La scheda filmica e didattica è a cura di Giancarlo Visitilli. Ogni diritto è riservato.

“Il nostro è un paese senza memoria e verità, ed io per questo cerco di non dimenticare” Leonardo Sciascia IN UN ALTRO PAESE (Italia, Francia 2005) Regia: Marco Turco Genere: Documentario Durata: 92’

Trama Un viaggio dentro la Mafia siciliana e le sue “morti eccellenti”. Grazie alle testimonianze raccolte dal giornalista americano, Alexander Stille, a partire dalla vicenda di Falcone e Borsellino, si cerca di ricostruire i rapporti tra Mafia e politica nell’Italia degli ultimi trent’anni.

DENTRO IL FILM

Storia nostra non è più L’espressione qui sopra riportata, è tipica di chi o non vuole ammettere la verità di una storia, anche quando gran parte di essa ha a che fare con le peggiori delle storie, per le quali ci si giustifica ammettendo che “accadono in un altro paese”, come tenderebbe ad evidenziare lo stesso titolo del film, oppure è una frase utilizzata anche di chi ammette, in verità, che la propria storia, come nel caso del film, quella degli Italiani, sarebbe meglio non raccontarla. Tant’è che ci voleva un giornalista americano, Alexander Stille ed un suo libro, “Nella terra degli infedeli. Mafia e politica”, per ispirare il regista italiano, Marco Turco, e realizzare questo importantissimo documentario sulla nostra italianisssima storia, che da molti anni va a braccetto con la mafia e si caratterizza per storie di corruzione. Infatti, il regista, in novantadue minuti di documentario, spiega la storia della mafia, ripercorrendo gli anni, dalla fine dei Settanta ai giorni nostri. Si tratta di fatti e personaggi che hanno caratterizzato e abitato un lungo e non ancora terminato percorso. Turco prende a pretesto la storia di due veri eroi italiani, resi tali dalla loro spregiudicata lotta alla mafia, e . Infatti, il film, in ordine, ci presenta Falcone prima, Borsellino poi e le impressionanti dichiarazioni dell’ex presidente del tribunale di Palermo, Antonino Caponnetto, alla notizia dell’uccisione di Paolo Borsellino. Tutte tre queste vite e i loro contesti, poi, sono ripercorsi a uno a uno, a ritroso: dalla storia dei due famosi magistrati, le loro vittorie, il loro isolamento politico, alla loro tragica fine. Grazie a tale racconto, anzi, in esso stesso, noi spettatori, ritroviamo gli eventi storici del nostro passato recente, come la cattura di Tommaso Buscetta, il maxiprocesso dell'Ucciardone, l’omicidio Lima e l’arresto di Totò Riina. Perché ci si possa convincere di una verità che si afferma a chiare lettere nel film: “La mafia non parla direttamente, ma attraverso gesti e azioni”. E i gesti e le azioni, la mafia, le compie nascondendosi, purtroppo, anche dietro “il volto, dietro la maschera rispettabile di avvocati, giudici, imprenditori, sacerdoti, politici”. Perché la mafia è molto ‘pirandelliana’, in fatto di realtà e finzione. Ha sempre un volto nuovo, che si mistifica nei luoghi e nei personaggi della quotidianità, spesso può identificarsi anche con alcuni nostri cattivi comportamenti e scelte di vita. E’ in tal modo che Marco Turco ricostruisce, in maniera puntuale e convincente, non solo la storia della mafia, ma anche quella che ha un volto diverso rispetto ad essa, è la parte migliore, rappresentata dalla lotta antimafia, che nel nostra paese vede coinvolti milioni di persone, fra donne, uomini, adulti e giovani, ma ancora troppo pochi per garantire la giustizia e la legalità. In un altro paese é un lavoro coraggioso, che non scade mai nella retorica, e soprattutto è lontano da tante altre opere simili, che assomigliano molto alle fiction e sanno poco di verità: qui c’è ricchezza di verità e di umanità. Basti pensare al meraviglioso e commovente, sebbene paradossale, racconto in cui Falcone spiega, con disarmante semplicità, ad una giornalista che i mafiosi sono “comunque, persone come noi”, in essi “c’è umanità”. Perché giustizia e diritti umani sono, o dovrebbero esserlo, sulla stessa strada: l’una non può non tener conto degli altri. Inoltre, poiché, a proposito di questo film, si tratta di un genere cinematografico, il documentario, questo rende tutto molto più reale, non solo dal punto di vista della scelta registica e dello stile proprio del documentario: in esso, il protagonista principale, il giornalista che fa indagini, Alexander Stille, è realmente nei panni di se stesso; ad accompagnarlo nell’inferno palermitano c’è la fotografa, Letizia Battaglia, la stessa che davvero, nonostante avesse fotografato in migliaia di scatti i tanti cadaveri di gente ammazzata in stragi mafiose, le cui immagini rappresentano una buona parte della durata del film, alla fine, è lei stessa che, di fronte al corpo straziato di Paolo Borsellino, si rifiuta di fare il suo lavoro. E’ come se la sua macchina fotografica non ce la facesse a tenere lo sguardo su tanta crudeltà. Non è un caso se proprio alla storica fotografa della guerra di mafia sia affidata la battuta con cui si chiude il film: “Cosa devo aspettare?”, si chiede, prima di partire per Parigi, per sfuggire allo strazio che in Sicilia nulla è cambiato. Un monito, un interrogativo, un invito il suo?

