Le Reminiscenze Di Sri Ramana Maharshi
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LE REMINISCENZE DI SRI RAMANA Di G. V. Subbaramayya 1 NOTA DELL’EDITORE Sri G.V. Subbaramayya, l’autore di questo lungamente atteso Sri Ramana Reminiscences, non ha bisogno di alcuna introduzione per i devoti di Sri Ramana. Fu uno dei fortunati che ebbero grande familiarità con Sri Bhagavan e che ricevettero la Sua Grazia in piena misura. Originariamente scritto in telugu con il titolo Sri Ramana Smaranamrutam (attualmente non più stampato), venne da egli stesso tradotto in inglese e quindi pubblicato nel 1967, purtroppo in una edizione piena di errori di stampa. Questa versione è stata interamente corretta e presentata ai nostri lettori in una nuova veste. Ci auguriamo che i devoti di Sri Bhagavan daranno il benvenuto e apprezzeranno questo libro. L'autore morì nel maggio 1970. 2 Presentazione del professor G. V. Subbaramayya. G.V. Subbaramayya, educatore, professore e poeta, fu uno di quei devoti il cui approccio a Bhagavan Sri Ramana Maharshi fu straordinariamente spontaneo. Era un piacere ascoltare i loro discorsi così liberi da formalità. C’erano infatti alcuni che tremavano davanti a Sri Bhagavan quando parlavano con lui., tale era la sua maestosità. Il punto di svolta e la più grande influenza della sua vita fu certamente l’incontro con Bhagavan Sri Ramana Maharshi. Citiamo quello che egli stesso disse al riguardo: “La stella polare della mia vita è certamente il mio gurudev Bhagavan Sri Ramana Maharshi. In un momento di sofferenza, nel 1933, fui trascinato da lui e addirittura il primo darsan mi immerse in un oceano di pace e beatitudine. Fin da allora Lui è stato la luce della mia vita: mia madre, padre, guru e meta. È il mio tutto-in-tutto; e in Lui il mio piccolo sé e i tutti i suoi orpelli furono consumati e sublimati. In una parola, Egli è l’incarnazione della Grazia. Ad ogni passo, fin negli episodi più piccoli della mia vita, ho cominciato a sentire con una con una consapevolezza crescente la mano direttrice di quella Grazia Divina che è Sri Ramana.” Appassionato studioso di letteratura inglese, prese la laurea nel 1922 e divenne lettore universitario e in seguito Direttore del P.B.N. College di Nidubrolu. Esperto nella sua madrelingua, il telugu, e nel sanscrito, altrettanto come nell’inglese, i suoi scritti includono una traduzione poetica in telugu del grande poema Megha-Duta di Kalidasa e una raccolta delle sue poesie inglesi in due volumi. Abile conversatore, trascinava spontaneamente Sri Bhagavan in colloqui su svariati argomenti. Ha tradotto gli insegnamenti di Sri Bhagavan in inglese nei versi della Ramana Gita. In virtù della sua associazione con Sri Bhagavan e degli insegnamenti che ricevette, divenne una figura nota nell’Andra Pradesh dove, dopo essere andato in pensione, diffondeva in vari luoghi il Vangelo di Sri Bhagavan. Dopo il 1963 si assunse il compito di tradurre in versi inglesi l’Andhra Maha Bharatam; lo ha quasi completato, ricevendo le benedizioni di Sri Kanchi Kamakoti Sankaracharya e dell’eminente erudito e statista, Sri C. Rajagopalachari. G.V. Subbaramayya ha scritto nelle Reminiscenze di Sri Ramana di come uno Jnani o sthitaprajna sembri reagire agli avvenimenti del mondo relativo dei fenomeni che noi vediamo e sperimentiamo, e di come uno Jnani possa apprezzare amore e devozione come quelli che Subbaramayya stesso mostrò verso Sri Bhagavan. “L’Autorealizzazione”, diceva Sri Bhagavan ai suoi devoti, “non è una nuova acquisizione, ma solo un rimuovere le nuvole che nascondono la Realtà che noi siamo sempre, attraverso l’estinzione dell’ego sovraimposto e irreale, che ci fa vedere e sperimentare la diversità nel Sé Universale, attraverso il processo dell’Autoinvestigazione.” Pochi giorni prima del Mahasamadhi di Sri Bhagavan, Subbaramayya andò a trovarlo e ad implorarlo per la grazia; Bhagavan, Abhayam Yeevala (‘Bhagavan, dovete darmi protezione’) e subito ebbe la risposta Yichanu (‘Te l’ho concessa’)! 3 Le mie reminiscenze di Bhagavan Sri Ramana Maharshi Il mio primo pellegrinaggio al Sri Ramanasramam fu l’8 giugno 1933. Da Kancheepuram, dove avevo accompagnato mia madre a partecipare al Brahmotsavam di Sri Varadarajaswami, mi recai da solo a Tiruvannamalai. A quel tempo avevo un grande dolore, avendo sofferto la mia prima grande perdita il precedente dicembre, quando il mio figlio maschio di due anni era morto improvvisamente per quello che i dottori potevano descrivere solo come arresto cardiaco. Da più di due anni stavo leggendo le opere di Sri Bhagavan e altra letteratura dell’Ashram. Il mio interesse principale era stato letterario piuttosto che filosofico. Ero stato decisamente colpito dallo stile telugu dell’Upadesa Saram che, nella sua semplicità, appropriatezza e raffinatezza classica poteva uguagliare quella di Tikkana, il più grande poeta telugu. Mi era venuta la convinzione che una persona di lingua tamil che riuscisse a comporre