“Il Diritto Di Parlare Non Deriva Agli Uomini Dal Fatto Di 'Possedere La
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A mio padre con grande riconoscenza e affetto 1 “Il diritto di parlare non deriva agli uomini dal fatto di ‘possedere la verità’. Deriva piuttosto dal fatto che ‘si cerca la verità’. E guai se non fosse così soltanto! Guai se si volesse legarlo ad una sicurezza di ‘possesso della verità’! Lo si legherebbe alla presunzione del possedere la verità, e non parlerebbero che i predicatori, i retori, gli arcadi, tutti coloro che non cecano”. (E. Vittorini da «Il Politecnico», a. III, n. 35, gennaio-marzo 1947, p. 3.) 2 INDICE PREMESSA: «IL POLITECNICO» E IL SUO TEMPO p. 1 CAP. I: UNA “NUOVA CULTURA” p. 5 CAP. II: LA POLEMICA POLITICA – CULTURA E L’EPILOGO DEL «POLITECNICO» p. 13 CAP. III: «IL POLITECNICO» (1945 - 1947) E LE SUE LINEE TEMATICHE p. 63 1) Il Titolo p. 63 2) La veste grafica p. 67 3) I collaboratori p. 69 4) Il rapporto con le masse p. 74 5) Il pubblico del «Politecnico» settimanale p. 76 6) Gli argomenti del settimanale p. 77 7) Considerazioni sul «Politecnico» settimanale p. 103 8) Il passaggio dal settimanale al mensile p. 105 9) I collaboratori del mensile p. 110 10) Il pubblico del «Politecnico» mensile p. 110 11) Gli argomenti del mensile p. 112 12) Considerazioni sul «Politecnico» mensile p. 118 CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE p. 119 3 APPENDICE p. 123 1) Frontespizio del I numero del «Politecnico» p. 125 2) Articolo di Elio Vittorini Una nuova cultura (I numero) p. 127 3) Articolo di Elio Vittorini Il popolo spagnolo attende la liberazione (I numero) p. 129 4) Frontespizio del numero 35 (trimestrale) p. 131 «IL POLITECNICO» (1945-1947) p. 133 INDICI p. 559 Indice degli autori p. 561 Indice dei brani creativi p. 607 Indice delle materie e dei soggetti p. 623 Indice dei nomi citati nelle schede p. 677 BIBLIOGRAFIA p. 699 Volumi p. 699 Saggi p. 707 4 AVVERTENZE: Gli articoli citati nelle note che compaiono senza il nome dell’autore sono da considerarsi anonimi. Per comodità del lettore gli articoli indicati nelle note sono sempre citati per esteso. 5 PREMESSA: «Il POLITECNICO» E IL SUO TEMPO Il progetto del «Politecnico» nasce a Milano nel periodo tra il 1943 e il 1944. Esso non si può attribuire ad un gruppo ben definito di intellettuali, ma al lavoro convergente di tre soggetti: il Fronte degli intellettuali antifascisti, il Partito comunista e la Casa Editrice Einaudi. La realizzazione era stata affidata allo scienziato Eugenio Curiel, il quale però morì nel 1945 durante la partecipazione attiva alla Resistenza nelle file comuniste. Dopo una breve interruzione del lavoro organizzativo, «Il Politecnico» uscì, sotto la direzione di Elio Vittorini, il 29 settembre 1945, nel periodo quindi dell’immediato dopoguerra. Il primo numero del settimanale venne diffuso solo nell’Italia settentrionale e appena qualche copia arrivò a Roma grazie al Pci e alla Einaudi. Era il momento in cui fortissima era l’esigenza di ricostruire materialmente e spiritualmente l’Italia, lacerata da vent’anni di dittatura che aveva impedito qualsiasi libertà civile e politica. Il clima che ha animato la Resistenza, spingendo larghi strati popolari a partecipare alla lotta in prima persona, è ancora vivo. La situazione politica appare fluida e “in fieri”. I principali partiti si pongono il problema del futuro assetto istituzionale: mentre azionisti, socialisti e comunisti prendono posizione a favore della soluzione repubblicana, democristiani, liberali e demolaburisti appaiono più propensi alla conservazione della monarchia. Tutti comunque, fino alle elezioni per l’Assemblea Costituente del giugno 1946, perpetuano la formula dei governi dei C.L.N. in una 6 situazione di eccezionalità, privi come sono di una legittimazione ufficiale da parte dei cittadini. Il re Vittorio Emanuele III si è ritirato a vita privata nel 1944, suo figlio Umberto ha assunto la luogotenenza del Regno e Ferruccio Parri è alla guida di un esecutivo allargato ai sei partiti dei C.L.N. Rileva Simona Colarizi1: “Il paese è alla fame; gran parte delle industrie sono distrutte, esaurite le risorse agricole, paralizzati i commerci, interrotti i trasporti, inesistenti i servizi. Lo spettro della disoccupazione comincia a incombere [...]. Migliaia e migliaia di senza tetto vivono in rifugi precari [...]”