La mafia è una montagna di merda Così affermava, coraggiosamente, Peppino Impastato, un altro grandissimo italiano che ha fatto della sua vita un vero sacrificio per la lotta contro la mafia. Anche lui, nonostante ciò, non poteva rinnegare di avere un padre corrotto, mafioso e invischiato negli affari politici di Cinisi, a dimostrazione del fatto che, molto spesso, mafia e potere politico, in modo particolare, vanno a braccetto. In tal senso, la forza di In Un Altro Paese sta proprio nella capacità di ricostruire, attraverso un’attenta analisi delle più diverse fonti pubbliche, e con “documenti alla mano”, l’altalenante rapporto tra il potere mafioso e quello politico. Il regista mette insieme il materiale audiovisivo, originale, raccolto dai diversi archivi e biblioteche, fra le decine di quelle che vediamo nel film, e l’indispensabile utilizzo delle meravigliose foto della Battaglia. Si tratta di immagini da cui sembra provenire “l’odore del sangue che non riesco a togliermi più dalla testa”, come la stessa fotografa sostiene. E cosa si mostra in esse? La morte, quella che passa sotto gli occhi, i giochi e gli sguardi niente affatto attoniti, perché abituati, dei bambini e/o dei ragazzini, di cui vediamo la presenza, dall’inizio alla fine del film. Il regista si mette al servizio dello sguardo della sua amica fotografa e si fa il porta-voce di quella di Stille. Con impressionante rigore e forte determinazione, il documentario ricostruisce la trama dei rapporti tra criminalità e politica, colmando almeno in parte la lacuna lasciata aperta dalle inchieste del maxi processo di Palermo (febbraio 1986 - 31 gennaio 1992). Il documentario, a differenza della ricostruzione dei magistrati, e a causa delle loro esigenze processuali, indica con precisione i responsabili politici dello strapotere mafioso (“Martelli, Craxi, Andreotti erano i nemici di quella parte della Sicilia politica che voleva combattere la mafia”, dice apertamente Giuseppe Di Lello, istruttore del primo pool antimafia). Mette bene in chiaro le profonde collusioni tra Stato e Cosa Nostra (“La mafia è una componente organica del sistema di potere italiano” dichiara Ayala). Prima la Democrazia Cristiana con l’asse Lima-Andreotti, poi il Partito Socialista con il binomio Craxi-Martelli, infine Forza Italia nel duo Berlusconi-Dell’Utri: “La Sicilia, che nel passato era stata solidamente democristiana, nelle elezioni del 2001 consegnò alla coalizione di Berlusconi tutti e 61 i suoi seggi parlamentari. Imputato in vari processi per corruzione, Berlusconi mise al centro del suo programma la necessità di porre un freno a quello che definiva ‘l’eccessivo potere dei giudici inquirenti’”. Si tratta di dichiarazioni e immagini che fanno male, sono veri e propri macigni, che arrivano dritte allo stomaco, ma che passano dal cuore, alla testa. Rischiando di renderti, apparentemente, impotente, perché è nel finale del documentario che si ha lo slancio necessario per alzarsi dalla poltrona ed essere pronti a ricominciare quello che in moltissimi uomini e donne hanno cominciato, affinché ognuno di noi potesse continuarne l’opera. Convinti che si tratta della Storia, della nostra Storia, di quella di ognuno di noi. E quindi, del nostro Paese.

