Gino Bartali, l’intramontabile.

Riviviamo con , l’epopea di un ciclismo che appassionò l’Italia sportiva, un ciclismo fatto di fatica, sudore e passione genuini, che fece sognare… a cavallo della seconda guerra mondiale.

di Francesco Duca

Bartali e Coppi, Giulio e Serse

Quando si parla di Gino Bartali, è impossibile non parlare anche di , il Campionissimo, e della rivalità che li ha contrapposti. Un dualismo che divideva anche l’Italia sportiva in Bartaliani e Coppiani. Un’Italia appassionata di ciclismo, dove la bici era il mezzo principale per spostarsi. Bartali divise l’Italia sportiva e la riunì dopo l’attentato a Palmiro Togliatti nel 1948, quando era sull’orlo della guerra civile, grazie al suo trionfo al Tour de , esattamente 10 anni dopo il primo successo alla Grande Boucle. E in mezzo la guerra, che ne ha fermato la carriera all’apice del successo, con in tasca già 2 vittorie al Giro e una a Tour. Lui scherzando diceva, fresco vincitore del suo primo Giro nel 1936, che per i successivi 3 lustri ci sarebbe stato sempre un Bartali sul tetto dei grandi giri, perché lui e il promettentissimo fratello minore Giulio, si sarebbero alternati nell’albo d’oro. Gino stravedeva per il fratello e ne parlava molto bene: diceva che non riusciva a staccarlo in salita, che in volata era più forte di lui e che era un passista eccezionale. Poiché , compagno di squadra di Bartali alla , era un po’ avanti negli anni, Gino lo propose al direttore sportivo della squadra Eberardo Pavesi, per la sua sostituzione dall’anno successivo. Purtroppo Giulio non approdò mai alla Legnano e la profezia di Gino non si avverò. In quello stesso anno al giro di Toscana, alla presenza di Pavesi, che era venuto per visionarlo, Giulio Bartali, quando era al comando della gara con altri due fuggitivi, si scontrò violentemente con un’auto che aveva invaso il percorso. I due compagni di fuga scansarono per un pelo la vettura, Giulio la centrò in pieno. Inutile fu la corsa all’ospedale Santa Maria Nuova di Firenze, Giulio spirò poco dopo il suo arrivo per le lesioni riportate. Bartali e Coppi furono accomunati dalla tragedia. Fausto perse il fratello Serse, anche lui ciclista, in gara al del 1951 vinto da Bartali, allora 37enne, in seguito ad una caduta che sembrava non avere avuto conseguenze. Serse, infatti, si rialzò e tagliò il traguardo, si complimentò con Gino e tornò in albergo. Qui, il malore fatale, conseguenza di un’emorragia cerebrale.

La carriera Gino Bartali nasce a Ponte a Ema, alle porte di Firenze, il 18 luglio 1914. Durante la sua carriera sportiva si guadagna numerosi appellativi: da “Ginettaccio”, per via del suo carattere sanguigno, a “uomo d’acciaio” perché di fronte alle difficoltà, soprattutto climatiche, durante le gare, non batte ciglio e riesce a scavare solchi enormi fra lui e gli avversari; a “l’intramontabile”, dopo la sua seconda vittoria al Tour a distanza di 10 anni dalla prima e perché riesce ad aggiudicarsi gare importanti fino alla soglia dei 40 anni. Inizia con le gare giovanili nel 1931, passa professionista nel 1935. L’anno successivo Learco Guerra lo vuole alla Legnano e lui, con la nuova squadra, conquista subito il suo primo Giro d’Italia. Bissa il successo al Giro l’anno dopo costruendo il trionfo nella tappa dolomitica Vittorio Veneto-Merano dove infligge quasi sei minuti di distacco al secondo, Enrico Mollo. Sempre nel 1937 partecipa al Tour, ma deve ritirarsi quando è in testa alla classifica generale per i postumi di una caduta in un torrente. Torna al Tour l’anno dopo da trionfatore, dopo aver rinunciato al Giro d’Italia. Nel 1940, quando comanda la classifica generale del giro d’Italia, una caduta lo mette fuori gioco e dà il via libera al primo successo della carriera in una corsa a tappe del suo gregario, l’allora ventenne Fausto Coppi, che si aggiudica la classifica finale. Vince il Giro del 1946 ed è secondo l’anno successivo dietro Coppi. Nel 1948, come già citato, il suo secondo successo al Tour. Avrebbe vinto anche nel 1950, ma, a causa delle intemperanze dei tifosi francesi, stanchi di vedere italiani vincere la loro corsa (nel 1949 vince Coppi davanti a Bartali), è costretto al ritiro quando si trova in testa alla classifica generale. La sua carriera agonistica termina nel 1954 dopo 124 vittorie fra i professionisti.

