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SENTIREASCOLTARE online music magazine MARZO N. 29

Small Voices / A Silent Place Ninni Morgia Arcade Fire Paolo Zanardi Au Revoir Simone Hanne Hukkelberg Rose Kemp Post Punk italiano Joakim The God Machine / Sophia Luciano Berio The Replacements

freedoom folks e n t i r e a s c o l t a r e  sommario

4 News 8 The Lights On Hanne Hukkelberg, Rose Kemp, Au Re- voir Simone, Paolo Zanardi 12 Speciali Arcade Fire, Joakim, Freedoom Folk, Ninni Morgia, Small Voices / A Silent Pla- ce, The God Machine / Sophia 35 Recensioni !!!, Air, Black Lips, Grinderman, Lcd Soundsystem, Low, The Broken West, 11 , Kaiser Chiefs…. 77 Rubriche (Gi)Ant Steps Charles Mingus We Are Demo Jewels for a Caribou, L’insolito clan, Phono Emergency Tool, Two Genial Idiots Classic Replacements, (Some Italian) Post Punk 12 Cinema – INLAND EMPIRE; Visioni: Bobby, Lettere da Iwo Jima I cosiddetti contemporanei Luciano Berio

Direttore Edoardo Bridda Coordinamento Antonio Puglia Consulenti alla redazione Daniele Follero Stefano Solventi Staff Valentina Cassano Antonello Comunale Teresa Greco 42 Hanno collaborato Gianni Avella, Davide Brace, Filippo Bordignon, Marco Braggion, Gaspare Caliri, Roberto Canella, Paolo Grava, Manfredi Lamartina, Andrea Monaco, Massimo Padalino, Stefano Pifferi, Stefano Renzi, Federico Romagnoli, Costanza Salvi, Vincenzo Santarcangelo, Alfonso Tramontano Guerritore, Giancarlo Turra, Fabri- zio Zampighi, Giuseppe Zucco Guida spirituale Adriano Trauber (1966-2004) Grafica Edoardo Bridda, Valentina Cassano 90 in copertina Jon Michael B’eirth

SentireAscoltare online music magazine Registrazione Trib.BO N° 7590 del 28/10/05 Editore Edoardo Bridda Direttore responsabile Antonello Comunale Provider NGI S.p.A.

Copyright © 2007 Edoardo Bridda. Tutti i diritti riservati. La riproduzione totale o parziale, in qualsiasi forma, su qualsiasi s e n t i r e a s c o l t a r e  supporto e con qualsiasi mezzo, è proibita senza autorizzazione scritta di SentireAscoltare news a cura di Teresa Greco

Il prossimo degli Interpol, Moderation, è stato completato ed uscirà in giugno: lo ha confermato Dan Kessler, in Inghilterra per mixare il disco, in una intervista con la BBC…

Dopo un decennio, il duo australiano Sodastream - da poco visti in Italia per un lungo tour - si scioglie: l’annuncio si può leggere nel sito ufficia- le…

Alan e Richard Bishop dei Sun City Girls comunicano sul sito ufficiale la scomparsa a Seattle, a 54 anni, di Charles Gocher, percussionista del gruppo, da tempo malato di cancro…

Joanna Newsom sta preparando un EP, che uscirà in aprile su Drag City, dal titolo Joanna Newsom and the YS Street Band, tre pezzi, di cui un inedito e due versioni rivisitate di canzoni apparse sul precedente YS e su The Milk-Eyed Mender…

Due nuove uscite su Kranky in aprile: Blood Is Clean (già pubblicato l’anno scorso su Yarnlazer) di Valet, moniker di Honey Owens, album for- mato da pezzi registrati in cinque session diverse in un periodo di 5 mesi tra gennaio e maggio 2006, e il nuovo lavoro di Lichens (Robert Lowe dei 90 Day Men e Tv on the Radio) dal titolo Omns.

Nuovi album in uscita anche su Jagjaguwar: Okkervil River, Black Sheep Boy (Definitive Edition) 2 CD il 6 marzo, ristampa con l’EP Appen- dix più inediti; il debutto del quintetto di Brooklyn Alex Delivery, con Star Interpol Destroyer il 24 aprile (un pezzo, Komad, è disponibile in free download sul sito mentre tutto l’album è in streaming http://www.address0.com/sc/ player/pl.php?playlistid=473); Odawas con Raven And The White Night a marzo; Parts & Labor con Mapmaker in uscita il 22 maggio; nuova re- lease anche per la sussidiaria Brah Records: Pterodactyl con l’omonimo il 24 aprile prossimo…

L’Associazione Nazionale Rockit festeggia i 10 anni con Pensiero stu- pendo, una lunga serie di eventi che partiranno il 3 marzo dal Deposito Giordani di Pordenone con Tre Allegri Ragazzi Morti, Mojomatics e Mr.Bizarro & the Highway Experience, per proseguire a Palermo, Co- senza, Torino e molte altre città…

E’ nata Dead Oceans, terza etichetta a far parte della famiglia Secretly Canadian e Jagjaguwar, con un roster che comprende per ora Dirty Projectors, aka Dave Longstreth, il cui nuovo disco dovrebbe uscire per metà anno, Evangelicals, Iran (il Aaron Aites e Kyp Malone dei Tv On The Radio) che stanno lavorando al loro prossimo The Same Song Over and Over, e i Bishop Allen, che dopo l’uscita di 12 EP l’anno scorso, realizzeranno un album nel 2007…

I Battles pubblicheranno un nuovo album, Mirrored, il prossimo 15 mag-

 s e n t i r e a s c o l t a r e gio su Warp, anticipato da un singolo, Atlas, in uscita il 2 aprile; il gruppo sarà in Italia il primo giugno per il Festival Dissonanze a Roma…

Disco di sole cover per : Twelve uscirà il prossimo 17 aprile su Columbia; hanno partecipato all’album, tra gli altri, Richard Robinson dei Black Crowes, Flea dei Red Hot Chili Peppers e Tom Verlaine dei Television. Tra i pezzi coverizzati, Helpless di Neil Young e Everybody Wants To Rule The World dei Tears For Fears…

Benoit Pioulard ha pubblicato il 12 febbraio su Type un EP, Fir, che si può ascoltare per intero a questo link: http://www.juno.co.uk/pro- ducts/255137-01.htm…

Ancora uscite: Alva Noto con Xerrox vol.1 il 3 marzo su Raster-Notoh; Maximo Park su Warp il 13 aprile con Our Earthly Pleasure; Kings of Lion con Because of the Times, il 3 aprile su RCA; Tom McRae con Kin- gs of Cards il 24 aprile su V2; Black Rebel Motorcycle Club il 1 maggio con Baby 81; Queens Of The Stone Age con Era Vulgaris a giugno su Interscope; Mice Parade con l’omonimo a maggio su Bubble Core…

La net label rudiMENTALE presenta St.ride con Carne al fuoco, disco liberamente scaricabile da http://www.rudimentale.com/...

Tornano in aprile John Foxx e Louis Gordon per due date, dopo l’annul- lamento dei concerti dello scorso dicembre: il 13 saranno a Cento (FE) al Teatro Borgatti e il 14 a Milano al Transilvania… Keren Ann Si aggiungono i Police e i White Stripes al già ricco cartellone dei tre giorni del Bonnaroo Festival, in programma dal 14 al 17 giugno a Man- chester, Tennessee; tra gli altri nomi, si segnalano: Tool, , Flaming Lips, Franz Ferdinand, Decemberists, Tortoise…

La label di Devendra Banhart e Andy Cabic Gnomonsong ha alcune re- lease previste per primavera/estate: il 13 febbraio è stato pubblicato The Bride of Dynamite di Rio En Medio, in cui ci sono collaborazioni dello stesso Cabic, di Sierra Casady e di Tim Fite; il 6 marzo uscirà il secondo album dei Papercuts, Can’t Go Back, mentre There’s No Home di Jana Hunter sarà pubblicato in aprile. Infine il nuovo entrato Michael Hurley, leggenda folk, esordirà in estate con Home Recordings…

La cantautrice francese Keren Ann pubblicherà in aprile il suo quinto al- bum su Capitol, dal titolo omonimo, disco da lei stessa prodotto…

I Guillemots hanno iniziato la lavorazione del secondo disco, dopo il for- tunato Through the Windowpane dell’anno scorso…

Annunciata la data di uscita dell’attesissimo settimo album dei Ra- diohead.. o no? Il seguito di Hail To The Thief sarà pubblicato il 6 agosto

s e n t i r e a s c o l t a r e  news a cura di Teresa Greco

per EMI. Almeno, Amazon.co.uk. è sicurissimo, tanto da metterlo in pre- vendita. Nessuna conferma ufficiale da parte del management della band di Thom Yorke: il blog ufficiale tace, mentre nei forum dei fan impazza la discussione. Clamorosa bufala o astutissimo battage pubblicitario? Stay tuned…

Rivelato il titolo del nuovo disco degli Smashing Pumpkins: Zeitgeist sarà pubblicato il 7 luglio prossimo; la formazione comprende Billy Cor- gan e il batterista Jimmy Chamberlin…

Gli Okkervil River stanno lavorando al nuovo disco con il produttore Brian Beattie la cui uscita è prevista per il 2007; intanto Will Sheff ha dovuto annullare il suo tour solista insieme a Josh Ritter per problemi alle corde vocali. Il fortunato disco precedente, Black Sheep Boy sarà ristampato il 6 marzo come Definitive Edition e comprenderà anche l’EP Appendix e alcune bonus…

Uscirà il 24 aprile su Nonesuch un omaggio alla folksinger canadese: A Tribute To Joni Mitchell, che vede la partecipazione di Sufjan Stevens, Björk, Prince tra gli altri...

I Killers hanno coverizzato Shadowplay per la colonna sonora di Con- trol, film in lavorazione - previsto per settembre 2007 - su Ian Curtis diretto da Anton Corbijn; la pellicola si basa sul libro Touching From A Distance della vedova Deborah, anche coproduttrice. Anche i New Order partecipano allo score, con alcuni pezzi del gruppo di origine da loro Okkervil River reincisi …

Cayce Lyndner, frontman dei Flying Canyon, è morto improvvisamente in febbraio per cause ancora ignote; la band ha un disco all’attivo, l’omo- nimo pubblicato lo scorso autunno su Soft Abuse...

Il ritorno degli Who dal vivo: inizieranno il tour il prossimo 16 maggio da Lisbona e saranno in Italia l’11 giugno all’Arena di ...

A distanza di due anni da The Needle Was Travelling, tornano i Tarwater con Spider Smile in uscita il prossimo aprile su Morr Music, disco in cui si registra la presenza di un buon numero di strumenti analogici (un’ar- monica, chitarre, violini, oboe...) e di una cover (Sweethome Under White Clouds dei Virgin Prunes)…

Uscirà in aprile su !K7 Score, raccolta di musiche per film composte negli ultimi 10 anni da Matthew Herbert, che comprende 17 tracce da sette film e da un balletto musicati dal produttore, e arrangiati per la maggior parte da Pete Wraight; intanto il Nostro sta lavorando al progetto Agate Clery, un musical con Etienne Chatiliez…

Mark E. Smith dei Fall sta lavorando con i Mouse On Mars, per un pro-

 s e n t i r e a s c o l t a r e getto dal nome Von Südenfed; c’è già una pagina My Space con 2 pezzi (uno è una nuova versione di Wipe That Sound) ed un album è previsto per maggio su Domino… Una serie di concerti a supporto della raccolta fondi per Callum Robbins, figlio di J.Robbins e Janet Morgan dei Channels - di cui abbiamo dato no- tizia il mese scorso – si stanno tenendo in questo periodo in America; gli Shellac faranno un secondo concerto il prossimo 27 aprile a Chicago…

Xiu Xiu e Larsen (XXL) ancora insieme: Spicchiologi? uscirà il 29 mag- gio su

I Magic Markers registreranno il loro primo vero e proprio disco in studio con che lo produrrà e , su Ecstatic Peace, etichetta di quest’ultimo…

Esce il 3 aprile su Legacy Recordings The Future is Unwritten, score dell’omonimo documentario su Joe Strummer diretto da Julien Temple; il disco comprende una versione inedita live di I’m So Bored With The U.S.A. , insieme a pezzi cantati da Elvis Presley, MC 5, Nina Simone, e Woody Guthrie. La pellicola che è stata presentata al Sundance festival, sarà questa estate nei cinema e in autunno su DVD…

Sarà pubblicata il 1 maggio Unbreakable (A Retrospective), raccolta degli Afghan Whigs che abbraccia gli anni su Sub Pop e i passaggi su Elektra e Capitol; saranno compresi due inediti, I’m A Soldier e Magazine, registrati l’inverno scorso in occasione della loro reunion… Ladytron

Continuano le pubblicazioni degli Archives di Neil Young: il 12 marzo uscirà Live At Massey Hall con le registrazioni del concerto tenuto nel gennaio 1971 a Toronto, compreso di DVD con materiale video del live…

I Ladytron saranno in tour in Europa e in Inghilterra con i NIN; in Italia verranno a marzo per tre date da soli, il 23 marzo a (Covo), il 24 a Roma (Circolo degli Artisti) e il 25 a Milano al Transilvania…

La No-Fi Recordings degli Hiroshima Rocks Around ha cominciato a pub- blicare in anacronistico ed esclusivo formato cassetta limitato a settanta copie, e con cadenza mensile, le prossime uscite di Hiroshima Rocks Around (nov ‘06), G.I. Joe (genn ‘07), Movie Star Junkies (febb ‘07), Dada Swing (marzo ‘07), The Normals (aprile ‘07), Cheveu (mag ‘07), Chat Le Club De (giugno ‘07). La serie contiene registrazioni live, mate- riale inedito, impro sessions, alternative tracks…

Annunciati i primi nomi del Roskilde Festival (dal 5 all’8 luglio): tra gli headliner della manifestazione danese, quest’anno ci saranno i Red Hot Chili Peppers e Björk…

s e n t i r e a s c o l t a r e  The Lights On... Au Revoir Simone

Eteree e impalpabili, graziosi fan- go un percorso che porta il nome rica per una lunga serie di sold out. tasmi di una femminilità sfuggen- di Verses Of Comfort, Assurance Rimane giusto il tempo di chiudere te eppure irresistibile, al contrario And Salvation (Moshi Moshi / V2, l’anno in Giappone e di inaugurare delle collegiali disperse di Picnic marzo 2005). La leggenda vuo- quello nuovo con una performan- ad Hanging Rock di Peter Weir le le che sia stato registrato nel box ce newyorchese al reading di pre- Au Revoir Simone si affacciano al doccia dell’amico/produttore/ma- sentazione del libro “Catching The mondo musicale con altrettanto mi- nager Rod; vero o meno che sia il Big Fish” del maestro David Lynch, stero, trascinandosi dietro con una disco suona frizzante e felicemente il quale si dichiara letteralmente corda le loro tastiere e drum machi- ispirato. Dentro c’è tutto il meglio invaghito del loro sound. Non c’è ne, attraversando un vecchio ponti- del contemporaneo pop elettronico, quindi da meravigliarsi se con The le scricchiolante verso una natura dal Casiotone scontornato dell’at- Bird Of Music (Moshi Moshi / V2, incontaminata e nascosta. Ma come titudine rumoristica e lo-fi (Throu- 16 febbraio 2007) Erika, Annie ed le ragazze novecentesche del film gh The Backyards) alla ditta Morr Heather tentano di battere il ferro la loro allegra malinconia possiede e in particolare i Lali Puna, nelle finché è caldo, riproponendo il già un fascino livido, malato dal quale voci ipnotiche e all’unisono (Back noto bouquet di synth, tastiere e non si riesce a distogliere lo sguar- In Time). Ogni tanto si incappa in drum machine, tra optical spy story do. Silhouette dalle forme affusola- qualche nuvola di zucchero di trop- e carinerie downtempo te, appena macchiate da tenui co- po sulla scia dei Russian Futurist Postal Service. Ma già dall’ini- lori ondeggiano sotto strati di veli, (Hurricanes), ma sono peccati ve- ziale The Lucky One spira il vento gazzelle selvagge di un certo pop niali su cui si sorvola facilmente, se del cambiamento: se le prime note sbarazzino in corsa su umori vinta- paragonati ad una ideale seconda fanno piombare nell’acquatica at- ge. In testa la melodia, nel cuore i parte che si illumina di toni chiaro- mosfera campestre che le ha subito sintetizzatori. Così nel 2003, in una scurali, con una The Winter Song caratterizzate, in chiusura spunta carrozza di un treno in viaggio ver- che non sfigurerebbe nel repertorio fuori un coro gospel chiesastico che so , Erika Forster e Annie delle Cocorosie meno vezzose op- lascia spiazzati e perplessi. Il fur- Hart, scambiando chiacchiere per pure una And Sleep Al Mar che si besco easy listening sembra esser- trascorrere piacevolmente il tempo, adagia sugli allori tragici e cinema- si impossessato di loro. E la prova si ritrovano a fantasticare su una tici di certi AIR. Piace questa volut- arriva con Sad Song e Fallen Snow, probabile band di tastiere da loro tuosa vulnerabilità, come il repen- graziose e solari canzoncine che composta. “Conoscere gente sul tre- tino cambio di scena in Where You istigano il piede a portare il tempo, no può essere meglio che stringer Go che da scanzonata filastrocca si maleficio sonico a cui non si sottrae la mano”, cantano i nostri Amari, tramuta in contratta posa Ottanta neanche l’ugola negli angelici ah di e nel caso delle Au Revoir Simone a la Ms John Soda. Piace toccare fondo. Il resto dell’album non si di- si tratta di una profezia autoavve- con mano i lati, seppur spigolosi e scosta tanto, ma anzi schiaccia l’ac- rante: la voglia di realizzare questo taglienti, di una sensuale ispirazio- celeratore del ritmo, fino a toccare sogno è tale da farle incontrare e ne un po’ lunatica e rétro e per que- tempistiche quasi dance (Dark Hal- spingerle a provare. La curiosità di sto affascinante. (7.0/10) ls e Night Majestic). Una tangibile una terza amica poi, Heather D’An- E il bagliore delle tre ninfette rie- spensieratezza che ha solide basi gelo, non tarda ad arrivare, così sce ad aprire le porte della popo- in sciocchi e freschi refrain, profumi come il supporto di un ex membro larità dapprima con la soundtrack primaverili che non deluderanno chi dei Sung Bin Park. Il quartetto co- della serie tv “Grey’s Anatomy”, dalle Au Revoir Simone si aspetta mincia quindi a farsi conoscere per in cui figura la loro Through The questo. Ma di quella seducente ma- le strade della Big Apple e di Broo- Backyards, poi con un duemilasei lattia cinematografica dell’esordio klyn, ma tre è il numero perfetto e al seguito di e neanche l’ombra. (6.6/10) le fanciulle proseguono da sole lun- Double che tocca l’Europa e l’Ame- Valentina Cassano

 s e n t i r e a s c o l t a r e The Lights On... Rose Kemp

Un contratto con la One Little In- turalezza non molto tempo dopo: il Infatti elementi diversi convivono dian firmato a fine 2005 ha offerto folk tradizionale non è certamente nelle sue songs, e le lyrics sono finalmente alla giovanissima Rose la sua strada – anche se ha con- tese e rudi in una certa loro ma- Kemp (classe 1984) l’occasione tribuito in modo determinante alla niera, espressioni di sentimenti ed per farsi conoscere da un pubblico sua formazione - e ci si rende con- emozioni, con un deciso dualismo più vasto: è stato pubblicato infatti to di questo ascoltando la succes- tra bene e male, e fanno quindi il nel febbraio 2007 il suo secondo siva autoproduzione The Free To paio con una musica dai toni ora disco sulla lunga distanza, A Hand Be Me EP - poi ribattezzato Mini- aspri, ora più concilianti, che ben Full Of Hurricanes (vedi spazio Album (2004) - . Le coordinate manifesta infatti una visione arti- recensioni). Non avrebbe proba- sonore volgono ora al rock, con la stica finora non incline a compro- bilmente potuto fare nient’altro la chitarra della Kemp a suonare un messi di qualsiasi natura. Nostra, allevata letteralmente on dark blues sanguigno – tendente Districandosi tra vari side-project the road a pane e musica dai ge- decisamente al noise - che fa pen- e continuandosi a muovere tra nitori, la cantante Maddy Pryor e sare in primis alla sacerdotessa PJ territori diversi, Rose esprime in- il bassista Rick Kemp, entrambi Harvey. Rose cura gli arrangiamen- tanto la sua vena più sperimenta- negli Steeleye Span (gruppo folk- ti e la produzione, mentre modula le con il trio impro Jeremy Smo- rock inglese parallelo ai Fairport la sua voce potente tra ballad sof- king Jacket, insieme al folksinger Convention, ancora in attività). fuse ed oscure ed elettrici spasmi. SJ Esau e al multistrumentista Esperienze musicali in famiglia e Una prova decisa, che testimonia Max Milton, insieme ai quali regi- partecipazioni ad album di stampo il cambio di rotta e le successive stra nel 2005 un EP, Now We Are folk classico in età adolescenziale evoluzioni. Si trasferisce intanto a Dead (and Other Stories) - usci- costituiscono le sue prime prove. Bristol e comincia a frequentare la to su Enormous Corpse-Fact Fans Lo spirito hippy e un’accentuata locale scena underground, assai - che si snoda tra loop vocali, tri- indipendenza sono la base di par- variegata, iniziando a farsi nota- balismi e noise-core. Nel 2006 si tenza da cui si snoda il suo percor- re e destreggiandosi sin da subito unisce come chitarrista ai Vilna, so, finora variegato quanto basta tra alcuni side-project e numerose band post-rock strumentale che si per incuriosire e far scommettere esibizioni live. Contribuiscono a sposterà poi man mano in ambiti su di lei. far circolare il suo nome proprio progressive/. Quest’ul- La vulcanica Rose comincia da quest’ultime, solo-act intensi so- timi si sono appena sciolti, men- quasi subito: nel 2002 la trovia- spesi tra pezzi a cappella, campio- tre i Jeremy Smoking Jacket sono mo già parte di un terzetto, Maddy namenti di linee vocali in loop su attualmente in stand-by, compa- Prior and The Girls (con la mam- cui si immerge nel cantato, crean- tibilmente con gli impegni di ogni ma e Abbie Lathe) in un album folk do un onirico wall of sound - che musicista. L’entrata nel roster del- a cappella, Bib And Buck, uscito rimanda ai Buckley (soprattutto la One Little Indian e la prepara- su Park Records e che ha avuto Tim) e alla Bjork più recente - e zione del nuovo disco, in mezzo a ai tempi un buon riscontro, in cui pezzi più tirati. Non mancano con- tour anche in Europa (Rose fa la canta ed è autrice di alcune canzo- certi con una sua band e diversi sua timida comparsa nell’estate ni. Sempre per la stessa etichetta altri gruppi, in una dimensione che 2006 anche nel nostro paese) cul- realizza l’anno dopo il suo primo oscilla continuamente tra solitaria minano a inizi 2007 proprio con la disco da solista, Glance, fatto di e band-act. Viene in effetti da pen- pubblicazione di A Hand Full Of pop-song acustiche ancora acer- sare che la Nostra non abbia anco- Hurricanes. Ci aspettiamo ancora be, su cui rivelerà in seguito di ra espresso compiutamente le sue molto altro da lei. non aver avuto il completo control- potenzialità, tesa tuttora alla spa- Teresa Greco lo durante le registrazioni. smodica ricerca di una espressivi- La svolta intanto avviene con na- tà musicale a lei più congeniale.

s e n t i r e a s c o l t a r e  The Lights On... Paolo Zanardi

Ti sembra che faccia rock per caso, Arezzo Wave e Rock Targato Italia za e spleen madreperlaceo. Paolo Zanardi (vero cognome Iaf- nel ‘97. Come spesso accade però, Occorre fare un bel polpettone faldano). Anzi: per spasmo, per un non furono motivi sufficienti a far per suggerire il sapore della cosa: riflesso involontario e liberatorio. stare in piedi la band, che cessò prendete le ruvidezze di Giorgio Da attore in libera uscita. L’impo- di esistere quando Paolo decise di Canali, il Dalla più evocativo, l’ac- stazione rugginosa, i testi come trasferirsi a Roma. Poteva assomi- cigliato torpore wave di Federico gomitate nel vuoto pneumatico gliare alla morte di un sogno rock, Fiumani (del quale è presente una delle periferie o sputi nel caldero- come ne accadono tutti i giorni ad stupenda rilettura di Caldo), e an- ne della quotidiana ingiustizia. Più ogni latitudine. Ma vuoi mettere ri- cora il Battisti più discordante ed facile immaginarlo su un palcosce- sorgere? esotico (Matisse), certe cianfrusa- nico, come un teatrante off dal pi- Nella capitale infatti si aprirono glie Capossela (in Giocattolaio), glio amaro, l’espressività brusca, nuove strade. Storte e trasversa- la scontrosa meditazione d’un Mar- l’enfasi spigolosa del narrare. Non li, e non poteva essere altrimenti. co Parente nello sfarfallio jazzy di è certo un caso, semmai per quel Obbediente al proprio amore per il Odette, il Paolo Conte giovane tra volto che sembra disegnato dal- cinema, Paolo si mise a comporre il pianoforte e la viola de La pan- l’adorato Andrea Pazienza (capito colonne sonore per cortometrag- china. Inoltre, una smania pop che da dove viene lo pseudonimo?), se gi, attività che lo vide affiancato rimanda all’agilità sbrigliata dei Antonio Rezza ha scorto in lui uno da Giorgio Spada, già tastierista Perturbazione (Il farmacista) e spirito affine, accogliendolo nella dei Pirano e suo fido produttore. una certa voglia di azzardare com- cerchia di amici e tra le spire bef- Altra liaison destinata a durare fu plicazioni & astrazioni sintetiche farde e laceranti del suo show. quella avviata con Remo Remotti, (l’atmosfera livida di Come una Tuttavia, pur con tutte le deviazioni poliedrico artista romano (attore - lampadina). che si concede, Zanardi è un roc- per Moretti e i Taviani tra gli altri - Una prova autorevole, ricca di ker. Per quanto assolva il compito nonché scrittore, scultore, pittore, spunti, coraggiosa. Difatti, il di- con quel filo di sdegno, col livore poeta, umorista...) assieme al qua- sco ottiene lusinghiere recensioni, maldigerito di chi ha già esaurito le prese ad esibirsi regolarmente ma le radiolone nazionali – quelle tutti i tentativi per farsi amare dal- nel milieu capitolino, inscenan- che controllano il rubinetto delle la vita, segue il demone elettrico do una sorta di cabaret a base di (scarse) vendite - sembrano piut- fin da quando - bambinello - iniziò reading sonori che darà vita ad un tosto distratte e il sasso sprofonda a strimpellare la chitarra. Un’os- disco, Remo Remotti Canottiere nello stagno senza che le acque si sessione sfaccettata e tentacolare (Concertone-Edel, 2005). smuovano troppo. Nulla di cui stu- che negli anni lo ha visto amare Il 2005, già. L’anno cruciale. Coa- pirsi. Andare avanti. Senza smette- tanto e di tutto: Piero Ciampi e i diuvato dagli stessi musicisti di re di bazzicare i club con Remotti, Joy Division, CCCP e Tom Waits, sempre, Zanardi debutta con un di spicciare musica per il cinema. Roberto Murolo e Dirty Three, De- album che sembra un ricettacolo di In attesa di qualcosa, una breccia bussy e la new wave italiana. Tra tutto il suo vissuto artistico e non: nel carrozzone, per vomitarci quel- le altre cose. Portami a fare un giro (Olivia re- lo che non si può trattenere. Una Siccome è nato a Monopoli nel ‘68, cords / Venus, 2005) è una parata specie di resurrezione. Difficile, aveva giusto trent’anni quando i di teatrini cinici e taglienti che pro- forse impossibile. Ma: vuoi mette- Borgo Pirano, band da lui fondata cede a suon di beat acido, smanie re? nel ‘94, vinsero il premio Città di pop, impertinenze balcaniche, jaz- Stefano Solventi Recanati. Non erano nuovi a sod- zitudine stralunata e indignazione disfazioni del genere, visto il Pre- folk. C’è molto sarcasmo, una ti- mio Ciampi del ‘96 quale migliore gnosa malinconia, scazzo pungen- nuova band e le affermazioni ad te, squarci di sconcertante crudez-

1 0 s e n t i r e a s c o l t a r e The Lights On... Hanne Hukkelberg

Ci sarà poi un motivo se si fa sem- mente maturo e ben scritto. Hanne, un’arma a doppio taglio. Perché la pre un gran parlare della Scan- autrice dei testi e delle musiche, musica al tempo di internet riesce dinavia quale paradiso moderno sceglie come compagno di avven- a bypassare con imbarazzante fa- dell’indie (?) pop (?) di inizio mil- ture Kåre Kristoffer Vestrheim, che cilità ogni restrizione imposta dal- lennio, no? Dalla Svezia agrodolce modella attorno alle melodie jazza- le case discografiche. Con risultati e vagamente adolescenziale del- te della voce un vestito intessuto facilmente immaginabili. Album in l’etichetta Labrador (Radio Dept. di tenue elettronica. Come giusta- rete ben prima che riesca a sbar- e Irene, tanto per citarne due) alla mente sottolineato dal nostro Gian- care fisicamente nei negozi. Norvegia psichedelica ed esaltan- ni Avella in sede di recensione, il Ma sarebbe un peccato accon- te narrata dai torrenziali dischi dei risultato finale fa pensare ad una tentarsi delle lusinghe del web Motorpsycho, sembra che in quel- Bjork che canta i brani di Nina Si- per accedere subito alle canzoni la zona dove – dicono i bene infor- mone. E francamente viene il mal – inevitabilmente maltrattate dalla mati – è solito bazzicare un certo di testa a cercare quale sia, in una compressione audio – del nuovo Santa Klaus sia tutto un germoglia- scaletta tanto solida e ben calibra- lavoro di Hanne Hukkelberg. Per- re di canzoni belle, spesso bellis- ta, la canzone migliore, se il pop ché si tratta di un cd che merita di sime. Al punto che verrebbe voglia vellutato di Cast Anchor o lo scio- fare bella mostra di sé all’interno di mollare crisi di governo e pate- glilingua – di nuovo – jazzato di Do di una collezione privata contrad- tici sanremismi per trasferirsi lì, Not As I Do, se la coda vagamente distinta dall’amore per le cose bel- dove – tra un fiocco di neve e una glitch di Balloon o il ritornello da le. Berlin, ad esempio, è una pla- chitarra acustica negli auricolari brividi di Words & A Piece Of Pa- nata a pochi metri dall’abisso, con – risiede l’ultima delle musiciste- per. Little Things vince e convin- una vocalità in minore che disegna prodigio di questa terra benedetta, ce, dunque, al punto che la Leaf emozioni dalle traiettorie malinco- Hanne Hukkelberg, fresca peraltro acquista i diritti per lanciare nel niche. Fourteen è una splendida di grammy norvegese per il suo di- 2005 l’album nel mercato europeo. sonata folktronica in cui la Hukkel- sco Rykestraße 68. La mossa si rivela azzeccata, e la berg si divide tra recitazione ed in- La cantante di Oslo ha un passa- Hukkelberg diventa rapidamente terpretazione melodica. Break My to all’insegna dell’eclettismo. Il il nome nuovo del mondo indipen- Body è il prototipo di cosa inten- suo curriculum è come un giro a dente. diamo quando parliamo di cover. tutta birra sulle montagne russe, La stessa mossa viene ripetuta Non una semplice riproposizione di tra bordate metal (!) e croccan- col disco successivo, il già citato umori e sensazioni già vissute, ma ti panature rock da alta rotazione Rykestraße 68 (Propeller / Sony voglia di ravvivare ricordi passati radiofonica, senza dimenticare le BMG). Se in patria viene pubblica- attraverso una prospettiva inedita. raffinate improvvisazioni con cui to alla fine del 2006, l’uscita inter- Rispetto alla versione dei Pixies il ha animato la scena free- del nazionale è posticipata di qualche brano perde molto in energia – ov- suo paese. Ed è proprio grazie a mese (il 2 marzo per Germania, viamente – ma guadagna parecchio quest’ultima metamorfosi che la Svizzera e Austria e il 2 aprile in struggimento e melodramma. carriera della Hukkelberg svolta: per il resto d’Europa). Ma stavol- Farsi conquistare da Hanne Hukkel- l’incontro con l’orchestra norvege- ta questa strategia suscita diverse berg, quindi, non solo è naturale, se electro-jazz Jaga Jazzist, infat- perplessità. La Hukkelberg non è ma alla lunga si rivela anche un ti, le apre le porte della sua futura più un’artista da lanciare a livello necessario massaggio cardiaco etichetta discografica, la Propeller internazionale. La sua bravura è alla musica moderna e ai suoi po- Recordings, per quello che sarà il ormai universalmente riconosciuta chi ma tenaci difensori. primo album ufficiale, Little Thin- e il suo nome è sulla bocca di mol- Manfredi Lamartina gs, pubblicato nel 2004 in patria. ti. Differenziare le uscite in que- Si tratta di un lavoro incredibil- sto caso rischia davvero di essere

s e n t i r e a s c o l t a r e   Arcade Fire tragedie, funerali e bibbie kitch di Stefano Solventi

Gli ingredienti sono ben riconoscibili, ma l’intruglio ha una potenza rara. L’intraprendenza volitiva e struggente, pittoriche scorribande folk wave al confine – talora oltre - con ciò che usiamo definire gotico e barocco. Gli immaginifici paradigmi degli Arcade Fire.

Vengono da Montreal, Quebec, por- musicisti. Sette tracce che prefigu- i primi e più accaniti fan). L’anno zione francofona del Canada. Tanti rano tutto il loro arsenale: in testa successivo troverà una eclatante i musicisti e gli strumenti in gioco il profluvio esagitato e romantico consacrazione: Funeral (Merge, 14 (pianoforti, chitarre, percussioni, di Old Flame (chitarrina e voce ug- settembre 2004) si presenta come archi, xilofoni, tastiere, arpa, cor- giolose, una ballata Patrick Wolf uno zibaldone, anzi un intruglio, ni, organi di varia natura…), ma il pungolata dai Flaming Lips), in anzi un ricettacolo di vecchi mo- cuore della band è un duo, il com- coda gli indolenzimenti folk di Vam- tori rombanti e proiettori che non positore, chitarrista e cantante Win pire/Forest Fire (ancora i Flaming, smettono più di girare, di angolose Butler - timbro tra il Wayne Coyne però in fregola Roy Orbison), in traiettorie intellettuali e oniriche di- più onirico e lo Ian McCulloch più mezzo sbalestramenti stilistici già vinazioni, di fulgidi tremori e bieche sdrucito - e Régine Chassagne, ori- in grado di far girare la capoccia. luminarie, di modernità e abbando- ginaria di Haiti, sua compagna di Si va dal passo marzial-wave di No no, morte e vita a galoppo attra- vita, co-autrice dei pezzi, polistru- Cars Go (residui Talking Heads tra verso metaforici campi di battaglia. mentista (fisarmonica, pianoforte, allarmi e suggestioni bucoliche) al Eppure, tutto suona programmato, chitarra, mandolino, flauto…) non- friabile struggimento di Headlights coeso, spinto da una corrente ap- ché dotata di voce tra il soave e l’ir- Look Like Diamonds (col contro- passionata e lucida. Peregrinazioni requieto, tanto da ricordare un po’ canto di Régine a scomodare una filmiche tra lande romanticamente la Bjork giovane e un po’ l’ultima e tensione catchy Sugarcubes), an- fosche, frenetiche, schizoidi. Come più languida Kazu Makino. dando a parare dalle parti di certo capita nei quattro episodi intitola- Poche band (tanto meno al debutto) soul stentoreo e sdrucciolevole in ti Neighborhood, opportunamen- hanno dato l’impressione di saper My Heart Is An Apple (più o meno te numerati e muniti di sottotitolo padroneggiare così bene i materiali il Neil Young di This Note’s For così da non perdersi tra spurghi stilistici. Con audacia, con traspor- You sul punto di inciampare in un wave guizzanti e vapori al neon, to, con entusiasmo travestito da delirio lipsiano). Tra incanto e biz- affettazioni d’organo e pianoforte, mistero. Senza troppa voglia di na- zarria, malinconie senza requie ed casse in quattro che si fanno lar- scondere le fonti d’ispirazione, che enfasi madreperlacea, le canzoni si go nella bruma delle elettroniche anzi vengono ostentate come attori svolgono come brani di una lunga e degli archi, nevrosi - ça va sans importanti del gioco. Radici folk e visionaria parabola, con la nostal- dire - Talking Heads e nevrastenie angosce wave, spurghi elettrici e gia wave sul punto di deflagrare Frank Black, spiritelli - ovviamen- sdilinquimenti orchestrali, orizzon- epica (dalle parti degli Echo And te - Flaming Lips e solennità Echo ti psichedelici e teatralità glam, il The Bunnymen) ed il folk a cara- And The Bunnymen, mestizie tutto avvinghiato fino a confonder- collare saturo di rigurgiti psych e Black Heart Procession e invasa- si, in un corroborante imbastardi- guizzi pop (7.0/10). menti PIL. In un paio di circostanze mento formale ed emotivo. Un po’ è come se venisse dichiarata una come l’alternanza tra francese e Artifici e crepacuore tregua, e sono i momenti migliori: inglese, frutto di identità borderline Sono soltanto i primi vagiti di un tocca all’ugola di Régine tratteg- nel cuore di una civiltà in bilico tra discorso sonoro in espansione, giare gli struggenti ideogrammi di centro e periferia. Il 2003 è l’anno che riscuoterà entusiasmi un po’ In The Backseat, ballata di dolore zero degli Arcade Fire. Régine e ovunque (il dischetto, venduto bre- stilizzato ed enfasi sospesa, ottima Win decidono di fare sul serio au- vi manu dagli stessi Win e Régine, per chiudere la scaletta. La palma toproducendosi l’Arcade Fire EP andrà sold-out più o meno ad ogni di miglior pezzo se l’aggiudica però (2003), grazie al non certo piccolo data) e sponsor eccellenti (David Une Année Sans Lumière, per quel aiuto di un bel po’ di concittadini Bowie e David Byrne sono tra senso di quiete trepida, di artificio

1 2 s e n t i r e a s c o l t a r e e crepacuore, di plastica e sabbia e ni (per un atleta, per uno studente) Il tema della guerra, delle sue periferie anni ottanta, un procedere sia una sindrome, poi la chiamano motivazioni e delle conseguenze, dritto e afflitto basso-chitarra-synth “sophomore jinx”. Ebbene, tutte asperge su tutto un senso di ango- che si sgretola sbatacchiando sulla cazzate per Win e Régine. Tra tour sciosa perdizione, di valori dissipa- wave serrata del finale. Una vera e e impegni vari (memorabile l’esibi- ti e ingannati, divorati da una can- propria poetica dell’artificio, poten- zione al Coachella 2005 di fronte a cerosa mancanza di buona fede, te e pervadente: si prenda il soul- 15000 persone, così come la colla- esemplificata dalla bibbia al neon rock in tre quarti di Crown Of Love borazione con Bowie impegnato a che intitola il lavoro, al contempo (con fuga dance conclusiva Abba- rileggere classici come Five Years sacra e sacrilega, sommo emblema style), i riff chitarristici pesanti ma e Life On Mars), ci mettono quasi di trascendenza kitch. Tra gli sfondi agili di Wake Up (in un brodo di ar- tre anni per confezionare Neon Bi- eniani della travolgente Keep The chi, synth e fisarmonica, come dei ble (Merge / Rough Trade, 6 marzo Car Running, la languida cupezza Neutral Milk Hotel presi in ostaggio 2007), disco che non solo confer- di Ocean Noise, il commosso cre- dai Polyphonic Spree) e la wave ma in pieno la brillante vena della scendo orchestrale di Intervention, cruda di Rebellion, che tra basso coppia, ma rilancia sul piano degli l’escalation crudo/nevrastenico di impellente e caligini radioattive arrangiamenti e della personalità. My Body Is A Cage e la felpata sor- sembra una tardiva cospirazione E’ come se tutta la sovrastruttura didezza della title track, si svolge un New Order-Sound. (7.4/10) che dicevamo, quel bozzolo ver- tragico e talora eccessivo paradig- L’ordigno funziona a tal punto che… sicolore di riferimenti, quel palu- ma moderno. Una parabola fastosa esplode. Eccome se esplode. Re- damento di rimandi, venisse fatto a cuore nero, schiacciata dalla tra- censioni fragorose. Una pioggia di sprofondare nella densa pozione gedia imminente, road to nowhere riconoscimenti (nomination ai Gram- sonora. Dalla voce di Win, più spes- (No Cars Go, recuperata dall’ep di my e ai British Awards, vittoria del sa e legnosa, alla sontuosa coltre esordio e opportunamente riarran- Juno Award). Gli U2 che li reclama- degli archi, si avverte il tentativo giata, sembra in effetti una febbri- no come opening act per il Vertigo di svincolarsi dalla facile ricono- le rilettura del celebre pezzo delle Tour. Quindi, imprevedibile apoteo- scibilità, accogliendo istanze più teste parlanti) senza un barbaglio si mediatica, si ritrovano addirittura atmosferiche ed emotive che non di speranza all’orizzonte. Un qua- in copertina dell’edizione canadese formali. Gli Arcade Fire sembrano dro in cui non resta che spendere di Time. Insomma, se Funeral non è diventati una combinazione alche- al massimo la passione di vivere, un capolavoro è senz’altro un even- mica tra il romanticismo brusco dei coltivando ogni emozione, ogni pal- to, forse quanto di meglio la musica Waterboys, l’ipertrofia orchestrale pito di vita, come un dono preca- pop potesse esprimere in tempi di di certa Bjork o dei Sigur Ros o rio e perciò meraviglioso. (7.2/10). reality e fiction, di vita che si avvita dei Mercury Rev e la crudezza di- Nel guazzabuglio del post-emul, tra imitazione e mitizzazione di (ciò noccolata dei Violent Femmes, ma vera e propria fucina dell’effimero che è stato) vita. se prima i riferimenti possedevano glamour, gli Arcade Fire si distin- una flagranza al limite della citazio- guono per il sovraccarico emotivo Nuove strade (senza uscita) ne, oggi possiamo individuarli come ed esistenziale, per quel senso di Chiaro che all’album successivo sa- sentori di riferimento d’un bouquet ferita aperta nel ventre enfiato del rebbe toccato un compito come mi- strutturato, punto di combustione presente, da cui cola la loro musi- nimo arduo. Gli anglosassoni, che melodico posto tra le nude radici e ca. Col rischio di apparire ampol- hanno bisogno di dare un nome a le fronde rigogliose, tra certo folk- losi, velleitari. Oppure dei funesti tutto, prima ipotizzano che la diffi- blues gotico e terrigno ed il pop più poseur. Ma è un dazio che, perso- coltà a ripetere le buone prestazio- sovraccarico e sofisticato. nalmente, sono lieto di pagare.

s e n t i r e a s c o l t a r e   Joakim di fantasmi, mostri e stupide canzoni di Stefano Renzi

In principio fu il laptop e con lui le sante e santificate derive post techno, poi arrivarono le chitarre, le batterie ed i bassi e per Joakim Bouaziz si aprirono le porte di un mondo meravi- glioso, quello che aveva sempre sognato di abitare, una zona franca dove la musica riscopre la sua vera essenza e si manifesta per quello che è e che dovrebbe sempre essere ovverosia un intreccio di suoni libero da qualsiasi castrante steccato di genere, il cui obiettivo è quello di generare e liberare emozioni.

La spericolata parabola di Joakim è il brano che chiude la trilogia ed (vedi SA #28), album nel quale la Bouaziz parte, in maniera del tutto anticipa la pubblicazione del primo sua visione trasversale della mu- inusuale, all’inizi del secolo quan- album di Joakim, Fantomes, sia- sica così come della vita prenderà do viene convocato dai responsa- mo ancora dalle parti di una deep forma in un caleidoscopico rincor- bili della Crippled Dick Hot Wax! house sincopatici ed acquatica, rersi di sensazioni e colori. La no- per realizzare un remix da inserire seviziata da correnti electro ed in- stra intervista. nella compilation Iron Curtain Re- farcita di voci impossibili, un buon visited, album retrospettivo inte- pezzo per le aperture dei set ma Dalla pubblicazione del tuo ulti- ramente dedicato alla scena jazz infinitamente al di sotto dei singoli mo album in studio sono passa- dell’est Europa sviluppatasi a ca- precedenti. ti circa quattro anni, un periodo vallo tra gli anni sessanta e settan- Come preannunciato nella prima- molto lungo soprattutto nell’am- ta. La marchetta consumata con la vera del 2003 esce Fantomes, pri- bito della musica dance/elettro- Crippled Dick è un modo come un mo lavoro sulla lunga distanza del nica dove tutto viene assimilato altro per farsi conoscere e mettere Nostro. All’interno del disco ven- e frantumato nel giro di pochis- in tasca qualche soldo, una sorta gono inseriti tutti e tre i brani già simo tempo… di riscaldamento, che anticipa di pubblicati da Joakim sotto l’egida Durante questi quattro anni ho qualche mese il contratto con la della Versatile che finiranno con il lavorato molto ma mi sono preso Versatile Records etichetta fran- rappresentare anche i momenti più anche delle lunghe pause di ri- cese a quel tempo (è il 2002) tra accessibili di un lavoro eclettico ed flessione durante le quali ho sco- le più propositive in ambito dan- esteticamente vicino alla perfezio- perto i piaceri dell’alcool. Prima ce/elettronico. Il trittico di singoli ne, dove l’amalgama tra elettronica di ritrovare la serenità mentale e che Joakim pubblica con la label ed altre forme musicali genera cu- la concentrazione necessaria per tra il 2002 ed il 2003 è poco meno riosi quanto sorprendenti bozzetti realizzare un album ho dovuto ri- che sensazionale: apre il lotto l’Ep di post modernità sonora. Dai Sui- generare il mio spirito e questo ha Cotton Gun, un pezzo di matrice cide in gita premio sul batomouche notevolmente dilatato i tempi di deep house sincopato ma propul- di John all’improbabili dilatazioni produzione dell’album. sivo, dopato e trascendente che ambientali de La Mouette, Fanto- mette in rotta di collisione Larry mes sceglie di rivisitare musica Immagino che quando parli di la- Heard ed Aphex Twin lungo un’ colta e dinamiche pop attraverso voro ti riferisca all’intensa at- autostrada celeste. Brano decisi- l’ottica della noncuranza, generan- tività di remix collezionata nel vo, sul quale si sporca le mani per- do un Mostro dall’impossibile col- corso degli ultimi anni… sino un Kirk De Giorgio in veste di locazione stilistica. (7.5/10) Senza dubbio il lavoro di remix remixer. Poche settimane di attesa Pubblicato l’album, per Joakim ha mi ha impegnato tantissimo, ma a ed il Nostro si supera in corsa con inizio una fase, apparentemente questo devi aggiungere la produ- l’incredibile Are You Vegetarian?: interlocutoria, di bighellonaggio zione di alcune band della Tiger- basso funk modello ESG, contorni artistico, contraddistinta da nu- sushi, i tour, una compilation mixa- electro e clima da post bombarda- merose apparizioni come remixer ta e tante altre piccole cose che mento nucleare a sostegno di una e produttore ma anche da lunghe adesso non sono neanche in grado voce spastico/robotica impegnata pause di riflessione. In realtà, di ricordare. a recitare in loop assortite banali- come lui stesso avrà modo di rac- tà, fanno di questo brano uno dei contarci, il Nostro stava affilando Quali sono i mostri e quali sono pezzi di culto dell’intera estetica le armi per la genesi del capola- le “stupide canzoni” cui fai rife- post Warp. Come In To My Kitchen voro Monsters And Silly Songs rimento nel titolo dell’album?

1 4 s e n t i r e a s c o l t a r e E’ difficile rispondere a questa do- a mettere assieme un prodotto di The Devil With No Tail è uno dei manda…sono sempre stato affa- buon livello. In tal senso, l’espe- pezzi che mi ha maggiormente scinato dai mostri, dalla loro enig- rienza maturata come produttore in impressionato, si tratta di una matica estetica… seno alla Tigersushi è stata decisi- canzone folk cupa ed onirica che va, ho avuto l’opportunità di lavo- pare scritta da David Tibet in Si tratta di mostri che hanno rare con delle vere band imparan- persona… popolato la tua immaginazione do molte cose relative al processo Grazie per i complimenti. I Cur- quando eri bambino? creativo e produttivo tutte nozioni rent 93 mi piacciono molto anche Non esattamente. La mia attenzio- che ho poi avuto modo di riversa- se non posso certo definirmi un ne è rivolta verso i mostri dell’altro re nella realizzazione di Monsters loro fan. Il folk è uno stile musicale mondo, demoni e cose del genere. And Silly Songs. che mi affascina tantissimo, come Probabilmente, le storie e le favo- il pop del resto, amo sia le cose le che mio nonno mi raccontava Se da un lato Monsters And Sil- più delicate che quelle più oscure da bambino per farmi addormen- ly Songs ha fatto emergere il tuo come possono essere i pezzi di Ti- tare, hanno contribuito in modo lato più pop, dall’altro si è avuta bet e di tutta la scena folk apoca- inconscio a sviluppare dentro la la conferma di questa passione littica. Se devo però citare il nome mia mente una certa attrazione per certe sonorità out-rock che di una band che ammiro e con la per questo particolare tipo di figu- già avevano iniziato a manife- quale credo di condividere anche re. Nel caso specifico dell’album starsi nel tuo precedente lavo- una certa attitudine, allora dico gli i mostri e le stupide canzoni rap- ro, seppur filtrate attraverso una Animal Collective. presentano i lati, stilisticamente chiave di lettura decisamente opposti, del disco: da una parte ci elettronica… Monsters And Silly Songs sarà sono i pezzi più oscuri e rumorosi Dico una banalità, ma per quello pubblicato dalla !K7, un mar- dall’altra le vere e proprie canzoni, che mi riguarda la musica non può chio che è diventato una vera e composte e strutturate in maniera, essere divisa in categorie. Non propria istituzione non soltanto oserei dire, classica. esiste musica elettronica oppure nell’ambito della scena dance/ musica rock, pop o funk, esiste la elettronica. Come mai hai deciso Proprio le canzoni, sono uno dei musica punto e basta. Puoi realiz- di firmare per questa etichetta e tratti distintivi del tuo nuovo al- zare musica con un computer op- quali vantaggi, almeno a livello bum e, se vogliamo, anche una pure con una chitarra l’importan- promozionale e di visibilità, pen- sorta di scommessa visto che in te è che tu sia in grado di creare si di ottenere da questa nuova passato non ti eri mai cimentato qualcosa che possa emozionare. esperienza? in pezzi pop dal ferocissimo ap- A volte mi capita di aver voglia di La !K7 è una label molto cono- proccio come Rocket Pearl. Cosa lavorare su del materiale più duro, sciuta e rispettata che è riuscita, ti ha spinto a lavorare in questa altre volte, invece, mi piace essere dopo anni di lavoro, ha costruirsi direzione? più dolce… non decido a tavolino un importante network di contatti Sono sempre stato un appassiona- se utilizzare una distorsione oppu- internazionali. I responsabili del- to di pop music, è un modo di fare re un beat house, mi lascio guida- l’etichetta sono persone molto musica che mi affascina. In passa- re dal momento, dalle sensazioni, disponibili e motivate, amano la to non ho mai avuto la possibilità senza preoccuparmi minimamente musica ed amano rischiare lo di- di poter lavorare in questa direzio- del fatto che il pezzo possa sem- mostra il fatto che abbiano accet- ne, un po’ per incapacità tecnica, brare troppo elettronico oppure tato senza esitazioni di pubblicare un po’ per la paura di non riuscire troppo rock. il mio lavoro.

s e n t i r e a s c o l t a r e 1 5 Freedoom folk don’t fear the reaper di Antonello Comunale

Le murder ballads degli Appalachi e le nursery rhyme dalla vecchia Inghilterra. Le foreste nere e le vecchie mansion del gotico americano. Solo alcune delle terre desolate su cui sbocciano i fiori neri dell’avant folk americano. Il cuore diviso a metà tra traditional e folk apocalittico.