SE PENSO CHE… Di seguito, una serie di vicende ed espressioni dal documentario. Prova a leggerle e a farne oggetto di discussione e scambio di opinioni con i tuoi compagni di classe. Alla fine, potreste raccogliere i vostri pensieri, per slogan, e trascriverli su un manifesto che rappresenti davvero “il Vostro Paese”:

“Si può dire che i rapporti fra mafia e politica siano vecchi quanto l’Italia stessa, ma ebbero un forte salto di qualità alla fine della Seconda Guerra Mondiale, quando gli occupanti angloamericani si servirono degli uomini di mafia, per mantenere ordine, insediando importanti mafiosi come sindaci delle città”

“Anche la Democrazia Cristiana fece ricorso alla mafia nella sua lotta politica contro il partito comunista, la cui popolarità era in ascesa in tutta Italia. La mafia controllava i voti, intimidiva e assassinava gli oppositori politici. In Sicilia, dal ‘45 al ’55 ci furono 43 morti di mafia, fra dirigenti sindacali, politici, militanti comunisti e socialisti. In cambio la mafia riceveva protezione e appoggio e accesso a commesse e appalti statali. Tutto questo giustificato anche dalla guerra fredda”

“Il coraggio non è non avere paura, ma conviverci con essa e non farsi condizionare dalla stessa”: Falcone alla domanda di una giornalista, se lui avesse paura.

“La lotta alla mafia si fa in Sicilia ma si vive a Roma”.

“La mafia non è né di sinistra né di destra: la mafia è con il potere” (Ayala)

Curiosità:  Alexander Stille è stato doppiato dall’attore Fabrizio Gifuni;  In un altro paese è stato candidato al David di Donatello;  Ha vinto: come Miglior documentario al Festival dei popoli; Efebo d'argento; premio al Festival di Taormina e Globo d’oro come Miglior documentario

Il regista Marco Turco (Roma, 28 luglio 1960) è un regista e sceneggiatore italiano. Laureato in Storia e Filosofia, segue i corsi di sceneggiatura di , Leo Benvenuti e Robert Mc Kee e la scuola di recitazione di Aldo Giuffré. Si avvicina al cinema scrivendo per L'Unità e la rivista Movie. Dopo una serie di esperienze da aiuto regista, con Tonino Valeri, Franco Giraldi, e , esordisce alla regia con i cortometraggi La sveglia (1994) e Coincidenze (1995), ottenendo per entrambi la partecipazione alla Mostra del Cinema di Venezia. Cura la regia di documentari, video e spot commerciali e debutta nel lungometraggio con Vite in sospeso (1998). Nello stesso anno collabora alla sceneggiatura del film Tano da morire, di Roberta Torre. È del 2004 In un altro paese. Nel maggio 2005 comincia le riprese del film La straniera, presentato al Torino Film Festival 2009 e al BIF&ST Bari International Film Festival. L’anno successivo dirige Rino Gaetano - Ma il cielo è sempre più blu, fiction in due puntate per Raiuno. L'ultimo lavoro C'era una volta la città dei matti..., con Fabrizio Gifuni e è una fiction sulla vita dello psichiatra Franco Basaglia.

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Ascolta “Alzando gli occhi al cielo” di Luca Carboni “Il mio nome è mai più” di Jovanotti, Pelù, Ligabue “La domenica delle salme” di Fabrizio De André “La storia siamo noi” di Giorgio Faletti “I cento passi” Modena City Ramblers

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