio dalla domanda «cosa è un concilio nella tradizione della Chiesa?», ap- profondendo così i concili del passato, dal Niceno I fino al Vaticano I. Proprio quel gruppo di studiosi, che, a margine degli impegni ac- cademici, si era impegnato in una insolita – per loro – esperienza televisiva, avrebbe poi avuto un ruolo non secondario durante tutti gli anni conciliari90; oltre alle libere docenze e l’ultimazione delle mono- grafie su cui stavano lavorando da alcuni anni, redassero importanti

87 G. Do s s e t t i , Premessa, in Conciliorum Œcumenicorum Decreta, cit., pp. XXIII. 88 Appunto di Dossetti sull’impegno del «Centro» per il Concilio (novembre 1962). Docu- mento 11, pubblicato ora in Al b e r i g o , L’«officina bolognese», cit., p. 161. 89 Melloni, infatti, ritiene che i Cod hanno tre portati o significati, oltre «a docu- mentare l’esistenza di patrimoni inutilizzati»: essi comportano una manifestazione da parte del gruppo bolognese dell’amore per l’Oriente, chiaramente filtrata dal rigore critico; rappresentano lo strumento con il quale espandere forzatamente le proprie conoscenze e, non da ultimo, diventano la base di un’attività didattica sui generis come quella televisiva. Cfr. Me l l o n i , Appunti per un percorso biografico, cit., pp. 665-702. 90 Per un approfondimento, cfr. Ru gg i e r i , L’Officina bolognese et Vatican II, cit., pp. 11-25.

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edizioni scientifiche come strumenti di studio e di lavoro sui docu- menti del Vaticano II91; Dossetti diventò il perito personale del card. Lercaro, suo rappresentante nel gruppo di studio sulla «Chiesa dei poveri» (Lercaro nel dicembre del 1962 avrebbe letto in televisione un discorso su quel tema)92 e nel settembre del 1963 venne nomina- to– anche se per un breve periodo – segretario dei quattro cardinali moderatori del concilio93; lo stesso Alberigo nell’udienza del 25 gen- naio 1964 ricevette la gratitudine del pontefice per l’influenza della sua monografia sul dibattito conciliare mentre si stava discutendo a proposito della collegialità episcopale94. Già nell’ottobre del 1963 in concilio era girata sotto forma di brochure la conclusione della sua ricerca a cui fece riferimento, in modo inaspettato, il 21 settembre del ’64 anche mons. Parente, assessore della congregazione del Sant’Uf- fizio. La Rai che si stava preparando al concilio era dunque una televisio- ne fortemente controllata da dirigenti democristiani, in quel periodo più direttamente fanfaniana, ma sempre vicina all’influenza culturale del dossettismo95. E sarebbero stati uomini legati a Dossetti ad assu-

91 Si rimanda alla stessa testimonianza di Paolo Prodi che apre il volume Forme storiche di governo nella Chiesa universale, frutto della giornata di studio in occasione dell’ultima lezione di Alberigo all’Università di Bologna il 31 ottobre 2001. Nella sua Introduzione. Papato e cardinalato, per esempio, da notizia e pubblica in appendice l’appunto di 15 cartelle redatte dallo stesso Prodi per Dossetti il 14 settembre 1963 (Note storiche sul collegio dei cardinali) a uso di documento preparatorio per le discus- sioni conciliari. Cfr. P. Pr o d i (a cura di), Forme storiche di governo nella Chiesa universale, Bologna 2003. 92 ATR, C1449, La Chiesa a concilio. Uomini e problemi, 22.12.1962. Cfr. C. Lo r e - f i c e , Dossetti e Lercaro. La Chiesa povera e dei poveri nella prospettiva del Concilio Vaticano II, Milano 2011; un’analisi del rapporto tra Dossetti e Lercaro si trova anche in A. Me l l o n i , Giuseppe Dossetti. Il senso delle sproporzioni, in «il Mulino», 46 (1997), pp. 612- 624. 93 G. Do s s e t t i , Il Vaticano II. Frammenti di una riflessione, a cura di F. Ma r g i o t t a Br o g l i o , Bologna 1996. 94 Il volume era Lo sviluppo della dottrina sui poteri nella Chiesa universale. Momenti essenziali tra il XVI e il XIX secolo, Roma 1964. 95 In un appunto del 1962, mons. Dell’Acqua scriveva: «Il Vaticano II era un av- venimento di tale importanza, che va preparato in maniera perfetta: tutto deve essere

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mersi il compito di spiegare in quei primi mesi il concilio alla società italiana: dopo il lavoro storico dei Cod in quel gruppo di giovani pro- fessori era infatti radicata la convinzione di un necessario e stringente coinvolgimento dell’opinione pubblica, diversificato su differenti li- velli. Raniero La Valle con il suo «Avvenire d’Italia» avrebbe contribu- ito con un certo tipo di maturazione alla spiegazione delle questioni conciliari; loro, invece, avrebbero portato un altro tipo di indagine e di lettura, che non va separato dalla consuetudine quotidiana e, come già detto, dalla documentazione elaborata per Dossetti e indirettamente per Lercaro e dall’atmosfera di via della Chiesa nuova96.

3. La Rai, il Luce e le televisioni estere sul concilio: l’annuncio (25 gennaio 1959)

Gli autori del servizio speciale 1958: cronaca di un anno97, trasmesso dal telegiornale e dedicato al bilancio complessivo degli eventi che maggiormente avevano segnato il piccolo schermo negli ultimi dodi- ci mesi, prepararono un’ampia rassegna di filmati lavorando proprio sulle «centomila e più metri di pellicola di cui si è arricchita la cineteca del tg»98. Se la sequenza eletta come più significativa dell’anno risul- tò essere quella del missile Atlas lanciato il 18 dicembre dalla base americana di Cape Canaveral nella gara per la «conquista degli spazi

sacrificato al buon esito del concilio ecumenico, la cui portata mondiale è evidente. [bisogna] pensare alle anime e, quindi, impostare positivamente i problemi pastorali e vedere quali i mezzi più efficaci ed adeguati alle attuali condizioni della Società per far penetrare la dottrina cristiana in ogni ambiente e soprattutto in quelli che risulta- no scristianizzati» (la nota è ora in E. Ga l a v o t t i , Dell’Acqua sostituto e la politica italiana (1953-1967), in Me l l o n i (a cura di), Angelo Dell’Acqua, cit., p. 148). 96 Come lo stesso Prodi, intervistato nel dicembre del 2011, ribadì: «quello che a noi interessava erano i problemi!». 97 1958: cronaca di un anno, a cura di B. Giordani, L. Serani e G. Ferroni, Pro- gramma Nazionale, 31.12.1958, ore 22,00-22,45. 98 Un servizio speciale del Telegiornale, in «Radiocorriere Tv», (21-27 dicembre 1958), 51, p. 37.

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celesti»99, altre comunque vennero segnalate come rilevanti in quel- la sintesi visiva dell’anno: le immagini dei viaggi del presidente della Repubblica Gronchi in Inghilterra e in Brasile, le immagini della crisi francese e dell’ascesa di De Gaulle alla presidenza della Quinta Re- pubblica, ecc. Accanto a queste vennero annoverati anche i numerosi servizi realizzati in occasione della morte di Pio XII e dell’elezione di Giovanni XXIII, che, come riportò il «Radiocorriere Tv», «ha ridato alla Chiesa il pastore che i fedeli attendevano»100. L’attenzione mediatica sulla chiesa di Roma se chiuse il «regno» di Pio XII con lo scoop fotografico sulla sua salma che marcò così cinicamente quei momenti e i successivi novendiali, soddisfacendo la curiosità morbosa sul papa morente e sul suo cadavere dovuta anche alla fame di spettacolo di una società dell’immagine che stava muo- vendo i suoi primi passi, aprì però il pontificato di Giovanni XXIII in modo inedito101. La stessa «Civiltà Cattolica» non mancò di lodare e difendere l’operato Rai nella divulgazione delle notizie nell’intervallo di tempo tra la morte di papa Pacelli e l’elezione di Roncalli, in con- trasto alla cattiva gestione fatta dagli altri mezzi di comunicazione102. Zizola, infatti, descrivendo i primi giorni del pontificato roncalliano, sottolinea come «per la prima volta i fari della televisione e degli altri media irrompono nel castello ancora feudale, almeno nella retorica

99 Ibidem. 100 Ibidem. 101 Il 19 ottobre 1958 su «Epoca», diretto da Enzo Biagi, uscirono alcune foto scattate dall’archiatra pontificio, Riccardo Galeazzi Lisi, che ritraevano Pio XII mo- rente, con una bombola di ossigeno accanto al letto. Cfr. R. Ga l e a z z i Li s i , Ho vissuto con un santo, in «Epoca», 19 ottobre 1958, pp. 35-37. Per un approfondimento, cfr. B. La i , Vaticano sottovoce, Milano 1961. Anche Melloni, nel suo volume sul conclave, cita questo episodio: «Lo status ecclesiae è quasi ritratto dal misero spettacolo che la ristretta corte offre al mondo nell’agonia di Pio XII. Parenti, suore, cortigiani, gestiscono la fine papale in modo desolante: il commercio di fotografie del papa morente, apparse sulla stampa scandalistica, suona come un dettaglio disgustamente rivelatore del clima» (A. Me l l o n i , Il conclave. Storia dell’elezione del papa, Bologna 2001, pp. 106-107). 102 D. Mo n d r o n e , Appunti e disappunti attorno alla morte di papa Pio XII, in «La Civiltà Cattolica», 109 (1958), 4/2601, pp. 315-316.

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esteriore, del papato»103. Fin da subito venne colto, infatti, il cambia- mento di un modo di «fare il papa» che si rifletteva in una diversa vi- sibilità che Roncalli mostrava rispetto a quella di Pacelli. Quegli stessi media che avevano seguito Pio XII, sottolineandone la distanza e l’uf- ficialità della sua figura – quasi che fosse l’immagine cinematografica per eccellenza, in un freddo e perfetto bianco e nero – ne comunica- vano ora invece la vicinanza per papa Giovanni, nella sbavatura delle riprese della quotidianità televisiva104. Le riprese della macchina con il papa in piedi che saluta la folla in una delle sue prime uscite dal Vaticano o quelle che lo colgono nella spontaneità delle visite pastorali ai quartieri e alle parrocchie di periferia, contribuirono infatti a veicolare e a confermare, prima an- cora di atti o pronunciamenti ufficiali, la scelta di Roncalli del primato pastorale, del papa come vescovo di Roma. Le inquadrature della Rai su alcuni dettagli della cerimonia di incoronazione il 4 novembre 1958 avevano infatti anticipato un cambiamento che i servizi trasmessi dal telegiornale sulle visite all’ospedale e al carcere in quel primo Natale del 1958 confermarono e amplificarono105. La figura del pontefice diventava ora la prima delle notizie, come alcuni commentatori scris- sero, con una copertura da far invidiare anche la più «ricercata» delle dive106. Sempre più spesso e più di prima trovarono spazio nei settimanali

103 G. Zi z o l a , Giovanni XXIII. La fede e la politica, Roma-Bari 1988, p. 109. Me- morie sull’impatto di papa Giovanni XXIII sul mondo dei media si trovano anche in Br u z z o n e , L’avventurosa storia del Tg in Italia, cit. e in Ro s s i , È tutto per stasera, cit. Un’analisi storica basata sulle immagini televisive come fonti in Ru o z z i , L’icona Gio- vanni XXIII, in Me r l o e Mo r e s (a cura di), L’ora che il mondo sta attraversando, cit., pp. 47-103. 104 Per un approfondimento su Pio XII e i media audiovisivi (cinema e televi- sione in particolare), rimando al mio intervento di prossima pubblicazione, Pius XII in Cinema and Television: Actor and Subject. Representation of the Papal Fgure (1940-1950) tenuto alla conferenza «Catholics and Cinema: Productions, Policies, Power» (Ox- ford Brookes University, 2-3 settembre, 2011). 105 Cfr. Ma r a z z i t i , I papi di carta, cit. Anche Ru o z z i , L’icona Giovanni XXIII, in Me r l o e Mo r e s (a cura di), L’ora che il mondo sta attravenrsando, cit., pp. 47-103. 106 Cfr. T. Ke z i c h , Gli attori italiani dalla preistoria del divismo al monopolio, in Storia del cinema italiano, cit., vol. V, 1934-1939, a cura di Ca l d i r o n , pp. 383-403.

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dedicati alla programmazione notizie che riferivano di appuntamenti televisivi riguardanti il pontefice, anche perché proprio in quel periodo la televisione italiana stava cercando di uscire dallo stadio inaugurale dei primi anni per entrare nella fase di espansione. Venivano segnalati così la presenza delle telecamere alla messa di mezzanotte di Natale celebra- ta dal papa o i collegamenti in diretta delle visite o delle uscite papali, gli approfondimenti al telegiornale e le eventuali repliche107. Nelle rubriche dedicate alla posta dei radioascoltatori e dei tele- spettatori cominciarono ad arrivare lettere che richiedevano appro- fondimenti sulle «notizie papali» passate in Rai, per avere chiarimenti o maggiori informazioni su certi passaggi televisivi, in una bidirezio- nalità comunicativa ante litteram. Si domandava per esempio di avere ulteriori spiegazioni su cosa fosse «la Segreteria dei Brevi ai Principi» che il giornale radio aveva citato durante un servizio dedicato al Va- ticano108, o con quanti paesi si era collegata la televisione italiana per la cerimonia di incoronazione del 4 novembre 1958 trasmessa in eu- rovisione109; in altri casi, invece, si avanzava la proposta di rimandare in onda lo speciale realizzato dal telegiornale su La giornata del papa110, trasmesso giovedì 19 marzo 1959 alle ore 19,40 in occasione dell’ono- mastico del pontefice grazie all’amicizia tra Capovilla, segretario del papa, e Franco Schepis, caporedattore del tg. Venne così replicato – accogliendo le richieste dei teleabbonati – venerdì 27 marzo, in prima serata, alle 20,50, proprio «per andare incontro al desiderio di quanti non lo hanno potuto vedere», riportò il «Radiocorriere Tv»111. In quei primi mesi del 1959, mentre la radio stava preparando idee

107 Il papa celebrerà la Messa di mezzanotte, in «Radiocorriere Tv», (21-27 dicembre 1958), 51. 108 Postaradio risponde, in «Radiocorriere Tv», (23-29 novembre 1958), 47. 109 Postaradio risponde, in «Radiocorriere Tv», (8-14 febbraio 1959), 6. 110 ATR-FI, R002135/00, 00/03/1959, 41’ 44’’, b/n. La giornata del papa è un servizio speciale a cura di F. Schepis, realizzato da P. Josca, E. Luparelli, E. Ravel, riprese cinematografiche di A. Maestrelli, F. Lazzaretti, G. Giandinoto e E. Mecchi. Cfr. anche l’articolo di S. Ne g r o , Vedremo oggi in televisione ora per ora la giornata del Papa, in «Corriere della Sera», 19 marzo 1959. 111 P. Jo s c a , La giornata del papa, in «Radiocorriere Tv», (22-28 marzo 1959), 11, pp. 20-21.

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e uomini per celebrare l’anniversario dell’unità d’Italia, la televisio- ne domenica 25 gennaio 1959 anticipava tutti mandando già in onda Cinquant’anni di vita italiana: 1898-1948, un programma storico-cele- brativo in seconda serata, in dieci puntate, in cui vennero presentati documenti filmati inediti per la cura del vaticanista del «Corriere della Sera» Silvio Negro e la regia di Gian Vittorio Baldi112. La televisione italiana stava cercando pian piano di formare un pubblico televisivo «più esperto e attento»113, emancipandosi da quel pedocratic regime di cui parla Hartley114. A quell’ora il telegiornale aveva già trasmesso la notizia destinata a cambiare la storia della chiesa. Quel 25 gennaio 1959 papa Giovanni con un atto di discernimento primaziale annunciò la decisione di con- vocare un nuovo concilio. Sebbene fossero stati presenti solo 17 car- dinali115, l’occasione era solenne. San Paolo Fuori le Mura era affollata di fedeli riuniti per la liturgia conclusiva della settimana di preghiere per l’unità delle Chiese. Era la prima visita del papa alla patriarcale ba- silica ostiense. Le telecamere, che cominciavano a seguire il pontefice in tutti i suoi spostamenti, erano accese, pronte a riprendere il percor- so del corteo di macchine che accompagnava il papa – le inquadrature

112 Cinquant’anni di vita italiana in dieci trasmissioni televisive 1898-1948, in «Radio- corriere Tv», (14-20 dicembre 1958), 50, pp. 11-14: «Il mezzo secolo che va dal 1898 al 1948 rivivrà attraverso una serie di documenti filmati, autentici e in parte assolu- tamente inediti. Tre anni di ricerche per la raccolta del materiale in ogni parte del mondo, questa rassegna curata da Silvio Negro con la regia di Gian Vittorio Baldi, è la prima del genere finora realizzata in Europa». 113 Come riportato negli obiettivi programmatici dell’«Annuario Rai» del 1960, p. 105. Per una breve panoramica sulla «pedagogia della Rai», cfr. R. Fa r n é , Buona maestra Tv. La Rai e l’educazione da «Non è mai troppo tardi» a «Quark», Roma 2003. Utile per capire il passaggio dalla televisione pedagogica a quella commerciale, il recente breve saggio di C. Fr e c c e r o , Dalla televisione pedagogica alla televisione commerciale, in L. Pagg i (a cura di), Un’altra Italia in un’altra Europa, Roma 2012, pp. 204-212. 114 Cfr. J. Ha r t l e y , Studies in Television, London 1992. Hartley definisce in tal modo quella tendenza televisiva a trattare il pubblico come un soggetto composto da immaturi; di qui la scelta di ricorrere a forme tipiche della cultura infantile. 115 I cardinali in San Paolo erano: Agagianian, Aloisi Masella, Canali, Chiarlo, Cicognani, Confalonieri, di Jorio, Fumasoni Biondi, Giobbe, Jullien, Mimmi, Otta- viani, Pizzardo, Roberti, Tardini, Tedeschini, Valeri.

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Fi g . 1. Giovanni XXIII entra in San Paolo Fig. 2. Celebrazione in San Paolo («Orizzonte («Orizzonte Cinematografico»). Cinematografico»).

Fi g . 3. Celebrazione in San Paolo («Orizzonte Fi g . 4. Giovanni XXIII in preghiera (servizio Cinematografico»). Tg, Rai).

Rai e Luce sulla folla accorsa in San Paolo rivelano una partecipazione inedita, ancora poco abituata a vedere la macchina del papa girare per le vie di Roma – e alcune parti della funzione in San Paolo. Sia la Rai che il Luce si erano infatti affrettati a mandare i loro operatori, facendo entrare nella storia le sequenze in bianco e nero che riprendevano il papa in ginocchio che avvicinava le mani al viso in una intensa preghiera che nemmeno lo «sguardo indiscreto» delle telecamere riusciva a scalfire116.

116 La Valle scrive infatti che «al contrario di molti altri protagonisti, papa Gio- vanni ha riempito le cronache, ma non è stato un prodotto mediatico; non è stato

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Anche la radio si mobilitò per l’occasione. Il primo canale nazio- nale radiofonico al mattino dalle 10,00 alle 11,30, in collegamento con Radio Vaticana, aveva seguito la cerimonia della presa di possesso della basilica da parte del pontefice, come riportato nella programma- zione settimanale del «Radiocorriere Tv»117, con la trasmissione della messa pontificia e della benedizione apostolica urbi et orbi. I microfoni della radio avevano dunque trasmesso l’intera celebrazione con una diretta, rispettando così uno dei compiti che la radio si era data: por- tare l’ascoltatore a diretto contatto con il fatto, stimolandone l’atten- zione a seguirlo in tutta la sua immediatezza:

L’ascoltatore ha potuto in tal modo, dal raccoglimento della propria casa «sentire» l’avvenimento come se vi fosse presente e prendere parte118.

Al termine della funzione, verso le 13,00 nella sala capitolare dell’abbazia, il papa parlò poi al piccolo gruppetto di cardinali, in un’«anomala seduta»119, «quasi in forma di antico concistoro»120. Nonostante i media non fossero presenti in quel particolare mo- mento, quando erano appena le 12,30 uno scarno comunicato di Ra- dio Vaticana121 annunciò al mondo la convocazione di un concilio,

il giornalismo che ha fatto papa Giovanni; ma è stato papa Giovanni che ha fatto il giornalismo» (La Va l l e , Essere giornalisti al tempo di papa Giovanni, cit., p. 575). 117 «Radiocorriere Tv», (25-31 gennaio 1959), 4. 118 «Annuario Rai», 1960, p. 197. 119 Così la definisce A. Me l l o n i , L’annuncio del Vaticano II, in Id., Papa Giovanni. Un cristiano e il suo concilio, Torino 2009, p. 215; per una approfondimento, cfr. anche Id., Prodromi e preparazione del discorso d’annuncio del Vaticano II («Questa festiva ricorrenza», 25 gennaio 1959), in «Rivista di Storia e Letteratura religiosa», 28 (1992), pp. 607-643, ora in Id., Papa Giovanni, cit. 120 Come annotò Tardini sulla sua agenda, citando l’espressione di papa Gio- vanni. Cfr. C.F. Ca s u l a , Il cardinale Domenico Tardini, in éc o l e Fr a n ç a i s e d e Ro m e (a cura di), Le deuxième concile Vatican (1958-1965), Roma 1987, pp. 207-227. Capovilla, scrive che il «concistoro» durò meno di mezz’ora, per poi risalire in automobile, con la folla che lo attendeva e lo accompagnava lungo il tragitto. Cfr. L. Cap o v i l l a , Con- cilio Ecumenico Vaticano II segno dei tempi, in «Il Simbolo», 23 (1966), p. 199. 121 «Sua Santità si è soffermato su alcuni punti di attività apostolica più impor- tanti, suggeriti dalla esperienza di questi primi tre mesi di pontificato e riguardanti le

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così che il telegiornale nelle varie edizioni poté subito riprendere la notizia accompagnandola con le immagini della funzione pubblica girate il mattino stesso, come fece anche il cinegiornale nella dop- pia versione della Settimana Incom del 28 gennaio e sul numero 136 di Orizzonte cinematografico. Il giornalista sintetizzò così quella giornata al proprio pubblico:

La basilica di San Paolo, parata a festa e inondata di luce, accoglie Gio- vanni XXIII giunto per partecipare alla festa della conversione dell’apostolo sulla via di Damasco. Il pontefice ha scelto questa occasione per annunciare ai cardinali convenuti nell’abbazia la convocazione di un concilio ecumeni- co, il XXI in XX secoli di storia della chiesa. È significativo che Giovanni XXIII abbia voluto prescegliere proprio la festa dell’apostolo delle genti perché nessuno forse meglio di San Paolo poteva presiedere a un evento che non solo farà convenire a Roma i vescovi di tutto il mondo cattolico, ma che secondo quanto ha detto il papa lamentando i pericoli che oggi maggiormente minacciano la vita spirituale dei fedeli, costituirà anche un invito per le comunità separate per la ricerca dell’unità a cui tante anime oggi anelano da tutti i punti della terra. Il pontefice ha anche annunciato un sinodo diocesano per l’urbe e ha dato infine l’annuncio dell’ del codice di diritto canonico preceduto dalla prossima promulgazione del codice di diritto orientale122.

sue responsabilità di Vescovo di Roma e di Pastore supremo della Chiesa universale. Come Vescovo di Roma, il Santo Padre ha rilevato il grande sviluppo avuto dalla città in questi ultimi decenni ed i gravi problemi che sono connessi con l’assistenza spirituale della popolazione. Come Pastore supremo della Chiesa, ha accennato ai pericoli che oggi maggiormente minacciano la vita spirituale dei fedeli, cioè gli errori che qua e là serpeggiano e le smodate attrattive dei beni materiali, accresciute, oggi più che mai, col progresso della tecnica. Per andare incontro alle presenti necessità del popolo cristiano, il Sommo Pontefice, ispirandosi alle consuetudini secolari della Chiesa, ha annunciato tre avvenimenti della massima importanza, e cioè: un Sinodo diocesano per l’Urbe, la celebrazione di un Concilio Ecumenico per la Chiesa uni- versale e l’aggiornamento del Codice di Diritto Canonico, preceduto dalla prossima promulgazione del Codice di Diritto Orientale. Per quanto riguarda la celebrazione del Concilio Ecumenico, esso, nel pensiero del Santo Padre, mira non solo alla edifi- cazione del popolo cristiano, ma vuol essere altresì un invito alle comunità separate per la ricerca dell’unità, a cui tante anime oggi anelano da tutti i punti della terra», cfr. «L’Osservatore Romano», 26-27 gennaio 1959. 122 ASL, OC136, Giovanni XXIII a San Paolo, «Orizzonte cinematografico», 1959, 1’, b/n, s.

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L’immediatezza con cui si diffuse subito la notizia superò la ve- locità della normale propagazione delle news sulla base della rete di comunicazione del periodo; il motivo al fondo fu un disguido, piccolo ma rivelatore. Quella mattina, alcune copie ciclostilate del comunica- to dell’annuncio che avrebbe fatto il papa erano state consegnate al responsabile del Servizio Stampa Vaticano, con la premura che fosse divulgato non prima delle 12,30; a quell’ora si pensava che il pontefice avesse già provveduto ad annunciare la notizia a quei pochi cardinali riuniti in San Paolo123; un ritardo nella cerimonia fece però saltare la scaletta e i tempi programmati, cosicché quando lo speaker dai mi- crofoni di Radio Vaticana lesse il comunicato relativo al concilio, i cardinali erano ancora ignari di tutto. Questo spiega anche il perché Capovilla ricorda come, tra la folla che aspettava l’uscita del pontefice da San Paolo, qualcuno gridò: «Concilio Ecumenico! Siete contento Padre Santo?»124, altrimenti incomprensibile. Anche la radio pubblica con perfetta tempestività diede immedia- tamente l’annuncio del concilio con una notizia-lampo. L’«Annuario Rai» del 1960, infatti, nell’elenco delle notizie salienti di cui si erano occupate le redazioni della radio pubblica italiana nell’anno 1959, in- serì, per il settore religioso, oltre alla creazione di nuovi cardinali, pro- prio la convocazione del concilio ecumenico. I media radiotelevisivi non risposero dunque, come ebbe a dire papa Giovanni in riferimento alla reazione dei cardinali presenti, con «un impressionante, devoto silenzio»125, ma anzi con un annuncio che era rimbalzato da un medium all’altro: dalla radio alla televisione, dai giornali ai cinegiornali. L’eco era stato ampio e la notizia, soprattutto grazie al rimpallo tra le diverse emittenti radiotelevisive, era arrivata in

123 Il testo dell’allocuzione papale è in «AAS», 51 (1959), pp. 65-69. «La Civiltà Cattolica» e «Il Regno» non lo pubblicarono mai. Numerosi giornali si limitarono invece a offrire ai propri lettori solo lo scarno comunicato della segreteria di Stato e non l’allocuzione; tra questi, «L’Osservatore Romano». 124 Cap o v i l l a , Concilio Ecumenico Vaticano II segno dei tempi, cit., pp. 199-200. 125 Discorso dell’8 maggio 1962, in Discorsi Messaggi Colloqui del Santo Padre Gio- vanni XXIII, cit., vol. IV, pp. 258-259. Utili possono essere le tracce che si trovano in alcune memorie, come quelle di W.A. Vi s s e r ’t Ho o f t , Memoirs, London 1973; H. Je d i n , Lebensbericht, a cura di K. Re pg e n , Mainz 1984.

ruozzi.indd 117 27-07-2012 11:48:44 118 p r e p a r a r e i telespettatori a l c o n c i l i o poche ore in tutti i paesi del mondo. Tuttavia, risulta ancora arduo avere una mappatura precisa della sua diffusione attraverso l’etere interna- zionale e ancora più problematico ottenere una stima delle reazioni e dei commenti126. Occore sottolineare che tutti però si limitarono ad an- nunciarne la notizia, nulla più della semplice informazione127. Più come atto dovuto, per non «bucare» la news del giorno, per usare il gergo giornalistico, che per una reale comprensione del programma di pon- tificato giovanneo o dell’impatto dell’indizione di un concilio sulla vita della chiesa. Per tutto il 1959 la televisione italiana tralasciò infatti di occuparsi dell’evento concilio, concentrandosi invece sulle singole e quotidia- ne attività del pontefice (dedicandogli, come già detto, un servizio speciale – La Giornata del papa –, trasmettendo il messaggio pasquale, seguendo la messa di Natale e la benedizione urbi et orbi, riprendendo in diretta le varie uscite e visite) o sui principali avvenimenti religiosi: dalla telecronaca della traslazione delle sacre spoglie di Pio X e di s. Giovanni Bosco del 1959 al concistoro pubblico, dalla cerimonia di chiusura del XVI Congresso eucaristico nazionale a Catania alle rubriche settimanali fino agli approfondimenti speciali su temi anche non strettamente all’ordine del giorno, come ad esempio il documen- tario Fratelli del deserto sui discepoli di Charles de Foucauld realizzato da Fabiano Fabiani tra le montagne del Sahara francese, in mezzo ai tuareg128. Questo atteggiamento non deve però stupire. Non era infatti un comportamento tanto dissimile da quello di certa stampa, anche più ufficiale e specializzata. Lo stesso quotidiano della Santa Sede il giorno dopo l’annuncio si limitò a inserire nelle sue pagine solo uno scarno comunicato stampa della segreteria di Stato, tralasciando la pubblica- zione del discorso del pontefice. Per quanto riguarda «La Civiltà Cat-

126 Al b e r i g o , Breve storia del concilio Vaticano II, cit. 127 Sulle reazioni della stampa estera, cfr. ad esempio A. Me l l o n i , L’altra Roma, Bologna 2000, p. 36, e Id., Lo spettatore influente, in Al b e r i g o (a cura di), Il Vaticano II fra attese e celebrazione, cit., pp. 119-191. 128 Il documentario Rai vinse il primo premio al convegno Unda, al quale par- teciparano gli organismi televisivi di 18 paesi. p r e pa r a r e i t e l e s p e t t a t o r i a l c o n c i l i o 119

tolica», si dovette attendere fino all’aprile del 1959 per avere qualche informazione in più a riguardo, dopo il comunicato di gennaio129.

4. La Rai, il Luce, le radio e le televisioni estere sul concilio: la preparazione (1959-1961)

La fase antepreparatoria (1959-1960) e quella preparatoria (1960- 1962) furono periodi conciliari non semplici da seguire; se risultò complesso per le riviste specializzate, le difficoltà aumentarono so- prattutto per media così generalisti, come la Rai e i cinegiornali Luce. Difficoltà che all’inizio nacquero sia nel carpire informazioni attra- verso canali privilegiati che spesso mancavano130, sia nel comprendere quello che stava accadendo all’interno della chiesa cattolica, in una chiesa che si sarebbe «presto scoperta impreparata al concilio»131. Nonostante l’annuncio avesse comunque suscitato in alcuni pub- blici un interesse tale da indurre sia la stampa generalista, sia quella specializzata, come anche gli altri moderni mass media, non solo del circuito cattolico, a cercare di tenere informata una opinione pubblica sempre più in attesa di informazioni, dopo le prime settimane, come sottolinea Beozzo, «appare chiaro che è molto difficile andare al di là di un livello di informazioni generiche o di ipotesi, più o meno avventate»132.

129 Cfr. G. Cap r i l e , Primi commenti all’annunzio del futuro concilio, in «La Civiltà Cattolica», 110 (1959), 2, pp. 282-295; sebbene datato è ancora utile comunque per le informazioni e i riferimenti all’atteggiamento di riviste e quotidiani, nazionali e internazionali. 130 Per il ruolo degli informatori religiosi, cfr. Ma r a z z i t i , I papi di carta, cit. e J.O. Be o z z o , Il clima esterno, in S/V, vol. I, pp. 381-428. 131 G. Al b e r i g o , L’annuncio del concilio. Dalle sicurezze dell’arroccamento al fascino della ricerca, in S/V, vol. I, p. 22. Un ritardo sia nella dottrina canonistica «pigramente atte- stata» su un modello forse inadeguato per un nuovo concilio, sia nell’«elaborazione dottrinale dei grandi temi del rinnovamento (liturgia, ecumenismo, ritorno alle fonti bibliche e patristiche, riscoperta della chiesa) che avevano proceduto a rilento ed erano in ritardo, anche rispetto alle nuove esperienze pastorali in atto in importanti aree del cattolicesimo» (ibidem, p. 23). 132 J.O. Be o z z o , Il clima esterno, in S/V, vol. I, p. 381.

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Fi g . 5. Servizio Tg Rai. Aggiornamenti sulla Fi g . 6. Giovanni XXIII riceve la commissione preparazione. centrale preparatoria (Tg Rai).

Fi g . 7. Giovanni XXIII riceve la commissione Fi g . 8. Giovanni XXIII riceve i membri della centrale preparatoria (Tg Rai). commissione (Tg Rai).

Fino a metà 1960, i lavori furono costantemente tenuti sotto se- greto, provocando serie difficoltà al mezzo televisivo, che non aveva canali da cui attingere le informazioni. Congar percepì quel clima e non mancò di appuntarlo così sul suo Diario del concilio:

Poco a poco, le speranze suscitate dall’annuncio del concilio sono state ri- coperte da un sottile strato di cenere. Vi è un lungo silenzio, una sorta di black out, appena interrotto da questa o quella simpatica dichiarazione del papa133.

133 Y. Co n g a r , Diario del concilio: 1960-1963, Milano 2005, vol. I, p. 66 (ed. or., Mon Journal du Concile, presentato e annotato da é. Ma h i e u , prefazione di B. Du p u y , 2 voll., Paris 2002). p r e pa r a r e i t e l e s p e t t a t o r i a l c o n c i l i o 121

Il riserbo di cui aveva parlato papa Giovanni si interruppe parzial- mente solo nel maggio-giugno 1960 quando si stava chiudendo il pe- riodo antepreparatorio e avviando il lavoro delle commissioni prepara- torie, solennemente ufficializzato con il motu proprio Superno Dei nutu del 5 giugno. L’8 aprile la commissione presieduta da Tardini si riunì infatti per l’ultima volta; dopo il gennaio 1959 la prima notizia relativa al con- cilio e annunciata dal telegiornale di cui si trova traccia nell’archivio delle Teche Rai risale al maggio 1960, proprio in riferimento al fatto che il papa – come si legge dalla scheda analitica catalogata – «riceve la commissione antepreparatoria»134, istituita il 17 maggio 1959. Il piccolo schermo in questa fase di fatto non andò oltre a qualche piccola finestra informativa. Fino al 1961 inoltrato si limitò a segui- re solo le tappe principali della preparazione attraverso alcune brevi notizie trasmesse nelle varie edizioni del telegiornale, con alcuni ap- profondimenti in occasione di eventi speciali: domenica 13 novembre 1960, ad esempio, venne trasmesso un servizio sulla cerimonia alla vigilia dell’insediamento delle commissioni preparatorie, mandando in onda anche il breve pronunciamento di papa Giovanni sul concilio, al termine della celebrazione135. Il pontefice, nel giorno in cui la chiesa orientale commemorava s. Giovanni Crisostomo, presiedette infatti la liturgia in rito bizantino slavo in San Pietro, in una basilica debitamente adattata. L’indomani, lunedì 14 novembre, la televisione seguì invece l’udienza papale concessa alle commissioni preparatorie in basilica, tra 33 cardinali, patriarchi, vescovi, sacerdoti, religiosi e fedeli, con servizi commentati dal giornalista e con alcuni frammenti del discorso origi- nale del pontefice136. Le immagini mostrano come non fosse entrato in sedia gestatoria come aveva fatto il giorno prima, ma a piedi accolto dal canto del Credo e del Tu es Petrus. Pur non mancando di sottolineare come l’intera società si trovasse di fronte «alla svolta di un’era nuova»137,

134 ATR, R002901/00, 00.05.1960, 52’’. Il 30 maggio Giovanni XXIII riunì i cardinali presenti al concistoro semipubblico per tracciare un bilancio sull’attività svolta quell’anno da parte della commissione antepreparatoria. 135 ATR, T60318/012, 13.11.1960, 4’ 57’’. 136 ATR, T60319/015, 14.11.1960, 4’ 20’’. 137 AD, vol. II, t. 1, p. 139.

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Fi g . 9. Giovanni XXIII incontra la commis- Fi g . 10. Il card. Tardini in udienza da papa sione centrale preparatoria (Tg Rai). Giovanni XXIII (Tg Rai).

ciò che distingue in modo evidente papa Giovanni XXIII dai suoi prede- cessori, anche in questa occasione, è appunto lo «spirito di fede e fiducia con il quale egli si poneva di fronte alla situazione»; i discorsi e le omelie che aveva pronunciato negli anni antecedenti all’apertura del concilio possono dunque fornire la cifra della continuità di questa sua conce- zione, che avrebbe poi portato alla «perla teologica e documentaria»138 dell’11 ottobre 1962, l’allocuzione Gaudet mater ecclesia139. Altri sintetici servizi televisivi vennero poi mandati in onda nel giugno 1961, con alcune sequenze sull’incontro del papa con i mem- bri delle commissioni conciliari140, mentre più approfondimenti – data l’importanza dell’evento – vennero trasmessi nel Natale di quello stes- so anno, in occasione della firma di papa Giovanni sulla costituzione apostolica Humanae Salutis nella sala Clementina, la Bulla indictionis con la quale venne indetto il concilio Vaticano II141.

138 Me l l o n i , Papa Giovanni, cit., p. 258. 139 Cfr. G. Al b e r i g o , Formazione, contenuto e fortuna dell’allocuzione, in Id., Fede Tra- dizione Profezia: Studi su Giovanni XXII e sul Vaticano II, Brescia 1984, pp. 187-222. Cfr. anche M. Gu a s c o , La predicazione di Roncalli, in G. Al b e r i g o (a cura di), Papa Giovanni, Roma-Bari 1987, pp. 113-134; cfr. nello stesso volume anche Ru gg i e r i , Appunti per una teologia in papa Roncalli, cit., pp. 245-271. Per un’analisi della redazione e del con- tenuto dell’allocuzione, cfr. Me l l o n i , Papa Giovanni, cit., pp. 258-288. 140 ATR, T61171/009, 00.06.1961, 1’ 39’’. 141 Cfr. per il testo, «L’Osservatore Romano» del 25 dicembre 1965. Il giorno

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Fi g . 11. Presentazione della bolla d’indizione Fi g . 12. Presentazione del documento (Cine- «Humanae Salutis» (Tg Rai). giornale Luce).

Fi g . 13. Firma della bolla d’indizione «Hu- Fi g . 14. Annuncio alla Radio Vaticana della manae Salutis» (Tg Rai). bolla d’indizione del concilio.

Già dagli inizi di dicembre l’attenzione del mondo dei media si era infatti allertata in vista di un possibile documento di convocazione del concilio che si sentiva imminente, ma solo la mattina di Natale verso le 9,00, come anticipato da «L’Osservatore Romano» del giorno precedente, le telecamere poterono riprendere il pontefice che con la penna d’oro, omaggio dello stesso quotidiano, apponeva la propria firma sui fogli di pergamena, appoggiati per l’occasione su un tavolo coperto di damasco rosso, vicino al trono. Presenti, mons. Tinello,

di inizio stabilito per l’11 ottobre 1962, venne invece comunicato mediante la lettera apostolica Consilium emanata il 2 febbraio 1962 («AAS», 54 (1962), p. 65)

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reggente della Cancelleria apostolica, il cancelliere card. Copello e mons. , segretario generale della Commissione centrale preparatoria142. Nell’archivio delle Teche Rai non solo è presente la sequenza della firma143, ma sono conservati anche parti del discorso papale144 e un repertorio non montato sul pontefice (ben 19’) e su mons. Felici durante la lettura in latino (8’) della bolla di convocazio- ne, nell’atrio della basilica vaticana145. Lo stesso «Radiocorriere Tv» a fine dicembre non mancò di pub- blicizzarne il collegamento sulle sue pagine e di ridedicargli spazio anche nel numero di gennaio, annunciando inoltre come sia la radio che la televisione pubblica si sarebbero impegnate per soddisfare «il desiderio del pubblico cattolico di essere informato»146: Il concilio Vaticano II, di cui Giovanni XXIII ha letto, la mattina di Na- tale, la Bolla di Indizione, sembra destinato a essere il più importante avveni- mento della vita della Chiesa, non solo per l’anno che oggi si inizia, ma anche per i successivi; l’elemento che caratterizzerà, di fronte alla storia, il pontifica- to di Angelo Roncalli. Ed è quindi legittima l’attesa di tutto il mondo cattolico per la grande assise che riunirà a Roma i rappresentanti dell’episcopato dei cinque continenti. Annunciato il 25 gennaio 1959, quando l’attuale pontefice era stato da poco elevato alla cattedra, il concilio ecumenico – ventunesimo nella storia della Chiesa – sta oggi per passare dalla lunga fase preparatoria a quella risolutiva: ed è quindi naturale il desiderio del pubblico cattolico di esse- re informato sulla sua progressiva, e sempre più definita elaborazione147.

