Storia Di Un'altra Firenze
Total Page:16
File Type:pdf, Size:1020Kb
I COLIBRÌ IL TEMPO STORICO a cura di Pier Luigi Vercesi cavini_firenze_6maggioDEF.indd 1 10/05/21 14:51 La mappa alle pp. 414-415 è di Raffaella Suttora © 2021 Neri Pozza Editore, Vicenza isbn 978-88-545-2163-6 Il nostro indirizzo internet è: www.neripozza.it cavini_firenze_6maggioDEF.indd 2 10/05/21 14:51 DANIELA CAVINI STORIA DI UN’ALTRA FIRENZE Viaggio controcorrente in venticinque tappe NERI POZZA EDITORE cavini_firenze_6maggioDEF.indd 3 10/05/21 14:51 cavini_firenze_6maggioDEF.indd 4 10/05/21 14:51 Sommario 9 Introduzione 17 Le gualchiere di Remole 33 L’Oratorio di San Sebastiano dei Bini 49 Orsanmichele e San Carlo dei Lombardi 65 Il Museo dell’Istituto degli Innocenti 77 Il Cenacolo di Sant’Apollonia 91 Palazzo Rucellai 105 Il Cenacolo del Fuligno 123 Il Chiostro dello Scalzo 135 I luoghi della Santissima Annunziata 151 Il Cenacolo di San Salvi 163 Cappelle Medicee: la Sacrestia Nuova 179 L’Orto botanico 191 Poggio Imperiale 211 Casa Vasari 223 Il parco e la villa di Pratolino 235 Il corridoio segreto del Museo Archeologico 247 La Biblioteca Magliabechiana degli Uffizi 261 L’Osservatorio Ximeniano 275 Il Museo di Storia Naturale 297 L’Archivio di Stato 317 Piazza della Repubblica: la demolizione del centro storico 331 La Fondazione Scienza e Tecnica cavini_firenze_6maggioDEF.indd 5 10/05/21 14:51 347 Palazzo Grifoni Budini Gattai 363 Casa Martelli 385 Villa Salviati 407 Ringraziamenti 409 Nota bibliografica 414 Mappa della città cavini_firenze_6maggioDEF.indd 6 10/05/21 14:51 Agli abitanti di via San Zanobi cavini_firenze_6maggioDEF.indd 7 10/05/21 14:51 We shall not cease from exploration and the end of all our exploring will be to arrive where we started, and know the place for the first time. T.S. Eliot, Four Quartets, Little Gidding, 1942 cavini_firenze_6maggioDEF.indd 8 10/05/21 14:51 Introduzione Introduzione Trattenendo il respiro Trattenendo il respiro Fu quando il pianeta spense il motore, e foreste e oceani tornaro- no a respirare. Era un tempo tragico e bizzarro, da mondo capo- volto. Da respiro sospeso. Fu allora, nel non-luogo della segrega- zione universale, che i pensieri presero forma. Ci voleva silenzio per scaricare la zavorra. Ci voleva una qua- rantena dello spirito che ripulisse il quotidiano vivere dal via vai degli incontri e regalasse un tempo fermo, improvvisamente pro- fondo. Un tempo in cui poter scavare, in cui smettere di espan- dersi sull’orizzonte del possibile, sui molteplici fronti dell’esisten- za quotidiana, per ritrovare un’antica dimensione dell’essere. Quel la che scende dentro. Un giorno – complice una visita medica – mi avventurai “fuo- ri”. Proprio fuori, lontano dal raggio di 200 metri della sopravvi- venza quotidiana, quello che consentiva a me e alla mia squadra di figli di fare la spesa, buttare la spazzatura, sgranchire le ginoc- chia. Inforcai la bici, e mi avventurai per le solite strade, le piaz- ze di sempre, via xxvii Aprile, via Ricasoli, San Lorenzo, piazza Duomo... Il tracciato turistico per eccellenza. Erano luoghi che conoscevo bene, eppure mi caddero addosso come se non li avessi visti mai. Era sempre lei, la mia città, immobile come il non-tempo in cui era immersa. Improvvisamente vuota. Niente più mandrie di auricolari, niente più code come ten- tacoli attraverso l’esausto centro cittadino. A decine di migliaia erano spariti, abbandonando la preda. Il rombo multilingue del- le strade si era dissolto. Era rimasto il silenzio, rotto dai gridi di rondine. La Cattedrale si stagliava su un sagrato deserto: a vederla apparire, bianca come un iceberg e fissa sotto un sole pulito, fer- mava il respiro. Era lei il nostro “polmone verde”, di noi sparuti abitanti del centro. Venivamo qui a spiarla quando si poteva, fa- cendo lo slalom tra la folla in perpetua transumanza, per farci cavini_firenze_6maggioDEF.indd 9 10/05/21 14:51 10 STORIA DI UN’ALTRA FIRENZE cogliere da una sempre nuova meraviglia. Per inalare – insieme all’incanto – anche una boccata di secolare quanto immotivato orgoglio. Bella Firenze. Giravo per le strade deserte. Persiane chiuse. Niente banchi o grida di mercati, nessun strusciare di trolley, nessuna fila davanti a pelletterie cinesi, chincaglierie veneziane o polpette americane. Tutte saracinesche abbassate. Persino l’uomo più bello e fotogra- fato del mondo, il gigante-totem dell’Accademia, trascorreva la quarantena in rigoroso isolamento. Le folle avevano abbandonato anche lui, il David. Tutto intorno palazzi tranquilli, indifferenti al vuoto. Gira- vo per i vicoli, pedalando nel tessuto continuo di chiese, piazze, strade intrecciate dal tempo: luoghi belli perché nati per essere di tutti, e adesso inesorabilmente di nessuno. Facevo lo slalom fra facciate bugnate e statue libere di respirare: ne avevano vista di storia, nulla più le stupiva. Ma nessun assedio, nessuna carestia, bombardamento o guerra civile potevano paragonarsi a quel