I see the moon New Orleans, le tremebonde solitu- dai più disparati musicisti, da Dock and the moon sees me dini appallachiane, il paganesimo Boggs a Bob Dylan, dai Byrds ai The moon sees the somebody I’d oscurantista dei predicatori del pro- Nirvana. Se il non-genere del goti- like to see. fondo sud. Indimenticabili esempi co americano non è mai veramente God bless the moon visivi di gotico americano rimbalza- scomparso, né mai è stato partico- and God bless me no nell’immaginario collettivo, spu- larmente presente da poter forma- God bless the somebody I’d like to tatati fuori dalla fantasia cinema- re una scena ben definita, non si see! tografica: la casa di Norman Bates contano comunque i musicisti che (Nursery Rhyme) in Psycho, con la sua architettura hanno gravitato intorno al concet- coloniale (Robert Bloch, lo scrittore to. Per rimanere in tempi recenti, Gotico Americano. E’ il 1930 quan- del romanzo da cui è tratto il film, guardando le copertine della serie do Grant Wood, sconosciuto pittore è autore anche di un libro chiamato American Recordings di Johnny statunitense, arriva nella piccola “Gotico Americano”), il piccolo albi- Cash, possono mai sorgere dubbi? cittadina di Eden, nel sud dell’Iowa. no dal banjo spiritato nel quale si E cosa dire del convulso strimpella- Qui rimane impressionato da una imbatte la combriccola di Un tran- re di banjo di Woven Hand? Non è costruzione di stampo britannico, quillo week-end di paura o i bo- forse anche lui un isterico figlio di la tipica architettura importata dai schi della strega di Blair e rientrano predicatore? La verità però è che coloni inglesi a partire dal 1800 e sicuramente nella categoria i mondi la migliore immedesimazione del ribattezzata “Gotico da carpentie- partoriti nella letteratura di settore, concetto nei suoni attuali si è avuta re”. Tornato nel suo studio comincia con da un lato la terrifica trimurti con l’avvento del nuovo free folk. a dipingere su tela e servendosi di Poe, Lovecraft, King e dall’altro i La caratteristica, propria di tanti vecchi ritratti del 19° secolo pianifi- torridi scrittori del sud come Flan- musicisti, di andare a ritroso per ca il suo dipinto. Ritrae come figura nery O’Connor e William Faulkner. governare la propria ispirazione, femminile sua sorella e come figura Il concetto di gotico americano facendo fede da un lato ai grandi maschile il suo dentista, tale Dott. in musica si è invece rapidamen- classici dell’American Byron McKeeby. Nella mano di lui te coagulato intorno ai ruvidi resti e dall’altro alla tradizione europea mette un forcone. Wood chiama il lasciati dal blues delle origini. Le del folk apocalittico - un nome su dipinto “American Gothic” e lo con- leggende intorno a Robert e Tommy tutti? Current 93 - ha finito per ge- segna all’eternità come icona. Johnson e ai loro patti con il diavolo nerare un agguerrito sottogenere La forza di quella immagine va ben e via così fino alla danse macabre che in epoca di doom e drone a oltre le corde della pratica di set- di tanti cantastorie bluegrass arma- tutto spiano non poteva non salire tore, della pittura come ambito di ti di solo una chitarra o un banjo. sempre più in superficie. creatività e pensiero. Il fatto stes- Un campionario di murder ballads e so che il quadro sia stato e continui di versi per antologie di Spoon Ri- Do You Remember Our Moonshine ad essere parodiato in mille modi ver, che ha reso il folk rurale ame- Magic? ne testimonia la potenza evocati- ricano una biblioteca voluminosa di Timothy Renner, in questo senso, va, il suo incunearsi nell’immagi- visioni cupe che vibrano tutt’oggi merita di essere considerato come nario collettivo. Da allora il termine tra le pieghe della musica popolare. un precursore e un innovatore. “gotico americano” è stato piegato Storie tramandate di generazione in Il suo aspetto è quello di un hob- innumerevoli volte per contesti di- generazione, storie come quella di bit tolkeniano, la sua visione delle versi, rendendo sempre una gamma Pretty Polly, la giovane ragazza che cose è un patchwork di tradizione di significati, che stanno da qual- si scopre incinta e viene portata dal campestre e rurale, esoterismo al- che parte tra le ruvidezze da red- suo amante sul ciglio della sua tom- chemico, iconografia da fumetto neck, le piccole apocalissi rurali, ba. Storia riadattata moltissime vol- dark. Non è un caso che si faccia uno spleen esistenziale da vecchia te e interpretata in epoche diverse apprezzare in primis come artista

  s e n t i r e a s c o l t a r e grafico sia per fanzine di settore re gli Stone Breath, di dedicarsi ad a fare proprio tanto l’humus emoti- don’t fear the reaper come The Broken Face che per i altri progetti come Breath Stone e vo del folk apocalittico europeo, in suoi parti musicali. Comincia presto The Spectral Light and Moonshi- particolar modo dei Current 93 post a farsi chiamare Timothy “Revela- ne Firefly Snakeoil Jamboree e di Thunder Perfect Mind, quanto i ri- tor”, prendendo in prestito il termi- fondare la Dark Holler, che in com- ferimenti retrò della dark britannia ne dal traditional John The Revela- pagnia della sussidiaria Hand/Eye sceneggiati nelle pagine migliori di tor. Muove i primi passi in progetti si dedica espressamente a lavora- Pearls Before Swine, Incredibile di elettronica spicciola, come The re su musiche che seguono il solco String Band, C.O.B. o Pentangle. Mourning Clock, ma è con gli Sto- aperto dagli Stone Breath. Nel ros- Alla fine l’intero excursus di B’eirth ne Breath che il Nostro comincia a ter della label gente come Martyn sarà un esempio da mandare a me- fondare le basi di un mondo proprio Bates, The Does, Skye Clad, Fit & moria per i novelli trovatori di corte e del tutto staccato dalle mode del Limo. Riesce nel migliore dei modi dell’attuale wyrd folk: i Nick Castro momento. Quando gli Stone Brea- possibile, stabilendo un esempio da e gli Espers, per intenderci. th pubblicano i primi dischi, come imitare, anche la serie di 3” in ab- B’eirth incide le sue prime cose per il primo e introvabile Of Mist and bonamento denominata Folklore of la Bluesanct Musak, etichetta mes- Ashes, e il tris di capolavori: Son- the Moon, dedicata alle fasi della sa in piedi da un altro personaggio gs of Moonlight and Rain, A Sil- luna. bizzarro che risponde al nome di ver Thread to Weave the Seasons, Renner si è poi dedicato ad alcu- Michael Anderson e che incide di- Lanterna Lucis Viriditatis siamo ne collaborazioni. Con Shane Seal schi dietro la sigla Drekka. Sta di ancora lontani dalla voga del wyrd e Sarada ha pubblicato ad inizio fatto che la Bluesanct Musak parto- folk e della New Weird America. 2006 l’apocalittico Hoofbeat, Caw risce, oltre ai dischi di B’eirth e di A dare una mano a Renner, ci sono & Thunder (A Tribulation Psalm), Drekka, anche i lavori degli Idita- Prydwyn e Sarada e lo stile degli una suite in nove movimenti che si rod successivamente trasformatisi arrangiamenti è quello di una let- basa su una conversazione con Ri- in Black Forest / Black Sea, rita- tura oppiacea di vecchi traditional chard Moult, riguardante argomenti gliandosi quindi un piccolo spazio della vecchia e nuova Inghilterra. come la bibbia, l’eternità, le profe- nel nostro discorso. Sia i primi che i L’influenza dei Current 93 sui pri- zie e l’apocalisse. Altra cosa invece secondi si dimostrano grandi pittori mi lavori di Renner è evidente, così sono i Black Happy Day, una colla- di tele medievali. come vengono mostrate come un borazione con Tara VanFlower che Jeffrey Alexander è il vero deus ex vanto le parentele con Syd Barrett, suona esattamente come una fusio- machina in questione. Di lui sor- Clive Palmer, Donovan, Pailhead, ne tra gli Stone Breath e i Lycia. prende soprattutto la lungimiranza tutta gente coverizzata dalla band Altro precursore a suo modo, ma nel guardare alla commistione di nel compilativo The Long Lost dagli esiti finali abbastanza sul cri- stili vecchi e moderni come rego- Friend: a Patchwork. Quando gli nale del genere in questione, è Jon la valida per rileggere la tradizio- Stone Breath trovano il punto di Michael B’eirth, l’uomo che sta die- ne. Gli Iditarod, duo costituito da equilibrio tra incanto e ipnosi, tra tro alle sigle In Gowan Ring e Birch Alexander con Carin Wagner, per- senso dell’arcaico e rilettura auto- Book. Un personaggio letteralmen- fezionano la cantata neo medioe- grafa, tra l’uso di strumenti desueti te fuori dal tempo, che si costruisce vale, quella che fa rivivere i vecchi (dulcimer, banjo, harmonium, dum- gli strumenti da solo e che come la stilemi ormai obsoleti e la strumen- bek, ukulele) e voglia di azzardo sua musica sembra uscito diretta- tazione retrò per suonare partiture sulla forma canzone, si ottengono mente dal trovatorato medievale di malinconiche e notturne. Gli Idita- alcune delle migliori pagine folk de- stampo celtico, piuttosto che dal rod, ancora più di In Gowan Ring gli ultimi anni. Successivamente e canonico stato dello Utah. Quello finiranno per anticipare l’attuali- contemporaneamente il vulcanico che B’eirth riesce a fare magistral- tà avant folk di fine millennio che Renner trova il tempo di scioglie- mente fin dai primi dischi è riuscire si rifà più esplicitamente ai suoni In Gowan Ring Gowan In

s e n t i r e a s c o l t a r e 1 7 Wyrd Visions

medioevali. I due non mancano di mo riascoltare la compilation The schi di qualità crescente: il Self Ti- sceneggiare la propria musica con Poor Minstrels Of Song And The tled, Four Winds the Walker e l’ul- rumori d’ambiente e concretismi Temple Of The Moon licenziata da timissimo e infuocato - fin dal titolo d’atmosfera: folate di vento, zoccoli Hand/eye nel 2001 come suggello - This Is Fire. Grande enfasi sulle di un cavallo, porte che scricchio- al tour americano di Stone Breath, percussioni, sugli esotismi medio- lano, riverberi da cattedrale goti- Iditarod, In Gowan Ring e dREKKA orientali e soprattutto sul canto ca. Un aspetto che ha già The Ri- e che costituisce tuttora un ottimo schizofrenico della Baird. A volte ver Nektar, il primo lavoro a firma compendio di tutto quello che si è poco più di una nenia infantile, a Iditarod, e che saranno enfatizzati appena detto. volte paurosamente fastidioso negli ancora di più nei successivi The ululati da messa nera. La strumen- Ghost, The Elf, The Cat And The Blair Witch Folk tazione usata è varia ed eccentrica Angel e nel capolavoro Yuletide, Staremo a vedere anche come come si conviene ai veri alchimisti la cui versione su Camera Oscura proseguirà l’evoluzione di un’altro del settore. Lo scorso anno la Baird costituisce ancora oggi il loro mi- nome di “grido”, in tutti i sensi: le esordisce come solista, sempre su glior testamento spirituale oltre che Spires That In The Sunset Rise. Secret Eye, con Lullaby for Stran- il ponte di aggancio ideale alla suc- Prendono il nome da un verso de I gers. Un lavoro che si distanzia cessiva avventura di Alexander, i fiori del male di Baudelaire. Ven- dalla pratica delle Spires, e che Black Forest / Black Sea. gono da Chicago e sono un quar- deve moltissimo a Nico riuscendo E’ soprattutto in questa nuova veste tetto tutto al femminile con Taralie ad eleggere la Baird come una sua che gli riesce il tentativo di conta- Peterson, Georgia Vallas, Tracy credibile ed efficace erede. minare i propri fioretti di dark folk Peterson e la cantante Kathleen Seguendo questa scia si arriva rituale con elettronica elementare Baird, una che sembra la sorella ai suoni più dilatati del lotto dark e dalle cadenze cosmiche. Viene minore di Mia Farrow epoca Rose- folk. Come l’esangue musica di R. meno la voce di Carin Wagner che mary’s Baby. Nella loro musica c’è misteriosissima deus ex machi- nella precedente formazione era parecchia puzza di zolfo e di stre- na degli incubi eterei firmati Gray fondamentale. Qui Alexander cer- goneria, e anche se le quattro co- Field Recordings. Due soli dischi ca soprattutto di arricchire la stru- minciano ad averne abbastanza di all’attivo, As One Cast Down by mentazione acustica con le punture recensioni ottime che vanno però Sadness e Hypnagogia, uno più dell’elettronica, arrivando a lambire sempre a calcare l’analisi su questo spettrale dell’altro. R. più che fare territori cosmici, un po’ inconclu- aspetto, non si può certo dire che riferimento al periodo classico dei denti nel primo, omonimo, disco. non sia quello l’immaginario evoca- Current 93, va a cercare ispirazio- I tentativi vanno maggiormente a to dalla loro musica. Immaginare un ne più indietro, quando il suono di segno con il secondo Forcefielfd incrocio tra la Nico di Marble Index Tibet cominciava appena a perdere And Constellations in coppia con e i Sun City Girls non rende pro- le ruvidezze sataniche degli inizi e Miriam Goldberg arrivando al pun- priamente l’idea, anche perché è si profumava di folk. L’epoca di Im- to di abdicare quasi del tutto alla soprattutto ai Comus che le quattro perium per intenderci. I Gray Field forma folk con l’ultimissimo disco, streghe di Chicago fanno pensare. Recordings eccellono quindi nella il Self Titled del 2006, che sciogli Difficile trovare infatti altri antece- pantomima lugubre diluendola ver- definitivamente il folk degli Idita- denti plausibili per i passaggi di ar- so un ambient folk molto suggesti- rod in due torrenziali flussi di co- cano paganesimo occultista in cui vo, con scenografie abbandonate, scienza staccanndosi parecchio le quattro scelgono di indugiare con lontano dalla civiltà, suonando gli dalle note acustiche tinto di scuro particolare dedizione. strumenti più disparati. E’ il suo- presenti nei precedenti dischi. Sta- Il risultato c’entra davvero poco con no di carillon che echeggiano ma- remo a vedere come si evolverà la quasi tutto quello che c’è ora nella linconicamente dal fondo di granai loro proposta. Nel frattempo potre- scena folk, più o meno free. Tre di- abbandonati, dove fanno festa le

1 8 s e n t i r e a s c o l t a r e voci di mille fantasmi. Come fosse circostanze tuttora misteriose solo simile, ma prendendosi molto più una piccola Colleen degli spettri, poche settimane fa. La sua voce sul serio suona Smolken, un bizzar- R. sembra letteralmente lontana da tremolante verso gli acuti e sofferta ro polacco immigrato in Texas che tutto e le pochissime note biogra- nel suo strascicare le strofe ave- sta dietro ai progetti Dead Raven fiche che girano contribuiscono a va evidentemente come punto di Choir, Wolfmangler e Garlic Year. rendere ancora più misterioso il suo riferimento Neil Young, così come C’è una pesantezza tutta europea personaggio. tutta la musica dei Flying Canyon nelle transilvane note di violoncel- fa pensare in particolar modo a On lo e nei cavernosi bassi della sua Kalifornia (dreamin’) The Beach. Dopo tutto anche que- musica, che quando non si riduce a Il discorso cambia radicalmente sta forma di “doom folk california- fare puro rumore si im- con un’altra band di cui si è sentito no”, emotivo fino allo spasimo e medesima in un agonizzante man- molto parlare ultimamente: i Flying malinconico oltre l’ossessione è un tra acustico. Canyon. Evocano un immaginario piccolo “vampire blues” cantato at- Alla fine, comunque, c’è un solo fatto di grandi highway (to hell?), di torno ad un focolare, in attesa della modo possibile per sentire davve- distese sconfinate all’orizzonte e di fine del mondo. ro nelle ossa, gran parte di questa grandi cavalcate su Harley David- musica. Fare come fa il poetico Li- son verso un sogno americano che Black Metal (Unplugged) nus dei Peanuts e persistere - come diventa rapidamente un bad trippin’. Non c’è lo spazio nemmeno per un gran parte di questi musicisti - nelle A ben vedere c’è più di qualche affi- fuoco di bivacco nel bosco di Colin proprie convinzioni. Ogni anno, ad nità tra la musica del trio california- Bergh, invece. Lui la chiama “mu- Halloween, Linus si mette accovac- no e l’Easy Rider di Dennis Hop- sica che piacerebbe alla strega di ciato dietro un ramo e aspetta l’av- per. Quanto era terrificante e triste Blair”. Incide sotto il nome di Wyrd vento del Grande Cocomero, che quella sequenza ambientata nel ci- Visions e si dedica ad una forma vola nel cielo per portare i doni ai mitero dove il mondo intero diven- di folk particolarmente crudo, op- bambini che sono stati buoni. Ri- tava in Super-8 per l’LSD? E quan- primente, cupo, morboso e deci- cordandosi di una regola però: il to è plumbea e agonizzante questa samente… ironico. Se si riesce ad Grande Cocomero non può nascere forma di folk californiano, che dei immaginare come suonerebbe il se non dal campo più sincero e puro sogni di Crosby, Stills & Nash non Jandek di Blue Corpse se fosse del mondo. La metafora di Schulz è ha più che un pallido ricordo? un appassionato di black metal, si quantomeno evidente. Alla fin fine, con il senno di poi, suo- può probabilmente avere un’idea na quasi profetica la copertina, con di come suona Half-Eaten Guitar il volto di Cayce Lindner e il suo ca- il primo disco del nostro blackster ratteristico barbone a guardarci dal acustico. Quando poi si arriva a cielo, tra le nuvole. Il frontman del metà del lavoro e ci si imbatte in trio, che comprende anche Shayde Freezing Moon, cover dei Mayhem, Sartin e un Glen Donaldson noto non ci sono più dubbi sul tipo in per i suoi progetti nel Jewelled An- questione e su come si mantenga tler Collective, si è infatti spento in volutamente sopra le righe. In modo

Discografia consigliata Stone Breath - Songs of Moonlight and Rain Stone Breath - A Silver Thread to Weave the Seasons Stone Breath - Lanterna Lucis Viriditatis The Spectral Light and Moonshine Firefly Snakeoil Jamboree - Scarecrow Stuffing AA.VV. - The Poor Minstrels of Song and the Temple of the Moon In Gowan Ring - Hazel Steps Though A Weathered Home Iditarod – Yuletide Black Forest / Black Sea – Forcefields and Constellations Spires That In The Sunset Rise - Four Winds The Walker Spires That In The Sunset Rise – This Is Fire The Gray Field Recordings - As One Cast Down by Sadness The Gray Field Recordings – Hypnagogia Flying Canyon – S/t Wyrd Visions - Half-Eaten Guitar Dead Raven Choir - Wine, Women and Wolves

s e n t i r e a s c o l t a r e 11 9 Ninni Morgia alla conquista dell’Ammerica di Stefano Pifferi

Partire con una chitarra nella valigia ed entrare in pochi anni nel cuore pulsante della New York off. Lasciarsi alle spalle tutto e tutti e ritrovarsi a suonare con mostri sacri del free-jazz e del rock indipendente. Sembrerebbe il giusto premio per chi si gioca le sue carte con la sfrontatezza di chi sa che non può fallire. Signore e signori, Ninni Morgia.

Sicilia 2002. Ninni Morgia si è ap- swinging accende più fan- dinamiche e sviluppi. L’epicentro pena laureato. È stato il chitarrista tasie nell’immaginario rock. delle musiche altre si era nel frat- dei White Tornado. È sopravvissu- In un lungo scambio di mail, abbia- tempo spostato dall’East Village to alla “Catania come Seattle” (“mai mo avuto modo di chiedergli un po’ a Williamsburg e le difficoltà nel una balla più grande di questa era di cose sulla vita passata e attuale. muoversi tra centinaia di proposte stata scritta sui giornali”). È stato Lui ci a sommersi di riflessioni, di risultano da subito evidenti. “Com’è tante cose, ma basta. Decide di tra- impressioni. Soprattutto non ci ha facile immaginare in un tale affolla- sferirsi negli USA, il luogo dove tut- risparmiato una lucida analisi sullo mento di proposte musicali (meno to ciò in cui ha creduto è nato. Tra- state of the art italiano e sulle pro- della metà meritevoli di attenzione) sferirsi là da dove proveniva tutto spettive musicali nostrane. Un’acu- trovare concerti che siano pagati ciò che erano gli Uzeda. E gli Uze- ta disamina sui mali dell’Italietta decentemente ed emergere da que- da hanno sempre indicato una via musicale, facile agli entusiasmi sto marasma risulta impresa ancora particolare in quella Sicilia rock. quanto pronta a richiudersi a riccio più ardua, a meno che non si entri Anzi, in quella Sicilia immobile. Di nelle sue minime certezze. nelle grazie dei soliti noti, per non più, hanno costruito un ponte con Il risveglio dalla sbornia dei pri- fare nomi mr. John Zorn (free jazz e sopra una tangenziale che se la mi anni ’90 è tanto brusco quanto improvvisata) e mr. Thurston Moore vuoi la vedi, una Lost Highway tra traumatico. L’Italia è scomoda per (avant rock etc.)”. l’isola e gli States. Come dire, dalla chi suona; l’Italia non ama rischia- Ma più che la fortuna, si sa, è la provincia al cuore di un mondo. re, sembra dire Ninni. “Le mode si perseveranza ad aiutare gli auda- Così Ninni lascia, materialmente. erano dirette verso i dj che sono ci; così Ninni inizia a familiarizzare In tasca una manciata di conoscen- più economici da far “suonare” e con una scena musicale sfaccetta- ze fatte durante piccole tournée e non c’era più spazio per i musicisti, ta ed affascinante. Come da ma- qualche split con gruppi stellestri- che a poco a poco scomparivano nuale rock, il Nostro inizia le sue sce (Oxbow e Colossamite, so- lasciando solo cover band e aspi- frequentazioni musicali in maniera prattutto). È poco, ma basta così. ranti turnisti; per non parlare della tutto sommato classica e casuale, L’eldorado è lì, a poche ore di ae- possibilità di fare musica che an- rispondendo ad un volantino. “Da lì reo. Troppo attraente per non esse- dasse oltre i canoni del rock “tra- sono nati i Death Pool, prima un re visto, specialmente se a muove- dizionale”; improvvisazione o free duo con me e la batterista Andrya re il Nostro è l’ammirazione per un jazz erano e sono ancora un’uto- Ambro, poi un trio con l’ingresso di modello di organizzazione musicale pia. Dalle nostre parti, il pubblico e Tim Garrigan (ex Dazzling Killmen, tanto professionale quanto creati- gli addetti ai lavori vedono queste You Fantastic!) alla seconda chitar- vo. Le fugaci esperienze preceden- forme di musica come il diavolo da ra. Abbiamo fatto diversi concerti, ti lasciano il segno e Ninni decide cui fuggire! Io, nonostante avessi festival, radio session e abbiamo di giocarsi le sue carte in loco, “in preso una laurea in giurisprudenza, registrato un mini cd di 8 brani al- modo da far nascere alcuni proget- avevo deciso malauguratamente di l’Echo Canyon, lo studio dei Sonic ti insieme a musicisti del luogo e fare il mestiere più disgraziato del Youth,[…] ma dopo un concerto con capire come funzionano le dinami- mond - il musicista - quindi ho fat- gli Oxbow a Brooklyn abbiamo de- che di organizzazione dei musicisti to i bagagli e con le mie chitarre al ciso di separarci”. e specialmente perché funzionano seguito sono volato a NY”. Queste prime esperienze, però, se- meglio rispetto alle nostre in Ita- Gli inizi sono difficili, gli ostacoli gnano una svolta. Ninni abbando- lia”. La scelta è fatta e ricade sulla si moltiplicano. Prima le difficoltà na i familiari sentieri del rock per “familiare” ed accogliente NY. La nell’ottenere un visto come musici- discendere nell’inferno vorticosa- città della Factory e dei Velvet, sta legate al delirio post-9/11, poi mente ipercinetico del free-jazz e dei Ramones, della no-wave e del lo scontro con una realtà affasci- dell’improvvisazione. Una scelta CBGB’s. La città che insieme alla nante, ma totalmente diversa per meditata e sofferta, legata princi-

2 0 s e n t i r e a s c o l t a r e palmente al rifiuto dell’hype ruo- numero di musicisti di varia estra- un optional non necessario”. Criti- alla conquista dell’Ammerica tante intorno a Williamsburg; una zione e di locali, eventi, etc. che che sensate, in tempi in cui basta scena, quella dell’improvvisazione, offrono la possibilità di esibirti ed toccare una chitarra per far grida- “molto più onesta e con musicisti di esprimerti creativamente mi è sem- re al miracolo, ma è una questione grande valore” in cui il n brato naturale approfittarne il più che non sembra riguardare Ninni. È Nostro ha la possibilità di suona- possibile specie venendo dall’Italia indubbio, infatti, che le esperienze re e frequentare personaggi del che purtroppo è ancora lontana dal- newyorchesi abbiano aiutato la sua calibro di Kevin Shea (Storm And l’avere tutta questa varietà di pro- crescita tecnica, se sono stati fatti Stress), Peter Evans (già collabo- poste. Qui inoltre esiste un pubbli- paralleli con personaggi del calibro ratore di Anthony Braxton), Daniel co per ogni genere musicale, quindi di Sonny Sharrock e Keiji Haino. Carter (, Cecil Taylor), ecc. è anche più gratificante proporti”. “Riguardo la mia crescita come chi- Da quel fertile humus sono nate Le parole di Ninni pesano come tarrista devo moltissimo a questa una quantità sterminata di collabo- macigni per il panorama musicale città”, conferma Ninni. “Una cosa è razioni e progetti piuttosto diversi italiano. Riemerge, infatti, per con- ascoltare i dischi, un’altra poter ve- tra di loro. “Sono nati i Right Mo- trasto la povertà non tanto di una dere live tantissimi musicisti diversi ves, con cui abbiamo fatto un cd offerta autoctona sempre più inte- da cui imparare qualcosa. Ai tempi su Tiger Asylum e Wizard Trio (Da- ressante (le produzioni Wallace, le dei White Tornado Duane Denison niel Carter, io e Jade Larson) di schegge nate da A Short Apnea, (Jesus Lizard) è stato fondamenta- cui uscirà un altro cd sempre sulla ScatoleSonore tanto per non fare le per me e non è un mistero. Qui stessa etichetta, e i Quivers con nomi), quanto legata alle potenzia- mi sono concentrato di più su certi Jordon Schranz e Adam Kriney, il lità ricettive di un pubblico che si stili che prima guardavo con timore; batterista de La Otracina, Casta- manifesta sempre più come impre- i chitarristi che hanno suonato con nets etc. Adam poi mi ha chiesto se parato, se non analfabeta, di fronte elettrico, Pete Cosey, volessi entrare a far parte della sua a linguaggi “nuovi”. John McLaughling e Sonny Shar- band ed ho accettato, la nostalgia Una dimensione, quella live, che rock mi hanno aperto strade nuove. di stare in una band rock era troppo però non nasconde delle insidie Anche Keiji Haino è un chitarrista forte”. anche nella Grande Mela, per una che apprezzo molto ed essere stato Wizard Trio, Quivers e The Right serie di fattori: l’estrema profes- paragonato a lui non può che far- Moves, La Otracina (a breve da noi sionalità richiesta, la “concorren- mi piacere, ma non dimentichiamo in tour) per non parlare dei progetti za” smisurata derivante dal numero Fripp che continua a stupirmi!”. futuri (in uscita due cd-r per Seto- di gruppi e/o progetti, ma anche e Prima di concludere, Ninni ci con- la Di Maiale; uno dal titolo Guitar soprattutto le questioni legate al siglia qualche band emergente dal- Solo e l’altro in coppia con Jordon booking. “I club non aiutano in que- l’infinito sottobosco americano. La Schranz) o delle semplici live-ses- sto senso perché ti fanno suonare scelta ricade su Coptic Light (pur- sions. Una serie impressionante di solo se garantisci un certo nume- troppo appena sciolti) e Psychic gruppi e progetti dall’elevata quali- ro di pubblico, e la professionalità Paramount, entrambi su No Quar- tà media, che denotano una inces- dei gruppi non sempre è presente. ter, e Miracle of Birth su Love- sabile iperattività. Viene da chie- Qui vige un certo clientelismo tan- Pump. L’ennesima dimostrazione di dersi se ci sia qualcosa nell’acqua to noto da noi in Italia, tipo essere come Ninni Morgia sia non solo un del rubinetto o, più semplicemente, presentati da tizio o caio, e ha il suo grande musicista, ma anche un ot- se si viene contagiati dal rutilante peso. Un’altra nota dolente è che timo ascoltatore. mondo appena descritto. “L’iperat- ultimamente c’è troppa libertà arti- tività – continua Ninni – credo sia stica, ossia fare proposte di qualità dovuta al fatto che NY è una città non è la priorità di tutti e pare che grandissima, e visto il vastissimo saper suonare di questi tempi sia

s e n t i r e a s c o l t a r e 2 1 Quivers – Once There Were Some (Colour Sounds Recordings, ottobre 2006) Tra i progetti di Ninni, i Quivers sono i più rock-oriented del lotto sin dalla strumentazione: un quartetto dedito ad una sorta di improvvisata di matri- ce rock, che non disdegna (de)strutturazioni free form. Garage-rock suonato da jazzheads bruciati, è una delle definizioni conia- te dalla critica di NY per definire il coacervo di suoni ed emozioni che i quattro mettono sul piatto. Non siamo poi proprio distanti dal vero, quan- do il quartetto spinge sull’acceleratore ritmico (la parte centrale di 4 o le deflagrazioni ritmiche della conclusiva 7). Quando invece le atmosfere si rarefanno, ecco emergere l’anima più propriamente sperimentale ed im- provvisativa. I suoni si dilatano verso una sorta di psichedelia liquida o di un jazz molto sui generis, memore tanto dei solipsismi strumentali di Son- ny Sharrock quanto di alcuni avanguardismi tipicamente (no)newyorkesi (dai Mars agli Orthrelm, con tutto ciò che c’è di mezzo). E non è un caso che le composizioni si concentrino principalmente sulla chitarra di Morgia. Padrone dello strumento, si pone al centro del quartet- to e tira le fila di un suono magari non innovativo ma perfettamente cali- brato e capace di sorprendere. Nella tetra ambient di 6 la chitarra di Ninni diventa mero oggetto sonoro e sembra rimandare ad un Eno abbandonato nel bosco di The Blair Witch Project. Altrove (5) singhiozza quasi fosse autistica tra sbuffi e strappi, mentre duetta con la voce di Marie, anch’essa puro suono incastonato tra altri suoni. Ottimo, non c’è che dire. (6.8/10)

The Right Moves – Self Titled (TigerAsylum Records, novembre 2 0 0 6 ) Per tentare una mappatura delle produzioni e sigle alle quali presta i suoi servigi l’eclettico ex Storm & Stress Kevin Shea, non basterebbe una mo- nografia intera; corriamo ai ripari segnalando l’esordio in cd-r di questo poderoso e atipico trio a nome The Right Moves, se non altro perché in formazione troviamo il nostro Ninni Morgia. Già dall’organico si intravede l’intento di frammentazione del corpo rock: alla chitarra di Ninni e alla muscolarità del batterista monstre, si aggiunge Peter Evans alle trombe (plurale, non è un errore). Il risultato è un jazz totalmente free e destrut- turato, in cui la chitarra di Morgia si defila limitandosi a contrappuntare la dirompente ritmica di Shea e gli sfrigolii delle trombe di Evans. Un passo indietro al progetto Quivers, che la dice lunga sulle potenzialità di Ninni nell’affrontare sentieri spesso malagevoli come quelli del free-jazz im- provvisato. La sua chitarra si ritaglia il ruolo di tappeto sonoro, lasciando spazio ai veri protagonisti, intenti a duellare per i 40 minuti dell’album tra vertiginosi cambi di ritmo e sbuffi di tromba trattata. Ascoltando di Evans in Chubby Bartender sembra di vedere il fantasma di Ornette Coleman in crisi epilettica. A lungo andare però dalla proposta del trio sale un accenno di monotonia, spezzata soltanto in alcuni episodi: The Holy Grail Last Night, in cui una sorta di Miles Davis bianco e drogato tira le fila di un impro-jazz schizoide e cacofonico; le frattaglie sonore di After Aliens Popped On My Mommy (titolo fantastico) e la conclusiva Pretzels Theme fra digressioni radica- li e rilassamenti quasi dub. Affascinante, ma sinceramente molto ostico. (6.4/10)

2 2 s e n t i r e a s c o l t a r e s e n t i r e a s c o l t a r e 2 3 Smallvoices / A Silent Place d i A A . V V. Piccole label crescono. Cinque anni di attività per SmallVoices, cinque anni di suoni senza compromessi che spaziano dall’ambient alla drone music, dall’industrial allo psych folk. Con la nascita della sussidiaria A Silent Place si ardisce a doppiare l’effetto a tutto beneficio della proposta musicale d’avanguardia in Italia. Un rapido colpo d’occhio su entrambe le label e quattro chiacchiere con i deus ex machina della situazione.

Pasquale Lomolino e Pierpaolo crediamo abbia influito più di tan- post industriali. Quanto vi sen- Marchio: due pueri Apuliae acco- to sul nostro lavoro da un punto tite legati a quella scena e qua- munati dalla passione per la mu- di vista artistico e professionale. li ricordi o aneddoti particolari sica e dal destino di esser nati Probabilmente, con i dovuti distin- avete su questi artisti e i loro all’ombra ottagonale di Castel del guo del caso, chi opera a Milano dischi? Ad esempio come andò a Monte. Andria è la loro città ed An- (giusto per fare un esempio) in- finire con Andrew McKenzie? Ho dria, si sa, non è Londra, né Shef- contrerà i nostri stessi problemi; letto che ebbe delle rimostran- field, e nemmeno Newcastle. Ep- in Italia è uguale un po’ dapper- ze nei vostri confronti legate al pure Z’ev, Hafler Trio, Nocturnal tutto crediamo. E poi internet è un packaging del disco. Emissions; e ancora Beequeen, mezzo che, se usato con cautela Sì, ci sentiamo certamente legati a vidnaObmana, Kawabata Makoto: e moderazione, aiuta parecchio in quella scena, quello che noi con- tutti questi artisti devono essersi tal senso. sideriamo il meglio di quella sce- chiesti ad un certo punto dove, di na (parliamo di gente come Z’ev, preciso, si trovasse quella città: La prima uscita della Small Voi- Nocturnal Emissions, Cranioclast, Andria. La città dell’etichetta per ces, Waiting for the twilight dei Zoviet , Rapoon…). Non cui stava per uscire il loro nuovo T.A.C., è datata 2002. Quest’an- abbiamo particolari aneddoti da lavoro. Appena cinque anni di at- no sono quindi cinque anni di at- raccontare salvo che abbiamo co- tività ed un roster da fare invidia. tività e cinque anni in cui avete nosciuto personalmente Mr. Z’ev Una posizione di tutto rispetto promosso suoni d’avanguardia ed è una persona eccezionale, nella scena avant internaziona- nell’asfittico panorama italiano. così come Nigel Ayers/Nocturnal le conquistata con dedizione ed Come giudicate lo sviluppo del- Emissions. The Hafler Trio è un umiltà. E se cinque anni possono la scena sperimentale italiana, capitolo a parte che preferiamo ben considerarsi un mattino nella che proprio da un paio di anni tralasciare, diciamo solo che forse storia dell’industrial, dell’ambient, sembra aver raggiunto una ma- lui non ha le stesse virtù delle per- dello psych folk e della drone mu- turità qualitativa di livello in- sone di cui sopra, o probabilmente sic, allora vale la pena rispolvera- ternazionale? non le ha espresse con noi… re l’obsoleto adagio: a giudicare Sì cinque anni vissuti pericolosa- anche dalle uscite annunciate per mente… In Italia ci sono parec- Quanto è importante il packa- il 2007, quello che ci aspetta è chie realtà interessanti e apprez- ging per voi e quanto vi sentite davvero un buon giorno. zabilissime ma dal nostro punto di minacciati dalla nuova era del- vista non esiste una vera e pro- l’immaterialità del supporto mu- Venite da un posto che dopo- pria scena dall’identità precisa. sicale? Anche il fatto di lavorare tutto è lontano dai “grandi” cir- Probabilmente c’è troppa offerta moltissimo con il vinile con mol- cuiti della musica italiana, più o a discapito di una domanda scar- te uscite immesse sul mercato meno sperimentale. Andria vici- sa; esistono una miriade di micro direttamente in questo formato no Bari, nella splendida Puglia. pubblicazioni che rendono proba- quanto è per voi scelta politica Quanto pensate che questo ab- bilmente troppo difficile e tortuosa e quanto vezzo nostalgico? bia influito sulla vostra estetica la scelta da parte dei comunque L’immaterialità del supporto musi- musicale e sul vostro gusto ol- non troppi ascoltatori sparsi per la cale non è una minaccia in quanto tre che ovviamente sulla vostra penisola… Non vuole essere una tale ma in quanto espressione di attività più propriamente profes- polemica ma è solo la nostra opi- un qualcosa che non ci appartie- sionale di gestori di label? nione. ne e non per una questione di età. Questa è una domanda ricorren- Noi ad esempio usiamo internet te; sì forse può apparire strano, è Z’Ev, Hafler Trio, Nocturnal solo perché pare impossibile far- forse lo è, ma questo fattore non Emissions, il meglio dei suoni ne a meno (a volte è veramente

2 4 s e n t i r e a s c o l t a r e così), ma come dicevamo prima le curamente silenzioso!) che ci ha sia appagato anche da un punto di nostre scelte vanno in netta con- ispirati e ci ispira tuttora è il misti- vista visivo e a volte tattile. trotendenza… ci sono le net-label co castello ottagonale “Castel Del da una parte e noi (come altre eti- Monte” che si trova sulla Murgia, a Cosa ci aspetta nel futuro di chette, del resto) che stampiamo pochi chilometri da Andria. Small Voices e A Silent Place? ancora vinili e se non fosse per Gestire quest’ultima etichetta questioni logistiche, sinceramente Perché avete deciso di inaugura- non vi porterà a distogliere le stamperemmo solo quelli… e non re una seconda etichetta dedica- vostre energie dalla prima? v’è nulla di nostalgico in questo, ta espressamente alle sonorità Al momento siamo effettivamente quanto invece una ben precisa psych drone folk? E’ un settore più assorbiti da A Silent Place; le scelta artistica e commerciale: vo- di mercato abbastanza affollato prossime pubblicazioni su questa gliamo essere riconosciuti (e ma- oggi giorno, anche per effetto label sono molto succose: abbia- gari anche ricordati) per le nostre della pratica sempre più diffusa mo appena pubblicato un cd di pubblicazioni. Ad ogni modo la di cdr. Come vedete lo sviluppo Jennifer Gentle e un vinile LP del questione sarebbe molto più com- di A Silent Place in quest’otti- grande Kawabata Makoto (Acid plessa, ma per sintetizzare dicia- ca? I vostri artwork curati fin Mothers Temple). Nei prossimi mo: “l’immaterialità del supporto” nel dettaglio contro gli mp3 e i mesi pubblicheremo vinili e cd di: e questa sfrenata voglia di tecno- cartoncini dei cdr? Tom Carter (Charalambides), Text logia hanno portato ad un approc- Se avessimo il tempo, francamen- Of Light (Lee Ranaldo dei Sonic cio svogliato, distratto ed infine te, potremmo averne molte di più Youth + vari ospiti d’eccezione!), auto distruttivo (la cronica crisi di etichette… il discorso è che ab- Julie’s Haircut con Sonic Boom, del mercato discografico potrebbe biamo un rapporto a dir poco mor- un nuovo cd di Fabio Orsi (vero anche ricondursi a tali problemati- boso con la musica, in “quasi” tut- astro nascente della scena drone/ che); per noi acquistare un disco te le sue forme d’espressione, in folk), quindi una serie di cd di My è ancora un’esperienza ricca di particolar modo quelle meno con- Cat Is An Alien che splittano pri- emozioni, il download è lo sterile venzionali… siamo sempre alla ri- ma con il mitico Keiji Haino, poi prodotto della cultura moderna! cerca di nuovi suoni, nuovi spunti con Steve Roden, Mats Gustafs- per poter creare qualcosa di nuo- son e infine il grande Loren (Maz- A Silent Place. Esiste davvero vo, magari anche ripescando dal zacane) Connors…; poi un nuovo questo posto silenzioso? Maga- passato… per quanto riguarda la progetto di Jackie O Motherfucker ri è quello che si vede nel logo. collocazione di A Silent Place, ti con My Cat Is An Alien… Un sacco Perché questo nome? E’ legato a possiamo assicurare che la fascia di lavoro!!! Su SmallVoices a bre- qualcosa in particolare? in cui si muove è molto meno af- vissimo pubblicheremo finalmente A Silent Place è qualsiasi posto follata di quanto non lo sia la sce- il libro di Z’ev (“Rhythmajik”), poi materiale o immateriale dove noi na più vicina a SmallVoices… con un vinile di Claudio Rocchetti, un possiamo avere la possibilità di ASP stiamo ottenendo risultati di- cd di Goem, una collaborazione di estraniarci da questa società e dai versi (e più incoraggianti) rispetto Z’ev con Ramona Ponzini (Mciaa), suoi assurdi assiomi; quindi non SmallVoices!!! Per quanto riguar- un nuovo cd di Aidan Baker e uno necessariamente un luogo fisico. da la cura messa nella prepara- di Judah… Cogliamo l’occasione In fondo per noi la musica stessa zione di artwork e packaging è per ringraziare tutti gli amici di è il nostro “Silent Place” = la via una costante e prerogativa del no- SentireAscoltare per il loro gran- per evadere e poter sognare ad stro lavoro; sinceramente teniamo de supporto!!! occhi aperti. Per rispondere fino molto in considerazione l’aspetto in fondo alla tua domanda ti pos- esteriore del prodotto finale non- siamo dire che un luogo reale (si- ché ci piace che l’appassionato

s e n t i r e a s c o l t a r e 2 5 15 silent places

1. Arc – The Circle Is Not Round (A Silent Place, 2005) Da qualche parte tra la new age, la musica cosmica, la drone music e la dark ambient con venature etniche. Lì in mezzo si trovano gli Arc, trio costituito da Aidan e Richard Baker e Christopher Kukiel. The Circle Is Not Round è un disco di lunghe passeggiate verso l’infinito scandite dal ritmo ancestrale di un tamburo. Il ritmo dell’uomo quando alza gli occhi al cielo e chiama ciò che non riesce a spiegare con il nome degli dei. La quintessenza del suono degli Arc è il lento deliquio pan-etnico, con i tamburi di Kukiel a dare il polso alle vertigini chitarristiche di Aidan Baker. Di quat- tro brani, il più breve dura 12 minuti, ma tutto il lavoro va preso come un’unica torrenziale vena di suoni che si apre lasciando cadere le note goccia dopo goccia fino a sfociare in oceano. Gli Arc sono i migliori candidati possibili per riempire un’affascinante terra di mezzo che sta tra l’ambient al peyote degli O Iuky Conjugate e i mondi (im)possibili di Steve Roach, tra una seduta di kundalini tantra e una preghiera pagana per il cosmo. (Antonello Comunale)

2. Z’ev – Rhythmmajik (Smallvoices, 2005) “Pierpaolo and Pasquale of Smallvoices asked me to provide some audio material to accompany their edition of rhytmmajik. They suggested that perhaps there could be an audio ‘statement/demonstration’ for each chapter”. Questo è quanto scrive Z’ev nel booklet del disco in questione che di fatto costituisce una primizia tutta italiana. I capitoli di questo singolare e stranissimo esperimento audio sono tre: “The Stand of Stones”, “The Lines”, “The 9 Chambers”. La musica è una variazione continua sul concetto di ritmo e rumore percussivo che riflette le teorie vergate da Z’ev nel libro. Teorie di matrice esoterica che hanno a che fare con l’idealizzazione dei numeri, la loro risonanza nella natura primaria delle cose, come lo zodiaco, gli elementi naturali terra, aria, fuoco e acqua e con i dettagli per un originale metodo di divinazione. Z’ev si conferma un grande alchemico della musica industriale e questo disco va a fare coppia direttamente con The Sapphire Nature rilasciato da Tzadik. Rhytmmajik va oltre il teorema del Pi-greco cabalistico di Darren Aronosky. La verità è nei numeri. (Antonello Comunale)

3. Nocturnal Emissions – Nightscapes (Smallvoices, 2006) Nightscapes come paesaggi notturni (night landscapes) o anche come fughe notturne (night escapes). In più di vent’anni di attività Nigel Ayers ha più volte sperimentato su entrambi i concetti, trovandone spesso la sintesi migliore. Vent’ anni di suoni che hanno oscillato dall’astrazione più rumorosa degli esordi alla filigrana cosmica più eterea degli anni ‘90, stabilendo con la sua Earthly Delights un faro importantissimo per tutta la scena post- industriale britannica. Nelle sette tracce in questione, i Nocturnal Emissions si lanciano dapprima in alcune delle loro migliori scappatoie cosmiche, si incagliano poi in un ritualismo magico ricco di suggestioni arcane. Quella di Ayers è musica carica di solennità mistica e sacralità ancestrale, e non potrebbe essere altrimenti per uno che deve avere assorbito tutti gli umori esoterici tramandati per anni nella Newcastle, vicino Stonehenge, dove vive. Questa è l’unica new age possibile per la generazione post-industriale britannica e Ayers l’unico vero padre di Alio Die e di un’idea di suono. (Antonello Comunale)

4. TH26 – La Haine (Smallvoices, 2006) Ventunesimo secolo dell’elettro-dark italiano. Attivo come TH26 dal 93, il duo composto da Corrado Altieri e Arnaldo Pontis esce con le 11 tracce di questo La Haine come fossimo nel 1989, il 1999 o, azzardiamo, il

2 6 s e n t i r e a s c o l t a r e 2009. Il genere si rivela da subito apprezzabile sintesi del sound teorizzato dai Clock DVA di Buried Dreams, quel cyberpunk intellettuale poi esasperato dalla guerriglia dance dei Front 242. Così Second Skin, con cantato inglese e voce minacciosa, è pezzo fisico e algido in uno. Talvolta si propende per astute soluzioni da ballo, talaltra il rumore è manipolato con la bieca raffinatezza dei Chrome post Damon Edge ma non ancora domi. Hyp- notized Dog cavalca un rito strumentale come se i primi Velvet e gli ultimi Suicide si stringessero la mano dal pc di un compositore estroso. Protection indulge in profondità gotiche che piacciono più ai modaioli delle discoteche dark che ai fan dei The Anti Group di Adi Newton. Interpretazioni pur di maniera ma plausibili e un’elettronica da tenere a tutto volume ma anche di sottofondo. (Filippo Bordignon)

5. Wander (Beequeen) – Wander (Small Voices, 2005) Il fatto che i Beequeen di Frans De Waard e Freek Kinkelaar abbiano impresso al loro fare artistico una sterzata di intelligibilità pop a partire da Ownliness, non implica che sia andata smarrita l’abilità nel maneggiare quegli adimensionali bordoni di frequenze che abbiamo imparato a chiamare drones. Con il nome Wander, i due realizzano dal 2000 drone music su ogni formato esistente, servendosi al massimo una volta di ciascun formato. Si suppone dunque che, a dispetto della musica, in grado di innescare in ogni lavoro un processo infinito, quella di Wander sia un’esperienza costituzionalmente finita. È proprio la dialettica tra finito ed infinito una delle innumerevoli chiavi di lettura con cui provare ad accostarsi ai quattro brani del CD. Pur condividendo con le dinamiche sonore dell’ultimo Phill Niblock la ratio essendi, le quattro partiture appaiono nella loro staticità priva di movimento interno meno partecipi - rispetto a quelle del compositore americano - del processo di crescita organica su cui Joseph Beyus ha centrato molti lavori e che ha ispirato l’opera ed il nome di Beequeen. (Vincenzo Santarcangelo)

6. & Okkyung Lee / My Cat Is An Alien – From The Earth To The Spheres vol. 6 (A Silent Place / Audioglobe, 2006) La serie From The Earth To The Spheres, che ha visto My Cat Is An Alien collaborare con artisti del calibro di Thurston Moore, Jim O’Rourke, Christina Carter giunge all’ultimo volume: i fratelli piemontesi dividono i solchi di un sontuoso vinyl art uscito per Opax Records con un duo ben noto nel downtown newyorchese zona Tonic Club, locale dove nel 2003 ha luogo la lunga improvvisazione del turntablist Christian Marclay e della violoncellista Okkyung Lee. Il brano - venti minuti di frenetico rincorrersi tra un prestante dj-set ed un violoncello stuprato - fotografa due musicisti in stato di grazia, assorbiti dai rispettivi strumenti di cui esplorano lo spettro sonoro. Fruscii e borbottii di vecchi vinili bistrattati ed un eterodosso approccio all’arte del violoncello, vittima ignara di metamorfosi da nobile strumento a corda a vile oggetto percussivo. Anche i MCIAA sono decisamente ispirati: Beyond The Limits Of The Stars riformula la personale concezione di folklore alieno - le scarne note di una chitarra che talvolta lascia il po- sto ai consueti landscapes per paesaggi extraterrestri. La versione cd riproposta da A Silent Place aggiunge come terzo brano la lunga coda melancholica Beyond The Limits Of The Grooves. (Vincenzo Santarcangelo)

7. Roberto Opalio – The Last Night Of The Angel Of Glass, vol. I & II (A Silent Place / Audioglobe, 2007) Il primo volume di The Last Night Of The Angel Of Glass, stampato dalla Digitalis Industries con allegato dvd, funzionava da colonna sonora per il video-film girato in presa diretta dal balcone di casa del My Cat Is An Alien Roberto Opalio. Pur isolato dal contesto originario, The Last Night Of The Angel Of Glass - ripubblicato in 600 doppi cd dalla A Silent Place ed arricchito della musica eccedente quella stessa sessione di registrazione - con- serva inalterato il fascino dell’incomprensibilità dell’altro-da-sé. Pur basandosi su drones ottenuti quasi esclusi- vamente con la voce modificata di Roberto - tramite delays e riverberi, come sempre in tempo reale -, The Last Night pare davvero custodire il reperto di una civiltà scomparsa o ancora a venire. Proprio il fatto che il grosso dei suoni provenga dalle corde vocali di un uomo - sporadici gli innesti degli altri strumenti e, laddove presenti, confusi con le sottostanti tracce canore - rende un attraente enigma la materia dell’interminabile colonna sonora per immaginari sci-fi (B-)Movies che Opalio continua a scrivere. (Vincenzo Santarcangelo)

s e n t i r e a s c o l t a r e 2 7 8. T.A.C. (Tomografia Assiale Computerizzata) - Waiting For The Twilight (SmallVoices, 2003) Analizzare le strutture nervose del cranio e della colonna vertebrale attraverso una macchina, osservare l’umano da un punto di vista chimico-organico. La missione di Simon Balestrazzi ricomincia e il percorso della Small- Voices inizia proprio con un lavoro a firma T.A.C. A cinque anni dal precedente sforzo, il combo post-industrial si presenta differente, con un sound psyco-ambientale denso di pigmentazioni etnico-aliene, un antopocentrismo che sa di un’umanità da dopobomba ma che va ben oltre alle suggestioni da “the day after”. Balestrazzi filtra e capovolge l’estetica dell’industrial storico, dissolve i cromatismi eroinomani dei Clock DVA in una pasta cosmi- ca, spiana il jazz dei Tuxedomoon fino all’irriconoscibilità, riprende i migliori fiori del folk apocalittico, utilizza il lato più evocativo delle ritmiche firmate Loop Guru. In Waiting For The Twilight le macchine hanno perso ma la tomografia ne riporta i segni. È il mondo di Balestrazzi, tra sintetico e acustico (la viola di Alessia Manca, la chitarra classica di Corrado Loi in particolare), eleganza e mistero. (Edoardo Bridda)