Se dunque nei primi due anni dall’annuncio, la radiotelevisione si era limitata a inseguire anche un po’ pigramente l’evento nel susse- guirsi delle tappe ufficiali, ciò che ruppe in realtà questa routine infor- mativa sul periodo della preparazione furono le interviste televisive e gli interventi a Radio Vaticana che, dal 1959 al 1961, poté infatti van-

142 Sulla figura di Felici, ancora poco studiata, si rimanda a V. Ca r b o n e , Pericle Felici. Segretario generale del concilio ecumenico Vaticano II, in Il cardinale Pericle Felici, Roma 1992, pp. 159-194. 143 ATR, R016550/00, 25.12.1961, 15’’. 144 ATR, R016550/00, 25.12.1961, 19’ 07’’. 145 ATR, R016550/00, 25.12.1961, 8’ 41’’. 146 «Radiocorriere Tv», (31 dicembre-6 gennaio 1962), 1, p. 47. 147 Ibidem.

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tare ben 6.500 trasmissioni in cui si era parlato di concilio148. In modo nuovo, come non era mai successo prima, si assistette sempre più di frequente a dichiarazioni e spiegazioni sul lavoro della macchina conciliare da parte dei protagonisti di quella fase direttamente davanti ai microfoni delle radio e delle televisioni, non solo italiane, collegate con la stazione della Santa Sede. Si anticipava così quello che negli anni conciliari sarebbe stato un atteggiamento di parziale apertura di fronte ai media, accettati come strumenti a servizio del concilio, che si sarebbe concretizzato poi nei mesi della rubrica televisiva settimanale Diario del concilio con esiti inaspettati. A inaugurare la serie fu il card. Tardini, in una doppia novità in- formativa149: il 30 ottobre 1959 il segretario di Stato nella sua residen- za a Villa Nazareth tenne la prima «tempestiva»150 conferenza stampa nella storia della Santa Sede davanti a più di un centinaio di giornalisti, nella quale, tra i vari punti che precisò sul concilio (cosa è un concilio ecumenico, chi vi partecipa, ecc.) vi fu anche l’annuncio della costitu- zione di un Ufficio stampa151. L’indomani «L’Osservatore Romano» poté così riportare la notizia che: per tranquillizzare, infine, i giornalisti, il cardinale li ha assicurati che si prov- vederà alla costituzione di un Ufficio stampa, che dia loro la possibilità di avere informazioni precise e tempestive sulle varie fasi del Concilio152.

148 Cfr. il volume L’attività della Santa Sede nel 1960, Città del Vaticano 1960, pp. 403-404. 149 Cfr. V. Ca r b o n e , Il cardinale Domenico Tardini e la preparazione del concilio Vatica- no II, in «Rivista di storia della Chiesa in Italia», 45 (1991), pp. 42-88. 150 Così la definisce Beozzo nella sua analisi sul clima esterno dopo l’annuncio del concilio. Cfr. Be o z z o , Il clima esterno, in S/V, vol. I, pp. 383-384. 151 AD, vol. I, t. 1, pp. 153-158. Cfr. anche L’attività della Santa Sede nel 1960, cit., pp. 398-399. Per una breve ricostruzione sulle iniziative che hanno preceduto la creazione dell’Ufficio stampa della Santa Sede, cfr. la relazione di Zizola alla Tavola Rotonda promossa dall’Unione Cattolica della Stampa Italiana (21 dicembre 2003) per I cinquant’anni dalla nascita della Sala Stampa della Santa Sede: 1953-2003. Il testo, La nascita dell’Ufficio stampa della S. Sede. Appunti e testimonianze per una storia: 1953-2003 è ora è pubblicato in «Cristianesimo nella storia», 25 (2004), 3, pp. 997-1013. 152 «L’Osservatore Romano», 1 novembre 1959. Come si dirà in seguito, i testi di queste interviste o i loro resoconti, furono inseriti anche negli atti ufficiali del concilio: Consultatio Em.mi P. D. Dominici card. Tardini ad diurnarios, in AD, vol. I, t. 1, pp. 153-158.

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Oltre a questa conferenza stampa inaugurale, il card. Tardini, il 24 gennaio 1960, assieme a mons. Felici, concesse la prima intervista televisiva ufficiale, alla Rtf la televisione pubblica francese153. Il padre Wenger, caporedattore de «La Croix», poté così porgli direttamente alcune questioni su cui si attendevano risposte più definite e preci- se154: c’era infatti molta curiosità sullo stato dei lavori e sui temi che sarebbero stati trattati; l’intervistatore arrivò anche a chiedere qualche dettaglio sul carattere e sulla natura stessa del futuro concilio («Ce sera, comme on peut le croire aujourd’hui, un Concile, je dirais d’or- dre rérl, pratique, plutôt qu’un Concile vraiment d’ordre doctrinal. Mais ceci n’est pas exlu, parce que cela dépendra des évêques, de ces que les évêques vont nous proposer et qui pourra être trait éau Concile»), sugli osservatori che sarebbero potuti venire (alla doman- da: «Dans cette perspective, est-ce que l’on peut envisager que des réresentants ou des chefs de confessions séparées de l’église romaine puissent assister au Concile?» Tardini rispondeva: «Vous savez mieux que moi que le Concile œcuménique est un fait intérieur de l’église. Il y a le Droit Canon qui dispose et qui établit ceux qui ont le droit et le devoir d’assister au Concile. De sorte qu’on peut déduire que les membres des autres confessions religieuses ne pourront pas partici- per au Concile. Mais je pense que, si quelquesuns d’entre eux désirent être présents, ils pourront venir au Concile, non comme membres évidemment, mais comme observateurs, parce que nous n’avons rien à acacher»), sull’andamento delle consultazioni, ma anche qualche in- formazione sull’organizzazione stessa («Vous voyez bien qu’il y aura un grand nombre de Commissions, parce qu’on devra penser aussi à l’organisation, je ne dis pas trouristique, mais pratique, du Concile. Il va falloir accueillir des milliers de personnes; il sera nécessaire de préparer la place pour tous, c’est-à-dire, pour les evêques er pour les autres qui vont participer au Concile. Il y aura aussi une Commission, je dirais, d’ordre économique, parce que le Concile coûte cher»155).

153 ASV, Conc. Vat. II, 1787, intervista a mons. Tardini per la Rtf, 24.01.1960. 154 Tardini infatti aprì l’intervista dicendo che «Dites ce que vous voulez. Je suis à votre complète disposition» (ibidem). 155 Il testo dell’intervista è sul numero del 26 gennaio 1960 di «La Croix». Ampi

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È interessante d’altra parte notare come il testo di questa intervista davanti alle telecamere francesi fu poi inserito all’interno del volume degli atti ufficiali del concilio156. Il 24 giugno 1960, al termine della fase antepreparatoria, venne in- vece trasmessa una conversazione radiofonica sul concilio all’interno della rubrica Discutiamone insieme157 in onda su Radio Vaticana. Padre Francesco Pellegrino, dall’ottobre 1953 direttore dei programmi della radio, diresse un colloquio sulla dottrina conciliare tra mons. Pericle Felici, mons. Maccarrone, Segretario del pontificio comitato di scienze storiche presieduto da Pio Paschini e dal 1962 membro del segretaria- to per l’unità dei cristiani, e mons. Vincenzo Carbone, membro del- la Commissione antepreparatoria e poi della segreteria generale della Commissione centrale in qualità di minutante: vennero intervistati quelli che potevano essere considerati i protagonisti reali dell’organiz- zazione del concilio. Oltre a illustrare le tappe della fase preparatoria e le commissioni appena nominate, vennero date anche informazio- ni piuttosto precise sullo stato di avanzamento delle consultazioni. Si poterono conoscere così i primi numeri del concilio: su 2.700 vescovi interpellati, le risposte giunte ad allora furono 2.100, più le 60 prove- nienti dalle università e dalle facoltà pontificie. Delle proposte arriva- te, furono fatte delle sintesi per nazione, previa una catalogazione in schede di grande formato, così da poter avere con una rapida occhiata una idea del contenuto e della provenienza delle quaestiones158. In questa preparazione conciliare Radio Vaticana fu chiaramente il medium protagonista, nelle diverse forme che la stazione radiofoni- ca poté permettersi, in particolare distinguendo il settore informativo da quello più prettamente culturale e di approfondimento159. Il radio-

stralci anche in Cap r i l e , vol. I, t. 1, pp. 175-178. L’intera intervista è stata pubblicata negli atti ufficiali, Consultatio Em.mi P.D. Dominici card. Tardini ad televisionem gallicam, in AD, vol. I, t. 1, pp. 159-163. 156 Ibidem. 157 Radio Vaticana, Discutiamone insieme. La dottrina conciliare, 27’. 158 Ne dà notizia lo stesso Cap r i l e , vol. I, t. 1, p. 178. 159 Una nota pubblicata da «La Civiltà Cattolica» riportò come fossero arrivate in redazione numerose lettere di ringraziamento per gli approfondimenti e le notizie relative al concilio trasmesse da Radio Vaticana. Cfr. anche La Radio Vaticana e il concilio ecumenico, in L’attività della Santa Sede nel 1960, cit., p. 404.

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giornale, per esempio, trasmetteva in sette lingue ogni giorno qualsiasi tipo di informazione che avesse avuto attinenza con il concilio: dai discorsi pontifici alle nomine, dalle notizie che arrivavano dall’estero ai commenti della stampa nazionale e internazionale, dalla fase ante- preparatoria ai convegni di studio, fino all’eco del concilio nel mondo. Tramite le Note di cronaca a conclusione del notiziario quotidiano, in- vece, si soffermava sugli avvenimenti più significativi, ridistribuendo il tutto poi negli altri programmi in onda nelle trenta lingue in cui Radio Vaticana già allora trasmetteva. Molte rubriche, soprattutto nel- le versioni inglese, francese, spagnola e latinoamericana, inserirono all’interno della loro scaletta sezioni di approfondimenti dottrinali o storico-dogmatici affidandoli ad esperti della materia, oppure ricorse- ro a serie di interviste con personalità direttamente coinvolte in questa fase. Quella italiana oltre alle conversazioni, come il programma Di- scutiamone insieme a cura di Pellegrino e la trasmissione Il concilio Vaticano II condotta dal 1961 da padre Carlo Boyer, tra i tanti temi toccati, si concentrò in particolare sul tema dell’unione dei cristiani. La delicata parola «ecumenismo» diventò infatti in quei mesi un tema piuttosto caldo160. La scelta di Boyer non fu casuale in quelle prime fasi: era sta- to per anni il principale referente di Pio XII sulle questioni ecumeni- che e un collaboratore di Ottaviani e il suo approccio non era di sicuro votato alla più dialogante apertura161. Oltre alle critiche verso Ginevra, aleggiava ancora la sua condanna della Nouvelle théologie. Il suo nome,

160 Cfr. M. Ve l a t i , Una difficile transizione. Il cattolicesimo tra unionismo ed ecumenismo (1952-1964), Bologna 1996. Interessante anche la memoria di Willebrands, di cui si trova traccia nel suo dirario, T. Sa l e m i n k (a cura di), «You will be called repairer of the breach». The Diary of J.G.M. Willebrands 1958-1961, Leuven 2009. Per una panoramica di lungo periodo, cfr. É. Fo u i l l o u x , Les catholiques et l’unité chrétienne du XIXe au XXe siècle. Itínéraires européens d’expression française, Paris 1982. Per un’analisi sul movimen- to ecumenico alla vigilia del concilio, cfr. Id., «Mouvements» théologico-spirituels et concile (1959-1962), in M. La m b e r i g t s e C. So e t e n s (a cura di), À la veille du Concile Vatican II, Leuven 1992, pp. 196-199 e P. D e Me y , Précurseur du Secrétariat pour l’Unité: le travail oe- cuménique de la Conference Catholique pour les Questions œcuméniques (1952-1963), in G. Ro u - t h i e r , P.J. Ro y e K. Sc h e l k e n s (dir.), La théologie catholique entre intransigeance et renouveau. La réception des mouvements préconciliaires à Vatican II, Leuven 2011, pp. 271-308. 161 Cfr. Ve l a t i , Una difficile transizione, cit.

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infatti, come scrive Velati, non era molto apprezzato negli ambienti dell’ecumenismo non cattolico, proprio per certe sue rigidità e criti- che162. Era stato proprio Boyer, gesuita francese sì, ma decisamente romano nella mentalità e nel modo di agire163, per esempio, che firmò la prima analisi – Significati diversi della parola «ecumenico» – sulle pagine de «L’Osservatore Romano», il 6-7 aprile 1959. Radio Vaticana non fu però solo pulpito elettronico contemporaneo; accanto all’informazione rimasero preminenti anche altri tipi di servi- zi. La radio della Santa Sede era, ed è tuttora, un mezzo attraverso il quale i fedeli nel mondo potevano unirsi nella preghiera. Il 28 e il 29 luglio 1960 la radio in collegamento con la Rai, mandò, infatti, in onda il programma Convegno spirituale degli ammalati in vista del Concilio Vatica- no II, in cui mons. Carlo Allorio, vescovo di Pavia, e mons. Luigi No- varese, responsabile del Centro volontari della sofferenza, spiegarono agli ammalati il valore del dolore, in preparazione al collegamento con la grotta di Lourdes dove si stava svolgendo il pellegrinaggio annuale dei sacerdoti ammalati. I radioascoltatori poterono così unirsi e prega- re per il concilio, assieme ai pellegrini di Lourdes, come era avvenuto l’anno prima a Vienna, accogliendo l’appello di papa Giovanni a cele- brare una speciale giornata di preghiera per il buon esito del concilio. Grazie al mezzo radiofonico, la partecipazione dei fedeli a questo tipo di incontri assumeva un volto del tutto nuovo. Che i riflettori dei media fossero puntati sulla preparazione per cercare di tenere informata l’opinione pubblica sul concilio era dunque ben chiaro, ma questo non deve certo stupire. Come ricorda Beozzo, il

162 Id. (a cura di), Dialogo e rinnovamento, cit., p. 19. «Il gesuita Boyer, di origine francese, era perfettamente integrato nell’ambiente romano e progressivamente si troverà sempre meno a suo agio nel contesto di un gruppo avviato ad affrontare un reale aggiornamento della chiesa. Il complesso delle sue attività per Unitas caratte- rizzate da una persistente polemica con l’ecumenismo del WCC e da un chiaro ap- proccio unionistico che privilegiava il rapporto con i settori cattolicizzanti delle altre confessioni, rendevano la sua figura piuttosto impopolare tra gli stessi membri del segretariato. Vi era anche il ricordo del ruolo giocato da Boyer nella condanna della nouvelle théologie sotto Pio XII. Boyer sostiene la prospettiva dell’invito agli osservatori non cattolici» (ibidem, p. 74). 163 Ibidem, p. 21.

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tentativo di carpire informazioni precise sulla macchina conciliare non nacque certo negli anni Sessanta con il Vaticano II. Già dai tempi del Vaticano I, nel 1869, ma anche addirittura dalla metà del Cinquecento durante il Tridentino164, si era notata questa tendenza, che chiaramente diventò ben più visibile nel Novecento, quando il sistema mediatico poté contare contemporaneamente su diversi mezzi: dai quotidiani ai rotocalchi, dalla pubblicità alla radio, dal cinema alla televisione. E il polimorfismo della stessa televisione portò il concilio a essere rappre- sentato attraverso molteplici generi: dal telegiornale alle dirette, dalle rubriche religiose ai rotocalchi televisivi d’approfondimento. Non più certo un’informazione elitaria come era stata quella ottocentesca, bensì democratica e popolare ma, soprattutto, globale165. Accadde così che la televisione inglese – come molti altri enti ra- diotelevisivi – intervistasse il segretario di Stato Tardini nella seconda metà del dicembre del 1960 sui progressi della preparazione del con- cilio e sul fine che si proponeva di raggiungere. Tardini nel rispondere alle domande definì il concilio come «nuova risposta» della chiesa ai problemi attuali del mondo, posti dalla tecnica, dalle ideologie ed an- che dagli errori dei nostri tempi»166. L’attenzione del grande pubblico cominciò anche a concentrarsi sulle novità: l’istituzione del Segretariato per l’unità dei cristiani, per esempio, creato il 5 giugno assieme alle altre commissioni preparatorie del concilio, si assicurò un posto centrale nell’informazione167. L’inte- resse internazionale verso questo organo è riscontrabile dalla richie- sta di interviste e dichiarazioni rivolte al suo presidente, il card. Bea: subito dopo la pubblicazione del motu proprio Superno Dei nutu, oltre a essere intervistato a New York da cinque corrispondenti della stampa,

164 Cfr. Je d i n , Storia del concilio di Trento, cit. Utile in questo senso, anche se più concentrato verso la pubblicistica, l’enorme lavoro di T. Br o c k m a n n , Die Konzilsfrage in den Flug- und Streitschriften des deutschen Sprachraumes 1518-1563, Göttingen 1998. 165 Cfr. A. De Be r n a r d i , Da mondiale a globale. Storia del XX secolo, Milano 2008. 166 Cfr. «National Catholic Welfare Conference News Service», 19 dicembre 1960. Cfr. Cap r i l e , vol. I, t. 2, p. 38. 167 Il materiale relativo alla fase di preparazione del corpus conciliare (1960-1962) del Segretariato è ora pubblicato nell’edizione critica a cura di Ve l a t i , Dialogo e Rin- novamento, cit.

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dovette sottoporsi anche alle domande e alla curiosità dei giornalisti una volta arrivato a Roma e la medesima situazione si presentò atter- rato in Germania, nonché davanti ai microfoni e alle telecamere della Rai e della televisione francese168. E così si sarebbe ripetuto nei mesi successivi: nel gennaio 1961 parlò infatti in modo approfondito dei la- vori del Segretariato in un’intervista alla televisione tedesca e il 22 sul riavvicinamento dei cristiani separati e sulla diversa impostazione del problema dell’unità per gli ortodossi e per i protestanti alla radiotele- visione francese, questa volta in occasione della Settimana dell’unità dei cristiani. Il giornalista francese sottopose a colui che poteva essere considerato il collaboratore di fiducia del papa per la questione ecu- menica169 domande sul processo di unità dei cristiani che il concilio avrebbe dovuto o potuto affrontare. Bea rispose senza indugi, sottoli- neando come fossero importanti due piani di lavoro: da una parte, le conversazioni teologiche tra gli specialisti fuori dal concilio, influendo così «sulla radice profonda della divisione, la mentalità, e chiarire pun- ti dottrinali riguardo ai quali esistono malintesi»170; dall’altra, i segnali di dialogo da lanciare durante il concilio:

forse un primo utile passo pratico può essere quello di permettere a questi fratelli separati di poter seguire il lavoro del concilio. Questo si può fare sia fornendo loro autentiche informazioni sul suo andamento, sia accogliendo, studiando e inoltrando, a seconda dei casi, alle autorità competenti del con- cilio i loro desideri e suggerimenti171.

Se i francesi o i tedeschi erano forse più preparati nel recepire le istanze dell’ecumenismo172, questi discorsi ascoltati e amplificati dalla

168 È lo stesso Bea che lo racconta nel suo articolo Il concilio sulla via dei protestanti: consensi e difficoltà, pubblicato su «La Civiltà Cattolica». Ora anche in Cap r i l e , vol. I, t. 1, pp. 86-95. Cfr. anche S. Sc h m i d t , Giovanni XXIII e il Segretariato per l’unità dei cristiani, in «Cristianesimo nella storia», 8 (1987), 2, pp. 95-117. 169 Cfr. M. Ve l a t i , «Un indirizzo a Roma». La nascita del Segretariato per l’unità dei cristiani (1959-1960), in Al b e r i g o (a cura di), Il Vaticano II fra attese e celebrazione, cit. 170 Il testo dell’intervista è anche in A. Be a , L’unione dei cristiani, Roma 1962, pp. 195-199. Ampi stralci sono stati pubblicati in Cap r i l e , vol. I, t. 2, pp. 28-29. 171 Ibidem. 172 Fo u i l l o u x , Les catholiques et l’unité chrétienne du XIXe au XXe siècle, cit. Cfr. R.

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televisione pubblica disvelarono problematiche inedite al cattolicesi- mo italiano, abituato a una certa pigrizia e passività su determinati temi e comunque caratterizzato da una buona dose di «inadeguatezza»173. Bea sintetizzò così all’intervistatore l’importanza e l’impatto di una unità dei cristiani:

Lei sa che la chiesa cattolica conta quasi un mezzo miliardo di membri, mentre i cristiani orientali sono 165 milioni e i protestanti circa 240 milioni. Tutti i cristiani insieme si aggirano dunque intorno a un miliardo di uomini, sparsi dappertutto sulla terra. Lascio a lei di misurare che cosa significhe- rebbe per l’umanità, se tutti questi cristiani e i loro rappresentanti nella vita pubblica procedessero completamente uniti nelle questioni per esempio delle armi nucleari, del disarmo, della pace e se nelle trattative fra le diverse nazioni facessero valere i principi cristiani e le conseguenze di essi174.

Oltre a questo, tanti altri argomenti aperti dal lavoro di prepara- zione del concilio attirarono la curiosità della televisione, desiderosa di diffondere informazioni a una pubblica opinione che ormai si era accorta del concilio. La televisione francese il 12 febbraio 1961 chia- mò, per esempio, nei suoi studi il card. Cento, presidente della Com- missione dell’apostolato dei laici. L’idea di una commissione specifica sul ruolo dei laici e la loro «azione cattolica» avrebbe dovuto infatti caratterizzare indelebilmente la pastoralità del concilio, secondo l’in- tenzione di papa Giovanni175. L’intervistatore, Maurizio Herr, solleci- tato anche forse dalla novità della commissione176 («notevole novità»

Ko t t j e e B. Mo e l l e r (a cura di), T. Ka u f m a n n e H. Wo l f (in collaborazione con), Storia ecumenica della Chiesa, trad. it. a cura di G. Fr a n c e s c o n i , 3 voll., Brescia 2009- 2010 (ed. or. Ökumenische Kirchengeschicte, Darmstadt 2006-2007). 173 Ve l a t i , Dialogo e rinnovamento, cit., p. 18. 174 Cfr. Cap r i l e , vol. I, t. 2, pp. 28-29. 175 Cfr. Ca r b o n e , Il cardinale Domenico Tardini e la preparazione del Concilio Vaticano II, cit., pp. 42-88; G. Tu r ba n t i , I laici nella Chiesa e nel mondo, in Al b e r i g o e Me l l o n i (a cura di), Verso il concilio Vaticano II, cit., pp. 207-271. 176 «Indubbiamente è una notevole novità il fatto che, in un’assemblea generale e suprema della Chiesa, il tema dei laici sia oggetto di uno studio e di un interessa- mento tanto particolare». Il testo è stato pubblicato in francese anche sul numero di «La Croix» del 14 febbraio 1961. Per avere un quadro delle proposte, cfr. Ve l a t i , «Un indirizzo a Roma», cit., pp. 75-118.

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disse il cardinale nel corso dell’intervista, «nota novissima» scrisse papa Giovanni nel testo del motu proprio Superno Dei nutu), visto che non vi era a Roma un dicastero preesistente di riferimento, poté porre la fran- ca e attesa domanda sul compito dei laici: «Ebbene, Eminenza, poiché noi laici siamo la Chiesa, lei vorrà dirci – io credo – ciò che la Chiesa si aspetta da noi in questo compito che, forse, è esso pure nuovo per noi». Vi erano infatti grandi aspettative in questo campo, soprattutto dopo l’esperienza francese della Joc (Jeunesse Ouvrière Chrétienne), la riflessione di Maritain e i contributi negli anni Cinquanta delle grandi menti teologiche come Congar, von Balthasar, Rahner, Schillebeeckx che avevano messo in crisi – scontrandosi con molte resistenze, non ultime quelle degli ambienti curiali – non solo l’apostolato tradizional- mente inteso dell’Azione cattolica, ma anche ridefinito i rapporti tra laici e gerarchia e la loro missione nel mondo177. Nell’intervista, la riflessione del prelato toccò i nodi nevralgici della questione:

Le dirò che non ci sarà affatto uno schema unico e rigido d’azione cattolica per tutti i paesi. Ogni popolo ha la sua storia, la propria cultura e psicologia: quindi nessuna meraviglia che ci siano diversi modi di azione cattolica, tutti tendenti ad uno scopo unico. Allora ci sarà ancora, anche in questo campo, l’unità nella varietà, che è il segreto della bellezza del cat- tolicesimo. Oggi e nell’avvenire, come in passato, ci saranno sempre tra i cattolici idee diverse, talvolta opposte. Ma in ciò deve restare quella regola data da sant’Agostino in una formula che è tutta saggezza: «Nelle cose ne- cessarie, l’unità; nelle dubbie, la libertà; in tutte, la carità» Ma, soprattutto da parte dei laici, la sottomissione alla gerarchia è necessaria178.

Se la prima parte del discorso mostra dunque una parziale rice- zione delle istanze più innovative – va ricordato infatti che la com-

177 Per un approfondimento del lavoro preparatorio di questa commissione, cfr. Tu r ba n t i , I laici nella chiesa e nel mondo, cit. Per una panoramica sulla discussione negli anni preconciliari, cfr. il repertorio bibliografico pubblicato dall’Università Cattolica di Milano nel 1957 e curato da P. Da l o s , L’Apostolato dei laici – bibliografia sistematica. Anche R. Go l d i e , Laici, laicato, laicità – bilancio di trent’anni di bibliografia, Roma 1986. 178 Dall’intervista al card. Cento. Il testo è stato pubblicato in francese anche sul numero di «La Croix» del 14 febbraio 1961.

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missione era stata stimolata anche e in particolare dalle proposte di Suenens179 – la conclusione in realtà anticipa di un po’ quelle che sa- rebbero state le linee espresse nel testo preparato, incapace di allonta- narsi dall’ecclesiologia tradizionale in cui alla dignità del laicato, veniva sempre anteposta la preoccupazione maggiore: quella della dipenden- za dei laici dalla gerarchia180. Tra i tanti temi sollevati durante la preparazione del concilio, come si è visto, proprio il ruolo dei laici e quello dell’unione dei cristiani sepa- rati catalizzarono un’attenzione tutta nuova da parte della stampa mon- diale e dei media radiotelevisivi, non senza qualche critica o polemica da parte vaticana. Lo stesso mons. Felici sottolineò infatti in modo critico la polarizzazione dell’interesse pubblico verso questi due temi la sera del 9 giugno 1961 nel corso di una conversazione radiofonica su Radio Vaticana181 dal titolo Verso il Concilio Ecumenico Vaticano II, all’interno del- la rubrica Orizzonti cristiani, dove parteciparono anche mons. Carbone, mons. Lupi e il padre Pellegrino. Felici non si era limitato solo a illu- strare l’attività svolta fino ad allora dalla segreteria della Commissione centrale (edizione degli Atti e dei Documenti per la preparazione del concilio e controllo delle attività delle singole commissioni), ma si sof- fermò anche sull’eco suscitata dal concilio nel mondo cattolico, frutto di un meticoloso spoglio giornaliero della corrispondenza giunta dalle varie rappresentanze pontificie e sull’apporto e sulla collaborazione dei laici alla preparazione. In questa ricostruzione, non mancò di far notare come i media, «avidi di notizie», avessero puntato i riflettori in modo non comprensibile sul tema del laicato e su quello dell’ecumenismo, distogliendo così l’opinione pubblica dai veri scopi del concilio:

Si è fatto, cioè, del problema dell’unione quasi l’argomento principe e il tema essenziale del concilio, mentre il papa ha spesse volte precisato che il concilio è anzitutto un fatto interno della vita della chiesa, da cui possono derivare benefici effetti anche per quello che è il problema dell’unione dei fratelli separati con la Chiesa madre182.

179 Come ben ricostruisce Tu r ba n t i , I laici nella chiesa e nel mondo, cit. 180 Proprio sul testo preparato, Suenens non risparmiò critiche. 181 Cfr. Trasmissione della Radio Vaticana, in Cap r i l e , vol. I, t. 2, pp. 131-132. 182 Ibidem.

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La decisione di papa Giovanni XXIII di creare il Segretariato per l’unità dei cristiani ebbe indubbiamente un significato storico innova- tivo183, perché predispose all’interno della curia un organo competen- te sulla questione ecumenica – fino ad allora affidata primariamente al Sant’Uffizio con la conseguenza che al «promuovere» fu quasi sempre sostituito il «sorvegliare»184 –, risolvendo così in parte il problema del- la mancanza o distorsione di informazioni che si era sempre avvertita, come nel caso di Radio Vaticana185. Lo aveva evidenziato in modo negativo l’episodio di Rodi, per esempio, e lo stesso card. Bea non mancò di ribadire questa ulteriore difficoltà appoggiando la creazione di un Ufficio stampa distinto da «L’Osservatore Romano»186. Dopo il documento Superno Dei nutu, la notizia del Segretariato aveva suscitato infatti un notevole interesse soprattutto negli ambienti non cattolici, come evidenziò anche l’intervista in Pennsylvania al pastore luterano Franklin Fry che la Rai-Tv trasmise nell’aprile del 1961, proprio sui rapporti tra il mondo protestante e il concilio187. È in questo contesto – non va dimenticato che fin dall’annuncio si era parlato di «concilio ecumenico» – che occorre ricercare la ragione dell’attenzione del mondo dei media al tema dell’unione dei cristiani e dunque il motivo delle frequenti interviste al card. Bea richieste da vari canali radiotelevisivi, a cui il gesuita certo non si sottrasse. La sua agenda fu decisamente piena di «impegni» radiotelevisivi. Oltre alle interviste già citate188, si annoverano quelle rilasciate alla Rai-Tv il 5 febbraio 1961189, il messaggio a Radio Vaticana durante la

183 Cfr. anche Sc h m i d t , Giovanni XXIII e il Segretariato per l’unità dei cristiani, cit., pp. 95-117. 184 Cfr. il volume di Ve l a t i , Una difficile transizione, cit. Nello specifico, per l’atti- vità del segretariato nella fase preparatoria, Id., La proposta ecumenica del segretariato per l’unità dei cristiani, cit., pp. 273-350. 185 Come scrive Velati (ibidem, p. 141), Radio Vaticana «non cessava di raffigura- re in modo distorto il significato del movimento ecumenico e del Consiglio ginevri- no». Cfr. anche Wi l l e b r a n d s , Rapport des activités de la Conférence, cit., pp. 9-10. 186 Fscire, fondo Roncalli, V/4/24, Lettera Bea a Giovanni XXIII, 26.04.1960. 187 ATR, R010822/00, 04.1961, 1’ 18’’, son. orig. 188 Non va neppure dimenticata l’intensa attività oratoria del card. Bea. 189 Come segnala Cap r i l e , vol. I, t. 2, p. 72.

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Giornata mondiale delle Congregazioni mariane del 14 maggio 1961190, l’intervista del 5 novembre alla televisione spagnola191, l’allocuzione a Radio Vaticana del gennaio 1962, le dichiarazioni alla radio bavare- se del 21 gennaio 1962192 e quelle successive rilasciate alle televisioni francesi, tedesche e italiane, l’intervento del 30 gennaio ritrasmesso da numerose stazioni televisive statunitensi193, l’intervista rilasciata alla ra- dio della Germania nord occidentale, a quella del settore americano di Berlino e alla televisione di Berlino Ovest tenute dal 10 al 13 aprile194, dopo essersi incontrato in quei giorni proprio con il prelato e teo- logo evangelico Friedrich Karl Otto, Otto Dibelius, copresidente del Consiglio ecumenico delle chiese dal 1954 al 1961, e con Kurt Scharf vescovo e presidente della Chiesa evangelica in Germania. Il filo rosso che accomunava la sua intensa attività oratoria fu co- munque la prudenza e la delicatezza nell’affrontare i lavori e i risultati del segretariato. Bea capì infatti che non era certo il silenzio stampa che poteva arginare le ipotesi, spesso approssimative, sensazionalisti- che o frettolose, lanciate dai media. Come aveva già scritto il gesuita in una lungimirante lettera al pontefice il 24 gennaio 1960, un Officium informationis sembrava necessario

a causa della vasta eco che tutti i passi relativi all’unione suscitano nell’intero mondo, e della possibilità di malintesi e di falsi commenti, particolarmente nocivi al movimento dell’Unione195.

La sete di notizie doveva essere dunque condotta entro binari cer- ti e ufficiali, per evitare errori e incidenti diplomatici che avrebbero potuto compromettere il dialogo, e dunque non lasciata al segreto oppure al caso.

190 Il testo del messaggio in italiano, inglese, francese, tedesco e spagnolo è pubblicato su «L’Osservatore Romano» del 15-16 maggio 1961. 191 Cap r i l e , vol. I, t. 2, pp. 246-247. 192 Il testo delle interviste è pubblicato in Be a , L’unione dei cristiani, cit., pp. 209- 215 e in «Katholische Nachten Agentur», 21 gennaio 1962. 193 Cap r i l e , vol. I, t. 2, p. 317. 194 Ibidem, p. 513. 195 Fscire, fondo Roncalli, V/4/24, Lettera Bea a Giovanni XXIII, 26.04.1960.

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Degne di segnalazione sono inoltre alcune interviste legate alle quotidiane e tradizionali attività che segnarono però le tappe di questa fase preparatoria. Il 30 luglio 1961 morì il card. Domenico Tardini, segretario di Stato, «l’aiuto più vicino e più forte del papa nel governo della Santa Chiesa», come ebbe a dire lo stesso pontefice la mattina stessa ai fedeli radunati in piazza San Pietro. La Rai per l’occasione mandò in onda al telegiornale della sera una intervista a mons. Sa- morè, uno dei suoi più vicini collaboratori, commemorandolo in un modo che «è difficile dire più e meglio»196. Il card. Cicognani, chiama- to a sostituirlo pubblicamente il 13 agosto, intervistato dalle telecame- re del notiziario, disse:

Sono fra i veterani del servizio della Santa Sede. Circa 50 anni fa comin- ciai: metà l’ho passata all’estero, a Washington, negli Stati Uniti, e metà qui a Roma negli uffici della Curia romana. […] È un privilegio cui non avrei mai pensato; ma nella Chiesa queste cose avvengono, che anche per i più umili si domandano grandi servizi. Tutto il mondo sa che Giovanni XXIII vuole trovarsi a contatto con tutti i fedeli e perciò ha indetto il concilio ecumenico Vaticano II. Con le ammonizioni, con le leggi, con quanto sarà detto in quel concilio, egli aprirà il cuore a tutti nella Chiesa e a tutti nel mondo. Mi dà animo ad interpretare il nuovo ufficio la bontà del Santo Padre, il suo cuore paterno aperto a tutti, a tutto il mondo197.

Uno dei primi interventi pubblici televisivi di Cicognani era sta- to proprio sul concilio e proprio a Washington, in una conferenza stampa tenuta nel dicembre del 1961198, a cui seguì quella ai giornalisti convocati a sei giorni dall’apertura, il 5 ottobre 1962, per gli ultimi ragguagli199. L’intervista di Felici concessa al radiogiornale vaticano, il 18 settembre 1961, permise invece di comprendere alcuni dati tecnici e alcune scadenze di lavoro sul funzionamento della Commissione centrale preparatoria di cui era segretario. Nel corso delle risposte al giornalista, segnalò, infatti, come le sedute della commissione sareb-

196 Cap r i l e , vol. I, t. 2, p. 155. 197 Il testo è anche pubblicato ibidem, pp. 171-172. 198 ATR, T61339/012, 00.12.1961, 41’’, son. or. 199 ATR, T62278/024, 10.10.1962, 1’ 49’’, son. or.

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bero iniziate il 7 novembre, all’indomani delle celebrazioni dell’ot- tantesimo compleanno del pontefice. Fu l’occasione per spiegare ai radioascoltatori che sarebbero state presiedute dallo stesso Giovanni XXIII, con il compito, tra le altre cose, di esaminare gli schemi dei decreti già presentati alla Segreteria generale del concilio200. Se Radio Vaticana, attraverso le sue rubriche e il radiogiornale, offrì continui aggiornamenti sul lavoro conciliare (tramite comunicati ufficiali, interviste, comunicazione degli atti pontifici e quelli delle sin- gole commissioni)201, il telegiornale Rai oltre alle già citate interviste, seguì questa fase attraverso alcuni aggiornamenti nella forma di brevi servizi offerti all’interno del notiziario serale, con informazioni sulle riunioni preparatorie202, sulle sedute dei vari organi203, sui lavori della commissione (in cui compare anche il card. Montini)204, sulle riunioni della Commissione centrale preparatoria (con sequenze su papa Gio- vanni XXIII e il segretario generale Felici)205. Nel maggio del 1962 venne per esempio trasmesso anche un servizio sulla presentazione pubblica di alcune recenti pubblicazioni sul concilio206. Questo comportamento informativo venne seguito anche dal ci- negiornale La Settimana Incom di Sandro Pallavicini del 1° febbraio 1962, che, con la tradizionale ampollosità e retorica di linguaggio, die- de la notizia della visita del pontefice a una riunione della Commissio- ne preparatoria207, mentre il 22 segnalò l’arrivo del card. Wyszynski,

200 Cap r i l e , vol. I, t. 2, p. 175. 201 È il caso per esempio del comunicato che l’emittente vaticana, nel radiogior- nale in lingua italiana, trasmise il 7 giugno, annunciando che dal 12 al 19 giugno 1961, nella sala delle Congregazioni nel palazzo apostolico, si erano svolte per la prima volta le riunioni plenarie della Commissione centrale preparatoria del concilio. 202 ATR, R051364/00’, 1962, 36’. 203 ATR, T62171/008, 06.1962, 57’’. 204 ATR, T62163/001, 06.1962, 57’’. 205 ATR, T62023/015, 01.1962, 2’ 05’’; ATR, R016531/00, 25.01.1962, 01’ 28’’. 206 ATR, T62129/019, 05.1962, 41’’; ad esempio, con Raimondo Manzini. 207 ASL, Settimana Incom 02180, Una visita del Santo Padre, 01.02.1962, 47’’. Lo speaker annunciava così la notizia: «Una visita del Santo Padre. Giovanni XXIII lascia le sue stanze e si reca nella sala del Vaticano in cui è riunita la Pontificia Com- missione centrale che ha il compito di preparare il concilio ecumenico. Da molto tempo i principi della chiesa lavorano per la preparazione di questo evento di somma

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Fi g . 15. Arrivo del card. Wyszynski per una Fi g . 16. L’arrivo degli osservatori russi (Set- riunione della commissione (Settimana Incom). timana Incom).

giunto a Roma per i lavori della Commissione, enfatizzando che arri- vò «col treno che collegava l’Italia con i paesi d’oltrecortina»208. Le im- magini indugiano sulla folla di fedeli, di giornalisti e di fotografi pronti ad accogliere sui binari della stazione Termini il primate di Polonia, «simbolo della resistenza all’invasione tedesca», come annunciava lo speaker209. L’intervista del card. König alla televisione austriaca il 13 luglio 1962, che aveva come argomento il tema Fiducia e realismo di fronte al concilio, mostra invece tra le righe l’attesa e la speranza che molti dei padri conciliari riponevano nella grande assise che di lì a poco si sa- rebbe riunita in San Pietro. Numerosi aspiravano a un momento di to- tale libertà, senza costrizioni e pressioni esterne, caratterizzato quindi da libertà di parola e dalla dimensione «veramente» internazionale210.

importanza per il mondo cattolico. I temi che verranno discussi nel concilio sono molti e ciascuno di essi riveste un carattere eccezionale, come il dialogo tra cattolici e protestanti di cui tanto si è parlato negli ultimi anni e che costituisce uno degli argomenti del concilio stesso. La chiesa universale, l’unità cioè delle chiese cristiane, illumina le speranze di tutti i cattolici». 208 ASL, Settimana Incom 02188, Giunge a Roma, 22.02.1962, 45’’. 209 Ibidem. 210 Il card. Léger per esempio aveva mandato una lettera al papa alla fine dell’ago- sto 1962 in cui, dopo aver letto il fascicolo degli schemi preparatori, scrisse che se i lavori del concilio si fossero basati su quei progetti, non si sarebbe presentato a Roma. Cfr. Al b e r i g o e Me l l o n i , Il concilio Vaticano II. Lezioni universitarie, cit., p. 210.