vuo- to irreale e silente. Inimmaginabile. Certo, la vita rintanata scorreva ancora, svelata da un filo di panni, o da pochi cartelli ormai scoloriti dell’«andrà tutto bene» in cui credevano solo i bambini mentre li facevano. E ormai più neppure loro. Era una vita residua, in tempi normali persa nella ressa, strapazzata dall’imperativo turistico, consumata da piani re- golatori a senso unico. Una cittadinanza ridotta a resistenza den- tro al “parco giochi” urbano. Eppure, c’era. Spuntava schiva dietro le persiane. La sentivi pulsare nelle tv accese, negli aspirapolvere in funzione. Spazzando via il turismo, la pandemia faceva affiorare la vita rimasta, le restituiva consisten- za. Là dove non pensavi potesse ancora esserci qualcuno, scoprivi timidi segnali di quotidianità. E avevi voglia di chiamarli, di sco- prire chi fossero, e come avessero potuto resistere, quei reduci, fiorentini sopravvissuti alla grande fuga verso l’hinterland, tutto balconi e giardinetti, magari con l’angolo barbecue. Ci voleva un avversario invisibile e letale per farli affiorare, restituendo loro la casa comune. Ma era una casa deserta: quello spazio pubblico, privo di cittadini, suonava a vuoto come il palcoscenico di un gi- gantesco teatro abbandonato. Ormai persa in un girovagare incantato e un po’ irresponsa- bile, arrivai in piazza San Marco. Mi fermai proprio lì, davanti a questa facciata né bella né brutta, messa a protezione di uno fra cavini_firenze_6maggioDEF.indd 10 10/05/21 14:51 TRATTENENDO IL RESPIRO 11 i meno conosciuti tesori urbani. Lì, dove solo dieci anni prima, Firenze l’avevo vista davvero. Per la prima volta. E allora, passo indietro. Perché puoi nascere e vivere in un posto per anni, senza ve- derlo mai. Anche – o forse a maggior ragione – se si chiama Firen- ze. Non la vedevo quando mi pigiavo nell’autobus per arrivare al liceo, in piazza della Vittoria; o quando sfrecciavo in bicicletta per raggiungere Scienze Politiche, in via Laura. E neppure quando cantavo nel coro del Duomo, proprio sotto la cupola di Brunelle- schi. Vivevo così, senza mai alzare lo sguardo. Quello era il tempo del “prima”, degli anni giovani in cui le cose sembrano un diritto, e gli occhi corrono, smaniosi di esperienza, ignari e compiaciuti. Anni egocentrici. La ragione per cui folle sempre crescenti si accalcassero fra i monumenti cittadini mi era lontana, indifferente: c’era ben altro da pensare, da realizzare. Ero tesa come la corda di un arco verso il futuro. Non capivo che cosa facesse di me ciò che ero, e non percepivo l’impronta indelebile che quel contesto mi avrebbe la- sciato addosso. Davo per scontato quanto mi circondava perché c’ero cresciuta dentro. Quanti lo fanno. Non sentivo alcun attac- camento per quei musei, quelle piazze, le chiese di cui nessuno mi aveva mai parlato. Come tutti, ero stata agli Uffizi, ma non ne trovavo traccia nella memoria. Quanto alla storia dell’arte, sui banchi non ero riuscita a intercettarne l’essenza, e pur vivendo in uno scrigno ignoravo storie e significati di un patrimonio che non mi apparteneva. La vita era così, costruita a colpi di sfide personali che mi spingevano verso un altrove di ben altri orizzonti. Antici- pavo di un ventennio l’attuale esodo di massa dei millennials: ma io ero una boomer degli anni Sessanta, nata controcorrente. Lasciai la città senza voltarmi, senza sentirne mai la mancanza. Andavo incontro a un mondo che avevo troppo aspettato, incollata alla finestra di una camera di periferia con vista ristretta. Seguivo il mio demone. Ci pensò la vita, a sfamarmi. Il tempo scorreva, e mi portava verso paesi ed esperienze sempre più lontani, più estremi. Passai dalle fosse comuni nei giardini della Bosnia alle mine dell’esodo kosovaro; dai campi profughi infuocati nel deserto algerino alle case mitragliate della Cecenia; dalle bombe israeliane sul Libano alle tendopoli di Damasco aperte ai profughi iracheni, prima che quello stesso, stupendo popolo siriano finisse sbriciolato dagli ar- cavini_firenze_6maggioDEF.indd 11 10/05/21 14:51 12 STORIA DI UN’ALTRA FIRENZE mamenti sauditi o turchi, disperso nei mari o ingoiato dai campi di concentramento europei. Non immaginavo quanto quello che stavo vivendo potesse scavarmi in profondità; né quanto la rete di significati in cui ero cresciuta mi si fosse edificata dentro, come antivirus naturale destinato a proteggermi. Passarono vent’anni. Venne il tempo del “dopo”: tornai a Firenze con due gemelli neonati, un figlio bambino, nessun la- voro. Era l’ennesimo testa-coda della mia vita. Chiudevo la porta su popoli di cui avevo raccontato le rovine e che avevo imparato a conoscere, sulle guerre combattute per loro, da loro, o contro di loro; sugli accampamenti che ne raccoglievano l’agonia. Chiu- devo un capitolo pieno di incontri, di compensi da fame e ricchi contratti, di uomini ignobili e grandi storie d’amore. Sapevo ciò che lasciavo, ed era una scelta consapevole. Ma ignoravo che cosa mi aspettasse.