9. Kawabata Makoto – Hosanna Mantra (A Silent Place / Audioglobe, dicembre 2006) Campeggia l’inquietante sagoma di Castel del Monte sulla copertina di Hosanna Mantra. Lo scatto, assai suggestivo, è opera dello stesso Makoto, in visita lo scorso inverno presso il quartier generale A Silent Place, ad Andria. Tornato in Giappone, il leader degli Acid Mothers Temple decide di ricambiare l’ospitalità con due lunghe composizioni che paiono ispirate dall’aura di mistero che da tempo avvolge il castello e la sua storia. La prima ruota attorno ad un giro di chitarra ossessivamente iterato e dal sapore vagamente folk: pone capo ad un lungo viaggio nel passato - quello ormai storicizzato degli anni d’oro della psichedelia e dei soliti numi tutelari - e perciò risulterà assai gradita ai fan del gruppo giapponese. Il secondo lato del vinile accoglie un ipnotico mantra avvitato sul ritualismo esasperato del ripetersi di un’unica incessante nota di sitar. Solo gli sporadici interventi delle percussioni giapponesi fanno sì che permanga un’ultima labile traccia dell’esistenza della materia. Nel migliore dei mondi possibili un disco del genere girerebbe in loop continuo nelle sale del castello ritratto in copertina. (Vincenzo Santarcangelo)

10. Fear Falls Burning – We Slowly Lift Ourselves From Dust (10’’ Picture Disc, A Silent Place, 2006) Svestiti temporaneamente i panni di vidnaObmana e forse desideroso di affrancarsi per un po’ dalle autarchiche logiche di un genere carbonaro come l’ambient, Dirk Serries tiene in vita dal 2005 una propria visione di drone music con in braccio lo strumento rock per antonomasia: una chitarra elettrica. Già vicino ad alcune menti illu- minate del rock - ha collaborato con Steve Von Till, aperto esibizioni di Cult Of Luna e Low -, Fear Falls Burning isola quello che potrebbe essere il riff portante di uno qualsiasi dei brani dei Neurosis, lo lacera con effettistica e pedaliere rigorosamente vintage, e lo dilata all’infinito fino ad ottenerne un lungo e continuo filamento di suono. Così in We Slowly Lift Ourselves From Dust, dieci pollici con due brani fuoriusciti dalle sessioni del doppio He Spoke In Dead Tongues. Strumento generatore di iperbolici assoli, la sei corde è qui solo l’ipocentro di un sisma infinito e quasi impercettibile. Piacerà ai vecchi fan di vidnaObmana, come a chi apprezza le sempre più frequenti incursioni di taluni artisti rock nelle desolate lande dell’ambient. (Vincenzo Santarcangelo)

11. Aidan Baker - The Sea Swells A Bit... (A Silent Place, 2006) Aidan Baker torna in veste solista, senza Nadja nè Arc, per aggiungere un nuovo titolo al suo sterminato catalo- go. Una chitarra, dei tape loop e drum machine. Tre lunghissime tracce per altrettanti mantra sonori. Il lavoro si apre con la title-track costruita con un arpeggio solenne dal loop reiterato. Nell’eco contiguo si stende un drone iridescente; la chitarra lo segue e si accompagnano sino alla fine. When Sailors Die esibisce un drumming minu- to, qualcosa di molto simile ai Talk Talk immaginifici di fine ’90. Sembra musica del quarto mondo, quello “pos- sibile” supposto anni addietro da un vecchio allievo di Pandit Pran Nath… Davey Jones’ Cocker è più articolata, molto musicale. Il tono è opprimente e pastoso. Un suono echeggiante un flauto si incunea nel gioco di nastri. Si levano riverberi epici e la cadenza, satura di riflessi shoegazer, si lega ai Nadja nel segno dei Black Sabbath. Se Jon Hassell oggi avesse trent’anni suonerebbe cosi. (Gianni Avella)

2 8 s e n t i r e a s c o l t a r e 12. Gianluca Becuzzi [Kinetix] – Memory Makes Noise (Small Voices / Audioglobe, 2006) Meglio conosciuto negli ambienti dell’elettronica radicale come Kinetix, Gianluca Becuzzi per la prima volta si presenta con il suo nome di battesimo. Il cambiamento, tutt’altro che puramente nominale, è parecchio signifi- cativo. Senza abbandonare il radicalismo che ha sempre contraddistinto la sua musica, Becuzzi arricchisce il suo stile di elementi elettroacustici, una pratica molto diffusa al giorno d’oggi tra gli ex puristi dell’elettronica. I cut up, che costituiscono le fondamenta concettuali di Memory Makes Noise, si spingono fino al citazionismo, rendendo evidente il legame con autori come Luc Ferrari e Morton Subotnick. Tre lunghissime tracce, in cui il flusso di coscienza non si arresta mai, tra rumori concreti, tappeti electro noise e strumenti acustici trasfigurati, che creano un paesaggio allucinato e allucinante da cui è difficile scappare. (Daniele Follero)

13. Echran - Self Titled (Ebria - Smallvoices / Wide, dicembre 2005) Non è facile per un progetto di musica elettronica “radicale” riuscire ad essere coinvolgente. Anzi, forse il coin- volgimento emotivo mal si associa a una musica fredda, “oggettiva”, distaccata. Il ritorno sulle di Davide Del Col, già noto per i suoi numerosi progetti dark-ambient con il nome di Ornament, è firmato assieme a Fabio Volpi (voce e programming). Progetto tutto italiano, dunque, anche se non sembrerebbe al primo ascolto. La voce in perfetto francese di Volpi che commenta con caldi sussurri i suoni elettronici, spiazza da subito l’ascoltatore non informato sulla provenienza dei due. Il sound del duo, misto di elementi industrial, elettronica al limite del rumorismo e andamento ripetitivo e minimale, sembra decomporre e ricostruire i materiali sonori della techno più oltranzista e dell’ambient più inquietante per spogliarli di tutti gli elementi di ballabilità. Niente beats, dunque, ma tappeti sonori elettronici fatti di suoni glitch, fruscii, suoni singoli reiterati all’infinito, che potrebbero richiamare alla mente i migliori Panasonic / Pan Sonic. (Daniele Follero)

14. Maurizio Bianchi – A M.B. Iehn Tale (Smallvoices, 2005) La rinascita artistica di Bianchi è fatto appurato da un bel pezzo. Nuova linfa creativa il nostro la trae sapien- temente da musicisti che con lui condividono concetti sonori al limite dell’astrazione ( Frequency In Cycles Per Second, Aube, Telepherique, Land Use…). Con questo A M.B. Iehn Tale egli conferma inalterata la capacità di sintesi che lo incoronò, trent’anni addietro, padre dell’industrial italiano. Si potrebbe supporre che tanto più il proprio sound risulta oltranzista tanto è più difficile rinnovarlo. Queste 8 tracce ‘mobili’ sono forgiate per suggeri- re la possibilità di un coinvolgimento emozionale (più che determinarne uno specifico). Eppure qualcosa resta da dire: acquerelli post-ambientali come Electrolyte e l’ancor più rarefatto Hormone sono stipati di una malinconia che, nella sua capacità di descrivere il Nulla si insinua nell’ascoltatore attento creando la possibilità di un mondo nuovo. Per l’album Neroli di Eno si parlò di ‘musica per pensare’; oggi più che mai Maurizio Bianchi è musica per trascendere e contemplare orizzonti altrimenti invisibili. (Filippo Bordignon)

15. Fabio Orsi - Osci (Small Voices, LP, 2005) “Osci è un buco profondo scavato nel terreno dell’amata-odiata musica tradizionale. Rappresenta la volontà di strappare le radici e osservarle da prospettive insolite, con lenti deformanti sotto luci colorate. Osci non ha niente a che spartire con l’arte, piuttosto somiglia a una zappa. Come una falce racconta dell’uomo, ma gli è in- differente la sorte degli uomini. In Osci si parla la lingua dei grilli e delle formiche. Il tempo non esiste. I telefoni non sanno ancora squillare e le api costruiscono dischi volanti coi pezzi di una lavatrice abbandonata”. Poche descrizioni di questo disco possono essere più calzanti di quella scritta da Sav, e inclusa nel vinile con tre car- toline postali. Fabio Orsi è un medium tra la terra e il cielo, tra la tradizione e l’avanguardia. Trattando al laptop registrazioni di musica folkloristica, suoni della natura, canto di grilli, sciabordio di ruscelli e canti di mille sagre di paese restituisce una foto sgranata, poetica e misteriosa dell’umore impenetrabile del sud d’Italia. Remixa Gianluca Becuzzi (Kinetix). (Antonello Comunale)

s e n t i r e a s c o l t a r e 2 9 God Machine / Sophia Purity di Roberto Canella Il nuovo album dei Sophia ci dà l’occasione per ripercorrere dall’inizio il percorso che ha portato Robin Proper-Sheppard dall’indimenticata esperienza coi God Machine alla sua carriera solista.

San Diego, U.S.A. agli altri di unirsi a lui. Invito subito che Ego (6.8/10) correggono appena Possiamo considerare i Society Line raccolto, tanto che il solo Amman re- il tiro, aggiungendo qualche tassello alla stregua dei McCarthy o degli Psi sta in California. Comincia così una appena alla poetica dei God Machi- Com, gruppi cioè che sono stati la lunga peregrinazione che porterà i ne che c’è davvero già tutta e aspetta prima incarnazione di progetti che tre dal Texas al Connecticut fino a solo di maturare al punto giusto. I rit- si riveleranno ben più ambiziosi. Là Manchester, poi a Londra e Amster- mi squadrati, quasi marziali, di Com- saranno i poi grandi Stereolab e dam e ancora Londra, dove final- mitment e Prostitute fanno da contral- i Jane’s Addiction, e con un album mente si fermano a comporre e per- tare al lugubre trasporto di Pictures all’attivo sulle spalle, qui i God Ma- fezionare i pezzi che nel frattempo of a Bleeding Boy e agli scenari di chine con una manciata di canzoni. erano maturati. I God Machine pro- Desert Song, in cui viene ripetuto al- Originari di San Diego e inizialmente babilmente nascono anche da qui, l’infinito “Let God save God”. formati dai soli Ronald Austin e Al- da questo continuo spalleggiarsi e bert Amman, cominciano a scrivere i dalla costante condivisione di spazi Listen because no one else will primi pezzi soltanto nella formazione e di esperienze, fosse una stanza a Quel che ancora mancava - una cer- definitiva che prevedeva il bassista New York, uno squat londinese o le ta armonia di fondo, una messa a fuo- Jimmy Fernandez e il cantante/chi- strade di Amsterdam dove suonare co più puntuale - arriva con l’album tarrista Robin Proper-Sheppard. Ne per raccattare qualche soldo. A volte di debutto. Scenes from The Se- vengono fuori un paio di demo e sei senza questo tipo di alchimia anche cond Storey (Fiction Records, 1993; canzoni (tra cui una cover di White stare per tre ore nella stessa camera 7.5/10) raccoglie gran parte dei pezzi Rabbit dei Jefferson Airplane) oltre d’albergo può essere fatale. già presenti nei singoli, e proprio ri- che qualche concerto. Dopo tanto peregrinare arriva final- registrandoli si delinea il passaggio Ascoltate col senno di poi, le canzoni mente la sala d’incisione e il primo alla definitiva maturità stilistica. Così acquistano valore proprio perché si singolo, Purity (7.0/10), edito nel The Desert Song si avvale dell’appor- può intravedere da lontano qualche 1991 dalla piccola Eve Records. E’ to vocale di Katharine Gifford che ne tratto che caratterizzerà i God Ma- decisamente un’altra musica quel- impreziosisce le atmosfere sospese, chine. Infatti per quanto non trasudi la che si sente appena parte Home, rendendole progressivamente più originalità e sprizzando invece new molto più minacciosa e compatta ma fluide e accese. E Home comincia wave da tutti i pori (più Cure e Echo già pronta ad alternare i suoi registri, coi caratteristici gorgheggi delle Le & the Bunnymen che Joy Division) come l’elegiaca rarefazione di Puri- mystère des voix bulgares per dar si possono comunque apprezzare le ty che progressivamente precipita vita subito dopo a un andamento stri- cupe atmosfere di Reign e gli abboz- in un potente riffarama post-punk a sciante su cui la voce di Robin scan- zi pop di Homeland e Departure, col scandire il baratto messo in scena da disce rabbioso i suoi versi: “See the basso di Fernandez sempre in primo Robin: “If I show you the truth / Will woman point to the sky / Cross her piano. Era comunque la fine degli you show me the beauty / If I show heart / And hope to die”. anni Ottanta, e si sentiva. you the pain / Will you show me the Eppure, a parte Purity e Ego, sono purity”. Gli elementi della loro musica i brani inediti a fare davvero il vuo- London, U.K. If you show me the sono già in gran parte presenti e da to intorno a sé. I deflagranti stop ‘n pain questo momento in poi per il gruppo go di Dream Machine, I’ve Seen the Il primo a sentire una certa insoddi- di San Diego tutto sembra essere in Man e Out tengono a distanza an- sfazione per l’aria che stava tirando discesa. Seguono l’anno successivo che i Tool di Aenima e sono solo è Robin, che prende e si trasferisce – 1992 - altri due singoli che sta- una delle soluzioni di una formula a New York in cerca di fortuna. For- volta escono per la Fiction, storica che prevede una base post-punk / tuna che evidentemente da solo non etichetta dei Cure, che si accorge di new wave su cui si innestano a pia- riesce a trovare, tanto da spingerlo avere fra le mani un gruppo fuori dal cimento asciutte escursioni progres- a tornare a San Diego per chiedere comune. Sia Desert Song (6.8/10) sive / psichedeliche, bordate giunge

3 0 s e n t i r e a s c o l t a r e s e n t i r e a s c o l t a r e   / metal e ballad sui generis, in uno uguale a quella inclusa nel primo denza e anche in futuro come Sophia dei pochi esempi davvero genuini di album col solito campionamento di verrà appena lambita. C’è un’inquie- crossover degli anni Novanta. L’al- Pilentze pee delle mitiche Le my- tudine di fondo che fa di quest’album ternanza di registi e il gioco degli stère des voix bulgares. Nel frat- uno dei migliori degli anni Novanta e opposti percorre tutto l’album: me- tempo i God Machine calcano i pal- che non permette a queste ballad di lodia e rumore, tonalità e atonalità, chi di mezza Europa in compagnia essere ballad fino in fondo. The Life speranza (“I see a man that says / dei gruppi più disparati, dai Living Song a un certo punto deve esplode- I can give you everything”) e dispe- Colour ai Quicksand, da Nick Cave re, The Devil Song deve urlare, The razione (“Why do all the things have & the Bad Seeds ai Cop Shoot Cop Hunter è quasi costretta a esplodere, to change / Just when they mean per finire poi nei vari festival estivi. tanto che a volte i fantasmi elettrici the most”). Raramente un disco così Tutto sembra andare per il meglio. non possono che riemergere del tutto sfacciatamente chitarristico è riusci- nei rumorismi di Evol. Lo short-tale di to a trasmettere tanta poesia, a fare Why do I always have to bleed Boy By the Roadside e l’ipnosi di The in modo che questi opposti alla fine Quando One Last Laugh in a Pla- Flower Song non fanno che confer- coincidessero. ce of Dying (Fiction Records, 1994; mare questa tendenza che non riesce Lo testimoniano pezzi come It’s All 8.0/10) viene concepito a Praga e a placarsi neanche quando si arriva Over e soprattutto i quasi diciasset- registrato a Londra i God Machine in fondo. I quasi dieci minuti di The te minuti di Seven. Quasi sospesa sono ancora Robin Proper-Sheppard, Sunday Song sono un vero e proprio nello spazio-tempo, riesce a tra- Ronald Austin e Jimmy Fernandez. addio, con quell’alternarsi di tastiera smettere purezza proprio chiedendo Quando il disco viene stampato al- e basso che davvero sembra potersi purezza (“Please Don’t Poison Me”) l’appello manca Jimmy Fernandez. allungarsi all’infinito. attraverso l’ossessivo percuotere Jimmy se ne va così in fretta (stron- delle pelli di Austin, il riverbero delle cato nel maggio del 1994 da un’emor- Fixed Water voci e l’inquieto finale col clarinetto ragia cerebrale dovuta a un tumore) A questo punto tutto diventa più di Ian Bishop che sprofonda defini- che dietro di sé lascia un’impronta facile. Non certo per Robin Pro- tivamente il tutto in un’altra dimen- quasi palpabile. One Last Laugh… per-Sheppard che deve ingoiare il sione. E se con la viola, il violino e diventa così un album premonitore dolore della perdita di un amico, il violoncello di Purity riprendiamo a che ci comunica di continuo una man- ma per affrontare un discorso sul respirare, a intravedere una luce in canza, il desiderio di colmare un’as- proseguio della sua carriera soli- fondo al tunnel, ci pensa Piano Song senza. A cominciare dai titoli di quasi sta. Non meraviglia che sia stato a ristabilire il disordine. Le note di tutti i pezzi che con quel “song” finale proprio lui a continuare con convin- piano, ancora ad opera di Austin, si mantengono proprio la provvisorietà zione una strada che fin dall’inizio snodano apparentemente tranquille della loro lavorazione. aveva ambito a percorrere e che lo ma in sottofondo si sentono picco- Eppure l’album si apre subito con aveva portato a tentare la fortuna a li rumori, il fruscio di qualcosa che due pezzi come Tremelo Song e New York. Senza tema di smentita, non riesce ad andarsene. Mama. che conservano ancora il ti- possiamo comunque già affermare pico sound, epico e minaccioso allo che i God Machine resteranno nella Fever started a long ago stesso tempo: chitarre feedback e storia della musica rock, mentre i Prima dell’uscita del secondo album drumming ossessivo, canzoni che Sophia saranno solo il paragrafo di fu la volta dell’ep Home( Fiction Re- sarebbero state perfette da suonare un capitolo ben più importante. cords, 1993), edito in vari formati, dal vivo. Tuttavia ci si rende conto La musica che ascoltiamo in Fixed che si segnala più che altro per la abbastanza in fretta che il magma di Water (6.5/10), pubblicato nel 1996 serie di cover incluse. E se alcune Scenes From… si frastaglia sempre dalla Flower Shop (etichetta persona- scelte sono probabilmente dei sem- più spesso e più netta si fa la sepa- le del cantante) propone una formu- plici tributi abbastanza fedeli all’ori- razione fra melodia e rumore, con un la di folk/pop cantautorale che verrà ginale (Double Dare dei Bauhaus mood molto vicino alle ultime cose mantenuta fino ad oggi, con ovvi ag- e All My Colours degli Echo & the degli Swans, per quanto con un tono giustamenti di tiro. Da questo mo- Bunnymen), altre ci appaiono piut- meno austero. La sensazione che at- mento in poi canzoni come Last Night tosto inconsuete. A colpire è soprat- traversa tutto il disco è che se una I Had a Dream, Are You Happy Now, tutto la sguaiata versione live della volta i God Machine precipitavano When You’re Dead diventeranno un già sguaiata di suo What Time is senza rimpianti, ora debbano ten- rifugio per Robin (“I try to close my Love, celeberrimo hit dei KLF di Jim- tare, loro malgrado, di dispiegare le eyes, but I’m afraid of the dark”), una my Cauty e Bill Drummond (fra l’altro proprie ali e provare a volare. sorta di silenzio dopo la tempesta. ai tempi manager dei Bunnymen…). Nessuna canzone fa eccezione, dal- Voce, chitarra acustica e poco altro, Anche se forse è la cover di Fever di la dimessa In Bad Dreams all’attacco più Cohen e Nick Drake che Will Ol- Peggy Lee a lasciare maggiormen- hard-rock di Painless e Train Song dham, poche cose in ordine e tutte te il segno: il soul della cantante (il cui riff iniziale ricorda addirittura i in fila, anche quando con I Can’t Be- americana si spoglia ulteriormente Cult di Electric). Non meraviglia quin- lieve the Things I Can’t Believe tenta per diventare una lugubre murder di che l’introspezione qui raggiunta qualcosa in più. ballad. Home invece si presenta raramente sia stata toccata in prece-

3 2 s e n t i r e a s c o l t a r e Losing my direction Forse più meditato, quasi meno inge- nuo, ci appare due anni dopo il suc- cessivo The Infinite Circle (Flower Shop, 1998; 7.0/10) fin dall’iniziale Directionless, semplice e toccante al tempo stesso. Forse è vero che per ritrovarsi bisogna prima perdersi: no- nostante l’aggiunta in pianta stabile di un batterista - Jeff Townsin degli Swervedriver – e una ancora palpa- bile esigenza di semplicità (che nei testi si trasforma anche in qualche banalità di troppo), generalmente i mezzi espressivi dei Sophia sono più a fuoco e le canzoni di conseguenza ne traggono giovamento. La qualità media quindi è senz’altro buona e di rado abbiamo a che fare con cadute di stile, anche quando si fanno più evidenti le ambizioni pop di Robin, dai refrain di Every Day e If mo sono accostabili a certe cose dei singalong come Holidays are Nice Only fino alle limpide aperture di Wo- R.E.M. Per tacere di Tonite e Like a e Swept Back, che a volte stridono man. Quest’ultima, a cui dovrebbero Record che sembrano nient’altro che con episodi più raccolti in se stes- aggiungersi senz’altro Sometimes, delle outtakes dei Sophia. Lontano si come I Swore Myself e Another Bastards e The River Song, è una sia dal cupo chitarrismo dei God Ma- Trauma, o anche rispetto ai raffinati delle canzoni più belle dei Sophia e chine che dall’intima dimensione dei arrangiamenti di Fool. In definitiva ci riporta alle atmosfere tormentate Sophia, e senza volerli sminuire più un album abbastanza riuscito, ma di One Last Laugh in a Place of del dovuto, i May Queens resteranno non all’altezza del precedente. Dying. Si finisce con l’intenso boz- fortunatamente un episodio isolato Col recente Technology Won’t zetto strumentale di Reprime, che nelle discografia di Robin. Save Us (ancora Flower Shop chiude degnamente un album che ai – vedi recensione su SA#28) vie- tempi fece davvero ben sperare gli People are Like Seasons ne confermata la tendenza di Robin orfani dei God Machine. Dopo un album dal vivo (De Na- ad affinare lo stile che nell’album chten) del 2002 e una raccolta (Col- precedente era ancora da rodare. If You Want it… lections: One), entrambi per Flower E’ successo per The Infinite Circle Nel 2000 quegli stessi fan si ritrove- Shop, bisogna attendere altri due che sviluppò le intuizioni presenti ranno per le mani addirittura il pro- anni per ascoltare un nuovo disco allo stato embrionale in Fixed Wa- getto May Queens, ritorno di chitarre in studio dei Sophia. In People Are ter. In questo modo i refrain, le or- elettriche e ritmi tutt’altro che bucoli- Like Seasons (City Slang, 2004; chestrazioni, gli arrangiamenti or- ci. Con gli stessi membri dei Sophia 6.5/10) si sente subito che qualcosa chestrali e tutto l’armamentario pop Robin si prende quella che appare è cambiato: compaiono improvvisa- di People Are Like Seasons viene chiaramente come una pausa di ri- mente orchestrazioni, arrangiamenti qui portato a compimento. Le can- flessione, un puro e semplice diver- e nel complesso una maggiore atten- zoni hanno raggiunto una loro com- tissment e che come tale dev’essere zione verso la forma pop. Del resto piutezza formale e una raffinatezza considerato. Entrambi omonimi, a un veniamo avvertiti già in Fool quando che può sfociare tranquillamente primo mini-lp più elettrico (Flower Robin canta: “Your hate has its rea- nell’ammiccamento a un pubblico Shop, 2000; 5.5/10) segue un cd vero son / But people are like seasons / più vasto, un fatto confermato dal- e proprio (Flower Shop, 2002; 5.0/10) Yeah everybody changes”. la recente comparsa dell’album al che non raggiunge la mezz’ora di du- Questa spiccata ricerca melodica sessantanovesimo posto della lista rata. I riff di Theme for the May Queen si manifesta nei modi più disparati, dei cd più venduti in Italia, un dato no. I o di If You Want It e le cavalca- dalla classiche movenze rock di If A che può far sorridere solo chi non te rockeggianti di Rollin’, o ancora il Change Is Gonna Come al vago sa- è abituato a guardare la musica dal crescendo tutto strumentale di Fench pore The The di Darkness (Another basso. D’altro canto, nonostante sono quanto di più svagato prodotto Shade in Your Black), fino alle fre- qualche caduta di stile, Robin si di- da Proper-Sheppard. quenti ballad (I Left You, Oh My mostra ancora una volta songwriter Una tendenza questa che è ancora Love) spesso non mediate da quella di tutto rispetto e certamente un po’ più evidente e marcata in pezzi alter- sofferta ambivalenza caratteristica di quella “purezza” scorre ancora native-rock come Changes e Falling dei God Machine. Ci troviamo così nelle sue vene. (Won’t Fall In Too) che per un atti- anche di fronte a veri e propri brani

s e n t i r e a s c o l t a r e   3 4 s e n t i r e a s c o l t a r e Recensioni turn it on

Æthenor – Deep In Ocean Sunk The Lamp Of Light (VHF / Goodfellas, 30 gennaio 2007) Inizia come un vecchio disco di Lustmord e si chiude come un horror musicato da Angelo Badalamenti. Nel titolo del disco si cita nientemeno che l’Iliade di Omero e tra gli strumenti usati leggiamo: Fender Rhodes Piano, Voice, Minimoog, Organ e….Room. Stanza. Æthenor ha tutta l’aria di essere qualcosa di più della solita collaborazione di Stephen O’Malley. Di fatto, il trio costituito con Daniel O’Sullivan dei Guapo e Vincent De Roguin degli Shora già parla di un secondo disco e vista la qualità del la- voro in questione, la cosa va presa come una buona notizia. La metafisica inquietudine ambient che si respira tra questi solchi ha come referente più diretto proprio O’Malley. Il suono che nei Sunn O))) è polpa (deteriorata) qui è ectoplasma (I). Un’immagine che si riflette su uno specchio defor- mante (II). Un’ombra che si allunga a dismisura fino ad ottenebrare un mondo intero (III). Alice che si scopre prigioniera e vittima di una lugubre wonderland (IV). Nel passaggio tra la catacombale fissità della collaborazione con Pita -il progetto KTL - al suono molto più “musicato” e strisciante degli Æthenor, O’Malley ha fatto un progresso considerevole, anche se è largamente coadiuvato dagli altri due. Daniel O’Sullivan soprattutto contribuisce alla causa affrescando visionari ghirigori con il ficcante e onirico sound del Fender Rhodes. Quello degli Æthenor è un suono che non sfocia mai nel grand guignol. Il trio è abilissimo nel mantenersi in uno stato costante di vacuum onirico, affascinante e mai tedioso, dando l’idea di essere più interessato a suggestionare che ad impressionare. Se non è la cosa migliore firmata da O’Malley finora, poco ci manca. (7.5/10) Antonello Comunale

s e n t i r e a s c o l t a r e 3 5 turn it on

Alva Noto – Xerrox Vol.1 (Raster Norton, 16 marzo 2007) Un noise di fruscii particolari On Land. Ambient dai profumi del neroli e cosmica synth driven nella Tangeri del futuro. Smalti gothic per cattedrali sonore di chi osserva fuori dalla maglie della matrice. Carsten Nicolai ritorna a professare quello che ha assunto la sostanza di un credo. Culto pagano o scientista non è dato sapere, tanto meno il punto di partenza è indispensabile. Tuttavia, duplicare informazioni in una forma ancora riconoscibilmente meccanica e pre-digitale deve aver appassionato molto il boss della Ra- ster Norton. La fotocopiatrice è strategica: incarna le fondamenta della vecchia società industriale sia per materiali (plastica, vetro, ferro) sia per funzionamento. Di fatto, ne comprime i clangori in una scala domestica e, in pratica, rappresenta un antefatto delle “duplicazioni” immateriali a venire. Oggi, ciò che viene doppiato non presuppone che né tatto né vista partecipino al processo, nella fotocopiatrice questa relazione è non solo possibile, ma tangibile. Astrarre da questa base ha dunque a che fare con la costruzione di un artefatto che conservi in qualche modo – pur trasfigurandola – l’informazione iniziale. Un noise concettuale dunque, e non solo: Nicolai per la prima volta contempla scenografie melodiche a fondamento dell’esperienza e ascoltando il lavoro, a distanza di dieci anni dai “tagli Fontana” sui cd, sembra proprio questa la più plausibile evoluzione della glitch-music. Presentato in anteprima al Kitchen di New York, il progetto Xerrox vede Carsten muoversi nell’ambient del Basinsky di The Garden Of Brokenness. In comune con lui, la profondità dei minimalismi sintetici, il calore avvolgente della tra- ma, i contrasti con il mero elettrico, la visione di una natura osservata con occhi digitali, l’ineluttabilità del gesto. In più, la dimestichezza con il concettuale. Ne è la prova Haliod Xerrox Copy 3 (Paris): sguardo su un landscape naturalistico dai tratti eleganti e contrastati, attraversata da scariche d’elettricità. Lui le chiama spruzzate d’informazioni. Chiamatele glitch, noise. O meglio, oggetti artificiali che assieme riflettono un qualche subconscio planetario dominato dalle reti medianiche (Ikeda docet). O semplicemente, una ricerca di spiritualità. Sta a voi. (7.3/10) Edoardo Bridda

  s e n t i r e a s c o l t a r e per nuovo: è che questi sei tipac- loro dischi, di volta in volta, Nico, ci di Sacramento sembrano proprio Stooges e persino i Low). Un disco non concepire un modo migliore per che mantiene più di quel che non farti smuovere il culo. Contribuen- prometta. (7.0/10) do con ciò a salvare il mondo. Va Massimo Padalino da sé che a salvarsi sono soltanto loro. (6.3/10) AA.VV. - Ballads Of The Book Stefano Solventi ( / Audioglobe, 26 febbraio 2007) 31Knots - The Days And Nights Mettere insieme il meglio della let- Of Everything Anywhere teratura scozzese contemporanea (Polyvinyl / Goodfellas, 6 marzo con la crema della corrispondente 2 0 0 7 ) scena musicale è un’idea che Rod- I 31Knots sono tornati. The dy Woomble degli Idlewild ave- !!! - Myth Takes (Warp / Self, 4 Days And Nights Of Everything va in mente già da un po’ (per la marzo 2007) Anywhere, album nuovo di pacca precisione, dalla collaborazione Inutile ribadire quanto il revansci- tallonato dall’uscita ‘breve’ Polemi- con lo scrittore Edwin Morgan nel- smo dance funk abbia ormai esauri- cs (2006), segue senza titubanza l’album Remote Part). Per realiz- to la spinta propulsiva: anche le ar- alcuna il sentiero del cambiamento zarla ha ottenuto l’appoggio dello gomentazioni sull’obsolescenza del dai nostri già principiato a percor- Scottish Arts Council e soprattutto fenomeno sono a loro volta esauste. rere nelle uscite più recenti. Math dell’immarcescibile Chemikal Un- Venendo ai Chik Chik Chik (conce- rock, artcore, progcore sono solo detemi di chiamarli così), già col se- etichette lontane e che mal si adat- condo full-lenght Louden Up Now tano a descrivere un suono oramai lo spasmo eccitante dell’omonimo definitivamente emancipato dalle esordio mostrava evidenti segni di influenze delle origini (Fugazi, So- cedimento. Idem dicasi per le scor- nic Youth, e così via). ribande dei coevi Radio 4, Rapture Beauty, l’opening track dell’album e compagnia danzante, entità bila- recensito, sfrondando una parete di ma modello “taglia il pelo prima che iniziale elettronica rabbuiata, si raf- si ritragga”, il tutto rigorosamente fina sino a risplendere come lumi- usa e getta. I nostri cocciuti cali- nosissimo gioellino ‘pop’ tout court. forniani, invece, tornano sul luogo Il piano isterico, usato qui quale del delitto, infilano gli elettrodi nel ritmica aggiunta, contrappuntato di cadavere e lo fanno zompare come volta in volta dai fiati o dalla chi- uno zombie stroboanfetaminico. Il tarra scheletrica, dice di un brano risultato è prevedibile. Ed effica- tanto epidermico quanto sofisticato ce. Con la loro caparbietà, il tirare nell’arrangiamento. Sanctify fa an- derground, qui in una delle sue re- dritto sui binari della propria osses- che meglio, scivolando nel vaudville lease più ambiziose (al disco infatti sione, pongono se stessi e questo patafisico di certi Pere Ubu (recita- seguirà un documentario e alcuni Myth Takes al di là del bene e del tivo querulo, impalcatura armoni- concerti a tema). A musicare testi male. Strizzano l’occhio alla dance ca poppeggiante e spumeggiante, e poesie di autori illustri come lo becera senza mollare quasi mai la sperimentale a modo suo). La for- stesso Morgan, Alasdair Gray (già collottola madida del groove (Must ma canzone non cede mai ed anzi “colluso” nel progetto Be The Moon, A New Name), flirta- esce rinvigorita da cotanta scienza dell’indiano Sushil K Dade, Future no coi Depeche più ormonali (Yad- poppy. E la girandola di influenze Pilot a.k.a.), Ali Smith, Robin Ro- nus), stemperano nel calderone fagocitate dalle canzoni in scaletta bertson e Alan Bissett intervengono This Heat e Red Hot Chili Peppers ancora non finisce di stupire: il ma- dunque De Rosa, Aereogramme, (All My Heroes Are Weirdos), si per- drigale artcore di The Savage Bou- membri di Delgados, Arab Strap e mettono di azzardare sorprendenti tique, la fugaziana Man Become Teenage Fanclub, artisti cult come escursioni psych (le vetrofanie de- Me, il drum’n’bass esistenziale e King Creosote e , liranti in mezzo a Heart Of Hear- anoressico di Hit List Shakes, e per glorie locali come e ts), annusano le impronte kraute finire Immitation Flesh, prossima a The Trashcan Sinatras, più un paio della questione (la title track) per libidini math oramai storicizzate, il di guest d’eccezione direttamente poi concederci un finale wave-soul lied pianistico The Pulse Of A De- dai seventies come Vashti Bunyan cartilaginoso come dei Notwist so- cimal e, apice dell’arte drammati- e Mike Heron dell’Incredible String gnati dai… Chik Chik Chik (Infini- ca del combo, la conclusiva Walk Band. fold). Come dicevamo, nulla di tutto With Caution (meraviglioso ibrido, Un cast da leccarsi i baffi, per un ciò è in grado di stupirci. Ma non si tra barbarico e classico, delle fu- gustoso spaccato di quanto di me- tratta del solito spacciare il vecchio neree litanie di cui disseminarono i glio possa offrire la Scozia musi-

s e n t i r e a s c o l t a r e 3 7 cale al giorno d’oggi. Nondimeno, L’impressione generale è di ango- dolo - di tutto. Ci hanno stupito con colpisce la naturalezza con cui ogni scia velocistica, vagamente futu- effetti speciali, irradiandosi nei cie- artista ha prestato la propria sensi- ribile (R.S.X.), come sprigionata li d’America e d’Europa come i divi bilità al servizio delle parole, con dal pensiero di guidare ubriachi un pop del prossimo quarto d’ora. Si risultati piuttosto genuini e godibili, Gran Premio. E fa finalmente la dif- sono resi ipercromatici. Avvincen- come un Norman Blake più lenno- ferenza la produzione, ora più ar- ti con metodo, con estemporanea niano che mai, un Aidan Moffat che rogante, meno ricercata, ed è una convinzione. E irrimediabilmente preferiremmo più in questa veste fortuna, determinata nel garantire deperibili. adorabilmente ubriaca (altro che L tempi ballabili attraverso la pienez- Ebbene, con questo Pocket Sym- Pierre), dei Sons And Daughters phony gli Air suggeriscono un mo- posseduti da Nick Cave. E tra chi vimento all’indietro, alla dimensio- conferma (Middleton, Yorkston, Ali- ne in cui il tempo svapora perché stair Roberts, Aereogramme) c’è c’è una finzione in corso, l’inganno anche chi sorprende, vedi la veraci- magico della ricostruzione atmosfe- tà Pogues / Fairport Convention de- rica. Un impulso comprensibilissimo gli ancora senza contratto Foxface, che, grazie alla morbida abilità di tra i migliori di questo Ballads Of Godin e Dunckel (e del produttore The Book. Nigel Godrich), riesce a sembra- Da avere senza indugio, anche se re credibile: vi bastino le sgassate siete digiuni di letteratura delle Hi- vetrose e i vocalizzi incorporei nel- ghlands. (7.0/10) l’alba cosmica di Mayfair Song, le Antonio Puglia sensazioni appese tra sibili eniani e luce fredda di Night Sight, i lan- guori irrisolti tra synth gassosi e ADULT. – Why Bother (Thrill arpeggi argentini di Lost Message, Jockey / Wide, 20 marzo 2007) za industriale del suono – mentre, l’angelico groove in assenza di gra- Hanno fatto due mezzi passi falsi, in definitiva, era proprio la solleci- vità di Photograph. ma questo è un passo deciso. Giun- tazione alla danza ultramoderna a Naturalmente, però, non riescono ti al terzo album sembra che gli mancare da Gimme Trouble e dal- del tutto. Lo sforzo muore a metà, ADULT., duo formato dalla cantante l’ancora precedente Resuscita- perché nel ritorno c’è sempre un’ef- Nicola Kuperus e da Adam Lee Mil- tion. frazione. I pezzi più compiuti alla ler, abbiano trovato la dimensione Gli ADULT., in un ambito simile di fine sono quelli che virano verso che meglio li fa esprimere. Ascol- discorso, dichiarano, sul sito del- un’inedita dimensione autoriale, tando ad esempio I Feel Worse la Thrill Jockey, di ricercare una chanson permeate di romantici- When I’m With You ci ritroviamo di “uneasy listening music”. Trala- smo sgualcito e languido spleen, fronte a un trattore sciata Harvest, un rumore magma- previa la sierosa sensibilità di Jar- Recordings che scava con un basso tico che in coda al disco ci ricorda vis Cocker (in One Hell Of A Par- Joy Division. Non è quest’ultima la i recenti Echran, va invece detto ty) e Neil Hannon (in Somewhere novità: già nel precedente Gimme che è proprio la facoltà di trascina- Between Walking And Sleeping). Trouble, come abbiamo scritto su re l’ascoltatore il loro punto forte, Tracce intense ma intruse, splendi- SA, si udivano echi post-punk e certo senza easy listening, ma con di “a latere” che innalzano il livello profusioni new-wave; ciò che cam- disinvoltura nel coinvolgimento. complessivo del lavoro dandoci la bia è la decisione con cui vengono (6.8/10) misura del suo parziale fallimento. accoppiati all’estetica industria- Gaspare Caliri Parziale, perché le intenzioni degli le, con risultati che spaziano dal- Air erano - credo - azzeccate: get- l’EBM, ai Clock Dva tra ‘80 e ‘90, tare la zavorra, percorrere all’in- Air - Pocket Symphony ai soliti Pankow (compressi con gli dietro la curvatura spazio-tempo, (Astralwerks-Virgin / EMI, 6 Atari Teenage Riot in Cultivation), sfidare con disinvoltura l’assurdo marzo 2007) ai Pan Sonic (Good Deeds), fino incontrando i se stessi che furono. Indossare gli scafandri, e galleg- addirittura ai Big Black (You Don’t Inevitabilmente, però, si sono sol- giare. Intonando il membranoso al- Worry Enough). tanto sfiorati. (6.3/10) leluia proto-sintetico: Le Soleil Est La voce di Nicola, anzitutto, è de- Près De Moi. Ricordate? Erano i Stefano Solventi finitivamente trasportata da una tempi (gloriosi) del doppio ribalta- Lydia Lunch meno inquietante del- mento Air: i segni del reale “elettro- Andrew Bird - Armchair l’originale (Inclined To Vomit), alla nizzati” e i sogni elettronici “uma- Apocrypha (Fat Possum (U.S.), sua dilagante e “tiratissima nor- nizzati”. Epigenetica tecnologica 20 marzo 2007) malizzazione” in Siouxsie Sioux vintagista. Viaggio da fermi nel fu- A volte non c’è bisogno di sorpren- (come in Plagued By Fear, che turo anteriore di un passato imma- dere. Non lo shock da primo ascol- sembra una versione digitale dei ginario. Ma acquisito. Dopodiché, il to, da mirabolanti soluzioni, da Diaframma). duo francese s’è permesso – poten- trovate spesso incomprensibili per turn it on

Arcade Fire - Neon Bible (Merge/Rough Trade, 6 marzo 2007) Eccoli al varco, dunque, gli Arcade Fire. Win e Regina più il consueto ma- nipolo di contorno (tra cui un’orchestra ungherese ed un coro militare) a far le cose in grande perché di meno non è il caso. Chiaramente, occorre avere dentro sia la fiamma che l’arrosto, per continuare a fumigare in tal misura. E loro? Sì, loro sì. Neon Bible dimostra che ci siamo, la band è solida e fertile, le idee ambiziose cum grano salis. Il cuore nero, ma lo sapevamo già. Del resto, a guardarlo dritto negli occhi questo mondo di questi tempi, di che colore vuoi averlo il cuore? Nero. Uno specchio nero. Dove il riflesso d’un Bowie può incocciare l’en- fasi brumosa di Patrick Wolf tra cori cinematici Abba e rimbombi minac- ciosi, come nella Black Mirror che inaugura la scorribanda. Win e Régine hanno meditato e lavorato. Quella coltre iridescente di riferimenti, quel loro giocare colto e arguto con segni immediatamente riconoscibili, viene meno di fronte all’impeto fastoso delle orchestrazioni, all’angoscia ventrale del mood, alle stesse voci votate a timbri più densi e legnosi. E’ grazie a questo surplus di personalità che diventano possibili canzoni come Inter- vention, dove il canto s’inerpica con teatralità commossa e il crescendo orchestrale sottolinea la tragica esca- lation del testo, oppure Ocean Of Noise, rumba languida e incupita che va a perdere i sensi tra cascami d’archi e ottoni. Ok, gli Arcade Fire continuano a somigliare a qualcos’altro, ma l’impeto dissonante simil-Waterboys di Keep The Car Running è scompaginato da allibenti sfondi eniani, così come la fervida amarezza Springsteen di Antichrist Television Blues è avvolta da una gelatina d’archi e chitarre e infine spaurita dai cori pazzoidi di Régine. Come dire, questa roba è dentro di noi, e ce ne serviamo per. Per mettere in piedi un paradigma di presente tragico e futuro ucciso. Di sordide premesse (l’errebì narcotizzato della title track), di temibili sviluppi (la sordida nevra- stenia di My Body Is A Cage, in pratica il dark side di Jesus Christ Supertsar), di prospettive negate. Che nel pezzo-chiave No Cars Go – opportunamente recuperata dall’ep di esordio – assume l’aspetto di una frenetica disperazione, con quell’aria da Road To Nowhere degli anni duemila. Eccessivo fino a sfiorare i più velleitari barocchismi, è un disco oltremodo coraggioso e “motivato”. La discografia degli Arcade Fire inizia a farsi interessante. (7.2/10) Stefano Solventi

s e n t i r e a s c o l t a r e 3 9 il solo gusto di stupire. No. Alcu- è sconsigliato uscire fuori di casa: ne volte si ha voglia di familiarità, quando meno ce lo aspettiamo di luoghi comuni della fantasia in qualcuno può ferirci con un gesto, cui è sempre un piacere ritrovare con un particolare, con un’occhiata. quei punti fermi, quelle certezze Le ferite si sentono a freddo, come scoperte un tempo e poi ciclica- acido che corrode lentamente. Sta- mente rispolverate. Con Armchair te attenti. Apocrypha Andrew Bird è qui a ri- (7.3/10) p.s..: Il CD è accompa- cordarci quanto di buono avevamo gnato da un breve ma interessan- visto e sentito, tra Bowl Of Fire e te DVD che documenta il processo l’album a suo nome, e viene sponta- di mixaggio e postproduzione delle neo domandarsi come faccia a con- fonti sonore nelle Foley Room (gli servare la sua spiccata leggerezza studi in cui vengono registrati gli in composizioni strabordanti come effetti sonori per i film) a Montreal, Dark Matter (fischio morriconiano, al contaminato, all’ibrido e indefi- San Francisco e Seattle. convulsioni ritmiche e grandeur nibile sounding object, sempre più Marco Braggion chitarristica U2) oppure in ballate organico, incarnato in protesi sin- liquefatte come Armchairs (sette tetiche che ci accompagnano e ci Angelo Petronella – Sintesi minuti di intenso crescendo). E una definiscono. Dal math-hop deviato da un diario (Die Schachtel, risposta non c’è. e saldamente ancorato agli anni 90 febbraio 2007) Christa Pfangen O forse sì, e sta tutta in una visione di (con il mo- Adventures In Foam – Watch Me Getting Back The d’insieme che questa volta evita di niker ) al jazz nu-bossa ‘do it Cujo End (Die Schachtel, febbraio soffermarsi troppo sui dettagli rega- yourself’ di , il DJ brasilia- Bricolage 2 0 0 7 ) lando un suono molto più compatto, no ha poi puntato su una mutazione Die Schachtel prosegue con la pro- organico (centrato per la maggior più dark e oscura (Supermodified) pria serie di musicisti contempo- parte su una puntuta sezione ritmi- che è esplosa nella colonna sonora ranei denominata Zeit e battezza- ca e sulla predominanza della sei di Splinter Cell. L’ossessione per il ta lo scorso anno dall’esordio dei corde, con un violino sempre più sampling non sembra abbandonare veronesi Å. Sia il disco di Angelo in secondo piano), come se Bird si il nostro, tanto che il nuovo disco Petronella che quello dei Christa fosse già immaginato su un palco utilizza in gran parte suoni concreti Pfangen sembrano fatti apposta pronto per suonare. E possiamo che provengono dalla strada. Con- per essere distribuiti dall’etichetta anche pensare che il languido on- créte music per il nuovo millennio? milanese. Di fatto, non potrebbe deggiare di Imitosis e l’eclettismo Se il sampling richiama la tradizio- essere più sottile la linea di demar- indie di Fiery Crash e Heretics non ne del GRM di Risset, non manca- cazione che separa queste musiche faranno molta fatica a trasformarsi no le novità e le sorprese sul ver- attuali da quelle inattuali per cui la in veri e propri cavalli di battaglia, sante compositivo, sulla capacità label è più conosciuta. Die Scha- forti di una spontaneità interpreta- di controllare l’overload di informa- chtel sembra voler fotografare di tiva che continua a rimanere unica. zione che da un momento all’altro volta in volta lo zeitgeist dell’Italia Nessuna grande novità, dunque, in sembra scappare ed esplodere in che sperimenta in musica. Ci riesce casa Bird, ma una calda e comoda mille pezzi deformati: il nostro mu- quasi sempre nel ripescaggio sto- coperta di Linus sempre a portata sic jockey di fiducia ci spiattella in rico, e stavolta ci riesce anche nel di mano. (7.0/10) faccia la sua maestria deforme co- farsi supporto – in tutti i sensi – per Valentina Cassano struendo castelli darkstep pieni di questi due nuovi esempi di avant zombi ululanti (Kitchen Sink), ninne music italiana. nanne industrial-melò (Esther ’s), Amon Tobin – Foley Room Quello di Petronella è un lavoro inni post-trip-hop apocalittici (Big (Ninja Tune, 5 marzo 2007) che si stacca da quello degli Insie- Furry Head), singoli hip-pop degni Una giornata di nebbia londinese, memusicadiversa, storico gruppo entrare in un club e non pensare, del miglior Beck anni 90 (Always); prog anni ’70 nei quali militava e non vedere che luci e suoni, essere si permette la ballata con organetto si riattacca alla nouvelle vague ita- una macchina danzante. Queste le psichedelico tra DJ Krush e i Por- liana del field recording, trovando visioni e le sensazioni sulla pelle tishead (Straight Psyche), riporta un punto di incontro tra molti dei dopo l’ascolto del nuovo disco del in vita gli archi post-Björk (At The migliori lavori che abbiamo ascol- maestro del trasformismo di casa End Of The Day) e infine ci fa stare tato in questi ultimi tempi. Si pos- Warp. dentro anche il Kronos Quartet in sono trovare più o meno similitudini salsa retro (Bloodstone). Ricordando il 2006 come anno di con i contemporanei Stefano Pilia, Questo disco è una sintesi di tut- profondi mutamenti, di electroshif- Punck, Luca Sigurtà, Fhievel, Ki- to quello che si respira nella deca- ting e di esplosione dei sobborghi netix, ma molte pagine di questo dark nel dubstep mutante, la pa- denza elettronica di inizio secolo, diario sono scritte soprattutto con lette sonora di Amon Tobin non ci un’esperienza da ascoltare con pa- una calligrafia che ricorda quella zienza, una notte nebbiosa in cui sorprende più, abituati come siamo di Marino Zuccheri. Di fatto, come