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König ritornava così sugli obiettivi del concilio: «L’uomo come indi- viduo e come membro della società, il suo bene temporale ed eterno: tali saranno gli obiettivi del concilio, che contribuirà anche, con nuove energie, agli sforzi che nel mondo si compiono per la pace»211. In questa panoramica sulla gestione informativa della fase prepa- ratoria, risulta evidente come lo strumento principale a cui ricorsero le radiotelevisioni straniere e italiane per informare sulla preparazione del concilio fu l’intervista, molto spesso riproposta in diversi conteni- tori e in via preferenziale all’interno dei telegiornali. Quest’ultima non fu tuttavia l’unica via percorsa da questi me- dia. Molti circuiti radiotelevisivi cominciarono infatti a organizzare anche dibattiti e approfondimenti. Come già accennato per Radio Vaticana e per la Rai, fecero altrettanto alcune stazioni radiofoniche in Baviera e in Svizzera. La stessa Bbc si mobilitò: dal novembre del 1961 mandò in onda, infatti, un programma di quaranta minuti sul tema «La chiesa prepara il concilio» e qualche mese prima, invece, come riportato dalla «Documentation catholique», aveva organizzato all’interno di alcuni programmi, diversi dibattiti fra il primate anglica- no Ramsey e l’arcivescovo di Liverpool mons. Heenan sul problema dell’unità della chiesa212. La televisione australiana nel novembre 1961 organizzò un incontro tra cattolici, anglicani e presbiteriani chiaman- do il gesuita Leembing, il vescovo Vockler di Adelaide e il prof. Mc- Caughey dell’Università di Melbourne213, mentre il 30 gennaio 1962 la stazione americana Abc Television mandò in onda The Great con- versation, un importante dibattito a cui parteciparono come ospiti il card. Bea, p. Gill, il reverendo House, il vescovo Demel, il pastore Fry, l’arcivescovo di Canterbury, rappresentanti del World Council e Visser’t Hooft214.

211 Stralci del testo dell’intervista sono pubblicati anche in Cap r i l e , vol. I, t. 2, pp. 615-616. 212 «Documentation catholique», 1347 (5 marzo 1961), pp. 305-312. 213 «National Catholic Welfare Conference News Service», 27 novembre 1961. 214 Il dattiloscritto della trasmissione è in ASV, Conc. Vat. II, 1999, stampa sul concilio, USA 1962. Alla domanda del giornalista: «What is the Holy Father’s pre- cise purpose in calling for Christian unity?», il card. Bea rispose: «Along with every Catholic, he wants to restore the unity, including the visible unity of all Christians.

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Il concilio, oltre a essere stato il primo nella storia ad avere una copertura così massiccia da parte di un sistema mediatico globale, poté anche avvalersi di tecniche prima sconosciute: il Centro cattolico dell’Università di Ottawa in Canada curò per esempio la registrazione di dieci conferenze sui più importanti concili che avevano segnato la storia della chiesa, con l’intenzione di diffondere poi le incisioni per offrire una conoscenza più completa dell’evento che si sarebbe aperto a ottobre del 1962; in Francia, invece, era stato messo in vendita un disco con inciso la conferenza del p. Congar, dal tema L’Église une, 215 sainte, catholique, apostolique à l’heure du Concile e così era stato per la conferenza di Monaco tenuta da Bea nel maggio del 1962, seguita da un folto pubblico di pastori protestanti216, per alcune lezioni sulla storia dei concili o aggiornamenti sul lavoro preparatorio217 e poi su tutte le sessioni conciliari. L’attenzione con cui veniva seguita questa produzione (dischi e filmine) impiegata a scopo divulgativo, a dire la verità non inedita per la chiesa218, la si percepisce dal fatto che la stessa rivista dei ge- suiti non trascurava di seguirne le varie uscite, nazionali e internazio- nali, inserendole nella sua tradizionale rubrica dedicata alla rassegna stampa della pubblicistica edita sul concilio219. Dà notizia di interviste registrate su 33 giri, di composizioni per orchestra in forma di pre-

Visible unity is, in the Holy Father’s words, the communion of all the leaders in a sin- gle profession of faith, in the same practice of worship, the obedience to the same supreme authority. This unity corresponds to the intentions, comments and prayers of the Divine Saviour» (ibidem). 215 Come riporta la stessa «Civiltà Cattolica», ora in Cap r i l e , vol. I, t. 2, p. 269. 216 Cfr. «L’Osservatore Romano» del 4 e del 12 maggio 1962; anche in Cap r i l e , vol. I, t. 2, p. 512. 217 Tenute per esempio dai cardinali Testa, Confalonieri e Cicognani o dai mon- signor Vallainc e Felici. 218 Nel 1903 venne registrata su disco la voce di Leone XIII, durante la recita dell’Ave Maria. 219 La rivista dei gesuiti segnalava, per esempio, l’uscita del microsolco a 33 giri del Concilio Ecumenico Vaticano II edito dalla RCA Victor, serie Radio Vaticana, «la più completa documentazione discografica apparsa finora, almeno in Italia, sull’ar- gomento» (Cap r i l e , vol. I, t. 2, p. 683).

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ghiera ispirate al radiomessaggio pontificio dell’11 settembre 1962220, di «affreschi sonori» in onore dei padri conciliari221, di filmine a colori distribuite dalla Elledici sulla prima sessione e commenti sonori incisi su dischi, non trascurando tuttavia di evidenziarne le inesattezze e i pressapochismi: l’annuncio ufficiale della data d’inizio del concilio non fu dato nel radiomessaggio dell’11 settembre ma nel motu proprio Consilium del 2 febbraio 1962, venne corretto il ricorso indistinto ai termini «commissioni conciliari» e «commissioni preparatorie» e si fa- ceva notare come

i vescovi «orientali» non possono identificarsi semplicemente con «quelli che reggono le diocesi evangelizzate da Paolo», essendoci tra loro anche quelli del Malabar, dell’Egitto, dell’Etiopia, dell’Ucraina ecc.222.

Se l’idea di fondo dell’utilizzo di questi strumenti particolari era la divulgazione, occorre tuttavia non sottovalutarne anche la portata di «promozione» e diffusione di idee attorno ad alcune tematiche che si ritenevano rilevanti per questo concilio. Come già detto, la questione ecumenica era sicuramente una di queste: nel 1962 uscì, infatti, Canto ecumenico, nel 1963, il Pime, il Pontificio istituto missioni estere, distri- buì una filmina a colori Kodak – L’unione dei cristiani e l’ecumenismo – con cui si cercò di rispondere a due domande, come si legge anche nella presentazione: «come è sorto il problema ecumenico? Cosa si sta facendo per la riunificazione dei cristiani?»223. Nel 1964, invece, la Bonne Presse produsse Sens et actualité du concile, una serie di 30 dia-

220 Il disco è Canto ecumenico, 45 giri, di Sinibal e Frattali, orchestra diretta dal maestro Gino Conte, per le Edizioni Vis-Radio, 1962. Cfr. Cap r i l e , vol. III, p. 343. 221 Sono due dischi 33 giri, dal titolo Vaticano II, prodotti dalla edizioni Cinevox Record (Roma, Milano, Palermo) nel 1964; il poema sinfonico è opera del maestro Francesco A. Lavagnino. 222 Cap r i l e , vol. II, p. 443. Caprile si riferiva al commento del Il concilio Vaticano II, disco microsolco, cm 25, 33 giri, Torino, Elledici 1963, lire 2.500. «La Civiltà Cattolica», oltre a questo, recensì anche Il concilio Vaticano II. Filmina di 70 quadri a colori con testo esplicativo, sempre della casa editrice salesiana, venduto al prezzo di 1.200 lire. 223 L’unione dei cristiani e l’ecumenismo, disco 33 giri, filmina a colori Kodak, testo del commento, Milano 1963.

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positive a colori con commento di Pierre Gallay in cui si inquadrava il Vaticano II all’interno della storia della chiesa, mettendo in risalto proprio le «prospettive missionarie, liturgiche, pastorali ed ecumeni- che» dei lavori conciliari224. Anche alcuni discorsi e allocuzioni di papa Giovanni XXIII co- minciavano a circolare in questa forma, registrati e incisi su disco. La stampa che dai tempi di Costanza e Basilea aveva dominato la diffusione e la conoscenza delle assemblee conciliari, aprendo la «grande stagione storiografica sui concili»225, si trovò così a dover gio- care un ruolo, certo essenziale, ma non più di unico protagonista sulla scena.

5. Il grande evento è nell’aria: prove di «media event». L’interesse del filmare

L’annuncio del concilio nel secolo dei media ebbe evidenti riper- cussioni nella gestione dell’informazione, come si è cercato di rico- struire per questa fase preparatoria. L’evento subì infatti la media- zione della stampa, ma anche delle radio e delle televisioni di tutto il mondo. Un concilio per la vita della chiesa è un momento di impor- tante autoriflessione, che nel Novecento le comunicazioni di massa resero forzatamente pubblico e trasformarono in un vero e proprio grande evento mediale, di portata globale: non toccò più direttamente soltanto o in modo esclusivo o privilegiato il mondo dei fedeli bensì indirettamente tutti. Il circuito dei mass media puntò infatti i riflettori sull’evento, mosso in alcuni casi anche da finalità che superavano quel- le prettamente informativo-religiose, per concentrarsi sugli elementi spettacolari, per risemantizzare e costruire un racconto, per speculare su un fatto che aveva l’attenzione della popolazione mondiale ed era sul podio delle notizie nell’agenda setting delle redazioni226.

224 Sens et actualité du concile, una serie di 30 diapositive a colori, Parigi 1964. 225 Come scrive G. Al b e r i g o nella voce Concili per il Dizionario del sapere storico- religioso del Novecento, a cura di Me l l o n i , cit., vol. I, p. 541. 226 L’ipotesi di agenda setting è stata formulata da D.L. Sh aw e M. McCo m b s , The Agenda-Setting Function of Mass Media, in «Public Opinion Quarterly», 36 (1972), 2,

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L’approssimarsi dell’apertura del concilio cominciò a catalizzare un interesse sempre più vivo per quello che sarebbe successo a Roma da ottobre a dicembre del 1962; lo si poteva percepire da tanti piccoli fattori, che l’attesa contribuì a ingigantire. Se le richieste sempre più numerose che arrivavano alle redazioni dei giornali per avere infor- mazioni su come sarebbe stato possibile seguire il concilio rivelano la grande aspettativa dell’opinione pubblica, nelle lettere indirizzate all’at- tenzione della Segreteria generale del concilio dagli enti responsabili si può invece trovare un’altrettanta preoccupazione in questo caso per agevolare, diffondere, creare e soddisfare quella sete di notizie. Oltre alla Rai, che era stata investita formalmente del compito di seguire il concilio, anche gli altri media internazionali cominciarono a chiedere permessi per avere interviste e pass per accedere ai luo- ghi vaticani, ma allo stesso tempo si fecero promotori di iniziative, si lanciarono in ipotetici progetti, diedero suggerimenti su come gestire l’informazione, sui programmi da realizzare, sugli approfondimenti da produrre, sulle concessioni da avere per posizionare le cineprese in punti strategici o per cercare di riuscire a filmare all’interno delle mura leonine. Negli anni in cui il piccolo schermo stava diventando il principale strumento di informazione, le telecamere e i giornalisti televisivi non potevano certo perdere una tale occasione. Dalla Rai all’Istituto Luce, dal Centro cattolico cinematografico a quello televisivo, da case di pro- duzione romane a società americane, da canali privati a reti pubbliche, tutti si stavano mostrando equamente interessati a seguire il concilio. L’8 giugno del 1962 il direttore di Radio free Europe, Michael Wilson, cercò per esempio di ottenere un’intervista con mons. Feli-

pp. 176-187. Come scrive McCombs, è basata «sul trasferimento di salienza dagli ele- menti costituenti le immagini del mondo presentate dai mass media agli elementi co- stituenti le nostre rappresentazioni mentali della realtà. L’assunto teorico di fondo è che gli elementi che hanno maggiore rilievo nelle rappresentazioni offerte dai media assumono lo stesso rilievo anche nelle rappresentazioni elaborate dal pubblico». Per un approfondimento, cfr. M. McMc o m b s e T. Be l l , The Agenda Setting Role of Mass Communication, in M.B. Sa l w e n e D.W. St a c k s , An Integrated Approach to Communication Theory and Research, Mahawa, NJ 1996, pp. 93-110.

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ci227, mentre il 21 agosto l’arcivescovo di Ernakulam in India, mons. Joseph Parecattil, si preoccupò di fare richiesta al segretario di Stato Cicognani di includere il malayano nella lista delle lingue in cui diffon- dere notizie e programmi sul concilio, per offrire così una copertura su una parte del mondo altrimenti trascurata. Per agevolare e accele- rare la decisione, si preoccupò anche di proporre come eventuale spe- aker il nome di un volontario, Jacob Vellian, che risiedeva al Collegio damasceno, da cui era partita l’idea228. Il 3 luglio Martin H. Work, direttore esecutivo del National Council of Catholic Men con sede a Washington, ringraziò, invece, mons. Felici per l’autorizzazione e per la cooperazione («splendid co- operation», scrisse) che aveva avuto per le riprese filmate di alcune sedute della Commissione centrale. Il documentario così realizzato, di cui Work si sarebbe premurato di fornire una copia a lavoro ultimato da conservare presso l’archivio del concilio229, aveva come obiettivo primario quello di aggiornare un pubblico lontano come quello ame- ricano sui lavori:

I hope that the final results of our work will bring to the American audience a deeper and truer understanding of the immense work and the great purposes of the Vatican Council230.

Molti furono quelli interessati ad avere, se non l’esclusiva, il per- messo di riprendere la cerimonia di apertura, di realizzare produzioni cinematografiche o televisive nella forma di documentari divulgati- vi o trasmissioni di approfondimento. Già nel novembre del 1960 la

227 ASV, Conc. Vat. II, 566, lettera di Michael Wilson a mons. Felici, 08.06.1962. 228 ASV, Conc. Vat. II, 566, lettera di mons. Parecattil al card. Cicognani, 21.08.1962. Vellian aveva avanzato la proposta in precedenza direttamente alla Ra- dio Vaticana, ma venne informato che sarebbe stata possibile l’accettazione della richiesta di inserire la trasmissione delle notizie conciliari in una particolare lingua solo tramite la richiesta formale di un vescovo del posto. Di qui la lettera di mons. Parecattil. 229 Di cui tuttavia non si trova traccia. 230 ASV, Conc. Vat. II, 566, segreteria generale, proposte di trasmissioni televisi- ve. Lettera di Martin Work a Felici, 03.07.1962.

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Proa-Società Produttori Associati, per mano del suo direttore gene- rale Federigo Valli, aveva fatto recapitare un dattiloscritto alla Segre- teria del concilio, per farlo arrivare espressamente e unicamente «a Chi solo può decidere sulla opportunità di accettare la proposta e di metterla in condizione di ottenere tutte le necessarie autorizzazioni onde poter subito iniziare la laboriosa e difficile fase concreta della realizzazione»231. Come riportato nel progetto, veniva avanzata la pro- posta di realizzare una serie di telefilms volti ad analizzare e proporre la chiesa in tutta la sua reale complessità, di tradurre in immagini e suoni una così grande ed alta «Realtà» quale è quella della Chiesa, onde ottenere una produzione adatta alle reti televisive di tutto il mondo, e cioè ad un pubblico immenso, appartenente ai più disparati ceti e alle più varie istruzioni, [che] richiede la più rigorosa obiettività documentaria condotta con stile adeguato al mezzo modernissimo, libero, cioè, nell’infor- mazione e, per dirla con parola abbastanza abusata, giornalistico232.

L’intenzione era dunque quella di girare dei documentari divulgativi sia per motivi legati all’attualità, «a questo suggestivo e fondamentale periodo di vigilia del Concilio Ecumenico», sia per l’interesse che stava suscitando nell’opinione pubblica mondiale, ma anche per far cono- scere «i contenuti delle grandi istituzioni della nostra civiltà per aiutare il singolo e la società a superare il malessere che travaglia, sul piano mondiale, il nostro tempo»233. Quest’ultimo intento faceva trasparire un po’ la linea editoriale di questa casa di produzione romana specializzata in prodotti per il cinema e per la televisione: per la Rai nel 1960 aveva infatti realizzato il documentario L’Italia non è un paese povero, commissio- nato da Enrico Mattei a Joris Ivens, sui benefici della ricerca di idrocar- buri e sui cambiamenti del paese con l’introduzione del metano in Italia, censurato, tagliato e mai trasmesso però nella versione integrale dalla televisione pubblica, perché giudicato troppo arduo e crudo234.

231 ASV, Conc. Vat. II, 558, segreteria generale. Preparazione concilio Vaticano tecnica e spirituale (1959-1962). La realtà della Chiesa. Proposta Proa. 232 Ibidem. 233 Ibidem. 234 Il documentario vide la collaborazione del fratelli Taviani, di Tinto Brass, di Valentino Orsini e il commento di Alberto Moravia. Venne diviso in tre puntate, la

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Il d.g. Valli presentò una breve sinossi della proposta televisiva alla Segreteria del concilio, dopo averla sottoposta al direttore generale della Radiotelevisione italiana Arata (1956-1960), che, approvandola nelle linee generali, ne fece conoscere l’iniziativa anche a mons. Ange- licchio del Centro cattolico cinematografico. La Proa cercò infatti di avere un appoggio e un consenso il più largo e vasto possibile, perché le richieste di autorizzazioni che avrebbero avanzato per avvicinare determinate personalità e fotografare luoghi solitamente inaccessibili – proprio per non realizzare un prodotto meramente didascalico – erano «forse inusitate», come si anticipava nella lettera. Si sarebbe reso quindi necessario il supporto delle autorità preposte per riuscire al meglio nell’operazione. Sebbene venisse ricordato tra le righe lo scopo preminentemente divulgativo dell’opera per «la cordialità fra il produttore e il suo pubblico», al fine di evitare un appesantimen- to sulla scrittura del documentario, la società produttrice non avanzò comunque pretese di autorialità mostrandosi aperta a consigli, sug- gerimenti e proposte. Vennero richieste pertanto non solo la «guida e l’illuminato consiglio» di esperti che il Vaticano riteneva necessari, ma anche la stretta collaborazione del Centro cattolico cinematogra- fico per instaurare un dialogo costante e aperto con gli enti cattolici preposti235. Avere tutti i permessi e le autorizzazioni per riuscire ad arrivare poi così a filmare l’evento sembrava essere la preoccupazione più ri- levante delle varie società, consapevoli delle normali restrizioni che solitamente tutelavano e blindavano quei luoghi e quegli spazi. L’ap- prossimarsi del concilio rappresentò dunque anche un’occasione da sfruttare in tal senso per soddisfare la curiosità di riprendere luoghi in cui l’accesso era solitamente negato.

prima delle quali andò in onda il 12 luglio 1960. Come scrive Grasso, «il documen- tario è molto disomogeneo sul piano espressivo (con alcuni episodi francamente imbarazzanti) ed è un lungo promo a favore dell’ENI (l’Italia è povera ma grazie al metano diventerà ricca). Tuttavia è un documento molto importante, fondamentale per una ricostruzione storica dell’Italia, perché fra le pieghe mostra aspetti scono- sciuti» (cfr. Gr a s s o , Storia della televisione italiana, cit., p. 90). 235 ASV, Conc. Vat. II, 558 proposta Proa.

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Fu così anche per l’Istituto Luce, che aveva cominciato a intessere fin dall’agosto-settembre del ’62 una fitta corrispondenza con mons. Felici per mano del suo direttore, Michele Pottino. Anche l’ente cine- matografico fondato dal giornalista De Feo si dimostrò infatti inte- ressato al concilio, dopo aver seguito gli anni della preparazione con alcuni cinegiornali. La segreteria di Stato, a seguito delle richieste, non solo accettò «tanto benevolmente» di affidare al Luce una delle riprese della giornata di apertura del Vaticano II, che si differenziarono dalle tante altre per la qualità cinematografica e per la suggestione offerta dall’uso della pellicola a colori – il pubblico poté così rivedere dopo alcuni mesi la cerimonia pubblica nel documentario Il concilio ecumenico Vaticano II – ma gli diede un ulteriore permesso: quello di accedere agli archivi ufficiali per duplicare le fotografie dei padri conciliari e dei periti da inserire nella pubblicazione di un volume fotografico sul Vaticano II curato direttamente dal Luce236.

6. Il caso Santarelli

L’episodio forse più esemplare che testimonia l’interesse suscitato dalla possibilità di filmare e divulgare le notizie relative al concilio attraverso il nuovo mezzo televisivo è quello che può essere definito come il «caso Santarelli», di cui si trova qualche traccia nell’archivio del concilio, presso l’Archivio Segreto Vaticano. Il 12 gennaio 1960 all’ufficio della Segreteria del concilio arrivò una busta indirizzata direttamente a Felici contenente un dattiloscritto che aveva per titolo «Proposta di trasmissioni televisive in occasio- ne dell’annuncio ufficiale del Concilio Ecumenico Vaticano II»; una copia venne recapitata anche agli uffici della Rai-Tv, tre giorni dopo,

236 ASV, Conc. Vat. II, 566, lettera di Pottino a mons. Felici, 15.09.1962; Lettera di Pottino a mons. Felici del 14.11.1962; lettera di Pottino a mons. Felici, 29 novem- bre 1962 (due lettere nello stesso giorno). La Segreteria del concilio, nel mettere a disposizione tutte le fotografie dei padri conciliari, segnalò, per ironia della sorte, che non disponeva proprio di quella di mons. Felici.

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in data 15 gennaio237. Il documento portava la firma di un tale dott. Luciano Santarelli, che si qualificava sotto l’ambigua formula del «Ser- vizio Stampa-Città del Vaticano», non mancando di fornire recapiti telefonici personali e indirizzi abitativi. In una breve premessa Santarelli ripercorreva l’interesse che l’an- nuncio del concilio, «che – annotava – si prevede grandioso», aveva destato in tutto il mondo, per la rapida diffusione delle notizie, per la facilità delle comunicazioni, per la situazione della società attuale e i nuovi problemi che doveva affrontare. Subito dopo cominciava ad esporre le sue particolari «proposte di trasmissioni televisive» che la rilevanza dell’evento – secondo lui – meritava; si trattava di propo- ste elaborate sull’esempio di quelle che la televisione francese stava mandando in onda e con cui, si capisce tra le righe, il Santarelli aveva qualche contatto diretto238. Le trasmissioni che la più vecchia televi- sione generalista francese, la Télévision Française 1239, aveva mandato in onda nel gennaio del 1960 erano una serie di quattro puntate sulla storia dei concili, molto simili come obiettivi e impianto a quelle che avrebbe realizzato poi Alberigo per la Rai nel settembre del 1962240. Il ciclo francese, secondo il parere di Santarelli, aveva però il difetto di essere stato realizzato «un po’ empiricamente»: non per colpa degli autori che vi avevano lavorato, né per il montaggio o per la costruzio- ne sintattico-linguistica delle singole puntate, ma, più semplicemen- te, perché non avevano quel «crisma di ufficialità» che altro non era che «l’appoggio vasto e completo» che la televisione pubblica italiana

237 ASV, Conc. Vat. II, 558, segreteria generale, preparazione concilio Vaticano. Proposte di trasmissioni televisive. Tutte le citazioni di questo paragrafo sono tratte da queste carte. 238 Riuscì per esempio ad avere una copia della seconda puntata della trasmis- sione che la televisione francese mandò in onda. 239 Santarelli la chiama Télévision Française, ma dal 1949 al 1964 il nome cor- retto è Rtf Télévision. 240 La televisione francese, come riportò Santarelli, mandò in onda rispettiva- mente il 3 gennaio 1960 la prima puntata: Che cosa è un Concilio Ecumenico; il 10 gennaio la seconda, su I concili ecumenici nella storia; il 17 gennaio, la terza su La Chiesa Cattolica e le comunità cristiane separate; infine la quarta e ultima puntata ebbe per tema I fini del prossimo Concilio Ecumenico.

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avrebbe invece ottenuto, anche grazie alla sua personale mediazione. La Rai, continuava Santarelli, aveva già dimostrato la sua capacità non solo di saper gestire quel tipo di eventi, ma anche di saperli raccontare egregiamente, come era avvenuto per il periodo di sede vacante e per il conclave del 1958. Nelle pagine successive, passava ad esporre in dettaglio ciò che la Rai – sempre secondo il suo parere – avrebbe di fatto dovuto realiz- zare. Il suo progetto di trasmissioni per il concilio era costruito su tre punti: il primo doveva essere un «servizio introduttivo» di venti tren- ta minuti. Forniva anche precise e dettagliate indicazioni di tempo e modo: era da fare nel più breve tempo possibile e da tener pronto per essere messo in programmazione il giorno stesso della promulgazione ufficiale del concilio da parte del papa. Avrebbe dovuto contenere una breve spiegazione sul significato e le finalità del concilio, «con commento di immagini adatte», la lettura del documento ufficiale del pontefice accompagnata da una dichiarazione finale del segretario di Stato Tardini e una cronistoria essenziale dei mesi di preparazione, con «inserti già esistenti». Gli espliciti riferimenti alle immagini da usare, come indicava in una nota apposita, erano dovuti al fatto che Santarelli voleva rassicurare la Rai-Tv di essere – non si sa come – «già in possesso di buona parte della documentazione letteraria, cinemato- grafica e fotografica» e di avere inoltre «personalmente la possibilità di reperire la rimanente, in un tempo relativamente breve». Proseguen- do nella lettura della lettera si scopre che si vantava di poter contare sull’aiuto delle «più alte Autorità della Santa Sede» che si erano dichia- rate «completamente favorevoli» per il suo tramite a collaborare con la Rai-Tv nella realizzazione di questi progetti di programmi televisivi. Il secondo servizio esposto nel suo piano prevedeva invece la rea- lizzazione di una serie di quattro puntate da mandare in onda nell’au- tunno 1960 o nel gennaio 1961 sulla falsariga di quelle francesi. Anche in questo caso i dettagli erano molto precisi: in una Nota puntualiz- zava che la puntata sulla Chiesa Cattolica nel mondo, si sarebbe dovuta realizzare in collaborazione con le rispettive Congregazioni, quella per la Chiesa Orientale e quella di Propaganda Fide, intervistando anche vescovi italiani e stranieri di ogni nazionalità: cinesi, armeni, indiani, africani e giapponesi; quella conclusiva, invece, sulle Finalità del Con-

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cilio Ecumenico Vaticano II, avrebbe dovuto essere una lunga intervista televisiva al card. Tardini con benedizione finale del Santo Padre op- pure essere costruita come una conversazione tra diverse personalità, «sul tipo del vecchio radiofonico Convegno dei cinque». Il terzo punto del suo piano di trasmissioni prevedeva solo una presa di impegni, che è rivelatrice però di tutta la vacuità dell’intero discorso: Santarelli, infatti, si dichiarava disponibile a fare da tramite tra la Rai e la Santa Sede in modo da offrire alla televisione pubblica «le massime facilitazioni e la più spontanea collaborazione per tutti quegli altri eventuali servizi televisivi che potrebbero essere anche ri- trasmessi in Eurovisione», prevedendo le molte richieste che sarebbe- ro pervenute alla televisione pubblica italiana dalle altre reti straniere. Le proposte avanzate da Santarelli su come preparare televisiva- mente gli spettatori all’evento concilio erano abbastanza simili e affini a quelle che poi la Rai pianificò realmente nella sua programmazione, anche se un anno dopo rispetto alle date da lui indicate. Non certo perché la Rai si fosse effettivamente ispirata alle sue proposte, quanto perché tratteggiava il modo standard e naturale di affrontare e spie- gare un fatto. Quello che non risulta chiaro ed è equivoco erano la sua posizione e le sue millantate conoscenze all’interno del Vaticano: ostentava alte conoscenze senza però fare mai nomi; forse per con- vincere Felici, la Rai o forse entrambi, in merito alla sua proposta. La posizione di Santarelli diventa ancora più ambigua sulla base di altri documenti conservati: un bigliettino con gli auguri di Natale da lui spedito agli uffici vaticani su cui a matita veniva appuntato un eloquente quanto esplicito «non rispondere» e un Pro memoria. Con questo dattiloscritto, che porta la data del 7 dicembre 1961 e la fir- ma di don Emilio Governatori241, dal 1962 archivista della Segreteria generale della Commissione centrale del concilio e dal 1965 assieme a Carbone membro dell’ufficio III De actis scribendis ac servandis della Segreteria generale del concilio, si avvisava Felici che su segnalazione di mons. Massani della Congregazione del Concilio «un certo Lucia- no Santarelli va girando per Roma» spacciandosi come membro del Comitato preparatorio del concilio ecumenico per il Cinema e la Tele-

241 Conservato nel medesimo fascicolo.

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visione o come vice-rappresentante vaticano presso l’Unesco. Sempre il Santarelli millantava – scriveva Governatori – non solo di avere te- legrammi di varie personalità con cui aveva lavorato e che gli avevano affidato importanti incarichi di fiducia, ma anche che presso la Banca d’Italia il Vaticano aveva depositato due miliardi come fondo di una istituenda società cinematografica e televisiva per la ripresa delle sedu- te del concilio ecumenico. Conclude il Pro Memoria la frase, abbastanza lapidaria e chiara: «Cerca di spillare danaro a questo scopo». L’appunto in rosso con la calligrafia di Felici a fondo del dattilo- scritto rivela la volontà del Segretario del concilio di approfondire la questione con altri, tra cui mons. Florit, ma un altro appunto, questa volta in blu, scritto in un secondo momento, non fa che riconfermare che, dopo un giro di consultazioni, nessuno aveva informazioni più precise sulla vicenda e sul personaggio. Se questo caso è in fin dei conti marginale, ciò che però rivela in controluce è l’interesse che l’apertura del concilio catalizzò: il mondo del cinema e quello della televisione cercarono a tutti i costi di non perdersi «l’allacciamento» con l’evento. Riuscire a filmare il concilio (non va trascurato che la maggioranza pensava che si chiudesse nel dicembre del 1962, quindi dopo pochi mesi)242 diventava un modo di «essere su un evento» che – giornalisticamente parlando – rispettava tutti i «valori notizia», i criteri cioè che marcano l’intensità e l’attratti- va, rendendo un fatto una news243: l’evento aveva infatti una costru- zione narrativa che era possibile trasformare facilmente in un buon racconto; poteva vantare una enorme attesa da parte della opinione pubblica mondiale; le difficoltà nel tradurre cosa avrebbe detto e fatto il concilio venivano supplite da immagini suggestive e, non da ultimo, come rivela proprio il caso Santarelli, il concilio diventava anche una notizia su cui era possibile avere un eventuale ritorno economico. Dopo la liturgia profana delle Olimpiadi del 1960, dove la televisio-

242 Nel Discorso della Luna pronunciato la sera dell’11 ottobre papa Giovanni XXIII anticipò una sua sensazione, poi confermata dai fatti, che forse quella grande assise di vescovi non si sarebbe chiusa a dicembre. 243 Cfr. A. Pap u z z i , Professione giornalista. Tecniche e regole di un mestiere, Roma 2003, p. 21.

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ne italiana aveva fatto le prove del primo grande evento della storia, ora i grandi circuiti cinetelevisivi internazionali stavano dirigendo i fari dei loro riflettori su piazza San Pietro, misurandosi per la prima volta con questa imponente liturgia sacra.

7. La preparazione del 1962: «L’Anno del concilio»

Gli osservatori constatarono che, per la prima volta, le notizie relative alla preparazione di un concilio avevano potuto raggiungere in modo sistematico anche i luoghi più lontani, arrivando contempo- raneamente a milioni di persone, altrimenti escluse da questo proces- so informativo. Se questo è certamente vero, soprattutto rispetto al passato, la percezione dell’apporto che questi moderni strumenti di diffusione delle idee diedero all’evento durante la fase preparatoria era forse più alto rispetto al reale contributo fino ad allora offerto. L’entusiasmo appariva basato più sulle potenzialità espresse che sulle premesse del biennio 1959-1961. «La Civiltà Cattolica», infatti, sulle sue pagine, commentando l’informazione veicolata sui lavori prepara- tori, ne auspicava «un ancor più valido contributo per il futuro»244. Come si è cercato di ricostruire, dal 1959 i media avevano comin- ciato, seppur con qualche difficoltà, a seguire la notizia; fu tuttavia il 1962 il vero anno di svolta, che segnò il reale incipit dell’informazione televisiva conciliare e la mobilitazione generale della Rai. Il 1962 di- ventò «L’anno del concilio», per riprendere il titolo di una fortunata trasmissione curata da Giuseppe Alberigo245, e l’impegno della radio e della televisione italiane cambiò decisamente registro. Dal 1959 alla fine del 1961 le informazioni conciliari, come era prevedibile in una fase di preparazione durata tre anni, si erano, infatti, inserite per lo più nella normale programmazione televisiva, cioè come notizie all’inter- no del telegiornale. Dal 1962 invece, avvicinandosi all’apertura, l’even- to concilio cominciò a stravolgere sempre di più il palinsesto regolare e gli approfondimenti crebbero in modo proporzionale all’approssi-

244 Cfr. Cap r i l e , vol. I, t. 2, p. 269. 245 Per un approfondimento, cfr. il paragrafo 9.

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marsi dell’11 ottobre. Il media event, su cui tanto hanno riflettuto Da- yan e Katz, stava cominciando a prendere forma e dunque a incidere sulla normale quotidianità radiotelevisiva. Qualche anno fa Alberigo scrisse come fosse «quasi impossibile dar conto della miriade di considerazioni che sono state veicolate dai più disparati mezzi di comunicazione, dai periodici diocesani e par- rocchiali alle radio e alle catene televisive»246. Se nei paragrafi prece- denti si è cercato di sistematizzare il più precisamente possibile i dati disponibili raccolti, offrendo una panoramica anche sullo scenario internazionale, ora il campo d’indagine verrà ristretto al caso italiano, prestando un’attenzione particolare al comportamento della Rai.

7.1. La radio pubblica sul concilio

Il Vaticano II entrò fin dai primi giorni del 1962 nel palinsesto radiofonico italiano. Il 4 gennaio cominciò, infatti, ad andare in onda Vaticano II. Notizie e commenti sul concilio Ecumenico, affiancando la ru- brica domenicale Mondo Cattolico247. Aveva il compito di illustrare tutti gli avvenimenti della fase preparatoria degli ultimi mesi e successi- vamente la cronaca dei lavori. Questo approfondimento radiofonico settimanale era curato da mons. Mario Puccinelli, consulente ecclesia- stico dell’Icas (l’Istituto cattolico di attività sociali, uno dei segretariati dell’Ac passato dal 1947 sotto l’Ente dello Spettacolo), e realizzato in collaborazione con Rolando Renzoni su incarico del consulente eccle- siastico dell’Ente dello Spettacolo don Francesco Angelicchio248. Il 3 gennaio lo stesso Angelicchio informò proprio mons. Felici di questa iniziativa, «che non mancherà di raccogliere largo consenso presso il

246 Cfr. Al b e r i g o , Breve storia del concilio, cit., p. 22. 247 La trasmissione andò in onda sul Programma Nazionale ogni giovedì dalle 19,50 alle 20,00 e dal mese di giugno ogni venerdì dalle 18,00 alle 18,10. 248 ASV, Conc. Vat. II, 566, Segreteria generale. Proposte di trasmissione au- diovisiva-richieste di concessioni e autorizzazioni. Gennaio-dicembre 1962. Lettera di Angelicchio a Felici, 03.01.1962 (in allegato, una descrizione minuziosa di come sarebbe stato il programma) e la lettera di Puccinelli a Felici, 04.01.1962. Cfr. anche La Radio e la Televisione per il Concilio Ecumenico Vaticano II, Roma 1963.

ruozzi.indd 154 27-07-2012 11:48:46 p r e p a r a r e i telespettatori a l c o n c i l i o 155 mondo cattolico in fervida attesa del concilio ecumenico II»; allegava anche un comunicato che ne descriveva le linee editoriali249: conoscere il meglio possibile ciò che avveniva e partecipare coscientemente al fatto straordinario del concilio. Lo stesso Puccinelli, dopo aver informato Vallainc, ma non aven- do avuto alcuna risposta, si premurò di contattare direttamente Felici, sollecitandolo all’ascolto della trasmissione250. La prima puntata ebbe così un radioascoltatore d’eccezione, il futuro Segretario del concilio, che diede la sua benedizione alla trasmissione in una lettera del 10 gennaio nella quale si compiacque della «bella iniziativa» proposta dal Centro cattolico radiofonico e accolta dalla Rai251, raccomendandosi con il conduttore di tenersi sempre in stretto contatto con l’Ufficio stampa del concilio, per una fruttuosa collaborazione e per dare alla rubrica «il massimo carattere di serietà e di opportunità, soprattutto per quanto riguarda le interviste in programma»252. Una gentilezza, sicuramente, ma anche un modo velato per controllare indirettamente la scelta delle personalità chiamate a intervenire davanti ai microfoni della radio pubblica. Il 21 febbraio Puccinelli scrisse infatti a Felici proprio per segnalar- gli quello che sarebbe poi diventato un «piccolo caso», che il conduttore rimetteva nelle mani dei suoi superiori253. La radio pubblica italiana in quelle settimane, sull’onda dell’interesse suscitato nel pubblico254, stava progettando una puntata del Convegno dei cinque – la trasmissione cul-

249 ASV, Conc. Vat. II, 566, lettera di Angelicchio a Felici. 250 ASV, Conc. Vat. II, 566, lettera di Puccinelli a Felici, 04.01.1962. Puccinelli ipotizzò che forse a causa della sua malattia, mons. Vallainc non aveva trovato il tempo di informare Felici a proposito della trasmissione. 251 ASV, Conc. Vat. II, 566, lettera di Felici ad Angelicchio, 10.01.1962: «Ho avuto modo giovedì scorso di ascoltare la trasmissione e mi è sembrato che nel suo insieme sia ben articolata e condotta, e non mancherà di suscitare larghi consensi tra i radioascoltatori cattolici». 252 ASV, Conc. Vat. II, 566, lettera di Felici a Puccinelli, 10.01.1962. Cfr. anche la lettera di Puccinelli a Felici, 25.01.1962. 253 ASV, Conc. Vat. II, 566, lettera di Puccinelli a Felici, 21.02.1962. 254 I temi delle puntate affrontate dal moderatore e dagli ospiti erano decisi anche mediante il coinvolgimento diretto del pubblico, sulla base delle proposte per- venute. 156 p r e pa r a r e i t e l e s p e t t a t o r i a l c o n c i l i o

turale del mercoledì sera tra le più longeve e di successo della radiofo- nia italiana255 – da mandare in onda nei mesi successivi, che prevedeva una discussione radiofonica tra cinque personalità sul tema del concilio. L’affaire però si aprì sulla questione dei nomi da chiamare. Dalla lette- ra che Puccinelli inviò a Felici si viene a sapere che lo stesso curatore della rubrica aveva contattato in precedenza mons. Vallainc per avere la rosa delle possibili proposte di personalità da invitare, in linea con le direttive precedentemente ricevute dallo stesso Segretario del concilio; la direzione Rai però fece sapere che era sua volontà coinvolgere nel di- battito anche persone «non qualificatamente cattoliche», così da aprire il dialogo a studiosi o a esponenti di confessioni differenti. Niente di più strano se si pensa all’attenzione che fino ad allora i media avevano rivol- to all’ecumenicità di questo concilio, sottolineata anche dalle numerose interviste al card. Bea per avere informazioni riguardanti il segretaria- to da lui presieduto e il problema dell’unità. La fermezza di Puccinelli nell’esprimersi contrario a questa scelta però – se ne ha un assaggio dal tono delle lettere – fu assoluta: fece sapere alla dirigenza Rai che, su tali presupposti, «i miei superiori non credo che saranno disposti a conce- dere permessi di partecipare ad ecclesiastici»256. La trasmissione – che proprio nel 1962 subì anche un sensibile rilancio rispetto alle edizioni passate – andò in onda il 7 ottobre con il titolo Quali attese desta nell’at- tuale momento storico il Concilio Ecumenico Vaticano II257, presieduta dallo storico cattolico Aldo Ferrabino con la partecipazione del giornalista Domenico Bartoli, di Igino Giordani, politico e cofondatore del movi- mento dei focolari con Chiara Lubich, padre Cornelio Fabro e l’intellet- tuale comunista Lucio Lombardo Radice. L’opposizione di Puccinelli e dei suoi superiori ebbe quindi successo nell’ostacolare la partecipazione dei rappresentanti di altre confessioni o personalità non troppo gradite per parlare del concilio. Un timore non spiegabile tanto con la presenza di personalità non

255 Cfr. la voce redatta da P. Or t o l e v a in Enciclopedia della Radio, a cura di P. Or t o l e v a , B. Sc a r a m u c c i , Milano 2003, pp. 202-203. 256 ASV, Conc. Vat. II, 566, lettera di Puccinelli a Felici, 21.02.1962. 257 Nel 1962 erano andate in onda 40 puntate della trasmissione Il convegno dei cinque.