simili versi in telugu dovesse essere divinamente ispirata, e volevo andare a vederla. Ma a quel tempo la mia ricerca immediata era verso pace e sollievo. Durante il mattino ebbi il darsan di Sri Bhagavan nella Vecchia Sala. Appena i nostri occhi s’incontrarono, ci fu un effetto miracoloso sulla mia mente. Mi sentii come se mi fossi immerso in un mare di pace, e con gli occhi chiusi, sedetti in uno stato di estasi per circa un’ora. Quando tornai alla consapevolezza normale, vidi che qualcuno stava spruzzando qualcosa nella Sala per tenere lontani gli insetti, e Sri Bhagavan che obiettava gentilmente scuotendo in silenzio la testa. Appena sentii Sri Bhagavan dire qualcosa, mi feci coraggio e gli posi una domanda: “La Bhagavad Gita dice che i mortali gettano via i loro corpi logori e ne acquistano di nuovi, così come si gettano via degli abiti vecchi per indossarne di nuovi. Ma questo come può valere per la morte dei bambini i cui corpi sono nuovi e freschi?” Sri Bhagavan rispose immediatamente: “Come sai che il corpo del bambino morto non è logoro? Potrebbe non essere evidente; tuttavia se non è logoro non morirà. È la legge di Natura.” Feci allora un’altra domanda: “In un punto nella Bhagavad Gita il Signore dichiara che ‘Tutto l’Universo è Mia manifestazione. Non c’è niente altro che Me.’ Da un’altra parte, in un intero capitolo, dice che ‘Io sono la luna tra le stelle, il Re tra gli uomini’ eccetera. Come possiamo conciliare queste due affermazioni?” Sri Bhagavan rispose, “Quest’ultima è soltanto la risposta del Signore alla domanda di Arjuna ‘Come posso raggiungerti attraverso la costante meditazione? Dove, dove posso riconoscerti?’ La domanda di Arjuna rende evidente che lui non era in grado realizzare subito la verità della prima affermazione. Così il Signore, nella sua compassione, enumerò le parecchie manifestazioni della Gloria Divina affinché Arjuna vi potesse meditare sopra. In realtà tutto l’insegnamento delle Scritture non è enunciazione della Verità assoluta. Deve essere adeguato allo stadio dell’aspirante e deve soddisfare il suo bisogno presente.” Subito dopo il pranzo lasciai l’Ashram, senza nemmeno prendere congedo da Sri Bhagavan. Arrivai e me ne andai in incognito come un completo straniero. Dopo circa tre anni, nella primavera del 1936, visitai di nuovo l’Ashram, questa volta con una nota di introduzione di Sri G. Sambasiva Rao Garu. Appena consegnai la nota a Sri Bhagavan, ancor prima di leggerla, lui annuì e mi rivolse un sorriso benevolo, dicendo, “Perché un’introduzione? Tu sei già venuto; non sei nuovo.” Con meraviglia ancora maggiore, mi sembrò quasi che mio padre morto fosse tornato in vita, tanto era la somiglianza. Affinché questa non sia considerata soltanto una mia fantasia, dirò solo che mio cugino Sri V. Narayanappa, che vide Sri Bhagavan in seguito, osservò “Sri Bhagavan sembra identico a mio zio, tuo padre.” Questo saldò ancora di più la mia relazione con Sri Ramana. Lui non era solo Guru, Maharshi, Bhagavan, ma mio padre. Il mio accostamento a Sri Ramana è stato sin da allora quello di un figlio al suo genitore, 4 alquanto diretto, libero e familiare. Alcuni anni fa ero stato iniziato in due mantra che ripetevo un certo numero di volte ogni giorno. Lo stavo facendo con puntualità, ma dopo essere entrato all’Ashram, non ebbi più stimolo a ripetere i mantra o a fare alcun genere di adorazione formale. Dopo alcuni giorni fui preso dalla paura di incorrere in un peccato, mancando di osservare le istruzioni della mia iniziazione. Così ne parlai a Sri Bhagavan stesso, confessando la mia mancanza. Sri Bhagavan sorrise e disse, “Proprio perché hai fatto così tanto japa (ripetizione di mantra), il suo merito ti ha portato qui. Perché adesso dovresti temere di goderne il frutto?” Avevo anche un problema più serio. Stavo praticando il controllo del respiro (pranayama) come insegnato da Swami Ramatirtha nei suoi lavori. Qui ero arrivato a uno stadio in cui provavo una sensazione terribile, come se la mia testa esplodesse in pezzi; avevo smesso di farlo, ma ogni giorno la sensazione ritornava all’ora della pratica, e in me aumentava la paura di un disastro imminente. Così, sul finire della notte, quando Sri Bhagavan era solo, lo avvicinai e gli racconta la mia storia. Lui disse ridendo, “Cosa! Sei di nuovo preso dalla paura! Queste sono le normali esperienze di quelli che fanno esercizi yogici senza la guida immediata di un Guru, ma essendo venuto da me, perché dovresti aver paura?” Quindi Sri Bhagavan aggiunse a bassa voce: “La prossima volta che provi quella sensazione, pensa me e tutto andrà bene.” Da quel momento in poi, quella sensazione non è mai più tornata, e così non c’è stato bisogno di pensare a Sri Bhagavan per quella ragione! Il giorno dopo, a mezzogiorno, dopo che tutte le persone eccetto me avevano lasciato la Sala, un vecchio contadino si avvicinò a Sri Bhagavan e si lamentò di avere un grande dolore allo stomaco da molto tempo.