Capitolo 1 Il Fenomeno Neofascista

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Capitolo 1 Il Fenomeno Neofascista Alle mie sconfitte, perché senza di loro sarei solo la povera metà di un uomo. SOMMARIO Introduzione p. 2 Abbreviazioni p. 12 Capitolo 1 Il fenomeno neofascista 1.1 La prima fase: amnistia e referendum istituzionale p. 14 1.2 Le formazioni monarchico-fasciste p. 30 Capitolo 2 Il Movimento italiano femminile “Fede e Famiglia” 2.1 I coniugi Pignatelli p. 74 2.2 La nascita del MIF p. 91 2.3 Scopi e attività del movimento p. 102 2.4 I rapporti con le organizzazioni neofasciste internazionali p. 107 Capitolo 3 Il Movimento Sociale Italiano 3.1 La fondazione del MSI p. 128 3.2 L’attività del partito nel meridione p. 135 3.3 La prima prova elettorale del MSI p. 138 3.4 I dissidenti missini p. 140 Capitolo 4 Gli altri neofascismi 4.1 Il Fronte dell’Italiano p. 161 4.2 Il Movimento Artistico Nazionale p 164 4.3 I Gruppi d'Azione dannunziana p. 168 4.4 L’Associazione studentesca Giovane Italia p. 170 4.5 Ordine Nuovo p. 176 4.6 Il Fronte Nazionale p. 221 Conclusioni p. 266 Fonti Archivistiche p. 278 Bibliografia p. 279 Introduzione La ricerca condotta durante i tre anni del corso di dottorato ha inteso ricostruire la storia del neofascismo meridionale individuandone le condizioni iniziali, le peculiarità, le modalità attraverso le quali agì, le speranze e i fini degli uomini e delle donne che ne fecero parte. Il progetto si basa sulla necessità di contribuire a definire il fenomeno in maniera più circostanziata, essendo esso solo in parte riconducibile alla categoria più generale del neofascismo italiano. A fronte di una bibliografia scientifica sempre più vasta avente per oggetto il neofascismo, si nota ancora, purtroppo, una sostanziale mancanza di testi riferibili alla vasta macro-area meridionale. Le notizie al momento reperibili sono contenute in diversi testi, rendendo una ricerca che abbia come parole- chiave “Italia meridionale” e “neofascismo” estremamente difficoltosa, aleatoria e incidentale. La necessità di fornire una spiegazione del fenomeno neofascista - apparentemente inspiegabile in un’Italia da poco uscita da un disastroso conflitto e da un Ventennio non meno problematico – e della sua 2 particolare diffusione nel Mezzogiorno italiano è dunque alla base di questo studio. Parallela alla precisazione del campo di indagine è stata la necessità di rintracciare eventuali continuità teoriche tra il fascismo di regime e quello del dopo Mussolini, per verificare quanto e cosa il neofascismo abbia conservato o, al contrario, mutato, rispetto all’ideologia e alla pratica utilizzate nel Ventennio. Questa ricerca ha dunque inteso analizzare le complesse vicende del neofascismo nel Sud Italia, i motivi del suo successo e – quindi – del suo radicamento e della sua durata. Comprendere il fenomeno e indagare le forme e i metodi con i quali il neofascismo riuscì a radicarsi così rapidamente e pervicacemente nel Mezzogiorno, comporta agire su più piani e all’interno di un ampio spettro cronologico, che parte dalla destituzione di Mussolini (luglio 1945) e arriva ai moti di Reggio Calabria (luglio 1970 – febbraio 1971). All’interno di questo spaccato temporale si individua un intreccio (almeno apparentemente) inestricabile di complicità e contiguità tra l'anima più nera del neofascismo e quella più presentabile e legalitaria. Ed è su tale ambiguità che contano gli ideali rifondatori del regime fascista. Il punto di partenza dell’analisi è la modalità di reazione del Mezzogiorno al processo di ricostruzione iniziato nell’immediato dopoguerra, la 3 comprensione del modo in cui il territorio prese parte, direttamente o indirettamente, al piano di sviluppo nazionale che andava rapidamente affermandosi. Le regioni prese in esame sono state la Campania, la Puglia, la Basilicata, la Calabria, la Sicilia e la Sardegna. Ognuna di esse costituisce un unicum e – nello stesso tempo – mostra elementi comuni tra città e territori, al cui interno si verificarono spesso contatti tra le varie organizzazioni neofasciste che adottarono in molti casi programmi, strategie e tattiche di lotta e di sopravvivenza condivise. Il punto cronologico di partenza di questa ricerca si situa però nella fase immediatamente precedente la caduta del fascismo, quando Mussolini, ritenendo ormai prossima l’invasione delle regioni meridionali da parte delle truppe Alleate, decise la costituzione di una formazione paramilitare che avrebbe dovuto costituire l’ultimo baluardo del regime. Questa organizzazione fu chiamata, significativamente, “Guardia ai Labari” e a dirigerla – su indicazione di Carlo Scorza - fu chiamato il principe Valerio Pignatelli di Cerchiara, personaggio complesso e dalla personalità poliedrica. Il principe, che si trovava in Calabria, fu convocato in gran fretta a Roma, dove però arrivò dopo che il Gran Consiglio