4 0 s e n t i r e a s c o l t a r e Zuccheri era prima di tutto un inge- Fela Kuti. Security è il quarto la- specificarlo subito, perché se è vero gnere del suono, Petronella è pri- voro dei Nostri e primo a fregiarsi che dei BSS gli Apostle conservano ma di tutto un sound artist che si del logo Anti. La Ninja Tune li ha quella sana predisposizione a mi- è trovato spesso a lavorare con le ceduti dopo un pugno di lavori e schiare le carte dell’indie rock con installazioni. Sintesi da un diario ora si ritrovano negli studi Soma di estro e inventiva, è vero anche che è un lavoro dove la complessa tes- Chicago a trattare nientemeno che la band di Whiteman ha elaborato situra del suono viene agitata con- con John McEntire. La produzione un proprio linguaggio molto meno tinuamente e le fonti sonore sono è sua, del Tortoise, e la musica de- dispersivo e stordente rispetto al come spiriti mossi da una macchina gli Antibalas. Un ebbrezza di afro- Broken Social Scene del 2005. Le impertinente. E’ arduo se non im- funkitudine dall’inizio alla fine. Un prime sillabe erano state pronun- possibile decifrare completamente calore che non teme raggeli . Un ciate con il debutto Folkloric Feel le sorgenti dei suoni che ascoltia- inizio complesso nelle note di Bea- (2004): chitarre sotto i riflettori, mo. Acusmatico e criptico. (6.8/10) ten Metal, groove negroide trafitto preziosismi latini qua e là, umori Discorso radicalmente diverso per da drammi di sax. Ci suona anche crepuscolari e qualche spruzzata i Christa Pfangen, un nome che McEntire e un po’ si sente. Il rit- lo-fi per un discorso ancora in cerca omaggia Nico e nasconde due nomi mo è prossimo. Filibuster X suona di consapevolezza. Con National noti della scena avant italiana: An- eccitata e le chitarre duellano coi Anthem Of Nowhere pare abbiano drea Belfi e Mattia Coletti. Il di- sax. Si insinuano delle voci d’eba- trovato argomentazioni valide, non sco dei Christa Pfangen si iscrive che gli elementi siano cambiati, ma in una categoria quanto mai gene- la sintassi è sicuramente più arti- rica, che vede importanti elementi colata. Basta ascoltare i primi due di improvvisazione free jazz andare brani My Sword Hand’s Anger e Na- di pari passo con strutture più pro- tional Anthem Of Nowhere per ca- priamente (post)rock. Le convul- pire che a reggere l’intero lavoro è se esplosioni ritmiche di Belfi e lo una sezione ritmica che passa con screziare continuo della sei corde irriverente scioltezza da un certo di Coletti fanno pensare soprattutto indie rock dei Novanta (Justine, Be- ad una versione strumentale degli ckoning) al Messico dei Calexico Storm And Stress. Quello dei Chri- (Haul Away) al tres cubano rivestito sta Pfangen è però un approccio di flamenco (Fast Pony For Victor ancora più radicale dove a risaltare Jara) per riposarsi sulle spiagge è soprattutto la straordinaria padro- estive e i caldi fiati di Jimmy Scott nanza strumentale dei due. Belfi in Is The Answer, con la voce duttile particolare manda in più occasioni di Whiteman a imprimere di volta in la batteria in fiamme, abitando con no, cori e uno spoken sornione. Il volta il giusto mood. Poco convince potenza e stile una terra dei ritmi finale non si racconta. Badate piut- però la scelta della lingua spagnola irregolari tutta sua. Un lavoro che a tosto al frenetico sussulto che as- in un paio di brani, che pur amal- stento riesce a conservare integra sale il vostro bacino. War Hero è un gamandosi perfettamente con le tutta l’energia che promana. Incen- nuovo crescendo ritmico di chitarre influenze iberiche del Nostro, alla diario. (7.0/10) e fiati. Il bacino - ci spiace per voi - fine risultano una forzatura. Piccoli Antonello Comunale vi ha lasciato. Fuori diluvia ma non difetti, comunque, per un album che intendo. Se il fine di un disco è il dice la sua in modo forte e chiaro, teletrasporto…beh, lunga vita agli scrollandosi dalla spalle la stretta Antibalas – Security (Anti / Antibalas. (8.0/10) parentela con la casa madre e su- Self, 9 marzo 2007) perandola per qualità e coerenza. Che Dio li benedica. Qui lo scrivia- Gianni Avella E non chiamiamoli più cugini, pro- mo e non neghiamo. Grandi Anti- getto parallelo o costola dei BSS… balas. Accusiamoli pure, diamogli Apostle Of Hustle - National (7.0/10) dei passatisti o peggio citazionisti; Anthem Of Nowhere (Arts & ma alla fine sono situazionisti fal- Crafts / V2, 26 marzo 2007) Valentina Cassano liti. Nessuno lì segue come si do- Sempre in fermento, il Canada tor- vrebbe, pochi gruppi (ad eccezione na a lanciare con veemenza lapilli Autumn Shade – Ezra Moon forse dei misconosciuti Nomo) po- incandescenti. Dopo la rentrée in (Strange Attractors / Goodfellas, trebbero reggere il palco con loro. grande stile degli Arcade Fire con 13 marzo 2007) Forse uno potrebbe, Femi Kuti, il Neon Bible, è il turno degli Apostle Jes Lenee’ arriva da Tulsa in Oklaho- figlio di cotanto padre che con gli Of Hustle. Non la semplice costo- ma, con la sacca carica di canzoni e Antibalas ha condiviso qualche la dei Broken Social Scene, come sofferenza. Gli Autumn Shade sono data, ma il sound dei newyorche- spesso vengono indicati, ma il pro- il tipico parto solitario del songwri- si (da Brooklyn) ha più passione getto di Andrew Whiteman, chitar- ter armato di sola voce e chitarra. e sudore. Non ha pedigree se non rista nonché quarta mente pensante C’è una gran folla nel settore che quello spirituale con lui, con mastro del gruppo in questione. Ed è bene si è scelto Jes. Soprattutto folla di

s e n t i r e a s c o l t a r e 4 1 donne, tutte puntualmente elencate sviscerate senza particolare enfa- negarlo, veniamo tutti dalla Madre anche dalla Strange Attractors, che si. Si torna alla blank generation, ai Africa, e di lei portiamo dentro al- trova similitudini tra la musica degli Richard Hell e Verlaine (Tom, ov- meno un frammento del suo atavico Autumn Shade e quella di Marissa viamente) giovanissimi, a quel filo dondolarsi tra tristezza e celebra- Nadler, Kendra Smith, Lisa Ger- rosso che teneva unita Patti Smith zione. O, se preferite, tra blues e mano, Rachel’s, Tara Jane O’Neil, alla new wave. Eppure Fowler ri- funk che, come gli ultimi vent’an- CocoRosie, Mirah. Un po’ è vero, un mane legato a doppia mandata ai ni scarsi hanno dimostrato, furono po’ no. E’ vero che quello che ascol- partoriti tra deserti e savane e da tiamo dalla voce di Jes è un classico là si propagarono – forzatamente: esempio di spleen femminile svisce- con la schiavitù - per il globo tut- rato a colpi di chitarra e voce. Un to, o quasi. Complessa e articolata po’ non è vero perché a Jes ancora al pari del folk occidentale e dello manca quell’imprinting di persona- stesso rock, e con essi unitasi in lità che ti fa ricondurre immediata- stimolanti ibridi, la musica africana mente la sua musica a lei. Carat- costituisce tuttora un patrimonio teristica questa che hanno tutte le oggetto di continue scoperte, trai- altre, più o meno. Le canzoni però nato da alcuni artisti divenuti più ci sono e ci sono soprattutto quando famosi al di fuori della cerchia degli entra in gioco il piano. Si sentano specialisti. l’iniziale Sparrow o l’ultra malinco- Fra questi c’era uno tra i più gran- nica e vagamente gotica Violet. La di musicisti d’ogni era e luogo: Ali Nostra piccola sirena dell’Oklahoma Farka Toure che, come ricorderete, del resto non nasconde una pas- ci ha lasciato lo scorso anno. Ve- sione per gli Smashing Pumpkins, propri testi. Quasi tutti gli episodi niva dal Mali - terra musicalmente soprattutto per il periodo di mezzo di Summary hanno la stessa strut- tanto fertile quanto arida per chi vi della band di Billy Corgan, quello di tura: ritmi semplici e ripetuti, stru- abita -, e il connazionale Bassekou Mellon Collie e Adore. Infatti pro- mentazione ridotta all’osso e voce lo accompagnò spesso con il suo prio alle ballate per piano del calvo recitante che non accenna neanche ngoni. Nato nel Segu, sulle rive di di Chicago rimandano gli arrangia- per caso a curve melodiche, seppur un Niger sempre più affine al Mis- menti un po’ rétro e un po’ glam di semplici. Sono i toni a trasformar- sissippi, Bassekou si trasferì ado- brani come Fly Away, Evelyn Star e si e gli umori a cambiare. Si passa lescente a Bamako per entrare nel Ezra Moon. Non è poco per una che così dalla poppeggiante The Song gruppo di Toumani Diabate e re- esordisce e si permette con noncha- Is The Single, con il suo basso ri- starvi a lungo. Dopo aver registrato lance cose deliziose come Red, un dotto all’osso che echeggia certe lo splendido Savane con Farka, si improbabile tete-à-tete tra Matt El- atmosfere di semplicità new wave presenta adesso con un quartetto liott e Mirah. (6.0/10) à la Joy Division, all’ incedere per voci e soli ngoni. Strumento di Antonello Comunale morboso e martellante di Complete origini ataviche e fondamento del- Consumption Of Us Both (come un la cultura Griot - lo “storyteller” dei Barr – Summary (5 Rue Christine Tricky che legge un pezzo di Reed); villaggi africani che generò il blue- / Wide, 20 febbraio 2007) dagli echi jazzy di Untitled a Con- sman e poi il rapper (non inventiamo Dietro il nome Barr si nasconde text Ender, uno strano incrocio tra niente, trasformiamo…) - possiede Brendan Fowler, personaggio non la Anderson e il cantastorie metro- corde taglienti e all’occorrenza ca- molto noto al pubblico ma da sem- politano David Pajo nella slintiana rezzevoli, qui offerte con virtuosi- pre immerso nel panorama indie: Good Morning Captain. Post rock e smo mai vacuo e nella musica del- una lunga amicizia lo lega ad alcuni punk, complicatezza e semplicità, la terra d’origine di Kouyate, quel membri degli Animal Collective e si uniscono per dare vita a questa Bambara dalla natura pentatonica proprio insieme a loro e a Xiu Xiu, figura di cantautore/raccontasto- prossima al blues. Ne certificano la il giovane californiano di Berkeley rie un po’ particolare, ma neanche grandezza, tra le altre, una Banani è partito, due anni or sono, per il troppo, pop ma senza nessuna ten- che potrebbe essere di Ry Cooder, suo primo tour americano. Con un sione verso la forma canzone. Tutto la clamorosa Ngoni Fola e un’esem- passato legato all’arte da strada e il contrario di tutto, insomma. Ma plare title track posta in chiusura. newyorchese, allo skateboard e agli nulla di così sconvolgente. Anche Pescando quasi a caso, annotiamo studi di free jazz, Barr si presenta se la New York che si respira qua il latineggiare sparso ovunque e con la seconda release per la label dentro ha il suo fascino. (6.5/10) nel traditional Sinsani più che al- 5 Rue Christine con uno stile già Daniele Follero trove (ma ripensando a pizzica e inconfondibile: spoken-word a metà taranta, così naturale), le ombre strada tra e il levitanti di Tabali Te e il dipanarsi Laurie Anderson Lou Bassekou Kouyate & Ngoni Ba più narratore, con un’attitudi- infinito Jonkoloni, la sensuale An- Reed – Segu Blue (Out Here / Wide, ne minimalista che musicalmente dra’s Song e un primordiale jazz 2 3 f e b b r a i o 2 0 0 7 ) fa da sfondo alle sue poesie/prose Per quanto qualcuno si ostini a flamencato in The River Tune. A

4 2 s e n t i r e a s c o l t a r e turn it on

Gianluca Becuzzi / Fabio Orsi - Muddy Speaking Ghosts Through My Machines (A Silent Place. 27 febbraio 2007) Un drone plumbeo trafitto da un canto lontano. Un blues d’anteguerra, uno spiritual di chissà quale martire. Un soffrire esangue, quello di North Of Me (At Midday), che si scioglie e si cede alla pioggia, nella trilogia ad essa intitolata: I’m Happy Here (Before The Rain), pochi accordi, anch’essi dolenti, risolti poco dopo in un folklore di vago sapore cosmico, diremmo quasi krauto à la Amon Duul 2; I’m Happy In Here (Under The Rain), esta- si di un estate infinita fennesziana, toccanti istanti di muzak apollinea, una carezza blues nel finale; I’m Happy In Here (After The Rain), l’estasi nel suo sinonimo, l’incanto, nell’arpeggio più toccante di Muddy Speaking Ghosts Through My Machines. L’essenzialità di poche note e la bellezza che ne erompe. Il gusto melodico di Fabio Orsi, l’esperienza e la classe di Gianluca Becuzzi. Tutto in una dozzina di minuti. Ne resta ancora una: la pioggia si fa rugiada e South Of Me (At Midnight) si confonde nella tenebra come, se non di più, il Basinski di The River. Chiamatela come volete, ambient rurale oppure drone-folk. Sappiate che - giusto per attenerci al presente - dopo For Alan Lomax di Orsi / My Cat Is An Alien e Memory Makes Noise di Becuzzi c’è Muddy Speaking. E sbriga- tevi, che la tiratura si limita alle 500 copie… (7.5/10) Gianni Avella

s e n t i r e a s c o l t a r e 4 3 Bright Eyes - Four Winds EP imprimersi nella mente è tuttavia un gran sentire, specie per chi non (Saddle Creek, 6 marzo 2007) Lament For Ali Farka, eloquente e è avvezzo a questo tipo di sonorità, In attesa di Cassadaga (previsto cupo canto di bellezza tanto scar- ma almeno va apprezzato l’impegno per il 10 aprile), Conor Oberst ci na da richiamare a sé brividi eterni profuso nel tentativo di svincolarsi rifila un antipasto che sa già di ab- come la perdita che affronta. Pare da stilemi di genere sin troppo con- buffata: oltre alla title track estrat- che gente come Damon Albarn e sunti. (6.0/10) ta dall’album venturo, la bellezza Norman Cook qui c’abbia perso la Vincenzo Santarcangelo di cinque b-sides inedite per quasi testa, e chi scrive si unisce senza mezzora di musica; tipico stile Bri- riserve ai festeggiamenti. Perché lo ght Eyes, insomma (almeno stavol- Black Lips - Los Valientes del sapete, no? It all began in Africa. ta non abbiamo due dischi diversi Mundo Nuevo (Vice Records, 20 (7.5/10) in contemporanea, grazie al cielo). febbraio 2007) Giancarlo Turra Se Four Winds lascia intravedere Dei Black Lips abbiamo già parlato un lavoro di produzione ancora più diffusamente in occasione del loro accurato, studiato, grandioso e pro- ultimo lavoro in studio Let It Bloom fondo rispetto a I’m Wide Awake, (vedi monografia di Lorenzo Filipaz It’s Morning, la scrittura si allarga su SA pdf #17); quest’album sem- dal classico country folk di base al bra fatto apposta per suggellarne il pop rock (Reinvent The Wheel), ar- mito e consegnarlo alla storia attra- rivando fino alle parti di certi ’70 verso il più classico dei rituali del (Stray Dog Freedom, vagamente rock: l’immortale live album. In Los Springsteen); ad anticipare la pa- Valientes del Mundo Nuevo c’è un rata di ospiti prevista sul disco, c’è intero, oltraggioso e sconcertan- spazio per la comparsata di M Ward te set dei nostri (prima c’era solo in Smoke Without Fire. Il solito Co- l’introvabile live di Mestre), rutti, nor, diremmo, bravo da far rabbia pissing e atrocità incluse. Anzi, e per giunta ormai accasato presso no. Perché nella caliente Tijuana, le alte sfere, là dove stanno i co- in Messico, tra speaker del luogo siddetti “professionisti” (asprezze e a cerimoniare e pereppepé assor- ingenuità lo-fi di un tempo non pos- Beehoover – The Sun Behind The titi, quel che si ascolta è uno show sono essere più lontane, infatti), Dustbin (Exile On Mainstream compatto e non certo quel compen- con il pass per le onde FM pronto Records / Southern / Wide, 12 dio di nefandezze à la Butthole Sur- ad essere esibito. Ma ci riserviamo febbraio 2007) fers che ci si poteva aspettare. di approfondire questo discorso per La press sheet cerca di sdoganar- Con le dovute proporzioni, sembra il piatto forte… (6.7/10) lo come un duo capace di forgiare un bootleg live degli Stones di fine Antonio Puglia un’inedita sintesi tra Black Sab- Settanta; anzi no, i Black Lips suo- bath e Primus: più prosaicamente, nano molto meglio! Sfoderano una si tratta di una coppia di musicisti manciata di pillole garage (o flower Calla – Strength In Numbers tedeschi assuefatta al verbo del punk come dicono loro) neanche (Beggars Banquet / Self, 16 Doom. Ingmar Petersen (basso e fossero i nuovi Seeds e scelgono marzo 2007) voce) e Claus-Peter Hamisch (bat- una tracklist basata sul reperto- Dopo le discusse collisioni del pre- teria) sono la sezione ritmica dei rio della maturità, che esclude le cedente album di due anni fa, ci classici, in questo senso, Voodoo- tracce dell’esordio e delle prece- riprovano, i Calla. Ripartiamo da shock -, che a quel verbo si ap- denti uscite. C’è soltanto il succo zero, come fosse un esordio. Anzi prossima, nel nuovo progetto, con dei Black Lips nel riff arcigno di no: mettiamo da parte subito gli ottica progressive. Hippy Hippy Hurrah, nel cow punk stralci di Collisions (sono tanti), e Una linea di basso (che deve a Gee- di Boone, negli sberleffi Stones e via via all’indietro fino allo splen- zer più e prima che a Les Claypool) Beatles (Boomerang) sparsi in tutto dido self-titled Calla, per giudica- genera riff che fanno la carne di il canovaccio come sinceri omaggi, re poi se esiste una personalità di brani lunghi e strutturati, oltre ad e altro che ingenui insulti. I Black questo Strength In Numbers. edificarne l’ossatura ritmica lun- Lips stanno due spanne sopra alla Per essere meno gentili, salviamo go la quale costantemente stanno media del genere nel quale vengo- il salvabile; e non è la darkitudine avvinghiati: su di essi si esercita no inscatolati dalla stampa. Dopo- generalizzata (Bronson, il singolo- l’istrionismo canoro di Ingmar Pe- tutto sono quattro teste rubate al ne, ha una batteria da Closer dei tersen - talvolta pare quasi di es- loro tempo. E questo tempo meri- Joy Division), compiuta nel fla- sere al cospetto di Serj Tankian ta più che mai. (7.0/10) p.s. Lion grante del basso wave (perso Do- - e si infrangono pastiche avant With Wings contiene una divertente novan già da un pezzo) di Dancers (Arrrgh!, Nice Romantic Evening) lullaby sotto forma di ghost track, In The Dust, ma soprattutto sulle e derive psichedeliche dal sapo- probabilmente registrata a casa di linee vocali sussurrate (Sanctify, re krauto (Paraffin Oiler, The Sun King Khan. Defenses Down, per citarne solo Behind The Dustbin). Non è proprio Edoardo Bridda due) che procurano, va detto, non

4 4 s e n t i r e a s c o l t a r e già i nuovi cocchi alt-pop di MTV, Crosbi – All In (Split, 2006 / mentre i Little Man Tate da Shef- Mechanism Records, febbraio field si sono trovati nel volgere di 2 0 0 7 ) pochissimo tempo - i primi passi C’è Londra, il musicbiz, le tenden- risalgono a metà 2005 – a giocare ze, il fashion, la gente che conta, in premier league insieme ai concit- le copertine, i Klaxons, i Bloc Party, tadini Arctic Monkeys. i Blur. E c’è la provincia - le tante Potenza dei new media: ascoltan- province -, le pinte con gli amici al do About What You Know si riesce weekend, le prove al garage fino ad a battere il piede a tempo grazie ora tarda, il rock and roll escapista a classici escamotage di scuola Jam, e pure a sorridere di fronte all’ironia di Man I Hate Your Band e Who Invented The List?(nel mi- poca noia. È piuttosto il crescendo rino: l’industria discografica e le di Sylvia’s Song a reggere ancora; manie classificatorie di NME); ma la sua marcetta della batteria (sia in sostanza non c’è niente che non lodata) convince il solito canto ad sia stato espresso in maniera ben essere diverso, struggente ma po- più brillante dagli Art Brut, dagli sitivo. Oppure Sleep In Splendor, altri sheffield-iani Long Blondes o che secondo una struttura analoga dai Kaiser Chiefs (per non citare le mutua da una melodia à la ultimi stesse Scimmie o i sempiterni capi- Blonde Redhead (munita anch’es- scuola Libertines). Se è questo che sa di percussioni da banda) un il pubblico vuole, così sia; anche se excursus nel fiume nero del post- un premio alla simpatia non si nega e proletario, la working class, i Ma- , lento fiume nero, lenta galleria a a nessuno, tanto meno a quattro ra- nic Street Preachers, gli Stereopho- serpentina, da cui si può uscire, e i gazzi che si fanno chiamare come nics, gli Oasis. C’è Wrexham, citta- Calla ne sono usciti. un film di Jodie Foster (per noi ita- dina del Galles del nord persa nella Altrove, questo è il punto, siamo di liani, Il mio piccolo genio). (6.3/10) zona suburbana tra Liverpool e fronte a canzoni evitabili – Rise su Dal canto loro, i “figli della Guer- Manchester, e ci sono i Crosbi (con tutte, che ha pochissimo dell’asce- ra Fredda” provengono da tre EP la i, mi raccomando), cinque ragaz- sa, molto della fine degli anni ’80, o accolti discretamente dalla stampa zi che sognano di essere i nuovi Stand Paralyzed, che brucia un av- specializzata, corroborati da un’at- Echo & The Bunnymen. Di loro si vio da incubo sornione Black Heart tività dal vivo ininterrotta sin dal sono già accorti il Radar di NME, Procession con una ballata che 2004. L’appeal pop-rock anni ’70 il dj Steve Lamacq, Peter Hook dei sembra dei Coldplay. Tralasciati misto a tensioni Radiohead / Jeff New Order e Shaun Ryder degli gli snobismi, rimane la sostanza di Buckley di cui vive la loro musica Happy Mondays. E se n’è accorta un’annunciata delusione. (5.9/10) sta già assicurando loro una buo- la nostra Mechanism Records, che Gaspare Caliri na visibilità, grazie anche ai singoli si è aggiudicata la distribuzione del We Used To Vacation e Hang Me debutto All In, già pubblicato in pa- Up To Dry tria l’anno scorso. C o l d Wa r K i d s – R o b b e r s & C o w a r d s E’infatti in questi due brani che si Difficile però credere che si tratti Little Man Tate – About What gusta immediatamente la formula del prossimo fenomeno - la major You Know (V2, 8 febbraio del quartetto, basata da un lato sui di turno ci avrebbe già messo sopra 2 0 0 7 ) vocalizzi – alla lunga estenuanti - le grinfie, altrochè. Piuttosto, nella Dopo l’exploit dei Clap Your Hands di Nathan Willett, dall’altro sulla mappa del brit rock ridisegnata dal- Say Yeah, pare che ultimamente la chitarra di Jonnie Russel, prodiga le nuove generazioni, il posto occu- V2 abbia deciso di puntare tutto sui ora di soli stile Jonny Greenwood, pato dai Nostri è, come accennato, fenomeni da blog e My Space: band ora di costruzioni e ambientazioni quello a metà tra la wave dei Bunny- il cui culto nasce dal basso, tra le suggestive. Il resto si fa notare più men e le tendenze corali ed epiche pagine del web, con il pubblico a per gli arrangiamenti essenziali, dei Verve: bastino le prime battute decretarne la rapidissima ascesa con evidenti ascendenze blues e di Coastline, con il timbro nasale e tramite il semplice passaparola; una tormenti Waits / Cave, che per la acuto di Andy Jones che lascia po- mossa sicuramente vincente (alme- scrittura in sé; tanto basta per un chi dubbi sulle sue ascendenze Ian no dal punto di vista del marketing) buon fenomeno equamente diviso McCulloch / Ashcroft. Peccato che e in perfetta sintonia coi tempi. E tra indie e mainstream - à la Ma- proprio la voce sia croce e delizia così capita che due gruppi, pur di- roon 5, diremmo, anche per le forti del disco (dipende da quanto riu- versi per stile e provenienza, siano inclinazioni Stevie Wonder che ac- sciate a reggerla: banco di prova, accomunati da un’analoga sorte: comunano i due vocalist. (6.5/10) il singolo Sonny), mentre il resto i californiani Cold War Kids sono Antonio Puglia oscilla tranquillo e innocuo tra le

s e n t i r e a s c o l t a r e 4 5 due coordinate citate, tra rock (Li- auto annullarsi nella gelida acco- quanto sgraziato costruito su una sten, Hope You Remember) e balla- glienza del ghiaccio. Musica dalle batteria pestona e ridotta ai minimi tone (Helayou, Anytime), con tocchi straordinarie qualità scenografi- termini e due giri di chitarra reitera- di psych (She’s Got Soul), slanci che. La chitarra che mima la caduta ti. Puro delirio rock and roll dei pri- U2 pre-1984 (Someway) e qualche della neve su Gräs Som Bryts och mordi che monta come una marea ingenuità da fan degli Who (a par- Gar Av/Gras Dat Knakt en Breekt; fino al parossismo più totale. te la cover-tributo di Substitute, fa lo scivolare con i pattini sulla su- Come Chuck Berry o Leadbelly ri- sorridere come Glassman ricalchi perficie di un lago ghiacciato nella proposti in una versione sempre Tommy Can You Hear Me?). splendida ballata alla Sigur Ros uguale a se stessa ma allo stesso Non c’è proprio da perderci la te- Blasa Rök/Rook Blazer; la tormen- tempo sempre diversa, in cui pren- sta, anche se già qualcuno dice che ta di neve di Ljus i November/Licht dono senso ballatone quasi country Wrexham potrebbe diventare come in Novembre che passa lasciando i la Manchester di fine ’80 / inizio bambini a giocare nella quiete dopo ’90, citando oltre ai Crosbi nomi la tempesta. Tutto costruito tra in- come Camera, Jakokojak, Adam III. terferenze marca laptop e lo spleen Alle prossime puntate… (6.2/10) esistenziale delle grandi occasioni. Antonio Puglia Rosenqvist e Zuydervelt eccellono nell’affresco ambientale. Dei due Dag Rosenqvist + Rutger la mano di Machinefabriek è sicu- Zuydervelt – Vintermusik (self ramente più invadente nell’erigere released, gennaio 2007) queste architetture congelate. Qui Dag Rosenqvist e Rutger Zuyder- c’è tutto quello che non riesce più velt, ovvero Jasper Tx e Machine- alla scuola islandese di Mum, Stae- fabriek, collaborano sotto il segno fan Haeckron e Sigur Ros: dare la dell’inverno. Distribuito in proprio e sensazione dell’umore invernale e rilasciato in appena 200 copie, Vin- il peso specifico di una stagione termusik è un vero e proprio tesoro dell’essere. Oltre quello che guar- da (ri)scoprire. Probabile che prima da l’uomo romantico di Friedriech. (Gun To My Head) a volte imprezio- o poi lo rivedremo ristampato in for- Il senso del sublime. (7.5/10) site da una armonica che fa tanto ma ufficiale da chissà quale label Antonello Comunale Old America (That Old Outlaw). (Kranky? Type? Lampse?). Di fat- Quando spingono sull’acceleratore to questa ode all’inverno che arriva (quasi sempre a dir la verità) rie- Demon’s Claws – Satan’s Little merge il fantasma di trucidi del ca- Pet Pig (In The Red / Goodfellas, libro di Gibson Bros, The Gories o febbraio 2007) di qualche altro gruppo semisepolto C’è un Canada diverso da quello nelle nebbie trash delle Back From che gli indie-kids sono abituati ad The Grave. apprezzare da qualche anno a que- La batteria mitragliata di Wrong sta parte. Non solo raffinato indie- Side Of Town, le distorsioni di chi- rock alla Arcade Fire/Broken Social tarra che diventano sonico wall of Scene o cinematografiche dissolu- sound afasico (Get Together), le ta- zioni post-rock à la GY!BE e filia- stiere indemoniate (Cecile LeMay), zione tutta. la voce puerile e diabolica come C’è un Canada disastrato e putri- un castrato (Tomcat); do che vive di un lercio r’n’r dei tutto in questo disco fa tornare in primordi e che si sposta ondivago pace con il vero senso del rock e e un po’ ubriaco tra Sexareenos non poteva trovare altro riparo che proprio nell’inverno più caldo degli e Spaceshits, o il globetrotter (e sotto l’ala protettiva della In The ultimi anni si prefigura come la pri- pertanto anche canadese) di King Red. ma di una lunga serie. In un futuro Khan e il suo degno compare BBQ, Ovviamente non c’è proprio con- non molto lontano forse potremo al secolo Mark Sultan. fronto con le ultime sensazioni ita- ascoltare Springmusik, Summer- Satan’s Little Pet Pig è tutto ciò liane (vedi Montecristo) o le pros- musik e Autumnmusik, ma per ora che avete letto finora. Folk-blues- sime inglesi (vedi ). dedichiamoci all’assiderata bellez- country da due accordi suonato con Lunga vita al rock’n’roll. (7.0/10) za di questi frammenti di ghiaccio. foga pre-Ramones da cinque vaga- Stefano Pifferi Con l’uso di elettronica e chitarra bondi imberbi reduci da (minime) effettata i due affrescano maestosi glorie locali. paesaggi nordici: altissime monta- Prendete la title track: riassume il Franco Battiato - Il Vuoto gne innevate, distese gelate oltre disco e ne diventa fulgido esem- (Universal, 9 febbraio 2007) l’abbacinamento dell’occhio fino ad pio. Uno stomp-rock tanto grezzo Per quel che mi riguarda, da Bat-

4 6 s e n t i r e a s c o l t a r e turn it on

Ferocious Eagle - The Sea Anemone Inside of Me is Mighty (54° 40’ or Fight!, marzo 2007) Delusi dall’ultimo disco degli Hella? Avete deciso che non vorrete mai più sentire tempi dispari in vita vostra? No problem, c’è ancora speranza: di- rottate con fiducia le vostre attenzioni sui Ferocious Eagle, due chitarre, una batteria e tanto, tanto talento. Originari da Portland, Oregon, una delle culle assolute del rock matema- tico, il magnifico trio è senz’altro la prima vera gradita sorpresa del 2007 per questo tipo di sonorità, anche e soprattutto per la capacità con cui se ne discostano. Su e giù lungo il disco ci sembra di incrociare le torsioni degli Union of a Man and a Woman e le continue ripartenze degli Hella, ma anche l’urgenza del post-punk e il cazzeggio indie-rock. The Sea Ano- mone Inside of Me is Mighty risulta essere così la cosa migliore fatta uscire dalla 54° 40’ or Fight!, un’etichetta nata per volontà dei redattori della fanzine Copper Press e che finora non aveva ancora trovato un disco di questa levatura. I Ferocious Eagle dimostrano più di altri che anche un suono spigoloso può ospitare senza traumi il cantato, senza correre il rischio di urlare per niente o mangiarsi le parole. Non solo un festival del ritmo e delle curve a gomito quindi ma anche tanta cura per le melodie, i ritornelli e l’orecchiabilità in generale, tanto che pezzi come la title-track, Be Not Weary, Be Not Weak, This Song is a Trainwreck, Transformer e Rape Whistle farebbero la gioia di tanti gruppi, anche al di fuori del mondo indie-rock. (7.3/10) Roberto Canella

s e n t i r e a s c o l t a r e 4 7 tiato ormai non mi aspetto altro che Egle Sommacal - Legno (Unhip sere che sarebbe sciocco ignorare un pizzico di autentica trepidazio- Records / Wide, gennaio 2007) “a prescindere”. (6.5/10) ne. Della confezione non mi preoc- Una chitarra e un’anima, tutto qui. Stefano Solventi cupo, il cantautore siciliano ci ha Coniugazioni e declinazioni folk abituati a trattare il suono con una blues, piuttosto genuine graziad- Encre – Plexus II (Miasmah / padronanza e una peculiarità che dio, non una parata di virtuosismi Wide, novembre 2006) Greg ha pochi uguali in ambito naziona- tipo lo spot d’un session-man in Haines – Slumber Tides le. Prendete la title track: electro cerca d’impiego. No. Il bellunese (Miasmah / Wide, gennaio funk wave melodicamente bolso Egle Sommacal, già nei Massimo 2007) Rafael Anton Irisarri – però tutta una giustapposizione di Volume e al lavoro tra gli altri per Daydreaming (Miasmah / Wide, trovate, strati di riff di synth e chi- Lalli, Moltheni e Starfuckers, sciori- 9 febbraio 2007) tarre, archi e cori ectoplasmatici, na una sincera pastosità, galleggia Il suono dei Deaf Center comincia una “profondità superficiale” orga- sul tepore timbrico della sei corde a prendere vita propria e a ripro- nica a quell’idea di avanguardia alternando densità e rarefazione, dursi, complice certamente la longa leggera che Battiato persegue dal mano di Erik K. Skodvin, tenebroso Cinghiale Bianco in avanti. scandinavo che sul finire dello scor- E’ un gioco, e va accettato. Anche so anno ci aveva inquietato con il in questo Il Vuoto, album d’inedi- dramma doomy di Svarte Greiner. ti numero ventitré (se non erro), Seguendo probabilmente l’esempio il mestiere viene tranquillamente di John Twells e della Type, Erik ostentato. E’ parte integrante della erige silenziosamente dal nulla la strategia pop, così come il ricorso Miasmah, il veicolo per le sue crea- ai riferimenti colti (il Tolstoj riadat- zioni grafiche e ora anche un’eti- tato nel lieder - piuttosto stucche- chetta bella e buona. A dispetto di vole - di Era l’inizio della primave- quanto si può pensare, una “politica ra) e gli esausti scorci filosofici (nel delle etichette” è oggi più plausibile solenne didascalismo electro soul che mai, nel suo procedere di pari di Niente è come sembra, nella va- passo con l’appiattimento dei costi porosa Io chi sono?). Non si rav- e l’ampliamento esponenziale del- visano grandi intuizioni melodiche, l’offerta. Il lavoro di Erik per la sua né particolari sorprese, ma non oc- più frugale e meno astratto del Miasmah è solo leggermente diver- corrono. Neppure stupisce la scel- John Fahey cui pure è chiaramen- so da quello di Twells per la Type. ta dei compagni di viaggio, da una te devoto. Detto questo, detto più o La visione del musicista norvegese parte la fastosa Royal Philarmonic meno tutto. Ma è il caso - se me lo viene riprodotta in toto e esplorata Orchestra e dall’altra due giovani consentite - di allargare il discorso. nei mille rivoli in cui può fuggire. Si rock band (gli indie rockers pado- A costo di divagare. sceglie qui uno stile unico piutto- vani FSC e le dark sardo-londinesi Prendi una mattina che trovi il tem- sto che cercare l’eterogeneità della MAB). Oltre all’immancabile Sga- po e la voglia di vedere An Incon- proposta. Il risultato è ovviamen- lambro, ma che ve lo dico a fare. venient Truth, il film di Al Gore sul te un’esplosione di quanto propo- Post moderno per elezione, Battiato riscaldamento globale. Dopo il qua- sto dai Deaf Center e ciò vuol dire finisce inevitabilmente per riarticola- le senti la necessità di una camera trovare costantemente un punto di re se stesso: va a prendersi un Cafè di decompressione (chi ha visto il equilibrio tra classicismo d’orche- de la Paix tra Fleurs avvizziti (I giorni film capirà). Fuori guarda un po’ c’è stra e goticismo mitteleuropeo, sin- della monotonia), conduce il Cammel- l’amorevole minaccia di un sole as- fonismo apocalittico e spleen esi- lo tra le sensuali nostalgie di Fisio- surdo, ragion per cui non hai scelta: stenziale. Le prime tre uscite vanno gnomica (Tiepido aprile), aizza palpi- i successivi quaranta minuti sei tu a parare tutte in questa direzione. tanti imboscate su spiagge solitarie che cammini tra fiume e periferia, Il francese Encre si presenta con (Aspettando l’estate). Siccome lo fa nelle cuffie le otto canzoni di que- un unico brano strumentale che con un certo talento, non c’è proprio sto Legno a stabilire vibrazioni tra oltrepassa la durata di 40 minu- nulla da eccepire. E quella trepidazio- dentro e fuori, i pensieri che sboc- ti e che per circa la metà sembra ne che andavo cercando? In effetti, ciano vivi e indolenziti e vanno a un frammento d’orchestra incaglia- c’è. Ad esempio nella conclusiva Stati finire più o meno dove senti che do- tosi in un loop perenne. Le volate di gioia, quando una she loves you dal vrebbero. Musica che si appoggia cameristiche prendono il via nella juke box della memoria scompagina benissimo allo stato d’animo in bili- seconda parte e la musica assume la trafelata allure avant-prog aprendo co, e viceversa. Non so se mi sono il tono di una pensosa elucubrazio- scenari psych assorti, immersi in una spiegato. Insomma, sono certo che ne sulla fine dei tempi. Niente di caligine impalpabile. Se sia autentica nessuno si ricorderà di questo di- particolarmente intrigante, ma ci o meno, beh, non è per nulla impor- sco nelle famigerate classifiche di sono buoni presupposti per fare dei tante. Davvero. (6.6/10) fine anno. Giusto così, in fondo. Ma Plexus III, IV e V migliori. Molto più Stefano Solventi nel suo “modo” c’è una ragion d’es- a fuoco il debutto dell’inglese Greg

4 8 s e n t i r e a s c o l t a r e Haines. Si capisce benissimo che ta tradizione colta euro-americana ha passato la vita ad ascoltare e risuona nelle note di piano di Black riascoltare gente come Philip Glass Sun, composta originariamente per e Arvo Part, i Carmina Burana e la il pianista francese Jeanne-Pierre classica della grande stagione ro- Armengaud. Il flauto di Eric Dolphy, mantica. Slumber Tides paga cer- in Sting Ray And The Beginning Of tamente tributo anche alle colonne The World (Part 4), e i Tortoise. E sonore di Zbigniew Preisner per Psycho-Tropic Electric Dream odora i film di Kieślowski, in particolare di Sun Ra, artista dal quale eredita La Double Vie de Véronique cui fa follia ed afflato sperimentale, se è pensare insistentemente il canto di vero che si impone di far diventa- Kristin Evensen Giaever, ugola an- re musica i versi di uno stormo di gelica che avevamo già apprezza- anguille elettriche registrati in un to brevemente nel disco di Svarte laboratorio di ricerca brasiliano. so arriva un concept fiabesco – per Greiner. Submerge in questo senso Commissionato nel 2005 a Rob lo più in inglese, per fortuna - a è una perfetta fusione tra Preisner, Mazurek dal Chicago Cultural Cen- proposito di uno zuccheroso leon- i Deaf Center, i Silver Mt. Zion, i ter e dal Jazz Institute, il progetto cino (un po’ come l’elefante effer- Black Tape for a Blue Girl e Philip Exploding Star Orchestra coinvolge vescente di barrettiana memoria, Glass. Insomma, l’apoteosi del go- diverse teste pensanti della Chica- insomma), Candylion. tico orchestrale. go jazz e rock, musicisti che han- Molto meno apocalittico ma an- no in un modo o nell’altro gravitato Che poi non è altro che un dischet- che più sibillino, il disco di Rafael attorno all’astro Tortoise scrivendo to di folk pop sopra le righe, proprio Anton Irissari, dove c’è una mag- una buona fetta di storia della mu- come ti aspetteresti dal suo auto- giore propensione alla malinconia sica popular degli anni ’90. re, che per l’occasione ha diretto suonata con le note del piano, con Come un altro lavoro che ci era il timone verso il fantastico mon- parecchi punti di contatto con Wil- piaciuto molto – quell’Observing do della sua infanzia (a sentir lui: liam Basinski. Irissarri, che qual- Systems che il Tied & Tickled Trio progressive, , beat gallese, cuno può aver già avvistato nel aveva pubblicato per la Morr Mu- Psychocandy dei Jesus & Mary roster della Mille Plateaux, dove si sic nel 2003 –, We Are From So- Chain, almeno in termini di ascol- fa chiamare Luken, viene da Seat- mewhere Else è un sontuoso e ti), virando prepotentemente verso tle, in particolare dal circuito delle cerebrale concept-album ma anco- arrangiamenti semplici e acustici in istallazioni, delle gallerie d’arte e ra una volta, proprio come in quel reazione ai nutriti apparati di solito gestisce la Kupei Musika Imprint disco, più che capire quale sia il imbastiti dalla band principale (oc- una piccola label specializzata in concetto dell’album, conta sapere chio però: semplici non vuol dire ambient e minimal techno. Il suo che si tratta di un album sul con- che non siano “strani”, vedi Gyrry sound è un pregevole festival del- cetto. Sul concetto di jazz, e quin- Gyrru Gyrru). l’ovvietà. Nei suoi brani accade di di musica: che riflette sul jazz e Il gioco funziona meravigliosamente esattamente quello che ti aspetti sulla sua storia eretti a sistema ed quando la naivetè si sposa a squisi- accada. Ciò non toglie che sia effi- osservato dal punto di vista di un te e sempre efficaci idee psych (la cace, soprattutto quando va a cer- altro sistema, a parte rock – obser- filastrocca della title track, o una care soluzioni più ermetiche come ving systems, dunque, ma anche The Court Of King Arthur che più per musicare un film di Lynch. we are from somewhere else. È Barrett non si può), cui fanno da In conclusione, un 7.0 di incorag- quanto meglio riesce a Rob Mazu- corollario tocchi di esotismo assor- giamento all’etichetta, mentre per i rek, questo lo sapevamo, ma forse titi (dal country all’India, dai Vel- dischi una medaglia in quasi oro a mai come stavolta il concetto aveva vet Underground al Galles); e non Haines (7.0/10), una di quasi argen- suonato così bene. (7.5/10) appena si mostra un po’ la corda to a Irissari (6.6/10) e una in quasi Vincenzo Santarcangelo (come negli interminabili 15 minuti finto bronzo a Encre (5.8/10). finali della Donovan-iana Skylon), Antonello Comunale arrivano in soccorso le ineccepi- Gruff Rhys – Candylion (Rough bili orchestrazioni dell’High Llama Exploding Star Orchestra Trade / Self, 2 marzo 2007) Sean O’Hagan, vero ingrediente – We Are From Somewhere Da uno come Gruff Rhys - da più di aggiunto della miscela lisergica di Else (Thrill Jockey / Wide, 23 dieci anni a capo di quella congre- Rhys (sentite un po’ gli archi disco gennaio 2007) ga di matti gallesi chiamata Super innestati nella cavalcata acustica Ci sono i pulsanti umori di Olè Col- Furry Animals - non ci si può che morriconiana Lonesome Words). trane in Sting Ray And The Begin- aspettare qualcosa di eccentrico. (6.8/10) ning Of The World (Part 1); il cro- Per dire, l’ultima mossa era stata un Antonio Puglia matismo tonale di Music For 18 album scritto e cantato interamente Musicians in Cosmic Tomes For in lingua madre, l’impronunciabile Sleep Walking Lovers; tutta una cer- Yr Atal Genhedlaeth (2005); ades-

s e n t i r e a s c o l t a r e 4 9 BMX Bandits e nei gloriosi Soup Grinderman – Self Titled (Mute Dragons, nonché pioniere del pop / Emi, 23 marzo 2007) anglo-asiatico - raduna a sé una La notizia si diffonde rapida di fo- nutrita schiera di ospiti per il col- rum in forum: Nick Cave torna ad lettivo Future Pilot a.k.a. Se nel- indossare le vesti del principe in- le puntate precedenti si era vista chiostro! Invece, macché, niente in azione gente come Cornershop, affatto. E meno male. A detta del Alan Vega, Delgados, Philip Glass, Nostro, tutto è accaduto natural- Teenage Fanclub, Pastels, Bill Wel- mente, una brama d’immediatezza ls, adesso è il turno di , hard blues provata durante l’ultimo , Mike Watt, lungo tour, quando tra una serata e Damo Suzuki, Go Betweens, insie- l’altra il nocciolo duro della band - il me ad altri aficionados della scena polivalente Ellis, il bassista Martyn scozzese (i meno noti Unkle Bob, Casey (già nei Triffids), il batterista Fu Manchu - We Must Obey Pendulum e Karine Polwart) e il ro- Jim Sclavunos (ex-Cramps) ed un (Century Media / Self, 19 manziere Alasdair Gray. Cave sorprendentemente disposto febbraio 2007) Se ve lo state già chiedendo: no, ad imbracciare e maltrattare la chi- È ormai da gran tempo che i Fu Man- qui non c’è nessuna mastodontica tarra - dava vita a sessioni un po’ chu non sono più, né idealmente - quanto sterile - parata di super- più sgarbate, come per sturare le né tantomeno di fatto, gli eredi del star pronte ad offrire sponsorship vene dalle placche dolciastre del blues-rock iperamplificato dei Blue al fortunato di turno. Ogni ospite troppo romanticume. Cheer. Anzi, a dirla tutta, la matrice infatti è coinvolto dal padrone di Non che Grinderman – questo il sixties del loro suono si è definiti- casa nella narrazione di quello che nome del progetto, mutuato da un vamente stemperata in una sorta di somiglia più a un libro di storie (per blues di Memphis Slim - sia immune genericissimo hard-rock corrazzato bambini, naturalmente) o, se pre- da romanticismo: ad esempio quel- (Aerosmith, ZZ Top, Led Zeppe- ferite, a recitare una particina in lo malinconico di Man In The Moon, lin, Hendrix, Blue Oyster Cult tut- una rappresentazione teatrale per o quello travagliato di When My ti fusi un’ unica ribollente pozione). young at heart (parafrasando i re- Love Comes Down, saturo di fremiti Quest’ultimo We Must Obey, di- centi Staples&Boulter) di tutte le Lanegan. Però il sapore dominante stante ormai anni luce da una gem- età. Non ci sono reali protagonisti, vuole essere la sguaiatezza stoo- ma come In Search Of (Mammoth, e così capita che Robert Foster e il gesiana di una Depth Charge Ethel, 1996), sfoggia ombre e luci. Shake compianto Grant McLeenan si limi- la laida espettorazione da taverna It Loose è forse troppo dura, gira tino a un reading (The City Of Li- di Get It On, il sarcastico sculetta- irremovibilmente a vuoto, e comun- ghts), che Damo Suzuki improvvisi mento di Go Tell The Women (con que concentra una percentuale di al telefono su uno strumentale sug- impagabile falsetto finale), le torve testosterone adolescenziale da bri- gestivo à la Songs For Drella (Fe- movenze da Lou Reed vampiro di vidi. Meglio fa Hung Out To Dry, per stival Of Lights), che Kim Gordon, Electric Alice, la febbrile nevraste- un attimo almeno supina allo stoner Thurston Moore, Mike Watt e i Fire nia di No Pussy Blues, eccetera. Il rock dei medi Novanta. Altrove, fra Engines jammino estemporanea- tutto scudisciato da hammond aci- sprazzi convincenti di musica e di- mente su Nuclear War di Sun Ra dissimo, chitarre e violini al calor versi riempitivi (Between The Lines (già sdoganata dai Yo La Tengo). bianco, basso bituminoso e percus- è speedrock), regna un suono forse L’immaginazione infantile ed eccentri- sioni ossute. sempre un po’ troppo identico a se ca di Dade fa poi sì che il tutto sia Con tutto ciò, questi semi cattivi stesso, martellante e inconcluden- strutturato secondo temi ricorrenti, fra non riescono a suonare così catti- te. Sensei Vs Sensei, che per un canzoni vere e proprie e brevi inter- vi. La loro è una specie di goliardia tratto si sottrae a questo gioco, as- mezzi, in una sensibilità che coinvol- intossicata, più sfogo che dramma. sume un volto languidamente psi- ge un ‘intero universo, dall’Asia (Tu Se questi quattro volponi hanno si- chedelico che rimanda alla ‘musica Meere Mata e la Tery Bina di Nusrat glato un patto al famoso crocicchio, per LSD’. Il che, francamente, non Fateh Ali Khan, intonate dalla moglie mi sa che a rimetterci è stato il dia- dispiace affatto. (5.5/10) di Sushil, Vinita Dade), alle Highlands volo. (6.4/10) Massimo Padalino (l’intervento folk di Karine Polwart in Stefano Solventi Shenandoah), dal Lou Reed di Satelli- Future Pilot a.k.a. - Secrets te of Love (Boomerang) agli Stereolab Gudrun Gut – I Put A Record On From The Clockhouse (Creeping (Maata Retunrs), dall’ allo (Monika / Wide, 30 marzo 2007) Bent / Goodfellas, 5 febbraio ska al twee (Eyes Of Love per le voci Gli Einsturzende Neubauten. La 2 0 0 7 ) di Sarah Martin e Stuart Murdoch, sperimentazione. L’avanguardia. Questo è ormai il quarto album It’s In The Heart Of Everyone, Lights L’essere mille anni luce più in là in cui l’ indo-scozzese Sushil K Of The City). Non esattamente il disco rispetto a tutto ciò che il mondo Dade – già figura leggendaria del- indie pop che ti aspetti. (6.8/10) fa ancora oggi fatica a digerire. E la Glasgow a metà fra ’80 e ‘90, in Antonio Puglia poi aprirsi a prospettive diverse,

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Milenasong - Seven Sisters (Monika / Wide, 6 febbraio 2007) Seven Sisters apre i giochi in maniera meravigliosa. Sara è infatti uno dei country rock dal taglio introspettivo maggiormente poetico sia dato ascoltare negli ultimi tempi. Come se le Cocorosie coverizzassero Da- mien Juardo. Lentezza e svenevolezza fanno certamente parte del brano, ma non rallentano mai la fruizione e il godimento del medesimo. Quanto le polifonie vocali, femminili nel caso di questo disco, giochino una parte grossa nel tutto lo si arguisce da Casey On Fire, cavalcata subliminale eretta su d’un muro di elettronica in crescendo e condotta da un piano che ne tallona le mosse. Il resto del cd vanta numeri, nel genere del country rock cantautorale scarno e poetico, non da poco. Thirty potrebbe anche fare venire in men- te dei Walkabouts più dimessi, e l’alternanza di voci maschile/femminile aiuta certo in questa identificazione. L’elettronica, presente ed attiva un po’ in tutte le dodici canzoni dell’albo, lavora sempre in modo subliminale, anche quando ad essere portato a galla è il fantasma di Sandy Denny (Nightlost Trains). Miracolosamente attratta dal vuoto pneumatico emotivo che ne ha forse generato la ragione poetica, questa è musica che mai viene disintegrata da quello stesso vortice d’emozioni intense che ciascuna delle canzoni in scaletta evoca, quasi fosse una seduta spiritica. Un qualcosa di evanescente, fantasmagorico anche, aleggia sempre su queste musiche (Something Else). Album intenso, - tivo, avaro di riempitivi. Un piccolo grande disco che vale la pena indagare, ed ascoltare, con l’orecchio poetico e percettivo dilatato. (7.5/10) Massimo Padalino

s e n t i r e a s c o l t a r e 5 1 crederci sempre e non cadere mai. rompeva il precedente The Prepa- dernata di tastiere vetrose, sax e Questa – e molto di più – è Gudrun red Piano, affinando le melodie e morriconismi in Madrid), acidule Gut. Che torna con un nuovo disco, giocando con certa leziosa malin- tentazioni pop (in L’orage, ospite intitolato profeticamente I Put A conia alla Yann Tiersen. Per fortu- Jean Louis Murat) e una krauta Record On. E che disco. na però sono ben altri i territori in apprensione (Sur le pavé, in prati- House, dance, elettronica, dub. cui ci si spinge qui. Bertelmann fa ca gli Stereolab colti da un’uggia L’electroclash che in un colpo solo detonare la sonata per piano prepa- Everything But The Girl). Tutto ciò riassume il meglio di queste quat- rato di Cage inscenando brevi sipa- senza mai venir meno alla missione tro branche sonore. E che la Gut rietti esotici e surreali, che hanno di traghettare le tipiche suggestioni maneggia con la padronanza di un il pregio della sintesi pop. Non è il della chanson nell’inquieto pelago fabbro nel suo laboratorio perso- piano l’elemento principale di que- della post-modernità. E senza scor- nale. Melodie sonnolenti che però sta musica, ma tutti i fattori che ne dare - appunto - l’arte di fare can- tengono sveglia la mente con im- disturbano costantemente le note. zoni, qualità espletata benissimo placabili casse in quattro quarti Bassi, vibrafoni, synth, archi e ar- tanto in leggerezza (l’iniziale Ce (Pleasuretrain). Valzer frullati e chetti, ma anche sugheri e fogli di que je suis, la civettuola Quelque riprocessati secondo i dettami del- alluminio. Rumorini di ogni sorta e chose in moi) quanto in profondità l’elettronica da aperitivo (l’iniziale le ombre degli altri progetti del mu- (la suadente ansietà di L’essentiel, ed ottima Move Me). sicista tedesco, Tonetraeger e Mu- i cascami milonga di Dès demain). Capolavori folktronici che vibra- sic A.M. a giustificare certi timidi E pure in obliquo, se consideria- no emozioni e sensazioni, mentre accenti elettronici. Più che essere mo il passo soul-psych ondivago di le voci di Gudrun Gut, Uta Heller elettro-acustica quella su Room to Comme une fille, agri esotismi sot- Expand è musica acustica picchiet- to artifici boreali. Amabile retrofu- tata di elettronica (Belgrade) che turismo per cuori scafati. (7.1/10) anche nei suoi momenti prettamen- Stefano Solventi te analogici tutt’al più imita i glitch Jesse Malin – Glitter In The (Sweet Spring Come, Watercolour Milk). Come un quadro puntillista di Seraut, la musica di Haushcka vive della fitta grammatura dei suoi ele- menti. (7.0/10) Antonello Comunale Holden - Chevrotine (Le Village Vert, 28 febbraio 2007) Gli Holden sono un quintetto fran- cese con già due album piuttosto apprezzati alle spalle (non da me, giacché - francamente - non li co- e Matt Elliott si incrociano, si al- nosco). Per l’opera terza, medita- lontanano e si ricongiungono come ta quattro anni, si sono affidati al- se fossero amanti alla ricerca della l’ineffabile producer Uwe Schmidt propria metà e della propria ragione (aka Senor Coconut), il quale - per d’essere (Rock Bottom Riser). I Put meglio straniarli - li ha convocati a Gutter (One Little Indian, marzo A Record On è un punto d’arrivo per Santiago del Cile dove vive e lavo- 2 0 0 7 ) l’elettronica moderna e un punto di ra. Il risultato è questo Chevrotine, Francamente, che Jesse Malin pos- partenza per nuove, futuribili spe- appuntamento più o meno irrinun- sa aver collaborato in passato con rimentazioni. Sapere dove si parte ciabile per chiunque abbia amato Ryan Adams, con Melissa Auf Der e non sapere dove si arriverà, solo alla follia i mesmerismi della Gol- Maur e, in questo nuovo Glitter per il piacere della scoperta e della dfrapp prima maniera, per i nostal- In The Gutter, con Bruce Sprin- sfida. Se Gudrun Gut continua ad gici del trip hop più suadente e per gsteen non ha molta importanza. essere in cima alle nostre preferen- chi non resiste al fascino indiscreto Se non per il fatto che si tratta di ze un motivo ci sarà, no? (7.0/10) del french touch. Il folk e l’errebì uno spreco incredibile di risorse Manfredi Lamartina sono la sinopia che traspare sotto creative. Senza andare troppo fuori le tessiture elettroniche, i campioni tema, Malin è un onesto cantautore hauschka – Room To Expand ectoplasmatici, i baluginii di tastiere rock che segue pedissequamente (Fat Cat / Audioglobe, 26 e vibrafono, gli sfarfallii percussivi, quella scuola americana che vede febbraio 2007) le screziature di chitarra ed il canto nel Boss il più illustre ed inimitabi- Dopo due dischi, Volker Bertelmann di Armelle Pioline (una Françoise le simbolo. Ma purtroppo non ce la giunge alla maturità del progetto Hardy quanto mai blasé). fa a reggere il confronto. E le sue Hauschka. Room To Expand ri- Si ravvisano inoltre una incipien- sono canzoni talmente banali che prende il discorso lì dove si inter- te jazzitudine latin-tinge (squa- sfigurerebbero persino in un disco