Quando Bartali salvò l’Italia dalla guerra civile. Correva il 1948 e l’Italia, fresca Repubblica, dopo l’assemblea costituente, era nel vivo delle consultazioni elettorali per le elezioni della prima legislatura. Da una parte la Democrazia Cristiana, dall’altra la sinistra con il Partito Comunista e quello Socialista. La tornata elettorale vide il trionfo della DC, ma la campagna elettorale fu molto combattuta. Il 14 luglio di quell’anno un fatto grave scosse il Paese, Palmiro Togliatti (nella foto sul suo letto d’ospedale), segretario del Partito Comunista, subì un attentato rimanendo ferito gravemente. Appena si sparse la notizia, gli animi, non ancora sopiti per via della recente tornata elettorale, si surriscaldarono e ci furono violente manifesta- zioni in molte città. L’Italia era sull’orlo della guerra civile. Gino Bartali era al Tour de France, ma le cose non andavano bene. Il suo distacco dal leader della classifica generale sembrava incolmabile. Una sera quando si trovava a Cannes mentre riposava, dopo la tappa del giorno, arrivò una telefonata dall’Italia. Era il sottosegretario Giulio Andreotti che riferì a Gino che Alcide De Gasperi, allora Presidente del Consiglio, voleva parlargli. Immaginate le difficoltà di comunicazione telefonica di allora, senza la tecnologia odierna, con l’estero. Il Primo Ministro riferì a Bartali della situazione difficile nella madrepatria e chiese se avesse potuto fare qualcosa per placare gli animi, magari con una vittoria. Gino, capì dell’importanza di quella comunicazione, e non volle scoraggiare De Gasperi, pur sapendo che l’impresa era al limite dell’impossibile per via del distacco accumulato nelle tappe precedenti. Bartali si sentì investito da una responsabilità enorme che lo caricò tantissimo. L’indomani, conquistò la tappa sulle Alpi e la maglia gialla. La sua vittoria ebbe un’enorme cassa di risonanza in patria. Tutti parlavano di lui, non si parlava più di Togliatti. Gli animi erano placati, l’Italia era salva! Inutile dire che la vittoria finale al Tour di quell’anno ebbe un impatto non solo in ambito sportivo.

Giusto tra le Nazioni La carriera di Gino Bartali è stata straordinaria. Ancora oggi si discute su chi sia stato il migliore fra lui e Coppi. Entrambi hanno segnato un’epoca irripetibile per il ciclismo. A chi lo intervistava ripeteva: “il bene si fa e non si dice e certe medaglie si appendono all’anima, non alla giacca”. Nel 1943, in piena guerra, l’arcivescovo di Firenze, il cardinale Elia Da Costa, lo incaricò di fare la spola tra Firenze e Assisi per trasportare dei documenti falsi al fine di salvare degli ebrei dalla deportazio- ne. Gino accettò con onore e tra il 1943 e il 1944 percorse in bici oltre 200 chilometri per volta per portare documenti falsi nascosti nel tubo della sella dal santuario francescano alla città dei Medici. Nel far ciò, affrontò grandi fatiche e numerosi pericoli. Molte volte venne fermato dai fascisti che lo riconoscevano e lo lasciavano andare. I suoi “viaggi” permisero di salvare oltre 800 ebrei. Gino non parlò mai di questo se non in età avanzata. La sua generosità e il suo coraggio gli valsero la medaglia d’oro al valor civile da parte del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, e il titolo di “Giusto tra le Nazioni” conferitogli da Israele nel 2013. Dopo il termine della sua carriera sportiva, rimase nel ciclismo come dirigente. Fra le altre cose, fu conduttore negli anni ’90 di Striscia la Notizia. L’ultimo suo desiderio fu quello di essere sepolto indossando il saio francescano. Morì nel 2000 nella sua dimora a Firenze in piazza Elia Dalla Costa.

Referenze: Cinelibreria storica – Coppi e Bartali, gli eterni rivali Giancarlo Governi – Gino Bartali, l’uomo d’acciaio che salvò l’Italia