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cattoliche – molte erano state già chiamate a intervenire nella stessa rubrica e in altre trasmissioni – quanto piuttosto nel modo, nella non possibilità di controllare e scegliere direttamente coloro che sarebbero dovuti intervenire nel dibattito, rivendicando così uno ius che venne sentito violato. Il Convegno dei cinque era, per tradizione, uno spazio di discussione prevalentemente laico e di sinistra,

che potrebbe apparire sorprendente nella radio prevalentemente democri- stiana dell’epoca, ma che in realtà era coerente con la politica culturale della Rai del tempo, attenta nel controllo degli spazi propriamente politici quanto ostentatamente più «aperta» nei momenti culturali258.

Era dunque uno spazio «osservato speciale» da parte delle gerar- chie ecclesiastiche, perché sfuggiva al diretto controllo «amico». L’«Avvenire d’Italia» il giorno dopo titolò così l’occhiello dell’arti- colo dedicato al resoconto sul programma:

Al «Convengo dei cinque» trasmesso dalla Rai, tutti i partecipanti si sono trovati d’accordo sull’interesse generale suscitato dall’imminente assise della Chiesa259.

I cinque relatori si trovarono infatti tutti concordi nel rimarcare non solo come la notizia avesse suscitato un interesse universale (come testimoniano i numerosi libri e articoli, conferenze e trasmis- sioni organizzate), ma anche come avesse di fatto messo in moto una serie di attese e speranze riscontrabili sia nei credenti sia nei non credenti: «Nemmeno un comunista qualificato – tuonò il prof. Lombardo Radice – un marxista che si ispiri al materialismo stori- co e dialettico può disinteressarsi del concilio», per le implicazioni evidenti sulla politica, per il contributo all’unificazione dei popoli, per la condanna agli eccessivi nazionalismi e i razzismi, per l’affer- mazione della libertà contro ogni forma di totalitarismo; dal concilio ci si aspettava che sarebbe prevalsa «una tendenza verso la concilia-

258 Or t o l e v a , Convegno dei Cinque, in Enciclopedia della Radio, cit., p. 203. 259 Attese e speranze del mondo di fronte al concilio Ecumenico, in «Avvenire d’Italia», 8 ottobre 1962, p. 2.

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zione» e uno spirito meno «rigoroso e severo» rispetto a quello del Vaticano I260. Anche nell’«Annuario Rai» si può ritrovare qualche informazio- ne tecnica sulla trasmissione Vaticano II di Puccinelli in onda ogni settimana sul Programma Nazionale, che, come si sottolineava, «ha avuto inizio con notevole anticipo rispetto all’apertura del concilio»261, rimarcando così implicitamente l’impegno della radiotelevisione pub- blica italiana a seguire l’evento nel suo «farsi» e non limitandosi alla celebrazione dello «svolgersi». Durante il ciclo del programma venne- ro passati in rassegna tutti gli aspetti direttamente connessi al concilio: se ne approfondì il suo significato teologico e sociale con numerose interviste ai padri conciliari, ognuno dei quali si fece portavoce delle esigenze delle popolazioni dalle quali provenivano e della loro azione di apostolato; venne ripercorsa l’intera storia dei venti concili della chiesa attraverso la voce dello storico ambrosino don Antonio Ri- moldi dell’Università Cattolica del Sacro Cuore; mons. Vallainc, capo dell’Ufficio stampa del concilio, riportò la serie di manifestazioni or- ganizzate in tutto il mondo, dopo l’eco dell’annuncio del 25 gennaio 1959; trovarono spazio anche numerosi laici ed esponenti anglicani, metodisti, valdesi, ortodossi ed ebrei attraverso interviste e approfon- dimenti, mentre, tramite un commento settimanale durante le sessioni di concilio, venne spiegato il significato dei lavori dell’assemblea, con puntuali indagini sugli schemi in discussione tra i padri. Nel 1962 vennero trasmesse 41 puntate della rubrica, diffuse an- che in lingua slovena dalla sede di Trieste e in lingua tedesca da quella di Bolzano. I testi della trasmissione furono tradotti inoltre in spa- gnolo, francese, inglese e tedesco e venduti a 17 organismi radiofonici stranieri che a loro volta la mandarono in onda ritrasmettendola nel paese e nei network a loro associati. Dopo la proposta della Rai di una iniziale e presunta soppres- sione della rubrica per la prima intersessione – per il «tono troppo controllato»262 del programma, come Puccinelli fece sapere a Felici,

260 Queste le posizioni di Giordani e del giornalista Bartoli. 261 «Annuario Rai», 1963, p. 377. 262 ASV, Conc. Vat. II, segreteria generale-radio/televisione 1962. Lettera di Puccinelli a Felici (?), 24.11.1962.

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lamentandosi della scelta avanzata dalla Rai – la dirigenza decise poi di rimandarla in onda anche per l’intero 1963, continuando così, come viene approfondito in seguito, l’impegno di una informazione radio- televisiva più completa e puntuale possibile su tutto il lungo periodo dei lavori conciliari. La radio pubblica non ricorse però solo al genere della rubrica per dare notizie sul concilio: anche il documentario radiofonico Qualcosa di nuovo, in onda il 2 giugno 1962, ebbe infatti il compito di riassume- re i sei mesi di attività delle commissioni preparatorie del concilio, mettendo così l’ascoltatore «in condizione di conoscere gli argomenti fondamentali che il concilio avrebbe discusso»263. Come riportò il «Radiocorriere Tv» in un primo parziale bilancio dell’informazione sulla fase preparatoria, fare una sintesi giornalistica comprensibile per il grande pubblico dei 70 schemi contenuti in 119 opuscoli redatti in latino per un totale di 2.060 pagine non era un compito «facile»264. Nonostante questi ostacoli, la Rai-Tv trovò co- munque un modo per coniugare un aggiornamento semplice e chiaro sull’assise conciliare ma allo stesso tempo il più possibile completo ed esauriente attraverso le formule collaudate dalla radiotelevisione in quegli anni. Appare dunque quanto meno superficiale e appros- simativa la critica apparsa nell’ottobre del 1962 su «Il Regno» all’in- terno di un servizio su cosa avesse fatto l’Italia in vista del concilio. Nell’articolo si lamentava il fatto che nel campo delle iniziative «nella stragrande maggioranza dei casi e malgrado la vigorosa spinta di forze che tentavano di salire alla superficie, non si è andati molto al di là delle consuete paterne esortazioni», includendo anche la Rai-Tv, che, secondo la redazione, non aveva saputo «dare alla preparazione del concilio quell’importanza che meritava»265.

263 «Annuario Rai», 1963, p. 378. 264 Ca r l e t t i , Il Concilio Ecumenico, cit., p. 12. 265 Come l’Italia si è preparata al concilio?, in «Il Regno», 10 ottobre 1962, p. 16.

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7.2. La televisione pubblica sul concilio

Anche la televisione, «per adempiere nel migliore dei modi ai pro- pri compiti informativi e culturali»266, predispose uno spazio in cui parlare del concilio. Il palinsesto della televisione pubblica già dall’inizio del 1962 ave- va iniziato ad adeguarsi all’evento concilio; i telespettatori, anche indi- rettamente, avevano quindi cominciato a prendere confidenza con al- cuni volti che sarebbero poi diventati noti all’interno della discussione conciliare o della mediazione televisiva del concilio. Padre Mariano, il noto telepredicatore francescano che dal 1955 animò la sua Posta te- levisiva intessendo un filo diretto con i telespettatori267, per esempio, il 30 gennaio ospitò, all’interno della sua consueta rubrica, La posta di Padre Mariano in onda ogni martedì alle ore 19,55 sul Programma Nazionale, quello che era definito come il più «popolare conversatore televisivo»268, mons. Fulton Sheen, vescovo ausiliare di New York e direttore delle opere di Propaganda Fide per gli Stati Uniti, protagoni- sta poi, a concilio iniziato, di una puntata del Diario del concilio di Luca Di Schiena269. Mons. Sheen era infatti a Roma per i lavori della commissione pre- paratoria di cui faceva parte, quella delle missioni, e per un convegno internazionale a cui era stato chiamato a partecipare. Il «Radiocorriere Tv» titolò l’articolo sull’incontro televisivo dei due religiosi in modo significativo: «Il vescovo delle conversioni. Fulton Sheen s’incontra con Padre Mariano»270, enfatizzando l’influenza che aveva come tele- predicatore, «acuto, preciso, affascinante, che sa fermare l’attenzione

266 Radio e televisione per il concilio ecumenico, in «Notizie Rai», (giugno 1962), 6, p. 26. 267 Per un approfondimento sul ruolo di padre Mariano nella programmazione televisiva religiosa, cfr. Ru o z z i , Voci e immagini della fede: radio e Tv, cit., e A. Gr a s s o , Indagare la complessità. Religione e Tv, da Padre Mariano a Lost, in «Link», 9 (2011), pp. 66-71. 268 G. Ca l c ag n o , Il vescovo delle conversioni, in «Radiocorriere Tv», (14-20 gennaio 1962), 3, p. 14 269 ATR, D2574, Diario del concilio, n. 2, 26.10.1962. 270 Ca l c ag n o , Il vescovo delle conversioni, cit., p. 14

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Fi g . 17. Il telepredicatore americano mons. Fi g . 18. Il telepredicatore americano mons. Fulton Sheen («Diario del concilio», n. 2). Fulton Sheen («Diario del concilio», n. 2).

Fi g . 19. Padre Mariano («La posta di padre Fi g . 20. Padre Mariano («La posta di padre Mariano»). Mariano»).

del suo ascoltatore con una parola e lo trascina poi nel giro di tut- to il suo discorso»271. Da undici anni compariva infatti sugli schermi americani dagli studi della Abc dove conduceva ogni lunedì sera alle 21,00 la sua celebre rubrica Life is Worth Living, uno dei programmi di punta della televisione americana seguita da decine di milioni di tele- spettatori272. Negli studi Rai invece padre Mariano ne approfittò per

271 Ibidem. 272 Per un approfondimento sulla figura di mons. Fulton Sheen e sulla sua pre- dicazione televisiva, cfr. G. J. La d d , Archbishop Fulton J. Sheen. A Man for All Media, San Francisco 2001 e C.O. Ly n c h , Selling Catholicism: Bishop Sheen and the Power of Television, Lexington 1998; F. Sh e e n , Life is Worth Living, San Francisco 1999 e le

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una conversazione sullo sviluppo del cattolicesimo americano e sulla fioritura delle vocazioni negli ordini contemplativi. Sempre in questo periodo, Lercaro, chiamato proprio da Genna- rini273, fece invece la sua prima apparizione televisiva con una lettura del Nuovo Testamento, a partire dal 5 aprile 1962: la seconda serata del giovedì, sul secondo canale, si arricchì del commento della parola neotestamentaria fatto dal cardinale di Bologna in diretta dall’arcive- scovado274. Nonostante l’idea di una lettura completa dei quattro Van- geli, ci si limitò però solo a quello di Luca, suddiviso in 14 puntate, con l’intenzione di riprenderla a ottobre275. Il 24 novembre Lercaro venne tuttavia però a sapere, ancora da Gennarini che era andato a fargli visita, che per quei mesi sarebbero saltate le nuove riprese delle sue conversazioni sul piccolo schermo276. Nei primi mesi del 1962 la televisione iniziò dunque a mobilitarsi più intensamente; tuttavia fu nel periodo aprile-settembre che il pa- linsesto cominciò a presentare i più profondi mutamenti, sia sul Pro- gramma Nazionale sia sul Secondo Programma277. Il concilio, come

biografie di T.C. Re e v e s , America’s Bishop. The Life and Times of Fulton J. Sheen, San Francisco 2001 e quella di K.L. Ri l e y , Fulton J. Sheen. An American Catholic Response to the Twentieth Century, New York 2004. 273 Fscire, fondo Lercaro, A. 353. 274 G. Ca l c ag n o , Il Vangelo alla televisione, in «Radiocorriere Tv», (1-7 aprile 1962), 14, p. 7. Cfr. i documenti conservati in Fscire, fondo Lercaro, A. 353. 275 «Una domenica (probabilmente piovosa: qui il tempo è autunnale…) senza funzioni, vuota; penso di dedicarla a preparare i Vangeli per la T.V. Ieri sera sono riprese le trasmissioni, ma, per la prima volta, io non presenziai, per non creare imbarazzo in Comunità, dove si mangia alle 19,30 e alle 20,15 suona il silenzio» Cfr. Le r c a r o , Lettere dal Concilio 1962-1965, a cura di Ba t t e l l i , cit., p. 67, lettera del 13.10.1962. 276 «La mia soddisfazione però era un po’ guastata dalla delusione avuta ieri sera: il Dr. Gennarini, che fu qui a trovarmi, mi aveva assicurato che il 23/XI sareb- bero riprese le mie conversazioni sul Vangelo di Luca; e invece non ne fu nulla. Mi consolo pensando che ormai il calendario è coperto per tutto il 1962». Cfr. ibidem, p. 130, lettera del 24 novembre 1962. Quella non fu in effetti la prima collaborazio- ne con la Rai. Già da parroco dell’Immacolata durante la seconda guerra mondiale aveva tenuto infatti un programma radiofonico col quale parlava ai fedeli dalla sede Rai di Genova. 277 Per questa ricostruzione dello spazio televisivo dedicato al concilio, si sono

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si analizzerà nei successivi paragrafi, si inserì infatti nella programma- zione seguendo due modalità: da una parte l’argomento venne intro- dotto all’interno delle rubriche tradizionali, dall’altra, come per tutti i veri media events, vennero creati cicli di trasmissioni ad hoc, articolati in forma autonoma e a sé stanti, pensati appositamente per l’occasione. Si contribuiva così ad alimentare un’attesa generale sull’evento278.

7.3. Il concilio nelle rubriche tradizionali

Nel periodo precedente l’inizio del concilio vennero previste re- golari cronache mensili degli avvenimenti preparatori all’interno delle rubriche religiose, in quelle culturali e di attualità, ma anche in tutte quelle che per la loro linea editoriale ben si inseriva un approfondi- mento conciliare. Molte di queste non mancarono di fornire parti- colareggiate informazioni anche sulle varie iniziative e sulle reazioni dell’opinione pubblica e della stampa suscitate nel mondo all’appros- simarsi dell’evento. Alcune di esse, come riportò il mensile «Notizie Rai», erano essenzialmente giornalistiche e dunque si limitavano a una cronaca del concilio, seguendo la fase preparatoria con cadenza men- sile e poi durante le sessioni con servizi più frequenti volti a informare e aggiornare il telespettatore sugli aspetti di volta in volta affrontati dai padri. Altre, invece, ne approfittavano per fare panoramiche più ampie sulla base delle questioni che il concilio avrebbe affrontato, tracciando quadri sulla vita cristiana contemporanea e le sue proble- matiche, attraverso inchieste o interviste. Altre ancora toccavano ar- gomenti collaterali al concilio. La collaudata rubrica a cura di Silvano Giannelli Arti e Scienze,

incrociate differenti fonti, oltre a quelle televisive e radiofoniche: articoli di quotidia- ni (l’«Avvenire d’Italia», «L’Osservatore Romano», il «Corriere della Sera»), articoli di settimanali e mensili specializzati (in particolare, il «Radiocorriere Tv», «La Nostra Rai», «Notizie Rai»), l’«Annuario Rai», e alcuni documenti conservati presso ASV, Conc. Vat. II. 278 Cfr. D. Da y a n e E. Ka t z , Le grandi cerimonie dei media. La storia in diretta, Bolo- gna 1995; O. Ca l ab r e s e e U. Vo l l i , I Telegiornali. Istruzioni per l’uso, Roma-Bari 1995.

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in onda il martedì sera alle 22,15 sul Programma Nazionale279, mise per esempio in programma alcuni servizi sulla rappresentazione dei concili nell’arte e numerosi incontri con personaggi della cultura e della scienza cattolica: da Jacques Maritain allo scrittore di The End of the Affair Graham Greene, dal romanziere britannico Evelyn Waugh, convertitosi al cattolicesimo negli anni Trenta, allo storico-saggista francese e membro dell’Académie française Daniel-Rops. In questo spazio vennero anche trattati argomenti che, pur non riguardando strettamente il concilio, sull’onda dell’annuncio potevano inserirsi come indagini, come per esempio i diversi servizi sul concetto del sacro nelle diverse esperienze artistiche: andarono così in onda appro- fondimenti sull’arte cattolica, sulle serie dei Cardinali e dei Vescovi dello scultore Giacomo Manzù o sull’opera del pittore francese allievo di Gustave Moreau Georges Rouault. Anche la trasmissione Libri per tutti, a cura di Luigi Silori, sugli schermi dal 3 gennaio 1962 – una vetrina del libro in televisione, co- struita sul «modello delle pagine culturali dei giornali» tipica della pale- otelevisione280 – si aprì al concilio, occupandosi diffusamente dei libri pubblicati in quegli anni in occasione della grande assise, sia in Italia che all’estero, non trascurando nemmeno i numeri monografici delle riviste più importanti e con scelte non scontate: il conduttore poté così offrire una panoramica sulle ultime uscite editoriali in materia di ecumenismo, presentando il volume dei due teologi lovaniensi Char- les Moeller e Gérard Philips, Grâce et æcuménisme, quello dell’ortodosso Jean Meyendorff, La Chiesa ortodossa ieri e oggi, edito da Morcelliana, quello di Alberto Bellini sul Movimento ecumenico o quello sulla Teolo- gia dei concili ecumenici; oppure proporre una prima analisi sull’evento con il volume Vigilia conciliare di mons. Natale Mosconi, raccolta dei testi delle otto lezioni pronunciate dall’arcivescovo nella cattedrale di Ferrara, o inquadrare l’evento con il suo precedente più prossimo, il concilio Vaticano I, attraverso la lettura proposta da Umberto Betti,

279 Nel corso del 1962 furono trasmesse 49 puntate (redattori della rubrica: Giulio Cattanto e Giordano Repossi). 280 A. Gr a s s o , Libri in televisione, in Id. (a cura di), Enciclopedia della televisione, cit., p. 374.

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teologo conciliare del card. Florit, nel suo La costituzione dommatica «Pa- stor Aeternus» del Concilio Vaticano I, una ecclesiologia centrata in modo esclusivo sull’autorità del romano pontefice che sarebbe stata supera- ta proprio dal Vaticano II, o infine presentare il lavoro di Daniel-Rops in Vaticano II edito da Cerf o la miscellanea francese Le concile et les conciles promossa dal monastero di Chevetogne. Il concilio fu l’occasione per far entrare dalla porta principale nel dibattito pubblico alcuni temi importanti della storia della chiesa o problematiche che attraversavano il cristianesimo del Novecento. Sempre sul Programma Nazionale, approfondimenti sulle encicliche sociali – dalla Rerum novarum di Leone XIII fino alla Mater et magistra di papa Giovanni XXIII – con successivi commenti sui pronunciamenti relativi alla dottrina sociale della chiesa nel corso del concilio, trovaro- no spazio nella rubrica Tempo libero e una intera puntata di 60 minuti del Libro bianco281 dal titolo Roma, oggi e domani, a cura di Emmanuele Milano e Giovanni Salvi, venne dedicata a Roma, capitale del mondo cattolico e sede appunto del concilio. Nella puntata, oltre a illustrare la città, i capolavori dell’arte e dell’architettura che l’hanno resa famo- sa in tutto il mondo e meta del turismo internazionale, veniva così presentato l’evento soffermandosi in particolare sulle ragioni che ave- vano portato il pontefice a indire il concilio, su una breve cronistoria della preparazione, sui dettagli del lavoro della macchina conciliare nonché sugli aspetti logistici e organizzativi connessi.

7.4. Il concilio nelle rubriche create «ad hoc». Il «piano Rai»

Se il concilio entrò come tema di approfondimento nella scaletta di queste rubriche, l’importanza dell’evento era tale che la dirigenza Rai non poté non creare spazi televisivi nuovi in una serie di trasmis- sioni speciali, adempiendo così al servizio pubblico stabilito da statuto e contemporaneamente alla richiesta e al desiderio stesso dei telespet- tatori di conoscere meglio il significato storico, teologico ed ecclesio- logico del Vaticano II.

281 È la puntata n. 17 del Libro bianco.

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Un termometro di questa attesa può essere trovato ancora nelle pagine che le riviste, non solo cattoliche, dedicarono alle lettere dei proprio lettori; furono numerosi, infatti, quelli che usarono questo spazio per chiedere informazioni su come fosse possibile seguire alla televisione le principali fasi del concilio o se per caso la Radio Vaticana avesse predisposto delle trasmissioni speciali282. Nel caso della rivista «Studi cattolici», per esempio, rispondeva direttamente Enzo Natta, il capo ufficio stampa del Centro cattolico televisivo, che illustrò il det- tagliato piano Rai messo a punto per l’occasione, poi inoltrato qual- che settimana più tardi anche ai quotidiani. Il 26 giugno l’«Avvenire d’Italia» nello spazio dedicato agli spettacoli lo riportò infatti a tutta pagina, con un titolo eloquente: Telecamere sul concilio. Nell’articolo si informavano così i lettori – «sperando di fare cosa gradita» – sulle nu- merose trasmissioni radiofoniche e televisive dedicate al concilio: Man mano che si avvicina la data di inizio del Concilio Ecumenico Vaticano II, cresce nell’opinione pubblica il desiderio di meglio conoscere il significato spirituale di questo grande avvenimento e le modalità concrete in cui esso vorrà verificarsi. Riteniamo pertanto di far cosa gradita ai nostri lettori informandoli che, per l’appunto in occasione del prossimo Concilio, sono previste numerose trasmissioni radiofoniche e televisive destinate, ol- tre che a dare notizia sul corso dei lavori del Concilio stesso, ad illustrare pri- ma e durante l’avvenimento, la tematica, i problemi e la vita della Chiesa283.

Una copia di questo piano Rai per il concilio venne presentata anche alla Segreteria generale per essere visionato direttamente da Fe- lici284. Scorrendolo – ancora in forma di documento interno285 – si può notare come fosse evidente lo sforzo televisivo per preparare adeguatamente i telespettatori al prossimo ottobre, con un ventaglio di offerte che cercavano di spaziare e coprire i vari aspetti correlati all’evento. Il servizio pubblico non ricorreva solo a una informazio-

282 Televisione e aerei per il Vaticano II, in «Studi cattolici», 30 (maggio-giugno 1962), p. 8. 283 Telecamere sul concilio, in «Avvenire d’Italia», 26 giugno 1962, p. 5. 284 ASV, Conc. Vat. II, 566, Piano Rai per il concilio. 285 Alcuni riferimenti erano infatti ancora da sviluppare, alcune cose sarebbero state cambiate, ma la maggior parte dei programmi indicati fu poi mandata in onda. p r e pa r a r e i t e l e s p e t t a t o r i a l c o n c i l i o 167

ne giornalistica più precisa possibile, che come un metronomo stava segnando il countdown a ottobre, ma ricorreva anche a una serie di iniziative volte ad approfondire l’evento concilio in sé, analizzando i singoli temi che i padri conciliari avrebbero discusso, e a numerose trasmissioni a corollario che arricchivano con note culturali, artistiche e storiche la storia della chiesa in senso lato. Si preoccupava cioè di fornire tutte quelle chiavi di lettura storiche ed ecclesiologiche mini- me e necessarie affinché i telespettatori avessero quelle conoscenze di base per comprendere il concilio nella sua reale portata. Vi era descrit- ta anche l’idea, per esempio, di realizzare una serie di due trasmissioni con lo scopo di tracciare una panoramica ragionata delle religioni nel mondo e della cristianità, in particolare affrontando la situazione dei rapporti tra I cattolici e le Chiese cristiane separate – così recitava il titolo – attraverso riprese cinematografiche da effettuarsi appositamente e materiale di repertorio, assieme a interviste, dichiarazioni di esponenti qualificati e rappresentanti delle varie confessioni. Si cercava cioè di allargare lo sguardo anche alle altre tradizioni confessionali, rimarcan- do quanto fosse sentito, in vista del concilio, il dialogo ecumenico. Domenica 17 giugno dalle 11,30 alle 12,00, dopo la consueta ru- brica degli agricoltori e la Santa messa teletrasmessa, andò in onda la prima puntata della rubrica religiosa Chi è il vescovo?, a cura di don Natale Soffientini. Quest’ultimo, già collaboratore Rai per alcune tra- smissioni religiose negli anni passati, era stato chiamato ad affiancare il lavoro televisivo di padre Nazareno Taddei «quale garante di ortodos- sia» come ricorda lo stesso gesuita286, e fu quello che lo sostituì quando nel 1960 fu allontanato dal video per lo scandalo della recensione alla Dolce vita287. Come riportò il «Radiocorriere Tv», con questa trasmissione ebbe

286 Cfr. N. Ta d d e i , Verità sulla messa televisiva, 19 dicembre 2004 e la sua rispo- sta sul suo sito web ad un articolo pubblicato su «Avvenire» in cui si ripropone- va la cronistoria della teletrasmissione della messa www.diodopointernet.it/page. asp?pageID=700. 287 ATR, Chi è il vescovo?, a cura di N. Soffientini, Programma Nazionale, in onda alla domenica dalle 11,30 alle 12,00. ATR, P62168/001 (I001744/00), 17.06.1962, 18’ 15’’; ATR, P62175 (C001745/00), 24.06.1962, 22’ 10’’.

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Fi g . 21. Titoli di testa della trasmissione. Fi g . 22. Credits della trasmissione.

inizio una serie di importanti programmi che, in preparazione del concilio Vaticano II, si proponevano di illustrare la figura del vescovo nei suoi molteplici aspetti pastorali, sociali e storici288. Se nella prima puntata venne esaminato il ruolo del vescovo sotto il profilo storico e secondo l’insegnamento della dottrina cattolica e nella seconda in onda domenica 24 giugno alcuni prelati ne illustrarono gli impegni pastorali e i doveri nei confronti della diocesi289 – trattando così gli aspetti generali della funzione del ministero episcopale –, altre due puntate curate da don Gustavo Boyer ebbero come tema rispettiva- mente La figura ideale del vescovo secondo gli insegnamenti della chiesa cattolica (1° luglio) e I pastori vegliano nella notte (8 luglio)290. Le puntate conclusi- ve, secondo la prima bozza del progetto Rai, sarebbero dovute essere poi dedicate alle biografie di illustri vescovi del passato: da s. Agostino

288 «Radiocorriere Tv», (24-30 giugno 1962), 26. Nel piano Rai (la trasmissio- ne era segnalata con il titolo Che cos’è un Vescovo, poi cambiato in Chi è il vescovo?) la prima puntata sarebbe dovuta andare in onda il 20 maggio, e a seguire tutte le altre: domenica 27 maggio, il 3, il 10 e il 17 giugno. Andarono di fatto in onda invece con un ritardo di circa un mese. 289 La seconda puntata Chi è il vescovo? La missione pastorale andò in onda dalle 12,00 alle 12,30, posticipata dunque di mezz’ora per il solenne pontificale (in onda alle 11,00) celebrato nel duomo di Torino dal card. Fossati, in occasione della festi- vità di San Giovanni Battista, patrono della città. 290 Don Gustavo Boyer, nel 1962 curò anche altre due rubriche religiose: Pascal nel terzo centenario della morte e Liturgia, respiro dei battezzati con padre Angelico Ferrua. Cfr. «Annuario Rai», 1963, p. 160.

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a s. Ambrogio, da s. Agostino di Canterbury a s. Bonifacio di Fulda, dai ss. Cirillo e Metodio a s. Carlo Borromeo. Trovò spazio invece solo quella dedicata a Borromeo, a cura di Soffientini stesso291. La prima puntata si aprì con l’autore che andava in giro per alcune grandi diocesi italiane e, armato di microfono con un lungo filo che tradiva i limiti di una tecnologia in evoluzione, chiedeva ai diversi fe- deli che incontrava per strada chi fosse il vescovo e che compiti avesse e, secondo loro, quali esercitasse. Il tono faceva assomigliare il programma alle inchieste culturali condotte da Mario Soldati e Cesare Zavattini pochi anni prima, su tutte il Chi legge? Viaggio lungo le rive del Tirreno del 1960. Oltre alla minor raffinatezza linguistica (la macchina da presa piuttosto ferma, gli stacchi e il montaggio non certo arditi)292, il reportage di impronta zavattiniano-sociologica di Soffientini offre uno spaccato del paese, dal forte valore antropologico-religioso, che rivela un’ancora inten- sa religiosità popolare – o comunque come l’occhio della telecamera cercava e voleva farla apparire ai suoi telespettatori293 – ma un’atavica

291 Quella su s. Carlo Borromeo, a cura di Natale Soffientini, andò in onda do- menica 15 luglio. Cfr. anche l’«Annuario Rai», 1963, p. 161. 292 Cfr. A. Gr a s s o , Chi legge? Viaggio lungo le rive del Tirreno, in Id., Storia della televisione italiana, cit., p. 95. Su questo, anche l’articolo di A. Ca m pa n i l e , Tranne Soldati e un poppante, non legge proprio nessuno, in «Europeo», 18 dicembre 1960. 293 L’unica intervista che, come recita la voce fuoricampo, ha creato una «vivace discussione» è quella ad un gruppo di studenti universitari milanesi. Ne ripropongo qui alcuni passaggi: Intervistatore: «Un cattolico nelle questioni strettamente ma- teriali, si deve attenere a quello che dice il vescovo?». Studente 1: «Nelle questioni tecniche ha evidentemente un suo potere di discrezionalità… no? in ambito politi- co…». Studente 2: «Nelle cose che esulano la religione, tipo il voto, che è una que- stione basilare per la società...» Studente 1: «A meno che non intervenga un giudizio specifico, che però deve essere specifico». Studente 2: «In che senso?». Studente 1: «C’è tutta una dottrina della chiesa che dice che il laico nell’esplicare le funzioni non religiose, ma di carattere politico, sociale, mette la sua competenza e fa delle scelte. Se però l’autorità religiosa, in questo caso il vescovo, prende una determinata posizione perché ritiene che ci sia un danno per la morale o per la religione, viene meno questa libertà del cattolico in queste scelte e il cattolico è tenuto ad attenersi ai giudizi del ve- scovo.» Studente 3: «Il cattolico non è tenuto… non è così…». Studente 2: «Natural- mente questo può fare quello che gli pare, ma allora non è più cattolico». Studente 3: «No non è vero. Il cattolico è sempre libero di scegliere, in ogni momento». Studente

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Fi g . 23. Intervista sul ruolo e sulle funzioni Fi g . 24. Intervista sul ruolo e sulle funzioni del vescovo («Chi è il vescovo?»). del vescovo («Chi è il vescovo?»).

Fi g . 25. Intervista sul ruolo e sulle funzioni Fi g . 26. Intervista a un gruppo di universitari del vescovo («Chi è il vescovo?»). sul ruolo del vescovo («Chi è il vescovo?»). ignoranza sulle questioni di conoscenza di storia della chiesa, ai limiti del puro catechismo. A parte un medico, alcuni studenti universitari e in particolare un avvocato – che alla domanda «i vescovi esistono da molto?» rispose prontamente «da quando è nata la chiesa» facen- do riferimento a quanto scrive s. Paolo e dimostrando così una certa dimestichezza con le Sacre Scritture294 – tutti gli altri intervistati, alla

2: «Ma tutti sono liberi di scegliere, ma tu passi da una posizione all’altra». Studente 3: «Passi dall’altra posizione perché sbagli tu, mica lui. Sei tu che sei responsabile della tua coscienza» (ATR, P62168/001 (I001744/00), 17.06.1962, 18’ 15’’). 294 ATR, P62168/001 (I001744/00), 17.06.1962, 18’ 15’’. Precisò infatti che «San Paolo nelle sue lettere e negli Atti degli Apostoli lo testificano storicamente». p r e pa r a r e i t e l e s p e t t a t o r i a l c o n c i l i o 171

domanda «chi è il vescovo?», si limitarono al ricorso di una aggettiva- zione qualificativa – sempre positiva – ma nulla di più: «lo conosco di vista», «è buono», «è cordiale», «è molto bravo», «è simpatico», «è una brava persona»295. L’autore infine per trovare risposte alle domande su cui era stato impostato il programma, indagare cioè «chi fosse il vescovo» e «quali fossero i suoi compiti», pose direttamente le questioni ad alcuni diretti interessati: intervistò così il card. Urbani296, mons. Battaglia vescovo di Faenza, mons. Bolognini vescovo di Cremona; non trascurò nemme- no gli impegni dei vescovi missionari con mons. Marinoni, vescovo in una missione in Eritrea per venticinque anni, fino a toccare i problemi

295 Intervistatore: «Lei conosce il vescovo?». Passante: «Mah l’ho visto solo una volta». Intervistatore: «Sa quali sono le sue mansioni?». Passante: «Mmm, quello no. No, non ho mai saputo quella roba lì». Intervistatore: «Senta lei sa quali sono le mansioni di un vescovo?» Fedeli all’uscita di una chiesa: «Quello di… non so, di pre- dicare la religione, predicare il bene». Intervistatore: «Lei lo conosce il vescovo?». Fe- dele: «Si». Intervistatore: «Quali sono i suoi compiti?». Fedele: «Adesso non ricordo bene…». Anziano: «Il vescovo di Ferrara comanda tutti i preti, comanda, insomma, ha la sua cosa religiosa. E i preti stanno alle sue dipendenze» (ibidem). 296 L’intervistatore chiese al cardinale, dopo avergli domandato quali fossero i compiti principali di un vescovo: «Quali sono le maggiori preoccupazioni di un ve- scovo?». Urbani rispose: «Sono molte. Direi che sono perfino troppe. In sostanza si riducono tutte alla preoccupazione costante di un vescovo, che è quella della salvezza delle anime. Il vescovo deve rispondere di tutte le anime di una diocesi al Signore. A tutti il vescovo è debitore. E siccome il vescovo non può arrivare a tutti personal- mente, ecco che ha bisogno di collaboratori. Perciò la prima preoccupazione di un vescovo è quello di formarsi dei bravi collaboratori. Grosso pensiero per un vescovo. Noi diciamo che il seminario è la pupilla dell’occhio del vescovo, per indicare l’amore particolare che un vescovo ha per il seminario. Poi c’è anche la preoccupazione pro- vocata, determinata dall’urbanesimo, la necessità di costruire chiese nuove, in nuovi agglomerati urbani perché vale poco costruire le case degli uomini se in mezzo a quelle case non si mette la casa di Dio. E poi c’è tutto il problema di quello che noi chiamiamo i lontani, ma che sono i più vicini al nostro cuore di vescovo. Quelli cioè che sono indifferenti, che sono travolti dalla preoccupazione degli affari o da dot- trine false e perverse. Perciò un vescovo guarda soprattutto a questi e cerca in tutti i modi di avvicinarli, perché è chiaro che se tutti devono essere salvi, devono essere salvi anche questi figlioli, che pur essendo lontani sono vicini al nostro cuore». ATR, P62168/001, Chi è il vescovo?.

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Fi g . 27. Intervista a mons. Battaglia, vescovo Fi g . 28. Intervista a mons. Marinoni sul ruolo di Faenza, sul ruolo e sulle funzioni dell’episco- e sulle funzioni dell’episcopato («Chi è il vesco- pato («Chi è il vescovo?»). vo?»).

Fi g . 29. Intervista a mons. Oldani, sui pro- Fi g . 30. Intervista a mons. Cambiaghi, vesco- blemi che pone il mondo dello spettacolo («Chi vo di Crema, sul ruolo dell’episcopato («Chi è è il vescovo?»). il vescovo?»).

che iniziava a porre il mondo dello spettacolo con l’abate della basilica di Sant’Ambrogio mons. Oldani, vicepresidente della commissione regionale per lo spettacolo297.

297 Intervistatore: «Mons. Oldani, quali sono i problemi più importanti che pone il mondo dello spettacolo?». Mons. Oldani: «Lei mi pone un problema molto vasto. Le preoccupazioni di un vescovo di fronte alla vita attuale sono davvero tante anche perché la vita sta trasformandosi, sta evolvendosi; tra queste preoccupazioni una delle più gravi è quella che è offerta dal problema del divertimento che ha assunto una importanza davvero immensa. Basti osservare le statistiche dei frequentatori del cinema, degli spettatori nei campi sportivi, degli abbonati alla Rai-Tv. E la chiesa si è

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I vescovi apparivano quasi tutti in cattedra, come in una moderna lezione di catechismo, nello spirito del progetto culturale ed educativo della televisione delle origini. Il telespettatore poté così comprendere meglio le responsabilità e gli impegni più importanti che doveva af- frontare il vescovo – in comunione con il romano pontefice, come riferì il card. Urbani – col merito di presentare nel dettaglio una figura che sarebbe diventata di lì a pochi mesi protagonista dell’evento con- ciliare. Come disse infatti il vescovo di Cremona,

la domanda [che muove il programma] è quanto mai opportuna e attuale sia per meglio comprendere il valore delle decisioni dell’imminente concilio ecumenico, sia per precisare la natura e l’autorità del vescovo che da molti è considerato solamente quale prefetto religioso o un semplice burocrate amministrativo ed ecclesiastico298.

La Rai si assunse dunque il compito di spiegare al suo pubblico, proprio in preparazione dell’11 ottobre, quando Roma sarebbe stata invasa da più di duemila padri conciliari provenienti dai cinque con- tinenti, che

fatta spesse volte interprete di queste sue preoccupazioni attraverso i suoi documen- ti. Stando nel campo del cinema, noi dobbiamo ricordare l’enciclica Vigilanti cura di Pio XI, l’enciclica Miranda prorsus di Pio XII e i due Discorsi sul film ideale. Il particolare interesse che la chiesa ha per il cinema è giustificato dal fatto che il cinema ha cessa- to di essere un puro divertimento per diventare un mezzo per la diffusione di idee. Dato poi il particolare potere di suggestione più che un mezzo di diffusione di idee, può apparire un mezzo per imporre idee, di modo che l’assoluta libertà concessa agli uomini del cinema può diventare una minaccia per la libertà di tutti. Se si pensa che i più assidui frequentatori del cinema sono i giovani, i giovanissimi, i più sprovveduti di esperienza e di prudenza non deve fare meraviglia perché la chiesa sia preoccu- pata. Il cinema dovrebbe essere un mezzo per diffondere il vero, il bello e il buono. Possiamo farci una domanda: è davvero questo lo scopo che si propongono oggi gli uomini del cinema, diffondere il vero, il bello e il buono? La chiesa non li teme e non ostacola nessun progresso tecnico. Solo un timore: che questo progresso tecnico possa essere un ostacolo al progresso interiore del’uomo, dell’uomo creatura di Dio, uomo figlio di Dio. E la chiesa anche per il cinema segna la via, la via di Dio, di Dio che è verità, di Dio che è perfezione infinta, di Dio che è bene assoluto» (ibidem). 298 Ibidem.