5 2 s e n t i r e a s c o l t a r e dei Bon Jovi. C’è bisogno di ag- rappresenta la chiave di volta dei LCD Soundsystem - Sound Of giungere altro? (4.0/10) nuovi brani (qui in vestito da sera Silver (DFA / Capitol, 20 marzo Manfredi Lamartina ma dal chiaro potenziale live). Non 2 0 0 7 ) stupisce pertanto che una speciali- Remi in barca per Murphy e soci. tà dell’esordio come The Angry Mob Questo vien da pensare al primo Kaiser Chiefs - Yours Truly, – come dire Jerry Lee e Macca che ascolto del secondo lavoro del fa- Angry Mob (Universal, 26 leggono un testo dei Kinks di allora moso marchio LCD Soundsystem. febbraio 2007) – fallisca nell’unire critica sociale e Sound Of Silver è un album sen- “Ruby Ruby Ruby Rubeee” dice briosità d’accordi e strofe. E va da za sorprese e quel titolo Get Inno- Ricky Wilson “Ahaa-ahaa-aaaa, sé il resto, tra chitarre punky do- cuous! sembra quasi farsene carico aaaa” risponde il coro. La canzone mestiche e brit melodies tuttifrutti senza troppi patemi. C’è il riff di We è Ruby, il singolo prescelto dalla (Heat Dies Down), accordi glam- are Robots dei Kratfwerk là dentro, band del febbrile tormentone Eve- rock da manuale e i riff (quasi) hard copiato quasi per intero se non fos- ryday I Love You Less And Less per rock (Highroyds). Una partita folgo- se per quel paio di note (e tutti san- girare la seconda puntata nel più rante, a effetto, ma anche un boo- no quanto Ralph e Florian s’incaz- classico degli schemi dello show merang, perché sono brani da pop zano per queste cose), poi c’è un biz. Il tornaconto è immediato: ri- star che si vogliono tali ( soprattut- altro di questi mezzi plagi in Nor- tornello banale, struttura rock ca- to star), lontani dagli smalti indie th American Scum, dove possiamo nonica e riferimenti placidamente che s’apprezzavano nell’esordio e riascoltare The Rockabilly di ruffiani, tra una citazione Stones a volte anche vicini al sospetto di Fatboy Slim, infine l’autocitazione nel titolo e il timbro McCartney di un cinico calcolo. Non sorprendono nel funk bianco in stile Daft Punk Is Wilson ridotto a un automatismo infine le tre ballate che prendono Playing In My House di Time To Get pop plastico e fugace. È un altro il posto dei mid-tempo del debut- Away con l’oramai stereotipica posa segnale forte e chiaro della brit to: Love’s Not A Competition (But narrativa e lievemente spastica di music targata duemilasette: dopo I’m Winning), l’apprezzabile piano- Murphy; più avanti le cowbell sono la sbornia angolare è giunto il mo- voce di Boxing Champ e la take in esattamente dove le volevamo sen- mento delle “produzioni” e in segui- stile Blur di Try Your Best (un po’ tire: a sostegno d’un tempo asciutto to al pessimo ritorno dei Bloc Party come Leave The City And Come in balistica post-punk e automatismi (pomposo e soffocante), il restyle Home dei Rakes). Episodi genui- funk bianchi (Us Vs Them); infine ni, nonostante tutto, non mancano: Prince (andatevi a vedere dove) e sono le discrete Thank You Very in ultimo, le ballate in triangolazio- Much e Learnt My Lesson Well (la ne Brian Eno, David Byrne e Bowie, più bella), entrambe canzoni dal re- trinità in conio berlinese al quale trogusto angular. (5.0/10) il Nostro si genuflette senza sipari Edoardo Bridda esattamente e coerentemente come l’intera cordata DFA da lui capita- Le Rok - Approx Twelve (Karaoke nata dall’inizio dei tempi. Kalk / Wide, 16 marzo 2007) Trascorsi cinque anni, e giunti a Disco di glitch’n’break virato spesso questo punto del percorso artistico verso libidini da odierno dancefloor, (svariate compilation commemora- Approx Twelve non brilla certo per tive all’attivo) più che speculare su originalità nel marasma delle produ- cosa abbia citato Murphy in Sound zioni consimili. Sfruttate fino all’os- Of Silver – giochino che all’epo- so le intuizioni di Lithops, Mouse ca dell’emul era assieme un atto di perversione e scetticismo –, c’è dei brani dei Klaxons (alcuni riu- On Mars e Oval, a Le Rok non rima- piuttosto da domandare ai suoi po- sciti, altri forzatamente Ottanta), la ne che profondersi in una deliziosa, tenziali acquirenti se nel frattempo svolta semimatura Rakes, ora toc- quanto inutile, rilettura dei temi cari ca ai più decorati e attesi del lotto, alla sua sensibilità di musicista da i Kaiser Chiefs. È Stephen Street laptop. “Laptop and dance” potrem- (già, il sig. Smiths e Blur) l’uomo di mo anche definire una traccia come Yours Truly, Angry Mob, (insieme Cold End. Il resto del disco, pur non a Cenzo Townshend al missaggio) facendo sfracelli per originalità, la- a lavorare per un sound pulito, con scia anche impressioni durevoli. microfoni ben settati che diano a Choped Ride, fra le altre, che fun- Wilson il massimo risalto possibile. ziona come un ordigno meccanico ad Del resto, è lui l’unico brand possi- orologeria, dove i dettagli elettronici bile del marchio, nonché un leader si stratificano gli uni dopo gli altri maturato e sicuro dei propri mezzi, e confluiscono in una mini sinfonia soprattutto dal vivo, come proprio perfettamente sincrona. (6.0/10) la lunga tournée post Employment Massimo Padalino

s e n t i r e a s c o l t a r e 5 3 abbiano preso dimestichezza con younghiano Harvest Moon). quelle citazioni. Eh sì, perché una Ok, è il nocciolo stesso del folk, volta consumato il catalogo dei rife- nido estetico in cui Lucinda cerca rimenti, forse saranno quest’ultimi sfogo e trova riparo. Ebbene, que- a rimanere nel lettore. Non è per sto soltanto sembra importarle. Di gettare il bambino assieme all’ac- conseguenza, si fatica ad innesca- qua sporca (con tutta la tinozza): il re l’empatia, a meno che non in- debutto a firma LCD Soundsystem tervenga lo spettacolo della rabbia era un buon disco e tale rimane, pura e fiera - tipo i Crazy Horse im- come del resto non è insufficien- mischiati Nick Cave via Liz Phair te nemmeno quest’ultimo; ma l’in- di Come On o i circa nove minuti a tingolo schiuma e sappiamo che passo blues-funk sprezzanti e sor- presto lasceremo l’edificio. Intanto didelli di Wrap My Head Around That però, ancora una volta, balliamo, - oppure certe malferme deviazioni un po’ a denti stretti, ma balliamo. non arriva mai. O infine quella Ha- tipo l’indeterminatezza jazzy di Re- (6.0/10) tchet che architetta un funkettino scue o la scostante agilità rumba di Edoardo Bridda accomodante tra cincischii digitali, Words. Più facile restare sconcer- deep bass (è il nuovo acquisto Matt tati dagli eccessi d’arrangiamento Livingston, in sostituzione del di- (nella torva elettricità di Unsuffer Low - Drums And Guns (Sub missionario Zak Sally) e chitarrina Me, tra organi, archi, campioni e la Pop/ Audioglobe, 19 marzo rugginosa. Tutti o quasi pezzi non nevrotica chitarra di Bill Frisell) o 2 0 0 7 ) nuovi, eseguiti più volte live: quasi dalle sfacciate “ispirazioni” (ditemi Al secondo disco targato Sub Pop, fossero pretesti per altrettanti ope- voi se What If non è la nipotina lan- prodotto come il precedente da razioni di chirurgia estetica, con lo guida di Cortez The Killer). Dave Fridmann, i Low si mettono scopo di ottenere - previo gli uffici Insomma, auguro a Lucinda l’am- nuovamente in discussione. Se The del dottor Fridmann - la giusta ten- pio successo che indubbiamente Great Destroyer era scosso da un sione tra forma e contenuto, tra la merita. Ma Car Wheels In A Gra- impeto elettrico inedito, come dire frigidità della pelle e il rovello inte- vel Road stava su un altro pianeta. “il fottuto album rock dei Low”, in riore. In definitiva, è forse l’album (5.3/10) occasione dell’ottavo album la band meno coinvolgente dei Low. Spiaz- di Duluth spoglia il suono sottopo- Stefano Solventi zerà, deluderà, farà discutere (lo nendolo ad una frigida austerity sta già facendo). Ma, se ho capito sintetica. Pulsazioni digitali, archi King Kong - Buncha Beans dove volevano andare a parare, è campionati, loop di voci, le chitarre (Drag City / Wide, 20 marzo un disco riuscito. (6.6/10) limitate al necessario, la profondi- 2 0 0 7 ) tà robotica del basso, demonietti Stefano Solventi L’ultimissimo e festosissimo parto psych più accessori che altro, il discografico del nostro buon Ethan canto stesso di Alan e Mimi atten- Lucinda Williams - West (Lost Buckler (ex Slint & Squirrel Bait), to a non premere troppo sul pedale Highway, 13 febbraio 2007) inizia come meglio non si può. dell’enfasi. Tutto così volutamente La principale caratteristica di que- Freak Off You ricalca infatti lo sche- spoglio ed essenziale. In palpitante sto disco - il bollente alito vitale letro bluesy che fu della Crosstown contrasto coi fantasmi e i tremori di recenti tribolazioni - è anche il Traffic di hendrixiana memoria, in- che si agitano nei testi (frutti amari suo principale difetto. Perché, cer- crociandolo con un testo, bislacca dell’irrequietezza politica in cui vi- to, Lucinda mette sul piatto i nervi, canzone d’amore (“…You like ze- viamo), cuciti su melodie asciutte, il cuore, la malinconia dolciastra, bras, i like ‘em too, you like Kanga- avare sia negli ammiccamenti che l’amarezza stropicciata, il piglio roos, i like ‘em too, we both like the nella contrizione. Si prenda l’ince- spigoloso. Come sempre. Quel che zoo, what about that?”), che subi- dere fosco di Dragonfly, tra feed- manca però è la scrittura. Per dire: to ci precipita nel cuore forte della back e brontolii sintetici, con l’or- c’è la morte della madre dietro follia pagliaccesca del Nostro. Me- gano e le voci a confezionare una l’arguta palpitazione di Mama You glio ancora fa Sue Na Mi riuscendo mestizia impalpabile che rimanda Sweet e l’affranta solennità di Fan- - che irriverente Ethan! - a portare al Peter Gabriel di Wallflower. Op- cy Funeral, ma entrambe non sanno nelle lande dei B52’s persino Child pure quella Always Fade che men- affrancarsi - neanche ci provano - In Time (Deep Purple) e la sua ori- tre stempera il passo sordido Lou da uno sviluppo melodico prevedi- ginaria matrice It’s A Beautiful Day Reed e quello alieno Radiohead ti bilissimo. Accade lo stesso altrove, (Bombay Calling). Genio e sregola- spaccia angoscia vestita di legge- dall’iniziale Are You Alright? alla tezza. La parodia qui, invece che rezza. O ancora la trepida Murde- conclusiva title track, piccoli teatri- diventare demistificatoria, come rer, dove un bordone quasi Sigur ni laconici e speranzosi impastati in spesso avviene, ha un qualcosa Ros (stentoreo e madreperlaceo) un confortante blend di forme do- di segretamente affettuoso, sa di si consuma in attesa di un’esplo- mestiche (principale modello di ri- omaggio, di tributo dovuto. Buncha sione che, come i famosi Tartari, ferimento la pastosità dorata dello Beans, in conclusione, è aperto a

5 4 s e n t i r e a s c o l t a r e turn it on

Modest Mouse - We Were Dead Before The Ship Even Sank (Epic / Sony, 20 marzo) Erano attesi i , soprattutto quando il wave pop maturato nella precedente fatica avrebbe goduto del contributo in pianta stabile di (la sei corde scintillante degli Smiths), dei controcanti di James Mercer (l’ugola degli Shins), e del ritorno del batterista dei primi lavori Jeremiah Green. Una ciurma ben assortita per un cambio di pelle annunciato e così è stato: We Were Dead Before The Ship Even Sank è fuor di dubbio l’album dance della band di Issaquah, nonché un album funky dalla chiara attitudine albionica. Dashboard, singolo d’apertura, ne è la riprova più immediata. Impeccabile il riff di Marr, limpido il funky bian- co scopertamente vicino David Byrne in motore pelvico Franz Ferdinand. Attitudine che si sporca appena di frizioni white nei giri Gang Of Four di We’ve Got Everything (per non parlare di quei falsetti Ottanta di Mercer), ma anche di quelle black con il basso disco music di Education, negli inserti psyco-rap di Fly Trapped In A Jar (grandi arrangiamenti), nelle piroette Prince in bitume angolare britannico di Steam Engenius o in quelle conci- tate fino allo spasmo di Invisibile (con in turbamenti tra Cave e David Thomas, salvo poi zittirsi al cospetto delle scintille marriane primi-U2 style). Non manca l’elemento scopertamente ferdinandiano con Spitting Venom, come neppure il tocco Smiths (ma và) nel midtempo di People As Places As People, eppure il treno funk non dimentica continuità e bontà di un percorso solido e necessario. Nella stessa Spitting (otto minuti) è adorabile l’interscambio tra le varie specialità della band tra momenti intimisti, crescendi dal sapore post, folk a vario titolo (qui pure Violent Femmes) come tutto l’album nasconde piccoli segreti sixties dai quali gli Shins hanno preso l’abbrivio tanti anni fa. E per chi già l’acclama c’è Fire It Up, la pop song rasposa e ottimista che non può mancare in un album Modest Mouse, come del resto non si sentirà la mancanza delle ballate riflessive con i giusti accenti come Parting Of The Sensory (che si trasfor- merà – sorpresa - in una sbornia Pogues!) e (strofe parlate, ritornello singalong). Ultimo elogio a questo bel disco va a Dennis Herring, produttore qui come del precedente album, una produzione attentissima a ogni sfumatura chitarristica la sua, calibrata quando si tratta di fondere ritmo e orchestrazioni (Dashboard), delicata quando è doveroso risaltare canti, cori e soprattutto controcanti (Florida). Un album lungo, frizzante e soprattutto molto, ma molto, generoso. (7.5/10) Edoardo Bridda

s e n t i r e a s c o l t a r e 5 5 o quasi tra parentesi. Ne sono pro- Cigarettes, o l’acustica Somebody va One That Is Missing Here (con Loves You), e sa bene come ma- fagotto e sezione di fiati a casa neggiare la materia pop, da buon propria, per una semplice ripropo- artigiano qual è (la title track, o la sizione da banda di un gioco me- conclusiva e maestosamente ar- lodico orecchiabilissimo) e Misaki, rangiata Superhero ), processione funeralesca (con quel ma non ha quella incisività che in di festa che ogni concerto di ban- questi casi fa la differenza. Sarà la da porta con sé, anche in occasioni solita nemesi che colpisce i membri nefaste). Il resto (due su tutte la delle band che si sciolgono? Consi- schizofrenica First Love, o Garland derando le - invero non esaltanti - Has Gone Forth) potrebbe esse- escursioni di Moffat / Lucky Pierre, re un’unica grande boutade. Ma si tutto torna; in fin dei conti, nessun rimane curiosi di sapere come sa- problema. (6.6/10) mille e mille stili differenti, suonato rebbero stati quei pezzi di canzoni Antonio Puglia bene e arrangiato anche meglio. Un in uno sviluppo più compiuto; resta album che come un maglio picchie- un’impressione di divertimento ne- Maria Taylor - Lynn Teeter rà duro sul vostro emisfero irrazio- gato all’ascoltatore, perché appan- Flower (Saddle Creek / Self, 9 nale. (7.0/10) naggio dei soli musicisti coinvolti. marzo 2007) (5.6/10) Massimo Padalino Arriva al secondo album solista Gaspare Caliri Maria Taylor, già nelle Azure Ray Maher Shalal Hash Baz – L’Autre e Now It’s Overhead e con colla- Cap (K / Goodfellas, 3 gennaio Malcom Middleton – A Brighter borazioni, per il compagno di vita 2 0 0 7 ) Beat (Full Time Hobby / Self, 2 Conor Oberst aka Bright Eyes. Dal Un “rock ‘n’ roll, o boogie, che uti- marzo 2007) marchio di fabbrica del lizza il fagotto al posto del basso”, Che Malcom Middleton intendes- gruppo madre la Nostra si è spo- promette il booklet di L’Autre Cap se fare sul serio, lo si era già ca- stata anche verso derivazioni folk e dei Maher Shalal Hash Baz – for- pito dallo scorso Into The Woods indie-pop/rock già dal primo disco, mazione del giapponese (testimo- (2005); adesso che - più o meno 11:11 (Saddle Creek, 2005) e Lynn ne di Geova) Tori Kudo, attiva dal inaspettata – è arrivata la paro- Teeter Flower prosegue su questa 1991 (anno del primo album, Maher la fine per gli Arab Strap, la sua scia. La sua cifra stilistica mixa in Goes To Gothic Country) –, disco avventura solista è diventata un egual misura songwriting, anche che fa l’altalena tra strutture occi- full time hobby, come suggerisce di estrazione femminile (Suzanne dentali, organico da banda, esotici per curiosa coincidenza la ragione Vega – si veda la ballad in acustico accenti mediorientali. sociale della sua nuova etichetta. Clean Gateway - ma anche Caro- Entusiasmante, no? Invece dob- Non più chitarrista e controparte di biamo accontentarci di molta finta Aidan Moffat quindi, ma definitiva- ingenuità e altrettanto cazzeggio. mente cantautore indie rock, chia- È sistematica l’approssimazione mato adesso – a maggior ragione vocale, distesa lungo ventisette – a mostrare tutto il suo valore; è interminabili tracce composte da forse per questo motivo che carat- un florilegio di bozzetti che spes- tere e personalità vengono fuori da so – dio condanni il lo-fi – riman- subito, nell’aggressivo folk-punk gono allo stato di spunto. “Error ribollente magma We’re All Going in performance dominates MSHB To Die (testo pungente e denso di cassette which is like our imperfect umorismo noir, come si usava nel life”, dice Kudo. gruppo di provenienza), bissata Sarebbe interessante questo non- poco dopo da Death Love Depres- finito (che rima con le pennellate sion Death. della copertina), se non fosse che Ad eccezione della sbarazzina e le idee migliori sono quelle più twee Fuck It, I Love You (notare semplici e ben delineate, non quel- anche qui il titolo), A Brighter Beat le King) ed evidenti debiti beatle- le sfumate in un fantomatico etno- è un disco per lo più aspro, meno siani (nell’onirica Smile And Wave, lo-fi – che forse avrà un effetto più immediato del predecessore, che lennoniana di memoria Strawberry folklorico negli anglosassoni che in pure peccava di una certa disper- Fields, o nell’incedere di Replay), noi, maggiormente avvezzi alle tra- sività - laddove questo appare più indie-pop (A Good Start, No Stars), dizioni di paese. compatto e deciso, denso di epos battiti elettronici sparsi (Irish Goo- È più efficace il ricorso a temi ban- ora elettrico ora acustico. Il pro- dbye, My Own Fault con la drum distici tradizionali, dove la stru- blema è sempre lo stesso: Malcom machine a tenere il ritmo mentre mentazione rock è messa del tutto è un discreto folksinger (vedi Four chitarra elettrica ed organo si inse-

5 6 s e n t i r e a s c o l t a r e guono), ed echi country-rock nella to Everything Stop Her Breathe creativo dai college statunitensi ai svelta The Ballad Of Sean Foley, (Dufresne rec., marzo 2002) - sono licei e alle università italiane. Con song dall’incedere nervoso che fa un’infinità per una band tutto som- tutto ciò che ne consegue. Italia la differenza, scritta e cantata con mato alle prime battute. Pausa non terra promessa dell’indie? Manca Oberst. In sostanza un album di- certo programmata, va detto. Quel ancora tanto – locali, pubblico (che scontinuo, con alcuni cali e qualche che conta però è che oggi i fioren- cresce, comunque, e parecchio), picco che non riesce però a solle- tini May I Refuse tornano a farsi attenzione dai media, faccia tosta – vare più di tanto la media. (6.2/10) sentire, felicemente accasati Black ma l’andatura intrapresa ha passo Teresa Greco Candy, non più in trio ma in quartet- sostenuto, e i Merci Miss Monroe to, con un album che li vede allarga- sono tra quelli che guidano la mar- Marnie Stern – In Advance Of re le vedute oltre l’amato emocore cia ed animano le nostre speranze. The Broken Arm (Kill Rock degli esordi. Che poi dici emocore Some Minor Crimes è il secondo Stars / Goodfellas, 27 febbraio e non dici nulla. Facciamo quindi lavoro della band targata Ghost 2 0 0 7 ) che la loro propensione melodica Records. Ed è un ritorno che av- Leggi Marnie Stern e pensi all’en- si è irrobustita covando umori post- viene dopo tre anni dall’esordio, nesima trifolapalle armata di chitar- glam, irrequietezze errebì e slancio un album che ha raccolto riscontri ra acustica che cerca di spappolar- wave-pop, tanto che Lighthouse lusinghieri un po’ ovunque. Merito ti il cervello con le sue lagne. Per sembra una versione satinata de- di una vena creativa che prendeva nostra fortuna In Advance Of The gli Echo & The Bunnymen mentre spunto in parti uguali dai Pixies e Broken Arm viaggia su territori Odyssey propone suadenti languori dai Blur, dall’America dei telefilm diametralmente opposti scegliendo da Big Star redivivi. adolescenziali alla Londra ultra- di alzare il volume degli ampli ben Certo, l’imprinting è quello, il fan- cool benedetta da NME. Ed anche oltre il livello consentito, ed è una tomatico & famigerato emo, coi The in questo cd si sente la stessa ur- cosa che non ti immagineresti mai, Get Up Kids in primissima battu- genza e freschezza compositiva. Il almeno vedendo il faccino di que- ta. Inevitabile quindi imbattersi nel trittico di partenza è di quelli che ti sta bella fanciulla americana più consueto schema: quiete strategi- lascia senza fiato, per compiutez- adatto ad un circolo del tennis della ca divorata da repentini incendi di za e maturità raggiunta. Gang Of Florida che non ad un club puzzo- corde (in Points Lines And Shapes, Blondes è un punk’n’roll che cor- lente e fradicio d’orina di Olympia. in Spin). Salvo poi constatare – ad re a perdifiato tra ritornelli corali Ma le apparenze ingannano, si sa, esempio in Moon, caracollare arioso e strofe orecchiabili. Soap Opera e già dal secondo scatto, con la e sincopato tra sospetti di nostalgia scala di marcia ma mantiene le pro- Nostra abbracciata ad una cafonis- sixties in brodo art-rock - ben altre messe fatte dal pezzo iniziale. St. sima chitarra elettrica doppio ma- intenzioni e possibilità. Tuttavia, a Valentine Day Massacre è una bal- nico, si intuisce di un’adolescenza colpire è soprattutto la prontezza lata che vive di atmosfere ovattate trascorsa lontano dagli immacolati con cui i quattro sciorinano conge- e malinconiche, pur irrobustite da campi di cemento del sud. Pensa- gni melodici adesivi, che attendono croccanti chitarre elettriche prese te a delle Sleater Kinney sul palco solo lo spot giusto per fare il botto in prestito dai Pavement. assieme ai Manowar oppure agli (vedi il chorus di Steps, che fareb- C’è da dire, per la verità, che l’al- Huggy Bear nati e cresciuti dalla be invidia agli ultimi disperanti U2, bum forse soffre l’eccessiva lun- parte opposta dell’Oceano e vi sa- oppure quello della palpitante Con- ghezza della scaletta. Perché se rete fatti una certa idea di quello stellations). Qualcuno in questo il livello qualitativo resta solido, a che nasconde tra le tredici tracce di scorgerà un limite, e in effetti qua e volte però c’è qualche leggera ca- questo coraggioso esordio, che osa là affiora un po’ di stucchevolezza. duta di tono: è il caso, ad esempio, farsi beffe del metal inondandolo in Però i MIR non sembrano fare altro della banalità indie rock di Perma- un mare di rumore (Vibrational Ma- che seguire la propria ragion d’es- nent For Awhile e del walzer un tch, Precious Metal), sorpassare in sere. Al meglio. (6.8/10) po’ scontato di Loser Afraid, che corsa le ultime Erase Errata (Let- Stefano Solventi sembrano dei riempitivi rispetto ai ters From Rimbaud, The Weight Of momenti migliori che questo disco A Rock), grattugiare chitarre come è in grado di regalare. Ma alla fine Merci Miss Monroe – Some fossero noci moscate (Healer) e si tratta di piccoli rallentamenti che Minor Crimes (Ghost Records / contorcesi in spastiche soluzioni non pesano più di tanto sull’anda- Audioglobe, 9 marzo 2007) tura sostenuta e convincente dei pop (Grapefruit). Bella e brava si Essere competitivi, in Italia come Monroe. E se la musica indipenden- diceva una volta…(6.8/10) in Europa. Addentrarsi in zone che te italiana di oggi può confrontar- Stefano Renzi vedono gli americani maestri asso- si con le più importanti produzioni luti (e gli inglesi loro degni allievi) estere è anche un po’ merito loro. May I Refuse - Weather Reports ed uscirne a testa alta. Dimostra- (6.5/10) (Black Candy / Audioglobe, 8 re che il Belpaese è lì, pronto a febbraio 2007) raccogliere l’eredità di quell’indie Manfredi Lamartina Quasi cinque anni di silenzio - tan- pop che mai come in questi anni ti ne sono passati dall’apprezza- sta spostando il proprio baricentro

s e n t i r e a s c o l t a r e 5 7 Mignon – Bad Evil Wicked & questo brancico d’hype licenzian- il pop, riducendolo in poltiglia dada Mean (BadGirl Recordings / do il qui presente To Go Home EP, (Good Girl / Carrots) oppure lo si Hausmusik, 9 febbraio 2007) che - oltre alla splendida cover di disegna come dei shoegazer in ap- Emul-Peaches da Berlino. Brevi Daniel Johnston già apprezzata nea (Ponytail). quadretti ironici che con l’aiuto di sull’album - offre tre gustosi inediti. In fin dei conti si fa il possibile per una Roland 303, di qualche com- C’è il country trafelato, sferzante eludere la press della Paw Track, parsa illustre (la stessa Peaches di Cosmopolitan Pap, piano sperso che cita – testualmente – il disco in Bad Girl, Thomas Wydler dei gelbiano e una storta ironia, poi la come erede dei grandi classici di Bad Seeds che suona la batteria strascicata mestizia in blues polve- Paul McCartney (!), Ghostface Kil- qui e là) e di una produzione in roso di Human Punching Bag, dove lah (!!) e nientemeno che George gran spolvero, tentano di bissare il massimo del croonerismo wardia- Michael (!!!). Contenti loro, conten- l’exploit della vecchia scuola post- no è un carezzevole profluvio libero ti noi. (7.0/10) punk al femminile. da (auto)compiacimenti. Infine, la Gianni Avella Purtroppo i tempi sono cambiati e cover di Headed For A Fall (pezzo qui non c’è nemmeno la grinta (a dello storico countryman Jimmie Paolo Zanardi - I barboni differenza dell’esperimento di Lady Dale Gilmore), che tra miagolii di preferiscono Roma (Olivia Sovereign che in parte ha funzio- slide e sax baritono imbastisce una Records, 23 febbraio 2007) nato proprio per la freschezza) o festosa scorribanda col pensiero un Il ventaglio espressivo di Paolo nemmeno singoletti accattivanti. po’ a Springsteen e un po’ alla Rol- Zanardi aveva già mostrato una di- Tutto già sentito, cliché su cliché ling Thunder Revue (tolto un bel po’ screta ampiezza nel debutto Porta- abbastanza prescindibili. Le note di di sacro furore), graditi ospiti Neko mi a fare un giro. Con la qui pre- stampa dicono che i live invece sia- Case, dei Wilco e Jim sente opera seconda, questo ormai no imperdibili. Vedremo. (5.0/10) James dei My Morning Jacket tra trentanovenne allarga ancora un gli altri. Un piccolo, prezioso, ulte- Marco Braggion po’ il campo d’azione. A gomitate. riore segnale. (6.8/10) E con puntiglio. C’è più rabbia in Stefano Solventi M Ward - To Go Home EP (Merge questo disco, trattenuta sull’orlo / 4AD, 19 febbraio 2007) Panda Bear - Person Pitch (Paw di un’amarezza desolata, col cini- Si dice che il tour invernale di Matt Tracks / Goodfellas, 20 marzo abbia registrato regolari sold out. 2 0 0 7 ) Del resto, un disco come Post War Lisbona, un po’ metropoli un doveva per forza trovare pascolo po’eden. Il nuovo alloggio di Pan- nella sterminata coscienza collet- da Bear è lì, nella capitale porto- tiva d’America, mai tanto scossa, ghese; e se le circostanze, spesso, stordita, disorientata. Il contributo fanno un disco, Person Pitch si al nuovo album di Norah Jones, gode eccome la dolce brezza del per quanto piccolo, e la conseguen- fiume Tago. te nomina alla carica di opening act D’altronde Lisbona è cosi: esatta per il suo tour primaverile, potreb- sintesi di cosmopolitismo londine- bero quindi rappresentare una sor- se e perenne estate californiana; e ta di consacrazione per il ragazzo per un giovanotto americano come di Portland, malgrado né il disco né Panda Bear, che di nome fa Noah e l’autrice reggano il confronto con la tuttora sogna di figurare nel testa- sua opera (si sa, sono i soffici pa- mento di Brian Wilson, una location radossi del mercato). In ogni caso, del genere veste a corpo e ci suo- smo che vira in sarcasmo e condi- non può che farci piacere. Intanto na, l’attraversa e si sogna beach sce di piglio punk tutte le portate. la Merge decide di tenere in caldo boy sul palco dell’Ufo club. Che sono tante (tredici tracce) e Tranquilli però, nessun accenno di diverse. Si va dalla laconica poe- fado, solo un cambiamento radicale. sia Conte in caravanserraglio Ca- Il sofferto Young Prayer, nato sì da possela di Houdini (tromba, violino, tragiche circostanze, si dimentica pennate agre, magia e disincanto) dopo pochi istanti. Quei fantasmi in ai CSI dietro l’angolo di Torpignat- nero depongono le lugubri tuniche tara Blues (slide sognante, organo e indossano camicie technicolor, liquido, finale chitarroso), dal tene- ornate di pois luminescenti e buo- ro sguardo loureediano di Playboy ne vibrazioni; si passa, in definiti- (come un Fiumani sul lato langui- va, dall’isolazionismo Drake-iano al do del marciapiede) all’obliquo al- retro-pop psichedelico, si vagheg- larme wave de Gli ultimi giorni di giano delle Ronettes al maschile Pompeo (ghigno kuntziano tra ub- (Bros) e dei Beach Boys estatici bie jazz-blues di tromba sordinata, (Take Pills e I’m Not). si dissacra liberamente ispirato e caldamente

5 8 s e n t i r e a s c o l t a r e turn it on

Paolo Cattaneo – L’equilibrio non basta (Omargru / V2, gennaio 2 0 0 7 ) È sorprendente come le cose più belle siano sempre quelle più inaspet- tate. Perché, con tutto il rispetto, era difficile immaginarsi un capolavoro da un semisconosciuto cantautore bresciano, Paolo Cattaneo. Sarà che ormai in questo periodo di overdose musicale ci siamo ridotti ad ascoltare con i paraocchi sulle orecchie una sequela infinita di album tutti uguali. O sarà che certi dischi fanno parlare di sé soltanto per i pettegolezzi che scatenano e non per le note che compongono. Tant’è. Abituati ad una me- diocrità livellata ed universale ci siamo scordati di cosa siano le aspetta- tive e le – appunto – sorprese. E una sorpresa è L’equilibrio non basta. Un disco breve – quaranta minu- ti scarsi – ma semplicemente bellissimo. Un bignami che in appena nove episodi riesce a ridefinire il concetto stesso di musica leggera italiana. Un viaggio di malinconia e speranza, che aggiorna la lezione – fin qui considerata definitiva e compiuta – dei Non Voglio Che Clara e di Andrea Chimenti, arricchendola di nuovi spunti di riflessione e di nuove prospettive creative. Incastri è ovvio incipit e degno manifesto di tutto il lavoro. Si muove sinuoso nella voce carezzevole di Cattaneo, mentre i tappeti psichedelici degli strumenti scandiscono le strofe e i ritornelli come se fossero battiti di cuore. L’eco che stona è una cantilena dalle melodie obliqui e dalle atmosfere drammatiche, che svela un’at- tenzione quasi maniacale per il dettaglio e per la cornice, oltre che per la sostanza stessa della composizione. Neurovegetale è forse – già da adesso, e con pieno merito – la canzone italiana più bella dell’anno, con un ritornello che ti ci perderesti dentro per lasciarti andare come corrente di un fiume. Infinito è la quadratura del cerchio, un brano sospeso tra suggestioni ambient ed emozioni – fortissime – che vibrano in quel punto a metà strada tra cuore ed anima. È un disco solido e appassionato, L’equilibrio non basta. Che parla una lingua che tanti avrebbero voglia di ascoltare e che pochi sanno realmente padroneggiare. Un album talmente bello che a dirlo neanche ci si crede. Ma le nove canzoni di Cattaneo sono lì, vive e reali. A testimonianza di quella che una volta si chiamava con orgoglio scuola dei cantautori e che adesso è un semplice country-club di annoiati signorotti di sinistra ben forniti di pancia e cellulite. Quella scuola, però, non è morta, guidata com’è da un piccolo gruppo di irriducibili che ancora – nonostante tutto – ci crede. Date allora una possibilità a Paolo Cattaneo. Date una possibilità alla musica tricolore di spiccare il volo, di dismettere gli abiti di eterna promessa incompiuta, di meritarsi un simile talento. E di mostrare al mondo – a testa alta e con lo sguardo fermo – che cosa intendiamo quando parliamo di canzone italiana. (7.5/10) Manfredi Lamartina

s e n t i r e a s c o l t a r e 5 9 dedicato al grande Paz). sotto qualcosa. Un trucchetto che Eppoi il breve gradevole spurgo in- sta a metà tra la mutazione electro die rock di Isola, il surf-beat aci- di Battiato e l’ostinazione ritmica dulo strapazzato da tromba e ka- del buon vecchio 4/4 house. Dopo zoo di Zazerkaljie , quella specie un po’ di ascolti, gli assi escono di Giorgio Canali prima trattenuto dalle maniche e ci si chiede se una e poi bruciante in Salsedine (con proposta così possa ancora colpi- stupendo delirio di wah wah nel re a fondo, cioè se l’electro si stia finale), palpitanti middle eight so- inevitabilmente dirigendo verso i spesi alla maniera del primo evo- comodi lidi del pop tout court, e se cativo Dalla (nella title track e in l’elettronica sia solo ed esclusiva- Rapina ad un distributore di benzi- mente tecnica ‘a servizio di’. Il giu- na), eccetera. Il passo di Zanardi dizio resta sospeso. Ne riparleremo è febbrile, scostante, quasi a voler al secondo disco (per un eventuale eclissare il tormento, l’impossibi- visamente rapito dalla grandiosità 8.0). Per ora un più che fiducioso lità di accettare l’evidenza di un di Phil Spector (Summer Long). Dal (6.5/10). mondo che consuma atrocità come finestrino dell’auto in corsa si può Marco Braggion una (surrettizia) legge naturale. Ma anche scorgere il deserto dei film non si aggrappa ad elucubrazioni o di Leone (John Brown), quell’arida Ralfe Band – Swords (Talitres / teorie, non è certo un tipo da co- calda e arida che prende vita dal- W i d e , m a r z o 2 0 0 7 ) mizi né da piagnistei. Procede ad la terra, insabbia i vetri e secca la Si espone senza indugi la cifra sti- alzo zero tra le storie che racconta gola. Allora stop. Sosta in un’area listica degli esordienti Ralfe Band, (vedi l’aria da suq suadente e insi- di servizio dirocca per un wHiskey trio britannico composto dai poli- dioso di Piazza Vittorio), attraverso al volo e un po’ di sana psichede- strumentisti Oly Ralfe - principale la vita che gli si attacca alla pelle lia blues (Take The 227th Exit). Per autore del repertorio – e Andrew come un sentore indelebile. Come chi la summer of love non l’ha mai Mitchell, più il violinista John Gre- un veleno. Contro il quale, antido- vissuta e per quanti continuano a swell: Frascati Way Southbound to non risolutivo, c’è solo lo spa- sognare la California. (6.8/10) caracolla dapprima come un valzer smo vitale, il fiero splendore di chi Valentina Cassano prossimo a Nino Rota per incupirsi alza la testa dalla melma. Come un tra disturbi e deviazioni, infine rin- cucciolo nel sole. Come una fugace Plastica – Self Titled (Sferica / chiudersi in un nervoso folk rock. resurrezione. Quanto basta almeno Wide, marzo 2007) Superato all’istante un certo stupo- per sentirsi vivo. (7.0/10) I nuovi eredi dell’electropop post- re, si applaude. Stefano Solventi Subsonica. Una produzione curata Al tempo del paio di singoli che pre- dal (non più) apprendista stregone cedettero questo disco, nel 2004, la Papercuts – Can’t Go Back Marco Messina dell’unica e inimita- buonanima di John Peel dichiarò il (Gnomonsong / Goodfellas, 6 bile fucina Mousikelab, che riassu- suo entusiasmo chiamando in cau- marzo 2007) me l’esperienza più rappresentativa sa Yann Tiersen e Will Oldham. In fervente attività, la Gnomonsong dell’Italia pre-2K: Almamegretta, Nomi va da sé centrati, per il soffio sforna dischi come fossero biscotti. Bluvertigo e Casino Royale. Tira- filmico (lampante nella delicata Si- Dopo neanche un mese dal debut- re fuori qualcosa di nuovo dal ci- beria) delle tracce strumentali e le to della songwriter messicana Rio lindro magico in termini formali o atmosfere continentali il primo e il En Medio è la volta dei Papercuts, stilistici è pressoché impossibile. calco delle corde vocali del fu Pala- dietro il cui pseudonimo si nascon- Si punta quindi sulla produzione e ce – ma con echi di Ray Davies, si de Jason Quever. Personaggio dal qui i livelli fanno ben sperare. prenda l’ilare marcetta 1500 Years . curriculum eccellente (collaborazio- Milano di nuovo al centro di molti Un pastiche sonoro mai dispersivo, ni con Casiotone For The Painful- fili, nodo di mixaggio perfetto di sti- credibile ipotesi con presupposti ly Alone, The Skygreen Leopards, li e idee eterogenei. I nuovi anthem albionici dei Camper Van Beetho- oltre allo stesso Vetiver), Can’t Go della ‘generazione catodica’ si fon- ven, l’occhio sovente ironico rivolto Back sposta l’asse della produzio- dano su chitarre stoner (Linea 77) al folk del globo (fisarmoniche, per- ne dell’etichetta sul versante six- rimpolpate da visioni e suoni pro- cussioni, corde e rumori dissemina- ties. Sia ben chiaro, sempre di folk gressivi (Plastica), motivi pseudo- ti nel tessuto sonoro) senza trala- trattasi, ma dalla spiccata influenza dark-industrial (Alta tensione), re- sciare la penna rustica del country californiana. Un viaggio attraverso citativi deep à la Morgan (Impulsi) e, soprattutto, l’encomiabile sforzo le strade assolate della West Coast e hip hop urban soul dei migliori di fare cosa unica d’ambedue. (Quever che rifà gli Hidden Came- Tiromancino (Riflessi). Funziona spessissimo e volentie- ras che rifanno i Beach Boys in Un esordio fresco, inaspettato per ri, ad esempio nell’irruzione di fiati Dear Employee), come dei Beatles la leggerezza così perfetta nel suo r’n’b sull’agreste disfarsi Arrow And in vacanza a Santa Monica (Una- tecnicismo, puro artefatto, mecca- Bow, in una Bruno Mindhorn che in- vailable) oppure un Dylan improv- nismo di precisione. Dev’esserci nesta un groove sbilenco d’organo

6 0 s e n t i r e a s c o l t a r e dentro il folk mediterraneo, nell’in- tà rannicchiata ma crescente. Se è anche quell’attitudine naturalistica, nodica Albatross Waltz (Oldham arrivato il tempo della meritata con- quasi mistica alla materia folk (i bi- affiancato dai Gorky’s Zygotic sacrazione, il disco giusto non può sbigli ancestrali di Tiger’s Ear, i do- Mynci), in una cartolina dalla Gre- che essere questo Thirteen Cities. lenti soliloqui di Girls On The Run e cia ironicamente exotica recapitata Perché in quattordici tracce tutti i Heaven Is High) sporcata da schiz- per sbaglio oltralpe (March Of The fili stesi negli anni vengono raccol- zi elettronici (gli echi sinistri di You ti, intrecciati, spampanati, immersi Can Stand, i beat hip hop di The nel liquido combustibile e accesi Baghdad Merchant’s Son), piutto- come segnali nella fuliggine. sto che da registrazioni casalinghe Le trepide peregrinazioni acustiche e chincaglierie di vario tipo (i cam- di Winnemucca (2002) e i tremo- panellacci e l’hand clapping di Eve- ri elettrici di Post To Wire (2004), ryone Is Someone’s). A distinguerla forse le loro opere migliori, più tut- però è la predilezione per testi let- to quel che sta nel mezzo: come la terari estrapolati da William Blake verve dolceagra Calexico di Mo- o Paul Eluard, l’uso dell’ukulele ving Back Home #2, che guarda un e di idiomi franco-portoghesi che po’ ospita proprio la sezione fiati donano all’album un’aurea di mi- del combo di Burn e Convertino; o sterioso incanto (in I See The Star come la stentorea doglianza Wilco come la Cibelle più casta e nuda). di Ghost I Became, voce rotta, vio- È nata un’altra folksinger, da anno- loncello e organo luccicoso; oppu- tare sul taccuino per i suoi sapori re come il talkin’ su ballad assorta esotici che si spera mantenga nel Pams). Lungo le tante strade intra- & compunta di The Disappearance tempo. (6.7/10) prese dal trio, s’incrocia pure so- Of Ray Norton, in bilico tra un ra- Valentina Cassano brio folk visionario (Sword), la ben- pimento Pearl Jam (quelli di I’m venuta acidità di Parkbench Blues Open) e una laconica perorazione Rose Kemp - A Hand Full Of e le memorie Violent Femmes che Lou Reed (quello di Christmas In Hurricanes (One Little Indian / agitano Crow, riviste oltrecortina da February). Goodfellas, 5 febbraio 2007) Broken Teeth Song. Ovunque aleg- Eppoi, uggie gelbiane ($87 And A Primo disco su One Little Indian gia il Tom Waits meno spartano e Conscience That Gets Worse The e secondo sulla lunga distanza, A disposto agli arditi trapianti sonori Longer I Go), pietas folk ad altezza Hand Full Of Hurricanes appro- di un capolavoro come Rain Dogs. d’uomo (St Ides, Parked Cars And fondisce il discorso già intrapreso Squisito, policromo e sorprenden- Other People’s Homes), gravità dalla giovanissima songwriter e te, Swords è un disco che in tempi sabbiose (lo Steve Wynn a crudo chitarrista Rose Kemp con il Mini- meno affollati avremmo definito “di di I Fell Into Houses In Album (2004). Messi da parte i culto” e che oggi sai di certo desti- Phoenix, Arizona) e valzer attoniti panni della folksinger tradizionale nato a frequenti riascolti. I nomi ci- (il Jim O’Rourke narcotizzato Red dei primi lavori, la Nostra, figlia tati non sono certo pochi, evidenza House Painters di Ballad Of Dan d’arte (i genitori sono Maddy Pryor incontrovertibile e ormai norma, ciò Fanta). Ok, i sentori sono tanti. Ma e Rick Kemp del gruppo folk-rock nonostante l’abilità nel mescolarli il corpo e la struttura ce li mettono Steeleye Span, attivo fin dai ‘70), ostenta carattere ed equilibrio che i Richmond Fontaine. Pronti a cu- molto presente nella fervida scena non si trovano a ogni chiaro di luna. cire l’ennesima epifania folk-rock bristoliana, prosegue tra dark rock/ A prescindere da come andrà a fini- sulla pelle di questi anni confusi. noise e sperimentazione, sue cifre re, la Ralfe Band un angolino pre- (7.0/10) stilistiche, per un album variegato zioso negli scaffali stracolmi se l’è Stefano Solventi che rappresenta un passo avanti saputo ritagliare, eccome. (7.4/10) nella sua ancor breve carriera. Giancarlo Turra Rio En Medio - The Bride Of Dinamite (Gnomonsong / Richmond Fontaine - Thirteen Goodfellas, 16 febbraio 2007) Cities (El Cortez, 5 febbraio Come suonerebbero quelle stram- 2 0 0 7 ) be delle sorelle Casady se desse- Il folk rock che si nutre di smarri- ro libero sfogo ai loro fantasmi? menti, gioie e dolori di stare al mon- Esattamente come l’amica Danielle do, è quello che quando lo incontri Stech Homsy, ovvero Rio En Me- non smetti di sentirlo vivo. A patto dio che debutta per l’etichetta di che ci sia l’ingrediente inedito: in Cabic e Banhart con The Bride Of questo caso, il fattore umano Ri- Dinamite. Non è solo questa serie chmond Fontaine, band di Portland di circostanze a rendere Danielle attiva dal ‘94, sette album alle spal- assimilabile alla combriccola freak le che hanno fruttato una popolari- più chiacchierata del pianeta, ma

s e n t i r e a s c o l t a r e   Una passionalità manifestata vi- dimostrazione lampante che alla fin L’addimmuru – Self Titled sceralmente alla PJ Harvey e Cat fine non riusciremo mai ad uscire (rudiMENTALE, 2 0 0 7 ) Power, espressa in modulazioni vivi dagli anni ’80, perché la nostal- Canzoniere S i n t e t i c o chitarristiche rock-blues tendenti gia per quei tempi e le oggettive – Te u f e l t a n z m a s k e n al dark (il singolo Violence, lunga amenità popolari di quegli anni non (rudiMENTALE, 2007) cavalcata con assolo centrale, la ci passerà mai. Il secondo disco di Arrivano dalla Sicilia le incisioni oscura e sofferta quasi ghotic-bal- Herrema con gli RTX è ancora più della rudiMENTALE, piccola label lad Orange Juice su una relazione amarcord del precedente e sguaz- che con i due lavori in questione fa za con tutta la compiacenza del un salto in avanti e dalle release caso nel più cafone e becero hea- in mp3 approda al formato cdr. E’ vy sound anni ’80. Quindi significa inutile stare a sottolineare, come che i nomi presi a paragone sono simili esperienze, sia pure nelle in ordine sparso: Guns ‘n Roses, loro piccole dimensioni, siano l’en- Cinderella, L.A. Guns, Motley nesimo sintomo dell’ottimo stato di Crue, AC / DC, , Mega- salute della musica di ricerca italia- deth, ZZ top e tanta altra gente di na. Se aggiungiamo il fatto poi, che questa risma. Chi non ha mai avu- rudiMENTALE si muove per forza to amore per questi suoni è meglio di cose lontana da tutti i centri più che se ne sta alla larga, per tutti febbrili (Milano, Roma, Bologna, gli altri forse c’è di che divertirsi. Napoli) riuscendo comunque a fare L’effetto finale è come guardare le dello “splendido isolamento” sicilia- vecchie foto del liceo con i compa- no un punto di forza, anzi di vera e gni di classe. Amarcord appunto. propria sintesi programmatica, ot- finita male, la radiohediana atmo- La ballata acustica simil-Stones, teniamo un quadro quantomeno in- sferica Skin Suite), linee vocali a però ci ricorda che la Herrema, an- teressante. I due lavori in questio- cappella sovrapposte e mandate in che con i segni del tempo sul volto, ne sorprendono per la selvaggia loop, che creano un effetto multi- continua a essere una delle più ca- verve sperimentale. L’addimuru in strato che rimanda al Tim Buckley rismatiche meretrici del rock’n’roll, dialetto siculo dovrebbe significare più onirico ed all’ultima Bjork (Tiny preceduta probabilmente solo da rancido, ammuffito, guasto. Rende Flower), ampie jam anche vocali, Poison Ivy e Cosey Fanni Tutti, esattamente l’idea del perenne suo- che ricordano l’altro Buckley (Metal ma tant’è. Il resto del disco è caz- no che si ascolta lungo tutte le otto Bird) e ballad più tradizionali ac- zeggio hard senza la minima voglia tracce. Un’unica suite improvvisata compagnate dalla chitarra (Morning di travestirsi in altro. Balls To Pass dove una chitarra sposa l’alchimia Music, Sheer Terror). Il mood me- attacca con un riff preso a prestito dell’elettronica e il suono vira co- lodrammatico e spesse volte sopra dagli AC / DC; Black Bananas e Ni- stantemente verso un progressivo le righe da una parte e un alternar- ghtmare And Mane sono gli episo- sgretolamento ambient. Ad improv- si dolceamaro dall’altra dominano di più street rock’n roll; Dude Love visare sono Luca Sciarratta (chitar- l’album, teso continuamente tra farebbe impallidire anche i Motley ra preparata, oggetti) e Dario San- esplosione ed implosione, buio e Crue vagamente decenti degli inizi, filippo, noto anche come Tirriddiliu, intermittenti lampi di luce, come se prima cioè che Tommy Lee si rinco- (live electronics). (6.5/10) la Nostra cercasse una via di mez- glionisse con Pamela. Furoreggia Se nella sua trama impenetrabile zo mentre dosa le sue possibilità. al centro la cover di Money Will Roll il suono di L’addimmuru è osti- Se Rose Kemp manterrà quel che Right In dei Mudhoney e si scim- co e affascinante, quello proposto finora promette (lo scarto rispetto miotta anche il trash-metal della dal Canzoniere Sintetico è lette- alla prova precedente è già ampio), bay area con Wo-Wo Din, chiuden- ralmente oltre. Il nome ovviamen- farà ancora parlare di sé. (6.9/10) do poi il disco come fossero gli ZZ te richiama esempi illustri come il Top. Non c’è che dire. Uno spasso Teresa Greco Canzoniere del Lazio e l’improv- dalla prima all’ultima canzone. Un visazione stampata sul cdr sposa lavoro che non ha nessuna prete- RTX – Western Xterminator un’anarchia senza compromessi sa e non mostra la minima voglia di (Drag City / Wide, 20 marzo che sfocia spesso nella pantomima elevarsi oltre il circuito dei bikers e 2 0 0 7 ) teatrale. Nel mucchio selvaggio in di quanti, nella rustica e antiquata L’intero progetto RTX di Jennifer questione ritroviamo Tirriddiliu, af- provincia americana, si scolano li- Herrema è una cazzata. Una caz- fiancato da Antonio Mainenti, Ma- tri di budweiser al bancone del bar zata di cui lei è perfettamente a nuela Barile e Rinus Van Alebeek. sotto casa. Quelli che ascoltano il conoscenza, e se uno si concentra Diviso in tre parti: “Teufeltanz- rock’n’roll con le cuffie del pc e la quel minimo gli può riuscire anche masken”, “Del porco non si butta cravatta bene annodata passino ol- di vederla sghignazzare leggendo mai niente” e “Caveau” ii disco è tre, gli altri la prendano per quello le stroncature e le critiche che ar- assemblato con canti d’avanguar- che è. ( ) riveranno puntuali anche con We- 6.0/10 dia, rumori d’ambiente, filastrocche stern Xterminator. Gli RTX sono la Antonello Comunale tradizionali, strumenti improbabili,