aveva approvato l’ordine del giorno Grandi e soprattutto dopo che il Re aveva sostituito 4 Mussolini con Badoglio alla presidenza del Consiglio dei ministri. Pignatelli, tuttavia, ottemperò ugualmente al suo compito e, dopo la nascita della Repubblica sociale italiana, mise rapidamente in piedi una milizia armata e una rete informativa in diverse province meridionali. In Calabria l’organizzazione, che avrebbe dovuto agire in vista di uno sfondamento delle forze Alleate per attuare un’azione sabotatrice di retroguardia, fu particolarmente sviluppata; la scoperta della sua attività da parte delle autorità di pubblica sicurezza, diede luogo al cosiddetto processo degli “ottantotto” (così chiamato dal numero degli imputati), che portò alla sbarra molti imputati giovanissimi e alcuni personaggi eccellenti e che si concluse con una sentenza di condanna solo per pochissimi accusati, puniti comunque con pene non particolarmente severe. Anche in Sicilia l’azione neofascista si manifestò subito dopo lo sbarco degli angloamericani, quando si costituirono organismi clandestini a Palermo, Trapani e Catania. Inoltre, dal dicembre 1944 al gennaio 1945, in diverse zone dell’isola si registrarono manifestazioni tese ad evitare l’arruolamento dei giovani nell’esercito regio impegnato nella liberazione dell’Italia continentale, che in alcuni casi si tradussero in vere e proprie sommosse e che sono passati alla storia come i moti dei “non si parte”, sfociati, nel gennaio 1945, in un’azione insurrezionale culminata nella 5 nascita dell’effimera “Repubblica di Comiso”1. Nell’altra isola, la Sardegna, si verificarono numerose dimostrazioni contro il governo che portarono all’arresto di diversi giovani accusati di fare parte delle organizzazione clandestine sarde e siciliane, mentre a Bari nasceva il primo giornale neofascista, “Il Manifesto”, diretto da Pietro Marengo. Movimenti neofascisti di varia pericolosità operarono anche a Roma dopo l’arrivo degli Alleati, venendo coadiuvati dalle unità dei servizi segreti della Repubblica Sociale Italiana2 inviate al Sud per contribuire a sferrare l’attacco alle spalle al nemico. Nel resto del Paese, se si escludono Milano e alcuni centri “caldi” come Verona e Padova, le iniziative in tal senso furono molto meno numerose e incisive. Il referendum istituzionale del 1946 rappresentò per il neofascismo un momento essenziale e delicato: esso, di fatto, separò la fase della clandestinità da quella della legalità, che il neofascismo formalmente conquistò nel dicembre di quell’anno con la nascita del Movimento sociale italiano. 1 Sebbene il movimento dei “non si parte” e la “Repubblica di Comiso” non possano ascriversi tra le responsabilità esclusive dei “fascisti”, è tuttavia certo che il clandestinismo fascista, oltre ad esservi direttamente coinvolto, ebbe ogni interesse a sostenere queste esperienze che, evidentemente, miravano ad indebolire l’autorità del nuovo governo italiano. 2 D’ora in poi RSI. 6 La vicenda neofascista è soprattutto legata alla galassia di piccoli movimenti che – spesso in lotta tra loro - tentarono di riunire giovani e giovanissimi assieme a nostalgici del vecchio regime ed ex combattenti della RSI. Già prima della conclusione del conflitto vi era stato chi aveva operato all’interno del fascismo di Salò per qualificarlo primariamente in funzione anticomunista, in una prospettiva che aveva come scopo la riorganizzazione di un movimento di fascisti che entrasse efficacemente nella dinamica politica di un futuro ormai prossimo. In tale prospettiva la lotta contro il comunismo rappresentava il possibile riscatto e l’occasione del reinserimento nell’agone politico. La Decima Mas e i movimenti legati alla monarchia (come l’Esercito Clandestino Anticomunista o l’Armata Italiana di Liberazione) stabilirono contatti non marginali con i servizi segreti alleati (soprattutto con l’OSS statunitense), al fine di realizzare un’azione di contenimento contro il pericolo rosso. In vista del referendum, i neofascisti, che operavano ancora in maniera più o meno segreta, sotto la guida di Pino Romualdi, ex vicesegretario del Partito fascista repubblicano, stabilirono contatti con diversi esponenti dei partiti antifascisti, oltre che con i qualunquisti e con i monarchici. Romualdi attuò nei loro confronti una strategia speculare: rassicurò i repubblicani che, se avesse vinto la Repubblica e da parte monarchica si fosse tentata un’azione eversiva, i 7 fascisti avrebbero difeso la legalità repubblicana; quindi promise ai monarchici che se le urne avessero assegnato la vittoria alla corona e i comunisti avessero tentato di ribaltare l’esito delle urne, i fascisti avrebbero difeso il risultato elettorale. Questo atteggiamento mirava tra l’altro ad ottenere l’amnistia, poi messa in atto da Togliatti. L’uscita di migliaia di fascisti
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