Iris: A Space Opera By Justice (2019) Il live ideale, costruito in studio: il dancefloor spaziale, potente e lucido, del duo elettronico francese. Un film di André Chemetoff, Armand Beraud con Gaspard Augé, Xavier de Rosnay, Pedro Winter, Vincent Lérrison, André Chemetoff, Armand Beraud. Genere Concerto durata 84 minuti. Produzione Francia 2019. Uscita nelle sale: mercoledì 28 agosto 2019 Un live show interamente creato dai Justice.

Raffaella Giancristofaro - www.mymovies.it

Attivi dal 2003 nella scena elettronica francese, col loro quinto album, Woman Worldwide, i Justice (Gaspard Augé e Xavier de Rosnay) hanno ottenuto nel 2019 il Grammy per miglior album di dance/elettronica. Il film da loro concepito, 'Iris: A Space Opera by Justice' vuole esserne la rappresentazione sul palco. Non si tratta propriamente di un film concerto perché è un live show senza pubblico, sul modello dello storico 'Live In Pompei' dei Pink Floyd, affermano i due musicisti. Uno spettacolo pensato per essere messo in scena in uno studio costruito ad hoc, con la regia di alcuni collaboratori di sempre: André Chemetoff (già direttore della fotografia del video di Stress di Romain-Gavras, figlio di Costa) e Armand Beraud.

L'obiettivo è fare qualcosa di completamente alternativo rispetto ai live per i fan, che mischiano la performance a momenti di tour, come già fatto nei precedenti 'A Cross the Universe' e '', che accompagnavano gli album omonimi del 2008 e 2013.

A contestualizzare l'operazione, ambiziosa e anticonvenzionale, è un dietro le quinte di circa 25 minuti che precede il film stesso, in cui Augé e de Rosnay, insieme ai registi, al loro manager e produttore Pedro Winter aka Busy P e il light designer Vincent Lérrison alias Lewis (il "terzo membro della band", che ha seguito lo show live dal 2017) motivano le scelte di ripresa, illuminazione, produzione.

'Iris: A Space Opera by Justice' nasce dall'insoddisfazione del duo per la resa audio e video delle riprese delle loro performance precedenti e punta in alto, a offrire a chi li segue un'esperienza differente dai "soliti" live, convenzionalmente caratterizzati da una frammentazione ipercinetica del punto di vista e da un montaggio tarantolato e tra l'altro disponibili sui social esattamente come quelli dei fan.

Qui si va in direzione opposta: dopo aver escluso il pubblico si crea un ambiente irreale, non riconoscibile (l'idea del pavimento/specchio è di Jan Houllevigue, production designer del video di Blackstar di David Bowie, la cui idea era "fare luce con gli schermi") e si scrive lo show in una successione ipnotica di lenti movimenti di macchina, plongée e carrelli, geometrici come il movimento ripetitivo e perfetto di uno scanner, a scoprire il set, e di inserti in computer graphics che completano con un tono cosmico, spaziale, la scaletta di remix di cui il loro set è costituito. Obiettivo: sparire alla vista, concentrarsi sulla musica e contemplare lo spettacolo.

Ci si muove tra l'immaginario di ''2001: Odissea nello spazio'' e i perimetri luminosi di ''Tron'', passando per Il fantasma del palcoscenico di De Palma e le spade laser e l'infinito stellare di 'Star Wars', senza rinunciare all'immaginario "classico" della band, fatta prevalentemente di simboli lucidi e sexy ma soprattutto degli immancabili muri di amplificatori Marshall e della croce stilizzata al neon (qui meno appariscente del solito).

Il set è un palco basso, con un banco mixer centrale e tre postazioni con tastiere ai lati, sopra il quale si muove armonicamente un sistema di pannelli led rotanti, specchi e luci tradizionali. Tra illuminazione intermittente, cambi di colore ciclici, incandescenza dei moduli della macchina di scena, che diventa di volta in volta navicella spaziale, castello, chiesa, gabbia, utero, dancefloor ideale, piramide dorata del terzo millennio, miniera scintillante, Big Bang, si apprezzano a pieno le sonorità della band. Che, rispetto agli altri artisti rappresentati dalla Ed Banger, come Cassius o Daft Punk (dei quali Winter è manager) esprime una fusione accattivante e danzereccia tra EDM (la cosiddetta "electronic dance music") e rock, con sample nostalgici di alcuni classici.

Mentre nei concerti dei Justice lo stage diving è la norma, qui la corporeità dei due dj officianti è azzerata, in favore della meraviglia e della definizione perfetta del suono (il film è distribuito solo per un giorno, solo nel circuito delle sale con Dolby Atmos), che alterna beat ossessivi, cori disco seduttivi, frasi di piano quasi romantiche a campionamenti più o meno celebri, chitarre e bassi compressi che scoppiano in improvvisi riff liberatori.

Un vero, potente assalto ai nervi ottici (in testa al film c'è perfino un'avvertenza al pubblico che soffre di epilessia fotosensibile) ma anche un piacevolissimo trip contemplativo ("la condizione ideale sarebbe vederlo proiettato su una cupola, da sdraiati", dichiara Xavier). Performance che si sottrae agli stereotipi della rappresentazione eccessivo trasgressiva del live, 'Iris' rivela la nudità degli attrezzi del mestiere, altrimenti invisibili, dei suoi sacerdoti, e riporta alla missione originaria della musica dance: festeggiare e favorire la condivisione d'amore. Non a caso nella playlist torna "there's another love emergency", da Love S.O.S. Lo stupore per la macchina - scenica e da musica - e la sua perfezione lucida ci salverà da tutto il resto, almeno per 63 minuti. Da suonare a volume molto alto.

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