6 2 s e n t i r e a s c o l t a r e turn it on

Rhys Chatham – A Crimson Grail for 400 Electric Guitars (Table of the Elements / Wide, 23 gennaio 2007) Da vent’anni residente in Francia, Rhys Chatham è stato ampiamente va- lorizzato dalla terra che l’ha accolto, non ultimo quando nel 2005 la città di Parigi gli ha commissionato un’opera da eseguire in occasione della Notte Bianca, ottenendo in risposta un tour de force chitarristico per quat- trocento elementi. L’esecuzione, durata dodici ore, si è svolta all’interno della Basilica del Sacro Cuore, suscitando entusiasmi fra le migliaia di persone presenti. La Table of the Elements pubblica ora un disco che di quella montagna di musica seleziona cinquantasei minuti. La versione di A Crimson Grail che ci perviene è composta da tre mo- vimenti che per comodità mettiamo allo specchio con ciò che l’artista ha realizzato negli anni Ottanta (quando rappresentò la controparte di Glenn Branca in quella terra di mezzo fra la no-wave e il neominimalismo): co- stante il senso di trance trasmesso, diverse le modalità per ottenerlo. Se in Die Donnergötter o An Angel Moves Too Fast To See il mezzo erano chitarre echeggianti il cui suono rimaneva interno a un certo sinfonismo noisy che spesso si è espresso in frangenti avant-rock, A Crimson Grail ci presenta un unico mastodontico flusso, una massa indistinguibile che non si faticherebbe a credere frutto di tastiere e diavolerie elettroniche, anziché dello strumento principe della musica rock. Quattrocento chitarre elettriche che cozzano e si sovrappongono, espan- dendosi come rigagnoli fra muri e spazi di una delle più grandi chiese d’Europa, rimbalzando e curvandosi in un labirinto di riflessi che trova apice nei suoni mastodontici del terzo movimento, a un passo dai Popol Vuh di In Den Gärten Pharaos, mentre nei tratti più placidi (l’inizio del secondo movimento) mostra parentele con il lato più onirico del suono Kranky. Ferma restando la qualità eccelsa del disco, ci auguriamo che Chatham si adoperi per pubblicare un relativo dvd, permettendoci di sommare al tutto le suggestioni visive della splendida chiesa parigina (7.5/10). Federico Romagnoli

s e n t i r e a s c o l t a r e   umori di Sicilia. Oltre lo sberlef- verso l’alto. Ci sono margini per In Focus gioca con l’ambientale su fo avanguardista e l’etnocuriosità una crescita, ma nondimeno non modulazioni di frequenza semise- d’accatto con “un passo nel futu- possiamo escludere una appiatti- rie, che sono un’altra caratteristica ro della musica folk e tradizionale, mento futuro, se Sam non partirà nota del duo. Per l’80% buona emu- quel passo che si può permettere dalla scrittura ma dalla sua sovra- lazione, per il restante un disco di solamente chi ha assimilato, chi è struttura. Ma il senno di poi lo use- indietronica più che buono, con un nato in un dato contesto dove gli remo… poi. (6.7/10) gioiellino come Cousteau, suonato antropologi non esistono e neanche Gaspare Caliri tra suoni caldi e cartilaginosi dal gli etnoturisti alla ricerca della dan- grande intarsio (complice l’arpeggio za perduta”. Sud e magia. (6.8/10) dell’amico Max Fey), e con quella Springintgut - Park And Ride Precastor dagli smalti suadenti su Antonello Comunale (City Centre Offices / Wide, 2 tela noir post-Portishead dal gran marzo 2007) gioco d’angoli (grazie alla cantan- Sj Esau – Wrong Faced Cat Feed Andreas Otto, classe ’80, è cre- te giapponese Kazumi), l’album ha Collapse (Anticon / Goodfellas, sciuto con una passione viscerale un unico, piccolo difetto: l’assenza 13 marzo 2007) per i Mouse On Mars. Dopo averli di creatività del suo autore. Otto si La Anticon si dà alla folktronica? sentiti per la prima volta la sua vita muove per schemi strabazzicati ma Comprensibile stupore dipinge le è cambiata: si è tuffato nei cultural dal sicuro effetto. Pertanto ci au- attese dedicate a Wrong Faced studies all’Università di Lüneburg guriamo di trovarlo accanto a una Cat Feed Collapse di Sj Esau, (vicino a Amburgo) e in quella sede metà creativa a rompergli le uova alias Sam Wisternoff, il quale pro- ha gettato cuore e anima oltre gli nel paniere in futuro, un sicuro pone un disco di registrazioni casa- ostacoli della vita, componendo ore antidoto d’effetto a cotanta e pro- linghe avvenute tra il 2003 e il 2004 e ore di musica elettronica. Ha im- fessionale impersonalità …e con e pone, va detto, qualche problema parato a suonare pure la batteria e questo siamo all’ennesimo disco di interpretazione critica, date alla il violoncello in quel periodo e so- City Centre Offices che stronco. mano, soprattutto. In realtà si tratta prattutto, grazie a un’ambizione e Quand’è che l’etichetta si deciderà di un disco già uscito nel 2005 per un metodo tutto teutonico, ha aper- ad osare? (5.0/10) la Fooltribe/Enormous Corpse, ora to un’etichetta personale, la Pin- ristampato su Anticon, appunto. gpung - una sorta di Sonig neanche Edoardo Bridda C’è folktronica più o meno conven- a dirlo - con la quale ha prodotto zionale, ma anche accenni di post- i lavori di Peter Presto, Vanishing Ted Leo And The Pharmacist – rock, specie nelle piccole dosi dei Breed e Mister Tingle. Living With The Living (Touch passaggi interni alle canzoni, come Nel 2004, sotto il nome di Springin- And Go / Wide, 20 marzo 2007) succede ai connettivi linguistici. Si tgut (ovvero il nome di una via di C’è dell’agit-prop negli Stati Uniti. ascolti Cat Track (He Has No Bal- Lüneburg), è uscito allo scoperto Ci crede la Touch & Go, che pub- ls) per un esempio chiarificatore: con Posten 90 e la sua biografia blica questo nuovo lavoro di Ted si passa dai Tunng agli Akron/Fa- pre-Park And Ride potrebbe con- Leo - fratello di Chris dei Van Pelt, mily, ma anche ai Silver Mt. Zion cludersi qui: con l’assunzione allo deciso a esternare la propria voce (presenti anche in Geography e Stein Institute di Amsterdam, una del dissenso, dopo un passato da Queezy Beliefs), e piuttosto bene. manciata di collaborazioni a musi- punk-rocker - e dei suoi farmacisti. Il circo dei riferimenti potrebbe pro- che per film e una pugno di date Living With The Living vive di un seguire il suo spettacolo, e con- di spalla a F.S. Blumm, The Books rock prolisso palpabilmente atten- vocherebbe anche Pajo, nelle sue e - ovviamente - i paladini senza i to all’arrangiamento (lontano dal varie trasformazioni (I Got A Bad). quali non sarebbe arrivato fin qui, i punk), che nei momenti migliori Tra i due pezzi più lenti, Wears Mouse On Mars. avvicina il contrappunto dei Televi- The Control è poi una riuscitissima Guarda caso, è proprio Jan St. Wer- sion, soprattutto negli incastri me- ballata dalle movenze eteree che ner a elogiare Park And Ride, re- lodici basso-chitarra (The Songs Of confonde il sibilo della steel con gistrato per metà in un bosco e per i timidi squittii (in secondo piano) l’altra in giro in bici per Amsterdam. dei synth – non troppo lontani da “What an album!” ha detto l’illustre quelli dell’EML 200 di Ravenstine, pluridecorato elettronico. Certo, ai tempi dei primi Pere Ubu. L’al- “What a Mouse On Mars album!”, gli tro è la canzone di commiato - Lazy rispondiamo idealmente, perché se Eye - folk più tradizionale, con tan- Day Off se la batte tra ritmiche Warp to di violino e passo lento e arido, e l’elettronica pelosa e bofonchiata come nel deserto, ma una cantilena à la Iahora Tahiti, Colossos scio- riuscita solo in parte, che incrina rina il sincopato di casa Sonig per parzialmente la fiducia, proprio sul una IDM in barrique, Whistleblow finire. Biker potrebbe benissimo costitui- Se c’è spazio per un “tutto somma- re un’outtake di Audioditaker (con to”, dunque, è sicuramente pollice complimenti annessi), e Everything

6 4 s e n t i r e a s c o l t a r e turn it on

The Trees Community – The Christ Tree (Dark Holler/ Hand / Eye, febbraio 2007) Timothy Renner, personaggio sui generis di cui parliamo in altra parte del giornale, ha finalmente trovato il suo personale Sacro Graal. L’uomo di Stone Breath e Dark Holler è dunque giunto a completare l’opera di re- stauro di un vero culto underground anni ’70: i Trees. Spesso confusi con gli omologhi inglesi, i Trees di cui parliamo qui erano una vera è propria comune di cristianesimo militante. Un tipico sottoprodotto della cultura americana degli anni settanta. Se l’incredibile esplosione popolare del- l’esoterismo e dell’occulto produceva in quegli anni un proliferare di sette sataniche, con l’aggiunta di fenomeni pop come L’esorcista, si registrava un enfatizzazione anche sull’altro fronte. Quello delle “forze del bene”, per intenderci. I predicatori e il radicamento della chiesa, i venditori porta a porta del sacro verbo del Cristo in comode edizione tascabili della Sacra Bibbia, per non contare tutto il marketing delle guarigioni miracolose. Come direbbe qualcuno certamente più avveduto del sottoscritto: “Chiunque credeva di poter parlare con il Signore dandogli del tu”. La comunità dei Trees si integrava in tutto questo, suonando un po’ come dei trovatori alla corte di Gesù sulla scorta di una ri- cerca musicale e una meticolosità nelle proprie forme espressive, lontana anni luce dai boy-scouts che cantano nella parrocchia sotto casa vostra. Come testimoniano loro stessi nelle note di copertina di questo ponderoso box: “The Christ Tree, our musical meditation, grew out of our search for truth and was built on our common, monastic life. At first music played through us in complete surprise, as sounds from all over the world came to us in prayer”. Il risultato di questo loro percorso verso l’illuminazione sfocia in un super crossover folkloristico, che abbraccia elementi e frammenti musicali agli antipodi e li unisce sotto un’unica visione. Nella musica della Trees Community si avvertono “canti balinesi, musiche per arpe venezuelane, raga indiani, ritmi africani, gong ritualisci tibetani, musica folk americana, campane messicane”, con un armamentario strumentale che prevede l’impiego di 80 diversi strumenti acustici. E’ superfluo mettersi a ragionare su quanto questa musica preceda il folk con- temporaneo e finanche certe sortite etnologiche di marca Sun City Girls. Musica senza tempo e latitudine, che sembra arrivare come un raggio direttamente dalla provvidenza divina e che trasformerebbe anche uno come Charles Manson, nella più convinta pecorella del gregge cristiano. Il box compilativo, predisposto da Renner con tutto l’amore del caso, passa in rassegna tutto lo scibile del gruppo, a partire da The Christ Tree, loro disco del 1975 con l’aggiunta della rarissima cassetta, A Portrait of Jesus Christ in Music e di due performance live. Gloria al Signore, andate in pace. (7.5/10) Antonello Comunale

s e n t i r e a s c o l t a r e 6 5 Cain, con un breve assolo da cui il suo 2007 c’è il debutto di questo tano dalla verità quando afferma manca – purtroppo – la carica liser- quintetto di L.A., noto fino a poco che , debutto degli gica di Verlaine). Army Bound è una tempo fa come Brokedown e co- Horrors – nome azzeccatissimo per canzone ben costruita e piacevol- stretto a cambiare ragione sociale cinque ventenni emaciati e sche- mente orecchiabile che ci permette per via di un’omonima band di Chi- letrici, con un look tragicomico fra di individuare nella sua marcetta cago. Aldilà di queste oscure con- Jesus & Mary Chain e la Famiglia new-wave di sicuro effetto (come troversie, tutto il resto per i Broken Addams – è probabilmente il disco in Colleen), nella percussività de- West è chiaro come il sole (della più estremo uscito in Inghilterra da gli scambi e nel traino della voce i California, ovviamente): già dall’at- un po’ di tempo a questa parte. type di queste canzoni. tacco scatenato di On The Bubble, Altro che chitarre e melodie tirate Leo vorrebbe forse ancora sele- I Can’t Go On, I’ll Go On mette sul a lucido (Kaiser Chiefs), altro che zionare come padri putativi i Jam tavolo una formula rock-pop classi- produzioni ammiccanti al dancefloor – Paul Weller in particolare –, il ca e di ampio respiro, semplice ed (Bloc Party, Klaxons), piuttosto punk bacchettone di Billy Bragg, i efficace nella sua freschezza tipi- vagonate di trash e garage di scuo- sempiterni Clash (c’è anche il rock- camente sixties. Detto ciò, facile la Nuggets (la seminale raccolta di steady di The Unwanted Things); dedurre i numi tutelari del caso: dai singoli anni ’60 redatta da Lenny ma ciò che convince maggiormente Byrds (You Can Buld An Island) ai Kaye), sposato all’iconoclastia dei è l’accostamento ironico ai Pearl Beatles, dai Big Star (Shiftee) ai Birthday Party, della No Wave più Jam, a parità di convinzione nella Kinks (Baby On My Arm), da Dylan incompromissoria e dell’ovvio punk & The Band (Like A Light) ai Tee- (quello beffardo di Fall e Dead nage Fanclub, fino ai troppo presto Kennedys, quello cartoonistico di dimenticati Cotton Mather (se c’è Cramps e Stranglers). Roba in cui qualcuno tra di voi che tiene cara- uno come Simon Reynolds inzuppe- mente conservata la sua copia di rebbe volentieri il pane, insomma. Kon Tiki credendo di essere rima- Da Sheena is A Parasite (singolo- sto l’ultimo sulla Terra, sappia che manifesto che aprì le danze poco non è solo). meno di un anno fa) alla cover di E se i Wilco di mezzo - quelli pop- Jack The Ripper di Link Wray (il py di , per capirci Summerteeth John Cale di Heartbreak Hotel + - rischiano di essere un’influenza Jim Morrison + i primi Joy Division a volte troppo ingombrante, dal- + … fate voi) è tutto un profluvio di la loro Ross Flournoy e compari chitarre dissonanti e urticanti, ritmi hanno una grinta e una propensio- tribali, urla frenetiche e demenzia- ne alla melodia non indifferenti (fra li, organetti distorti e impazziti fra schitarrate , stomp Motown, Stones beat e Suicide. Dovendo sceglie- forza generazionale della musica. accelerazioni e cambi di registro, ci re una traccia su tutte, diremmo lo Dà fastidio l’onnipresenza della sono ritornelli di quelli che restano strumentale Gil Sleeping (irresisti- voce, reputata necessaria in fun- appiccicati in testa per giorni, ga- bile e sgangherato come un film di zione della foga di denuncia, ma rantito). Poi beh, c’è una scaletta Ed Wood), e anche il recente sin- disgraziatamente diretta troppo che non ha reali punti deboli. Basta golo Gloves (con un finale degni spesso verso i vocalizzi di Bon Jovi per fare di questo disco il miglior dei Pulp più allucinati) si difende – il che, non si tema a dirlo, va auspicio possibile per l’indie pop- bene; e pure se l’incipit di Excellent male. Si salvano melodie meno so- rock a venire? Diciamo di sì, e con Choice è talmente Mark E Smith da fisticate (The Lost Brigade) e idee gli Shins ai piani alti della classifi- rasentare la vergogna, l’impianto più incisive (Bomb.Repeat.Bomb) - ca U.S.A. non è difficile immagina- regge senza grossi problemi. Ora, forse perché meno riflesse. Ma una re un futuro roseo anche per questi dove sta il trucco? Sicuramente nel manciata di buoni brani non salva ragazzi. Bene così. (7.2/10) fiuto del buon Oldham (che non a l’insieme. Antonio Puglia caso è stato per sette anni redatto- Aldilà del gusto, che è personale e re del NME..), oltre che dei produ- non dovrebbe pervadere il giudizio The Horrors – Strange House cer di turno - fra Nick Zinner (Yeah di una recensione, si ha la perce- (Loog / Polydor / Universal, 5 Yeah Yeahs) e Ben Hillier (Futu- zione di un parziale spreco di ener- marzo 2007) reheads), fa capolino un insospet- gie. Una risicata sufficienza non Lo ammettiamo: a giudicare da tabile Jim Sclavunos (cui fanno andrebbe bene a nessuno. Meglio come questi ragazzi si presenta- eco, tra i fan vip, Jarvis Cocker e un (5.8/10). vano sulle pagine di NME qualche Bobby Gillespie). O forse il punto è Gaspare Caliri mese fa, non ci aspettavamo niente che il trip nella casa dei fantasmi The Broken West – I Can’t del genere. Il boss della Loog Ja- degli Horrors è tanto lercio quanto Go On, I’ll Go On (Merge, 23 mes Oldham (il discografico del patinato (come le cover dei maga- gennaio 2007) momento, già “padrino” dell’ultimo zine dove abitualmente spadroneg- Tra le uscite con cui la Merge apre Patrick Wolf) non va troppo lon- giano). Insomma, se qualcuno era

  s e n t i r e a s c o l t a r e in cerca di un altro fenomeno che The Ponys – Turn The Lights sull’ossessivo cantilenare di una smuovesse le acque e rimettesse Out (Matador / Self, 20 marzo tastiera vintage; Pickpocket Song un po’ le cose in gioco, voilà, ec- 2 0 0 7 ) una lunga cavalcata hard che si colo qui. La sensazione è pronta ad Piccoli culti crescono. The Ponys impenna nella poderosa coda tutta essere divorata e cannibalizzata. approdano su Matador ma, ed è organo farfisa e fuzzbox. (6.7/10) Dobbiamo forse prepararci a una bene dirlo subito, restano a tutti Vincenzo Santarcangelo nuova ondata garage made in UK, gli effetti un gruppo In The Red: fatta di giovanotti armati di chitar- bastano pochi secondi dell’iniziale The Rakes – re e tastiere cheap, con corredo di Double Vision a stornare eventuali (V2, 19 marzo 2007) cerone, lacca e mascara? Ma certo timori. Una novità degna di nota sta Ritornano in città i Rakes, non più che sì… (6.9/10) piuttosto nel constatare che Turn sotto l’ombrello dei Franz Ferdi- Antonio Puglia The Lights Out sacrifica quella fit- nand e Bloc Party ma forti di nuove ta coltre di atmosfere eighties che amicizie che promettono emancipa- The National Lights - The Dead aveva saputo generare Celebration zione e prospettive. Certo, lo sa- Will Walk, Dear (BloodShake, Castle, ripetuti tentativi di compor- pevano loro per primi che con 22 27 febbraio 2007) re il brano new wave nel pieno della Grand Job (o il punk berlinese di The National Lights, da Richmond, new wave reinassance. Strasbourg) sarebbero rimasti soli Virginia, sono la creatura di Jacob Gli Ottanta restano ancora nella in piazza. Loro e quella marea di Thomas Berns, cantante e autore voce di Gummere ed in una certa ragazzini alla moda con il cravat- di tutti i pezzi in scaletta. Assieme sensibilità di fondo, ma la lancet- tino rimasto impigliato nelle porte a lui Ernest Christian Kiehne, com- ta della macchina del tempo resta di una metro in corsa. Albione si pagno di ventura anche nella band stavolta ben puntata sui due de- muove veloce e per il 2007 vuole parallela The Bland Allisons, e cenni precedenti. Chitarre sporche le grandi produzioni, e se non sei Sonya Marya Cotton (già con Kieh- d’ispirazione Velvet Underground Pete Doherty, il basso metallico ne nei Sonya Cotton). Malgrado e Television a disegnare melodie e l’amfetamina non contano più. I questo The Dead Will Walk, Dear volutamente imperfette e aperture Rakes non hanno bisogno di chie- sia il loro debutto, le idee appaiono space alla Hawkwind: questi gli derlo a Ricky Wilson per saperlo, ben chiare: rivestire le dieci tracce ingredienti primari della saga di un vogliono innanzitutto maturità e per di una patina cremosa (di organo, questo si sono organizzati: con Jim banjo, chitarra acustica, E-bow, Abiss (Arctic Monkeys, Kasabian) steel guitar più il trepido contro- e Brendan Lynch (Primal Scream, canto di Sonya) che gli consenta Paul Weller) in produzione, hanno d’imboccare un pertugio tra certo pulito, addensato e bilanciato un lirismo etereo Low e la deriva so- sequel maggiormente strutturato, gnante dei Mojave 3. tenendolo ad ogni modo sul filo di La missione può dirsi sostanzial- quello stile e quella strada che poi mente riuscita. Del resto, le can- sono il cuore della faccenda. zoni fanno davvero al caso. At- I nuovi messaggi sono pastiglie tagliate. Su misura. Mezz’ora di wave a retrogusto teutonico (noir sciroppo dolceagro lenitivo e ip- per quanto possibile), più composti notico. Slowcore diluito in una so- e per questo meno debitori delle spensione inerte (prendete i caldi mossette spastiche di Ian Curtis. baluginii della title track o l’inquie- The World Was a Mess But His Hair tudine angelicata di Midwest Town). Was Perfect aggancia con il pas- Al più accadono sporadiche sclero- revival coscienzioso che sa aprirsi, sato angular, ma una detonazione si nel tessuto, come le increspa- nel celebrare i propri fasti, ad ulte- prima trattenuta non verrà mai ri- ture acidule di chitarre ed E-bow riori suggestioni. lasciata: è un buon sentiero, al po- in Swimming The Swamp e Killing E’un gruppo ben affondato nell’indie sto delle pose punk à la The Guilt Swallow. Ma la sensazione è che americano degli anni ’90, ad esem- troviamo un aplomb narrativo più tutto accada in una specie di sac- pio, quello dei Ponys: lo si percepi- Liverpool che Manchester, vocaliz- co amniotico dove anche le migliori sce chiaramente nell’atteggiamento zi più romantici e una coolness non intuizioni (l’evocativa O, Ohio) si slacker della perla Pavementiana troppo ostentata. Nel caso di Little limitano a galleggiare. Insomma, di Shine e nel consueto tributo ai So- Superstitions il gioco funziona, ma brividi – a dispetto dell’irrequietez- nic Youth di Poser Psychotic. Ma da altre parti la scrittura trabal- za “gothic” dei testi - ne arrivano il meglio stavolta, viene al fondo: la (il singolo We Danced Together pochi. Viene da pensare che que- come novelli Oneida, The Ponys dal ritornello banalotto, Suspicious sto disco sia un ruttino NAM fuori non si spaventano di farsi amma- Eyes con l’espediente rappato). tempo massimo: piacevole, poco liare anche dalla nenia proteifor- Convince al contrario il riciclaggio importante. (5.8/10) me del kraut: Maybe I’ll Try è un creativo a base di riff Franz Fer- Stefano Solventi perfetto psych-rock che si sviluppa dinand e controriff Arctic Monkeys

s e n t i r e a s c o l t a r e 6 7 di Trouble, complice freschezza e città canadese. Visti i nomi coinvol- It Comes Again - in cui rivela di un grande interplay chitarristico. ti nell’operazione le aspettative su inseguire il fantasma di Nico - , E molti difetti infatti si coprono in The Besnard Lakes Are The Dark Hands Up To The Ceiling, By Pic- fase d’arrangiamento, con la firma Horse erano decisamente alte ed in cadilly Station…), tocchi di techno, di produzione in costante switch parte sono state rispettate, anche house, dance-pop fine ’70/primi ’80 crudo/morbido. Il merito è di Jim se l’album non è certo quel master- (il singolo It’s All True), una ripre- Abiss, uno bravo, in grado di far gi- piece che in molti si attendevano, sa-omaggio di Get Around To It di rare il mulino anche quando si ma- ad iniziare dai responsabili della Arthur Russell in odore di world cina poco (Down With Moonlight), Jagjaguwar che hanno messo sot- eniana e battiti assortiti Talking oppure quando le sementi sono to contratto la band sul finire dello Heads (con il sax nervoso di Gabe quelle dei Police (When Tom Crui- scorso anno, all’indomani di una dei Rapture), una finta cover synth- bella performance live al Pop Festi- pop stile Scritti Politti (Raise The val di Montreal. Disco svelto e con- Roof) e più di un occhio ai dance- ciliante (otto pezzi per quarantacin- floor. L’album oscilla quindi tra pas- que minuti scarsi di musica), The sato e presente, nostalgie eighties Besnard Lakes Are The Dark Horse e sguardi ai ’90 e all’oggi, grazie vive i suoi momenti migliori quando a una produzione accorta, per un i toni si fanno più intimi e crepu- risultato che non è mai sopra le ri- scolari, quando archi e pianoforte ghe e raggiunge il suo obiettivo: un prendono il sopravvento sulle chi- crossover che tiene il tempo con tarre disegnando traiettorie narco/ stile. (7.0/10) pop di pregevole fattura (le bellis- Teresa Greco sime Disaster, For Agent 13 e Ride The Rails) ipotizzando una sorta di Tre Allegri Ragazzi Morti – La se Cries) …e c’è poco da cantarci collisione tra certi Pink Floyd ed i seconda rivoluzione sessuale su (se non un tentativo di prosa à padroni di casa Arcade Fire. Meno (La Tempesta / Venus, 14 la Curtis). Sempre in produzione, eccitanti, anche se strutturalmente febbraio 2007) s’apprezzano gli inserti elettroni- ed emozionalmente efficaci, epi- “El Tofo Grand Hotel” riapre i bat- ci: minimi ma perfetti per tingere le sodi come Because Tonight e De- tenti dopo tre anni dall’ultimo Il so- trame londinesi tra cielo e cemen- vastation, lunghe suite di matrice gno del gorilla bianco, chiamando to. Accade anche in Leave The City psichedelica che strizzano l’occhio a raccolta i colleghi “Ragazzi Morti” and Come Home dove finalmente agli Spiritualized ed a certe forma- Enrico Moltheni e Luca Masseroni. voce, testo e arrangiamenti lievi- zione di area space rock/shoegaze Cinque dischi all’attivo per la for- tano e catturano. È questa la trac- ricalcandone le orme in maniera sin mazione di Pordenone, più di dieci cia più bella (assieme all’opener), troppo calligrafica. anni spesi ad affinare un punk’n’roll una ballad con smalti Mercury Rev Per il momento accontentiamoci, nato grezzo e naïf come pochi ma che si ricorda, forte persino di uno certi che l’evidente talento della capace di creare proseliti istanta- slaking à la Damon Albarn (ci cre- band canadese potrebbe in un futu- neamente. Con La seconda rivolu- dereste? In effetti c’era pure nella ro prossimo rivelarsi in tutto il suo zione sessuale ci si ritrova a baz- precedente e bella Time To Stop splendore. (6.7/10) zicare – di nuovo, e a dirla tutta con Talking). Il vestito non è tutto, ma Stefano Renzi un certo piacere - tra le ruvidezze non darei i ragazzi per spacciati. degli esordi, nonostante l’ultimo Stanno crescendo. (6.5/10) Tracey Thorn – Out Of The episodio discografico del gruppo Edoardo Bridda Woods (Virgin / EMI, 5 marzo avesse propagandato un suono più 2 0 0 7 ) strutturato, apparentemente frut- The Besnard Lakes – The Una lunga carriera alle spalle, ini- to di un passaggio definitivo verso Besnard Lakes Are The Dark ziata nei primi ’80 insieme a Ben la maturità. Una necessità più che Horse (Jagjaguwar / Wide 20 Watt nel duo Everything But The una scelta, dettata dalla voglia di febbraio 2007) Girl e proseguita in modo variegato ritornare a quell’immediatezza e a Per il secondo album in studio dei sino ad oggi; ora Tracey approda al quella lucidità evidentemente par- The Besnard Lakes si sono dati secondo album da solista, a più di te integrante del DNA della band, appuntamento alcuni dei nomi più vent’anni dal primo, l’acustico mini che forse era mancata al penultimo importanti della scena musicale di A Distant Shore (1982). Out Of disco. Per farlo Davide Toffolo e la Montreal, come George Donoso dei The Woods è una summa del suo sua cricca riabbracciano l’età del- The Dears, Chris Seligman degli elettro-pop d’autore, e vede la col- l’innocenza – l’amata adolescen- Stars, Sophie Trudeau dei Silver laborazione del produttore Ewan za – decantandone le pulsioni e le Mt. Zion e Jonathan Cummins dei Pearson, con cui ha co-scritto la scoperte in Salamandra, le conflit- Bionic, a testimonianza della viva- maggior parte del disco, e nume- tualità e la disillusione in La poesia cità e della complicità che anima rosi ospiti. Ci sono dunque le bal- e la merce, il gap di relazionalità i musicisti di questa meravigliosa lad melanconiche (l’intensa Here in Come ti chiami: una dimensione

6 8 s e n t i r e a s c o l t a r e universale in cui anche le chitarre tuto sprecarsi, osare di più: anzi, menti, dalla loro assenza, dall’uso acustiche e le voci sguaiate de Il il tutto tiene e la formula dimostra del basso che pulsa come un cuore mondo prima o il tiro irresistibile di funzionare fino in fondo. L’ultimo in aritmia, dall’impiego parsimonio- di Allegria senza fine - un inno al consiglio infine è di non perdersi i so dei gingilli più frequentati (i Múm rock’n’roll in puro stile TARM – tro- Trencher ad aprile nelle due sole in No Error In My Memory). In fon- vano una precisa collocazione. Tra date italiane del loro tour (il 5 a Li- do c’è Tuijko. Il vortice più temibi- le dodici tracce del disco c’è spa- vorno, il 6 a Trieste). (7.0/10) le. Il nettare più innocente. Dolce, zio anche per la cover di My Little Roberto Canella inesorabile, confortevole tela buca- Brother degli Art Brut, che grazie ta. Basterebbe questo ma in coda alle chitarre degli Zen Circus, al c’è In A Chinese Restaurant: base Tuijko Noriko – Solo (Mego basso del superospite Brian Ri- breakbeat e soffice elettronica flip- Editions, febbraio 2007) tchie (Violent Femmes) e all’ita- per Mouse On Mars. Pure house Il sostrato amniotico delle musiche lianizzazione ad effetto di Toffolo in un tratto, e soprattutto una voce ricorda tanto Niobe (Ending Kiss) si trasforma nella grintosa Mio fra- che riacquista una sensualità che quanto la Bjork omogenica (Magic, tellino ha scoperto il rock ‘n’ roll. pareva non esser di casa in una Sun!). L’anima delle canzoni inve- Degna quanto esaltante conclusio- melodia tranchant per un Giappone ce, secondo l’autrice, sta nel “pren- ne di un disco che dimostra come il d’export. Come dire: il sogno e la dersi la libertà di un party da soli, tempo, a volte, possa trascorrere in plastica. Ognuno ritorni a coltivare fuori da tutto e da tutti”. La verità senso inverso. (7.2/10) il proprio giardino zen. (7.5/10) è da queste parti, tra gli smalti del Fabrizio Zampighi Giappone tradizionale innestato Edoardo Bridda delle fragranze ritmiche del post- Yoko Ono - Yes, I’m A Witch Trencher – Lips (Southern, Warp. Nelle pieghe di un’indietro- (Astralwerks-Virgin / EMI, 6 2 0 0 6 ) nica suonata quanto processata. f e b b r a i o 2 0 0 7 ) Ci pensa la Southern a puntare i ri- D’immagini molli, smalti avvolgenti, Prendete sedici pezzi dal controver- flettori sui Trencher, gruppo inglese concretismi new age, origami elet- so catalogo Ono, dateli in mano ad che finora si era speso nella solita tronici. La verità è fatta di gassose altrettanti artisti scelti personalmen- pletora di split, pezzi su compila- assenze. Di tepori in loop. te da lei medesima, e avrete questo tion e un album con un titolo che È buona e infinita come Drake e, Yes I ‘m A Witch, un po’ auto-tributo era tutto un programma: When come lui, una zombie bianca, arma- un po’ collection di remix. Figura di Dracula Thinks “Look at Me”. Ori- ta di sola umanità e anemia. Tra- culto, la Ono portatrice sana di un ginale quanto letale collisione Ea- sparente. Come se Tara Jane O’Neil potere declinato al femminile non po- rache/GSL, Carcass in frantumi su fosse nata in Giappone (un ponte? teva non ispirare le riot girls di più di una colonna sonora dei film horror La chitarra in Ending Kiss e Gift di- una generazione, ed ecco prevedibil- della Hammer, Lips si lascia tran- ritta verso Chicago). E se le lenti mente Peaches rivedere l’orgasmica quillamente alle spalle la maggior deformi dell’interfaccia culturale Kiss Kiss Kiss (da Double Fantasy) parte dei gruppi estremi di oggi. potrebbero ingannarci, quel dream in versione electro e Le Tigre Si- Ad un primo ascolto si potrebbe pop usato a mo’ d’ombrello per pa- ster O Sisters (dal manifesto politico pensare subito al metal estremo, rarsi l’anima svela l’infinita tristez- con Lennon, Sometime In New York urla straziate su tempi tritaossa, za che s’agita in Solo, che appunto City), qui in salsa elettro-funk, men- eppure basta addentrarsi un po’ è un album tutt’altro che plumbeo. tre una dimessa Cat Power appare di più in questo suono per scopri- Non si praticano effetti speciali per nei backing vocals della malinconi- re magari non lo Zorn di Painkiller svelare il vuoto, anzi a tratti si bal- ca Revelation; Jason Pierce (Spi- ma quantomeno i primi Fantomas la persino, o perlomeno si muove ritualized) stravolge psicoticamente e, poco più in là, i VSS. Loro lo la testa. Lentamente. Il profondo si Walking On Thin Ice, mentre Antony chiamano “casio grind” che è an- scava la via ascolto dopo ascolto. (conHahn Rowe) drammatizza Toy cora meglio. Ci troviamo così alle E prima o poi ci s’arriva. Disarmati Boat che finisce in una coda evoca- prese con un incrocio fra ferocia e dalla accuratezza degli arrangia- tiva, tra linee di piano e violini. E i ironia che si snoda con una coe- Flaming Lips rivedono la Cambrid- renza invidiabile in pezzi che sono ge 1969 di John e Yoko, qui rivestita schegge, piccole gemme infuocate: da un muro di suono e fatta suonare dai due minuti e poco più di Night- come una melodia colemaniana, per mares on Crack St. e Mouth to Anus usare le parole di Wayne Coyne. Al- fino agli incalzanti deliri di All That trove non tutto è allo stesso livello; Blood and No Pain?, In Reverence in sostanza, risultati alterni per un e Lips Like Suicide. album che fa soprattutto emergere Il tutto arriva a malapena ai ven- la Ono, accrescendo la consapevo- ticinque minuti di durata, eppure lezza della sua incisività per la sce- l’impressione per una volta non è na trasversale nel corso degli ultimi quella di essere stati derubati, col trent’anni, se non di più. (6.7/10) dubbio che il gruppo avrebbe po- Teresa Greco

s e n t i r e a s c o l t a r e 6 9 Backyard

e fecero emergere i con Trance Away (Karaoke Of Cosmos)). il lavoro che forse più è loro riusci- Il brano era composto di pochi ele- to. Ecco che allora in questi album, menti, ma non di certo lo si poteva riscoperti dal pubblico d’Occidente, dire minimalista; il suo sviluppo con- potremmo ritrovare la chiave del stava di una ripetizione anfetamini- passaggio. ca dello stesso riff (e di qualche sua Super Roots 1 (o semplicemente variante) sopra una struttura ritmica Super Roots) inaugurò la serie nel hard-core inossidabile e immutabile 1993, non facendo altro che prose- per più di mezz’ora; pennate simili guire il lavoro di Chocolate Synthe- a quelle dei Bad Brains (amati da tizers, tra trovate “assurdiste”, urla, Eye), o dei Dead Kennedys, propri nonsense e repentine esplosioni di di una canzone punk, tutt’al più pro- senso corporale. Si inizia con dei to-heavy-metal; elementi di nessu- baci (POP KISS); si finisce con una na peculiarità armonica, ma capaci, Boredoms – Super Roots 1-3-5 gara di rutti e urina (USED CD). La così dilatati nel tour de force, di pro- (Warner Japan, ’93-’95 - Cargo / peculiarità, in confronto alle occa- vocare una vera e propria trance e Goodfellas, 2007) sioni precedenti, è però la strettissi- di rendere imprevedibili i pur minimi Per la gioia occidentale dei premu- ma relazione di ritmo, timbri e versi cambi della bi-corde. Sfolgorante la rosi “japa-noisers”, l’inglese Cargo vocali che un brano come Budôkan prova fisica della batterista Yoshimi Records ristampa le prime tre usci- Tape Try (500 Tapes High) riesce a (prima di buttare energie anche nel te (volumi 1, 3 e 5) del ciclo Super intrattenere con le tracce di Meet progetto OOIOO), che ci fa venire Roots dei Boredoms, a distanza The Residents (e di una sua versio- in mente il precedente illustre di di più di due lustri dalla originaria ne hard-core in Machine 3), a riba- Maureen Tucker in Sister Ray - non pubblicazione su Warner Japan. dirne la parentela – e la paternità – troppo lontana da queste vestimen- Pure se a quanto pare seguirà pre- con qualsivoglia soluzione musicale ta hard-core di una dilatazione; e il sto la ristampa della restante parte delle idee patafisiche. (6.0/10) pensiero corre anche a stazionarsi del malloppo (i volumi 2, 6 e 7, che Solo un anno dopo era occorsa una a metà tra la stoica, trascinata e arrivavano al 1999), noi non voglia- piccola svolta. Se il mondo è pata- irregolare Reoccurring Dreams di mo perdere l’occasione di spendere fisico, l’ultramondo è un caos so- Zen Arcade e This Dust Makes That qualche parola sin da adesso. lenne e sublime. In Super Roots Mud, l’esercizio minimale del primo Già allora il gruppo di Osaka (for- 3 (del 1994) i Boredoms tentarono disco dei Liars. (6.9/10) mato dal cantante Yamatsuka Eye, un primo decollo rumorista, una ca- E fu così che, una volta decollati il chitarrista Seiichi Yamamoto e la valcata cosmic-core, o hard-trance, nello spazio, nei sogni (e negli incu- batterista Yoshimi P-We) aveva una se si preferisce, come recita il titolo bi) dei Boredoms comparve Sun Ra. decina d’anni di carriera alle spalle, dell’unica traccia contenuta (Hard Super Roots 5 (1995) – anch’esso e ben due fasi avvalorate - quella composto di una sola traccia (que- pseudo-punk iniziale, quella più da- sta volta di un’ora e passa), Go!!!!! daista verso i metà Novanta. Que- – approdò al suo mistico pan-spa- ste tre uscite, forse a causa della zialismo, precedendo il soul psiche- loro natura di improvvisazione live delico più tardi ricercato da Eye e in presa diretta, furono relegate al soci (o forse dal solo Eye) con un ruolo di semplice divertissement, rumorismo ancestrale non lontano con l’unica responsabilità logisti- dal “giardino” tedesco dei Popol ca di fungere da ponte, da viatico Vuh. Dopo la quiete iniziale, Go!!!!! verso la definitiva svolta, più misti- esplode in fragore cosmico, poi mo- cheggiante, che culminerà nel ca- dulato lentamente, in seguito rie- polavoro Vision Creation Newsom splode, secondo lo sprone di Eye (2000). I Super Roots venivano dopo che dà il titolo al brano, come se il la follia di Chocolate Synthetizers, gruppo avesse seguito la teoria del-

7 0 s e n t i r e a s c o l t a r e l’origine “a bolle” dell’universo, fat- com’erano intorno al blues. O me- ta di tanti big bang successivi; una glio intorno ad una personalissima cacofonia mistica, che una volta per idea di blues. Di quel lotto fecero tutte chiude le porte al punk, dopo il parte per qualche anno e vari album conguaglio del volume 3, per aprirle anche i Chrome Cranks. Newyor- agli Hawkwind – perdendo, insie- chesi d’origine o d’adozione come me alla spregiudicatezza del punk, la maggior parte dei suddetti, que- l’ironia krauta dei Faust e dei Resi- sti reietti infiammarono i palchi di dents, guadagnando la “radiazione mezzo mondo presentandosi come i di fondo” data dal suono delle stel- più credibili eredi di un gruppo che le, dallo stridore del loro passaggio una decina di anni prima aveva ri- nell’atmosfera, dall’eco dei big bang letto il blues in chiave autodistrutti- (7.0/10). Ci accorgiamo, col senno va: i Birthday Party. Fin dal primo di oggi, che le decisioni prese nei pezzo di questa attesa compilation Super Roots risultarono poi irrever- è ben chiaro quello che intendo: il Vi suonava, di mezzo alla decina di sibili. Forse allora non si trattava di boogie indiavolato (citando il titolo chitarre chiamate a eseguire, anche improvvisazioni di poco conto. della raccolta) di Love And Sound, la futura gioventù sonica di Thur- seppur sporco e rumoroso, mantie- Gaspare Caliri ston Moore e Lee Ranaldo, oltre a ne in nuce il verbo blues, la musica David Rosenbloom, tra gli altri, e lo del diavolo (e il cerchio si chiude). Chrome Cranks – Diabolical stesso Branca. In aggiunta, batteria Un blues malato, distorto e viscera- Boogie: Singles, Demos & Rarities e timpani. (Mis)interpretando l’aura le, virato a seconda dei pezzi in for- (1992 B.C.- 1998 A.D.) (Atavistic, di magnifico sfacelo totalizzante ma industrial (Pin-tied), allucinata 23 gennaio 2007) della composizione, non concen- (The Devil Is In Texas) o scheletrica C’è stato un tempo in cui il noise trandosi sul blocco dissonante dei (Safe From The Blade). riusciva a coniugare ai suoi stilemi timbri, dopo averne sentita l’ese- Capitolo a parte poi lo meritano le ogni genere musicale, dal rock al cuzione, John Cage in persona si numerose cover qui presenti, fonda- blues. Erano gli inizi degli anni ‘90 lasciò andare (in una conversazio- mentali per comprendere sia il tor- e sull’onda della sbornia al- ne con Wim Mertons) a un pesante tuoso percorso formativo di questa cuni gruppi – newyorchesi in primis, giudizio sul leader dei Theoretical band, sia la capacità di riscrittura e americani in generale – riuscirono Girls. Cage bollò Branca e la sua interpretazione dei canoni stilistici a far proprie le istanze più oltran- musica come “fascista”, o, per me- originali dei pezzi: da una insospet- ziste e a proporre un suono grezzo, glio dire, come potenzialmente fa- tabile Dog Eat Dog degli AC/DC alla disturbante e fuori fase che prese scista. C’è da chiedersi: ha peso calligrafica ma eterna versione di il generico nome di noise-rock. Tra l’autorità nell’avanguardia, se di Auto Mo-Down dei Devo, passando chitarre affilate come rasoi, ritmiche autorità e avanguardia si può parla- per T-Rex (The Spider), Television piene e voci strozzate/sgozzate era re? Dopo tutto, non lasciare indiffe- (Little Johnny Jewel) e Pere Ubu possibile rintracciare una forma di rente Cage è già motivo di interes- (Street Waves). E se Pete Aaron blues, arcaica e pachidermia, che se. E poi: ogni misinterpretazione è considera col senno di poi la sua sottostava a tutto quel caos appa- un’interpretazione cui tener conto, defunta band come “l’anello di una rente. comunque valida? Se sì, o si taccia catena che va indietro fino alle in- Così gruppi diversi tra di loro come Cage di essersi comportato da re- fluenze detroitiane dei sixties, pro- Unsane e Mule, Surgery e Cop stauratore, il che francamente poco segue attraverso le prime dark band Shoot Cop, oltre ai padrini di tutti, si associa al suo ruolo storico, o di fine ’70 e inizi ’80 e arriva ai Whi- i Pussy Galore di mr. Jon Spencer, si rivede Branca, l’inquietudine te Stripes”, un motivo c’è, ed è con- erano in realtà meno diversi di quel- trasmessa dalla scordatura com- densato in questa raccolta. Per una lo che poteva sembrare, costruiti plessiva della massa chitarristica, volta tanto, non solo per completi- e si fa quadrato – deduttivamente sti. ( ) 6.5/10 – attorno all’incomprensibilità del Stefano Pifferi buco nero post-punk. Così, si pos- sono focalizzare alcune declinazio- Glenn Branca – Indeterminate ni spesso auto-contraddittorie di Activity Of Resultant Masses quella macro-corrente, anche e so- (Atavistic / Goodfellas, gennaio prattutto estetiche – motivo per cui 2007) mi sento di dire che mi piacciono i Dopo Ascension, prima delle Sin- suoni industriali, nonostante siano fonie, Glenn Branca produsse spaventevoli, per esempio. Ma que- nell’1981 una lezione intrisa del sa- sto è un altro discorso. Di certo il pore militaresco del suo “esercito giudizio di Cage va ponderato in re- di chitarre”, che chiamò Indetermi- lazione alla sua arte aleatoria, del nate Activity Of Resultant Masses. tutto lontana, sul piano compositi-

s e n t i r e a s c o l t a r e 7 1 vo, dall’organizzazione scientifica i Silver Apples in vita, forse non dello stridore branchiano. erano mai riusciti ad evitare defini- Il modo migliore per dar conto di tivamente. Una musica fatta di poco questo celebre alterco era pubbli- la loro, eppure così suggestiva. care quella composizione (rimasta Percussioni roteanti ed ipnotiche, inedita da allora) e di allegarle la oscillatori compulsivi oppure imbiz- registrazione dell’intervista suddet- zarriti (utilizzati sia come solisti che ta, per sentire senza intermediari le some semplice “basso continuo”), ragioni del giudizio, e le cose dette ed ancora tracce di trance music, (prima e dopo) la visione generale delicatissimi mandala indianeggian- cageana. La notizia è che proprio ti, pow wow pellerossa, recitativi questo è stato fatto da Atavistic, dimessi ed uterini a mezza voce. Il in un album dal titolo omonimo al contenuto del disco è così riassu- brano che comprende l’incursione mibile: sette complete registrazioni argomentativa di Cage come secon- mente …Her), il Gavin Bryars hi- del 1969 cui si affiancano altri set- da traccia (ricambiata, nel booklet, tchcockiano in The Vespertine Park, te strumentali di Taylor datati 1968 da un intervento in proposito del- il sogno weilliano degli Art Bears, e qualche altra perla, più tarda, a lo stesso Branca). Chiude il disco il recupero di voci della nuova can- queste tracce frammischiata. Gli Harmonic Series Cords (anch’essa zone francese, come Phoebe Kill- intermezzi puramente strumentali inedita), non imprescindibile sinfo- deer e Isabelle Antena e il ricordo sono tutti nominati “noodle” qualco- nia di Branca su commissione ese- anni ‘80 degli indimenticabili Pale sa...ad esempio: Starlight Noodle o guita nel 1989 dalla The New York Fountains. Il bello di questa compi- Fire Ant Noodle. Essi non sono per Chamber Sinfonia. Ognuno calcoli lation sta proprio nella sua capacità nulla inferiori alle canzoni cui fanno se gli basta l’indubbio valore docu- di spaziare tra molti generi e mood, da diversivo. Basti pensare a Can- mentaristico dell’uscita, perché gli riuscendo ad adattarsi a qualsiasi nonball Noodle (potrebbe benissimo venga consigliata. Quel che si può notte e a qualsiasi orecchio, impo- uscire da uno dei primissimi dischi aggiungere è che troverà la carica nendo un rallentamento del ritmo dei Laika) o l’ossessione percus- monolitica di Indeterminate Activi- subliminale, quasi terapeutico. La siva, impastata di dense nebulose ty… simile al brano Ascension, e Azuli conferma con questo disco la ancor più al terzo movimento della sua ‘posizione dominante’ nel mer- Symphony No.1, se già conosce cato downtempo easytronico, con- Branca. Che si tratti di fascismo o fezionando un bijoux adatto a qual- di espressione della modernità, di siasi orecchio che voglia rilassarsi. leziosità o avanguardia, di sicuro (6.4/10) nasce da un’angoscia certa e la fa Marco Braggion perdurare. (7.3/10)

Gaspare Caliri Silver Apples - The Garden (Whirlybird, 1998 / Bully Records, Nouvelle Vague – Presents Late 2006) Night Tales (Azuli / Audioglobe, 6 Simeon Coxe e Dan Taylor. Elet- febbraio 2007) tronica, percussioni e voce solista. Dopo l’inaspettata incursione degli New York è sempre stata terra di Air nel mondo delle compilation, an- “pauperisti estremisti”. Ben un de- che il duo francese viene preso di cennio prima dei Suicide, a dire il elettroniche, in Swamp Noodle (i mira dalla Azuli. Il loro Late Night vero, i Silver Apples seppero perfet- Pere Ubu con più di un un quin- Tales non può che essere costituito tamente condensare, in due soli al- da quegli ingredienti che hanno ca- bum ufficiali - Silver Apples (Kapp, quennio di anticipo). Le canzoni, ratterizzato fin qui il loro percorso 1968) e Contact (Kapp, 1969) - , e affianco cotanta lussureggiante arte musicale: nu-bossa chic, downtem- con tanto di paradosso spazio-tem- instrumental, non sfigurano punto. I po wave, chanson francese e arty porale, quanto di meglio gli anni ‘90 Don’t Care About What The People punk. La torta è divisa in modo qua- post-rock abbiano mai prodotto. Gli Say, che apre gli ascolti, è una su- si perfetto e sulle 21 tracce spicca il Stereolab devono, in termini di ri- perba cavalcata della voce recitante buon gusto dei francesi (testimonia- conoscenza artistica, moltissimo ad su fitte trame di repetizioni electro- to già dalle cover nei loro preceden- un brano quale Oscillations, opener percussive, le quali potrebbero tan- ti album) nella sapiente selezione dell’albo eponimo su Kapp. The Gar- to anticipare il trip hop degli anni degli originali da miscelare per una den, terzo album ufficiale del duo, ‘90 quanto riassumere perfettamen- tranquilla notte di relax. Irresistibili non fece però in tempo a vedere la te la filosofia della psichedelia liser- e imprescindibili: la versione bossa luce all’epoca. Coxe e Taylor furono gico-rumoristica dei Red Crayola. Il di Shirley Horn di And I Love Him per quasi vent’anni risucchiati via resto è davvero tutto da (ri)scoprire. Sedici composizioni stupende, che (nell’originale dei Beatles ovvia- nel vortice di quell’anonimato che,