. Epurazione degli elementi fascisti dalla pubblica amministrazione e ristabilimento dell’ordine pubblico, turbato ancora da odi, vendette e giustizie sommarie, sono due esigenze non più dilazionabili nel tempo, soprattutto agli occhi di comunisti, socialisti e azionisti. Rinnovamento e ricostruzione della società costituiscono un preciso impegno anche per gran parte degli intellettuali, per i quali far progredire la cultura significa anzitutto smantellare rapidamente le strutture ideologiche fasciste. Basti ricordare come il Fronte della cultura antifascista, che era particolarmente attivo nell’Italia settentrionale, e di cui faceva parte lo stesso Vittorini, sia stato uno dei principali protagonisti della lotta svolta sul piano politico-culturale. Nel 1945, l’Italia liberata dal nazi-fascismo diventa il campo ideale per ricostruire daccapo un mondo nuovo e migliore e l’“intellighenzia” intende lavorare attivamente a questo obiettivo, autoattribuendosi il ruolo di educatrice delle masse e impegnandosi “a gestire in prima persona lo 7 sviluppo della democrazia, la democrazia stessa, la vita sociale, la storia dell’umanità”2. Gli intellettuali desiderano realmente uscire dalle “torri d’avorio” in cui spesso erano rimasti confinati in passato, per incontrare e guidare il popolo. «Il Politecnico» settimanale (29 settembre ‘45 - 6 aprile ‘46) è un chiaro esempio del tentativo di tradurre in pratica questi propositi: rivitalizzare la cultura italiana attraverso l’apporto della gente comune, non più relegata nel ruolo di auditorio passivo, costituiva per Vittorini un progetto irrinunciabile. Ben presto tuttavia il primato dell’intellettuale e il suo ruolo di educatore vengono rivendicati direttamente dai partiti. Si scopre amaramente, nel 1946 e nel 1947, che il potere viene gestito dai notabili e dai politici, mentre ad accademie, riviste, dibattiti e libri viene riservato un ruolo marginale e succube. Vittorini stesso lo constaterà e «Il Politecnico» mensile (1 maggio ‘46 - dicembre ‘47) ne costituirà la prova più evidente. 1 S. COLARIZI, Storia dei partiti nell’Italia repubblicana, Laterza, Bari, 1994, p. 82. 2 C. DE MICHELIS, Pavese e Vittorini: il ruolo dell’intellettuale, in Gli intellettuali in trincea, a cura di S.CHEMOTTI, Cleup, Padova, 1977, p. 23. 8 CAP. I: UNA “NUOVA CULTURA” Il programma della rivista risulta molto chiaramente sin dall’editoriale apparso sul primo numero, il 29 settembre 1945, intitolato Una nuova cultura. Vi si parla di una cultura che non deve essere più consolatoria, ma attiva contro le ingiustizie, in grado di combatterle e di eliminarle. In passato era accaduto che essa, nella tradizione classica e cristiana, non avesse mai saputo andare al di là di una azione esclusivamente consolatrice. «Il Politecnico» intuisce l’equivoco in cui si dibatte la cultura tradizionale e comprende che anche tutta la cultura “disimpegnata” ha contribuito all’instaurarsi del fascismo e alla sua violenza. “Per un pezzo sarà difficile dire se qualcuno o qualcosa abbia vinto in questa guerra. Ma certo vi è tanto che ha perduto, e che si vede come abbia perduto. I morti, se li contiamo, sono più di bambini che di soldati; le macerie sono di città che avevano venticinque secoli di vita; di case e di biblioteche, di monumenti, di cattedrali, di tutte le forme per le quali è passato il progresso civile dell’uomo; e i campi su cui si è sparso più sangue si chiamano Mathausen, Maidaneck, Buchenwald, Dakau”3. Vittorini non aggiunge all’elenco Hiroshima e Nagasaki o le città bruciate dalle bombe anglo-americane, ma dice con chiarezza che tutti hanno dato il loro contributo a sterminare “milioni di bambini”4, a colpire o a distruggere “tanto che era sacro”5. Sono stati sconfitti gli intellettuali come Mann e Croce, Benda e Huizinga, Dewey e Maritaine e Bernanos e Unamuno perché 3 E. VITTORINI, Una nuova cultura, in «Il Politecnico», a. I, n. 1, 29 settembre 1945, p. 1. 4 Ibidem. 9 “l’insegnamento di questa cultura non ha avuto che scarsa, forse nessuna influenza civile tra gli uomini”6. Nel ‘45 Vittorini sottolinea come nella Guerra sia prevalsa l’etica dello sterminio, del fascismo. Il bombardamento aveva raso al suolo molte città e sparso il terrore tra la popolazione civile e anche gli Alleati, dunque, con le incursioni aeree, si erano macchiati di gravi colpe, simili a quelle dei nazisti. “Non vi è delitto commesso dal fascismo che questa cultura non avesse insegnato a esecrare già da tempo. E se il fascismo ha avuto modo di commettere tutti i delitti che questa cultura aveva insegnato a esecrare già da tempo, non dobbiamo chiedere proprio a questa cultura come e perché il fascismo ha potuto commetterli? [...]. Per questo suo modo di consolatrice in cui si è manifestata fino ad oggi, la cultura non ha potuto impedire gli orrori del fascismo. Nessuna forza sociale era ‘sua’ in Italia o in Germania per impedire l’avvento al potere del fascismo [...]. Ma di chi se non di lei stessa è la colpa che le forze sociali non siano forze della cultura, e i cannoni, gli aereoplani, i carri armati non siano ‘suoi’? La società non è cultura perché la cultura non è società. [...]. Occuparsi del pane e del lavoro è ancora occuparsi dell’‘anima’. Mentre non volere occuparsi che dell’‘anima’ lasciando a ‘Cesare’ di occuparsi come gli fa comodo del pane e del lavoro, è limitarsi ad avere una funzione di dominio ‘sull’anima’ dell’uomo. Può il tentativo di far sorgere una nuova cultura che sia di difesa e non più di consolazione dell’uomo, interessare gli idealisti e i cattolici, meno di quanto interessi noi?”7. 5 Ibidem. 6 Ibidem. 7 Ibidem.