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i vescovi sono i successori degli apostoli, sono coloro che hanno eredita- to i poteri conferiti da Gesù Cristo al collegio apostolico, cioè quello di insegnare le verità rivelate, di santificare con l’amministrazione dei sacra- menti e governare, perché i fedeli con sicurezza raggiungano la salvezza eterna299.

Tra i vari progetti esclusivi che la Rai propose nel suo piano pro- grammatico in vista del concilio vi furono anche due grandi cicli di conversazioni sulla tematica conciliare da fare con «altissime perso- nalità ecclesiastiche». Il primo ciclo si sarebbe dovuto svolgere nelle cinque domeniche di luglio e avrebbe previsto la partecipazione dei cardinali Bea, Agagianian, Döfner e Frings. Come riportato nel docu- mento fatto circolare nel mese di giugno, i contatti erano ancora aperti per cercare un presule africano300. Il secondo ciclo di conversazioni invece si sarebbe dovuto tenere nell’ultima domenica di agosto e in quelle di settembre301. Purtroppo gli scarsi riferimenti fanno pensare che questi due progetti siano stati realizzati solo in parte o adattati all’interno di altri programmi.

7.5. Il concilio nelle trasmissioni non realizzate: i progetti saltati

Come già anticipato, il Vaticano II fu il primo grande evento che poté contare anche sul doppio canale. Dal 4 novembre 1961, gior- no d’inaugurazione delle trasmissioni del Secondo Programma, la Rai andò, infatti, incontro alle esigenze di un pubblico che stava diventan- do sempre più maturo e consapevole, offrendo così loro la possibili- tà dell’alternativa nella visione. Se il primo canale nazionale rimase il protagonista di quel periodo televisivo, la seconda rete, in osservanza della sua linea editoriale, offrì trasmissioni di approfondimento con-

299 ATR, P62168/001 (I001744/00), 17.06.1962, 18’ 15’’. 300 Rispettivamente, nelle domeniche 1°, 8, 15, 22 e 29 luglio, come si legge nel prospetto conservato presso ASV, Conc. Vat. II, 566. 301 Rispettivamente nella domenica 26 agosto e in quelle del 2, 9, 16, 23 e 30 settembre. I nomi definitivi delle personalità che avrebbero partecipato a questo secondo ciclo non erano ancora stati definiti.

ruozzi.indd 174 27-07-2012 11:48:48 p r e p a r a r e i telespettatori a l c o n c i l i o 175 ciliare di grande cultura, tra le più importanti realizzate tra il 1960 e il 1965 e vere e proprie pietre miliari302. Proprio nella pianificazione della programmazione del secondo canale in vista del concilio si trovano indicati numerosi progetti di trasmissioni da realizzare della cui reale messa in onda però non vi è traccia. La scheda preparatoria, fatta circolare in quei mesi, è comun- que molto dettagliata e quindi si possono ricostruire a grandi linee le idee di base. Una di quelle trasmissioni si sarebbe dovuta chiamare Testimonianze cristiane. Sarebbe dovuta essere una serie composta da due o tre puntate di 45’ nelle quali sarebbero state presentate alcune problematiche che la vita cristiana contemporanea era chiamata ad affrontare. Uno dei criteri per la scelta delle persone da intervistare sarebbe stata la diversa provenienza culturale e sociale, evitando così rigide schematizzazioni; tra i nomi indicativi e ipotetici venivano fatti quelli del card. Agagianian, dello scrittore inglese Graham Green o dello scrittore e monaco Thomas Merton. La trasmissione, come è riportato, non aveva l’ambizione di esaurire l’intero quadro dei pro- blemi che assillavano il cristianesimo di metà Novecento. Il concept era costituito invece dalla presentazione al pubblico di esperienze umane, tra le più varie, attraverso le quali cogliere le diverse istanze, i diversi ambienti e le diverse esigenze che il cristianesimo stava vivendo nella dinamicità ed eterogeneità del mondo contemporaneo, e trovare così «una testimonianza di vita e di fede particolarmente significativa»303. Proprio per questo, il piano del programma prevedeva di chiamare anche alcuni membri del clero di diverse diocesi del mondo, con un occhio di riguardo alle nuove realtà, all’esperienza dei Petits Frères e ad altri movimenti spirituali cristiani. L’altra trasmissione che, come Testimonianze cristiane, sarebbe dovu- ta andare in onda sempre sul Secondo Programma e che, nella forma così pensata, non trovò però spazio in palinsesto, era Cristo in Africa.

302 Cfr. l’indagine sul secondo canale proposta in G. Ca l c a g n o , Che cosa e quanto piace, in «Radiocorriere Tv», (25 febbraio-3 marzo 1962), 9, pp. 12-13 e l’articolo di B. Ba r b i c i n t i , La prima felice stagione del Secondo Programma Tv, in «Radiocorriere Tv», (8-14 luglio 1962), 28, pp. 5-6. 303 ASV, Conc. Vat. II, 566, Piano Rai per il concilio. 176 p r e pa r a r e i t e l e s p e t t a t o r i a l c o n c i l i o

Una breve sinossi all’interno del Piano Rai sulle trasmissioni per il concilio rivela le domande alla base di questo programma:

Qual è la situazione del cristianesimo in Africa? E dove arriva la sua influenza, quanto profondamente è penetrato nella vita spirituale e cultu- rale delle popolazioni indigene e quali sono i rapporti con le nuove classi dirigenti?304.

L’inchiesta pensata in sei puntate, avrebbe cercato di rispondere a queste riflessioni approfondendo le connessioni e le distinzioni tra l’attività missionaria e la vita delle chiese locali, in particolare quella della chiesa cattolica, non trascurando nemmeno l’azione svolta in Africa dalle varie chiese protestanti. È interessante notare come si vo- lesse estendere l’indagine, in un eventuale secondo momento, anche a certi paesi dell’Asia, cercando di fornire così un quadro che fosse il più possibile esteso e completo. Le problematiche che questi programmi cercavano di sollevare non erano certo banali, se si considera gli standard della programma- zione religiosa degli anni Cinquanta. L’apertura del concilio si rivelava in qualche modo un pungolo per portare determinati temi all’ordine del giorno che difficilmente avrebbero trovato spazio nei due canali del servizio pubblico.

8. Quarantun giorni al concilio: telecamere, cineprese e microfoni ai blocchi di partenza

Nei giorni in cui il cinema era in subbuglio per la denuncia dei carabinieri del film Mamma Roma di Pasolini e il tentativo di ritiro dal programma della Mostra cinematografica di Venezia del Processo di Orson Welles, il rapporto tra audiovisivi e religione stava vivendo un vero e proprio rinascimento: nel corso del secondo convegno di studi cinematografici venne presentato in prima visione assoluta il film di

304 Ibidem.

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Turoldo305, Gli ultimi, e il palinsesto della televisione italiana di settem- bre e ottobre si arricchì come non mai di trasmissioni volte a preparare l’evento conciliare man mano che ci si avvicinava all’11 ottobre. Quelle trasmissioni sarebbero state destinate a lasciare un segno indelebile non solo in una ipotetica storia della televisione religiosa, ma anche nella storia della televisione italiana in generale, per la loro qualità e il loro valore. Si può osservare come in quelle ultime settimane la macchina televisiva stesse ricorrendo a tutti i suoi generi per seguire l’evento: dirette, sintesi, documentari, rubriche, interviste e lezioni televisive. Anche le Settimane sociali, che si stavano svolgendo proprio in quei giorni di settembre e dedicate nell’edizione del 1962 non a caso all’incidenza dei mezzi audiovisivi, si concludevano con l’idea che «l’adesione ai valori della visione cristiana della vita trova nei mezzi audiovisivi enormi prospettive positive», riconoscendo così la positiva utilità

di un procedimento che rispondendo alle caratteristiche del linguaggio fil- mico tenga presente la nuova possibilità di adesione personale ai valori della cultura, del pensiero e della vita religiosa306.

Un esempio importante fu il ciclo di trasmissioni che, nelle pro- poste Rai sul concilio, sarebbe dovuto essere dedicato all’illustrazione dei «massimi santuari mariani», ma che sarebbe poi diventato molto di più prendendo infatti il titolo di Due millenni: Maria e i popoli. Il programma era a cura del regista Giuseppe Lisi e andò in onda do- menica 9 settembre sul Programma Nazionale alle 22,00, prima della Domenica sportiva307. Dopo un’inchiesta sul dinamismo e l’intrapren-

305 A. Ch i a d e s , «Gli ultimi» insegnano, in «Avvenire d’Italia», 16 settembre 1962, p. 5. Il film venne diretto da Vito Pandolfi. Turoldo ne curò soggetto e sceneggiatura. 306 Le conclusioni della Settimana Sociale, in «Avvenire d’Italia», 30 settembre 1962, p. 9. Sempre sull’«Avvenire d’Italia», cfr. l’articolo Impegno di partecipazione attiva di fronte ai mezzi audiovisivi, 30 settembre 1962, p. 1. Gli atti sono confluiti poi nel volu- me Le incidenze sociali dei mezzi audiovisivi. XXXV Settimana Sociale dei Cattolici d’Italia, Roma 1962. 307 ATR, C2033, 09.09.1962, 57’ 59’’. Giuseppe Lisi è il figlio dello scrittore Nicola Lisi.

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denza dell’Italia agricola308 e Viaggio in Italia del 1961, Lisi realizzò questo documentario che in principio sarebbe dovuto essere in due puntate309, poi concentrate in una unica di un’ora, riproponendo «una rapida sintesi – riportò l’“Annuario Rai” – delle testimonianze maria- ne durante venti secoli di cristianità»310. Come annunciò invece l’«Av- venire d’Italia» nelle pagine degli spettacoli, era un «documentario di eccezionale valore cristiano»311, un momento in cui, con la consulenza del mariologo Gabriele Roschini312, veniva approfondita la figura di Maria, partendo dalle strade di Nazareth nella sua casa natale, luogo dove i Vangeli avevano parlato per la prima volta di lei, per ripercor- rere la storia stessa del cristianesimo:

Ovunque si svolse la vita terrena di Maria – scrisse il «Radiocorriere Tv» – sono state effettuate delle riprese che ci restituiscono l’ambiente della narrazione evangelica e dei testi sacri313.

La macchina da presa, infatti, indugia sia su quei luoghi dove le macerie «evocavano remote memorie», sia dove la presenza di Maria fu più manifesta: dalla collina di Ain Karim a Betlemme, da Cafarnao a Gerusalemme. La trasmissione, dopo aver tracciato la storia di Maria e indagato i mutamenti e il radicarsi del culto mariano da Oriente a Occidente nel corso dei secoli, giungendo fino in America tramite Colombo314, pas- sava a una «cavalcata storica» sulla traccia delle apparizioni mariane:

308 Il programma del 1960, costituito da sei puntate con cadenza quindicinale, è L’agricoltura in Italia, presentato dal prof. Giuseppe Dondi e curato da Fabiano Fabia- ni, Giuseppe Lisi e Emmanuele Milano. 309 Cfr. le diverse notizie riportate dall’«Annuario Rai», 1963, e dal «Radiocor- riere Tv» in quelle settimane. 310 «Annuario Rai», 1963, p. 89. 311 Dolce figura, in «Avvenire d’Italia», 10 settembre 1962, p. 6. 312 Collaborarono al programma anche Gianni Baget e Arturo Carrelli. 313 «Radiocorriere Tv», (9-15 settembre 1962), 37, p. 20. 314 Come non mancò di sottolineare il quotidiano cattolico, «questa parte è stata realizzata televisivamente mediante l’apporto di materiale di repertorio di ecceziona- le interesse per gli studiosi di mariologia». Cfr. Dolce figura, in «Avvenire d’Italia», 10 settembre 1962, p. 6.

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Fi g . 31. Panoramiche varie («Due Millenni: Fi g . 32. Panoramiche varie («Due Millenni: Maria e i popoli»). Maria e i popoli»).

Fi g . 33. Celebrazioni nell’anno mariano, Fi g . 34. Credits della trasmissione («Due 1954 («Due Millenni: Maria e i popoli)». Millenni: Maria e i popoli»).

da Loreto a Guadalupe, da Czestochowa a Lourdes fino a Fatima, in Portogallo. Nella parte finale, venivano proposte le immagini di papa Pio XII dopo il bombardamento del luglio del 1944, quelle relative ad alcune manifestazioni del 1954 per l’anno mariano e le sequen- ze della celebrazione del dogma dell’Assunzione nell’anno giubilare 1950. La voce off salutava poi i telespettatori citando alcuni passi tratti dalla costituzione Munificentissimus Deus con la quale Pio XII definì il dogma dell’assunzione di Maria «al cielo in anima e corpo» e i versi del Canto XXV del Paradiso di Dante315. Un piccolo segno dell’intenzione

315 «Con le due stole nel beato chiostro, son le due luci sole che saliro; e questo apporterai nel mondo vostro» (Dante, Canto XXV, Paradiso).

ruozzi.indd 179 27-07-2012 11:48:48 180 p r e p a r a r e i telespettatori a l c o n c i l i o costante di educare un pubblico che si stava formando e unificando linguisticamente proprio in quel periodo, su cui molta parte ebbe la stessa televisione, con la sua popolarità e diffusione316. L’«Avvenire d’Italia» non risparmiò commenti sulla soddisfazione per l’ottima qualità della trasmissione, realizzata nell’imminenza del Vaticano II, anche come atto per celebrare la figura sotto cui papa Giovanni aveva posto la protezione del concilio stesso:

Maria e i popoli probabilmente rappresenta il primo, esauriente ed appro- fondito documento raccolto in linguaggio televisivo sulla presenza, la vita e la storia della più dolce figura del cristianesimo317.

Oltre a questo importante documentario sulla figura di Maria il Programma Nazionale, per tutte le domeniche di concilio a partire da settembre, mandò inoltre in onda una volta al mese la ripresa di una messa di rito orientale, svolta dunque secondo i riti delle diverse tradi- zioni liturgiche: da quello bizantino a quello siriaco, da quello armeno a quello melchita, da quello maronita a quello copto, da quello ruteno a quello malabarico. I telespettatori presero così confidenza con le liturgie diverse dal rito romano, ma che innervavano tutte insieme il culto cristiano. Per quanto riguarda la radio, occorre ricordare che la rubrica settimanale Vaticano II, dopo essere stata sospesa per i mesi estivi, riprese ufficialmente le trasmissioni per presentare commenti diretti sul concilio e sulle manifestazioni collaterali e per iniziare a seguire i lavori della prima sessione che si sarebbe aperta l’11 ottobre318. Que- sto approfondimento conciliare – come già ricordato – aveva aperto i microfoni nel gennaio 1962, vantando, come scrisse la «Rivista del

316 Cfr. l’ormai classico T. De Ma u r o , Lingua parlata e Tv, in Televisione e vita italiana, Torino 1968. Cfr. anche Id., Il linguaggio televisivo e la sua influenza, in G.L. Be c c a r i a , I linguaggi settoriali in Italia, Milano 1973, pp. 107-117; A. Co n t i (a cura di), Il linguaggio della televisione, Milano 1979 e il recente G. Al f i e r i e I. Bo n o m i , Lingua italiana e televisione, Roma 2012. 317 Dolce figura, cit., p. 6. 318 Una rubrica televisiva, «Vaticano II», in «L’Osservatore Romano», 7 settembre 1962, p. 2. p r e pa r a r e i t e l e s p e t t a t o r i a l c o n c i l i o 181

cinematografo», «la priorità cronologica» tra tutti i programmi radio- televisivi sul concilio. Sempre a cura di Mario Puccinelli e in onda da venerdì 14 settembre sul Programma Nazionale radiofonico dalle ore 18,00 alle ore 18,10, la rubrica venne ritrasmessa anche negli Sta- ti Uniti. Nella nuova edizione i radioascoltatori poterono ascoltare ai microfoni della radio pubblica le riflessioni sull’assise conciliare di personalità del calibro di Daniélou, De Lubac, Guitton, Marcel e per- sino Mauriac,

l’ombroso Mauriac – scriveva Fantone sulle pagine della rivista cattolica di cinema – da tempo rifuggente da ogni pubblica esibizione, ha aderito di buon grado all’invito di collaborazione rivoltogli da Vaticano II319.

Nonostante la brevità dei dieci minuti320, riuscì comunque nel suo intento sia per l’autorevolezza degli autori chiamati di volta in volta a collaborare, sia per la puntuale e precisa sintesi delle notizie fornite di settimana in settimana. Non venne trascurata nemmeno l’indagine su un aspetto particolare, come l’intensa preparazione al concilio che stavano affrontando i vari paesi del mondo, con riferimento specifico alle terre di missione. Radio Vaticana, che non aveva mai smesso di seguire attentamen- te i lavori preparatori, nell’imminenza dell’apertura, a partire da lu- nedì 1 ottobre, aumentò le ore dedicate mandando in onda La grande vigilia alle ore 19,33 con replica alle ore 22,30, curata da p. Francesco Pellegrino e dal cattedratico Gastone Imbrighi, con la partecipazione di volta in volta di diversi studiosi, rappresentanti del mondo della cultura, delle scienze, della politica e dell’arte: da Spadolini a Missi- roli, da Calindri a Nosengo, da La Pira a Bonomi e tanti altri321. Si

319 F. Fa n t o n e , I mezzi audiovisivi ed il Concilio Ecumenico, in «Rivista del cinema- tografo», (settembre-ottobre 1962), 10, p. 335. 320 «Certamente [un tempo] piuttosto ristretto – scrisse Fantone – quando si vo- glia illustrare in maniera piena e sicura l’effettivo significato del Concilio, e informare al tempo stesso sui principali avvenimenti che al Concilio sono connessi» (ibidem). 321 Quelli che parteciparono furono: Campilli, Jaeger, Leone, Merzagora, Mof- fo, Brezzi, Spadolini, Carnelutti, Bozzi, Missiroli, Calindri, Corrias, Della Giovanna, Maltarello, Nosengo, Bonomi, Papi, Della Porta, La Pira.

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trattava di un ciclo di dieci documentari «a largo respiro e con tono divulgativo»322, ognuno dei quali si concentrava su un tema specifico del Vaticano II: la prima puntata venne inaugurata con Il Concilio: «ma- gnum opus» di Giovanni XXIII e poi a seguire quelle su Assise di unità e di carità, Empito di vita della Chiesa, Faro di verità, sorgente di santità, Guida nei problemi umani, Auspicio di paternità e di pace, Richiamo e stimolo di salvezza, Orientamento per l’avvenire e Appello all’espansione del Regno di Dio. Chiuse la serie Ritorno di Pentecoste. Con questi documentari la radio della Santa Sede si proponeva di presentare «anche al più digiuno in materia» una panoramica sui temi, sulle questioni che i padri in concilio avrebbero affrontato e sulle fi- nalità da raggiungere. Il ciclo offriva dunque una sintesi completa di quei tre anni preparatori attraverso il mezzo radiofonico, rendendo gli argomenti comprensibili anche a coloro che non avevano seguito attentamente tutte le fasi precedenti. Il terzo programma radiofonico della Rai intensificò anch’esso le trasmissioni nell’imminenza dell’apertura. Il 7 ottobre mandò in onda all’interno del Convegno dei cinque il già citato dibattito Quali attese desta nell’attuale momento storico il Concilio Vaticano II, mentre dall’8 ottobre realizzò una serie di appuntamenti nella forma di lezioni monogra- fiche all’interno del contenitore Il Concilio Vaticano II. Si voleva così consentire agli ascoltatori di farsi un’idea abbastanza chiara non solo su quelli che si configuravano come i momenti essenziali della vita della chiesa, ma anche sulla cornice storica e sulle possibili nuove pro- poste che avrebbero potuto prendere forma nella più grande assise di pari mai riunita nella storia: mons. Garofalo, membro della com- missione teologica preparatoria, venne infatti chiamato a parlare della Funzione dei Concili nella storia della Chiesa, lo storico napoletano Paolo Brezzi sulla Breve storia dei venti Concili, Alfonso Prandi sugli Atteggia-

322 «La grande vigilia» alla Radio Vaticana, in «L’Osservatore Romano», 1-2 otto- bre 1962, p. 4. «L’Osservatore romano» sintetizzò così lo scopo della rubrica: «Del fervore di preparazione all’imminente inizio del Concilio Vaticano II, dell’attesa del mondo, delle fondate speranze dei cattolici si farà interprete Radio Vaticana in un ciclo di 10 documentari». Cfr. anche l’articolo La Radio Vaticana per il Concilio apparso sull’«Avvenire d’Italia», 30 settembre 1962, p. 5.

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menti e reazioni rispetto al Concilio, p. Caprile sulla Preparazione del Concilio Vaticano II e il card. Urbani sulle Prospettive del Concilio323. Aldo Salvo e Rolando Renzoni, invece, per il secondo canale rea- lizzarono tre documentari radiofonici per puntualizzare le altrettante fasi più importanti nello svolgimento del Concilio. Se Qualcosa di nuovo, in onda il 2 giugno, ebbe il compito di riassumere i sei mesi di lavoro delle commissioni preparatorie per far conoscere i temi su cui i padri conciliari avrebbero discusso, proponendo dichiarazioni anche di rap- presentanti anglicani e protestanti (l’arcivescovo di Canterbury Ram- sey e il presidente della Federazione delle chiese protestanti francesi), il 10 ottobre, con il Concilio Ecumenico Vaticano II – La Vigilia, vennero illustrati gli aspetti di cui si era occupata la Commissione tecnico-or- ganizzativa: dal problema non scontato e trascurabile dell’alloggio dei padri ai lavori per l’allestimento della basilica, dal nuovo sistema di re- gistrazione meccanografica impiegato per le votazioni dei documenti all’installazione dei cavi per la registrazione audio, dalla televisione a circuito chiuso ad uso del pontefice alla predisposizione delle posta- zioni Rai. Il 7 dicembre venne invece programmato, a conclusione del ciclo, Concilio Ecumenico Vaticano II – Prima Sessione in occasione proprio del penultimo giorno di seduta conciliare, in cui si poterono ascoltare le riflessioni di diversi esponenti del mondo della cultura italiana sulla sessione appena conclusa e sulle ripercussioni sulla so- cietà contemporanea324. Vennero così chiamati tra gli altri Salvatorelli, Jemolo, Papi, Bacchelli, Tecchi, Fabbri, Bo e Medi per porre loro la domanda: «Che cosa si attende dal Concilio il mondo della scienza, della cultura, dell’arte e dell’educazione?». Se questo ciclo di docu- mentari fu promosso dalla critica sul piano della completezza degli approfondimenti, fu altresì elogiato anche sul piano della costruzione formale dalla «Rivista del cinematografo»:

323 Cfr. I servizi della Radio-Televisione italiana per il Concilio Vaticano II, cit. La lezio- ne di Garofalo venne appunto mandata in onda l’8 ottobre 1962. Le altre rispettiva- mente vennero trasmesse il 15, il 22, il 29 ottobre, il 5 e il 15 novembre. Cfr. La Radio e la Televisione per il concilio, cit. 324 Cfr. «Annuario Rai», 1963, e La Radio e la Televisione per il Concilio, cit.

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un montaggio agile e moderno è valso ad imprimere alla trasmissione un rit- mo abbastanza sostenuto, malgrado la difficoltà della materia, rendendone di conseguenza gradevole e facile l’ascolto325.

9. «Cosa è un concilio? Cosa si farà al concilio?». Alberigo e Felici lo spiegano in televisione

La collaborazione tra la Rai e la Santa Sede per la gestione e la copertura dell’informazione radiotelevisiva sul concilio cominciò a essere molto stretta, in particolare, dal mese di settembre. Dalla cor- rispondenza che giunse alla Segreteria generale si può notare però come queste forme di collaborazione vennero instaurate anche con altri enti che si stavano organizzando per realizzare una informazione cinetelevisiva sull’evento. Seppure con minori sforzi produttivi e inve- stimenti rispetto alla televisione pubblica italiana, questi altri circuiti necessitarono comunque non solo di informazioni sul concilio, ma anche di spazi, di permessi di accesso e di contatti per le interviste326. Il Centro di produzione radio e il Centro di produzione Tv della Rai erano stati affiancati e avevano avuto una costante assistenza gra- zie anche alla mediazione del Centro cattolico televisivo, del Centro cattolico cinematografico e del Centro cattolico radiofonico dell’Ente dello Spettacolo dell’Ac, che agevolarono i contatti con la Segreteria generale del concilio e gli uffici della segreteria di Stato, dove però, per i rapporti personali che vi erano, il direttore generale della Rai Ettore Bernabei poté contare sempre sul filo diretto con il sostituto alla Se- greteria, mons. Dell’Acqua. Domenica 30 settembre, per esempio, la Rai, d’intesa con il Cen- tro cattolico cinematografico327, chiamò direttamente mons. Felici in video per fargli spiegare gli ultimi preparativi e il lavoro svolto fino ad allora dalle commissioni. La trasmissione, Vigilia di Concilio, andò in

325 Fa n t o n e , I mezzi audiovisivi ed il Concilio Ecumenico, cit., p. 335. 326 Cfr. il report fatto nell’«Annuario Rai», 1963; anche in ASV, Conc. Vat. II, 566, Segreteria generale. Proposte di trasmissioni audiovisive/richieste di concessio- ni e autorizzazioni gennaio-dicembre 1962. 327 Cfr. La radio e la televisione per il Concilio Ecumenico Vaticano II, cit.

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Fi g . 35. Giovanni XXIII con il segretario del Fi g . 36. Mons. Felici («Vigilia di Concilio»). concilio, mons. Pericle Felici (Tg Rai).

onda sul Programma Nazionale dalle 11,40 alle 12,10, subito dopo la messa trasmessa dalla basilica marchigiana di San Nicola da Tolentino, con l’evidente e sperato «effetto traino»: si cercava infatti di attirare il pubblico religioso che aveva seguito la funzione verso la rubrica di approfondimento, questa volta per l’imminenza dell’apertura con il coinvolgimento diretto del suo segretario. La camminata studiata di Felici nel cortile dei Palazzi apostolici, come da copione, veniva interrotta dall’incontro «casuale» con l’oc- chio della telecamera, secondo le più rodate strategie finzionali e sce- nografiche televisive. In questa conversazione, come aveva fatto due giorni prima al «Circolo di Roma» nella conferenza dal titolo Alla vigilia del Concilio ecumenico, ebbe così modo di rifare una piccola lezione sul concilio, perché, «in un momento in cui gli uomini sono trava- gliati da tanti problemi riguardanti la vita dello spirito e la stessa vita temporale, la chiesa ha da dire la sua parola attraverso i suoi legittimi maestri, che sono i vescovi successori degli apostoli»328, ricorrendo però ancora a termini come «dottrina e disciplina»329.

328 Cfr. ATR, Vigilia di concilio, 30.09.1962, Programma Nazionale. 329 «Il concilio è la riunione di tutti i vescovi della chiesa cattolica, sotto la guida del romano pontefice che è il vescovo di Roma per decidere questioni importantis- sime di dottrina e di disciplina riguardanti tutta la chiesa. In questo momento in cui gli uomini sono travagliati da tanti problemi riguardanti la vita dello spirito e la stessa vita temporale, la chiesa ha da dire la sua parola attraverso i suoi legittimi maestri

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Fu tuttavia il secondo canale che nel mese di settembre e di otto- bre mandò in onda una delle trasmissioni più importanti: 1962 Anno del concilio a cura di Giuseppe Alberigo330 con la collaborazione di Pier- re Riches, teologo perito del cardinale Tisserant, e realizzata da Enrico Gras e Mario Craveri331. Tra i credits del programma comparivano altri due nomi del gruppo di studiosi del Centro di documentazione, Boris Ulianich, che in quel periodo – aveva da poco pubblicato la sua monografia su Sarpi – stava collaborando anche al soggetto e ai testi di due delle puntate sulla sto- ria del nazismo per la regia di Liliana Cavani332, e Luciana Mortari, poi monaca nella comunità di Dossetti a Monteveglio, entrambi chiamati

che sono i vescovi successori degli apostoli. Perché questo grande avvenimento si compia, in tutto il suo splendore, il santo padre ha nominato delle commissioni di studio che hanno il compito di studiare gli argomenti di discussione conciliare e sono proprio gli argomenti suggeriti già dai vescovi» (ibidem). 330 Come annota lo stesso Alberigo nella prefazione alla Breve storia del concilio Vaticano II, cit., p. 8, in quello che è l’unico riferimento scritto su quell’esperienza, «sono stato impegnato a promuovere una serie di servizi televisivi sui concili del passato, trasmissioni destinate all’informazione del grande pubblico». 331 1962 Anno del concilio, Secondo Programma. Fotografia e riprese sonore: U. Marelli, M. Ekren e R. Alzati; montaggio: M. Bonotti; animazione: E. Sabatini; adat- tamento musicale: U. Giacomozzi. Per la documentazione storica veniva segnalata, oltre a Boris Ulianich e Luciana Mortari, anche Ida Mari. 332 Cfr. E. De l l a Gi o v a n n a , Anni d’Europa, in «Radiocorriere Tv», (30 set- tembre-6 ottobre 1962), 40, pp. 8-9; anche «Annuario Rai», 1962, p. 199 e «An- nuario Rai», 1963, p. 155. Il «Radiocorriere Tv» presentava così il programma sulle sue pagine: «Saranno quattro capitoli di un’ora ciascuno, frutto di un lun- go e paziente lavoro realizzato dalla regista Liliana Cavani sui testi di Giacomo Cesaro e Italo Alighiero Chiusano, rispettivamente per il primo ed il secondo capitolo, mentre gli ultimi due sono stati prodotti seguendo il soggetto preparato da Boris Ulianich con la consulenza di Mario Bendiscioli. Il risultato è un’opera condotta con mano sicura, con scrupolo obiettivo e con un’efficacia che non po- trà non giovare a chi sente ancora l’orrore di quegli anni tremendi dell’Europa, e a chi vorrebbe cercare di capire come gli uomini possano a volte accettare una legge che li spinge a compiere le azioni più orribili che la mente umana possa concepire, o che noi non potremmo mai immaginare» (De l l a Gi o v a n n a , Anni d’Europa, cit., p. 8).

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Fi g . 37. Titoli di testa della trasmissione Fi g . 38. Credits della trasmissione («1962 («1962 Anno del concilio»). Anno del concilio»).

Fi g . 39. Credits della trasmissione («1962 Fi g . 40. Credits della trasmissione («1962 Anno del concilio»). Anno del concilio»).

da Alberigo a collaborare al lavoro di documentazione storica333. Que- sta occasione fu dunque il primo contatto tra la Rai del concilio e quei giovani professori di Bologna, instaurato per il tramite del dossettia- no Gennarini334. La professionalità che riversarono in televisione nel

333 Mortari fu ufficialmente borsista dell’istituto bolognese dal novembre 1962, con Filippini. Il suo lavoro di ricerca Consacrazione episcopale e collegialità, Firenze 1969, confluì come quarto volume all’interno della collana dell’istituto «Testi e ricerche di scienze religiose» allora pubblicata dall’editore Vallecchi. Cfr. Al b e r i g o (a cura di), L’«officina bolognese», cit. 334 I primi contatti tra Gennarini e Alberigo iniziarono a gennaio 1962. Il 22 di quel mese, infatti, Alberigo gli inviò il progetto generale delle trasmissioni televisive

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curare meticolosamente e in modo scientifico la rubrica e l’apporto che diedero per una migliore comprensione della rilevanza che il mo- mento conciliare rivestiva storicamente nella vita della chiesa furono tali che la trasmissione segnò una svolta di rilievo non sottovalutabile all’interno dell’informazione televisiva sul Vaticano II. Alcuni elementi offrono la misura, in controluce, del successo del programma che ebbe il merito di far guadagnare al concilio, per la prima volta, la prima serata sulla televisione nazionale. Innanzitutto, venne mostrato un apprezzamento da parte del pubblico e della criti- ca e una soddisfazione per la riuscita della trasmissione da parte della stessa dirigenza Rai tale da permettere all’équipe di studiosi bolognesi di venire richiamati per un altro ciclo di approfondimenti, questa volta a concilio iniziato, che prese il nome di La Chiesa concilio, pensato per rendere comprensibile al grande pubblico, ma non solo335, le discus- sioni dell’assise conciliare. Un altro evidente segnale che permette ora di cogliere il successo di quella serie è il fatto che le tre puntate di 1962 Anno del concilio entra- rono anche nel meccanismo delle repliche, trasformando il testo in un «classico». Dopo la messa in onda sul Secondo Programma nel mese di settembre come ciclo preparatorio al concilio, le puntate vennero infatti riproposte nelle stesse date ma nel mese di ottobre per tutti quei telespettatori che non erano riusciti a vederle336. Il programma, replicato in seconda serata, venne promosso sul Programma Nazio- nale, riscuotendo «un successo vivissimo per i telespettatori»337 della prima rete, come riportano le critiche televisive di quei giorni. Se il se-

preparatorie al concilio. Utili per la ricostruzione di queste fasi sono le informazioni appuntate nel diario di Angelina Nicora, conservato nell’Archivio Fscire. Per un approfondimento, cfr. ora Me l l o n i , Vivere il concilio. Il diario del Vaticano II di Angelina Alberigo, in Pe r r o n i , Me l l o n i e No c e t i (a cura di), «Tantum aurora est», cit. 335 Come si vedrà nei paragrafi successivi, le analisi degli studiosi bolognesi ser- virono anche agli stessi padri come chiave di lettura per quello che stava accadendo. 336 La prima volta andarono in onda nei primi tre venerdì di settembre, rispet- tivamente il 7, il 14 e il 21, alle 21,10. Vennero poi riproposte un mese dopo, in seconda serata, sul Programma Nazionale il 7, il 14 e il 21 ottobre. 337 L. Al e s s a n d r i n i , Momenti delle telecamere, in «L’Osservatore Romano», 25 ot- tobre 1962, p. 3.

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Fi g . 41. Don Pierre Riches («1962 Anno del Fi g . 42. Giovani intervistati su cosa è un con- concilio»). cilio e cosa si aspettano dal Vaticano II («1962 Anno del concilio»).

Fi g . 43. Intervista al patriarca ecumenico Fi g . 44. Intervista al card. Bea («1962 Anno Athenagoras («1962 Anno del concilio»). del concilio»).

Fi g . 45. Intervista ad Hans Küng («1962 Fi g . 46. Intervista a Rousseau («1962 Anno Anno del concilio»). del concilio»). 190 p r e pa r a r e i t e l e s p e t t a t o r i a l c o n c i l i o

condo canale, ormai a un anno dalla nascita, fu la normale destinazio- ne iniziale del programma per la linea editoriale di approfondimento culturale che si era prefissato, la prima rete rimaneva ancora il canale televisivo per eccellenza, quello più visto, più seguito, più ufficiale. La risonanza delle personalità chiamate a intervenire nella trasmis- sione fu inoltre tale che l’«Avvenire d’Italia» decise di pubblicare i testi integrali delle interviste, il giorno dopo la messa in onda. Il quotidiano bolognese, diretto da Raniero La Valle dal 1961 al 1967 e in stretto contatto con il gruppo dossettiano, seguì molto attentamente l’infor- mazione televisiva sul concilio e in particolare questa serie di appro- fondimenti. L’8 settembre vennero quindi riproposti sulle pagine del giornale cattolico gli interventi del card. Bea, del patriarca ortodosso Athenagoras, del segretario del Consiglio ecumenico delle chiese di Ginevra Visser’t Hooft e la breve dichiarazione del pastore luterano Asmussen di Hildeberg338; sabato 15, invece quelli di Congar, Leclercq, Brezzi, Rousseau, Küng, Jedin, quelli dell’ortodosso Karmiris, del pro- testante Meinhold e dell’arcivescovo di Monaco Döpfner339, futuro moderatore del concilio; mentre il 22, vennero trascritti e pubblicati gli interventi di Lazzati, La Pira, di p. Aubert, di p. Daniélou, del pastore protestante Schütz e del card. Lercaro340, arcivescovo di Bologna, che chiuse simbolicamente la terza e ultima puntata. Tanti altri però eb- bero modo di partecipare e intervenire alla trasmissione341: don Pierre Riches nel ruolo di guida in questo viaggio televisivo nella storia dei concili, padre Louvel, lo stesso La Valle, mons. Colombo e un giovane Panikkar, allora cappellano della R.U.I., la residenza universitaria in- ternazionale a Roma dell’Opus Dei. Davanti alle telecamere Rai passò così tutta la filiera delle giovani menti teologiche di quegli anni, il gotha dei teologi e degli storici cattolici342, quelli che avevano riflettuto sui problemi della chiesa e spesso per quelle idee erano stati colpiti da una condanna del Sant’Uffizio durante il pontificato di Pio XII.

338 Un Concilio importante per tutti, in «Avvenire d’Italia», 8 settembre 1962, p. 3. 339 I Concili non hanno tutti lo stesso peso, in «Avvenire d’Italia», 15 settembre 1962, p. 3. 340 Una sfida e un’occasione, in «Avvenire d’Italia», 22 settembre 1962, p. 3. 341 Fscire, fondo Alberigo, trasmissioni televisive, Concilio Vaticano II. 342 Come li definisce Al b e r i g o nella sua Breve storia del concilio, cit., p. 9.

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Fi g . 47. Intervista al pastore luterano Asmus- Fi g . 48. Intervista a p. Louvel («1962 Anno sen («1962 Anno del concilio»). del concilio»).

Fi g . 49. Intervista a p. Leclercq («1962 Anno Fi g . 50. Intervista a Hubert Jedin («1962 del concilio»). Anno del concilio»).

Fi g . 51. Hubert Jedin parla del concilio di Fi g . 52. Dettaglio del volume di Jedin sul con- Trento («1962 Anno del concilio»). cilio di Trento («1962 Anno del concilio»).

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Alberigo mise dunque a frutto in quel ciclo di trasmissioni tele- visive una parte di quei contatti con i maestri dell’ecumenismo delle facoltà teologiche e dei centri di studi internazionali, risultato degli incontri per il lavoro di ricerca di quegli anni e che – dopo l’annuncio del concilio – si erano consolidati diventando più sistematici e rive- lando così l’estrema fecondità di quegli scambi, in un cattolicesimo italiano che, come scrive lo stesso Alberigo, «viveva abitualmente un po’ troppo chiuso in se stesso»343. Proprio quel «clima ecumenico» di lavoro fu per Alberigo un dato costitutivo dell’esperienza del Centro in quegli anni344. Alcuni di quegli studiosi europei (Colombo, Rousse- au, Leclercq, Panikkar, De Lubac, Chenu, Vagaggini) Alberigo li aveva infatti conosciuti all’istituto bolognese, chiamati da Dossetti a tenere seminari e lezioni per la formazione dei ricercatori; altri erano quei maestri (Jedin, Cantimori, Beck, Cullmann) presso i quali li mandava per soggiorni di ricerca345. Allo stesso tempo, non va sottovalutata proprio il lavoro preparatorio delle puntate televisive, perché per par- te sua offrì l’occasione di intessere rapporti con quegli studiosi con cui ancora non si era instaurato un precedente contatto, legami che si sarebbero consolidati poi nel corso degli anni. Un’ulteriore esperienza che segnò profondamente Alberigo e gra- zie alla quale ebbe la possibilità di approfondire la questione ecumeni- ca e di intessere quelle relazioni utili poi per l’organizzazione televisiva delle puntate, era stata la partecipazione alla Conferenza cattolica per le questioni ecumeniche del settembre del 1960. Quell’anno si tenne a Gaz- zada in provincia di Varese e Alberigo, tramite il benedettino Leclerq e Jedin, sua guida per gli studi sul concilio di Trento, fu invitato all’in- contro. Lo racconta lo stesso Alberigo nella premessa alla sua Breve storia del concilio Vaticano II:

Come un buon cattolico italiano ero però presso che digiuno di ecu- menismo. Anche durante i miei soggiorni di studio in Germania avevo con-

343 Ibidem, p. 8. Cfr. anche Id., Agli albori dell’ecumenismo cattolico, in E. Cu r z e l (a cura di), In factis mysterium legere. Miscellanea in onore di I. Rogger, Bologna 1999, pp. 209- 233 e Ve l a t i , Una difficile transizione, cit. 344 Cfr. Me l l o n i , Appunti per un percorso biografico, cit., p. 673. 345 Cfr. Al b e r i g o (a cura di), L’«officina bolognese», cit., pp. 33-48.