7 2 s e n t i r e a s c o l t a r e se proprio non raggiungono le vette noia praticamente mai, anche sol- tro: una voce che dà il meglio di sé sublimi dell’esordio, sicuramente ci tanto per quella doppia dozzina di quando riesce ad allungarsi sull’ul- vanno di molto vicino. (7.0/10) etichette e riferimenti cinematogra- tima sillaba di un verso, e uno sti- Massimo Padalino fici che vengono in mente per ogni le chitarristico sobrio ma tutt’altro brano (e che il duo prima di noi ha che povero. L’impressione è che saputo distillare – obbligatoria una l’apice creativo Kozelek l’abbia già - Party Anticonformiste capatina sul sito ufficiale). raggiunto anni fa, eppure ci si me- (Bungalow / Audioglobe, 16 Comunque, venendo ai destinata- raviglia ancora della facilità con cui febbraio 2007) ri, l’album è principalmente rivolto riesce ancora ad ammaliarci con Tra le varie raccolte uscite in questi ai novizi, a coloro che desiderano poche note, fossero pure quella di anni per celebrare la mittel coppia un amore a prima vista. Per i col- una canzone non sua, Somewhere più amata del mondo, questa sicu- lezionisti, già in possesso delle di Leonard Bernstein. Man mano ramente è la più completa e coeren- ristampe (con le bonus) dei pas- che il disco procede sembrerebbe sati lavori (e per coloro che sono addirittura farsi strada un’atmosfe- a caccia di una qualche chiave di ra più limpida, quasi mediterranea, volta), qui c’è poco se non il par- col mandolino che fa capolino in ty di cui si fa menzione nel titolo. Una versione unreleased di Schön Von Hinten (dall’album Monokini) e due “deleted b-side” ovvero Car- te Postale (da Oh Ah) e In/Out (da My Melody) non bastano pertanto a giustificare l’acquisto. E nean- che la parte video, da sola, vale la candela. I due clip tratti dall’album Musique Automatique sono certa- mente imprescindibili (Wir Tanzen Im Viereck è quello delle mutandine giapponesi recapitate al signorotto te. Il filo conduttore sta appunto nel tedesco, per dire…), ma i restanti titolo: un party dei loro, anticonfor- tre non sono altro che trovatine in mista, di quell’anticonformismo che super8 con interventi di technicolor. oramai vende eccome e quindi tanto Roba da DAMS anno zero insomma. Duk Koo Kim e l’incedere di Si, Pa- anti non è più, di quell’appellativo Complessivamente, medie del caso loma o, ancora, i violini che affiora- di cui sarà difficile (se non impos- incluse, siamo sul (6.5/10). Ma se no in Pancho Villa. sibile) mantenere le promesse, ma vogliamo votare la qualità media di A conti fatti abbiamo un suono meno tant’è. Queste 24 canzoni (più cin- questa tracklist a prescindere allora lacerante che in passato, ma certo que videoclip) sono il miglior cur- andiamo sul (8.0/10) mai del tutto pacificato, sia che si la- riculum multimediale che Françoise sci prendere da qualche ansia elet- Cactus e Brezel Göring possono re- Edoardo Bridda trica, come in Salvador Sanchez o galarci e dagli episodi scelti da Oh in Lily and Parrots, sia che sprofon- Ah del 1996 alle hit più studiate di Sun Kil Moon – Ghosts of the di semplicemente in se stesso. Non Musique Automatique; lo spago è Great Highway (Jet Set, 2003 - c’inganna il ritornello appena accen- resistente e il collage una brillante Caldo Verde, 6 febbraio 2007) nato di Last Tide né l’istantanea di cosmesi di cultura pop. Mark Kozelek riparte dalla sua Cal- Floating e neanche il ritmo da mar- Su internet troverete anche una do Verde e ricomincia a fare i conti cetta di Gentle Moon. Ci ritroviamo compilation dal titolo diverso (e con se stesso, e lo fa prima di tutto così in modo del tutto naturale sul diverso ordine dei brani) uscita in guardandosi indietro. La ristampa secondo cd in cui Kozelek sembra questo stesso periodo, The Best Of di Ghosts of the Great Highway ripiegarsi totalmente sul passato. Bungalow Years. Infatti, se il party ci sembra proprio questo: un modo Le versioni acustiche o alternative è lo spirito, l’etichetta di riferimento per ricordare, per riordinare le idee, di Salvador Sanchez, Somewhere, è la Bungalow, la label che il duo ha per capire se si può ripartire dav- Carry Me Ohio o Gentle Moon ci ri- lasciato recentemente per la Disko vero dopo la fine dei Red House portano davvero indietro nel tempo, B presso la quale è stato inciso l’ul- Painters. Del resto i Sun Kil Moon e a tratti lo fanno con un’intensità timo Do The Bambi la cui assen- ricordano inevitabilmente quel- tale da farci pensare che i fantasmi za da queste parti non si fa certo l’esperienza fondamentale che ha a cui si riferisce il titolo siano quel- sentire. Dagli esordi punk trash (il attraversato tutti gli anni Novanta, li evocati dalle migliori canzoni dei video di Miau Miau) alle prese per quel songwriting a cui il revansci- Red House Painters. (7.0/10) il culo techno in salsa lounge (il smo folk di questi ultimi tempi deve capolavoro elettro pop lounge Wir certamente qualcosa. Roberto Canella Tanzen Im Viereck), il party non an- Al solito voce, chitarra e poco al-

s e n t i r e a s c o l t a r e 7 3 Dal vivo

Live: E.S.T. – Poggibonsi (SI), Solid Ground, la palpitante scorri- sentieri selvaggi della lacerazio- Teatro Politeama (15 febbraio banda di Goldwrap, le due ballad ne, in As You Can See e Patience 2007) piacione Dolores In A Shoestand e la voce si fa ruggito, il ruggito di Quarto d’ora di ritardo accademico, The Goldhearted Miner piovono con un puma ferito nella notte senza poi i tre mettono subito in chiaro il visibilio sugli astanti, segno che la fine, di un accattone sconfitto nella tipo d’interplay che li lega. Serrato, parabola artistica della band è an- sbornia senza fine. I due alternano vibrante, centripeto e centrifugo, cora nella fase fertile, in progress carezze a scazzottate da saloon, sparato su binari in bilico tra hard ed in sintonia con le vibrazioni del la giovialità country alla vena me- bop, free e funk. Da destra a sini- gentile pubblico. Quasi due ore di lodrammatica. Quando attacca The stra: piano, contrabbasso, batteria. spettacolo, compresi un paio di bis. Day Texas Sank To The Bottom Ognuno col proprio rovello, come Ok, Esbjorn. Provaci pure, a salva- Of The Sea il ragazzo è assente, se dovesse trascendersi. E’ forse re il jazz. lo sguardo perso, la voce ridotta a questo il punto cardine del loro “di- Stefano Solventi un mugugno narco(let)tico, la men- scorso”: il lavorio assorto e pervi- te chissà dove. Micah è una voce cace con cui - sempre da destra a unica che cavalca un’esplosione sinistra - Esbjorn Svensson, Dan Micah P Hinson – Spazio 211, esistenziale di male di vivere e di Berglund e Magnus Öström tenta- Torino (30 gennaio 2007) watt desertici, esplora nervosamen- no di espandere lo spettro timbrico Micah è un quattrocchi strappala- te l’universo illusorio dei suoi disa- e armonico dei rispettivi strumenti, crime che parla di sconfitte, di stra- stri, lontano, lontanissimo, altrove, elettronicamente e non solo. Una de, di abbandoni, di morte. Un orso a un passo dalla luce. Si accende pratica strettamente funzionale, dalla voce rauca e dalla chitarra schizofrenico una sigaretta fatali- mai gratuita per quanto audace, ascellare accompagnato dall’amico sta dietro l’altra, spezza corde alla così come l’alternanza tra accordi John, polistrumentista uno e trino chitarra fino a renderla inutilizzabi- cristallini e repentini voicing. (banjo, slide, batteria). La voce del le, se ne va. Fine. Non manca nulla Il concerto diventa quindi l’occasio- Texas dentro al corpo sonoro di un e basterebbe questo, ma l’esagera- ne per verificare la scaturigine di coyote. L’auto-annientamento del- zione è la regola di un ventenne, certi indecifrabili suoni: quella spe- la Provincia. Frontiere dell’anima torna ed esplode l’urgenza sonica cie di chitarra hendrixiana in diretta spruzzate di banjo, drugstore alt. finora trattenuta, la rabbia e la vita- dallo stige altri non è che il con- folk polverosi, lamentazione dimes- lità accumulate nel “periodo buio”, trabbasso di Dan opportunamente sa di un fanciullo tormentato, croo- le distorsioni hanno l’effetto catar- (?) fuzzato; quella sorta di mandoli- ning nevrotico e elvisiano colto da tico di un tornado, il fanciullo del no giocattolo pseudo-The Books è conati di antipatia. Trovarsi a tu per West si piega sulla chitarra, si di- colpa di Esbjorn che con la destra tu con il drammi psichici dell’artista mena, il suo corpo si mimetizza e diteggia sui tasti e con la sinistra - vuol dire rendersi conto che un’al- sparisce nel feedback. infilata nel corpo del piano - stoppa tra adolescenza è possibile, senza La necessità di esprimersi schianta le corde; quegli scalpiccii sintetici melensaggine, senza enfasi, senza la crisalide di un Hinson denudato e sono dei micro loop innescati da radici insipide. poi liberato dall’ansia, essenziale, Magnus titillando l’asta del rullan- Micah ancheggia goffo, rivive la ca- circolare, tra metanfetamine e nar- te... Non effettistica fine a se stes- duta, sbanda e riparte, difficile con- colettici che s’inseguono e si riflet- sa, ma un modo - assieme all’utiliz- tenerlo, meglio farsi prendere per tono fino a deragliare innescando zo “convenzionale” degli strumenti mano e ritrovarsi intorno a un falò prospettive spalancate e pastorali. - di cucire un bozzolo di alterità pulsante ad intonare It’s Been So Alleluja. E’ il momento del congedo, sonica (simboleggiato dall’immobi- Long, oppure in un cimitero muto e Micah solitario sul palco, stravolto, le cono di luce che li avvolge), di in bianco e nero con Diggin’ A Gra- regala un’ormai inaspettata Don’t produrre una frattura, uno scarto ve in sottofondo. Beneath The Rose You. Don’t You Forget About Me? che diventa la misura dell’attrazio- parte con arpeggi fievoli, poi entra We don’t, Micah. ne, della bellezza. la slide e ci trasporta nel deserto ad Paolo Grava Molti i pezzi dall’ultimo album, ed è ululare alla luna, Close Your Eyes è un bene: l’estatica Sipping On The una cavalcata a rotta di collo lungo

7 4 s e n t i r e a s c o l t a r e Paolo Angeli & Hamid Drake alla sua presenza la riduzione del- Zeitkratzer – Aula Magna La – Rialto S. Ambrogio, Roma (6 l’intraprendente tecnica di Angeli, Sapienza, Roma (30 gennaio febbraio 2007) che ha utilizzato i suoi pedali ritmi- 2007) A pochi mesi dal suo concerto so- ci con parsimonia, ma con origina- Della stagione musicale de La Sa- lista a La Sapienza, Paolo Angeli li soluzioni: è riuscito addirittura a pienza il concerto degli Zeitkratzer torna a Roma in coppia con Hamid dare una connotazione quasi indu- è sicuramente tra gli eventi più in- Drake, batterista che ha collabo- strial ad un brano con i martelletti teressanti in cartellone: l’ensemble rato con gente del calibro di Don picchiando ossessivamente sulle difatti è avvezzo a collaborazioni Cherry, Pharoah Sanders e Ken corde basse. Inoltre ha completa- con gente come Keith Rowe, Jim Vandermark. Il duo si è formato nel mente sfilato la corda di violoncello O’Rourke, Merzbow, Bernhard 2004 in un festival in Sardegna, e aggiuntiva che utilizza solitamente Günter e Lee Ranaldo. Inoltre il l’esibizione al Rialto mette in risal- per le parti più noise, cimentandosi nome stesso scelto dal gruppo (“ra- to appieno la perfetta intesa acqui- però come di consueto con archet- schiatori del tempo”) è quantomeno sita dai due musicisti. A differenza to, eliche e oggetti inseriti tra cor- curioso e promette esperienze so- del concerto estivo, poco pubbliciz- de. Dopo un secondo bis a sorpresa nore insolite, che sono state piena- zato e con un ristretto afflusso di vengono proposti due pezzi cantati: mente mantenute dall’esibizione. pubblico, questa data vede la sala uno di Angeli che riprende la tra- La prima composizione eseguita, gremita, forse per il nome di Drake dizione sarda, in un interessante Sinfonia “de’ respiri”, è stata scrit- che richiama i jazzofili più incalliti. ibrido tra folk e sperimentazione, ta appositamente per l’ensemble da Il live è stato completamente im- e dove dimostra di essere un mu- Mario Bertoncini (uno dei fondato- provvisato, ma chi temeva un con- sicista completo, sfoderando una ri del Gruppo di Improvvisazione certo d’avanguardia ostica è stato voce ammaliante; l’altro di Drake, Nuova Consonanza). L’inizio for- subito smentito. Accanto alla speri- un brano tradizionale africano de- nisce già le coordinate dell’intera mentazione più dissonante e fram- dicato ad Alice Coltrane, recente- serata: il drone prodotto da tutti i mentata, infatti, sono spesso emer- mente scomparsa - che serviva in musicisti al pianoforte, sfregando si inserti melodici quasi rock. Dopo origine ad evocare gli spiriti - e che le corde con dei fili posti all’interno un inizio di riscaldamento marcata- in effetti pare quasi di vedere tra dello stesso, forma, in complicità mente avant-jazz, i due sono riusciti le ritmiche tribali del batterista e i con l’acustica dell’Aula Magna, un a far emergere diversi stili musicali, suoni extraterrestri del chitarrista muro di suono di proporzioni co- anche se il cardine di tutta la sera- nostrano. Una felice combinazione smiche. Il resto del brano, con ogni ta è stato principalmente la fusione di due grandi talenti del jazz spe- musicista posizionato nel ruolo che tra musica etnica e jazz, in piena rimentale, che per la freschezza gli spetta, è un continuo perdersi tradizione ReR Recommended, per della musica proposta e per la sor- nell’a-temporalità tra suoni alieni e la quale Angeli ha inciso. Hamid prendente intesa fanno sperare di vibrazioni ultraterrene. Drake è una vera macchina ritmica, vedere più spesso simili progetti, in Il concerto prosegue con la quarta capace di produrre innumerevoli un ambito musicale che sembra(va) e conclusiva parte di Metal Machi- sfumature con poche percussioni a non aver più niente da dire. ne Music di Lou Reed (già esegui- disposizione. E’ dovuta forse anche Andrea Monaco ta con l’autore per intero a Berlino E.S.T.

s e n t i r e a s c o l t a r e 7 5 Micah P. Hinson, foto di Marco Bruera

logistiche). nel 2002). E’ una versione davvero lare, che fa sì che gli ascoltato- Il live procede tra ben note hits ac- spettacolare quella proposta dal- ri provenienti dal rock colmino un compagnate da un pubblico parte- l’ensemble, che riesce a produrre vuoto di decenni e ritrovino le vere cipe; presentano infatti solo alcun i una vera orgia di suoni noise, aiu- origini della musica sperimentale pezzi da Through The Windowpane tati da Marc Weiser, unico ad occu- odierna. parsi dell’elettronica all’interno del (il nuovo singolo Annie Let’s Not Andrea Monaco gruppo, in piena linea con la loro fi- Wait, l’attesissima Trains To Bra- losofia di trasformazione dello stru- zil e l’epica Sao Paulo) e qualcosa mento, per cui violini, pianoforte e Guillemots - Transilvania Live, dall’EP From The Cliffs (Go Away) fiati vengono scomposti e ricompo- Milano (22 febbraio 2007) , per il resto sono song inedite (il sti in un unico magma di feedback. Transilvania Live non molto pieno, suggestivo tango Sea Out, la tea- Al termine del brano viene conces- e dispiace, per questa unica data trale e carnevalesca She’s Evil). La sa una doverosa pausa prima del italiana dei Guillemots, talentuoso dimensione live ben si sposa con la tributo a Xenakis che dura un’ora, quartetto di base a Londra esplo- cifra stilistica del gruppo, tra effetti più dei due brani precedenti messi so lo scorso anno (almeno in UK). sonori, lunghe cavalcate soul-funk assieme. E’ forse questa la parte Nonostante tutto pochi ma buoni, e folk-rock, pezzi dilatati, che ben più interessante della serata, dato a cantare sotto il palco insieme al figurano nel confronto con le song che si tratta di una composizione frontman e tastierista Fyfe Dan- da studio. Il gruppo si destreggia originale di Reinhold Friedl, lea- gerfield, che non fa nient’altro che tra influenze folk à la Dexys Midni- der del gruppo. Xenakis [a]live! rie- catalizzare naturalmente su di sé ght Runners e Van Morrison, omag- sce nel difficile compito di dare una la maggior parte dell’attenzione. gi a un certo soul americano dei ’70 connotazione “rock” (le virgolette Con spontanea megalomania reg- (uno degli inediti cantato in solo da sono d’obbligo) agli sperimenta- ge il palco, destreggiandosi tra i Fyfe era puro Stevie Wonder) e in- lismi di Xenakis: alle sue struttu- suoi strumenti e dando man forte flessioni che ci hanno ricordato le re-destrutturate e vibrazioni meta- alla band, compresa di sezione fia- intense jam piano voce e chitarra fisiche vengono abbinate violenti ti, che si scalda sin da subito con alla Waterboys, ma senza la dram- crescendi-silenzi quasi post-rock, il Come Away With Me / Through The maticità, il pathos e la profonda tutto fuso in un enorme calderone Windowpane. Fyfe è gran cerimo- malinconia di quest’ultimi, anzi con dronico. niere di questa lunga jam, e mostra autentico e sano divertimento. Alla Un’esperienza metafisica in conclu- infatti di divertirsi parecchio; l’esa- fine dopo più di un’ora e mezzo sione, più che un evento meramen- gitato Magrao alla chitarra gli fa de- di concerto e un bis, Dangerfield te sonoro, ed oltretutto un progetto gnamente eco, impegnato a trarre riappare in solitaria con una ta- encomiabile per la valenza filolo- suoni il più eccentrici possibile con stierina e ci delizia con un’intensa gica: gli Zeitkratzer rappresentano l’ausilio di trapani e aggeggi vari; e commovente Blue Would Still Be infatti, come la London Sinfoniet- dal canto suo, la bellezza esotica Blue quasi a cappella. Peccato per ta in combutta con gli artisti della della contrabbassista Aristazabal chi non ha assistito ad un’ autenti- Warp, un indispensabile ponte tra Hawkes completa la scena (il bat- ca epifania. l’avanguardia colta e quella popo- terista sarà poco visibile per cause Teresa Greco

7 6 s e n t i r e a s c o l t a r e (Gi)Ant Steps (Gi)Ant (Gi)Ant Steps

Charles Mingus - Oh Yeah pressione. Mingus oppone a tutto della monkiana Wham Bam Thank (Atlantic, 6 novembre 1961) questo il blues ed i suoi cascami, You Ma’am (espressione gergale All’alba dei sixties, un Mingus non mette in scena – sembra ogni vol- coniata da Max Roach per esprime-

ancora quarantenne era senza al- ta una rappresentazione, un teatro re eccitazione) e i h nella g i p m a Z o i z i r b a F caricaturale e i t n e v l o S o n a f e t S i d a r u c a z z a j a c i r b u r a n u cun dubbio il bassista più importan- viscerale e grottesco, la musica di Eat That Chicken, dove tutti – dal- te tra i più significativi compositori Mingus – una febbrile agnizione l’agile trombone di Jimmy Knepper della scena jazz mondiale. Nella blues, gospel, swing e jungle, con al fido drummer Dannie Richmond sua musica, reminiscenze e pre- la fatale veemenza di chi obbedi- – swingano di brutto come una monizioni si avvinghiavano senza sce ad una moltitudine ancestra- vecchia dixie-band sovraeccitata. posa, anarchie formali sciamavano le di griglie comportamentali. Oh Il blues archetipo di Devil Woman tra farneticazioni blues, fantasmi Yeah è, da questo punto di vista, - che torna buono per rammentare dixieland cavalcavano bolidi be- un disco emblematico, concepito la presenza del grande sax teno- bop, una brama febbrile sacrificava e realizzato nella fase culminante re Booker Ervin, artefice proprio le strutture sull’altare dell’espressi- della vicenda artistica mingusia- qui di un solo obliquo e squillante vità più impetuosa. Uno stile asso- na. Anche se – soprattutto perché – è forse il pezzo più significativo lutamente unico, scavato nel fondo – Chazz non vi suona il basso, de- in scaletta, per quel suo accartoc- profondo dell’epopea nera, senza legandolo al validissimo Doug Wa- ciarsi nel ventre della questione, alcun plausibile precedente perché tkins, ma al modo di un capitano di masticando la bile di temi atavici impasto di mille predecessori. Ri- vascello (il più ebbro che si possa ed immodificabili (il desiderio, il flesso di vita vissuta masticando di- immaginare) siede al piano incal- tormento, il tormento del desiderio) scriminazione e razzismi incrocia- zando la ciurma con urla e ragli, gli come solo un blues sa fare. ti. Mingus che per i bianchi era un impetuosi “oh yeah!” da cui l’appro- Parimenti importante è altresì il nero e ai neri sembrava un “giallo” priatissimo titolo. Fin dall’iniziale guazzabuglio dadaista della con- messicano, finendo quindi emar- Hog Callin’ Blues l’aria si fa torrida, clusiva Passions Of A Man, nevra- ginato e vilipeso sia dai “padroni” con la sezione ritmica serratissima stenia di ottoni, flauto, basso e bat- bianchi che dai “fratelli” coloured. e un Roland Kirk mattatore col suo teria su cui Mingus declama strali Non deve stupire quindi se nella ru- rovello di sax inebriante, stormo e stralci della propria scellerata tilante autobiografia (Peggio di un di demonietti primordiali sparati a autobiografia, sovraincidendovi poi bastardo, Baldini & Castoldi Dalai) sbranare la modernità. Lo iato tra nonsense, baruffe, africanismi. Un il jazz compare pochissimo, è un bop, swing e addivenente free è già delirio lucido, beffardo e tragicissi- qualcosa che avviene altrove, sullo abbattuto con una spallata furibon- mo, Zappiano ante litteram, avan- sfondo, conseguente a tutto ciò che da e ridanciana. Kirk – un tipetto guardista con l’aria di non farci accade in primo piano. capace di suonare tre sax contem- troppo caso, forse solo la bizzarria Primo piano dove si consuma la poraneamente, sperimentatore in- di un autore dall’estro incontenibile, tormentata, vorace, frenetica for- faticabile di nuove ed anomale so- la baracconata che ti congeda con mazione del giovane Chazz (uno norità - era un luogotenente ideale meno coordinate di prima, l’ultimo dei nomignoli di Mingus), la scoper- per Mingus, il simbolo vivo di un scossone all’albero delle certezze. ta del proprio linguaggio (impetuo- retaggio espressivo multicefalo, Tra queste, la certezza di un jazz so, pantagruelico, a tratti violento), perennemente irrequieto. Il suo come forma musicale determinata, lo sfrenato erotismo come pratica lavoro in Ecclusiastics è l’innesco catalogabile. Mingus era infatti tra d’incessante autoaffermazione esi- e assieme la deflagrazione dello coloro che vedeva nel cosiddetto stenziale, sociale e sentimenta- sgomento spirituale di provenienza jazz l’espressione tipica e peculiare le. L’amore che muove Mingus ad gospel, così come in Oh Lord Don’t del popolo nero, un retaggio vasto amare due, dieci, trenta donne alla Let Them Drop That Atomic Bomb e profondo e autorevole, capace volta è lo stesso che rende “adulte- on Me (dove suona il manzello, sor- perciò di accogliere e rielaborare le ra” la sua musica, una promiscui- ta di sax soprano modificato) sem- più diverse istanze, siano esse col- tà umorale e (quindi) fertilissima, bra una miccia che non smette di te, moderniste o popular. I succes- stordente e selvaggia. Uno “scan- consumarsi, producendo angoscio- sivi lavori, e gli sviluppi futuri del dalo” insostenibile opposto alla ci- sa tensione. Il sentimento di rivalsa jazz, gli avrebbero dato ragione. vile levigatezza dei bianchi, pronta onnipresente - una virtù che signifi- Stefano Solventi ad alimentare il motore del Sogno ca anche sconfitta durevole - cede Americano con l’additivo dell’op- il passo alla nevrastenia liberatoria

s e n t i r e a s c o l t a r e 7 7 WE ARE DEMO#14

fortato). Sono anche convinto che per dischi come questo ci sia (e ci sarà sempre) ancora spazio ed un discreto numero di cuori disponibi- li.(6.6/10) All’inizio ti si staglia sulla faccia un sorriso sottile come una lama ed è subito clima di scazzo, relax: quel- la simpatica cialtroneria da cui far- si fregare, a conti fatti, risulta un piacere. L’Insolito Clan ha sede in quel di Rimini ma ribolle inevitabil- mente, caldo e indisponente delle origini (e dell’accento) crotonesi S i d e A del cantante Fofò. Non se ne esce. sanguigna psych seventies, argu- Splendido packaging seppiato con Per conoscenza è un pigro teatrino te tastiere allenate alla post-mo- foto d’epoca per i Jewels for a per busker scalcinati ma con stile dernità. Senza contare una certa Caribou. All’interno un francobol- (e padronanza tecnica): chitarre verve in cortocircuito tra vaudevil- lo di Hong Kong e si entra subito acustiche jingle jangle, jazzettini le e country che scomoda spesso nel mood. Voce scura e alcolica, che sfociano quasi senza accor- e volentieri l’afflizione trasognata banjo pizzicato, spazzole sulle pel- gersi in ragamuffin acustico, basso dei Grant Lee Buffalo e malmosto- li, organetto. E’ ancora Tom Wai- caldo e pulsante, sullo sfondo gio- si fantasmi Eels. Naturalmente, in ts, sono ancora Appalachi, il suono cattoleria da strada: raganelle, ka- questo omonimo EP – sedici tracce della sega come fantasma o sirena zoo, fischietti, mantra asmatico(?). per una cinquantina di minuti - c’è ci fa accomodare dietro la Proces- Sembra di tornare a quei pomeriggi dell’altro: per completare il caro- sione del Cuore Nero. Sono lente al bar passati a discutere dei gran- sello di suggestioni/soggezioni non ballate di ottima fattura (è sempre e di sistemi davanti a una birra, del si può non citare la pervadente no- solo questo, affatto scontato, detta- vino o un caffè (a seconda delle di- stalgia Beatles (Brand New Friend glio a fare la differenza, soprattut- sponibilità economiche) più per non è in pratica una Drive My Car lo- to per materiali di questo genere), tornare a studiare che altro, che a fi), un pizzico di poltiglia Nirvana morbide e calde di rassegnazione. finir l’università si fa poi sempre in e un non so che di sbrigliatezza Non deve essere facile vivere a Sa- tempo. Ciò nonostante resta inne- Gomez. Ora, so bene che cotanto vignano sul Rubicone quando nel gabile l’acume di certe intuizioni e pout pourri spiazzerà il lettore, ma cuore si hanno pub malfamati, mo- il pensiero torna nostalgico a Ga- l’aroma complessivo è ben misce- sche da bar, l’epica quotidiana di ber, Gaetano, Pazienza… niente lato, una ferma personalità unifica Bukowski e Jarmusch. Non si può di nuovo quindi, come al solito del le tracce, sta sul pezzo col piglio e restare giovani per sempre e a che resto, ma scalda il cuore e strappa la padronanza di chi ne ha mastica- scopo poi? In questo Grandmother sorrisi. A giorni l’uscita del primo ta tanta e può permettersi di zom- tutto è al posto giusto, i suoni sono disco per quelli di Ribèss Records. pare a piacimento, spacciando con ben registrati, i riferimenti sono (7.0/10) disinvoltura sbruffoneria col fuoco chiari e ben digeriti, fatti propri, al culo (You’re Gonna Cry) e lan- Davide Brace incarnati. Sono il primo ad obbiet- guori aciduli (Breaking My Shell), a cura di Stefano Solventi e Fabrizio Zampighi tare sulla necessità o meno di con- S i d e B accenni robotici (Safe) e arguzie tinuare lungo questo cammino, ma Emiliani, attivi dal 2003, i Pho- funky (Digger Doo). Naturalmente, mi rendo conto che per musicisti (e no Emergency Tool sono un trio c’è dell’altro. Però mi fermo qui. persone) come queste, della mo- dedito a certo pop-rock con evi- (7.1/10) dernità, dei suoi tempi, delle sue denti complicazioni Pavement e Lo dicevo io. Macché idioti: i vare- fisse e mode, non importa nulla (e Radiohead prima versione, le chi- sini Simone Caronno e Andrea Ca- ne sono in un qualche modo con- tarre che distorcono tra l’emo e una salicchio – aka Two Genial Idiots,

WE ARE DEMO7 8 s e n t i r e a s c o l t a r e WE ARE DEMO ARE WE per gli amici 2GI – sono talmente Rapsodia del Commercio Bianco, geniali da sembrare pazzi. Mi man- non a caso promossa dallo stesso dano un cd che manco esiste, un Davide Carrozza assieme ai parte- patchwork di quattro loro opre. Le nopei Lev. Questa volta i contributi prime tracce sono l’ep Coelophysis concreti – parentesi parlate rubate tutto intero, o almeno credo. Roba all’ FM e vere e proprie interviste electro-dance-ambient warpiana, che scorrono sullo sfondo - sono brumosa e vetrosa, estatica e me- sostenuti in maniera convincente dall’apporto musicale di una band che accetta di essere viviseziona- ta, recisa, attraversata dall’elet- tromagnetismo e dai transponder, ma non rinuncia ad imprimere una svolta musicale netta al lavoro. psichedelia più urticante, i raffinati Svolta che vive di testi fortemen- rumorismi e i feedback controlla- te critici, di un approccio musica- ti, le distonie ricercate e i paesaggi le poco ortodosso – C.S.I (?) -, di fumosi. Muri di chitarre impassibili rimbalzi noise e accenni post-punk, (Jesus Was Not A Violent Cop) si di esilii forzati al ruolo di compri- sostituiscono a verdi prati devasta- mari dietro al fiume di parole che ti dal cemento (Drive/in), luccican- regge la trama del disco. Buono il ze in bianco e nero partoriscono risultato finale e appassionante la wah wah acidi come succhi gastrici convivenza forzata tra le due diffe- (Pete Martell And His Revenge To renti realtà espressive (6.8/10 web: fitica che neanche la condensa del The Wood) riff granitici rubati ai http://lev02.altervista.org/). fiato di Alien Manero. Se facesse Mudhoney gareggiano in ruvidezza I Gripweed riprendono il nome dal ancora figo, a questo punto citerei col figliol prodigo stoner (Das In- personaggio interpretato da John gli Autechre, ma soprassediamo. termezzo) e l’integralismo estetico Lennon nel film di Richard Lester Quanto al resto, ecco il kraut-funk- dei Mogwai (I’ve A Liquid Woman In How I Won The War ma non han- wave di Fresh People (dall’EP Fuwa My Hat). A chi ascolta non rima- no praticamente nulla a che vedere Fuwa), che più o meno fa piombare ne che godersi questi trenta minuti con l’ex Beatle, a meno che il suc- l’Hancock robotico in un pentolone di “puro” rock & roll (7.0/10 web: citato Lennon non covasse segrete di dexedrina. Quindi il break beat http://profile.myspace.com/flossart passioni per l’elettronica, le basi strinito di Un àmleto di meno, che ). Vero e proprio zapping radiofo- disco, le ragnatele di sintetizzatori se non altro torna buono per citare nico invece, quello dei KJW2137 o le atmosfere decadenti. Perché il titolo dell’EP di provenienza: Su alias Davide Carrozza, trasformato di questo che si occupa la band, Càrmelo Bene (occhio all’accen- a suon di musica concreta e inser- conciliando passioni sintetiche a to). Non contenti, ‘sti mattacchio- ti strumentali in un non-genere di- derive dichiaratamente new wave – ni chiosano il tutto con le quattro sperso nell’etere fatto di brandel- Trigger -, rimembranze melodiche à tracce di Babarzum, EP di remix li di telegiornali, briciole di suoni la Spacemen 3 - Song For A Video- di pezzi altrui: la psyco-glitch stra- sparsi, campionamenti, silenzi, veri clip suona come Walkin’ With Jesus lunata e tenerella di Biscotti (dei e propri brani. Il tutto compresso ma senza chitarre – a bassi satu- Babalot), il funk-soul sderenato di nelle due tracce di La gavetta è fi- ri e sottigliezze quasi pop – Cruel Time (dei Beta Project), l’hard da- nita, l’una della durata di ventotto Lullaby -, sempre con esiti più che daista di Insanity (dei Ground Con- minuti – orgiastica nei toni e suddi- dignitosi (6.7/10 web: http://www. trol) e la fosca processione techno visa a sua volta in sei sottoparti -, myspace.com/gripweed). di An Echo (dei My Own Parasite). l’altra di sette. Tra stratificazioni in Fabrizio Zampighi Dieci pezzi in tutto. Neanche uno stile millefoglie e momenti di stasi, banale. Del resto, l’abbiamo detto, dispersioni e ritorni, ci si accorge questi sono geni. O, al limite, idioti. di aver sotto mano una proposta Macché (7.2/10). azzardata quanto estremista, bor- Stefano Solventi derline e di confine, in possesso di qualche momento memorabile come Bonus Tracks di talune ingenuità: una cavalcata Chreòn Ep dei Floss è frattura, in solitaria che si merita (6.3/10 rimozione, di nuovo frattura. Ma- web: http://dedalus.nsn3.net/) più teriale infiammabile che accarezza per il coraggio e la voglia di frantu- in ugual misura i Sonic Youth e le mare gli schemi consolidati che per ombre lunghe della new wave, le la visione melodica d’insieme. cavalcate soniche dei Verdena e la Sulla stessa lunghezza d’onda La

s e n t i r e a s c o l t a r e 7 9 Replacements Figli di nessuno

di Giancarlo Turra

In bilico tra redenzione e disfaci- del resto - tra redenzione e disfaci- stante l’impegno, erano a un passo mento, nulla metropolitano e gloria mento, nulla metropolitano e gloria dal farcela. Come quei Big Star, il incipiente, punk e sixties, la vicen- incipiente, punk e sixties. La fac- cui leader Alex Chilton è uno degli da della band di Minneapolis è il pa- cia all’ingiù nel proprio vomito o lo idoli dichiarati di Paul Westerberg radigma dei “meravigliosi perdenti” sguardo fiero che si perde nel cie- e che, a un certo punto, incrociò la dell’America indie anni ’80. lo, dipendeva solo e unicamente da loro strada vedendosi addirittura loro, pura white trash del Minnesota dedicare una canzone. Affinità elet- La storia dei Replacements è sin- capace d’entrambe le cose nel giro tive, scriveva un tale… golare, soprattutto per chi ha una d’un minuto. Stavano ai confini del certa età e ne visse almeno in par- sogno americano e lo interpretaro- Nowhere Fast te la parabola. Non per gli avveni- no a loro modo, schivandolo mentre Minneapolis non deve essere quel menti, peraltro tra le ultime saghe s’avvicinava e lasciandoci alla fine gran posto per viverci. Lo testimo- d’aneddotica “rock ” ad essere ge- con un dubbio. Che avessero un niano le band strettamente rock nuino annichilimento, tanto meno piano preordinato per mandare tut- che ne sono uscite alla ribalta, a per i dischi lasciati in eredità (tra to all’aria e non dar soddisfazione cominciare dai devastati protopunk questi, una pietra miliare). Ciò che a nessuno, chiunque fosse. Fans, Litter fino all’humus altrettanto la rende particolare è come essa media, discografici e addirittura se guasto – birra rancida e svago di si porge a chi la deve raccontare o stessi. Nient’altro che strafottenza quart’ordine – che generò vent’an- leggere. Una vicenda sempre in bi- e immense canzoni gettate in pa- ni dopo Hüsker Dü, Soul Asylum lico - come la musica che ne deriva, sto alla storia. E dire che, nono- e il discreto contorno di comprima-

Classic 8 0 s e n t i r e a s c o l t a r e Classic

ri. C’è un filo robusto che li lega, i giovani Peter Buck e Michael Sti- e veloci s’appronta il debutto Sor- e i Replacements sono parte inte- pe o a Brian Wilson che osserva ry Ma, Forgot To Take Out The grante e gloriosa della tradizione, il fratello Dennis diventare grande. Trash (Twin/Tone, 1981; 7.4/10). secondi solo – e nemmeno sempre Chitarrista raffinato, molto di più Un resoconto adeguatamente cao- – al trio Mould, Hart e Norton. Al cui di quel che si percepisce al primo tico dei giorni adolescenziali, deci- pari, come tanti altri, nascono sul- ascolto dal quale emerge soprat- frati in un hardcore menefreghista la spinta dal primo punk albionico; tutto la scrittura del Westerberg, lontano dall’impegno politico e dal all’inizio, nel 1979, non sono niente viene esposto al beat nerboruto di nascente , come pure più d’un trio di incorrotto, irrimedia- Marriot e soci che insegnò un paio dallo svacco della California. Nes- bile casino, messo in piedi dal pur di cose ai Pistols, e il cerchio così suna spiaggia, qui, per ripigliarsi dotato chitarrista Robert Stinson si chiude. Ne scaturirà un cocktail dalla sbornia, piuttosto il gelo dei col fratello dodicenne (!) Tommy micidiale, fatto di melodie cristalli- grandi laghi e vento e neve che ti al basso e il batterista Chris Mars. ne sorrette dal piglio sempre meno sputano in volto per buona parte Paul Westerberg – fan degli Small ’77 e più classico dell’esecuzione, dell’anno. In meno di mezz’ora, tra Faces e spiccato senso melodico un progressivo trovare l’identità le Bambole newyorchesi liofilizza- – abita a poca distanza dal loro che pareva, fino a un dato momen- te di Careless, l’epica stracciona garage nello stesso sobborgo. Un to, inarrestabile crescendo. Kick Your Door Down e la rutilante giorno, con la busta di dischi usati Raised In The City ci si getta nella sottobraccio e il pacco da sei d’or- Trash And No Stars mischia divergendo dalla media. Al dinanza nella mano libera, passa di Poiché sono per molti versi dei di là di titoli autoesplicativi come I lì e si ferma ad ascoltare quel poco geni e per altrettanti pura marma- Hate Music e More Cigarettes o un che riconosce come musica. Ci glia, dopo essersi fatti sbatter fuori pugno d’assalti all’arma bianca, ne vuole poco perché Bob lo tiri dentro da tutti i locali della città col nome trovate i segni nel senso del detta- e – vista la mancanza di una voce di Impediments a causa di disa- glio che, incredibilmente rafforzato solista decente – lo piazzi di fronte strate, anarchiche esibizioni (sorta dall’approssimazione esecutiva, di- al microfono. Già che c’è, Paul si di degenerazione alcolica e insel- venta valore aggiunto a contrastare prende in groppa anche la sei corde vatichita dei primi Hüskers), si ri- il calligrafismo. ritmica, giusto per mettere un po’ battezzano con caustico sarcasmo Sugli scudi il solismo di Bob Stin- d’ordine. Da qui tra Paul e Bob ini- “I sostituti”. Si guadagnano pure son, ma pure l’articolato caracollare zia un’alchimia di scambi e influen- fama in quantità tale che la locale di I Bought A Headache, la premo- ze reciproche, simile al rapporto tra Twin/Tone li mette sotto contratto nitrice ballata da McGuinn cinico

s e n t i r e a s c o l t a r e 8 1 Johnny’s Gonna Die, il Cougar of- tà- suscita attenzioni al di fuori dei e sapori pop, anni feso in Shiftless When Idle costi- confini dello stato e della base dei ’60 (i Byrds muscolari della magni- tuiscono le prove più rilevanti. Sul fan. Un disco sperimentale, questo, fica I Will Dare, ospite l’ammirato- retro del babà “ramone ‘n’ roll” I’m che inciampa con entusiastica gioia re Pete Buck alla – manco a dirlo In Trouble, scelto come singolo, si e allarga gli orizzonti della band, in – dodici corde; Favorite Thing) e il nasconde l’introversione di If Only ciò trovando la sua funzione. Nel decennio successivo (il glam ama- You Were Lonely, pronta a prende- consueto sbraco che induce al sor- rognolo Androgynous), cultura pro- re presto le luci della ribalta. riso (esilarante il falso medley bea- letaria d’oltreoceano (Black Dia- Replica fulminea e affilata, il mini tlesiano Mr. Whirly), trovate Clash mond: sdoganamento dei Kiss) e Stink (Twin/Tone, 1982; 7.0/10) di- americani (Color Me Impressed, fa- raffinati scapicollamenti (We’re Co- chiara sfacciata e scarsa autosti- volosa), torvi Nirvana con un lustro ming Out, Tommy Gets His Tonsils ma che pare un “prendeteci come d’anticipo (Willpower), wave pop Out). Crea uno stile Let It Be, con siamo o fottetevi” che più punk non fragrante e intuitiva (Whithin Your la bellezza cristallina di Unsatisfied si può, come del resto le inconte- Reach), Wall Of Voodoo senza e Sixteen Blue, e nobilita di spirito nibili Fuck School, God Damn Job mezzi (Buck Hill), incroci tra Sto- indie l’AOR dimostrando possibile e Kids Don’t Follow, che si apre nes e Kinks (Treatment Bound). un presunto abominio, senza che il sulla registrazione della polizia che Tutte intuizioni brillantissime, ma trucco risulti evidente anche a di- interrompe una festa. White And che non lasciava di certo intuire il stanza di anni. Nella vicina Chicago Lazy sfoggia grande maturazione, balzo miracoloso che arrivò. d’inizio ’90 se ne ricorderanno gli in due minuti di scartavetrato blues Urge Overkill, riuscendo a passare tra voce marinata nella nicotina e Older, Budweiser… dalla cassa col portafoglio gonfio e, armonica deragliante che sul fina- Angolo di un quadrato d’oro irri- germoglio di ben altro livello, Kurt le si ricorda l’hard core, laddove la petibile nel “nuovo rock” a stelle Cobain raccoglierà via Gary’s Got rassegnazione di Go funge invece e strisce (Zen Arcade, il secondo A Boner la grana vocale di Paul e da ponte sul futuro. La talentuosa Meat Puppets e Double Nickels alcune gocce del suo inchiostro. mano di Westerberg ha difatti co- On The Dime dei Minutemen gli Qui, ci si blocca al plauso unani- minciato a far altro oltre portarsi fanno compagnia), Let It Be (Twin/ me della critica e al confino dei miti alla bocca lattine e bottiglie: risulta- Tone, 1984; 9.0/10) è il capolavoro underground. Tuttavia, sono pure to confuso però vitale è Hotenanny insperato dei minneapolitani. Pro- giorni in cui le major fiutano l’affa- (Twin/Tone, 1983; 7.2/10) che -al dotto finalmente in modo appropria- re e fan lusinghe: capita anche ai di là dell’innegabile frammentarie- to, fonde con perfezione attitudine ‘Mats, come lo zoccolo duro dei fan

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li ha soprannominati. ni. Alla richiesta di un video che li Si fa avanti la Sire nel 1985, e l’ob- lanci su MTV (che oggi li vedrebbe bligo contrattuale offre un primo in rotazione continua), tirano fuori lavoro la cui scrittura regge il con- - per l’inno sempiterno Bastards of fronto col predecessore e ne segue Young – una singola ripresa, a tele- il solco con altrettanta maturità. camera fissa, di uno stereo acceso. Sono semmai le scelte produttive, Si sarebbero schiantati, da tanto farina del sacco dell’ex Ramone andavano all’impazzata verso un Tommy Erdelyi, a stupire in Tim muro, come ogni “dropout” di peri- (Sire, 1985; 7.8/10). Fosse stato feria ha sognato almeno una volta prodotto - come da progetto iniziale e qualcuno davvero ha fatto. Solo andato all’aria - da Alex Chilton (ai che, con qualche soldo in più a di- cori nella stellare Left Of The Dial), sposizione, aumentano le respon- vi ritroveremmo oggi meno ombre sabilità e tocca crescere o – in un e opacità. La scelta non danneg- certo senso - morire. Bob s’è preso gia affatto la calligrafia e lo frena una pericolosa cotta per la droga e dal divenire un fratello minore di non ci sta proprio più (si dice che Let It Be: le corde malinconiche di a molte session di Tim non parte- Here Comes A Regular e la sola- cipò), così che gli altri, al fatidico rità di Swinging Party, la britanni- bivio di cui sopra, optano per una ca Waitress In The Sky (una nuova ripulita. Finita la tournée di Tim, Itchycoo Park) e la limpida Kiss Me il chitarrista è messo alla porta e On The Bus, gli anthem lirici Hold sostituito da Slim Dunlop. Con lui My Life e Little Mascara abbagliano sparisce una fetta consistente di l’ascoltatore e traghettano il grup- magia, quell’elettricità creativa tra po nel pieno della tempesta appena due poli che rappresentava la gran- iniziata. dezza dei Replacements. La band A ingannare il tempo, esce la cas- che scampa per un pelo all’autodi- setta dal vivo The Shit Hits The struzione, è - nonostante un disco Fans (Twin/Tone, 1985; 6.5/10), assai buono e altri dignitosi - una sospesa tra divertissment rive- faccenda assai differente. Come si latore (tra le tante, cover di Led dice, un’altra storia… Zep, Sabbath, Hitchcock e Only Ones…) e bootleg ufficiale. Critica ai loro piedi, i Nostri se ne fregano e sentite cosa combinano, canaglie in sbronza ormai perenne: al Saturday Night Live si presen- tano gonfi come spugne e Wester- berg spedisce un “fuck” in diretta nelle case degli americani; il mag- giore degli Stinson arriva sovente sul palco vestito di soli pannolini; i concerti si trasformano in deliri, i quattro che a mala pena si reg- gono in piedi e finiscono le canzo-

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di Gaspare Caliri e Stefano Pifferi

Nell’era del revival new-wave, la kerilla dei primi ’80, che rappresen- vare un serio giornalismo musicale, neo-rinata Spittle Records ristampa tarono il “punto” di quel rock italico in modo da sostenere lo sviluppo due raccolte dei primi anni ’80. Il che rifiutava la catacresi commer- della scena italiota e promuoverne solito ritorno alle origini del post- ciale e cantautorale che narcotiz- l’ascesa a livello internazionale. punk anglosassone? No, la sua ver- zava la musica tra ’70 e ’80 – come Con queste premesse, è lecito sup- sione tutta italiana, tra emuli della fa anche adesso. porre quanto una tale rivista avesse prima ora e tracce di nostrana pio- Indirizziamo il pensiero ad allora. meno a cuore una battaglia sociale nieristica inventiva. Tanto che, con In Italia esistevano molte ragioni rispetto a un suono nuovo. perfetto tempismo, la Alma dedica per agognare una svolta musicale; Gathered è così dedicata alla nuo- un generoso box ai Frigidaire Tan- se altrove il mostro da combattere va ondata di gruppi che sono riusci- go. Alla faccia di Simon Reynolds. era la old wave del “rock”, da noi ti a conquistare una certa notorietà gli avversari consistevano anche (seppure nell’underground) e che si Sfogliando l’ultimo libro di Simon nei prosecutori della tradizione na- possono già dire “rappresentativi”. Reynolds, Post-punk – di cui pre- poletana (nel miserrimo travesti- La prima conseguenza è l’impres- sto parleremo –, si nota un’as- mento sanremese, tra gli altri), che sione, al primo ascolto odierno, di senza. In fondo al libro, Reynolds diramava le sue propaggini secolari una scopiazzatura generalizzata aggiunge un’appendice dedicata spacciandosi con le varie forme del dei modelli inglesi o americani. Ma alle scene nazionali che esulano “pop”. L’unica valida alternativa era facciamo finta, per un momento, dal circuito principale trattato nel- stato il progressive. Ma ricordiamo- di uscire dai postumi della sbornia le pagine precedenti, cioè il Regno ci che, ancora nel 1979, la PFM fa- del revival new-wave degli ultimi Unito e gli USA. Ovvia la necessità ceva gli arrangiamenti ai concerti di anni; proviamo a insinuarci nel- di trattare la Germania, come for- De André. Brava gente, per carità. la profondità del tempo. Diversi ci se anche il Brasile (lo dimostra una Ma vecchiume. appariranno, questi gruppi, se pen- compilation funky-no-wave della Già qualche anno dopo, tuttavia, siamo che sono stati tra i primi a solita Souljazz Records), meno ov- nell’autunno del 1982 – quando importare punk e new wave esteri. vie altre inserzioni. Ma dall’elenco esce Gathered, la prima delle due Se proprio non vogliamo chiamar- manca l’Italia. I casi sono due: o la raccolte che recensiamo – qualco- li pionieri, cerchiamo ci capacitar- scena nostrana era davvero pove- sa è avvenuto. Il punk, certo, ma ci dell’impatto di novità che hanno ra, oppure Reynolds non ne ha par- non solo. Lo testimonia la scelta provocato, soprattutto nei live; dal lato semplicemente perché non ne dei titoli della compilation, che non vivo (ovvero nel modo più fruibile) conosce i tratti con la stessa (im- ricade strettamente nel bacino del questi musicisti hanno lavorato a pressionante) dovizia di particolari punk, ma nelle vicissitudini che gli un minimo comune denominatore con cui domina le altre. sono succedute, chiamatele post- da cui avere la possibilità di ripar- Sarà un caso ma sono appena usciti punk o new wave, poco importa. tire, condicio sine qua non della due dischi che, a questo proposito, Il motivo è sicuramente cronologi- creatività, purché senza tradizione non ci possono lasciare indifferenti. co – pur essendo l’Italia in patolo- italiana, grado zero di una nuova Li produce la Spittle Records, eti- gico ritardo, dall’esplosione londi- stagione musicale. chetta di culto vent’anni fa, quan- nese sono comunque passati sei Così tornando a Gathered, ha un do pubblicava vinili (spesso a tira- anni. Ma il punk ha fatto in tempo sapore diverso pensare al suo tura limitata) di wave, dark e EBM a ritagliarsi un ruolo definito, ovve- sguazzare nel funk bianco e nel – oggi ricostituitasi, nella speranza ro quella militanza fuori partito e mondo dei Joy Division – e so- di uscire dal tunnel del dimentica- anti-istituzionale, alla maniera dei prattutto della voce di Ian Curtis. toio; per farlo ci consegna questi Crass, che lo rende appannaggio Venice degli State Of Art sviluppa due CD con tanto di gustosi booklet del conflitto sociale, meno che del- su una base funk newyorkese una farciti di recensioni e riflessioni che la ricerca intellettuale - prerogati- parte vocale che sarebbe stata per- fanno gola ai proseliti di Simon. va, invece, del post-punk. fetta per il Curtis dell’immediato Si tratta infatti di due compilazioni Nell’indifferenza generale dei mass dopo-Warsaw. Stesso discorso per d’antan (all’epoca uscite su Electric media, fanzine come Rockerilla gli X-Rated (Tokyo Alert). I Victrio- Eye) promosse e raccolte dal Roc- sentono invece la missione di pro- la hanno chitarre più che imparen-