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tatti solo con ambienti cattolici. Lo stimolo ricevuto da Giuseppe Dossetti sull’importanza della tradizione orientale del cristianesimo per me era molto importante, dato che infrangeva e dilatava un orizzonte di esperienze e di studi quasi tutto endo-cattolico. […] La partecipazione all’incontro della Conferenza per le questioni ecumeniche nel settembre del 1960 è stata al- lora il mio noviziato sui problemi delle divisioni tra cristiani. Da Agostino Bea a Willebrands, da Fr. Thijssen a Bernard Alfrink, da Olivier Rousseau a Pierre Duprey e a Emanuel Lanne, da Yves Congar a Hans Küng e a Char- les Moeller, c’era il gotha dei teologi cattolici impegnati nella promozione di un rinnovamento dell’atteggiamento di Roma verso le altre comunità cri- stiane346.

Fu in quell’occasione, per esempio, che conobbe Yves Congar, in- tervistato in seguito sul rapporto tra i quattro Vangeli e i primi quattro concili nella storia della chiesa, approfondendo poi quello calcedone- se, nel corso della seconda puntata di 1962 Anno del concilio dedicata 347 a Le grandi crisi . L’intervistatore andò a Strasburgo, dove viveva e insegnava, e il domenicano ebbe così la prima occasione di presentare le sue riflessioni ai telespettatori italiani, spiegando la natura contem- poraneamente divina e umana della chiesa, nel suo essere nella storia:

Questo paragone dei primi quattro concili con i primi quattro vangeli è molto poetico, molto espressivo, ma non ha evidentemente un valore dog- matico. Tutti sanno in effetti che i vangeli sono veramente ispirati, mentre i concili sono semplicemente assistiti dallo Spirito Santo. Così le parole molto celebri e belle di san Gregorio Magno non mirano a mettere i concili e i van- geli esattamente sullo stesso piano. Ciò ha un significato, io credo, profondo e cioè che non si possono mettere tutti i concili esattamente sullo stesso pia- no. È evidente che questi primi quattro concili che sono come le assise della dogmatica cristiana, sono più importanti di taluni concili medievali che sono tanto concili politici quanto concili religiosi. In realtà allora è stato gettato il fondamento della fede nella santa trinità e nell’incarnazione. È così vero che la chiesa non ha mai sentito il bisogno di aggiungere al credo dei concili di Nicea e di Costantinopoli delle precisazioni concernenti ad esempio l’euca- restia o il primato papale, e ciò perché questo simbolo è completo. Questo

346 Al b e r i g o , Breve storia del concilio, cit., pp. 8-9. 347 ATR, C1451, 14.09.1962 (14.10.1962), 47’ 17’’. Per ripercorrere i fecondi contatti di collaborazione tra Congar, Lercaro, Dossetti e il gruppo bolognese du- rante gli anni di concilio, cfr. G. Al b e r i g o , P. Congar, Dossetti e l’«officina bolognese», in «Cristianesimo nella storia», 24 (2003), 1, pp. 154-165.

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Fi g . 53. Intervista a p. Yves Congar («1962 Fi g . 54. Intervista a p. Jean Daniélou («1962 Anno del concilio»). Anno del concilio»).

può avere un grande interesse quando si pensa alla riunione con gli ortodos- si orientali che, come sapete, sono attaccati in modo estremamente grande ai primi sette concili ecumenici che ci sono in comune con essi. Io ritengo che la nostra tradizione cattolica ci permette di dare più valore a certi concili piuttosto che ad altri e ciò può rivestire, lo ripeto, una notevole importanza. Poiché voi mi invitate, vorrei dire una parola sull’opera mirabile del concilio di Calcedonia. Calcedonia ha formulato il dogma di Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo. Ci sembra una cosa naturalissima, perché oggi è una verità ben riconosciuta, ma è stata assai difficile a concepirsi e a precisarsi. Ora questo dogma del Cristo vero Dio e vero uomo, può avere una grande importanza anche per la chiesa, alla quale si deve riconoscere senza alcun dubbio qual- che cosa di divino. Non si può ridurre infatti la chiesa semplicemente a delle causalità umane, a dei fenomeni umani, sociologici e storici. Ma nello stesso tempo la chiesa è veramente umana. Ed è assai importante sapere che la chiesa ha una vera storia. Non certo alla maniera di alcune vite di santi in cui pare che già nelle loro prime settimane di vita essi abbiano conosciuto la santa trinità e praticato le austerità cristiane. Non è vero. Non è stato mai così. Sono stati degli uomini, hanno appreso con difficoltà le vie del cristia- nesimo e del fervore. E ugualmente la chiesa non riceve la verità attraverso una ispirazione esclusivamente divina, ma deve anche cercarla. La chiesa è anche veramente umana, ha una sua storia umana, generalmente bella, talo- ra meno bella, qualche volta persino troppo umana. E noi ne soffriamo. Ma queste sono le condizioni dell’incarnazione dell’opera di Dio sulla terra348.

È interessante notare come proprio sulle pagine della «Rivista del cinematografo», il primo periodico cattolico dedicato al cinema e fon-

348 Ibidem.

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dato nel 1928349, venne avanzata una sottile critica originata proprio dalle personalità chiamate a intervenire, che prese però indirettamente la forma di una riserva sull’impianto della trasmissione: l’analisi di Fer- ruccio Fantone trascurava di commentare in dettaglio il fatto di portare tematiche appartenenti a un sapere specialistico in televisione in pri- ma serata e tralasciava di riflettere su che tipo di informazione storico- religiosa fosse possibile veicolare in televisione, per concentrarsi con più attenzione sulla regia, sulla grammatica del linguaggio televisivo, sul ritmo di quei cinquanta minuti. Pur lodando, infatti, il programma, «a cui va il merito di aver avviato con serietà e competenza il non facile discorso» di una efficace sintesi storica dei concili, «resa in immagini da una suggestiva serie di antiche stampe», si faceva notare però come non si fosse riuscito a «rendere sufficientemente vivace il tono generale della trasmissione». La serie, continuava Ferruccio Fantone, risentiva infatti «dell’eccessivo numero di interlocutori», concludendo che «qualche col- po di forbice in più, in sede di montaggio, non avrebbe certo danneg- giato la realizzazione»350. In realtà, proprio le personalità chiamate da Alberigo a partecipa- re alla sua trasmissione, come indicato già nella bozza del programma che circolò in giugno, furono l’elemento in più, il valore aggiunto alla ricostruzione della storia dei concili apportato dal pensiero di eminen- ti studiosi i quali, di lì a poco, sarebbero diventati i grandi protagonisti dell’evento conciliare, nella veste di periti o teologi di fiducia di sin- goli vescovi o di interi episcopati. In questo senso può essere letta la scelta dell’«Avvenire d’Italia» di pubblicare i testi delle loro riflessioni televisive pensate non solo per il mercato italiano. La redazione ave-

349 Per un approfondimento sulla storia della rivista, cfr. P. Di Ma r i a , La «Rivista del cinematografo», in Nuovi materiali sul cinema italiano 1929-1943, Quaderno informati- vo n. 71, XII Mostra Internazionale del Nuovo Cinema, Pesaro 1976; La «Rivista del cinematografo». Settanta anni al servizio del cinema di qualità, 1928-1998, Roma 1999; E. Mo s c o n i (a cura di), Nero su Bianco. Le politiche per il cinema negli ottant’anni della «Rivista del cinematografo», Roma 2008; E. Bi a s i n , Il senso critico della «Rivista del cinematografo». Nascita del primo periodico cattolico dedicato al cinema (1928-1937), in «Immagine. Nota di Storia del Cinema», 51 (2002), pp. 15-22; Fa n t o n e , I mezzi audiovisivi e il concilio ecumenico, cit., p. 335. 350 Ibidem.

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va infatti preparato anche una quarta puntata solo di interviste nella quale vennero fatte confluire alcune di quelle utilizzate durante le tra- smissioni e alcune inedite, che, come si legge nella scheda anagrafica interna Rai, furono appositamente registrate per l’estero – per questo non doppiate – e con l’esplicita nota di non usarle come semplice repertorio351.

9.1. «1962 Anno del concilio». La struttura delle puntate e la ricezione della stampa

Lo scopo della trasmissione era non solo quello di illustrare i fatti che avevano preceduto l’annuncio del concilio e la complessa organiz- zazione delle fasi preparatorie, ma anche quello di porsi come qual- cosa di più della semplice trasmissione didattica e didascalica352, senza paura di toccare quei nervi scoperti e le questioni fondamentali che si sarebbero presentati di lì a poco in concilio. Ciò che stava più a cuo- re al gruppo bolognese, ricompattato attorno alla vicenda conciliare, erano infatti le forme di governo della chiesa, il tema sinodale, pro- blemi storiografici che saranno «l’asse dell’attività scientifica» di una vita, per lo meno per Alberigo, e che diventarono la molla e la chiave di lettura anche per la serie televisiva: la scelta delle personalità da in-

351 Cfr. ATR, C1453, 00.00.62. Sulla scheda anagrafica della trasmissione con- servata nell’ATR, accanto alla nota «da non usare come repertorio» si fa riferimento a una lettera del dr. Tellini del 25.11.1962. Vennero così intervistati: il teologo lutera- no Hans Christian Asmussen, il monaco protestante Roger Schutz, il teologo Peter Meinhold, lo storico belga Roger Aubert, Visser’t Hooft, Yves Congar, il card. Julius Döpfner, il card. , Oliver Rousseau, François Louvel, Ioannis Karmi- ris, Hubert Jedin, Jean Daniélou, Jean Leclercq. La scarsa familiarità con questi che erano i più importanti teologi del Novecento può essere riscontrata nei sistematici errori di scrittura dei nomi nelle schede e nelle sceneggiature conservate nelle Teche Rai – non solo nella prima stesura, ma anche nelle correzioni fatte a fianco a biro – o nel fatto che il semplice titolo di «dottore» fosse l’equivalente di uno studioso «laico» in opposizione a «religioso». 352 Come anticipato anche nel piano delle trasmissioni diffuso a giugno, dove compariva una breve sintesi del progetto che avrebbe portato alla realizzazione della trasmissione. Cfr. ASV, Conc. Vat. II, 566.

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tervistare furono il frutto di questa idea di base353, al cui fondo vi era il modus operandi tipico dello studioso. Si cercava di capire e, come in un’aula universitaria affollata di giovani studenti, di far capire l’evento con gli strumenti che lo storico è abituato ad usare. Il modo migliore per prepararsi al concilio era infatti quello di studiare i concili passati e la storiografia conciliare problematizzandola. Venivano così spiegati i concili antichi e le questioni fondanti nella loro realtà storico-religiosa ricorrendo all’autorevolezza e alla capacità di analisi dei più importan- ti studiosi del campo. Il ciclo curato da Alberigo, come riportò «L’Os- servatore Romano» nelle sue pagine proprio l’11 ottobre, «seppur nei limiti delle tre trasmissioni […] è venut[o] ad assumere la fisionomia di una piccola storia della Chiesa»354. La serie ebbe come temi principali Cosa è un concilio355, Le grandi crisi 356 e La Chiesa del nostro tempo357, rispettivamente indicati nei titoli delle tre singole puntate. Dopo una prima carrellata sulle aspettative riposte nella celebrazione prossima del Vaticano II (Bea, La Valle, Athenagoras, Visser’t Hooft), la rigorosa cronologia storica delle vi- cende della chiesa, riletta attraverso le assise conciliari, presentava così ai telespettatori nei primi due appuntamenti televisivi la storia dei con- cili dal Niceno I del 325 fino a quelli medievali, con alcuni interventi memorabili: Asmussen sulle decisioni di Efeso, Congar sul concilio di Calcedonia, Leclercq sulle conseguenze della divisione tra chiesa d’Oriente e chiesa d’Occidente, Karmiris sullo scisma del 1054, Küng sul Lateranense V, Meinhold sulla predizione di Lutero, fino ad arriva- re all’analisi di Jedin sui decreti del tridentino («il motivo di fondo che sottende tutti i decreti di riforma del concilio di Trento è racchiuso in una frase: salus animarum suprema lex esto, la legge suprema deve essere quella della salvezza delle anime»).

353 Cfr. Pr o d i (a cura di), Forme storiche di governo nella Chiesa universale, cit., in part. pp. 7-26 e 207-225. 354 I servizi della Radio-Televisione italiana per il concilio Vaticano II, in «L’Osservatore Romano», 11 ottobre 1962, p. 13. 355 ATR, C1450, 7.09.1962 (07.10.1962), 52’ 25’’. 356 ATR, C1451, 14.09.1962 (14.10.1962), 47’ 17’’. 357 ATR, C1452, 21.09.1962 (21.10.1962), 50’ 20’’.

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Fi g . 55. Titoli di testa della trasmissione Fi g . 56. Titoli di testa della trasmissione («1962 Anno del concilio»). («1962 Anno del concilio»).

Fi g . 57. Mappa dei primi concili. Elaborazio- Fi g . 58. Riches parla dello scisma tra Roma e ne grafica («1962 Anno del concilio»). la chiesa d’Oriente («1962 Anno del concilio»).

La terza, che completava il quadro storico dei venti concili che si erano svolti in duemila anni di storia della chiesa, si soffermava sull’ultimo, il Vaticano I, aperto nel 1869 da Pio IX e convocato sem- pre nella basilica di San Pietro, presentato da Roger Aubert, il quale concentrò la sua analisi in particolare sul dogma dell’infallibilità papa- le358. Concludeva la puntata un excursus sul Novecento, dove venivano esplorate le problematiche nuove dell’uomo contemporaneo a cui la chiesa, alla vigilia del concilio Vaticano II, stava per essere chiamata

358 Ibidem.

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a dare risposte: dalle aspettative del Terzo mondo alle nuove conqui- ste della scienza, dal problema della guerra fino alle attese dei popoli non cristiani e del mondo cristiano orientale. Panikkar, per esempio, venne ascoltato sulle sfide che la fine dell’esclusivo dominio cultura- le, politico e religioso europeo poneva alla chiesa degli anni Sessanta («che cosa aspetta il mondo cristiano non occidentale, a nome del quale mi sono permesso di fare questa osservazione, di questo conci- lio? Direi molto semplicemente che aspetta il messaggio di un Cristo che non venga dal di fuori di essi, che non sia forestiero ma […] un Cristo ignudo, senza rivestimenti»)359, mentre Lercaro approfondì il tema della Parola di Dio come fattore di unione per tutti i cristiani e sul rifiorire anche all’interno della chiesa cattolica, del contatto diretto con le Sacre scritture. Dagli interventi pronunciati da padre Daniélou dell’Institut Ca- tholique di Parigi, da Roger Schutz, priore della comunità di Taizé360, da La Pira, da Rousseau, monaco dell’abbazia di Chevetogne361, e da Fischer, il pubblico dei teleschermi poté così cogliere «nelle loro paro- le il senso d’una speranza, tesa al di là dei confini geografici e politici o delle barriere linguistiche ed etniche, per accomunare e affratellare nell’ora intensa della vigilia i popoli della intera Cristianità»362. La cri- tica televisiva pubblicata dal quotidiano della Santa Sede concludeva la sua analisi rilevando proprio la ricchezza apportata in video con la chiamata di quei giovani studiosi: La trasmissione – a cui hanno preso parte alcuni dei più illustri teolo- gi e storici della Chiesa – si è rivelata inoltre estremamente utile per tutti coloro che ignoravano o conoscevano solo approssimativamente la storia della Chiesa e dei Concili ecumenici. Essa ha contribuito così ad accrescere la partecipazione e l’attesa dei fedeli per un memorabile evento che – ne

359 Ibidem. 360 Un’analisi della comunità di Taizé negli anni della preparazione conciliare è ora in S. Sc a t e n a , «Vivre l’aujourd’hui de Dieu». Taizé 1959-1962, in A. Me l l o n i (a cura di), Tutto è Grazia. In omaggio a Giuseppe Ruggieri, Milano 2010, pp. 253-282. 361 Cfr. ad esempio E. La n n e , Il ruolo del monastero di Chevetogne al concilio Vaticano II, in «Cristianesimo nella storia», 27 (2006), 2, pp. 513-546. 362 L. Al e s s a n d r i n i , Momenti delle telecamere, in «L’Osservatore Romano», 26 set- tembre 1962, p. 3.

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Fi g . 59. Intervista a Raniero La Valle Fi g . 60. Intervista a Raimon Panikkar («1962 Anno del concilio»). («1962 Anno del concilio»).

Fi g . 61. Intervista a Raimon Panikkar Fi g . 62. Intervista al card. Julius Döpfner («1962 Anno del concilio»). («1962 Anno del concilio»).

siamo certi – lascerà la sua impronta nella storia contrastata e drammatica del ventesimo secolo.

Le tre puntate, in 150 minuti totali, cercavano quindi di mettere a fuoco le prospettive che con più urgenza si presentavano alla cristia- nità, chiarendo anche il problema dell’unità dei cristiani, perché, come disse papa Giovanni XXIII, se anche il Vaticano II non poteva essere un concilio di unione ma un concilio per l’unione, la grande speranza era vedere «una Chiesa splendidamente diversa nei suoi riti, nelle lin- gue, nel tempo, nei popoli, una fiamma unica di fede e di disciplina». Il 26 settembre sempre il quotidiano della Santa Sede riportò una riflessione conclusiva sulla trasmissione a firma di Ludovico Alessan-

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drini, curatore della rubrica Momenti delle telecamere e collaboratore della «Rivista del cinematografo»:

La trasmissione […] è valsa ad esercitare sin dagli inizi – grazie alla sua limpida e penetrante vivacità – un largo potere d’attrazione sui telespetta- tori italiani che hanno avuto la possibilità di intendere, con chiarezza sulla scorta di oggettive e attendibili testimonianze, il senso, la natura e il carattere dell’imminente concilio Ecumenico363.

Alessandrini, che dalla metà di ottobre venne chiamato a collabo- rare proprio con Luca Di Schiena alla rubrica settimanale Diario del Concilio in onda sul Programma Nazionale, non era la prima volta che scriveva su questa trasmissione: aveva parlato a proposito della rubrica di Alberigo già qualche settimana prima, il 19 settembre, sempre nello spazio che «L’Osservatore Romano» dedicava alla critica televisiva. In quel pezzo, scrivendo a proposito della programmazione televisiva delle sere precedenti, non aveva lesinato critiche e non si era rispar- miato sull’aggettivazione: la Taverna dei sette peccati con John Wayne e Marlene Dietrich si era valso il giudizio di essere «un film di levatura assai modesta, che non ha certamente contribuito ad arricchire e ad elevare il tono uggioso e scialbo della serata»; il western La donna di fuoco si era meritato un «truculento e mediocrissimo, punteggiato da inutili sparatorie»; la rubrica L’amico del giaguaro era stata «come sem- pre di una piattezza e d’una banalità sconcertante […] a dispetto della costosa messinscena» e anche se l’adattamento televisivo del dramma Ore disperate di Hayes era stato giudicato passabile, comunque aveva mostrato tutti i «suoi limiti e le sue cascaggini364. In conclusione, il rientro dalla leggera programmazione estiva, per «L’Osservatore Romano», si stava rivelando assai più lento del previ- sto. Non fu il caso tuttavia della programmazione conciliare proposta dalla Rai sui suoi canali, che visse proprio nei mesi di settembre e ottobre il climax dell’impegno palinsestuale. Dopo la messa in onda dei primi due appuntamenti settembrini di 1962 Anno del concilio Ales-

363 Ibidem. 364 L. Al e s s a n d r i n i , Momenti delle telecamere, in «L’Osservatore Romano», 19 set- tembre 1962.

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sandrini in quello stesso articolo scrisse, infatti, che quelle puntate «hanno esercitato un potere d’attrazione vivissimo sul pubblico dei teleschermi, dapprima incuriosito e, in un secondo tempo, sincera- mente avvinto ed interessato dalla vastità e dalla portata intrinseca dell’argomento»365, merito anche di una equa attenzione agli elemen- ti contenutistici e a quelli formali: «una ottima concisione analitica, scelta di immagini penetranti ed essenziali, limpidezza espositiva dei teologi e degli storici intervistati, grande dignità stilistica, che ci ha gradevolmente e insperatamente sorpreso», per concludere che «[…] a nostro avviso [si] apre una data memorabile nella storia delle tra- smissioni religiose italiane»366. La recezione della trasmissione da parte della stampa cattolica si rivelò dunque essere molto positiva, come si può osservare proprio dalla proposta sulle pagine dei quotidiani. Se «L’Osservatore Roma- no» il 7 settembre in un box speciale avvisò i suoi lettori della messa in onda serale della prima puntata di Alberigo367, e il «Radiocorriere Tv» di settembre lo fece con un articolo di Sandro Carletti a tutta pagina, Il ciclo di trasmissioni sul Secondo Tv. Concilio del XX secolo368, l’«Av- venire d’Italia», in anticipo su tutti, annunciò la programmazione una prima volta il 24 giugno quando presentò a tutta pagina il piano delle trasmissioni conciliari369, riprendendo la notizia il 31 agosto con l’arti- colo Dal 7 settembre Concilio alla Tv370 e riportando in anteprima anche il lungo elenco di eminenti personalità del mondo cattolico, ortodosso e protestante che avrebbero partecipato alla trasmissione. La segnala- zione venne poi riproposta il giorno prima della messa in onda, gio- vedì 6 settembre, con l’articolo Da domani trasmissioni sul Concilio371 e infine il giorno stesso: il quotidiano infatti a metà pagina pubblicò la

365 Ibidem. 366 Ibidem. 367 Una rubrica televisiva, «Vaticano II», in «L’Osservatore Romano», 7 settembre 1962, p. 2. 368 S. Ca r l e t t i , Il ciclo di trasmissioni sul Secondo Tv. Concilio del XX secolo, in «Ra- diocorriere Tv», (9-15 settembre 1962), 37, p. 40. 369 Telecamere sul concilio, in «Avvenire d’Italia», 26 giugno 1962, p. 5. 370 Dal 7 settembre Concilio alla Tv, in «Avvenire d’Italia», 31 agosto 1962, p. 5. 371 Da domani trasmissioni sul concilio, in «Avvenire d’Italia», 6 settembre 1962, p. 5.

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foto del patriarca di Costantinopoli, sotto il titolo: Atenagora stasera alla Tv. Nel breve pezzo si rifaceva nuovamente l’elenco degli studiosi che avrebbero parlato nel corso di quella prima puntata, riportando, per la prima volta, non solo il nome del curatore ma anche nominando l’istituto di ricerca bolognese fondato da Dossetti:

l’intero ciclo è curato e realizzato dal prof. Alberigo, del Centro di Docu- mentazione di Bologna, il noto istituto che da anni si occupa dei problemi di storia della Chiesa372.

10. Regolare l’informazione: l’Ufficio stampa del concilio e gli ultimi aggiorna- menti ai giornalisti

Quando il 5 ottobre del 1962 alle ore 12 veniva ufficialmente inau- gurata la nuova sede dell’Ufficio stampa del concilio fu evidente a tutti quanto la chiesa avesse compreso come non fosse più praticabile nella società degli anni Sessanta gestire le informazioni secondo le abitudini del passato. Nel secolo dei media non era possibile, infatti, pensare di distribuire le notizie sul concilio con il contagocce o limitarsi alle pubbli- cazioni de «L’Osservatore Romano» e ai notiziari di Radio Vaticana, come se la stampa laica non esistesse. I commentatori cinetelevisivi, infatti, già da tempo si erano allertati prevedendo «naturalmente, anche una gran- de affluenza di molti inviati speciali e non della sola stampa cattolica»373. Il concilio di Trento si era chiuso dopo numerose interruzioni nel 1563, nell’anno in cui sui muri di Venezia veniva appeso uno dei primi avvisi, facendo la gioia degli studiosi di etimologia perché quel foglio di notizie fu venduto a una «gazeta», la moneta d’argento del valore di due soldi (da lì a dare il nome di «gazzetta» a quei primi fogli a stampa di inizio Seicento il passo fu breve)374 mentre, come scrive Masina, il

372 Atenagora stasera alla Tv, in «Avvenire d’Italia», 7 settembre 1962, p. 8. 373 ASL, Antivigilia del concilio, di A. Petrucci, doc. 14’ 06’’. 374 Cfr. P. Mu r i a l d i , Storia del giornalismo italiano, Bologna 1996, pp. 9-10; A. Va r n i (a cura di), Storia della comunicazione in Italia, cit. e l’ormai classico V. Ca s t r o - n o v o e N. Tr a n fag l i a (a cura di), Storia della stampa italiana, vol. I, La stampa italiana dal 500 all’800, Roma-Bari 1976.

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Vaticano I si era celebrato quando l’influenza della carta stampata era ormai indiscutibile375. Il Vaticano II si aprì invece sotto gli occhi di più di 1200 giornalisti accreditati presso la Santa Sede e provenienti da tutti e cinque i continenti. I servizi radiotelevisivi della Rai venne- ro utilizzati e diffusi da altri 66 differenti organismi internazionali. Il flusso di notizie e la copertura sull’evento che l’opinione pubblica si aspettava era dunque notevole. L’ultimo concilio aveva effettivamente contribuito a dare la misura e i limiti della censura e del segreto ecclesiastico, con effetti imprevisti. Nonostante la stampa avesse ormai una diffusione internazionale, la mancanza di un centro di gestione e diffusione delle informazioni da parte della Santa Sede ebbe come effetto che i giornalisti interessati al concilio andarono alla ricerca di notizie «attingendole troppo spes- so a fonti avvelenate da passioni di parte»376. La polemica o gli scoop avanzati nei loro articoli non riuscirono a essere fermati nemmeno dalla corsa ai ripari di padre D’Alzon, il fondatore degli Agostiniani dell’Assunzione, che, con le sue 400 lettere spedite ai vari paesi e pen- sate come bollettini e notiziari sul concilio, rivelava in realtà ancora di più tutti i limiti della sua azione. Anche la «Rivista del cinematografo», presentando la copertura che i mezzi radiotelevisivi stavano offrendo al Vaticano II, aprì un articolo sull’argomento citando le parole di Luis Veuillot che, nel suo diario del Vaticano I, commentava abba- stanza duramente l’atteggiamento di «quegli estranei che qui stanno bracando», concludendo in modo lapidario: «io dico di tutti costoro che non sanno niente o raccontano bubbole»377.

375 Cfr. E. Ma s i n a , Nota del curatore, in H. Fe s q u e t , Diario del Concilio, Milano 1967, p. XIV. 376 F. Va l l a i n c , L’Ufficio stampa dell’Assemblea Ecumenica, in «L’Osservatore Ro- mano», 11 ottobre 1962, p. 2. 377 «Uno strano errore, per non dire una strana impertinenza commettono que- sti estranei che qui stanno bracando, nel credere che tanti uomini santi, accorsi da ogni angolo della terra, ascolteranno suggestioni personali e si svieranno dalla strada del Vangelo per imboccarne un’altra. […] Io dico di quelli che risanno per filo e per segno tutte le voci che corrono intorno a questa assemblea, che fiutano le dicerie raccolte o perdute nelle riunioni preparatorie, che sono a giorno di certi intendimenti e di certi tentativi per legare la nave e trattenerla nel porto, o tracciare una rotta con-

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Per evitare dunque di lasciare il concilio in mano alla stampa mondiale e dato il particolare rapporto che si era instaurato tra papa Giovanni XXIII e i giornalisti fin dai primi giorni di pontificato378, si pensò a come permettere e agevolare la stampa nel seguire le fasi della preparazione prima e dello svolgimento poi del concilio. Fu lo stesso Tardini ad annunciarlo durante quella che è ricordata come la prima conferenza stampa nella storia della Santa Sede, il 30 ottobre 1959379. Che si stesse già lavorando per capire come organizzare il rapporto con la stampa in vista del concilio è testimoniato dal flusso di lettere che arrivarono alla Segreteria del concilio già dall’aprile di quell’anno, appena tre mesi dopo l’annuncio a San Paolo. Si instaurò infatti uno fitto giro di corrispondenza tra alcuni importanti giornalisti ed emi- nenti prelati proprio sul problema dell’informazione. Il card. Spellmann, per esempio, inoltrò il 25 maggio 1959 al se- gretario di Stato Tardini la risposta del 14 aprile ricevuta da Neil Mac- Neil, perché riteneva che le riflessioni di quest’ultimo dovessero es- sere portate a conoscenza di Roma, visto che il giornalista americano non solo era «one of the most distinguished journalist in the United States», ma anche «an exemplary Catholic»380. Neil MacNeil era stato assistente caporedattore del «New York Times», padre dell’omonimo

forme alla loro fantasia, io dico di tutti costoro che non sanno niente o raccontano bubbole». Cfr. Fa n t o n e , I mezzi audiovisivi ed il concilio, cit., p. 334. Anche L. Ve u i l l o t , Roma e il concilio, Brescia 1963. 378 Cfr. per una esauriente panoramica, Ma r a z z i t i , I papi di carta, cit. e Ru o z z i , L’icona Giovanni XXIII, cit. Commenti e testimonianze sul rapporto nuovo che si instaurò tra giornalisti e media, in Ro s s i , È tutto per stasera, cit. e La Va l l e , Essere giornalisti al tempo di papa Giovanni, cit., pp. 575-581. 379 Prima della costituzione dell’Ufficio stampa del concilio, era il servizio stam- pa de «L’Osservatore Romano» diretto da Luciano Casimirri che svolgeva da punto di incontro tra i vaticanisti, le agenzie di stampa e il Vaticano stesso. Appena dopo le 13, veniva diramato un bollettino con le notizie ufficiali, gestito dunque dalla reda- zione del quotidiano della Santa Sede, e, tramite Federico Alessandrini, dalla segre- teria di Stato. Cfr. A. Za n a r d i La n d i e G.M. Vi a n (a cura di), Singolarissimo giornale. I 150 anni dell’«Osservatore romano», Torino 2010. 380 ASV, Conc. Vat. II, 588, Segreteria generale. Lettera di Spellman a Tardini, 25.05.1959. A biro sulla lettera è riportato l’appunto: «organizzazione stampa per il concilio».

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Neil MacNeil, firma dello stesso quotidiano, del «Time Magazine» e primo corrispondente televisivo dal Congresso381. Spellman nel marzo-aprile del 1959 lo aveva contattato per ave- re qualche idea sulla «press coverage of the Ecumenical Council». MacNeil gli rispose con tre pagine fitte scritte a macchina su come, secondo la sua esperienza nel mondo del giornalismo, i rapporti con la stampa e gli organi radiotelevisivi avrebbero dovuto essere organiz- zati, ma, soprattutto, non sottovalutati:

I realize that it will be some time before the Council meets but I want to stress that the planning for press, radio, and television coverage should be considered with the choice of a site for the Council and the facilities it provides and not left for improvisation at the last minute382.

Da navigato esperto dei meccanismi di creazione della notizia, sapeva bene come ragionavano i gatekeepers e come funzionava la new- sworthiness di un avvenimento. Aveva toccato con mano come la fi- gura del giornalista non fosse da intendere solo come longa manus del sistema dell’informazione, ma come il vero e proprio creatore della notizia, colui che gli dà forma383. Il concilio, per l’interesse che stava suscitando nell’opinione pub- blica, era di per sé un grande evento, dunque notiziabile. Non solo MacNeil aveva previsto, infatti, già nel 1959 come poi sarebbe av- venuto, la partecipazione a Roma di più di mille corrispondenti, ma riteneva che «as a news story it should surpass the United Nations Conference in San Francisco»384. Per soddisfare dunque gli scopi che si proponeva il concilio oc- correva «make it vital that its deliberations and decisions be reported correctly and fairly to the world», poiché molti di questi corrispon- denti non avrebbero saputo probabilmente interpretare il tipo di deci- sioni deliberate dall’assise conciliare, con la conseguenza che

381 Nel periodo a cui risale questa corrispondenza, Neil MacNeil si era appena ritirato dal mondo del giornalismo. 382 ASV, Conc. Vat. II, 588, lettera di MacNeil a Spellman, 14.04.1959. 383 Per un approfondimento dei termini, cfr. Pap u z z i , Professione giornalista, cit., in particolare il capitolo sulla Notizia giornalistica. 384 ASV, Conc. Vat. II, 588, lettera di MacNeil a Spellman, 14.04.1959.

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if the deliberation and the decisions of the Council are not explained pro- perly to the non-Catholic world the Council must necessarily fail and this golden opportunity for Church Unity lost for another millennium.

MacNeil passava così poi in rassegna tutte le avvertenze, dalle più pratiche a quelle più formali, che le autorità vaticane avrebbero do- vuto predisporre ai fini di agevolare i giornalisti e di conseguenza la loro comprensione dell’evento, prevedendo due potenziali tracce da seguire: nel caso in cui le sessioni fossero state aperte al pubblico e nel caso in cui invece non fossero state pubbliche385. Confermando le previsioni di MacNeil, l’attenzione dei gior- nalisti cominciò a essere pressante, al di là delle notizie veicolate, fin dalla prima fase della preparazione. Nella conferenza stampa di mons. O’Connor indetta il 25 giugno 1960 per spiegare i compiti dell’istituzione del Segretariato dei mezzi di divulgazione del pen- siero, i giornalisti americani, infatti, dopo alcune domande introdut- tive, ne approfittarono per chiedere ciò che a loro stava più a cuore, ovvero se tale Segretariato si sarebbe occupato anche di facilitare l’uso delle tecniche di diffusione in relazione al futuro concilio; se, cioè, avrebbe altresì gestito la riorganizzazione dell’Ufficio stampa vaticano e dunque la diffusione dei comunicati ai vari circuiti d’in- formazione386. Come enunciato dal motu proprio Superno Dei nutu, il Segretariato era stato creato invece a puro fine di studio,

non si tratta dunque – come ha modo di precisare O’Connor – dell’assisten- za tecnica alla radio, alla televisione, al cinema o alla stampa nella diffusione di informazioni circa il Concilio Ecumenico387.

Tali domande, forse sollecitate anche dalla voci che erano circo- late proprio nella tarda primavera del 1960 sul «progetto Herder» per la creazione di un Segretariato centrale di informazioni sul concilio,

385 Ibidem. 386 ASV, Conc. Vat. II, 388/I, Segretariato stampa e spettacolo. Lavori e attività di studio, Conferenza stampa di O’Connor sui compiti del segretariato. 387 ASV, Conc. Vat. II, 388, conferenza stampa di O’Connor.

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Fi g . 63. Servizio sull’Ufficio stampa del con- Fi g . 64. Servizio sull’Ufficio stampa del con- cilio (Tg Rai). cilio (Tg Rai).

Fi g . 65. Servizio sull’Ufficio stampa del conci- Fi g . 66. Servizio sull’Ufficio stampa del con- lio (Cinegiornale Luce). cilio (Tg Rai).

di cui accenna lo stesso Congar nelle pagine del suo diario388, dava- no però la misura della preoccupazione che si coglieva nel mondo dell’informazione generalista, suggellata dalle difficoltà già percepite nel raccogliere notizie precise e affidabili e dal fatto che i lavori del primo semestre del 1960 erano stati praticamente segreti, nonostante le dichiarazioni che avevano fatto sperare in un atteggiamento quan- tomeno nuovo389. Osservando poi la decisione della Santa Sede di istituire un appo- sito ufficio stampa nonché di organizzare i locali e il personale reclu-

388 Co n ga r , Diario del concilio, cit., vol. I, pp. 133-135 (6 marzo 1962). 389 Cfr. anche Be o z z o , Il clima esterno, in S/V, vol. I, pp. 381-428.

ruozzi.indd 208 27-07-2012 11:48:51 p r e p a r a r e i telespettatori a l c o n c i l i o 209 tato a lavorarci, i suggerimenti di MacNeil – come forse quelli di tanti altri – furono innegabilmente tenuti in considerazione, come si può intuire confrontandoli con le parole di Vallainc, direttore dell’Ufficio stampa vaticano, in un articolo su «L’Osservatore Romano» pubblica- to proprio l’11 ottobre 1962:

L’Ufficio stampa del Concilio deve assolvere a compiti diversi da quel- li del Servizio Stampa dell’«Osservatore romano», a compiti diremmo più specifici ed impegnativi in quanto si prefigge due finalità: la prima di offrire ai giornalisti un’accoglienza cordiale e fraterna mettendo a loro disposizione una sala di incontro e di lavoro il più possibile degna ed efficiente; la secon- da di dare ad essi, con un ritmo regolare, informazioni rapide e precise su quella parte dei lavori conciliari che non deve essere velata dal segreto. Per fare questo occorreva approntare un progetto, tanto di locali quanto di lavo- ro, che fosse nella misura del possibile un punto di incontro tra le esigenze dei giornalisti e le reali possibilità delle informazioni sul concilio390.

Le tappe che avevano portato alla costituzione della sala stampa sono ormai note: dopo alcuni annunci pubblici (il 30 ottobre 1959, il 30 ottobre e il 3 dicembre 1960), iniziò a funzionare ufficialmente il 18 aprile 1961 come Ufficio stampa della Commissione centrale prepara- toria, quando mons. Felici diede l’annuncio ai giornalisti dell’apertura dei locali di via Serristori 12391. I toni erano piuttosto informali, tanto che Felici esordì precisando che non si trattava di una vera e propria conferenza stampa, «piuttosto di una conversazione amichevole con gli amici giornalisti»392, in cui si

390 Va l l a i n c , L’Ufficio stampa dell’Assemblea Ecumenica, cit. 391 La conferenza stampa fu registrata ed è ora conservata come documento presso l’ASV. Su questi documenti, anche se audio, vigono infatti gli stessi criteri di accesso che regolano le altre fonti tradizionali del fondo Vaticano II. Le altre date importanti di conferenze stampa furono: il 12 ottobre 1961, quando venne resa pubblica la nomina di mons. Vallainc a responsabile, il 6 novembre quando uscì il primo Notiziario, il 12 maggio 1962 in occasione dell’annuncio del pon- tefice di un più ampio sviluppo e il 5 ottobre 1962 quando vennero inaugurati i nuovi locali. 392 ASV, Conc. Vat. II, Congregazioni Generali, c.d. n. 524, conferenza stampa di mons. Felici, 18.04.1961. 210 p r e pa r a r e i t e l e s p e t t a t o r i a l c o n c i l i o

intendeva riportare quanto aveva promesso il 3 dicembre scorso. L’ac- cenno a come organizzare fattivamente il modo di procedere e il lavoro dell’Ufficio stampa, sottolineando il fatto che si era ascoltato il parere di molti esperti della materia, fanno ritornare alla mente i suggerimenti espressi da MacNeil nel 1959, soprattutto quando Felici annunciò che

ho in animo di mettere a disposizione dei giornalisti almeno un giorno alla settimana che poi potranno essere due giorni, tre giorni, a seconda delle necessità, una persona che possa ricevere le loro domande, eventualmente dare le risposte, fare il punto della preparazione del concilio393.

Quando descrisse cosa doveva essere e fare l’Ufficio stampa del concilio, diventò chiaro però fin da subito che, se si era aperto uno spiraglio, non sarebbe stato certo un fiume in piena di informazio- ni quello che bisognava attendersi dai canali ufficiali vaticani, per lo meno all’inizio. Felici infatti mise in guardia fin da subito i giornalisti:

Vi ricordo però che non si farà l’ufficio stampa per l’ufficio stampa, ma l’ufficio stampa secondo le esigenze del concilio e direi non secondo le esigenze dei giornalisti, voi mi comprendete, ma secondo le esigenze del concilio, quale concilio avrà anche il compito, il fine dell’informazione al pubblico, perché sia ben accolto, perché si possa svolgere bene. Ma insom- ma, il fine non è l’interesse dei giornalisti, il fine è l’interesse del concilio che in fondo è l’interesse della Chiesa […] Per il momento io penso che sia suf- ficiente vedersi ogni tanto per uno scambio di idee e per la comunicazione di qualche informazione che possa essere utile394.

La frase «si faranno comunicati solo quando se ne sentirà l’esigen- za» non poté che suonare infatti in modo anacronistico, come se non si avesse la reale percezione dell’attesa di informazioni che l’opinione pubblica mondiale stava già aspettando e della reale difficoltà di ge- stirla, visto le proporzioni dell’evento. Le sintesi che all’inizio vennero diffuse erano solo scarni somma- ri; le notizie che permisero ai giornalisti di capire e conseguentemente di informare i propri lettori erano poche e i continui richiami del pon-

393 Ibidem. 394 Ibidem.

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tefice alla discrezione e al riserbo non fecero altro che aumentare le inquietudini del mondo dei media395. Sebbene l’atteggiamento votato alla segretezza e all’egemonia del Sant’Uffizio di soli pochi anni prima si fosse definitivamente rotto396, le lamentele dei giornalisti sulle scarse informazioni su quanto stava facendo la macchina conciliare fu un limite avvertito con diverse sfu- mature e gradazioni da tutti i media: poco per i cinegiornali, un po’ di più per la televisione e per la radio, molto per la stampa, in particolare quella specializzata. Marazziti scrive infatti che all’indomani del con- cilio, la parola chiave sull’informazione, nonostante l’Ufficio stampa appena inaugurato, rimase «riserbo». Un riserbo impenetrabile tanto da indurre Raniero La Valle, giovane direttore dell’«Avvenire d’Italia», a farsi promotore di una iniziativa nel 1963 per chiedere più informa- zioni, mentre contemporaneamente tante altre simili iniziative esterne presero di fatto forma397. Negli anni della preparazione e della prima sessione l’interesse accesosi nell’opinione pubblica fu tale che i vari circuiti internazionali, sebbene privi di informazioni di prima mano, riuscirono comunque a trovare dei canali da cui carpire informazioni, in modi più o meno formali e più o meno ufficiali. Come sottolinea Beozzo, le agenzie di stampa per la prima volta si specializzarono e attraverso di esse cominciarono a diffondersi le prime conferenze stampa dei cardinali o dei vescovi coinvolti nella preparazione, i quali non disdegnavano nemmeno di essere ripresi e dunque teletrasmessi attraverso i molte- plici circuiti televisivi. Si creò così l’effetto di rimpallo massmediale: i giornali tenevano d’occhio quello che riportavano le riviste, che a loro

395 Per questo, si veda Be o z z o , Il clima esterno, in S/V, vol. I, pp. 381-428. 396 Come scrive Vallainc, «in diverse occasioni [i giornalisti] manifestano una qualche impazienza verso il riserbo con cui necessariamente venivano circondati i lavori preparatori del Concilio». Va l l a i n c , L’Ufficio stampa, cit. 397 Un documento redatto dai responsabili gesuiti dell’informazione a Parigi nel maggio 1961 o nell’incontro successivo tenutosi a Friburgo concludeva con questa riflessione: «Se i giornalisti si imbattono in un muro di silenzio, di dissimulazione o di sfiducia, faranno di tutto per ottenere informazioni e non esiteranno a calcare la dose e ad inventare». Riportato anche in Be o z z o , Il clima esterno, in S/V, vol. I, p. 384.

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volta citavano i dibattiti nati spontaneamente, i quali si rifacevano alle conferenze stampa di alcuni prelati a cui si era assistito o di cui si era- no recuperate la registrazione audio o la ripresa in video. Le conferenze e le interviste ai padri impegnati in concilio diventaro- no così un importante strumento per i giornalisti, soprattutto per quelli radiotelevisivi, perché offrivano testimonianze dirette a cui tutti i media potevano attingere a piene mani. Molte di queste non vennero registrate solo in audio e video, ma anche inserite negli atti del concilio, sancen- done di fatto l’ufficialità. Alcune sono infatti ora conservate nel fondo Vaticano II presso l’Archivio Segreto Vaticano. Come notò lo stesso «Avvenire d’Italia» durante la prima sessione, «una delle caratteristiche del primo periodo dei lavori conciliari, e soltanto apparentemente del tutto esterna ad essi, è stata proprio quella delle conferenze-stampa»398. Essendo gli interventi dei padri durante le Congregazioni generali del tutto riservati e i comunicati stampa molto «parsimoniosi» sulle reali opinioni espresse, «c’è stato però qualcuno, che ha aperto più che uno spiraglio sulla effettiva sostanza delle “cose di cui si occupa il Concilio”; e questi sono stati proprio alcuni, anzi numerosi Padri conciliari» e «il mezzo di cui si sono serviti sono state le conferenze-stampa»399. Il 10 ottobre 1962, in un’operazione dal sapore metalinguistico, la televisione italiana, nell’imminenza dell’apertura del concilio, propo- se al telegiornale un servizio sulla conferenza stampa del segretario di Stato ai giornalisti del 5 ottobre400. Presentato da mons. Felici e dopo lunghe panoramiche sulla tecnologia messa a disposizione per i giornalisti nei locali da poco inaugurati della sala stampa del conci- lio, il card. Cicognani ebbe così modo di ribadire – o ammonire – la responsabilità del lavoro dei media nei confronti del pubblico e del concilio stesso: Il vostro contributo è quello di divulgare la verità e di dare la vostra co- operazione internazionale, mondiale al concilio che per sua natura è mon- diale ed ecumenico. Voglio dire che voialtri dovete trasmettere la luce, la

398 g.d.e., Le conferenze stampa, in «Avvenire d’Italia», 17 novembre 1962, p. 3. 399 Ibidem. 400 Il Card. Cicognani benedice la sala stampa del Concilio, in «Avvenire d’Italia», 6 ottobre 1962, p. 2.

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Fi g . 67. Servizio sull’Ufficio stampa del con- Fi g . 68. Servizio sull’Ufficio stampa del con- cilio (Tg Rai). cilio (Tg Rai).

Fi g . 69. Conferenza stampa del segretario di Fi g . 70. Conferenza stampa del segretario di Stato, card. Cicognani (Tg Rai). Stato, card. Cicognani (Tg Rai).

Fi g . 71. Conferenza stampa del segretario di Fi g . 72. Giornalisti alla conferenza stampa Stato, card. Cicognani (Tg Rai). del segretario di Stato, card. Cicognani (Tg Rai).

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luce della verità e che quindi il contributo e il compito della stampa è intima- mente connesso con quello dei padri del concilio che sono qui per ripetere e diffondere e spiegare le verità di nostro Signore, le verità del Vangelo e della Chiesa. Questo è il mio augurio, che ripeto con tanto piacere e che presento al Signore con tanta preghiera perché la vostra missione sia quale il mondo attende, non solo la Chiesa cattolica, ma tutto il mondo attende da voi401.

Lo stesso Vallainc, intervistato dai microfoni dell’Istituto Luce nel programma Antivigilia del concilio, offrì a pochi giorni dall’apertura una panoramica sui lavori svolti fino ad allora dall’Ufficio stampa e i compiti che lo attendevano402; al di là del comprensibile ottimismo sull’operato svolto, che non sempre trovava corrispondenza nella prassi quotidiana, anche questa intervista rivelò comunque un radicale cambiamento di atteggiamento da parte della Santa Sede nei confronti dei mezzi di informazione:

La Sala stampa che voi avete visto adesso non è che la premessa della vera sala stampa, di quando funzionerà l’Ufficio stampa, e mi scuso di questa ripetizione, del concilio ecumenico. Qui noi abbiamo lavorato in preparazio- ne del concilio ecumenico, quando le esigenze dell’informazione non erano ancora così vaste, come invece prevediamo saranno le esigenze della stampa, della informazione in genere durante il concilio ecumenico. Per allora noi pre- vediamo una sala molto accogliente attrezzata secondo i più moderni criteri necessari per la rapidità di diffusione di tutte le notizie. Noi accoglieremo cor- dialmente tutti i giornalisti provenienti da ogni paese e accreditati presso il no- stro ufficio stampa. Noi comunicheremo allora ogni giorno dei notiziari che saranno la sintesi complessiva dei lavori che si svolgeranno nell’aula conciliare ad opera dei padri. Fino ad oggi, e cioè dall’inizio del nostro ufficio stampa del novembre scorso, noi abbiamo diramato 97 notiziari e praticamente abbiamo dato tutte le notizie che riguardavano la preparazione del concilio per le varie commissioni preparatorie e in modo particolare per la Commissione centrale. È un lavoro che noi continueremo a fare in una misura amplissima per tutto il concilio e per tutti i lavori conciliari403.

Un altro segnale da non trascurare, che mostra l’attesa per l’aper-

401 ATR, T62278/024, 10.10.1962, 1’ 49’’, son. or. La data nell’archivio delle Teche Rai è 10 ottobre, anche se la conferenza stampa è di cinque giorni prima. 402 ASL, Antivigilia del concilio, di A. Petrucci, doc. 14’ 06’’. 403 Ibidem.

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tura dei lavori, è il fatto che i giornalisti stessi nei giorni che precedet- tero l’apertura, avanzarono la richiesta di avere accesso in anteprima all’aula conciliare e di poter usufruire di una visita guidata per capire e soprattutto mostrare al proprio pubblico le immagini della trasforma- zione della basilica404. La Santa Sede ne accolse la domanda ammet- tendo il 7 ottobre un gruppo ristretto di giornalisti alle prove tecniche dell’illuminazione in San Pietro, che si ripeté il giorno prima dell’aper- tura. La Rai trasmise la sintesi della visita, curata da Emilio Rossi fu- turo direttore del TG1 nel 1975 e – per quel suo ruolo, gambizzato dalle Brigate rosse nell’aprile del 1977 – in un servizio al telegiornale che mandò in onda il 10 ottobre405.

11. Telecamere accese sul papa: Giovanni XXIII, uomo dell’anno 1962

Nel 1955, anno a cui risale il primo discorso pubblico di Roncalli sul giovane mezzo televisivo, in occasione, come consuetudine, della benedizione dei nuovi impianti installati sul monte Venda a Padova406, l’allora patriarca, accanto ai consueti ammonimenti, non mancò di

404 K. Wi t t s t a d t , Il cattolicesimo verso una nuova stagione, in S/V, vol. I, p. 484. 405 Cfr. «Avvenire d’Italia», 9 ottobre 1962, p. 2. ATR, T62281/004, 10.10.1962, 1’ 18’’. Nel ruolo di segretario di redazione del telegiornale, Emilio Rossi partecipò ai sopralluoghi nella basilica con altri giornalisti e tecnici. Dirà: «Sarà per l’incom- bere di piccole banali attenzioni di ordine logistico, ma non ricordo di aver provato durante quel sopralluogo emozioni adeguate, che, semmai, sopravvengono solo il mattino seguente, quando le nostre telecamere, guidate dalla regista Luciana Ugo- lini, mostrano a tutto il mondo la schiera di vescovi bianco mitrati che, uscendo dal palazzo apostolico, percorrono in processione il sagrato prima di entrare in Basilica. Priva di fasto, l’icona che compongono ha nome universalità» (Ro s s i , È tutto per stasera, cit., p. 76). 406 A.G. Ro n c a l l i , Benedizione di nuovi impianti della televisione, in Scritti e Di- scorsi 1955-1956, Roma 1959, vol. II, p. 192. Come disse: «Piacemi attestare che la Chiesa, in faccia alla televisione, nel magistero del suo Capo augusto, si è dimostrata fin dalle prove iniziali in Italia non solo attenta, ma comprensiva, ottimista e benigna. […] Questa nuova rivelazione della scienza e della tecnica sarà destinata a segnare un’epoca luminosa nel cammino dell’umana conviven- za» (ibidem).

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sottolinearne le potenzialità407. Pronunciando quelle parole non poteva certo sapere il ruolo che avrebbe ricoperto quel medium proprio durante il suo pontificato, nel trasmettere la sua parola e nell’amplificare i suoi gesti facendoli arrivare nei cinque continenti quasi nel medesimo istante in cui questi venivano compiuti. Se la radiotelevisione pubblica italiana fece di tutto per seguire le ultime fasi prima dell’apertura del concilio, è anche vero che non smi- se mai di tenere accese le telecamere sul pontefice con l’evidente ri- sultato di evolvere e ampliare tecnologicamente il magistero del radio- messaggio nel più aggiornato telemessaggio: dalla ripresa dell’Angelus domenicale408, diventato ormai un consueto appuntamento televisivo, alle visite pastorali ai quartieri romani, dai numerosi collegamenti in diretta (messa di mezzanotte, celebrazioni particolari, concerti) ai vari discorsi pronunciati nelle più disparate occasioni, fino a portare le troupe della Rai all’interno dei palazzi vaticani, per seguire nel marzo del 1959 una sua giornata tipo409, soddisfacendo così la curiosità di milioni di telespettatori, e filmare nell’aprile del 1963 per la prima vol- ta in diretta davanti alle telecamere la firma apposta a una enciclica, la Pacem in terris410. Come ricorda lo stesso La Valle, Ettore Bernabei

407 Due anni prima, durante la riunione dei cardinali residenziali d’Italia il 14-15 settembre 1953, Roncalli aveva definito la nascente televisione come un «grave pro- blema». Come riportato in nota nel volume di F. Sp o r t e l l i , La Conferenza Episcopale Italiana (1952-1972), Potenza 1994, pp. 34-35. 408 Interessante è la testimonianza di Gedda che ne ricostruisce i tentativi presso Pio XII di introdurre quella che poi diventò una tradizione domenicale. Cfr. L. Ge d d a , 18 aprile 1948. Memorie inedite dell’artefice della sconfitta del Fronte Popolare, Milano 1998. 409 ATR-FI, R002135/00, 00.03.1959, 41’ 44’’, b/n. La giornata del papa è un Servizio speciale a cura di F. Schepis, realizzato da P. Josca, E. Luparelli, E. Ravel. 410 ATR-FI, T63099/006, T63099/006, 00.04.1963, 4’ 26’’. Il «Radiocorriere Tv» ne fa una descrizione nell’articolo I vecchi amici del papa, in «Radiocorriere Tv», (19 maggio 1963), p. 6. Come ricorda uno dei protagonisti, Emilio Rossi: «Porte aperte l’11 aprile 1963 anche per un nostro cineoperatore cui è permesso di riprendere – era la prima volta, diventerà poi consuetudine – il Papa che firma la sua ultima enciclica. È la Pacem in terris, che per la prima volta è indirizzata a tutti gli uomini di buona volontà» (Ro s s i , È tutto per stasera, cit., p. 78)

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Fi g . 73. Operatori Rai in piazza San Pietro, du- Fi g . 74. Ripresa di un operatore Rai durante rante la recita dell’«Angelus» domenicale (Tg Rai). l’«Angelus» domenicale (Tg Rai).

Fi g . 75. Folla riunita in piazza San Pietro, in Fi g . 76. Benedizione del pontefice (Tg Rai). attesa di vedere e ascoltare il pontefice (Tg Rai).

Fi g . 77. Titoli di testa del servizio dedicato Fi g . 78. Giovanni XXIII assieme al suo alla giornata di papa Giovanni XXIII (docu- segretario particolare, mons. Loris Capovilla, mentario Rai). durante la passeggiata quotidiana (documenta- rio Rai).

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nella sua straordinaria semplificazione aveva deciso che il papa era il papa della pace e dei poveri e che con lui ce l’avevano i ricchi e i massoni, convin- zione poi clamorosamente confermata dagli articoli di Indro Montanelli sul Corriere della Sera; inoltre Bernabei era convinto con La Pira che il mondo sarebbe stato salvato dalla Chiesa con il papa. Perciò fece di papa Giovanni il suo eroe, e la Televisione italiana ebbe un ruolo importantissimo nel ren- dere popolare e universalmente leggibile il carisma di papa Giovanni411.

Da quell’ottobre 1958 erano infatti state poche le volte in cui la Rai si era lasciata sfuggire «qualcosa» che aveva a che fare con il nuo- vo pontefice. E questo non accadde chiaramente nei «caldi» mesi di settembre-ottobre del 1962. L’11 settembre, a un mese esatto dall’inizio del concilio, alle ore 20,00, per esempio, il papa lesse ai microfoni di Radio Vaticana – che ormai trasmetteva in 29 lingue diverse – il messaggio Sulle soglie del con- cilio ecumenico Vaticano II che, come riportato su molti giornali, venne trasmesso alle genti di tutto il mondo412, non solo dall’emittente vatica- na, ma anche in collegamento diretto con la radiotelevisione pubblica italiana che lo trasmise prima del consueto telegiornale serale sul Pro- gramma Nazionale413. La parola del pontefice venne ripresa in diretta anche dagli enti radiofonici di Francia, Belgio, Olanda, Spagna, Por- togallo, Irlanda, Principato di Monaco, dal cantone francese e italiano della Svizzera, e in differita dagli enti radiotelevisivi della Germania, dalla sezione tedesca della Svizzera, dalla sezione ungherese, ceca, ru- mena e bulgara di Radio Europa libera, dal Canada e dagli Stati Uniti tramite la Nbc414. Proprio per l’alto numero di paesi collegati, «L’Os-

411 La Va l l e , Essere giornalisti al tempo di papa Giovanni, cit., p. 580. 412 «AAS», 54 (1962), pp. 667-669; AD, vol. II, t. 1, pp. 338-339. 413 ATR, D2057, 11.09.1962, 20’ 58’’. 414 Cfr. G.Z., Stasera il radiomessaggio del Papa per il Concilio, in «Avvenire d’Italia», 11 settembre 1962, p. 1, il cui sommario riportava la teletrasmissione del messaggio dai vari paesi: «Alle 20 Giovanni XXIII si rivolgerà ai cattolici di tutto il mondo a un mese esatto dall’apertura del Vaticano II. Collegamento diretto di numerosi enti radiofonici e televisivi di Europa e d’America. Il Pontefice ha iniziato ieri mattina gli esercizi spiri- tuali nella solitudine del torrione di San Giovanni». Cfr. anche Il Radiomessaggio Pontificio di domani sarà diffuso in tutto il mondo, in «L’Osservatore Romano», 10-11 settembre 1962, p. 2. Per l’Italia lo trasmise la Rai, per la Francia la Rtf, per il Belgio la Radiodiffusion-

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Fi g . 79. Titoli di testa del radiomessaggio Fi g . 80. Titoli di testa del radiomessaggio dell’11 settembre 1962 (diretta Rai). dell’11 settembre 1962 (diretta Rai).

Fi g . 81. Titoli di testa del radiomessaggio Fi g . 82. Giovanni XXIII durante la lettura dell’11 settembre 1962 (diretta Rai). del messaggio ripreso dalle telecamere (diretta Rai). servatore Romano» titolò in modo significativo uno degli articoli dedi- cati al radiomessaggio, con la suggestiva formula: Il mondo in ascolto415.

télévision belge, per l’Olanda la Katholieke radio-omroep, per la Spagna Radio Nacio- nal, per il Portogallo Emissora Nacional, per la Svizzera la Société de radiodiffusion, per l’Irlanda Radio Eirann, per Monaco Radio Montecarlo. In differita, si collegarono, invece, Bayerische Rundfunk per la Germania, la Osterreichischer Rundfunk per l’Au- stria, Radio Europa Libera per la sezione ungherese, ceca, rumena e bulgara; la Nbc per gli Stati Uniti e Radio Canada e la Stazione Ckac per il Canada. Cfr. «L’Osservatore Romano», 10-11 settembre 1962. 415 Cfr. Il mondo in ascolto, in «L’Osservatore Romano», 13 settembre 1962, p. 2. L’articolo iniziava appunto dicendo che «il mondo in ascolto attraverso le stazioni Radio – e vari milioni di cattolici anche in televisione – hanno accolto

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Il messaggio interruppe la solitudine dei sette giorni di esercizi spirituali nella Torre di San Giovanni in preparazione del concilio. Ma non solo. Il radiomessaggio ruppe anche la rigidità teologica e dogmatica degli schemi preparatori scritti con il linguaggio della curia romana, che avevano poco a che fare con le aspettative dell’episco- pato mondiale. Papa Giovanni, come scrive Wittstadt, non si rivolse direttamente contro gli schemi delle commissioni preparatorie, ma usò parole che andavano in un’altra direzione416: povertà, amore, uni- versalità, verità, libertà, giustizia e, soprattutto, pace. Vitalità ad intra e vitalità ad extra, questi erano per papa Giovanni i due ambiti in cui la chiesa doveva intervenire secondo l’eredità di Pietro e di Paolo. Questo pronunciamento ispirò qualche settimana più tardi anche lo stesso Chenu nel progettare un messaggio conciliare da rivolgere al mondo intero, per rimarcare da una parte l’apertura della Chiesa al mondo e dall’altra l’insoddisfazione per le linee generali degli schemi preparati417. La diffusione globale del messaggio anticipò così la cifra dell’in- formazione sull’intero concilio, quella propriamente della globalità. Tutti i media internazionali e le agenzie di stampa, catturati anche dalle aperture al mondo delle comunicazioni da parte dello stesso pontefice che fecero dimenticare le difficoltà del periodo iniziale, dimostrarono così di essere in positiva attesa e di voler diffondere

con devozione, letizia, speranza, il nuovo invito del Supremo Pastore, quattro settimane prima dell’inizio del Concilio Ecumenico» (ibidem). 416 K. Wi t t s t a d t , Alla vigilia del concilio, in S/V, vol. I, pp. 429-459. 417 Projet de declaration initiale par manière de «message», selon inspiration du message de S.S. Jean XXIII, 11 settembre 1962. Il concilio approvò il 20 ottobre il messaggio al mondo, nuntius ad omnes homines et nationes (AS, vol. I, t. 1, pp. 230-232), redatto dal card. Liénart, mons. Guerry, Ancel e Garrone, elaborando un testo di Congar e Chenu. Cfr. A. Ri c c a r d i , La tumultuosa apertura dei lavori, in S/V, vol. II, pp. 69-74. Per un approfondimento, cfr. A. Du v a l , Le message au monde, in Fo u i l l o u x (a cura di), Vatican II commence, cit., pp. 105-118; G. Al b e r i g o , Un concile à la dimension du monde: Marie-Dominique Chenu à Vatican II d’après son Journal, in Marie-Dominique Chenu Moyen-age et modernité, Paris 1997, pp. 155-172 e A. Me l l o n i , Ecclesiologie al Vaticano II (autunno 1962-estate 1963), in J. Fa m e r é e , J. Gr o o t a e r s , M. La m b e r i g t s e Cl. So e t e n s (a cura di), Les commissions à Vatican II. Colloque de Leuven et Louvain-la-Neuve, Leuven 1996, pp. 91-179.

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informazioni che fossero complete e corrette, a differenza di ciò che era accaduto per il Vaticano I. L’«Avvenire d’Italia», per esempio, l’indomani riportò che «la parola del papa – sull’onda della sua voce chiara e robusta – nel giro di poche ore, è giunta in ogni angolo del globo»418; l’eco che trovò sulla stampa, sulle radio e sulle televisioni di tutto il mondo si rivelò vasta e assunse forme inedite. La procla- mazione del «Time» di papa Giovanni XXIII come uomo dell’anno del 1962419 rimarcò, per esempio, l’impatto mondiale che ebbero la sua figura, le sue scelte e le sue opere, come «an intuitive judge of mankind’s hopes and needs»420. La televisione pubblica italiana mostrò però tutte le sue potenzia- lità e le capacità che aveva ormai raggiunto sul piano tecnico e orga- nizzativo in un’altra uscita, anch’essa diventata un evento: il viaggio compiuto il 4 ottobre 1962 da Giovanni XXIII ai santuari di Loreto e Assisi, un duplice pellegrinaggio propiziatorio in attesa dell’apertu- ra del concilio, che il pontefice decise di fare nonostante la malattia diagnosticatagli421. I servizi giornalistici avevano infatti potenziato la propria struttura sia sulla base delle conquiste tecniche (più mezzi e tecnologia) sia sull’esperienza maturata dai grandi eventi precedenti (le Olimpiadi romane del 1960 avevano per esempio rappresentato una prova importante)422. Come riportò l’«Annuario Rai»,

il 1962 è stato l’anno della Mondovisione, l’anno del concilio ecumenico, e

418 G. Zi z o l a , Ansia pastorale, in «Avvenire d’Italia», 12 settembre 1962, pp. 1-2. 419 Cfr. per esempio gli articoli che uscirono su «Der Spiegel», la «Neue Züri- cher Zeitung», la «Gazet von Antwerpen», «La Croix», «Le Monde» e il «New York Times», con l’articolo del 12 settembre Pope sees Peace aided by Council. 420 Pope John XXIII, in «Time», 4 gennaio 1963. 421 ATR-FI, D002123/00, 00.11 [10].1962, 45’ 13’’, b/n; ATR-FI, D002221/00, 04.10.1962, b/n. Cfr. La visita del papa a Loreto e ad Assisi, in «Radiocorriere Tv», (14- 20 ottobre 1962), 42, pp. 8-9. Fanfani colse l’occasione del viaggio in treno con il pontefice per aggiornarlo sulla politica italiana e in particolare per «sondare gli umori vaticani» sull’apertura a sinistra (cfr. Ga l a v o t t i , Dell’Acqua Sostituto e la politica italia- na, in Me l l o n i (a cura di), Angelo Dell’Acqua, cit., p. 148). 422 Cfr. per esempio l’incontro di Giovanni XXIII con gli atleti, venuti in piazza S. Pietro a rendergli omaggio; un resoconto in, ASL, La Settimana Incom 01966, 01.09.1960, 44”, b/n.

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Fi g . 83. Ripresa dell’apertura del portone va- Fi g . 84. Giovanni XXIII sul treno verso Lo- ticano (Tg Rai, servizio speciale). reto (Tg Rai, servizio speciale).

Fi g . 85. Folla che aspetta il passaggio del treno Fi g . 86. Folla che aspetta il passaggio del cor- pontificio nelle stazioni (diretta Rai). teo pontificio per le strade (diretta Rai).

di alcuni autentici «spettacoli di attualità», risultanti dalla fusione di riprese dirette, registrate e filmate423.

L’occasione di questo pellegrinaggio può essere di certo anno- verata in questo elenco, anche per la mancanza di precedenti di que- sto tipo: non solo l’ultimo viaggio di un pontefice nelle Marche e nell’Umbria risaliva all’Ottocento, dopo che la questione romana ave- va congelato le uscite papali nei territori del nuovo Stato italiano, ma quello trasmesso rappresentava anche il primo viaggio ufficiale di un

423 «Annuario Rai», 1963, p. 192.

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papa fuori Roma dopo la fine del potere temporale424. L’accoglienza che durante questo viaggio papa Giovanni XXIII ricevette dalle auto- rità civili rappresentò simbolicamente e visivamente la fine dell’isola- mento vaticano, come gli stessi giornalisti televisivi non mancheranno di sottolineare425. Il treno pontificio attraversò così tre regioni e cinque province, toc- cando numerosi piccoli centri, ognuno dei quali ambiva a una sosta del convoglio; come mostrano le sequenze in bianco e nero, gli abitanti si diedero appuntamento per attendere il passaggio del pontefice di- rettamente lungo i binari, esprimendogli con la presenza tutta la loro devozione, il loro appoggio e la loro vicinanza. Nella prima pagina, tutta dedicata al viaggio, l’«Avvenire d’Italia» tra i numerosi approfondimenti informò i suoi lettori, in un piccolo catenaccio, che la radiotelevisione italiana avrebbe seguito in diretta le visite: a partire dalle 11,30 le tra- smissioni da Loreto mentre dalle 17,45, quelle da Assisi426. Nonostante l’annuncio della decisione papale del viaggio fosse arrivato in Rai appena qualche giorno prima, la televisione e la radio pubblica si mobilitarono immediatamente in grande stile per seguire e trasmettere il pellegrinaggio, approntando, come riportarono i giornali, in meno di 48 ore un’amplissima rete di giornalisti, mezzi e tecnici e permettere dunque a tutti gli italiani di parteciparvi dai loro salotti427: vennero dislocati lungo tutto l’itinerario due studi radio mobili, sette squadre di ripresa esterna con venti telecamere distribuite nelle due tap- pe – dieci con quattro pullman a Loreto e dieci con tre pullman ad Assisi –, troupe per riprese filmate con 14 operatori e un complesso di sviluppo e di telecinema mobili. Ad Assisi affluivano i servizi filmati da

424 Il vaticanista del «Corriere della Sera», Francesco Turchi, assunto nel 1926, fu licenziato nell’aprile del 1931 e sostituito di fatto da Silvio Negro, proprio perché bucò la notizia dell’uscita in carrozza di Pio XI, fuori dalle mura vaticane. Cfr. G. Li c a t a , Storia del Corriere della Sera, Milano 1976, pp. 245-246. 425 Cfr. Al b e r i g o , Papa Giovanni, cit., p. 187. 426 La Tv seguirà il viaggio del Papa, in «Avvenire d’Italia», 3 ottobre 1962, p. 1. 427 La televisione per il viaggio del Papa, in «Avvenire d’Italia», 5 ottobre 1962, p. 5. Come riportato nell’articolo, la mobilitazione e il successo della Rai nel seguire il viaggio venne ricondotto solo alla sua resa televisiva; tuttavia anche «se meno appa- riscente, non meno impegnativa e ampia è stata la presenza della radio» (ibidem).

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undici operatori che, dopo averli sviluppati e subito montati, venivano inviati a Roma grazie appunto al telecinema per essere utilizzati nei vari servizi da mandare in onda e documentare così le varie fasi del viag- gio. Otto radiocronisti delle quattro regioni interessate (Lazio, Toscana, Umbria e Marche) coprivano tutto il percorso, con il compito di ripren- dere e commentare la partecipazione della folla nel seguire gli sposta- menti di papa Giovanni e soprattutto le sue parole pronunciate nelle brevi soste nelle varie stazioni. I cineoperatori erano presenti sia sul convoglio, da dove derivavano le riprese in soggettiva del pontefice, sia nelle stazioni, ma anche su un elicottero, per offrire panoramiche aeree suggestive dello spostamento e del procedere del convoglio. Trenta cor- rispondenti presidiavano invece le varie città per segnalare le manifesta- zioni estemporanee sorte al suo passaggio; due inviati speciali al seguito rispettivamente del presidente della Repubblica, Antonio Segni, eletto da appena cinque mesi, e del presidente del Consiglio Amintore Fanfa- ni, fornivano all’interno del Giornale Radio, in onda ogni mezz’ora, una cronaca continua dell’avvenimento. Mentre le telecamere e i telecronisti seguivano il corteo pontificio dalle stazioni di Loreto (tramite la crona- ca di Luca Di Schiena coadiuvato da Tito Stagno) e di Assisi (tramite quella di Luciano Luisi)428 fino al santuario mariano e alla basilica di San Francesco, riprendendo le cerimonie religiose e le allocuzioni papali, i radiocronisti descrivevano invece gli avvenimenti dagli studi mobili, in collegamento con l’interno dei santuari429. A corollario e come approfondimento dell’importante giornata, la Rai mandò inoltre in onda in serata un reportage del pellegrinaggio, composto da parti registrate in videotape e da parti filmate in pelli- cola, come sintesi per chi non avesse potuto seguire le immagini in diretta di un avvenimento così eccezionale430. A conclusione della giornata, venne affidato al card. Cicognani l’incarico di esprimere, attraverso un telegramma indirizzato all’am- ministratore delegato della Rai, Marcello Rodinò, l’apprezzamento e

428 I registi per i servizi di Loreto sono Sibilla e Coccorese, mentre per Assisi, Conti. 429 Per tutti i dati qui riportati, cfr. «Annuario Rai», 1963. 430 Collegamenti Tv per il viaggio del Papa, in «Avvenire d’Italia», 4 ottobre 1962, p. 1.

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la compiacenza per i servizi offerti dalla Rai in occasione del pelle- grinaggio papale alla vigilia del concilio, per «la diligenza et abnegazione» con cui vennero seguite e curate le trasmissioni431. È indubbio come le sequenze trasmesse attraverso lo schermo televisivo ebbero un impatto notevole nel consolidare e arricchire l’immaginario collettivo di papa Giovanni nella società degli anni Ses- santa, così come quelle – anche se su più larga scala e a livello mon- diale – di una chiesa realmente universale mandate in onda durante la cerimonia inaugurale del concilio Vaticano II. La televisione e la radio furono anche i primi punti di riferimento a cui la società italiana si rivolse per avere aggiornamenti e notizie, quando le condizioni di salute del pontefice cominciarono ad aggra- varsi verso la fine del 1962 e, ancor di più, nel maggio 1963. Non solo perché per la prima volta le immagini televisive mostrarono il peggio- ramento della salute fisica di un papa in diretta, con i primi piani di un volto che diventava sempre più magro e irrigidito dal dolore432. La ripresa televisiva dell’Angelus diventava anche un momento di contat- to diretto, a tratti intimo, tra i fedeli e papa Giovanni XXIII. Come quando le telecamere colsero il suo sorriso, durante la benedizione alla finestra il 2 dicembre 1962433, attesa dopo la precedente assenza pubblica che aveva tenuto in sospeso i telespettatori di tutto il mon- do, o come avvenne la domenica successiva, quando i padri conciliari aspettarono assieme a tutti i fedeli accorsi in piazza San Pietro di ve- dere il papa e assicurarsi così sullo stato della sua salute434.

431 Il telegramma è stato pubblicato su «La nostra Rai», (1962), 10, p. 2: «Augu- sto Pontefice affidami venerato incarico far pervenire commossa espressione di vivo apprezzamento et paterna compiacenza per assicurati servizi radiofonici et televisivi svolti in occasione del suo pellegrinaggio al Santuario della Madonna di Loreto et alla Basilica di San Francesco in Assisi. Sua Santità con animo grato per tale opera com- piuta con diligenza et abnegazione invia alla Presidenza Direzione Amministrazione et al Personale tutto della Radiotelevisione italiana una speciale propiziatrice benedi- zione apostolica estensibile alle rispettive famiglie come conferma di incoraggiante augurio di cristiana prosperità et pegno di celesti favori. – Card. Cicognani». 432 ATR-FI, D002380/00, 11.05.1963, 1h 53’, b/n. 433 ATR, D339/2, 02.12.1962. 434 ATR, 05.12.1962. «La Provvidenza ci accompagna. Da un giorno all’altro un

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Fi g . 87. Giornalisti e cineamatori che ripren- Fi g . 88. Padri conciliari che ascoltano l’An- dono il pontefice durante la recita dell’Angelus gelus domenicale alla fine della prima sessione (diretta Rai). (Tg Rai).

Fi g . 89. Giornalisti in attesa del pontefice alla Fi g . 90. Giornalisti in attesa del pontefice alla finestra (Tg Rai). finestra (Tg Rai).

12. La preparazione del set: la basilica di San Pietro

Quando il 7 novembre 1961 papa Giovanni XXIII annunciò la costituzione di nuovi organismi conciliari, nell’elenco venne comuni-

progresso, non nel cadere, ma nel risorgere… malattia, convalescenza… spettacolo nuovo oggi. La Chiesa radunata nella sua rappresentanza completa, ecco l’episcopa- to, ecco il sacerdozio, ecco il popolo cristiano. La famiglia completa dunque, quella di Cristo. Il Concilio si sospende per qualche mese. Ma noi porteremo sempre nel nostro cuore la dolcezze, la soavità di questa unione di tutti». Cfr. anche E. Ga l a - v o t t i , Processo a Papa Giovanni. La causa di canonizzazione di A.G. Roncalli (1965-2000), Bologna 2005.

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cata anche la formazione di una Commissione tecnico-organizzativa, come sezione della più generale Commissione centrale, presieduta dal card. e con mons. Felici come segretario, coadiuvati rispettivamente da tre sottosegretari, mons. , Agostino Casaroli e Igino Cardinale435. Non appena definito il compito di tale commissione, se ne capì immediatamente l’importanza e allo stesso tempo la responsabilità di tale gravoso incarico. Se la Commissione tecnico-organizzativa era l’ufficio in cui sarebbero giunte una parte delle richieste delle televisioni e delle radio di tutto il mondo, e in particolare quelle della Rai, per avere permessi e autorizzazioni neces- sari per le riprese filmate, questa commissione in realtà avrebbe avuto come prima incombenza quella di provvedere all’allestimento com- plessivo dell’aula conciliare: significava dunque cercare di sistemare la basilica vaticana tenendo presente alcune esigenze fondamentali, tra cui, quella non banale, di offrire più di 2.000 posti a sedere per i padri conciliari (che sarebbero diventati poi più di 2.800), prevedere comunque la possibilità di celebrare funzioni solenni, sistemare la cat- tedra papale in modo da renderla visibile a tutti, organizzare gli spazi per gli osservatori e sistemare San Pietro in modo tale che potesse ancora «funzionare», seppure in misura ridotta, sia per le attività litur- giche regolari sia per la visita dei fedeli436.

435 Facevano parte della Commissione tecnico-organizzativa i card. , Fernando Quiroga y Palacios, Giovanni Battista Montini, Paolo Maria Richaud, Julius Döpfner, , Luigi Traglia, Alberto di Jorio. Per i verbali della commissione tecnico-organizzativa, copia in Fscire. 436 Come ha recentemente scritto George Weigel, uno dei problemi principa- li di un ipotetico concilio Vaticano III è logistico ed economico: «Dove potrebbe convocarsi un nuovo Concilio? [...] Il Vaticano I (1869-1870) si riunì in un transetto della basilica di San Pietro, c’erano soltanto 737 vescovi presenti. In 2.800 presuli hanno partecipato alle quattro sessioni del Vaticano II, che si è riunito nei mesi au- tunnali del 1962, 1963, 1964 e 1965. I vescovi hanno riempito l’intera vasta navata di San Pietro, seduti su gradinate costruite ad hoc. Tenuto conto dei vari osservatori ecumenici, periti e altri funzionari, la basilica vaticana era sostanzialmente stracolma. Oggi la situazione è molto diversa. Secondo le ultime statistiche ufficiali (2009) ci sono 5.065 vescovi cattolici nel mondo. Un Concilio generale o “ecumenico” è, per definizione, un raduno in cui tutti i vescovi hanno il diritto di partecipare (Canone 339). Dove potrebbe essere accolta questa folla di oltre cinquemila vescovi e come

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Come per il Vaticano I, la basilica di San Pietro era il luogo dove si sarebbe celebrato l’intero concilio; tuttavia, l’allestimento dell’aula nella navata laterale destra del transetto da parte del conte architetto Virginio Vespignani, avvenuta circa un secolo prima e di cui si trova traccia nel volume Intorno alla grande aula temporanea per il Concilio Ecumenico Vaticano, dato alle stampe nel 1874, ne mostrava tutti i limiti e le differenze so- stanziali. Non solo, come si è detto, alla sessione di apertura sarebbero intervenuti circa 2.440 padri rispetto ai 642 giunti l’8 dicembre 1869 per il Vaticano I, ma diversi furono appunto i mezzi tecnici a disposizione e le migliorie tecnologiche avvenute nel frattempo. Gli inconvenienti durante l’ultimo concilio si erano rivelati infat- ti decisamente controproducenti per lo svolgimento stesso dei lavori dell’assemblea. Mons. Felici, per esempio, fin dalle prime righe dell’in- troduzione al volume Aula Sancti Concilii, tra le manchevolezze e i di- sagi del Vaticano I dovuti proprio alla limitatezza dei mezzi tecnici, mise al primo posto il problema non più sottovalutabile dell’acustica, «che in assemblee del genere – come si può ben capire – è di precipua importanza»437. Si rese necessario per il Vaticano I stendere un velario a una certa altezza, per migliorare il già difficile ascolto e quindi la com- prensione dei discorsi, con evidenti ripercussioni sull’estetica generale. Se si era partiti dunque già dai primi mesi del 1962 con i lavori di restauro e di allestimento, con la pulitura della grande porta bronzea centrale quattrocentesca e degli stucchi della volta, con la rimoder- nizzazione del sistema di illuminazione e della pavimentazione438, la trasformazione della basilica in aula conciliare pose anche questa volta non pochi problemi alla équipe dell’Ufficio tecnico della Congrega- zione della Reverenda Fabbrica di San Pietro, diretta dall’ing. France- sco Vacchini439.

potrebbero riuscire a far valere le proprie posizioni?» (P. Ro d a r i , Un Vaticano III servirebbe pure, il problema è logistico, in «Il Foglio», 10 febbraio 2012). 437 Cfr. la presentazione di Pericle Felici al volume a cura della Se g r e t e r i a g e - n e r a l e d e l c o n c i l i o e c u m e n i c o Va t i c a n o II, Aula Sancta Concilii, Roma 1967, p. 5. 438 Cfr. gli articoli apparsi su «L’Osservatore Romano» del 12 aprile e del 28 aprile 1962. Una sintesi anche in Cap r i l e , vol. I, t. 2, cit., pp. 399-400. 439 Come riportò una rivista Rai, «il servizio tecnico del Vaticano, e particolar- mente la fabbrica di San Pietro, ha brillantemente superato tutte le difficoltà consen-

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Fi g . 91. Preparativi e allestimento della basili- Fi g . 92. Preparativi e allestimento della basi- ca di San Pietro (Cinegiornale Luce). lica di San Pietro (Cinegiornale Luce).