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tate ai Cure di Faith. La cantan- sopra è stato raggiunto e superato, vano già muovendo) arriveranno i te degli Style Sindrome ricorda, e si provano le varianti – tanto che, CCCP, rimasti zitti fintantoché non senza nessuna difficoltà, la solita in un’intervista, i Rinf (tra le cose hanno avuto in mano la formula Siouxsie. migliori di questa compilation) arri- prettamente italiana – anzi, - Di mezzo agli emuli, però, ci sono vano a dichiararsi “disgustati” dal liana – del punk mitteleuropeo. E già lampi estranei dall’andazzo. I fatto che tutti si limitassero a fare si creeranno nuove affinità, nuove Not Moving, con un rockabilly da funky. divergenze. Ma ci vorrebbe un’altra thriller eroinico (Baron Samedi) su Ma, insieme al funk, Body Section compilation, per parlarne. O chis- tastiere elettroniche (e vi pensia- perde anche un po’ di freschezza. sà, magari un boxset… mo, o Suicide). O addirittura i Dea- Divisa in due parti – la “Blue Sec- Gaspare Caliri th SS, gruppo heavy-metal bafo- tion”, più “soft”, e la “Red Section”, mettiano – ed è interessante notare più sperimentale – segna l’ingresso come l’atmosfera oscura li faces- di una pesantezza di layer, synth, Frigidaire Tango – The Freezer se confluire in un paragone con lo e quelle che sarebbero diventate le Box – The Complete 1980-1985 standard dark, già allora assestato. “solite tastiere”. Il post-punk si sta (Alma Music / Materiali Sonori E poi Haiti Blues, il witz jazz-wave tramutando in dark-wave (è il caso Associated, 2007) degli Eazy Con, che ripete un’idea di Vanity Fair dei Frigidaire Tan- La fine dei ’70 e gli inizi degli ’80 del sassofono (memore di Sonny go – di cui parliamo più in basso, furono vissuti in Italia con lo stes- Rollins) sopra una drum machine oppure di Dreamtime Comes dei so spirito pionieristico col quale si e una calda voce transgender. I Kirlian Camera); già si affaccia il muovevano i conquistatori del Far Pankow. E, per concludere, i Dirty synth-pop (si ascoltino i Jeunes- West. L’Italia era bombardata da Actions, tra le prime band ad af- se D’Ivoire di A Gift Of Tears, per voci di un “tesoro” nascosto al di là facciarsi al post-punk, con una par- avvertire il passaggio, o i Modo di dei confini musicali ristretti e con- ticolarità: cantano la loro Bandana Eyes In The Mirror, per il punto di formisti della penisola; i messaggi Boys nella lingua di Dante. non ritorno). che arrivavano da oltremanica (e Quest’ultima nota fece storcere il Rimane, certo, la tensione, la per- in misura minore da oltreoceano) naso a Campo, Sorge e soci. La turbazione delle idee; lo è il boo- creavano aspettative non più sop- prima forma di appaiamento con gli gie violento dei Vov Rei, dal titolo portabili passivamente. Troppo for- anglosassoni, infatti, doveva esse- Fear, che sembra uscire dritto dai te era l’eco di un nuovo movimento re la lingua; troviamo, tra le recen- Bauhaus di In The Flat Field – che sfruttava l’onda lunga del punk. sioni di allora, parole inglesi e non dopo un’intro alla Spacemen 3 (!). Troppo forte era il richiamo della più ridicoli inglesismi, e, a propo- E, sopra a tutti, si stagliano le co- nuova onda. sito di casi come quello dei Dirty struzioni dei Die Form (anima del- Fu così che alcuni temerari avan- Actions, qualche recriminazione la “Red Section”), presentati come guardisti intrapresero un difficolto- linguistica – a sfavore dell’italiano miscela industriale che ricorda so percorso tra ‘zines autoprodot- – da riscattare con la musica. Lo Sheffield tanto quanto le parabole te, massoniche release in vinile o stesso atteggiamento accolse due schizzate del Pop Group. Ciò che cassette e una grossissima dose di delle band che spostarono il bari- sembra spazzato via è la veemen- incoscienza. centro di interesse da Genova a Fi- za irriflessa del punk; ciò che si fa Crebbe così una generazione che, renze, Diaframma e Litfiba, le due strada è la raffinatezza. nutrendosi degli insegnamenti so- componenti più famose (col senno Che sia questa la strada dell’eman- stanzialmente punk (il d.i.y. in- di oggi) che compaiono su Body cipazione, dopo la dovuta assimi- nanzitutto, ma anche l’idea di una Section, la seconda uscita che lazione ai padri – anzi, ai fratelli musica di e per tutti), preparò il trattiamo. È passato solo un anno, più grandi? Come ogni generalizza- terreno per tutto il rock a venire, da Gathered (siamo alla fine del zione, è pronta la smentita. Siamo coniugando quella volontà espres- 1983) – ma quel grado zero di cui nel 1983. L’anno dopo (ma si sta- siva in forme artistoidi, avanguardi-

s e n t i r e a s c o l t a r e 8 5 stiche, a volte raffinate. il mini-lp Russian Dolls (FT, 1983) Frigidaire Tango appartennero a più il materiale inedito che avreb- quella stirpe di pionieri dai nomi be dovuto formare il mai pubblicato stravaganti (Gaznevada, Confu- secondo album. Nel terzo cd infine sional Quartet, ecc) e dall’appeal si ha la possibilità di apprezzare i esotico (Diaframma, Litfiba, Neon, live del gruppo: in primis il concer- ecc). E come molti di quei pionie- to tenuto alla Biennale Mediterra- ri anch’essi ebbero una vita tanto nea del 1985 in quel di Barcellona, breve quanto intensa. Diedero alla più vari altri pezzi registrati in di- luce un album compiuto e poco più, verse occasioni. Ad impreziosire il parteciparono a molte delle prime già appetibile box, contribuisce un compilation che inondavano il mer- bel booklet di 50 pagine con foto, cato italiano tentando di fotografare cronologia, discografia e testi. Vi- un mondo in divenire (vedi appunto vamente consigliato sia per risco- Body Section e Gathered) e furo- prire un gruppo che come pochi al- no protagonisti di numerosi, incen- tri era riuscito a condensare in sé il diari live (di cui uno come supporto mondo che dai Roxy Music andava ai Sound). fino al Pop Group, passando per i Questo lussuosissimo box rimette Joy Division, sia per comprende- ordine nella frammentata esistenza re le dinamiche di un periodo tanto del gruppo di Bassano del Grappa ingenuo quanto vivace e prolifico. e si inserisce in una linea di risco- (7.0/10) perta delle origini dell’Italia waves Stefano Pifferi molto trasversale che ha visto fi- nora riesumati in ottimi box gruppi fondamentali come Neon, Pankow ecc. In The Freezer Box sono raccolti praticamente tutti i passi ufficiali del gruppo veneto. Nel primo cd trovia- mo l’unico album ufficiale The Cock (Young Records, 1982), impreziosi- to da un paio di inediti (Don’t Kill Time e This Days ’78); nel secondo

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Jack – Pioneer Soundtracks (Too Pure, giugno 1996 / Spinney, marzo 2007) Benemerita Too Pure, il cui catalogo meriterebbe una prepotente riscoper- ta, alla luce dell’impressionante media qualitativa delle pubblicazioni anni Novanta. Pioneer Soundtracks dei Jack nell’estate del 1996 riscosse pure un discreto successo alternativo grazie alla spinta di Melody Maker, ma il filtro del tempo è stato spietato. Pescate pure oggi fra gli intenditori del brit-pop: ben pochi se ne ricorderanno. Non è stata poca la sorpresa nell’apprendere dallo stesso Anthony Rey- nolds - ex-leader, che continua a tutt’oggi la sua attività di musicista e critico - che l’album sarebbe uscito nei primi mesi del 2007 su Spinney Re- cords, con relativa messe di bonus track (b-side, live, demo, eccetera). Prodotto da Peter Walsh (già con Simple Minds e Scott Walker), Pioneer Soundtracks è uno dei probabili vertici della stagione brit. Opera com- plessa e stratificata, tutta orpelli e dicotomie: a ritmi sostenuti che potrebbero trasmettere scariche d’adrenalina oppone arrangiamenti liquidi, che immergono i brani in una sorta di lounge-music di fine secolo; al crooning e ai parlati di Reynolds, che lasciano intuire parentele con certo cantautorato maledetto, oppone orchestrazioni e rintocchi d’estrazione cinematica. Tenete a mente questi i punti, e considerateli il collante per un disco che potrebbe apparire scoordinato e diso- mogeneo (e non lo è affatto). Reynolds ama Bowie e Walker, non ne fa segreto, ma nutre ammirazione anche per Jarvis Cocker, a giudicare il raccontare mortifero di Of Lights (ricordate I Spy?): “Beautiful stories for ugly children” ammonisce il Nostro nel momento più suggestivo di questa dilatata non-canzone, sorretto da battito motorik quasi-Neu!, violini da camera che si lamentano all’ombra dei riflessi chitarristici, cori estatici che vanno e vengono. Wintercomesummer è un assalto di brit-pop chitarristico con canto impostato alla Mark E. Smith, le cui asperità vengono smorzate dalle atmosfere dei synth analogici e dalla delicata coralità del ritornello. White Jazz, contesa fra synth e archi (rispettivamente su strofa e ritornello) crea nell’ascoltatore la sensazione di un incidente Pulp / Left Banke che è sintesi di quattro decenni pop. Biography of a First Son, agitata e scattante, lambisce la patina evocativa dei Church, mentre il denso echeggiare country di Hope Is a Liar muta i Big Star di Holocaust in un gustoso tramonto hawaiano. I Didn’t Mean It Marie, ballata gonfia di archi e distorsioni, alterna momenti di grande tensione (co- struiti su una subdola sensazione d’attesa) a sfoghi della stessa tramite inserti di batteria, mentre in F.U. ancor di più si fatica a distinguere fra ambient, colonna sonora da frontiera americana, brit-pop e quant’altro. Momenti simili sono specchio fedele della creatività onnivora di Reynolds, di lì a breve agitatosi nel progetto Jacques, fra limbi new-age e oscurità elettroacustiche degne di David Sylvian. Storie di grande interesse, anche se forse il genio espresso in Pioneer Soundtracks rimane insuperato. Federico Romagnoli

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Robert Wyatt – Rock Bottom (Virgin, 1974) Dopo l’esperienza dei Soft Machine e la parentesi (chiusa e quasi ria- perta) altrettanto felice dei Matching Mole, che si aggiungeva all’esordio solista The End Of An Ear (1971), Robert Wyatt era già il mentore, il “capo spirituale” di quella sorta di “scuola” del rock sperimentale, fucina di talenti del progressismo / progressista che era diventata la scena di Canterbury. E’ proprio nell’anno di uscita del suo primo album che Wyatt comincia a lavorare al materiale di Rock Bottom, pensando al mare in una Venezia già musa ispiratrice per lunghi secoli. Tre anni in cui si annida l’espe- rienza dei Matching Mole, sorta di continuazione di quei Soft Machine dal destino ormai segnato dopo il definitivo abbandono del creativo batteri- sta: due bellissimi album (Matching Mole e Little Red Record) e, dopo il momentaneo scioglimento, l’immediata reunion nel 1973 e il terzo album in cantiere. Ma sarebbe successo qualcosa di lì a poco, nel giugno dello stesso anno, che avrebbe cambiato radicalmente la vita del musicista inglese e, di conseguenza, avrebbe dato uno scossone a tutto ciò che girava attorno al suo mondo. Durante un party, ubriaco, Wyatt cade dal terzo piano di una palazzina e rimane paralizzato dalla cintola in giù. Dovrà passare il resto della sua vita su una sedia a rotelle, destino mostruoso per un uomo e ancor di più per un batterista. E’difficile esprimere qualsiasi parere su Rock Bottom senza fare riferimento a questo tragico episodio, che ha inciso in maniera indelebile e forte sulla personalità umana ed artistica di Robert Wyatt. Come lui stesso ebbe a dire: “In Rock Bottom e nelle cose successive mi riconosco ma il mio Io adolescente, il bipede batterista… non lo ricordo e non lo capisco. Mi costa fatica parlare di com’ ero prima; (…) vedo l’ incidente come una specie di linea di netta demarcazione tra la mia adolescenza e il resto della mia vita”. E in effetti, la sua musica cambia radicalmente e in maniera irreversibile dopo l’incidente e questo splendido al- bum, notturno e pacato, riflessivo e profondo come il mare, lontano anni luce dal jazz-rock dadaista degli esordi, è la prima testimonianza di questa trasformazione. Abbandonata la batteria, Wyatt si dedica alle tastiere e al pianoforte e raccoglie a sé una formazione di amici e colleghi che non hanno bisogno di presentazioni, tra cui Mike Oldfield (chitarra), Hugh Hopper (basso) e Fred Frith alla viola. In cabina di regia siede un altro personaggio, di sicuro il più noto: il batterista dei Pink Floyd Nick Mason. Inevitabili le influenze dell’illustre produttore, evidenti nelle dilatazioni psichedeliche dell’organo in Alifib o nei tratti più marcatamente floydiani di A Last Straw. Con la differenza che a tessere le melodie, a organizzare la materia musicale e ad esprimerla è sempre il genio di Wyatt, che gioca con la sua debole e acuta voce, spesso utilizzando onomatopee e nonsense per usarla come se fosse uno strumento puro. Anche se non è esplicitato nei titoli, Rock Bottom può essere inteso come una grande suite, dove più che di brani si farebbe meglio a parlare di momenti. Momenti che ritornano (Little Red Riding Hood Hit The Road), altri che si dissolvono nel nulla (Sea Song), ma tutti collegati da un filo rosso rappresentato dal carattere di questo disco, intriso di dolce tristezza. Solo Little Red Riding…, con il suo spasmodico incedere, i fiati e la batteria in eviden- za e il sound massiccio e sfasato, rievoca, come in un deja-vu, un passato già lontano e irriconoscibile, eppure così tremendamente prossimo. Da questo incontro-scontro tra passato e presente nasceva il nuovo Wyatt, il più maturo, il più solitario. Il più geniale. Daniele Follero

s e n t i r e a s c o l t a r e 8 9 INLAND EMPIRE

di Antonello Comunale

Oltre Mulholland Drive c’è Inland la caratteristica fondamentale di personaggi spostati di significato). Empire (INLAND EMPIRE…), in una INLAND EMPIRE: andare sempre più Quello di INLAND EMPIRE non è Los Angeles, quella di David Lynch, vicini alla grammatica dell’onirico, l’impero della mente, ma il regno che sembra avere una geografia scomponendo la narrazione in del deja vu, inteso letteralmente ignota, dove i quartieri somigliano tanti frammenti apparentemente come quella sensazione storta che a scatole cinesi che contengono inconciliabili l’uno con l’altro. sembra riprodurre qualcosa di cui a loro volta altre scatole cinesi. Il procedimento non è nuovo in si è già fatto esperienza. Oltre Mulholland Drive c’è un film Lynch e del resto nessuno come Nikki Grace viene scritturata nel che ripiega il piano narrativo più lui è arrivato così vicino a mimare ruolo di protagonista di un film e più volte come fosse un foglio l’inspiegabile e caotica amalgama intitolato Il buio cielo del domani. di carta su cui restano impressi di visioni che chiamiamo sogni. Nel suo “effetto notte” hollywoodiano i segni precedenti. Ampiamente In quest’ottica INLAND EMPIRE Lynch si diverte a prosegue la preceduto da una campagna può essere preso per il film più critica strisciante all’impero dello stampa che lo definiva come il più lynchano di sempre e una summa star system iniziata con Mulholland sperimentale dei suoi film e che di tutto quanto fatto fino ad ora Drive, ma soprattutto con il logoro dalla preview veneziana lanciava dal regista americano. Ritroviamo meccanismo del film dentro il film, i consueti aneddoti di fronti ben volti consoni nel suo cinema inizia con facilità la caduta libera divisi tra entusiasti e contestatori, (Laura Dern, Harry Dean Stanton, nel cubo di rubik delle diverse realtà l’ultimo Lynch si lancia sulle gelide Justin Theroux, Grace Zabriskie, che si incastrano l’una nell’altra ali del digitale, oltre l’ancoraggio Laura Harring) e segni tipici (la senza apparente logica. Scopriamo alla narrazione lineare come stanza, il messaggero/oracolo, le che Il buio cielo del domani altro non presupposto per la verosimiglianza. tende di velluto rosso, i conigli, i è che un remake di un film polacco E’ questa senza tanti giri di parole, simboli indecifrabili, il ritorno dei intitolato Vier sieben ovvero 47. Un a cura di Teresa Greco

la sera della9 0prima s e n t i r e a s c o l t a r e la sera della prima della sera la

film maledetto che non è mai stato passare di giorni tutti uguali, dove tipico, senza l’orpello di dover portato a termine per la morte dei dalle tende della hall dell’Overlook raccontare “apparentemente” due protagonisti. C’è un legame Hotel arriva una luce senza ombre qualcosa come avveniva tutto preciso tra il remake e il film che si costante e indecifrabile, nel dedalo sommato in Lost Highway e sta girando, tra la prostituta polacca inestricabili di corridoi tutti uguali, Mulholland Drive, che il suo che guarda nella televisione e la che si consuma il vero dramma di onirismo diventa una faccenda protagonista Nikki Grace, tra la Jack Torrance. acritica da accettare davvero come sit-com Rabbits e il cinema dove si Anche Nikki Grace vaga per la sue un dogma (la nota tiritera: “Lynch è proietta il film che stiamo vedendo. strade senza storia e il tempo è solo un’esperienza e non va spiegato”) Salta all’orecchio la mancanza di un segno da decifrare, lanciato dal inesplicabile. Nonostante le Angelo Badalamenti nello score del messaggero Grace Zabrisnky: “le dichiarazioni entusiastiche anche film, mentre risaltano le minacciose 9 e 45”, “dopo mezzanotte”. Così l’uso del digitale non sembra aver verticalità delle musiche di come i tempi delle sequenze sono sortito un effetto positivo, sia Penderecki, nella sequenza in cui stirati o contratti senza un’unica sul piano della forma con un uso Laura / Nikki vaga moribonda per soluzione che dia continuità al eccessivo dei primi piani e una le strade di Los Angeles. Lynch cita film. Come la sequenza della morte coloritura esangue dell’immagine espressamente Kubrick in un paio di Nikki Grace, dove ci si allunga (ovviamente entrambi questi difetti di occasioni (il poster di Lolita, all’inverosimile sul dialogo tra la potrebbero essere interpretati Nikki Grace che si guarda sull’altro donna asiatica e quella di colore e come precisa scelta autoriale, sofà come il vecchio Bowman di ancora i primi piani insistiti o l’errare ma c’è un limite anche alla buona 2001 si guardava di stanza in per i corridoi, come un piccolo fede…). Forse Lynch come autore stanza nella casa settecentesca) Danny Torrance in una storia che è ormai fin troppo libero. Libero usa le stesse partiture usate da sembra il remake di un’altra storia sicuramente di potersi permettere Kubrick per la colonna sonora esattamente come quella di Jack qualunque cosa. Di fatto INLAND di Shining: Utrenja, De Natura Torrance era il remake di quella di EMPIRE chiude per sempre la Sonoris, Polymorphia. Del resto Grady. I giochi interpretativi sono trilogia del noir metafisico iniziata è ben nota la sua ammirazione potenzialmente infiniti. INLAND con Lost Highway e proseguita con per Kubrick (“Praticamente ogni EMPIRE è un congegno elaborato Mulholland Drive e si prospetta suo film è nella mia top-ten”) espressamente per produrre enigmi come un grande turning point da cui e nel tentativo di scomporre da decodificare. Ma forse è proprio dovrà muovere sicuramente verso spazio e tempo deve aver tenuto nell’aderenza a se stesso e alla sua direzioni diverse per non rimanere sicuramente in considerazione personalissima visione che l’ultimo anche lui imprigionato in un eterno Shining, altro film che lavorava Lynch perde punti sul campo della enigmatico presente. sulla disgregazione delle nozioni propria ricerca espressiva. Antonello Comunale spazio/temporali. E’ nell’eterno Paradossalmente è proprio nel presente senza storia, dove le momento in cui è maggiormente didascalie segnano inutilmente il

s e n t i r e a s c o l t a r e 9 1 VISIONI

Bobby (di Emilio Estevez - USA, 2006) Bobby non è un film sulla vita di Robert Kennedy né un’indagine sulla sua morte. Non è ricalcato sul modello del film-inchiesta tipo JFK (Oliver Stone, 1991) perché non mostra mai, se non improvviso, alla fine, il suo assassinio e, tanto meno, una qualsiasi indagine governativa. Non era quello che Estevez voleva (o poteva) fare. Non è tanto un biopic, quindi, quanto invece un vero documento sull’importanza che Bobby aveva per la gente, sulla speranza di crescita che poteva rappresentare per le classi meno privilegiate. Il titolo del film rimanda a quel senso di comunanza che l’elezione diretta di un Presidente ha sempre riscaldato tra l’elettorato americano. Quella tanto ricercata e “nevralgica” intimità su cui si potrebbe molto discutere in quanto totalmente estranea al modello europeo e che permette di avvertire come un amico o un fratello un uomo di straordinario potere.

Nel film, attorno ai documenti sui suoi discorsi al paese, ruota il balletto corale, di altmaniana ispirazione, di ben 22 personaggi coinvolti a diversi livelli nel ricevimento in onore del neoeletto Bob Kennedy all’Hotel Ambas- sador, poco prima della fatidica notte del suo assassinio (ad opera di un immigrato giordano sconvolto dal sostegno che i Kennedy avevano dato a Israele). Sono uomini e donne, vecchi e giovani, neri, bianchi e ispanici, gente comune, ricchi e sguatteri, tutti attirati da questa figura carismatica nel grande sogno dell’uguaglianza dei diritti. Questo coinvolgimento corale, in effetti, rispecchia bene la realtà dei fatti. Bobby attirò le masse e ci riuscì anche grazie alla precedente cam- pagna elettorale del 1960, in cui il fratello maggiore JFK scelse la parola d’ordine della sua amministrazione: la “Nuova Frontiera”. Una politica progressista di vigore giovanile che poi s’infranse in uno dei capitoli più neri e più odiati dagli americani: la presidenza Nixon e lo scandalo Watergate.

Fra tutti i ruoli e le linee narrative, a campeggiare per intensità sta soprattutto la storia del dietro le quinte del ricevimento, con protagonisti i cuochi e gli sguatteri dell’Ambassador. È lì che Estevez punta le luci della ribalta, quasi con una struttura da musical classico, nel retroscena di un allestimento che si sarebbe rivelato tragico. Il valore di questo film stia più nel suo “impegno politico” che non nella qualità estetica; in effetti le storie delle persone comuni che Estevez racconta hanno solo il sentore della straordinaria contraddittorietà che Altman è riuscito a intonare tra inconsistenza e spessore e non potrebbe che essere così. Nononostante non sia un bio- pic sortisce l’effetto tipico del biopic, ovvero ripassare la storia! Da quel periodo nevralgico del ’68 americano, tra guerra in Vietnam e fuoco e fiamme delle Black Panthers, alla contemporaneità dove altre guerre sembrano combattersi con le stesse premesse e conseguenze. E lo splendido cast che ha deciso di partecipare, tutto ben chiaramente schierato, sta proprio a dimostrare questa operazione ideologica.

a cura di Teresa Greco Costanza Salvi

la sera della9 2prima s e n t i r e a s c o l t a r e la sera della prima della sera la

L’amico di famiglia (di Paolo Sorrentino - Italia, 2006) Che faccia quella di Geremia. Che volto, intessuto di movimenti ed espres- sioni sintetiche e segnate, precise. Marcate. È un peccato mettere nero su bianco lo sguardo di questo terzo lavoro di Sorrentino senza indo- vinare un titolo, senza racchiudere in una parola perfetta il fulcro del film, il personaggio dell’usuraio Geremia. O’scarrafone in napoletano è lo scarafaggio, un essere duro e molle, schifoso e ributtante, ma è anche una regola di gioco al tavolo verde, che consiste nell’applicare la tecnica del poco a poco riducendo al massimo i rischi, capitalizzando ogni mos- sa al suo zenit. O’ scarrafone è come l’acqua, spunta fuori dappertutto, perché si nutre della zozzeria nascosta in ogni dove, sotto le mattonelle delle case lucenti, sotto i tappeti colorati, tra le pareti, negli interstizi, in ogni spazio possibile. O’scarrafone è un atteggiamento, è la matematica semplicità di questo film, che è costruito sulla regola di vita dell’amico di famiglia: Geremia si considera un benefattore, Geremia presta poco alla volta e riceve moltiplicando il denaro, con l’aiuto di due gemelli e di una specie di amico. Ma come la matematica ha il suo peccato, e non misura l‘infinito, così lo sgradevole mostro si ritrova improvvisamente perso di fronte alla forma più semplice possibile, quella dell’amore. La cliente vuo- le un intervento per avere la pelle liscia come l’anguria ? “ Il cocomero è un’illusione - spiega Geremia - è tutt’acqua”. “Ma il cocomero è buono – risponde la cliente – e l’acqua non sa di niente”. Il mostro se ne accorge quando la figlia di un cliente inizia a provocarlo e sedurlo smascherando il suo evidente vuoto. Nella regolarità del suo stile di vita ridotto più a fondo dell’osso irrompe la variabile che smonta tutto. Geremia cuore d’oro è parte di noi, lo scarrafone non ha cattiveria particolare: soffre e fa soffri- re, e si dedica con attenzione all’unica ricchezza che ha, quella dell’accumulo e della sua presunta generosità. O’scarrafone è brutto, e non c’è spazio, nemmeno per il padre che lo ha lasciato perché indegno e schifoso. O scarrafone cerca moglie e cerca oggetti preziosi nei campi e sulle spiagge col suo metal detector. La musica accompagna con pulsioni sintetiche e sfumature elettroniche l’incedere di questo personaggio, col meccanismo banale bene in mostra a spiegare il funzionamento. “Ricordate – ammonisce rivolgendosi ai clienti – il mio ultimo pensiero, sarà per voi”. La splendida grana del film ha le penombre tristi della sua misera casa e la pelle bianca e luminosa dell’amore. Sfuma a seconda delle sensazioni, mentre sparge morsi di gianduiotti e filosofeggia sui massimi sistemi. “Mai confondere l’impossibile con l’inconsueto.” L’inconsueto, appunto, è una giovane donna che distrugge il calcolo. L’improbabile è un cow-boy perso nel country che parla emiliano e sogna il Tennessee. L’assurdo è la mamma anziana che gli tiene la mano. “Tutti rubano e tutti sono infelici” – ammonisce la donna. Perché ogni scarafone – diceva qualcuno - è bello a mamma sua. Alfonso Tramontano Guerritore

s e n t i r e a s c o l t a r e 9 3 VISIONI

Lettere da Iwo Jima (di Clint Eastwood - USA, 2006) Lo dirò subito a scanso d’equivoci: questo Letters From Iwo Jima è molto più bello, eroico, appassionato, vibrante e ricco di grazia sottile del primo ‘episodio’ Flags Of Our Fathers. Non è solo la suggestione sonora, pur forte, della lingua giapponese e la finezza della recitazione, quello che colpisce soprattutto sono le scelte tecniche della regia. Prima fra tutti la fotografia di Tom Stern (che firma anche Flags) che riprende la stessa procedura di desaturazione dell’immagine che aveva caratterizzato Flags. Ma in Letters si arriva quasi totalmente al bianco e nero, stemperato, te- nue, senza stacchi netti, con sfumature di luce a tratti pittoriche. Molto fa il grigiore dell’isola vulcanica di Iwo Jima - dove è stato quasi interamen- te girato -, fatta di sabbia scura e di polvere nera a cui si aggiunge, nel film, ma molto di rado, il rosso fuoco dei primi bombardamenti durante le incursioni aeree. Il secondo fattore impressionante è il sonoro, costituito da tre elementi alternati: la lingua giapponese, il frastuono delle armi e la musica di Kyle Eastwood e Michael Stevens, asciutta, ridotta all’osso e prosciugata, in perfetta sintonia con il destino di sconfitta che aleggia durante tutta la fase di preparazione per l’imminente sbarco degli ameri- cani. Come elemento sonoro culminante, questa volta per contrasto, entra in scena alla fine una struggente canzone di bambini, trasmessa via radio dalla capitale, che rende omaggio alle truppe gloriose di Iwo Jima, poco prima che passino all’attacco finale nel quale troveranno la morte. Insomma si tratta di una gloriosa sconfitta, malcelata in patria ma sotto gli occhi di tutti nell’isola, e che diventa l’elemento centrale del film: combattere ancora, nonostante la sconfitta certa, la morte certa, nonostante ogni buon senso, nonostante ogni logica. Secondo la previsione americana questo esiguo numero di soldati, decimati ancor prima dalla dissenteria e dall’assenza di cibo che dalle armi nemiche, avrebbe dovuto resistere solo pochi giorni; invece costrinsero gli americani sull’isola per quasi un mese: il gene- rale Kuribayashi (il bravo Ken Watanabe de L’ultimo samurai e Memorie di una Geisha) ricorda che se anche sarà uno solo il giorno guadagnato dall’impero prima che gli americani passino nel territorio, qualsiasi morte per quel solo giorno sarà ben voluta e cercata. Eroismo da veri samurai, anche se Eastwood sembra confrontarlo con un più semplice e prosaico pragmatismo alla maniera americana che lo rende, per contrasto, fine a se stesso. Mentre, infatti, i soldati americani possono contare sul senso di coesione e di cameratismo democratico, quelli giapponesi devono sottomettersi ad una struttura gerarchica che dà ordini idioti e non cerca la coesione nelle truppe. Confrontato con il nobile romanticismo del barone Nishi (con il suo cavallo e la sciabola), la spavalderia un po’ troppo roboante e decisamente volgare degli americani fa veramente ridere. Costanza Salvi

la sera della9 4prima s e n t i r e a s c o l t a r e la sera della prima della sera la

Vero come la finzione (di Marc Forster - Usa, 2006) Harold Crick è un grigissimo agente del fisco. Da anni, ormai, fa la stessa vita. Ogni nuovo giorno è una maniacale e calcolatissima riproduzione di quello precedente. Niente sembra sfuggire alla sua contabilità: il tempo da dedicare al sonno, il numero di spazzolate ai denti, la velocità da im- primere ai suoi passi. Veste sempre uguale. Prende sempre lo stesso au- tobus. Lavora con ordine e cura. Ogni accadimento sembra già prescritto. Poi succede l’impossibile. Qualcuno comincia a raccontare la sua vita. La voce di una donna descrive il suo nodo alla cravatta, commenta il rumore delle sue scarpe, ordina la sua vita in sintetiche sequenze letterarie. Quel- la voce la sente solo lui e gli sembra di impazzire. Harold non lo sa, ma da tempo è il protagonista di un romanzo. Ha vissuto, ormai, più del previsto. Da dieci anni una scrittrice tenta di dare forma al suo romanzo. Ma il ma- noscritto è quasi ultimato, non manca che il finale. E il finale prevede che Harold muoia. Comincia così l’intelligente commedia scritta dall’esordiente Zach Helm e diretta dal regista Marc Forster, che molti ricorderanno per il tragico Monster’s Ball. Una commedia dove realtà e finzione convergono, si sovrappongono: dove mondi paralleli, per uno strano destino, s’incro- ciano. Siamo dalle parti della meta-narrativa – il genere letterario tanto di moda negli scorsi decenni, in cui gli ingranaggi del racconto, di solito ben nascosti sotto la trama e i colpi di scena, vengono rivelati e resi drammatici: gli scrittori sono messi in scena, i personaggi principali prevedono ed evadono dal piano letterario ordito dallo scrittore. Per chi ha frequentato un po’ quella letteratura, tutto questo ricorderà qualcosa di già sentito. Ma qui affiora la sorpresa. È un professore universitario esperto di lettere ad aiutare Harold. Un critico letterario ed un personaggio di finzione che si alleano contro uno scrittore, ancora nessuno lo aveva previsto. E sarà proprio il professor Hilbert, un convincente Dustin Hoffman, a rivelare ad Harold la più dolorosa delle verità. Gli eroi di carta possono pure morire, ma le loro storie – se sfuggono l’ordinario e prefigurano nuovi modi di percepire il tempo, lo spazio, i sentimenti, la vita - resistono per l’eternità. Se regista e sceneggiatore avessero fatto propria questa massima, e avessero osato sfidare, come nei primi minuti del film, convenzioni letterarie e zuccherosi happy end da commedia, forse avremmo ricordato e apprezzato di più Harold – soprattutto, la storia di Harold. Ma più il film procede, più gli spunti interessanti, le citazioni coltissime, le battute divertenti, i surreali segni grafici, vengono coperti di melassa. Ovviamente, non è affatto un brutto film. Eppure un ritmo diverso alla regia, un tono crudele e meno dimesso, avrebbero giovato al film. Ci saremmo trovati un piccolo gioiello tra le mani. Avremmo riposto il film dalla parti delle commedie causti- che e geniali di Spike Jonze o di Michel Gondry. Purtroppo non è andata così. Giuseppe Zucco

s e n t i r e a s c o l t a r e 9 5 CULT MOVIE

La dolce vita (di Federico Fellini - Italia, 1960) Il cinema, ormai, ha più di cento anni. Di film ne sono stati prodotti, girati e montati, un numero con molti zeri a seguire. I nomi dei registi importanti si fatica a contenerli in memoria. Gli attori, e tutto il loro fascino, neanche a parlarne. Eppure, ogni tanto, in mezzo all’eterno battage pubblicitario che indica il prossimo Capolavoro, la nuova Star, l’Autore sconosciuto, bisognerebbe fermarsi, almeno un po’, giusto per capire quali film siano entrati nell’immaginario collettivo, con quale forza, per quali motivi. Ed è un buon esercizio da compiere: perchè il cine- ma, una volta assorbito, diventa un luogo dei nostri pensieri, un modo di comprendere il mondo e dare significato al tempo, allo spazio, alla vita. Se vi va, chiamatelo pure con il suo nome, questo esercizio. Consapevolezza, è una parola che difficilmente compare tra le pieghe dei media.

Nessuna novità, quindi, se mentre state lì a ragionare, vi ritrovate in testa la celebre battuta di Blade Runner (“Io ne ho visto cose che voi umani non potete immaginarvi”), o l’attacco tutto fuoco e napalm di Apocalypse Now, o l’esplosione di frigoriferi e salotti nel finale di Zabriskie Point, o la musica struggente di C’era una volta in America, o il cappotto rosso della bambina di Schindler’s List, o la faccia della Duvall mentre Jack Nicholson sfonda a colpi d’ascia la porta in Shining. Ci sono un’infinità di questi ricordi. E la cosa interessante, è che ognuno ha le proprie: le immagini che segnano per il resto della vita – immagini, suoni, parole, che condensano un modo di percepire e pensare il mondo.

E se scavate bene, tra tutti i ricordi, ci sono sempre quei pochi fotogrammi, in bianco e nero, con quella donna – nel film Silvia, nella vita Anita Ekberg – e il suo vestito nero, i suoi capelli lunghi e biondi, bellissima, che entra nella Fontana di Trevi, e fa il bagno sotto la cascata d’acqua, e se ne sta lì, e poi dice: “Marcello, come here”, e Marcello entra in acqua, un Marcello Mastroianni giovane, ben pettinato, in abito nero, che entra nell’acqua, e la raggiunge, la guarda, non osa toccarla, e poi: “Silvia”, dice, “come sei bella”, mentre il mattino, improvviso, appare, e li trova lì, ancora dentro la fontana, sorpresi una volta per tutte.

Così, anche se non avete mai visto La dolce vita - uno dei capolavori assoluti del cinema, il film che consacrò Fellini, a Cannes, nel 1960, con la vittoria della Palma d’Oro, il premio più ambito – di sicuro conoscerete la famosa sequenza appena descritta. E l’avrete vista chissà quante volte, magari un solo spezzone - quello dove lei entra nell’acqua. Forse, vi sarà capitato di vederla in un tigì, impaginata tra qualche servizio. O in qualche programma tivù, nel suo scintillante bianco e nero, a simboleggiare qualcosa apparsa tanto tempo fa, voluta da tutti e ormai irrimediabilmente perduta. E la cosa è molto strana. Perchè, per un corto circuito dell’immaginario, quella sola sequenza, indica il classico Tempo Dell’Oro, il periodo aureo di una civiltà: quello in cui tutto filava a meraviglia, e si stava bene, e la vita la si godeva da matti. Ma se guardate il film, dall’inizio alla fine, con tutti i suoi personaggi, e le storie che s’intrecciano e si sovrappongono, troverete ben poco di dolce, nella vita di quegli anni, i ruggenti ‘60 dell’Italia del boom economico. Anzi, sarà l’amaro a restarvi in bocca: il genere di sentimento che si scioglie a fatica, in qualche profondità, e lascia storditi, senza alcuna illusione.

Il film si apre in una maniera spettacolare: nel cielo che sovrasta la campagna romana – con il suo campo di calcio, e i ruderi millenari dell’acquedotto – due elicotteri, uno dietro l’altro, diretti verso San Pietro. Il primo elicottero regge, imbracata dalle funi, la statua di un Cristo pacifico, bianco, con le braccia spalancate. Il secondo ospita il pilota, il giornalista Marcello Rubini, e un paparazzo che da quell’altezza fotografa l’evento. Ed è un attacco da applausi. Perchè negli iniziali 2 minuti e 50 secondi, ritroviamo una geografia, un’epoca, una dichiarazione d’in- tenti. La geografia instabile e precaria di un’Italia in cui si costruisce dappertutto, con cantieri aperti ovunque, e palazzoni tra le spianate, e muratori che discendono dagli antichi contadini. Il ritratto fulminante di un’epoca che ha perso ogni malizia, ogni millenaria precauzione, e ha già trasformato perfino la religione in evento, in un fatto spettacolare costruito da e per i media. Una dichiarazione d’intenti di Federico Fellini, così visibile tra quei fotogrammi, che ci avvisa, con quei due elicotteri, che sarà una ricognizione sull’alto il suo film, l’osservazione feroce e spietata di quella parte di società che vive ai piani alti, chiusa nei suoi attici, confinata nei suoi loft, distinta dal brulicare della vita quotidiana sulle strade del mondo. Intendiamoci: se è quello che state pensan-

la sera della9 6prima s e n t i r e a s c o l t a r e la sera della prima della sera la

do, non è un film neorealista. Tutto è immerso in un’atmosfera onirica, a metà tra sogno e incubo: quel genere di atmosfera che ha reso stranianti, unici, i film di Fellini. Eppure, con La dolce vita, è come se Fellini chiudesse quel cerchio aperto da Pasolini con altri film quali Accattone, Mamma Roma, La ricotta: al vuoto della vita delle borgate poverissime e preistoriche disegnata da Pasolini, Fellini som- ma il vuoto della vita dell’aristocra- zia, delle star, degli intellettuali, degli elegantissimi, dei cultori della bellezza. E insieme, seppure con modi e forme diverse, i due grandi registi lasciano intuire l’abisso e lo squallore che si profila nel ricordo di quegli anni. Di dolcezza, insomma, ce n’è ben poca.

Lo stesso Pasolini, nel suo La ricotta, metterà in bocca ad un giovane Orson Welles proprio quella battuta ri- guardo Fellini: “Egli danza. Egli danza.” Ed è vera, quella battuta lì, se guardate qualsiasi film di Fellini. Ancora più vera per La dolce vita: una lunga discesa agli inferi in punta di danza. La storia è presto detta. Marcello Ru- bini, giovane giornalista dalle grandi ambizioni letterarie, passa il giorno a caccia di scoop, scandali, offese alla morale, oltraggi al pudore, tradimenti, malintesi. E per meglio osservare, per poterne scrivere, riversa se stesso e la sua scia di paparazzi dovunque si dia appuntamento il jet set, la gente che conta: nelle vie del centro, nei ristoranti, nei castelli, nelle ville, nei club, negli hotel. E sono come gironi dell’inferno, quei posti. Gironi dorati, con demoni eleganti e tentatori, dove perdere speranze, ambizioni, illusioni. Finisce che Marcello, senza accor- gersi, poco per volta, diventa uno di loro. E la cosa più spaventosa è la lucidità, la consapevolezza, con cui ci finisce nell’abisso. Sa tutto, conosce la sua dannazione, e non può fare a meno di scendere giù nel gorgo, vivere almeno quello. La sequenza finale, puro cinema in cui le parole non servono, con la ragazzina, nel vestito nero, che chiama Marcello, nel suo vestito bianco – dove anche i colori hanno perso un ordine e un senso - è l’ultima tappa: vivere sapendo di essere già morti. Vivere sapendo, ormai, che è tutto inutile.

Ed è materiale che scotta, quello che s’intravede tra le pieghe della pellicola. Materiale che mise nei guai Fellini, tanto che alla prima del film fu quasi linciato e fatto oggetto di sputi, con moltissima stampa a definire quel film spazzatura, senza mezzi termini. Eppure, guardato oggi, a 47 anni dalla sua uscita, La dolce vita stupisce per il riserbo e il tatto con cui Fellini mise a fuoco quell’inferno. La volgarità non è del film, semmai dei suoi personag- gi, delle storie dei personaggi. L’abisso che s’intravede è frutto di una scrittura perfetta e di una direzione magi- strale. E in quei gironi, in quegli episodi apparentemente slegati l’uno dagli altri, è Marcello, un nuovo Virgilio in giacca e cravatta, a prenderci per mano e affondarci nel gorgo. Manca davvero il respiro quando la parola FINE riporta alla realtà. E questo dimostra la potenza del film, la sua forza, sotto il bianco e nero scintillante. Giuseppe Zucco

s e n t i r e a s c o l t a r e 9 7 Luciano Berio da Joyce ai Beatles . Il post moderno secondo il maestro

di Daniele Follero

“In musica le cose non vanno né anche attore di se stesso e di con- musica elettronica in Italia, paese bene né male: evolvono e si tra- seguenza, la partitura diventa nelle ancora sordo agli esperimenti d’ol- sformano da sole” sue mani una sorta di copione, che tralpe sulla manipolazione del suo- (Luciano Berio) oltre alle note da suonare ne deter- no attraverso apparecchi elettronici mina i movimenti. ed elettroacustici. Qualcuno lo a definito il primo fra i Questo è evidente soprattutto in al- post-moderni, altri si sono limitati cune delle sue Sequenze per stru- La magia della voce di Cathy a definirlo il più grande composi- mento solista (in particolare la III L’interesse per le qualità plastiche tore italiano del XX secolo. Senza per voce; la VI per viola; la VI e della materia sonora, associato ad disquisire troppo sul significato del VII rispettivamente per trombone e una particolare attenzione per il termine post-moderno - che vole- oboe, che assumono aspetti deci- rapporto suono/parola (che segnerà va, in ogni caso, indicare il supe- samente clowneschi). Ma andiamo tutta la sua carriera) dà vita alle pri- ramento della modernità intesa nel con ordine. me composizioni di un certo rilievo: senso di una riappropriazione della Luciano Berio nasce ad Oneglia Nones (per orchestra, 1954) basata tradizione con il filtro dei nuovi (e (oggi Imperia) nel 1925, ma appena su una serie di 13 suoni, Thema. numerosi) linguaggi del Novecento ventiseienne (dopo la guerra, che Omaggio A Joyce (1958), su testi - la figura di Luciano Berio si impo- lo ha visto coinvolto e gli ha pro- dello scrittore irlandese (in parti- ne nel panorama della Nuova Mu- vocato una ferita alla mano che gli colare Finnegans Wake) e Visage sica con una voce assolutamente comprometterà lo studio del piano- (1961). Nelle ultime due viene fuori nuova, e in questo senso veramen- forte) è già negli Stati Uniti a stu- un personaggio cardine nella vita e te di rottura con la “modernità”. diare le tecniche delle avanguardie nell’arte di Berio: Cathy Berberian. L’arte di Berio, italiano del mondo, con Luigi Dallapiccola. Ma l’Allie- Mai musa è stata tanto ispiratrice dialoga allo stesso modo con lo vo ebbe molto da ridire riguardo alle quanto il mezzo-soprano america- sperimentalismo più avanguardista, capacità educative del Maestro, e no per il compositore italiano. I due con la musica folclorica e tradizio- questo soprattutto perché le sue le- condivideranno, oltre all’amore per nale e con i Beatles, attraverso zioni sulla dodecafonia risultarono la musica, anche un periodo delle una dialettica che guarda alla com- presto obsolete al giovane Berio, rispettive vite (una decina di anni, mistione dei linguaggi più che alla già proiettato verso una dimen- prima di arrivare al divorzio) duran- ricerca di un idioma puro. sione musicale più estesa e meno te il quale la voce della Berberian a cura di Daniele Follero a cura di Daniele MoltiFollero hanno parlato di collage ri- elitaria del purismo della scuola di rappresentò quasi sempre il perno ferendosi ai suoi metodi composi- Vienna. Era già troppo importante attorno al quale nascevano le com- tivi. Termine abbastanza indicativo l’aspetto multimediale e multiforme posizioni del marito. La plasticità, del crogiuolo di materiali, tecniche della musica perché il compositore la teatralità e la potenza della voce e citazioni messi in campo e ogni ligure fosse affascinato dai metodi di Cathy erano il mezzo più adatto volta accostati, ma che lui stesso compositivi seriali, che poco spazio ad esprimere il rapporto multilate- ha sempre disdegnato, preferendo concedevano al senso della vista, rale della musica con la parola, la parlare di “trascrizioni”, conside- aspirando ad una musica indipen- poesia, le immagini, il teatro, nella rando il fatto che collage implica, dente che potesse esprimere se concezione musicale “aperta” e in- per il compositore, un certo abban- stessa. clusiva della musica di Berio. Con- dono alla materia che, al contrario, Tornato in Italia, Berio fonda a Mi- cezione stimolata, tra l’altro, dalla nelle sue opere rimane strettamente lano lo Studio di Fonologia della profonda amicizia che lo legava a legata al controllo del lavoro intel- RAI insieme ad un altro personag- personalità della cultura nostrana lettuale. Niente è lasciato al caso, gio fondamentale per la musica ita- come il semiologo Umberto Eco e ma molto all’esecutore. Per Berio liana ed europea del secondo dopo- il poeta Edoardo Sanguineti. il musicista non è mai un sempli- guerra, Bruno Maderna, ponendo Proprio Sanguineti è stato protago- ce esecutore di segni scritti, ma è le fondamenta della ricerca sulla nista dei nuovi approdi della poetica i cosiddetti contemporanei i cosiddetti9 8contemporanei s e n t i r e a s c o l t a r e i cosiddetti contemporanei cosiddetti i beriana, sempre più orientata ver- so la teatralità come metafora del- la vita. L’aspetto drammatico è già evidente in Laborintus II, un punto fermo nella carriera del composito- re, che gli valse anche il Prix Italia nel 1966. Quest’opera, scritta per otto strumenti, due soprani, un con- tralto e una voce recitante, su testi dello stesso Sanguineti. è emble- matica dell’atteggiamento compo- sitivo di Berio: violente esplosioni di suono, in uno stile che si avvi- cina al free jazz, sono accostate a cori parlati flebilissimi, mentre la fredda declamazione di Sanguineti si interpola tra i momenti musicali, preoccupandosi più del suono delle parole che del suo messaggio.

che viveva, proprio tra gli anni ’60 collaborazione, ma aveva alla base Il teatro musicale, l’approdo e ’70, la sua ennesima e radicale un interesse reciproco. McCartney d e f i n i t i v o trasformazione dopo l’orgia di “pu- era rimasto colpito da Laborintus L’attenzione alla materia sonora in- rismo” dei postweberniani di Dar- II e lo dichiarò apertamente. Allo dagata nella sua natura di suono in mstadt (con i quali lo stesso Berio stesso modo il compositore ligure, divenire, di timbro, ma soprattutto aveva collaborato per un periodo) affascinato dalla novità rappresen- di movimento è un’altra prerogativa che avevano accantonato l’arte del- tata dai Fab Four volle darne una dell’arte del musicista di Imperia, la rappresentazione, preferendovi propria interpretazione trascriven- che trova forma nella serie della l’astrattezza del linguaggio sonoro. do alcuni loro brani (c’è di sicuro il già citate Sequenze per strumento Nel teatro di Berio, come già nel- suo zampino nel bellissimo disco di solista. Inaugurate nel 1958 con la le sue opere vocali più celebri (O Cathy Berberian – Beatles Arias, Sequenza I per flauto e terminato King, in seguito incorporata nella Discograph/Self 1966-2005). Ma il ciclo con la Sequenza XIV per monumentale Sinfonia; lo psico- l’escursione del Maestro nell’arte violoncello (2002), queste compo- dramma Recital For Cathy; A-Ron- popolare ha trovato senza dubbio la sizioni, concepite come una sorta ne, altro frutto della collaborazione sua massima espressione nei Folk di work-in-progress, esplorano lo con Sanguineti), la letteratura, e più Songs (1964, per mezzosoprano e strumento in tutte sue le possibi- in particolare la citazione e l’acco- strumenti), serie di canti provenien- lità, sviscerandone le sonorità più stamento di epoche e stili letterari ti dai luoghi più disparati (Azerbai- insolite e i timbri più nascosti e di- diversi, divengono il marchio più gian, Italia, Stati Uniti..) rivisitati ventando un vero tour de force per riconoscibile della personalità mu- ancora una volta per la splendida l’esecutore, chiamato a mettere a sicale beriana. A partire da Opera, voce della Berberian. disposizione non solo la sua tecni- che già dal titolo si rivela alquanto Berio ha lasciato questo mondo ap- ca ma tutto il suo corpo e costretto emblematica, il percorso teatrale pena quattro anni fa, nello stesso ad “entrare” fisicamente nella par- di Berio corre a zig zag attraverso anno (il 2003) in cui scompariva titura. tutta la storia della letteratura, pas- un altro suo caro amico, Roberto Parallelamente alle Sequenze que- sando da Shakespeare (Un re in Leydi. Un musicista e un etnomu- sti stessi procedimenti sono stati ascolto, 1983) a Calvino (La vera sicologo che hanno contribuito, rielaborati in un contesto orche- storia, 1978). ognuno alla sua maniera, ma anche strale di più ampio respiro nella se- Nonostante una cultura straordi- influenzandosi inevitabilmente a vi- rie di Chemins I-VI (1964-95). Qui nariamente vasta, Luciano Berio è cenda, a dare una seria importanza Berio amplifica le idee precedenti stato soprattutto un artista molto alla musica in un paese che conti- ornandole in un processo di trasfor- curioso. E la sua curiosità ha pene- nua ancora (ahinoi!) a considerarla mazione continua, che decompone trato tutti gli ambiti possibili e im- un’arte “minore”. la forma in maniera tale da forni- maginabili, popular music inclusa. re all’ascoltatore la possibilità di Un mondo che per formazione non esplorare i suoni da molteplici punti gli apparteneva, ma che, avendo di vista. vissuto molto negli U.S.A., sentiva Sembra logico che una visione così più vicino. Lo scambio di battute tra intrinsecamente teatrale della mu- lui e Paul McCartney, di cui spes- sica trovi il suo naturale sbocco nel so si fa cenno con un’aura di leg- teatro musicale. Teatro musicale genda, non portò mai ad una vera

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