Fi g . 93. Preparativi e allestimento della basili- Fi g . 94. Preparativi e allestimento della basili- ca di San Pietro (Cinegiornale Luce). ca di San Pietro (Cinegiornale Luce).

Fi g . 95. Allestimento degli operatori Rai (Tg Fi g . 96. Prove tecniche delle telecamere e delle Rai). cineprese (Tg Rai).

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I cambiamenti che la basilica dovette subire in quei mesi – chiu- sa al pubblico dal 27 settembre fino all’11 ottobre, per permettere il completamento degli ultimi lavori di allestimento440 – furono tali che all’indomani della visita all’aula conciliare dei trecento giornalisti accreditati presso l’Ufficio stampa del concilio, quasi tutti i media del mondo riportarono in modo entusiastico le foto e le notizie a riguar- do, con gli impressionanti dati tecnici. Anche Emilio Rossi, in qualità di segretario di redazione del telegiornale, partecipò al sopralluogo nella basilica organizzato per i giornalisti. Se ne trova un ricordo nella sua recente raccolta di memorie:

L’interno, è irriconoscibile, la navata centrale essendo occupata dalle grandi tribune – dodici gradinate a destra, altrettante a sinistra – costruite per ospitare i padri conciliari, attesi da ogni continente. Sarà per l’incombere di piccole banali attenzioni d’ordine logistico, ma non ricordo di aver prova- to durante quel sopralluogo emozioni adeguate, che semmai, sopravvengo- no solo il mattino seguente, quando le nostre telecamere, guidate dalla regi- sta Luciana Ugolini, mostrano a tutto il mondo la schiera di vescovi bianco mitrati che, uscendo dal palazzo apostolico, percorrono in processione il sagrato prima di entrare in Basilica. Priva di fasto, l’icona che compongono ha nome di universalità441.

Aiutati infatti dai capi dei gruppi linguistici dell’Ufficio stampa, i giornalisti poterono infatti vedere di persona gli sforzi per adattare San Pietro alle esigenze sia dei padri conciliari (posti comodi, buo- na visibilità, servizi sanitari, igienici e di ristoro), sia dei media che sarebbero stati presenti in aula442. Le installazioni offrivano così la possibilità di riprendere l’evento da 41 postazioni diverse posizionate lungo l’intero perimetro della basilica e negli ambienti circostanti, 41

tendo ai moderni mezzi audiovisivi di muoversi e di operare con i più efficienti im- pianti tra i secolari monumenti vaticani», cfr. P. So l a r i , Il Concilio Ecumenico Vaticano II, in «Notizie Rai», (ottobre 1962), 10, p. 5. 440 Chiusa San Pietro fino al Concilio, in «Avvenire d’Italia», 27 settembre 1962, p. 1. Alcuni ulteriori modifiche furono apportate dopo la visita del pontefice all’aula conciliare fatta il 3 settembre 1962 e ripetuta il 10 ottobre. 441 Ro s s i , È tutto per stasera, cit., p. 76. 442 S. Tr a s a t t i , Pronta nella Basilica Vaticana la grande aula del Parlamento di Dio, in «L’Osservatore Romano», 10 ottobre 1962, p. 3.

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punti di vista differenti da cui i telespettatori a casa avrebbero potuto in modo privilegiato seguire le funzioni pubbliche e avere immagini del concilio del tutto inedite. Per questo scopo, sia nella basilica sia nei palazzi apostolici furono realizzate numerose installazioni molte delle quali fisse, proprio per agevolare e semplificare il più possibile i colle- gamenti audio e video con il Vaticano, con la possibilità di mettere in funzione in breve tempo e contemporaneamente tutte le telecamere, senza che i cavi degli apparecchi intralciassero il passaggio delle mi- gliaia di persone che sarebbero convenute nell’aula443. Oltre infatti alle migliaia di metri di damasco e di velluto, alle centinaia di metri di frange dorate e di tessuti vari, alle strutture e ai ponteggi tubolari metallici della società Dalmine Innocenti, ai teli di gomma posti sui piani orizzontali delle gradonate forniti dalla ditta Joco di Glasgow e ai 150 metri cubi di legno di abete, bisognava fare i conti anche con i 65.000 metri di linee telefoniche impiegati nella città del Vaticano, con le migliaia di metri di cavi coassiali video, radiofonici e televisivi e con quelli dei singoli impianti; tutti dettagliatamente elen- cati da «L’Osservatore Romano» in vari articoli dedicati a illustrare la preparazione tecnica. Dalle apparecchiature per la registrazione con le relative cabine, per esempio, ai quattro grandi registratori, dall’im- pianto telefonico con quaranta apparecchi e centralino ai trenta al- toparlanti e quaranta microfoni con cabine di regia, senza trascurare l’illuminazione indipendente dalla basilica fornita da quarantadue pro- iettori pensili verticali da 2.000 W – i teatrali «occhi di bue» – sistemati sul cornicione dell’aula, oltre a 86 altri proiettori che potenziavano la luminosità e che servivano per consentire buone riprese cinetelevisive a colori, impiegando così una potenza di oltre due migliaia di kW di- stribuiti su proiettori da 10.000 W (la potenza che solitamente serviva ad illuminare l’intera Città del Vaticano)444.

443 Cfr. «Annuario Rai», 1963, pp. 374-375. 444 Per i dati cfr. gli articoli usciti su «L’Osservatore Romano» in diverse occa- sioni: il 30 giugno 1962, il 30 settembre 1962 e il 10 ottobre 1962. Un approfondi- mento anche nell’«Annuario Rai» del 1963 e nel volume Aula Sancta Concilii, redatto proprio dall’ing. Vacchini. Per una sintesi parziale, cfr. anche il saggio S. St r a c c a , L’aula delle congregazioni, in Il concilio ecumenico Vaticano II, in «L’Osservatore della Do-

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L’impianto elettrico realizzato dalla Philips e l’illuminazione che ne derivava era così funzionale alle riprese e sufficiente per garantire una buona lettura nei seggi, ma studiata anche per la resa estetica e contemplativa della stessa basilica. Le strutture non dovevano infatti apparire come un corpo estraneo, facendo dimenticare il luogo in cui la cattolicità intera veniva a riunirsi ma, piuttosto, far sì che l’architet- tura della basilica «continuasse a dominare»445. Organizzare l’aula conciliare negli anni Sessanta del Novecento significò dunque tenere in considerazione anche l’enorme e ingom- brante presenza dei media e della loro preparazione, in particolare le esigenze avanzate dai registi per le riprese televisive446. Le autorità del Vaticano, consapevoli delle difficoltà delle riprese in ambienti così im- ponenti e maestosi, predisposero per tempo un piano, con l’aiuto e la consulenza della stessa Rai, a cui venne affidato non solo l’assistenza alle varie troupe televisive straniere, ma, per semplicità di organizza- zione, anche l’assistenza tecnica e giornalistica ai numerosi radiocro- nisti che sarebbero arrivati dall’estero per seguire i lavori conciliari447. Per facilitare la presenza dei padri conciliari e agevolare i tecnici e i registi, fu studiato dunque un modo per sistemare e nascondere

menica», 6 marzo 1966, 10 e quello di Wi t t s t a d t , Alla vigilia del concilio, in S/V, vol. I, pp. 498-517, con un breve ma interessante paragrafo sulla situazione finanziaria relativa al concilio. 445 Pronta nella Basilica Vaticana la grande Aula del Parlamento di Dio, in «L’Osser- vatore Romano», 10 ottobre 1962. Anche Felici ha modo di scrivere che «si trattava di armonizzare la grandiosità della Basilica con la funzionalità degli impianti messi in opera; lo splendore del barocco romano con l’agilità della tecnica moderna, pre- ludendo anche così a quel processo di ringiovanimento della Chiesa, auspicato dal Concilio» (Fe l i c i , Aula Sancta Concilii, cit., p. 6). Cfr. anche l’articolo Effetti di luce in San Pietro per il Concilio, in «Avvenire d’Italia», 9 ottobre 1962, p. 4. Nella prova luci dell’8 ottobre furono verificati gli effetti luce sui particolari architettonici e decorati- vi: «Per raggiungere quest’ultimo effetto la Philips che ha curato questo impianto ha adottato dei proiettori speciali basati sul principio della lanterna magica, muniti di un dispositivo ottico e di un diaframma traforato sull’esatto contorno del soggetto da illuminare, in modo che il fascio di luce uscente assumesse la sagoma del soggetto da illuminare» (ibidem). 446 La radio e la televisione al concilio ecumenico Vaticano II, cit., p. 4. 447 So l a r i , Il Concilio Ecumenico Vaticano II, cit.

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la chilometrica rete di cavi e le opportune prese dislocate lungo tut- to il percorso, facendo fronte alle difficoltà poste dalle statue e dagli affreschi, per agevolare così l’allacciamento di tutte le attrezzature. I cavi venivano fatti confluire poi in un unico punto, sotto il cavalcavia che unisce la sagrestia alla chiesa, dove, tramite un quadro generale, si collegavano le diverse unità mobili televisive (pullman), tutte allac- ciate fra loro con un impianto di sincronizzazione tale da permettere la selezione e la gestione dell’intero flusso di immagini da una unica grande regia. Per la cerimonia di apertura, che richiese uno dei massimi sforzi tecnici da parte della Rai mai gestiti fino ad allora, vennero impiegati per esempio cinque pullman-regia. Una rete di cavi coassiali e telefonici metteva in collegamento i segnali teleradiofonici delle postazioni delle unità televisive mobili verso i Centri di produzione Rai-Tv che venivano da qui irradiati nell’etere verso i trasmettitori sul territorio nazionale ed estero. Se la Rai ebbe infatti la quasi esclusiva della ripresa delle imma- gini del concilio, non va dimenticato che tutte le stazioni radiotelevisive inviarono comunque i loro giornalisti per le telecronache o per le ra- diocronache. Per consentire dunque di effettuare le trasmissioni dirette dalla basilica furono studiate delle speciali postazioni: ai radiocronisti furono costruite delle tribune sui due finestroni dell’Aula delle Bene- dizioni, in corrispondenza dei due ingressi laterali della basilica, dando loro la possibilità di seguire la cerimonia sia direttamente sia sui moni- tor; i telecronisti, invece, furono sistemati nelle Grotte vaticane, così da rendere loro possibile seguire e commentare le varie fasi della cerimonia dai piccoli schermi messi a loro disposizione448. Come rilevò lo stesso ing. Vacchini, per capire la rilevanza degli sforzi operati da parte della stessa Rai e da parte vaticana bastava

accennare all’importanza che tali allestimenti rivestono per una immediata informazione sui principali avvenimenti del concilio e per la diretta, viva partecipazione di milioni di persone, sparse in ogni punto della terra, al più intimo significato di questa straordinaria assise della gerarchia cattolica449.

448 Cfr. «Annuario Rai», 1963. 449 Va c c h i n i , L’impianto televisivo, in Aula Sancta Concilii, cit., p. 38.

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Fi g . 97. Preparativi e allestimento della basili- Fi g . 98. Preparativi e allestimento della basi- ca di San Pietro (Cinegiornale Luce). lica di San Pietro (Cinegiornale Luce).

Fi g . 99. Preparativi e allestimento della basili- Fi g . 100. Preparativi e allestimento della ba- ca di San Pietro (Cinegiornale Luce). silica di San Pietro (Cinegiornale Luce).

Lo stesso Diario del concilio, in uno dei suoi primi numeri, dedicò una puntata proprio all’impegno richiesto per l’allestimento dell’aula conciliare, trasmettendo alcune delle sequenze relative alle riprese fat- te nei mesi di preparazione tecnica di San Pietro. Infine, all’interno della basilica, oltre alle postazioni degli opera- tori e delle telecamere Rai, si procedette all’installazione anche di un ulteriore impianto televisivo «di ben più modeste proporzioni»: era costituito da due telecamere Philips a transistor, posizionate in alto sulle gradonate su cui sedevano i padri conciliari e collegate a loro volta a un impianto di amplificazione e sincronizzazione nel deposito Ottoboni, un ambiente isolato della basilica. Dei cavi coassiali colle-

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gavano così le riprese dell’aula direttamente con un televisore posto nello studio del papa. Era l’impianto a circuito chiuso che dava la possibilità al pontefice di seguire direttamente ogni volta che voleva lo svolgersi dei lavori conciliari senza dover per forza presiedere ufficial- mente le congregazioni. Dal suo studio, infatti, papa Giovanni XXIII, come ricordò lui stesso nel corso di diverse udienze in cui spiegò ai presenti il servizio offerto da questa sua «televisione privata» 450, poté essere contemporaneamente il regista di quelle riprese personali e allo stesso tempo l’unico spettatore della visione: attraverso una serie di comandi riusciva infatti a regolare in maniera diretta non solo il punto di vista da cui seguire la discussione scegliendo la prima o la seconda telecamera, ma gestendo in orizzontale e verticale i loro movimenti, la regolazione del diaframma ottico e del fuoco, così da avere il control- lo totale su quell’osservazione particolare451.

13. «Resterà anche la “voce” del concilio»452. Le registrazioni audio

Dal 26 marzo 1962, 142 chierici e giovani studenti di teologia pro- venienti da quattordici paesi furono chiamati a studiare la scrittura stenografica del latino, sotto la guida di Aloys Kennerknecht, pro- fessore dell’Università di Magonza453, con il compito di riprodurre fedelmente tutti gli interventi dei padri in concilio, trascrivendo ogni

450 Il papa in persona accennò a questa sua «televisione» in diverse udienze: ad esempio durante quelle del 7 novembre e del 14 novembre 1962 il pontefice fece riferimento proprio al fatto che seguì i lavori del concilio grazie all’impianto televi- sivo a circuito chiuso installato nel suo studio privato. Ne dà notizia «L’Osservatore Romano» del 7 e del 17 novembre 1962. 451 Il cardinale Tisserant citò l’impianto a circuito chiuso nel suo discorso d’au- guri del 23 dicembre 1962 in rappresentanza dei cardinali nella sala Clementina: «Vo- stra Santità ha seguito le nostre Congregazioni generali, grazie ai mezzi della tecnica moderna, ed ha saputo intervenire con sue decisioni, quando l’interpretazione del regolamento o le finalità stesse del Concilio richiedevano la parola amabile e orienta- trice del Capo venerato della Chiesa». Cfr. Cap r i l e , vol. II, cit., p. 275. 452 Il titolo del paragrafo è la citazione di un titolo di un articolo di G. Zi z o l a , apparso sull’«Avvenire d’Italia», il 25 settembre 1962, p. 3. 453 ATR, D2574, Diario del concilio, n. 2, 26.10.1962.

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parola pronunciata. Anche al concilio di Trento erano stati annotati i dibattiti e allo stesso modo gli stenografi, tra cui p. Dehon, il futuro fondatore della congregazione dei Sacerdoti del Sacro Cuore di Gesù, i dehoniani, avevano seguito il Vaticano I, con un metodo alternato due a due per non perdere alcunché, con il risultato pratico di farlo apparire agli stessi protagonisti «un rompicapo cinese». Il Diario del concilio dedicò la seconda puntata a intervistare quel professore tedesco, portando le telecamere della Rai a una delle sue le- zioni: i telespettatori poterono così avere un assaggio della spiegazio- ne del suo metodo che riprendeva quello inventato dal tedesco Franz Xaver Gabelsberger nel 1834 e adattato al latino, a quei 37 giovani alunni che stavano provando a scrivere a 150 sillabe al minuto. Per evitare di lasciare momenti senza la registrazione o fronteggia- re eventuali buchi sonori, vennero appositamente impiegati quattro registratori usati due alla volta. Si producevano così due copie identi- che: una per essere conservata direttamente in archivio, l’altra invece utilizzata dagli stenografi per la trascrizione degli atti. Le bobine non permisero solo una maggiore fedeltà agli interven- ti pronunciati, evitando errori di trascrizione, dimenticanze o impre- cisioni. Nelle fonti audio relative alle Congregazioni generali per la prima volta si possono infatti individuare le eventuali depurazioni de- gli Acta454, apportate nel corso degli anni e, in modo particolare, avere le inflessioni nonché il tono degli interventi: il concilio Vaticano II e le sue quattro sessioni vennero così «catturate» e impresse su 354 chi- lometri di nastro magnetico pari a 762 ore di registrazione455. Se oggi sono fonti preziose per lo storico, allora se ne intravedevano invece i fini commerciali: la casa discografica Barbati di Modena produsse, infatti, a fine concilio la serie Vaticano II, dodici dischi 33 giri con tutte

454 Per un approfondimento, si rimanda ora alla relazione di J.O. Be o z z o , Gli interventi non pubblicati negli «Acta Synodalia», tenuta durante il convegno 1962-2012: Vatican II fifty years after. The history after the History? Contributions and Perspectives of the Studies on the Council ten years after the History of Vatican II (Modena, 23-25 febbraio 2012), organizzato dalla Fondazione per le scienze religiose di Bologna (di prossima pub- blicazione). 455 Come già scritto in precedenza, nel fondo relativo al Vaticano II dell’ASV sono conservati anche in nastri audio della Commissione teologica.

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Fi g . 101. Lezione del prof. Kennerknecht Fi g . 102. Manuale di stenografia latina del ai seminaristi per il corso di stenografia latina prof. Kennerknecht («Diario del concilio», n. 2). («Diario del concilio», n. 2).

le registrazioni audio effettuate in aula da Radio Vaticana corredato da altrettante lezioni di vari docenti in cui venivano spiegati i sedici documenti promulgati456. Da queste fonti audio si può, così, ascoltare il card. Ottaviani che nella Congregazione generale del 1° dicembre 1962, parlando a pro- posito dello schema sul De fontibus rivelationis e consapevole di pro- nunciare un discorso tacciato dalla maggioranza dei padri come non pastorale e non ecumenico, tradisce la solennità della lettura del testo latino canzonando l’elenco delle critiche che già immaginava gli sa- rebbero state sollevate. L’incedere ufficiale della lettura dell’intervento in quel latino pronunciato con un forte accento romano viene così tradito da brevi e soffocate risatine, che produssero a loro volta una generale ilarità nella intera assemblea457. Con il Vaticano II si può cominciare a parlare anche di «fuori onda» conciliari: se per sbaglio o disattenzione il microfono rimane- va acceso, la registrazione continuava cogliendo così ciò che i padri si sussurravano tra i banchi; piccoli commenti che però documenta-

456 Ne dà notizia anche «La Civiltà Cattolica», all’interno della sezione dedicata alla rassegna stampa sulle uscite editoriali relative al concilio, descrivendo la serie di dischi prodotta dalla casa modenese come «la più ampia e completa documentazione sonora del Concilio». Cfr. ora Cap r i l e , vol. V, p. 577. 457 ASV, Conc. Vat. II, c.d. 89.

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no l’atmosfera di quei giorni. È il caso del 13 ottobre 1962 durante la I congregazione generale nella quale si sarebbero dovuti votare i membri delle commissioni. A conclusione della celebrazione dell’eu- carestia, la Segreteria del concilio distribuì all’assemblea tre fascicoli: l’elenco dei padri che potevano essere eletti, le liste dei membri del- le commissioni preconciliari e dei consultori e i documenti sui quali avrebbero dovuto esprimere i nomi dei 160 candidati suddivisi per commissione. L’intervento inaspettato del card. Liénart, vescovo di Lille, fermò la votazione già in corso: propose infatti di posticipare l’elezione e di consultare prima le conferenze episcopali, che avreb- bero dovuto preparare delle liste di candidati da indicare, o, come annotò Congar nel suo diario, «per permettere ai vescovi delle singole nazioni di avere il tempo di conoscersi»458. Fu il primo chiaro segna- le di opposizione al disegno della curia di gestire monoliticamente il concilio, il «PRIMO ATTO DEL CONCILIO»459, scrisse il teolo- go francese. Al termine del suo discorso, a cui seguì quello del card. Frings, la registrazione dell’audio di sala catturò l’applauso scrosciante dell’assemblea, segno inequivocabile dell’approvazione della richiesta di cui i cardinali francese e tedesco si erano fatti portavoce. Tuttavia, il microfono del tavolo della presidenza non venne spento e registrò i commenti a caldo e il brusio collettivo prima ancora della replica di Felici, che arrivò solo dopo qualche minuto di spaesamento generale. Le frasi bisbigliate tra i padri conciliari che si possono ora cogliere sono tracce importanti che contestualizzano meglio il clima di quel giorno, come si percepisce da questo fuori onda. Molti nell’assemblea si rivelarono infatti sorpresi dal fatto che l’organizzazione avesse tra- scurato quella ipotesi di lavoro460. Oltre all’audio, si ha inoltre una cronaca di quello che successe quel giorno grazie anche ai nastri Rai, perché le telecamere, uniche

458 Co n ga r , Diario del concilio, cit., vol. I, p. 151. 459 Ibidem, p. 152. 460 ASV, Conc. Vat. II, c.d. n. 05. Una trascrizione di quel fuorionda si trova ora in F. Ru o z z i , La voce del concilio, all’interno degli atti della conferenza modenese 1962-2012: Vatican II fifthy years after. The history after the history?, cit., di prossima pub- blicazione.

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ammesse a presiedere la sessione per la registrazione filmata, registra- rono interamente quella breve congregazione, come tra l’altro riportò l’indomani lo stesso quotidiano cattolico bolognese461. Ne abbiamo conferma anche grazie all’annotazione che Tucci appuntò sul suo dia- rio: «Celebra la S. messa S.E. mons. E. Florit, arciv. di Firenze. Al termine del sacro rito, s’accendono i grandi riflettori per la ripresa televisiva. Il card. Tisserant, che presiede, recita l’Adsumus»462. Al fine di una buona comprensione dell’audio, complicato dal lati- no pronunciato nelle differenti inflessioni linguistiche di difficile com- prensione per una parte considerevole dell’episcopato extraeuropeo (si pensi ai vescovi latinoamericani, asiatici o africani) una particolare importanza ebbe il sistema di amplificazione. Le voci dovevano in- fatti giungere a tutta l’assemblea e risultare chiare, né troppo forti né troppo basse, considerando i possibili disturbi sonori di interferenza causati dalle decine di microfoni sistemati sui seggi e dagli stessi am- plificatori, dalla lunghezza della navata centrale e dalla stessa presenza di più di duemila persone presenti. Il ricordo dei problemi di audio sorti durante il Vaticano I era ancora molto vivo. Per evitare sorprese vennero quindi condotti studi di fisica del suono per prevedere l’acu- stica ottimale: furono impiegati uno speciale tessuto assorbente per la copertura dei seggi e lunghi panneggi alle pareti. Così come accadde per la registrazione, anche l’amplificazione so- nora – i cui impianti furono realizzati sempre dalla Philips, la grande società dei Paesi Bassi – fu curata e seguita per tutta la durata del concilio dalla stessa Radio Vaticana, che in quel periodo aveva poten- ziato i propri impianti e poteva vantare ormai una lunga e preziosa esperienza. Radio Vaticana fornì dunque alla Rai la colonna sonora internazionale su cui ogni radio e televisione mondiale avrebbe mixa- to il commento dei propri giornalisti. Furono inoltre costruiti, sempre dalla radio della Santa Sede, tre nuovi studi radiofonici nel Museo Petriano, messi a disposizione sia per l’incisione sia per il montaggio dei nastri sonori. Uno di questi

461 L. Be d e s c h i , Rinviata a martedì l’elezione dei membri delle Commissioni conciliari, in «Avvenire d’Italia», 14 ottobre 1962, p. 1. 462 Come annotò sul suo diario Tucci, in data 13 ottobre 1962 (archivio Fscire).

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venne anche attrezzato per essere utilizzato come studio televisivo e cinematografico nel caso in cui ci fosse stato bisogno di spazi appositi e set per interviste e trasmissioni per le emittenti estere463.

14. Il progetto didattico/didascalico della Rai. Il primo ribaltamento

Nella lettura diacronica qui presentata, relativa alle trasmissioni che la Rai aveva pianificato e realizzato dal 1960 al 1962 in prepara- zione del concilio, si può ben intravedere il progetto alla base di quella televisione delle origini. I generi paleotelevisivi, in cui era strettamente e rigidamente orga- nizzato il palinsesto di quella giovane televisione, erano stati studiati per prendere il telespettatore per mano e accompagnarlo così attraver- so un viaggio durante il quale gli veniva offerta una infarinatura di co- noscenze storiche, artistiche, letterarie e scientifiche di base, cercando di allargarne le prospettive464. Ciò avveniva non solo attraverso quei primi programmi culturali, come Il commesso di libreria (1953), Ritratti in cornice (1953), Le Avventure dell’arte (1954), Appuntamento con la novella (1954), Una risposta per voi, o più tardi, Libri per tutti (1958) e Arti e scien- ze (1959), in cui l’intento era esplicito e dichiarato, nella forma come nei contenuti. Accadeva anche attraverso altri formati più popolari tra cui gli sceneggiati (I promessi sposi, L’idiota, Ottocento, Filumena Martura- no) e ancor di più attraverso il varietà465, il telequiz466 e le variazioni sul tema nonché gli adattamenti delle trasmissioni che provenivano dalla

463 Cfr. So l a r i , Il Concilio Ecumenico Vaticano II, cit., pp. 3-5. 464 F. Sa n v i t a l e , Divulgazione culturale come spettacolo, in «La Nostra Rai», (gennaio 1965), p. 4. 465 Fu proprio Gennarini a dedicarsi al varietà, cercando in giro per l’Europa attrazioni da riproporre nei programmi italiani. Fu così che arrivarono le gemelle Kessler in Italia. 466 Il genere televisivo, per Menduni, «di maggior successo, che più aveva con- tribuito a convincere gli italiani ad acquistare un televisore» e «metafora dell’ascesa sociale» del paese tra gli anni Cinquanta e Sessanta. Cfr. Me n d u n i , Televisione e società italiana, cit., p. 10.

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televisione oltre oceano467. Programmi come Il Musichiere, Telematch, Campanile sera esprimevano, ognuno con specificità espressive proprie, la missione pedagogizzante di quella Rai. Il palinsesto festivo scandiva la settimana con appuntamenti profani: il giovedì sera i televisori si ac- cendevano sul quiz Lascia o raddoppia?, fermando le proiezioni nei ci- nema, il venerdì invece la televisione portava i telespettatori a teatro. I programmi culturali avevano dunque ormai toccato punte an- che alte di divulgazione – L’Approdo ne è la massima espressione e allo stesso tempo la «sublimazione dell’atteggiamento di “maestrine dalla penna rossa”»468 – e il modello educativo avvolgeva tutto quel modo di «fare» la televisione. Sarebbe tuttavia semplicistico appiattire in modo indiscriminato la paleotelevisione, senza vederne le sfuma- ture, le evoluzioni e gli assestamenti, a seconda delle varie fasi e so- prattutto dei vari gruppi dirigenti: dal controllo laico degli aziendali alla gestione cattolica del gruppo dossettiano, dalla continuità degli interni Rai del periodo fascista alla Rai fanfaniana del centrosinistra, passando così da un umanesimo liceale del periodo Bernardi-Pugliese a uno cristiano della fase Guala, fino alla gestione unica di Bernabei che trasformò la Rai in uno dei più importanti centri di produzione culturali in Italia469. La cultura televisiva italiana invece di essere di massa e di ispirar- si ai modelli tipici dell’industria culturale, come avveniva per le altre televisioni europee, aveva radici profondamente umanistiche, sia «per l’esplicito aggancio con la cultura accademica» sia per la formazione degli stessi autori e programmisti perché, come scrive Bettetini, «la Rai

467 Cfr. G. Be t t e t i n i (a cura di), American way of television. Le origini della Tv in Italia, Firenze 1980. 468 Come scrive Grasso a proposito dell’Approdo nella voce dedicata al program- ma dell’anno del 1966. Cfr. Gr a s s o , Storia della televisione italiana, cit., pp. 172-173. Cfr. anche L. Pi c c i o n i , L’Approdo alla Tv, in «Radiocorriere Tv», (20 gennaio 1963); S. Sa v i a n e , Venere sostituita da una stufa, in «L’Espresso», 1° dicembre 1963. 469 Cfr. in particolare la tavola rotonda «Le radici umanistiche della cultura te- levisiva italiana» alla quale intervenirono A. Romanò, V. Cottafavi, F. Portinari, M. Gennarini, A.G. Majano, S. Egri i cui atti sono stati raccolti nel volume G. Be t t e t i n i e A. Gr a s s o (a cura di), Televisione. La provvisoria identità italiana, Torino 1984, pp. 101-128.

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mise in atto una vera e propria razzia di cervelli tra il 1954 e il 1975, negli ambienti dei neo-laureati e dei giovani emergenti nella cultura nazionale»470. L’introduzione del termine «palinsesto» per indicare lo schema della programmazione, ad esempio, rivela tutta la formazione umanistica di quei primi funzionari. La parola deriva dal greco «palím- psèstos», «raschiato di nuovo», ed era presa a prestito dalla filologia dove la si usava per indicare il codice di pergamena su cui, dopo una prima raschiatura, veniva riscritto un testo. Avveniva qualcosa di si- mile nella sovrapposizione di quei fogli su cui erano stabiliti i piani trimestrali dei programmi, da qui l’entrata del termine nel campo del linguaggio televisivo471. La neonata televisione italiana sentì sempre molto pressante que- sto intento pedagogico espresso nei riferimenti alla cultura alta, tan- to da elevarlo a compito istituzionale e a maggior ragione a sentirsi quindi investita «dal dovere di affiancare scuola, stampa e università, ovvero le guide per eccellenza dell’evoluzione e della diffusione cul- turale di allora», fino quasi a sostituirsi a loro. Sull’onda del successo americano472, il 25 novembre 1958, partì, per esempio, Telescuola e il 16 ottobre 1961, su espressa richiesta del ministero, la Rai diede il via ai corsi della prima classe della nuova scuola media unificata. Il 23 settembre del 1962 l’«Avvenire d’Italia», riportando una sintesi del-

470 G. Be t t e t i n i , Un fare italiano nella televisione, in Id. e Gr a s s o (a cura di), Televi- sione. La provvisoria identità italiana, cit., p. 14. 471 Cfr. Gr a s s o (a cura di), Enciclopedia della televisione, cit., p. 503. 472 Intervistato dal «Radiocorriere Tv», il prof. Smith era entusiasta del seguito che aveva avuto il suo corso universitario di Storia delle religioni. Le ricerche statisti- che, diceva, avevano dimostrato che la media giornaliera di alunni che assistevano alle sue lezioni era di 20.000, dieci volte di più di quanti ne avrebbe avuti in cinquant’an- ni di insegnamento. Da una precedente esperienza radiofonica, «la Tv in America, negli anni scorsi, aveva dedicato alcune ore ai programmi didattici per contribuire a compensare la penuria di insegnanti e di aule scolastiche. Considerato, allora, da molti come un puro e semplice ausilio meccanico, va dimostrandosi ora un fattore importantissimo nell’istruzione nazionale suscettibile di sviluppi forse impensati e ad avere la possibilità di divenire, tra breve, un elemento importante del patrimonio della scuola americana». L’articolo si concludeva con l’augurio che l’esperimento televisivo-educativo in Italia desse un esito altrettanto favorevole come negli Stati Uniti. Cfr. G. Ga s c o , Tv educativa, in «La Nostra Rai», (febbraio 1959), 2, pp. 13-14.

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la diagnosi espressa nella lettera pontifica in occasione della XXXV Settimana sociale, poté titolare così Ha più influenza la Tv che la scuola, enfatizzando e mostrando di aver compreso l’importanza che i nuovi mezzi audiovisivi cominciavano a ricoprire rispetto agli strumenti di- dattici tradizionali473. Lo stesso pontefice non mancò di ribadirlo nella lettera fatta pervenire al card. Leger, arcivescovo di Montreal, a firma del segretario di Stato, in occasione delle giornate di studio organizza- te dall’Ufficio cattolico internazionale del cinema e dall’Associazione cattolica internazionale per la radio e la televisione474. Il piano delle trasmissioni Rai sul concilio rientrava pienamente in questo progetto didattico di più ampio respiro della televisione ita- liana di quegli anni. La Rai adattò, infatti, il suo schema divulgativo al concilio e lo applicò fedelmente. Il suo modo di approcciare l’evento fu molto simile dunque a quello che aveva utilizzato fino ad allora per qualsiasi altra grande occasione. Si usarono le formule già rodate per spiegare ai quasi sei milioni di abbonati che cosa era un concilio, come funzionava, chi vi partecipava, cosa si sarebbe fatto e che cosa aveva- no detto i concili passati. Alcune trasmissioni, come quelle realizzate da Soffientini o da Lisi, si allontanarono dal mero didascalismo pro- ponendo questioni ecclesiologicamente più impegnative, ma il format più generale entro cui rientravano rimaneva pressoché quello della divulgazione televisiva. Anche se la stampa, in particolare quella specialistica, lamentava il vuoto di informazioni attorno alla preparazione nonostante le tanto

473 Ha più influenza la Tv che la scuola, in «Avvenire d’Italia», 23 settembre 1962, pp. 1-2. Cfr. anche l’articolo del card. A.G. Ci c o g n a n i , Il teleschermo come cattedra, in «L’Osservatore Romano», 24-25 settembre 1962, p. 6. 474 Lettera del Papa sul cinema e Tv, in «Avvenire d’Italia», 25 giugno 1962, p. 5. Il tema delle giornate era I creatori di film e di emissioni televisive. Nella lettera «si esprime con certezza che l’influsso che il cinema e la televisione eserciteranno nell’avvenire sull’umanità sarà in continuo aumento», quindi «si ricordano i principi cui debbono ispirarsi gli autori di film o di emissioni televisive mediante una profonda cultura re- ligiosa ed una intensa vita interiore». Veniva infatti indicato come «il raggiungimento dei risultati tanto desiderabili sarà facilitato, senza alcun dubbio, se gli autori cattolici di film e di emissioni televisive avranno a cuore di lavorare in confidente collabora- zione con gli uffici cattolici nazionali specializzati in questo settore» (ibidem).

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proclamate aperture al mondo dei media, la televisione non subì in modo pesante questa scarsità. Non perché scivolava sulla superficie dell’approfondimento, ma perché infrangeva il muro dei silenzi uffi- ciali «creandosi» direttamente le proprie notizie e usando sapiente- mente la tecnica dell’abbellimento: ricorreva alle interviste, cercava di avere resoconti sull’andamento dei lavori e usava magistralmente tutto il corollario di approfondimenti che fiorivano attorno all’evento, che ben si adattarono al tipo di informazione veicolata dal piccolo schermo. L’informazione televisiva sul concilio si rivelò così superiore allo standard informativo religioso tradizionale preposto in quegli anni dal- la Rai. Tra i telespettatori medi regnava la generale ignoranza su temi specifici riguardanti la storia della chiesa, ma anche lo stesso cattolice- simo italiano era pressoché digiuno delle spinte vitali che attraversa- vano il cattolicesimo europeo nelle forme del movimento ecumenico, biblico e liturgico. Tuttavia – come già sottolineato – questo tipo di modello informativo di questa prima fase può essere fatto rientrare nel progetto educativo e pedagogico di marca Rai di quel periodo. Il fattore che realmente ruppe questo schema fu la serie in tre puntate della trasmissione 1962 Anno del concilio. Gennarini, condiret- tore della Direzione programmi del secondo canale assieme ad An- gelo Romanò, e vicino – come già detto in precedenza – alla corrente dossettiana475, aveva chiamato in Rai la filiera degli studiosi del Cen- tro di documentazione bolognese che dall’inizio degli anni Cinquan- ta studiavano i concili sotto la guida scientifica di Giuseppe Dosset- ti: da Giuseppe Alberigo a Paolo Prodi, da Boris Ulianich a Luciana Mortari. Da una parte continuò dunque la tradizione di avvalersi di accademici chiamati a spiegare in questo caso cosa stesse avvenendo all’interno della chiesa. Dall’altra, l’approccio al video di quei profes- sori ruppe lo schema pedagogico a un doppio livello, uno endogeno e uno esogeno. La carica informativa e il modo di trattare l’approfondimento sto- rico-teologico del concilio fecero uscire il programma dal vicolo cieco

475 Cfr. B. Ba r b i c i n t i , La prima felice stagione del Secondo Programma Tv, in «Radio- corriere Tv», (8-14 luglio 1962), 28, pp. 5-6.

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dell’equazione «divulgazione = semplificazione»476. Si spiegavano le verità affermate nei primi quattro concili, si spaziava dal Segretariato del Consiglio ecumenico delle Chiese alla questione ortodossa, si illu- strava il dogma dell’infallibilità sancito dal Vaticano I e il movimento biblico nato nei primi anni del Novecento, senza il timore di entrare in questioni ecclesiologiche e storico-teologiche di una certa importan- za; il tutto in una maniera che aveva il sapore della lezione universita- ria, come era abituato a fare il gruppo bolognese, toccando argomenti poco conosciuti dal pubblico e certo non di facile trattazione a un livello di approfondimento e di analisi rigorosamente scientifico, ma – e qui si vede anche il peso della sapienza registica di Enrico Gras – senza l’austerità, l’accademicità e la distanza tipica di quando la cultura va in televisione spiegata da intellettuali. Il ciclo di puntate scalfì dun- que «quell’immagine di seconda scuola, quell’attitudine pedagogica, quell’umanesimo liceale che la Rai aveva» e che mostrava ormai in tutte le cose che realizzava477. Quel tipo di sapere che riversarono in video parlando di concili non lo si può configurare né come una lezio- ne di Telescuola ma nemmeno come una «linea Cutolo»478. L’altro grande fattore di novità portato dal gruppo bolognese fu l’internazionalizzazione. In una Italia da sempre abituata a essere al riparo dietro al rassicurante ed ermetico regionalismo, quei giovani professori ruppero questo approccio e portarono in televisione tutta quella rete di conoscenze e di contatti che si erano formati in anni di ricerca e di confronto con le realtà all’estero. Alberigo, chiamando- li a partecipare alla sua trasmissione, diede voce e spazio alla rifles-

476 Cfr. A. Gr a s s o , Cristalli di massa. I programmi che hanno fatto la televisione in Italia (1954-1966), in Be t t e t i n i e Gr a s s o , Televisione. La provvisoria identità italiana, cit. 477 Ibidem, p. 24. 478 Cfr. la categoria di Gr a s s o , Storia della televisione italiana, cit., p. 173. Cutolo era professore di bibliografia e biblioteconomia all’Università Statale di Milano; dal 1954 e per alcuni anni aveva risposto alle domande dei telespettatori nella rubrica significativamente chiamata Una risposta per voi, soddisfacendo la sete di nozioni cul- turali del pubblico. G. Tr e v i s a n i , L’Università serale del prof. Cutolo, in «L’Europeo», 3 aprile 1955. Per un approfondimento, cfr. A. Gr a s s o , Il demone della divulgazione, in G. Be t t e t i n i e A. Gr a s s o (a cura di), Lo specchio sporco della televisione. Divulgazione scientifica e sport nella cultura televisiva, Torino 1988, pp. 41-69.

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sione di quegli studiosi perlopiù sconosciuti sia al grande pubblico sia alla maggior parte dei cattolici italiani, ma che rappresentavano l’avanguardia della riflessione teologica, biblica, liturgica ed ecumeni- ca. Seppure giovani, avevano dedicato la loro vita di studiosi a quelle tematiche che il concilio rendeva attuali e che, grazie alla prima serata sul Secondo Programma, si imposero per la prima volta a un pubblico generalista. Il primo ribaltamento che avviene quindi nell’informazione televi- siva conciliare in quell’ultima fase di preparazione non è dovuto tanto alla forza dirompente del concilio in sé – come accadrà poi – ma sono gli uomini chiamati a collaborare e a spiegare il concilio che produco- no una distonia con il modello pedagogizzante della Rai del tempo, seppure per il breve spazio di alcune puntate.

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